Omelia del Rettor Maggiore nella IV domenica del tempo ordinario B
(Festa di San Giovanni Bosco)
Basilica del Sacro Cuore in Roma, 31 gennaio 2021
Rivolgo anzitutto un saluto alle numerose persone che ci stanno seguendo attraverso la televisione, grazie alla Rai Radiotelevisione Italiana che trasmette questa Eucaristia, nella IV domenica del tempo ordinario.
Saluto con profondo affetto le famiglie, in particolare le persone anziane e ammalate che sono unite a noi in questo momento.
Celebriamo la Santa Messa nella Basilica del Sacro Cuore a Roma: un luogo che parla tanto di San Giovanni Bosco, nel giorno della sua festa. Don Bosco è il Santo dei giovani, il Padre e Maestro della gioventù di tutto il mondo, come ha dichiarato San Giovanni Paolo II.
In questa Basilica minore Don Bosco celebrò l’Eucaristia il 17 maggio 1887, all’indomani della consacrazione della chiesa e sette mesi prima della sua morte avvenuta, come sappiamo, la mattina del 31 gennaio 1888. In questa Basilica l’anziano Fondatore della Famiglia salesiana pianse, commuovendosi davanti all’altare di Maria Ausiliatrice, interrompendo per ben sedici volte la Santa Messa, perché finalmente aveva capito, con una grazia particolare dall’Alto, che Lei, Maria Ausiliatrice, aveva fatto veramente tutto durante la sua vita: «Ha fatto tutto Lei».
In questa domenica la parola di Dio risuona magnificamente e mette in evidenza l’autorità con la quale Gesù, il Signore, ha parlato ai suoi contemporanei e parla ancora a noi oggi.
Il suo era un nuovo modo di insegnare con autorità.
Così Gesù è percepito dal popolo, dalla gente semplice, ed è così che viene lodato dal popolo che vede il contrasto con i dotti, gli esperti della legge mosaica di quel tempo. A Gesù viene attribuita “l’autorità” che viene negata ai dotti. Il suo insegnamento è qualificato come “nuovo”, in opposizione a quello degli esperti che è visto come “vecchio”, superato.
Gesù è un laico senza alcuna “autorizzazione legale” per insegnare. E tuttavia agisce con autorità, a favore di chi soffre, dei più poveri e degli emarginati. Mentre chi ha l’autorità legale per insegnare si limita ad una pratica ideologica e sterile che non intercetta né tocca la vita del popolo.
Detto altrimenti, la gente restava affascinata da Lui che parlava loro di un Dio molto vicino, annunciato in un modo così familiare e diretto che anche le persone più semplici potevano capirlo. Dio era “a portata di mano”. Dio era percepito da loro e anche da ciascuno di noi dentro la vita quotidiana, in mezzo alla gente, preoccupato e occupato delle nostre cose, delle nostre gioie e dei nostri problemi. Non in un cielo lontano e distante, accessibile solo a chi aveva studiato e poteva leggere e approfondire la Legge di Mosè, la Parola di Dio. Al contrario, il Signore annunciava la Buona Novella del Vangelo alla gente più semplice, agli ultimi, ai più poveri e agli scartati del momento. E il popolo lo capì e accolse Lui e il Suo messaggio con profonda gioia.
Gesù vuole avvicinare Dio alla gente semplice e per questo utilizza un linguaggio semplice, racconta le parabole, in modo che le persone più umili possano capirlo e possano riconoscere che Dio Padre vuole venire incontro a loro.
Gesù annuncia un Dio che è dalla loro parte, che ama tutti i suoi figli in modo unico. Un Dio che da secoli grida, grida perché non ci sia più l’ingiustizia, non ci siano più abusi nei confronti dei poveri. Un grido così forte che nella pienezza dei tempi si concretizza nell’incarnazione del proprio Figlio, il Messia tanto atteso, che annuncia il Regno di Dio e la Buona Novella. E Gesù è la buona notizia di Dio, di un Dio vicino che ha cura, che si preoccupa di tutti i Suoi figli, a cominciare da quelli più emarginati, più poveri, scartati.
