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1. LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
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«Chiamò a sé quelli che Egli volle ed essi andarono da Lui» (Mc 3,13)
NEL 150° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE
DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA
1. “UN GESTO DI GRANDE PORTATA. 1.1 Si partì nel nome della Madonna. 1.2 Giorni di attesa. 1.3 I
ragazzi della ‘cintura nera’. 2. PER I GIOVANI E CON I GIOVANI, DON BOSCO FONDATORE. 2.1
L’evento. 2.2 I nostri giovani ‘padri fondatori’. 2.3 Coinvolgere i giovani di oggi. a) Don Bosco intuì
che per la sua Congregazione la strada giusta era quella della giovinezza. b) Don Bosco non
aveva paura a chiamare i suoi giovani a imprese coraggiose e, umanamente parlando, temerarie.
c) La Compagnia dell’Immacolata, fondata da san Domenico Savio, fu il piccolo campo dove
germinarono i primi semi della fioritura salesiana. 3. CONSACRATI A DIO NEI GIOVANI. 3.1 Figli di
Fondatori CONSACRATI. 3.2 L’insegnamento di Don Bosco ai suoi Salesiani. 4. LE NOSTRE
COSTITUZIONI, LA VIA DELLA FEDELTÀ. 4.1 La prima fotografia voluta da Don Bosco. 4.2 Un
cammino lungo e spinoso. 4.3 Sacralità delle Regole approvate dalla Chiesa. 4.4 Il ritornello
costante di Don Bosco e di don Rua. 4.5 Il rinnovamento delle Costituzioni. 4.6 Le parole del
testamento. 5. DON BOSCO, FONDATORE DI UN VASTO MOVIMENTO DI PERSONE CHE, IN VARI MODI,
OPERANO PER LA SALVEZZA DELLA GIOVENTÙ” (Cost. 5). 5.1 I “figli dell’Oratorio sparsi in tutto il
mondo”. 5.2 La vasta rete della Famiglia Salesiana. 5.3 Ciò che Don Bosco sentì e vide.
CONCLUSIONE.
Roma, 25 marzo 2009
Solennità dell’Annunciazione del Signore
Carissimi confratelli,
in questi tre ultimi mesi, dopo l’ultima lettera che vi ho scritta, ci sono stati eventi
assai significativi per la vita della Congregazione. Oltre i lavori del Consiglio Generale,
nella sessione plenaria dell’inverno 2008-2009, abbiamo avuto la celebrazione del
Congresso Internazionale su “Sistema Preventivo e Diritti Umani”, le Giornate di
Spiritualità della Famiglia Salesiana e, in un ambito più ristretto ma non meno
importante, la mia visita a tre delle Ispettorie del Sud dell’India: Chennai, Tiruchy e
Bangalore.
Attraverso ANS siete stati tempestivamente e ampiamente informati, per cui qui non
faccio nessun altro commento. Sono sicuro inoltre che i partecipanti delle Ispettorie ai
primi due eventi hanno riferito ai confratelli della propria Ispettoria l’esperienza vissuta,
la riflessione fatta, e le proposte ed orientamenti emersi.
Io sono lieto di tornare alla comunicazione con voi e di farlo in questa data
dell’Annunciazione del Signore, che ci mostra che la nostra vita è vocazione. È molto
illuminante constatare come nella Scrittura l'essere e i rapporti costitutivi della persona
vengono definiti dalla sua condizione di creatura, che non rivela inferiorità o dipendenza,
ma l’amore gratuito e creativo da parte di Dio. Ciò si deve al fatto che l’uomo non ha in
sé la ragione della propria esistenza, né della propria realizzazione. La deve a un dono.
È situato in una relazione con Dio da ricambiare. La sua vita non ha senso al di
fuori di tale relazione. L’oltre che percepisce e desidera vagamente è l’assoluto, non un
assoluto estraneo ed astratto, ma la sorgente della sua vita che lo chiama a sé. Tutta la

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storia dell’elezione del popolo di Dio e delle vocazioni singole viene presentata in questa
chiave: l’iniziativa di amore di Dio, la posizione dell’uomo di fronte a Lui, lo snodarsi
dell’esistenza come un invito ed una risposta, come un appello accolto. La categoria di
creatura si ricollega quindi a quella di interlocutore di Dio: «Ecco la serva del Signore, si
compia in me la tua parola», risponde Maria all’Angelo. Il dono della vita contiene un
progetto; questo si va svelando nel dialogo con sé, con la storia, con Dio, ed esige una
risposta personale. Ciò definisce la collocazione dell’uomo rispetto al mondo e a tutti gli
esseri che lo compongono.
Questi non possono colmare i suoi desideri e quindi l’uomo non è ad essi
sottomesso. La cifra di questa struttura della vita è l'alleanza tra Dio e il popolo. Essa è
elezione rinnovata e gratuita da parte di Dio. L’uomo deve prenderne coscienza ed
assumerla come progetto di vita, guidato dalla Parola che lo interpella e lo pone nella
necessità di scegliere.
La vocazione cristiana non è dunque un’aggiunta di lusso, un completamento
estrinseco per la realizzazione dell’uomo. È piuttosto il suo puro e semplice compimento,
l’indispensabile condizione di autenticità e pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più
radicali, quelle di cui è sostanziata la sua stessa struttura creaturale. Allo stesso modo
l’inserirsi nella dinamica del Regno, a cui Gesù invita i discepoli, è l’unica forma di
esistenza che risponde al destino dell’uomo in questo mondo e oltre. La vita si svolge così
interamente come dono, appello e progetto.
Cari confratelli, ho voluto iniziare questa comunicazione con voi prendendo spunto
dalla ricorrenza dell’Annunciazione del Signore, quasi a modo di commento del versetto
del Vangelo di Marco che ho posto nel titolo di questa lettera. Si tratta di un testo che in
appena un versetto, in forma molto schematica, narra la decisione maturata da Gesù di
chiamare un gruppo di uomini per stare con Lui e renderli partecipi della sua stessa
missione a favore dell’umanità.
