Intervista a Don Pascual Chavez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani
per il numero 2 di “Presenza Educativa – don Bosco a Milano” (giugno 2003),
organo dell’intera comunità salesiana presente nella città di Milano
(Istituti S.Ambrogio, Don Bosco e S.Domenico Savio)
“PRESENZA…” – Un suo predecessore, don Egidio Viganò, ricordava che il salesiano dei tempi nuovi deriva direttamente dallo stile di don Bosco caratterizzato da mille sfaccettature e dal suo desiderio di mantenere vive le differenze di ogni comunità. Ritiene che la sua elezione possa venire interpretata come il coronamento di questo pensiero, visto che lei è il primo successore di don Bosco a non avere origini italiane?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Nella circostanza della mia elezione, avvenuta il 3 aprile del 2002, parlando al Capitolo Generale 25, sottolineai che l’arrivo di un Rettor Maggiore senza radici italiane non era altro che l’espressione della multiculturalità del carisma salesiano.
Attualmente, noi ci troviamo in 128 paesi del mondo, il che vuol dire che la Congregazione è diventata davvero mondiale, pluriculturale. Ma vuol dire anche che il carisma è stato bene impiantato e che di lui è avvenuta una buona e fedele trasmissione da parte dei missionari salesiani italiani che sono andati dovunque, a partire da quelli stessi inviati da don Bosco nel lontano 1875. In tal senso, un segnale forte era stata proprio l’elezione a suo successore di don Egidio Viganò che, pur essendo italiano, era andato in Cile molto giovane, svolgendo poi la maggior parte della sua vita salesiana nell’America Latina. Poi, fu la volta di don Juan Vecchi, di genitori italiani, però nato in Argentina. Dunque: il salesiano dei tempi nuovi è sì nato da don Bosco, però si esprime multiculturalmente.
“PRESENZA…” – Ci parli della Strenna per il 2003.
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Quando l’ho pensata, l’estate scorsa, non era ancora all’orizzonte la guerra in Iraq ma adesso, dopo tutto quello che è accaduto, mi rendo conto che forse ho avuto un’ispirazione divina, poiché proprio questa Strenna invita a fare di ogni famiglia e di ogni comunità salesiana casa e scuola di comunione.
Stiamo vivendo da una parte un mondo sempre più globalizzato, che cerca di fare della famiglia umana un villaggio e ciò è possibile, almeno a livello di mezzi di comunicazione sociale, perché con le nuove tecnologie si riesce a far conoscere tutto e a metterlo a portata di mano. D’altra parte, però, oggi assistiamo a un inasprimento delle differenze culturali, sociali e politiche, con grande rischio per la vera unità della famiglia umana.
Questi motivi hanno spinto Giovanni Paolo II, nel suo Programma pastorale che definisce i compiti della Chiesa del terzo millennio, a plasmare questa espressione: Chiesa casa e scuola di comunione, il che significa che la Chiesa è chiamata ad essere un luogo dove tutti gli uomini e le donne del mondo possono trovare posto, senza accentuazione di alcuna differenza, nemmeno religiosa. La Chiesa è veramente una casa per tutti, ma al tempo stesso anche una scuola e questo vuol dire che la capacità di accoglienza, il rispetto della diversità, la solidarietà e la voglia di comunione sono valori che vanno sviluppati in ambito educativo.
La stessa idea l’ho poi riproposta anche ai giovani del Movimento giovanile salesiano, nel messaggio che ho inviato da Torino il 31 gennaio, per sottolineare che noi, come famiglia salesiana, dobbiamo fare di questa espressione un vero programma di vita, da attuare partendo dalla propria famiglia e dalla propria comunità, in maniera tale da offrire piccoli segni di che cosa significa essere veramente casa e scuola di comunione.
Io credo molto nel valore che si cerca all’interno delle famiglie e delle comunità, o della comunità educativa pastorale di una scuola, di un oratorio, della parrocchia, perché i grossi problemi di oggi, che sono macrocosmici, non possono essere risolti da alcuno, ma tutti siamo chiamati a creare delle esperienze alternative e ad offrirle per un mondo migliore. Questo è lo scopo della Strenna.