Nella scena evangelica odierna, che si svolge nella sinagoga, la Legge è interpretata con precisione e rigore, ma l’indemoniato continua ad essere dominato dalla sua malattia e schiacciato dal suo stesso senso di impotenza e dipendenza. Fino all’arrivo di Gesù. Dopo l’insegnamento, Gesù interviene concretamente, passa all’azione, che è il modo migliore per aiutare qualcuno ad imparare. Gesù ha detto che Dio è vicino ai più svantaggiati e qui, davanti a Lui, c’è una persona intrappolata, schiava, impedita, spaventata, emarginata, esclusa dal suo stesso popolo. Allora, Dio stesso la guarisce attraverso Gesù.
Il comportamento, le parole e i gesti di Gesù rivoluzionano l’ambiente. I cosiddetti “esperti” – i dottori della Legge – tacciono, ma il popolo sa discernere e comprende. Gesù libera e guarisce, insegna con autorità, e ciò che dice e compie è “buona notizia”, e provoca stupore tra la gente. Mentre coloro che si sentono smascherati e spogliati del loro potere dalla sua pratica, tacciono o gridano, e restano chiusi alla verità e ancor meno accettano la presenza di Dio in Gesù. Rifiutano di incontrare Dio e non accettano i segni del Regno.
Per quell’uomo, invece, l’incontro con Gesù fu una buona notizia, perché ne uscì come una persona rinnovata, libera, recuperata, capace di integrarsi nuovamente nella propria famiglia e nella vita sociale e religiosa. Sicuramente non avrà lasciato passare un solo giorno della propria vita senza dare testimonianza alla propria gente di quanto Gesù ha fatto per lui. Ecco perché il Vangelo ricorda che la «fama di Gesù si diffuse in tutta quella regione».
E oggi, duemila anni dopo, cosa ci dice il Signore di fronte a questo fatto, in una domenica qualunque, in questa festa salesiana della Famiglia di Don Bosco?
Sicuramente sta dicendo e ricordando che Dio ci ama, perché continua ad amare ognuno dei suoi figli e figlie. Ci dice di non aver paura di accettare la sua Parola e di lasciarci toccare da essa nel profondo del nostro cuore, come è successo a quell’uomo. E, allo stesso tempo, ci invita a dare testimonianza con la nostra vita del semplice ma meraviglioso messaggio del bene che Dio compie per ognuno di noi.
La fede merita di essere vissuta con profonda gioia e speranza. E la vita merita di essere vissuta con la certezza che il nostro Dio, il Signore della vita, accompagna tutti nostri passi.
Questo è ciò che Don Bosco ha sempre fatto e insegnato ai suoi figli e alle sue figlie, alla sua famiglia salesiana: ci ha lasciato il grande compito di continuare ad aiutare i ragazzi e le ragazze a scoprire nella vita quotidiana che Dio li ama, che è un Padre buono, e che la loro vita è un dono da vivere con gioia. E oggi, come ieri, ci sono persone intorno a noi e tanti giovani che vivono legati alle catene di “tanti demoni”, che hanno il volto dello sfruttamento, dell’abuso, del trattamento indegno e disumano.
Tutti noi fratelli e sorelle, tu ed io, dobbiamo aiutare a sciogliere tante catene, con la nostra preghiera o con la nostra carità, con un ascolto rispettoso o con uno sguardo pieno di dignità rivolto a ogni persona maltrattata, a ogni adolescente e giovane prigioniero, perché le forti e autorevoli parole pronunciate da Gesù sono per loro, per il loro bene. Sono parole che fanno crescere e vivere in pace, perché sono espressione della liberazione che Gesù è venuto a portare: «Esci, vattene, lascia libero questo mio figlio che il mio Dio Padre ed io stesso amiamo tanto».
Amen.