Nell’episodio, centrale nel racconto di Marco perché è la cronaca della fondazione del
gruppo dei Dodici, Gesù è già missionario del regno di Dio nei villaggi della Galilea; a
differenza della prima chiamata, che fu un invito pressante fatto a due coppie di fratelli
(cf. Mc 1,17.20), questa è un comando schietto, frutto di una decisione personale: Gesù
chiama quelli che vuole e li chiama per essere con lui, sul monte; per andare da lui “e
stare con lui” (Mc 3,14) debbono lasciare la folla che lo seguiva. Il gruppo nasce con
compiti ben precisi: essere con lui per diventare, poi, suoi inviati. I dodici sono, dunque,
tra i primi chiamati quelli che Gesù vuole sempre accanto: convivere con lui è la loro
prima occupazione, poi verrà l’invio. Per l’apostolo la convivenza precede la missione:
solo i compagni di Gesù, i suoi intimi, saranno i suoi rappresentanti. Gesù non usa
compartire la sua missione con chi non ha condiviso la sua vita (cf. At 1,21-22).
Mi sembra che questa sia un’introduzione che aiuti a capire bene il significato e le
prospettive del 150° anniversario della fondazione della Congregazione Salesiana.
“Prima, infatti, della fondazione sanzionata dall’autorità, ci fu la fondazione reale della
sua Società che porta la data del periodo in cui egli gettò le basi del suo minuscolo
Oratorio di S. Francesco di Sales. Non cambiò mai idea su questo punto, sia lui che del
resto i suoi primi collaboratori”.1
Quanto fece Don Bosco chiamando un gruppo dei suoi ragazzi dell’Oratorio di
Valdocco e la risposta che essi diedero è, in realtà, una vera esperienza evangelica, di
forte valenza simbolica e paradigmatica: come Gesù, Don Bosco chiamò alcuni giovanotti
che gli erano vicini per condividere con loro vita, sogni e missione; come Gesù, Don
Bosco trovò i suoi collaboratori tra quelli che gli erano accanto; essere con lui, anche se
ancora tanto giovani, fu il presupposto naturale per venir invitati.
1 F. DESRAMAUT, ‘Don Bosco fondatore’, in M. MIDALI (a cura di), Don Bosco Fondatore della
Famiglia Salesiana. Atti del Simposio (Roma, 22-26 gennaio 1989), p. 125.

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1. “UN GESTO DI GRANDE PORTATA”2
Vorrei tanto, cari confratelli, che questo anno giubilare ci porti a lodare e ringraziare
il Signore che è stato assai buono e generoso con noi, e ci spinga a rinnovare in
profondità la nostra vita e missione rivivendo quanto accadde il 18 dicembre 1859, il
giorno in cui Don Bosco diede origine, nell’intimità della sua camera, a quella che verrà
chiamata la Società di S. Francesco di Sales, attuando un progetto che aveva nel cuore
da tanto tempo,3 dal 1841 – l’anno della sua ordinazione e del suo ingresso al Convitto –
come lui stesso a più riprese scriverà.4 La Congregazione non fu fondata per iniziare
un’opera, ma per mantenerla e svilupparla; e nacque tra quei giovani cui Don Bosco si
dedicava, e con essi.
Abbiamo una bella storia da ricordare e, raccontandola, abbiamo ancora una storia
significativa da rifare.
1.1 Si partì nel nome della Madonna
L’8 dicembre 1859 nell’Oratorio di Don Bosco, a Valdocco, si celebrò con solennità e
gioia la festa di Maria Immacolata. I 184 giovani che vivevano come interni nella Casa di
Don Bosco furono l’anima dei mille giovani dell’oratorio festivo, che affollavano i cortili e i
prati intorno. Avevano cantato, pregato, ricevuto la Comunione durante la Messa di Don
Bosco. Poi, consumata l’abbondante colazione ‘delle feste’, erano sciamati in cento
giochi, si erano radunati a gruppi per il catechismo. Molti erano riusciti a parlare con
Don Bosco del loro lavoro, della famiglia, delle difficoltà, dell’avvenire.
Alla sera, dopo i sonori e sereni canti dell’ ‘arrivederci’, Don Bosco stanco ma
radioso, nella consueta ‘buona notte’ ringraziò la Madonna e tutti della splendida
giornata. Poi diede ai giovani interni della casa e ai loro assistenti-animatori (che
indossavano, come allora si usava, la veste talare dei chierici) un breve annuncio che
fece battere più in fretta il cuore di una ventina di loro. “E Don Bosco in quella sera
annunciava in pubblico come il domani, venerdì, avrebbe tenuta una conferenza speciale
in sua camera, dopo che i giovani si fossero ritirati a riposare. Quelli che dovevano
intervenire intesero l’invito. I preti, i chierici, i laici che cooperavano alle fatiche di Don
Bosco nell’Oratorio e ammessi entro alle segrete cose, presentivano che quella
radunanza doveva essere importante”.5
E la sera del 9, dopo una consueta laboriosa giornata di preghiera-studio-lavoro-
allegria, diciannove giovani persone affollarono la cameretta di Don Bosco. Raccontano la
cronaca di don Lemoyne e il verbale, trascritto dal biografo A. Amadei, che Don Bosco
invocò anzitutto la luce dello Spirito Santo e l’assistenza di Maria SS., poi condensò
quello che aveva esposto a tutti in precedenti conferenze.
Quindi “con visibile commozione annunciò ch’era venuta l’ora di dar forma a quella
Società, che da tanto tempo meditava di fondare e che era stata l’oggetto principale di
tutte le sue cure, che Pio IX aveva incoraggiato e lodato, che esisteva già con la
2 F. DESRAMAUT, Don Bosco en son temps (1815-1888) (Torino: SEI, 1996), p. 571.
3 Già nel 1850 “Don Bosco non perdeva di mira la Congregazione che doveva fondare… Talora
parlava ai giovani del vantaggio della vita comune… Ragionava però sempre indirettamente, non
facendo allusione alla vita religiosa” (MB IV pp. 424-425).
4 “La nostra Società cominciò in realtà nel 1841” (MB X p. 661; cf. MB VIII p. 809). Il suo
‘Riassunto della Pia Società di S. Francesco di Sales, nel 23 febbraio 1874’, inizia così: “Questa
Pia Società conta 33 anni di esistenza”, cf. P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani: L’ “Oratorio”. Una
“Congregazione degli oratori”. Documenti (Roma: LAS, 1988) p. 147.
5 MB VI p. 333. Cf. Documenti VII p. 35.

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osservanza delle regole tradizionali ed alla quale la massima parte dei presenti
apparteneva almeno in ispirito, ed alcuni eziandio per fatta una promessa temporanea.