“PRESENZA…” – Il fatto che le varie realtà salesiane di Milano abbiano sentito l’esigenza di esprimersi attraverso un comune mezzo di informazione, quale è appunto il nostro giornale, può essere il primo passo verso una maggiore coesione, per meglio raggiungere obiettivi comuni?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Io valorizzo e apprezzo molto la vostra iniziativa, perché stiamo tutti cercando di sviluppare sempre più la collaborazione e la capacità di lavorare insieme, così da comprendere in pieno quel che diceva don Bosco già tantissimi anni fa: un filo da solo è molto fragile, basta tirare forte e si rompe; però, se lo si intreccia con tanti altri, diventa una corda robusta e difficile da strappare.
Ciò vuol dire che, se nel territorio dove lavoriamo, riusciamo a superare le differenze (che sono piccole, anche se a volte noi le accentuiamo!) e ci collochiamo in una prospettiva di maggiore collaborazione, allora avremo una ricaduta più grande.
Proprio per questo, mi congratulo con tutto il nostro ambiente di Milano per un’opera che fa vedere meglio l’unità e la presenza salesiana, anche se poi si esprime attraverso una diversità di strutture.
“PRESENZA…” – Lo scorso mese, una salesiana, suor Débora Pinto Niquini, Figlia di Maria Ausiliatrice di Belo Horizonte, è stata nominata “rettore magnifico” dell’Università Cattolica di Brasilia, assumendo un incarico che, di consuetudine, viene affidato a uomini. La sua opinione su questa novità?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Quello delle Figlie di Maria Ausiliatrice è uno degli istituti femminili più grandi di tutta la Chiesa e ovunque ha grande competenza in campo educativo: basta ricordare la loro facoltà di Scienze dell’Educazione, qui a Roma. Perciò, non mi meraviglio che una suora salesiana sia arrivata a ricoprire un ruolo tanto importante e sono convinto che potrà fare molto bene; mi congratulo con lei e con tutte le Figlie di Maria Ausiliatrrice!
“PRESENZA…” – Don Bosco visse in un periodo politicamente turbolento: quale fu il suo atteggiamento nei confronti degli scontri sociali della sua epoca e cosa direbbe, oggi, di fronte alle grandi catastrofi purtroppo sempre più frequenti?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Come educatore (oltre che come cristiano e come prete), don Bosco ha sempre creduto profondamente nella pace, cercando in ogni occasione di costruirla, perché si rendeva conto che la guerra, tra le sue infinite conseguenze negative, ha quella di colpire duramente proprio i giovani.
Anche adesso, nei paesi con guerre in corso, gli adolescenti-soldato sono moltissimi e recenti statistiche dell’UNICEF parlano addirittura di 500.000 ragazzi che combattono! Don Bosco ha sempre cercato la pace, ritenendola l’unica adatta allo sviluppo di una vera democrazia, oltre che indispensabile per il processo di maturazione umana di una persona.
Io sono stato molto esplicito nell’affermare che la guerra in Iraq è stata illegittima, perché non approvata dall’ONU, cioè l’organismo della concordia tra i popoli e che non la si poteva giustificare, specialmente se definita preventiva, perché con tale criterio si possono creare i precedenti per qualsiasi altro tipo di intervento.
E noi salesiani ci siamo schierati dietro l’intervento insistente del Santo Padre, molto chiaro e profetico, oltre che, oggettivamente, il più disinteressato, non avendo egli interessi economici o politici da difendere, perché ha intuito l’enorme sofferenza che avrebbe colpito l’intera popolazione (specie i bambini e i ragazzi), ma che continua a credere che si possono superare le difficoltà religiose già presenti tra alcune tendenze fondamentaliste ed islamiche.
Penso insomma che dobbiamo tutti, donne e uomini, costruire la pace e che essere onesti cittadini e buoni cristiani in un contesto come quello attuale significhi proprio avere maggiore sensibilità nei confronti di questo tipo di valori.
“PRESENZA…” – Quali ritiene siano i principali motivi della devianza giovanile?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Penso che la prima causa vada ricercata proprio all’interno della famiglia, che è sempre stata vista come il primo luogo di socializzazione delle persone, perché lì si imparano i valori fondamentali. Oggi, però, stiamo assistendo ad una sua rottura completa e sentiamo parlare di suoi nuovi modelli, di famiglie monoparentali, ad esempio, non soltanto a causa del divorzio ma anche per via di matrimoni che sono basati semplicemente su comuni accordi, senza però alcun impegno serio che li renda saldi, garantendo anche gli eventuali figli che possono scaturire da queste unioni.
