La complementarità dei due criteri doveva evitare la minaccia di fissismo, di sclerosi e di formalismo, e allo stesso
tempo evitare la rottura con le origini.
L’applicazione di questi due criteri, semplici e chiari nell’enunciato, si è però dimostrata abbastanza complessa
nella prassi.
Il cambio epocale, già descritto con acuta percezione prospettica nella Costituzione conciliare Gaudium et spes, si
era presentato con vigore soprattutto in alcune zone occidentali dove opera con numerose presenze il nostro Istituto. Si
affrontava una crescente problematica di novità culturali che influivano fortemente sulla missione specifica dell’Istituto
e anche, almeno in parte, sullo stile di vita religiosa. D’altra parte si notavano già delle spinte in avanti di dubbia
autenticità che potevano far deviare o svuotare un sano processo di rinnovamento.
La novità culturale non poteva essere esclusa e disconosciuta, ma si doveva confrontare con la novità evangelica
inerente a un vero carisma. E questo apriva un orizzonte di lavoro assai vasto e delicato. Fu allora che si formulò la
famosa espressione: «Con Don Bosco e con i tempi, e non con i tempi di Don Bosco!».
L’aver avuto chiara coscienza di questa ineludibile sfida spinse i responsabili dell’Istituto a dare straordinaria
importanza al Capitolo Generale Speciale voluto dalla Sede Apostolica. Ci si è impegnati a prepararlo con una serietà
veramente inedita attraverso la partecipazione di tutte le Province e di tutti i confratelli. Si organizzarono delle équipes
di specialisti per una analisi assai dettagliata dei temi vitali da affrontare e si predispose anche un abbozzo di
rielaborazione delle stesse Costituzioni. Furono redatti con cura un insieme di ben 20 volumetti ad uso dei capitolari. Si
pensava a una grave responsabilità quasi di «rifondazione»: ciò che Don Bosco aveva fatto «personalmente» avrebbe
dovuto essere ripensato e rielaborato, in un certo senso, «comunitariamente», in rapporto alle esigenze del cambio
epocale e in piena fedeltà alle origini.
Ha aiutato molto, insieme agli studi storici, un’analisi seria, anche se sintetica, delle interpellanze dei cambiamenti
culturali (la secolarizzazione, la socializzazione, la personalizzazione, la liberazione, l’inculturazione, l’accelerazione
della storia, la promozione della donna, ecc.).
Mai si era fatto un lavoro così vasto e realista.
I cammini da seguire
La rilettura fondazionale non poteva essere semplicemente uno studio, più o meno scientifico, delle fonti, ma un
discernimento spirituale fatto da discepoli impegnati dal di dentro nella stessa esperienza vocazionale.
È la considerazione di chi sa cogliere l’anima del proprio Istituto, la sua intenzionalità, i suoi dinamismi, il suo
modo di seguire Cristo e di lavorare nella Chiesa, e di amare i giovani nel mondo così come sono. Il ritorno alle fonti
non doveva essere una passeggiata archeologica attraverso documenti antichi, ma la rivisitazione dei momenti di
fondazione e del cuore del Fondatore, nella sua esperienza originale di discepolo del Signore. Doveva essere una
rilettura organica e dinamica che implicasse autocoscienza di comunione con il Fondatore, mediante l’esperienza
collettiva di tutto un Istituto che attraverso il tempo ne ha condiviso lo spirito e la missione. Bisognava saper
armonizzare, con un dosaggio appropriato, sia il momento storico, sia quello teologale, sia quello cairologico.
Per incamminarsi verso una tale rilettura è stato necessario percorrere cammini complementari e interdipendenti,
cercando in ognuno di essi uno specifico apporto. I principali cammini seguiti sono stati:
a. Il cammino storico: il carisma è un’esperienza vissuta e non una teoria astratta. Si è fatto, perciò, uno studio
serio delle fonti che si riferiscono alla persona del Fondatore e alla fondazione stessa: il contesto culturale e sociale e il
suo influsso sul Fondatore; la sua vita e le sue opere; le persone che hanno influito su di lui e con cui ebbe speciali
contatti; gli scritti, ecc.
b. Il cammino esperienziale: nella rilettura fondazionale acquista rilievo e concretezza l’esperienza vissuta dalla
vasta comunità dei discepoli, i valori che questi hanno incarnato a partire dalla consapevolezza e dalla responsabilità
della stessa vocazione. Il cammino di fedeltà costituisce una specie di «sensus fidelium» congregazionale. Se viene a
mancare l’esperienza perseverante e fedele dei seguaci del Fondatore, si rischia
— di essere soggetti a mutazioni continue dell’identità, cercando una modernizzazione forzata del carisma secondo la
moda del tempo, confondendo ciò che è caduco con ciò che è essenziale;
— di spiazzare il Fondatore con il pretesto che i suoi scopi e fini non sono più attuali.
c. Il cammino dei segni dei tempi: il cammino «storico» e quello «esperienziale» permettono di avvicinarsi con
maggior sensibilità e tranquillità anche all’apporto dei segni dei tempi. Come ho già detto, ignorarli sarebbe condannare
il carisma a rimanere rinchiuso — contro natura — in un museo. Se da una parte i segni dei tempi esigono
approfondimenti e adattamenti da parte dell’Istituto, dall’altra permettono una comprensione nuova e di vera attualità
del dono dello Spirito. Aiutano a percepire fino a quali orizzonti il Signore spinge la sua Chiesa e i suoi carismi.
d. Il cammino spirituale: è un cammino che non esclude nessuno degli anteriori, ma che li unifica e li incorpora a
partire da un atteggiamento e un’ottica fondamentali: il discernimento della volontà del Signore, l’obbedienza alle sue
chiamate lungo il divenire della storia. Solo persone «spirituali», che coltivano cioè una speciale docilità allo Spirito,
possono percorrere questo cammino. Esso permette di oltrepassare il contesto socioculturale vissuto dal Fondatore, per