Quindi era giunto il momento di dichiarare se volevano ascriversi alla Pia Società, che
avrebbe preso, anzi conservato, il nome di San Francesco di Sales”.6
In tale congregazione, che sarebbe stata il sostegno principale dell’Oratorio,
sarebbero stati ascritti solamente coloro che, dopo matura riflessione, avessero
intenzione di consacrarsi a Dio, emettendo a suo tempo i voti di castità, povertà e
obbedienza, per dedicare la vita alla gioventù abbandonata e pericolante. “Perciò alla
prossima conferenza intervenissero solo quelli che intendevano farne parte”.7 L’iniziativa
di Don Bosco, nata dall’urgenza di avere dei collaboratori fidabili, non partiva dal nulla;
era un passo in più di un processo educativo che andava avanti ben da una decina di
anni e che contava, dall’anno precedente, su di un progetto scritto, le prime Costituzioni
Salesiane del 1858.8 Ciò nonostante, aggiunge don Lemoyne, Don Bosco “dava a tutti
una settimana di tempo per riflettere e trattare quell’importante affare con Dio”, e
“l’assemblea si sciolse in profondo silenzio”.9
1.2 Giorni di attesa
I giorni che seguirono furono esternamente pieni di lavoro ordinario, ma nel cuore e
nella mente di quei venti furono anche segnati da una tensione non ordinaria.
Il primo a pregare intensamente e ad attendere fu Don Bosco. Da diversi anni egli
discretamente invitava a rimanere con lui i migliori dei suoi giovani, in cui vedeva chiara
la vocazione di Dio. Molti glielo promettevano; ma poi ci ripensavano. Scrive don
Lemoyne: “Nessuno, ci narrava Don Bosco, potrebbe immaginare le interne ripugnanze,
le antipatie, gli scoraggiamenti, gli adombramenti, le delusioni, le amarezze, le
ingratitudini che afflissero l’Oratorio per circa venti anni. Se i prescelti promettevano di
rimanere in aiuto di Don Bosco, non era che un pretesto per continuare con agio i loro
studi, perché, finiti questi, esponevano mille pretesti per dispensarsi dalla promessa.
Dopo varie prove fallite, in una sola volta si riuscì a mettere la veste talare ad otto
giovani, i quali però ben presto se ne partirono tutti dall’Oratorio. Vi furono poi taluni
che, proprio il giorno della loro ordinazione sacerdotale o la sera della prima Messa,
dichiararono francamente non essere fatta per essi la vita dell’Oratorio; e se ne
andarono”.10
Il canonico e parroco Giacinto Ballesio, allievo di Don Bosco e decimo testimone al
suo processo di beatificazione, depose sotto giuramento: “Egli credeva benissimo di aver
raggiunto il suo scopo vedendo i suoi alunni entrare in Seminario o nel ministero di
parroco… Mostrava grande affezione e soddisfazione del loro stato. Tuttavia non si può
tacere che certi disinganni gli riuscirono molto amari per la defezione di non pochi che
aveva ricolmi de’ suoi beneficii, per i quali erasi assoggettato a speciali spese per iniziarli
al conseguimento di lauree e patenti con patto almeno... Ma poi per conto suo non se ne
lamentava”.11
In modo diverso, ma ugualmente intenso, pregavano e pensavano i diciannove che
dovevano rispondere all’invito di Don Bosco. La ‘Società’ a cui Don Bosco li invitava ad
iscriversi, promettendogli ‘generosa obbedienza’, era una famiglia religiosa, una
‘congregazione’, come quelle che erano state stroncate dalla ‘legge Rattazzi’ solo quattro
anni prima (29 maggio 1855). Dai conventi e dalle case religiose erano stati allontanati
6 A. AMADEI, Un altro Don Bosco. Il servo di Dio Don Rua (Torino: SEI, 1934) p. 73.
7 A. AMADEI, o.c. p. 73.
8 Cf. G. BOSCO, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales (1858-1875). Testi critici a cura
di F. MOTTO (Roma: LAS, 1982).
9 MB VI p. 334.
10 MB V pp. 404-405.
11 MB V p. 406.

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‘frati’ che i giornali, con martellante spietatezza, continuavano a definire ‘mezzi uomini’,
‘sfruttatori della moderna società’, e invitavano a ‘calpestare come pidocchi’. Ora Don
Bosco, per dare un’anima al suo Oratorio, chiedeva a questi giovani di stringersi in una
famiglia religiosa sotto la sua obbedienza, con la prospettiva (col passare del tempo) di
consacrarsi a Dio con i voti di castità, povertà, obbedienza. Alcuni di loro (segretamente
e d’intesa con Don Bosco) già lo facevano da qualche anno.
Erano tutti giovanissimi, e si trattava di giocarsi l’intera vita in un colpo solo: sulla
fiducia in Don Bosco; fino a questo momento erano legati solo da promessa o voto di
stare con Don Bosco per aiutarlo nell’opera degli oratori. Alcuni erano sconcertati. Scrive
don Lemoyne: “Più d’uno disse sottovoce: «Don Bosco ci vuol fare tutti frati!»”.12
Giuseppe Buzzetti (27 anni), il ‘muratorino’ di Caronno, uno dei primissimi ragazzi
di Don Bosco, aveva nell’Oratorio tutto il suo mondo e la sua vita. Don Bosco per lui era
tutto: dietro suo invito aveva addirittura vestito per un anno l’abito clericale, e non gli
sarebbe dispiaciuto diventare prete. Ma ‘frate’ no. Non se la sentiva proprio. (Sarebbe
diventato salesiano solo nel 1877).
Michele Rua (22 anni) non aveva dubbi. Don Bosco aveva espresso un invito. Per lui,
come sempre, era un comando. Tanto che il giorno dopo si recò alla Casa della Missione
per iniziare gli Esercizi Spirituali, ricevendo gli ordini minori (11 dicembre) e il
suddiaconato (17 dicembre).