Dunque, una prima causa della violenza io la trovo nella mancanza di quella che dovrebbe essere la culla dei valori della persona umana; per questo, noi dobbiamo puntare al riscatto e alla difesa della famiglia, poiché tutti quanti ne abbiamo diritto.
Vi è poi un modello sociale che, nei paesi sottosviluppati, si manifesta tramite la povertà economica, che spesso porta con sé altri tipi di povertà: affettiva, educativa, etica e morale. Tutto ciò mette a rischio il naturale sviluppo di intere popolazioni, perché le butta sulla strada senza accompagnamento, cioè senza essere attrezzate ad affrontare la vita con successo. Invece, nei paesi più sviluppati le più gravi forme di povertà sono frutto della concorrenza, cioè di un modello sociale che colloca la felicità nell’avere e nel piacere, più che nella capacità di avere cura degli altri.
Da qui nascono forme di violenza interna che a volte esplode, specie nei giovani.
Inoltre, grande responsabilità hanno anche i mezzi di comunicazione di massa, che spesso trasmettono violenza in modo apparentemente inconsapevole: pensate, ad esempio, ai disegni animati, nei quali il buono prevale sul cattivo.
Sono tante, insomma, le cause che contribuiscono alla creazione di una personalità violenta.
“PRESENZA…” – Che rapporto hanno i salesiani con le nuove tecnologie?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Oggi, non è necessario andare negli Stati Uniti o in altri paesi molto sviluppati per vedere come sono aggiornate le nostre scuole, anche dal punto di vista tecnologico; ciò vale anche per paesi di solito considerati appartenenti al terzo mondo, dove si possono trovare nostri centri giovanili ed oratori fortemente avanzati.
Forse, la cosa più importante è di prendere sul serio la educomunicazione, cioè la sintesi tra l’educazione (che ha il compito di favorire lo sviluppo della persona attraverso il trasferimento di valori e di saperi tecnologico-scientifici) e le novità del mondo della comunicazione mediante le nuove tecnologie. I salesiani procedono in questa direzione.
“PRESENZA…” – Gli ultimi numeri del Bollettino salesiano dedicano particolare attenzione ai frequenti gruppi spontanei, spesso estranei alla gerarchia, che nel loro agire si riferiscono comunque allo spirito di don Bosco. Qual è il suo atteggiamento nei loro confronti?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – La famiglia salesiana è un albero, cresciuto dal seme gettato da don Bosco. Inizialmente, comprendeva soltanto tre gruppi: i Salesiani di don Bosco, le Figlie di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori salesiani. Però, il seme si è sviluppato molto, così che ora questo albero comprende bel ventiquattro gruppi, il che vuol dire che ci sono altre congregazioni all’interno della famiglia salesiana stessa; ad esempio, in Colombia, le Figlie dei Sacri Cuori, che curano i figli dei lebbrosi, oppure le Damas. Salesianas, nate proprio per cercare di essere presenti, attraverso il mondo imprenditoriale, nel campo educativo, sempre a favore dei ragazzi più poveri e che si stanno diffondendo in vari luoghi.
Sono dunque diversi i gruppi che non appartengono ancora ufficialmente alla nostra famiglia, perché devono ulteriormente crescere, consolidarsi ed acquisire la propria identità.
Esistono poi tanti altri gruppi con una sensibilità salesiana, senza appartenere ad alcuna nostra associazione, che si possono chiamare tutti amici di don Bosco.
Per essere amici di don Bosco non è necessario essere cattolici. In una mia recente visita in Thailandia, ho verificato che la maggior parte dei nostri allievi è buddista, mentre in altri luoghi è musulmana e in altri ancora scintoista; e non possiamo fare diversamente, perché don Bosco si è sentito chiamato per tutti i giovani.