Giovanni Cagliero (21 anni) di dubbi ne aveva invece tanti. Scrive Lemoyne (e
Cagliero era ben vivo nel 1907, quando Lemoyne pubblicò queste parole): “Passeggiò per
lunga ora sotto i portici agitato da vari pensieri. Finalmente esclamò volgendosi ad un
amico: ‘O frate o non frate, intanto è lo stesso. Son deciso, come lo fui sempre, di non
staccarmi mai da Don Bosco!’ Quindi scriveva un biglietto a Don Bosco col quale
dicevagli rimettersi pienamente ai consigli e alla decisione del suo superiore. E Don
Bosco, incontrandolo, lo guardò sorridendo e poi: ‘Vieni, vieni - gli disse -: questa è la
tua via!”.13
1.3 I ragazzi della ‘cintura nera’
Ma Don Bosco non li chiamava a giocarsi la vita solo sulla sua fiducia. Li chiamava
alla decisione di consacrare la vita a Dio per i ‘giovani abbandonati e pericolanti’ che
senza aiuto si stavano perdendo lì, sotto i loro occhi, e in chissà quanti altri luoghi del
mondo; “ravvisava in loro gli operai qualificati che aveva sognato per l’opera dei suoi
oratori in crescente sviluppo”.14
La città di Torino aveva in quegli anni uno sviluppo tumultuoso. Nella zona nord
della città si stava infittendo una ‘cintura nera’ fatta di catapecchie affollate dagli
immigrati più poveri. Ondate sempre più ingenti di famiglie contadine poverissime e di
giovani soli abbandonavano le campagne e venivano a cercar lavoro e fortuna nella città,
affollandosi nelle stamberghe che nascevano tra gli acquitrini della Dora, dove si
riversavano i liquami della città priva di fognature. Venivano assorbiti dai grandi cantieri
della zona sud, dalle imprese manifatturiere, filande, concerie, fornaci, fabbriche. Però
non tutti i giovani reggevano i ritmi altissimi del lavoro (molti di essi campavano soltanto
18-19 anni). Venivano cacciati per scarso rendimento e finivano nelle strade.
Nell’affannosa e spesso disperata ricerca di sopravvivere si univano in bande di
vagabondi, vivevano rubando dai banchi dei mercati, portavano via le borse alle massaie,
alleggerivano i commercianti dei loro gonfi portafogli, in costante conflitto con i poliziotti
che davano loro la caccia, e appena potevano li ficcavano in prigione.
12 MB VI p. 334
13 MB VI p. 334-335.
14 R. ALBERDI, ‘Don Bosco fondatore dei salesiani’, in M. MIDALI (a cura di), Don Bosco Fondatore
della Famiglia Salesiana. Atti del Simposio (Roma, 22-26 gennaio 1989) p. 171.

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6
Per portare un aiuto concreto a questi giovani (e alle ragazze, e alle persone più
deboli) in quella ‘cintura nera’ si erano piantate a ventaglio quattro grandi persone
cristiane: don Giovanni Cocchi, il canonico Giuseppe Cottolengo, la marchesa Giulia
Barolo, Don Bosco.15
L’Oratorio del poverissimo Don Bosco, cominciato tredici anni prima da una tettoia,
aveva dato vita a scuole serali, laboratori, una casa per giovani lavoratori e studenti. In
quel 1859 la casa ospitava 184 giovani poverissimi, nell’anno seguente ne avrebbe
ospitati 355.16 Alla domenica l’Oratorio dava vita cristiana, allegria, istruzione e amicizia
con Don Bosco a più di mille giovani. Era per aiutare quei giovani concreti, vocianti,
disorientati nella vita, affamati di pane e di Dio, che Don Bosco chiamava a ‘dar vita alla
Società di San Francesco di Sales’.
2. PER I GIOVANI E CON I GIOVANI, DON BOSCO FONDATORE
“Don Bosco non ha potuto o non ha voluto, in vista di un’eventuale società religiosa,
aggregare un nucleo significativo di collaboratori adulti, scegliendoli tra quelli che già
lavoravano nei tre oratori”.17 Si rese conto che più efficace che avere un gruppo di
volontari che oggi ci sono e domani non ci sono più, era fondare una Società stabile di
consacrati per sempre a Dio, per servirlo in quei giovani in grave difficoltà. E per riuscire
pensò, in ultima istanza, ai suoi giovani, quelli cioè che, “chi più chi meno, avevano
trascorso quegli ultimi anni all’Oratorio con Don Bosco”.18
2.1 L’evento
Il 18 dicembre di quel 1859 era domenica. Don Bosco chiuse la laboriosa giornata
festiva vissuta tra un migliaio di giovani, come nella festa dell’Immacolata e in ogni
domenica. Poi chiamò in conferenza quelli che avevano deciso di far parte della Pia
Società di San Francesco di Sales.
Erano le 21, dopo le preghiere della sera. L’appuntamento era nella camera di Don
Bosco. In pochi minuti furono presenti in diciotto con Don Bosco. Due soltanto non
erano venuti. I radunati attorno a Don Bosco erano diciassette: un sacerdote (47 anni),
un diacono (24 anni), un suddiacono (22 anni), tredici chierici (da 21 a 15 anni), uno
studente giovanissimo.
Il rigoroso verbale, firmato da don Alasonatti e con la firma apposta da Don Bosco, 19
“è un documento d’incantevole semplicità, che contiene il primo atto ufficiale della
Società Salesiana”20; si legge in esso:
15 Una breve ed utile descrizione della situazione di Torino negli anni 1840 si può trovare in A. J.
LENTI, Don Bosco. History and Spirit. II: Birth and Early Development of Don Bosco’s Oratory.
Edited by A. GIRAUDO (Roma: LAS, 2007) p. 6-26.
16 Cf. P. STELLA, Don Bosco nella Storia economica e sociale (1815-1879) (Roma: LAS, 1980) p. 175.
17 P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo delle libertà. Vol. I (Roma: LAS, 2003) p. 439.
18 P. STELLA, Ivi p. 295.
19 Cf. J. G. GONZÁLEZ, ‘Acta de fundación de la Sociedad de S. Francisco de Sales. 18 Diciembre de
1859’, RSS 52 (2008) pp. 335-336.
20 E. CERIA, Annali della Società Salesiana, dalle origini alla morte di S. Giovanni Bosco (1841-1888)
(Torino: SEI, 1961) p. 33.

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7
(Eravamo radunati) tutti allo scopo ed in uno spirito di promuovere e conservare
lo spirito di vera carità che richiedesi nell’opera degli Oratori per la gioventù
abbandonata e pericolante, la quale in questi calamitosi tempi viene in mille
maniere sedotta a danno della società e precipitata nell’empietà ed irreligione.
“Piacque pertanto ai medesimi Congregati di erigersi in Società o Congregazione,
che avendo di mira il vicendevole aiuto per la santificazione propria si proponesse
di promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime, specialmente delle più
bisognose d’istruzione e di educazione | ed approvato di comune consenso il
disegno proposto, fatta breve preghiera ed invocato il lume dello Spirito Santo,
procedevano alla elezione dei Membri che dovevano costituire la direzione della
società per questa e per nuove Congregazioni, se a Dio piacerà favorirne
l’incremento.
“Pregarono pertanto unanimi Lui (Don Bosco) iniziatore e promotore a gradire la
carica di Superiore Maggiore, siccome del tutto a lui conveniente, il quale
avendola accettata colla riserva della facoltà di nominarsi il prefetto (Vicario e
Amministratore), poiché nessuno vi si oppose, pronunziò che gli pareva non
dovesse muovere dall’ufficio di prefetto lo scrivente (Don Alasonatti), il quale finquì
teneva tal carica nella casa.
“Si pensò quindi tosto al modo di elezione gli altri Socii che concorrono alla
Direzione, e si convenne di adottare la votazione a suffragi secreti, per più breve
via a costituire il Consiglio, il quale doveva essere composto di un Direttore
Spirituale, dell’Economo e di tre Consiglieri in compagnia dei due predescritti
uffiziali (il Superiore Maggiore e il Prefetto)
“[…] nella elezione del Direttore Spirituale (risultò) all’unanimità la scelta nel
Chierico Suddiacono Rua Michele, che non se ne ricusava. Il che ripetutosi per
l’Economo, riuscì e fu riconosciuto il Diacono Angelo Savio, il quale promise
altresì di assumersene il relativo impegno.
“Restavano ancora da eleggere i tre consiglieri; pel primo dei quali fattasi al solito
la votazione venne (eletto) il cherico (sic) Cagliero Giovanni. Il secondo consigliere
sortì il chierico Gio. Bonetti. Pel terzo ed ultimo, essendo riusciti eguali i suffragi a
favore dei chierici Ghivarello Carlo e Provera Francesco, fattasi altra votazione, la
maggioranza risultò pel chierico Ghivarello, e così fu definitivamente costituito il
corpo di amministrazione per la nostra Società (che poi fu denominato ‘Capitolo
Superiore’).
“Il quale fatto, come venne finquì complessivamente esposto, fu letto in piena
Congrega di tutti i prelodati soci ed ufficiali per ora nominati, i quali
riconosciutane la veridicità, concordi fermarono che se ne conservasse l’originale,
a cui sottoscrive il Superiore Maggiore e come Segretario
Sac. Bosco Gio.
Alasonatti Vittorio Sac. Prefetto.”
2.2 I nostri giovani ‘padri fondatori’
Così nacque la Congregazione Salesiana. Così siamo nati noi. Quei diciotto sono i
nostri ‘padri fondatori’, la maggioranza giovanissimi; tranne don Alasonatti, di 47 anni, e
Don Bosco, di 44 anni; don Rua, direttore spirituale, aveva 22 anni; don Savio,
l’economo, 24; i consiglieri, ancora chierici, tutti pure ventenni.

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Mi pare conveniente almeno tracciarne i lineamenti per conservarli nella mente e nel
cuore come nostri con-fondatori insieme a Don Bosco. Essi sono parte della vita di Don
Bosco e della storia della Congregazione, dunque, della nostra storia.
Vittorio Alasonatti, 47 anni.
L’unico ad avere più anni di Don Bosco. Sacerdote amabile e rigido insieme, era
stato per 19 anni maestro tra i bambini delle elementari di Avigliana, dove era nato il 15
novembre 1812. Scherzando e punzecchiandolo (erano stati compagni al Convitto
Ecclesiatico), Don Bosco lo persuase a venire all’Oratorio ad ‘aiutarlo a dire il Breviario’
tra i duecento ragazzi della Casa e i mille dell’Oratorio (‘Altro che la tua scuoletta!’
scherzava Don Bosco). Arrivò alla vigilia dell’Assunta del 1854, chiedendo sempre
scherzando a Don Bosco: “Dove devo mettermi a dire il Breviario?” Don Bosco scaricò
sulle sue spalle tutta l’amministrazione della sua opera, fino allora portata avanti da
Giuseppe Buzzetti e da Mamma Margherita (ormai sfinita: morirà due anni dopo). Nel
1855, dopo Michele Rua, fu il primo a fare i voti religiosi privati nelle mani di Don Bosco.
Professò come salesiano il 14 maggio 1862. Lavorò incessantemente e silenziosamente
per Don Bosco e la Società Salesiana, come il suo primo Prefetto, fino alla morte, che
arrivò a Lanzo nel il 7 ottobre 1865, quando aveva 53 anni.
Michele Rua, 22 anni.
Nato a Torino il 9 giugno 1837 in una famiglia operaia, rimase orfano di padre a otto
anni. Rimase incantato da Don Bosco mentre frequentava le prime scuole dai Fratelli
delle Scuole Cristiane. Depose sotto giuramento: “Mi ricordo che quando Don Bosco
veniva a dirci la santa Messa […], pareva che una corrente elettrica muovesse tutti que’
numerosi fanciulli. Saltavano in piedi, uscivano dai loro posti, si stringevano attorno a
lui […] Ci voleva un gran tempo perché egli potesse giungere in sagrestia. In quei
momenti i buoni Fratelli delle Scuole Cristiane non potevano impedire quell’apparente
disordine e ci lasciavano fare. Venendo altri sacerdoti, anche pii ed autorevoli, nulla si
vedeva di tale trasporto… Il mistero dell’attaccamento che avevano a D. Bosco consisteva
nell’affetto operoso, spirituale, che sentivano portar egli alle loro anime”.21 A volte Don
Bosco dava a tutti una medaglietta. Giunto il turno di Michele, Don Bosco fa un gesto
strano: gli porge la mano destra, fa finta di tagliarla con la sinistra, e intanto gli dice:
“Prendi, Michelino, prendi”. Michele non capisce, ma Don Bosco gli spiega: “Noi due
faremo tutto a metà”. Entra nell’Oratorio il 25 settembre 1852 e veste l’abito clericale ai
Becchi il 3 ottobre 1852; diventa veramente la mano destra di Don Bosco: partecipa il 26
gennaio 1854 al raduno dove un gruppo stretto di collaboratori riceve il nome di
‘Salesiani’. Il 25 marzo 1855 (all’età di 18 anni) diventa il primo Salesiano pronunciando
i voti privati nella mani di Don Bosco. Studente di teologia, aiuta Don Bosco nell’Oratorio
di san Luigi; nel 1858 lo accompagna a Roma a incontrare il Papa, al quale Don Bosco
presenta la sua Congregazione. Ancora suddiacono, viene eletto Direttore Spirituale della
Società appena nata. Ordinato sacerdote il 29 luglio 1860, emette la professione
perpetua il 15 novembre 1865. A 26 anni (1863), ottenuto il diploma di professore di
ginnasio, viene inviato da Don Bosco a dirigere la prima casa salesiana fuori Torino, a
Mirabello Monferrato. Tornato a Torino nel 1865 è ‘il secondo Don Bosco’ nell’Opera
Salesiana che si estende sempre più. Don Bosco dirà un giorno: “Se Dio mi avesse detto:
‘Immagina un giovane adorno di tutte le virtù e abilità maggiori che tu potresti
desiderare, chiedimelo e io te lo darò’, io non mi sarei mai immaginato un don Rua”.22
Nominato da Leone XIII vicario di Don Bosco nel 1884, ne diviene il primo Successore
alla morte del Fondatore, e passa la vita a viaggiare per tenere unita e fedele la grande
famiglia di Don Bosco, che sta letteralmente esplodendo in ogni parte del mondo.