Ma la cosa più interessante è che questi giovani, senza dover cambiare religione (perché non è necessario diventare cattolici per appartenere ad una scuola salesiana), da noi sviluppano tutti i valori, persino quelli religiosi, che ci spingono all’apertura a Dio e agli altri. Quindi, si sentono identificati con don Bosco e questo è molto bello perché dimostra che don Bosco è una calamita che attira i giovani e gli adulti di tutto il mondo; l’unico punto fondamentale è la sua prospettiva educativa e la scelta in favore dei giovani.
“PRESENZA…” – Sempre su di un recente numero del Bollettino, lei ha scritto che il tempo libero si presenta come una formidabile opportunità per sviluppare le potenzialità della persona: ritiene che i Centri Culturali vadano considerati in questo senso?
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA – Certamente, senza alcun dubbio. Voi sapete che oggi si parla tanto di ecoturismo, riferendosi semplicemente ad un turismo che dovrebbe recuperare il rapporto con la natura, ma esiste anche un turismo molto più indirizzato alla scoperta, all’incontro e all’apprezzamento dei valori culturali.
Questo fa sì che sorgano iniziative tanto variegate, che diventano veramente una miniera educativa, innanzitutto perché scaturite da scelte personali, non da un’educazione formale come quella della scuola, che va frequentata per obbligo per un certo numero di anni.
E’ in tante associazioni spontanee che si sviluppano molti valori, non solo quelli relativi ai rapporti di amicizia o di gruppo, che sono comunque già importanti, ma tanti altri, come ad esempio la cura della natura, la scoperta dei beni culturali e lo sforzo di metterli a disposizione di tutti quanti.
“PRESENZA…” – Don Bosco e papa Giovanni Paolo II: quali accostamenti si possono fare, per concludere, fra questi due giganti, accomunati dalla comune passione per i giovani?
DON PASCUALL CHAVEZ VILLANUEVA – Scrivevo proprio sul Bollettino che la grandezza di Giovanni Paolo II, tra le molte altre cose (trattandosi la sua di una figura gigantesca) è stata quella saper convocare, in maniera da lasciarci addirittura stupiti, il mondo dei giovani: un uomo di oltre ottant’anni e logoro per le numerose malattie, che però continua ad avere una capacità di convocazione unica. Basterebbe, al proposito, ricordare tutte le Giornate Mondiali della Gioventù, come quella del Duemila qui a Roma, con oltre due milioni di giovani di tutto il mondo e non solo tra i più impegnati, che quindi hanno già raggiunto una misura alta di vita cristiana.
E allora, quando mi domando dove sta il segreto di questo papa, io penso che egli si sia ispirato a don Bosco, perché lo conosce molto bene, essendo appartenuto da giovane alla parrocchia salesiana: quando sono andato in visita in Polonia, ho visto dove aveva vissuto e dove si trova la nostra parrocchia.
Come don Bosco, Giovanni Paolo II ha creduto nei giovani. Di solito, la società non crede nei giovani, che sono considerati piuttosto come consumatori. Don Bosco, invece, credeva proprio in essi, non soltanto come un investimento di futuro, ma per tutto quel che significa avere una gioventù davvero consistente, ben formata, impegnata; ha creduto nei giovani, nell’educazione e soprattutto non ha dubitato di poter parlare loro di Dio e di Cristo senza sfumature, cioè così come il Vangelo ci viene presentato.
A volte, abbiamo paura di invitare i ragazzi a cercare una misura alta di vita, perché crediamo che essi non siano capaci di grandi cose e ciò vuol dire davvero sottovalutarli. Don Bosco pensava che potessero essere santi, diceva che è molto facile esserlo, così come Domenico Savio, ma anche come altri che, se pure non hanno raggiunto gli altari, erano veramente bravissimi.
Giovanni Paolo II è molto deciso in questo e nel cercare di proporre Cristo, il Vangelo e una misura alta di vita cristiana; per me, questa sua identità è parte del suo carisma nei confronti dei giovani.
L’intervista è stata realizzata la mattina di sabato 12 aprile 2003
presso la Casa Generalizia di via della Pisana, a Roma
da Nicolò Canziani, Federico Oriani, Francesco Scolari e Marianna Vazzana.
Gli aspetti tecnici dell’incontro sono stati curati da Benedetta Gentile e Stefano Vazzana.