Ricevette 64 case salesiane, alla morte di Don Bosco; 22 anni dopo, alla sua morte, le
21 MB II p. 316.
22 MB IV p. 488.

1.9 Page 9

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9
fondazioni erano salite a 341. Nel 1910, l’anno della sua morte, apparve la sua prima
biografia, scritta da Eliseo Battaglia; il titolo, azzeccato, lo definisce bene: “Un sovrano
della bontà”.
Angelo Savio, 24 anni.
Compaesano di Don Bosco, arrivò all’Oratorio a 15 anni, il 4 novembre 1850. Aveva
già conosciuto il santino Domenico Savio (più giovane di lui di alcuni anni) poiché
abitavano in paesi vicinissimi. Ricordava: “Nelle vacanze io mi trovavo a casa non troppo
in salute; egli veniva a consolarmi colle sue belle maniere e dolci parole. Alle volte per
mano conduceva seco due suoi fratellini. Prima della sua ultima partenza dall’Oratorio
(1857) venne a darmi l’ultimo abbraccio”. Eletto per la prima volta nel 1859 Economo
Generale, ancora diacono, fu rieletto nel 1869, l’anno della sua professione perpetua, e
successivamente nel 1873. Da quel momento Don Bosco lo incaricò delle case in
costruzione sulla costa ligure e sulla costa azzurra: Alassio, Vallecrosia, Marsiglia. Poi lo
mandò a Roma a dirigere i lavori di costruzione del Tempio e dell’Opera del Sacro Cuore.
A 50 anni (1885) chiese a Don Bosco di smetterla con muri e denari, e partì missionario
per la Patagonia, che percorse in lunghi viaggi apostolici. Infaticabile e zelante, fondò
opere salesiane in Cile, in Perú, nel Paraguay e in Brasile. Morì il 17 maggio 1893
mentre effettuava un viaggio di esplorazione in Ecuador, dov’era stata affidata una nuova
Missione ai Salesiani. Nel sogno della ruota (4 maggio 1861) Don Bosco lo aveva visto in
regioni remote. I suoi collaboratori lo ricordavano come un consacrato di profonda
preghiera.
Giovanni Cagliero, 21 anni.
Nato l’11 gennaio 1838, era compaesano di Don Bosco, che conobbe facendogli da
chierichetto nella chiesa parrocchiale di Castelnuovo d’Asti. Orfano di padre, Don Bosco
vide in lui un giovane puro come il cristallo, intelligente e geniale. Incontrando sua
madre, Don Bosco le chiese scherzando se gli ‘vendeva’ suo figlio. Si sentì rispondere,
ugualmente scherzando, che i figli non si vendono, ma si ‘regalano’. Giovanni
accompagnò Don Bosco a piedi da Castelnuovo a Torino correndo, gridando e saltando, e
rovesciando su Don Bosco tutti i suoi pensieri, ricordi, aspirazioni. “Da quel momento
non ebbi più nessun segreto per lui”. Mamma Margherita, quando Don Bosco glielo
accompagnò, si lamentò che non c’era più posto. “Ma lui è così piccolo – rise Don Bosco
– Lo metteremo nel canestro dei grissini e lo tireremo su verso il soffitto”. Risero tutti e
tre. Cominciò così, nel 1851, la vita salesiana formidabile del Cagliero. Uno tra i quattro
primi ad aderire all’idea di Don Bosco di fondare una Società, fa la professione nel 1862,
l’anno stesso in cui è ordinato sacerdote. Professore laureato di teologia, compositore
insuperabile di musica, primo missionario di Don Bosco, fu il primo Vescovo e Cardinale
salesiano. Rua e Cagliero furono le due colonne su cui Don Bosco poggiò la sua grande
opera. Don Bosco aveva ‘visto’ il suo luminoso avvenire quando stava per morire durante
il colera del 1854. Stava per dargli l’Eucarestia come Viatico, quando vide la stanza
inondata di luce, una colomba scendere su di lui, e una corona di indios circondare il
suo letto. Allora portò via deciso l’Eucarestia dicendogli: “Tu non morirai, e andrai
lontano lontano…”. Morì a Roma il 28 febbraio 1926: sepolto al Campo Verano, la sua
salma fu trasferita, nel 1964, in Argentina, e riposa nella cattedrale di Viedma.
Giovanni Bonetti, 21 anni.
Arrivò all’Oratorio nel 1855 da Caramagna, piccolo paese in provincia di Cuneo.
Aveva 17 anni. Fu subito amico di Domenico Savio, più giovane di lui di quattro anni.
Don Bosco lo mandò, insieme a Rua, Cagliero, Savio e altri, alla scuola dal prof.
Bonzanino. Bisognava percorrere ogni mattina via Garibaldi. Ricordava di averla
percorsa insieme a Domenico in un inverno rigidissimo, tra il turbinare della neve.
Emise la prima professione il 14 maggio 1862 e tre anni dopo la professione perpetua. Si

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10
laureò alla Regia Università di Torino. Divenne sacerdote a 26 anni. Vedendo la sua virtù
e la sua capacità brillante di pubblicista, Don Bosco ne fece il primo direttore del
Bollettino Salesiano, iniziato nel 1877. Nelle pagine del Bollettino don Bonetti pubblicò
per la prima volta a puntate la ‘Storia dell’Oratorio di Don Bosco’, attingendo al
manoscritto (allora segreto) delle Memorie di Don Bosco. Quelle puntate (insieme alle
lettere ‘dalla frontiera’ dei missionari) resero il Bollettino popolarissimo. Don Bosco però
nel 1875/76 aveva lasciato incompiute le Memorie. Don Bonetti con insistenza lo
sollecitò. Dobbiamo a quella sua insistenza se Don Bosco (nonostante gli impegni
giganteschi che lo assorbivano) riprese la penna e continuò a scrivere. Le ‘puntate’ del
Bollettino furono poi da lui raccolte e completate. Ne uscì il libro intitolato Cinque lustri di
storia dell’Oratorio S. Francesco di Sales: prima biografia documentata di Don Bosco,
ricercatissima. Quando il Cagliero fu fatto Vescovo, nel 1886 don Bonetti fu eletto suo
successore: ‘Direttore Spirituale’ dei Salesiani e ‘Direttore generale’ delle FMA. Morì a soli
53 anni il 5 giugno 1891. Don Rua scrisse di lui: “Operaio apostolico indefesso,
campione valoroso nel promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime, consigliere
amorevole per conforto e per consiglio”.
Carlo Ghivarello, 24 anni.
Aveva già 20 anni quando a Pino Torinese incontrò Don Bosco e decise di entrare nel
suo Oratorio (1855). Conobbe e fu amico di Domenico Savio per un intero anno. Fece la
prima professione nel 1862. Nel giorno della sua ordinazione sacerdotale Don Bosco, nel
1864, gli disse: “Tu avrai da confessare molto nella tua vita”. Infatti, anche se fu
ammirato da tutti come lavoratore, costruttore, coltivatore, fu nel sacramento della
penitenza (al quale dedicava ore ogni giorno) che ebbe il campo dove effondere, insieme
alla grazia divina, tutta la sua fede e la sua bontà paterna. Segretario e Consigliere
Generale, nel 1876 fu nominato Economo Generale. Fu lui a costruire la piccola galleria
e la cappelletta accanto alla camera di Don Bosco. Quattro anni dopo, nel 1880, Don
Bosco lo mandò a dirigere l’orfanotrofio di Saint-Cyr in Francia. Di qui passò a Mathi,
dove fece costruire i primi edifici della cartiera. Passò gli ultimi 25 anni a San Benigno
Canavese, dove diede vita al grande laboratorio di meccanica. A San Benigno (come
dovunque era stato) portò entusiasmo per l’agricoltura e la frutticoltura; morì il 28
febbraio 1913. Don Albera, secondo successore di Don Bosco, scrisse di lui: “La sua
straordinaria attività ebbe alimento e sostegno dal suo spirito di fede”.
Giovanni Battista Francesia, 21 anni.
Nato a San Giorgio Canavese il 3 ottobre 1838, emigrò a Torino coi genitori in cerca
di lavoro. Mentre a 12 anni già lavorava in una fabbrica in condizioni orribili, incontrò
Don Bosco nel suo Oratorio festivo. Due anni dopo, nel 1852, Don Bosco lo accolse nella
sua Casa, e Battistìn, come tutti lo chiamavano, cominciò a studiare per diventare
sacerdote. Unito per sempre e senza dubbi a Don Bosco, fu il primo salesiano laureato in
lettere (“Mentre molti, presa la laurea, lasciavano Don Bosco, io rimasi!”). Fu
giovanissimo professore di Domenico Savio, in una classe affollata da 70 alunni (il
numero normale di quel tempo). Ebbe facilità nello scrivere in prosa e in poesia. Fece la
prima professione nel 1862 e fu ordinato prete l’anno seguente. Dal 1878 al 1902 fu
Ispettore. Don Bosco gli affidò la revisione delle Letture Cattoliche e le Collane dei
Classici latini e italiani. Dopo aver rivisto e pubblicato l’opera di don Bonetti (che era
mancato all’improvviso) Cinque lustri di storia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales
(1892), scrisse egli stesso la Vita popolare di Don Bosco (1902), di ben 414 pagine, che
ebbe moltissime edizioni e traduzioni. Preziose per la storia della Congregazione sono
anche le tante brevi biografie dei primi Salesiani defunti. Visse accanto a Don Bosco per
38 anni. Le sue parole e i suoi numerosissimi scritti furono una continua narrazione di
ricordi piccoli e grandi di Don Bosco. Visse fino a 92 anni; morì a Torino il 17 gennaio

2 Pages 11-20

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11
1930. Parecchie volte nei suoi sogni Don Bosco lo vide come vegliardo dai capelli bianchi,
ultimo superstite della prima generazione.
Francesco Provera, 23 anni.
Nato a Mirabello Monferrato il 4 dicembre 1836, conobbe tardi Don Bosco. A 22 anni
(dopo aver fatto il commerciante con il padre) si presentò a Don Bosco perché ‘da sempre
voleva diventare prete’. Don Bosco gli rispose a bruciapelo: “Quelli che vogliono venire da
me devono lasciarsi cuocere”. Francesco un poco si spaventò. E Don Bosco: “Significa
che devi lasciarmi padrone assoluto del tuo cuore”. “Ma io non cerco altro. Sono venuto
proprio per questo”. Mentre studiava da chierico, nell’Oratorio festivo esercitò un
apostolato così intelligente che Don Bosco diceva ai suoi chierici: “Imparate da lui. È un
grande cacciatore di anime”. Mentre studiava la seconda ‘filosofia’, Don Bosco lo fece
insegnante della prima ginnasiale, con centocinquanta alunni! Emise i voti religiosi nel
1862. L’anno dopo, ancora chierico, andò con don Rua a fondare la prima casa salesiana
fuori Torino, al suo paese natale, Mirabello Monferrato. Fu prefetto (cioè amministratore)
così competente, che l’anno dopo Don Bosco lo mandò nel collegio di Lanzo, dove
occorreva un amministratore molto abile. In quell’anno, il 25 dicembre 1864, divenne
sacerdote. Don Bosco, negli anni seguenti, lo considerò prefetto perpetuo’, inviandolo in
ogni casa di nuova fondazione che richiedesse un economo esperto per avviarsi bene. Poi
Don Bosco lo richiamò a Torino, centro ormai di iniziative sempre più onerose. Don
Provera abbinò la sua opera di amministratore a un intenso apostolato sacerdotale:
diventò insegnante di filosofia dei chierici, di cui si sforzò di formare le menti. Era molto
apprezzato per la grande chiarezza delle idee e la facilità di parola. Pochi sapevano che
faceva l’economo e il professore mentre offriva a Dio per i suoi chierici una silenziosa e
dolorosissima passione: dal 1866 un’ulcera inguaribile ad un piede lo consumava. Morì
nel 1874 a soli 38 anni. Don Bosco disse: “La nostra Società perde uno dei migliori suoi
soci”.
Giuseppe Lazzero, 22 anni.
Giunse all’Oratorio ventenne da Pino Torinese insieme al compaesano Carlo
Ghivarello (1857). Voleva diventare prete, e Don Bosco, constatata la buona stoffa, lo
mise a studiare latino accanto a un ragazzo vivacissimo di Carmagnola, Michele Magone.
Michele aveva otto anni meno di lui, ma divennero subito amici. Decise di rimanere per
sempre con Don Bosco, e a 28 ani fu ordinato prete il 10 giugno 1865. Quando morì don
Provera, Don Bosco lo chiamò a sostituirlo come Consigliere nel Capitolo Superiore,
incarico che mantenne fino al 1898. Quando don Rua a Valdocco divenne ‘il secondo
Don Bosco’, don Lazzero fu nominato Direttore della Casa dell’Oratorio. Quando poi i
giovani interni divennero 800, e un direttore solo non bastava, Don Bosco affidò a don
Francesia la direzione degli studenti, e a don Lazzero quella degli artigiani. Anche nel
Capitolo Superiore divenne il ‘Consigliere Professionale’. Nel 1885 Don Bosco gli affidò il
delicatissimo compito delle ‘relazioni e corrispondenza’ con i missionari, che
moltiplicavano le opere nelle Americhe. Nel 1897 (all’età di 60 anni), stroncato
dall’immane lavoro, ebbe un crollo da cui non si riprese più. Visse gli ultimi 13 anni
(appartato nella casa di Mathi) nella pazienza, nella preghiera e nella conformità al volere
di Dio. Morì il 7 marzo 1910.
Francesco Cerruti, 15 anni.
Orfano di padre, affezionatissimo alla madre, fu accolto da Don Bosco nel 1856.
Arrivando in novembre da Saluggia (Vercelli), si sentì smarrito e divorato dalla nostalgia.
Ma incontrò Domenico Savio, che aveva due anni più di lui, gli si affezionò e la vita gli
tornò a sorridere. Domenico morì appena cinque mesi dopo, lasciandolo in lacrime.
Francesco (la cui santità Don Bosco metteva sullo stesso piano di quella di Domenico) fu
tra i primi quattro salesiani mandati da Don Bosco a frequentare l’Università di Torino,

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12
dove dimostrò ingegno vivace e profondo. Quando una polmonite trascurata sembrava
doverselo portare via nel 1865 (come egli testimoniò sotto giuramento), Don Bosco gli
garantì che sarebbe vissuto e avrebbe ancora lavorato a lungo. Per ordine di Don Bosco
compose giovanissimo un Dizionario Italiano che ebbe molto successo nelle scuole, poi
una Storia della letteratura italiana e una Storia della pedagogia. A 26 anni fu mandato
da Don Bosco ad aprire e dirigere la grande opera di Alassio (Savona). Quando ebbe 41
anni, nel 1885, Don Bosco lo volle accanto a sé e lo fece Direttore generale delle scuole
salesiane e della stampa salesiana. Con mano ferma e sicura aiutò Don Bosco ad
organizzare la giovanissima Congregazione. Lavorò efficacemente per conservare l’unità
didattica e morale delle scuole salesiane, dando ogni anno norme educativo-didattiche.
Mentre agiva, scriveva. Fissò in libri che si diffusero rapidamente la pedagogia di Don
Bosco, da Elementi di pedagogia (1897) a Il problema morale dell’educazione (1916). Di lui
Don Bosco disse: “Di don Cerruti, Dio ce n’ha dato uno solo, purtroppo”. Morì ad Alassio
il 25 marzo 1917.
Celestino Durando, 19 anni.
Arrivò all’Oratorio da Farigliano di Mondovì (Cuneo) nel 1856, sedicenne. Fin dalla
prima sera si incontrò con Domenico Savio che, come gli altri soci della Compagnia
dell’Immacolata, avvicinava i nuovi arrivati per aiutarli a vincere il primo
disorientamento. I due s’intesero subito. Fu una vera grazia di Dio, della quale Celestino
non finì mai di essere riconoscente al Signore. Un anno dopo ricevette l’abito clericale
dalle mani di Don Bosco, ed entrò subito nella vita attiva della Casa. Professo nel 1862,
fu ordinato sacerdote due anni dopo. Studiava per sé e insegnava. Don Bosco, cui si era
donato interamente, gli affidò subito (1858) la prima ginnasiale con 96 alunni, e lo
incoraggiò a scrivere i libri necessari per i suoi scolari. E Durando scrisse manuali molto
semplici, ma adattissimi alle capacità dei suoi alunni che venivano dalla campagna o
dalle fabbriche. Diffusissimi furono la sua Grammatica Latina e i suoi Precetti elementari
di letteratura. Il suo lavoro più impegnativo fu il Vocabolario latino-italiano e italiano-
latino di 936 pagine, che terminò (sempre continuando ad insegnare e a fare il sacerdote)
quando aveva 35 anni. Don Bosco fu così contento di quest’opera, che nel 1876
(Durando aveva 36 anni) volle condurre l’autore a farne omaggio al papa Pio IX.
Consigliere nel Capitolo Superiore fin dal 1865, don Durando ebbe l’incarico permanente
delle pratiche per l’apertura di nuove Case salesiane. Le frequenti domande di
fondazione che giungevano a Don Bosco, e in seguito a don Rua, venivano girate a lui
per la prima risposta, le trattative, le pratiche necessarie. Tra libri di latino e aride
pratiche, don Durando fu sempre prete. Faceva da cappellano alla Generala, la casa dove
venivano rinchiusi i giovani corrigendi, che gli erano molto affezionati. E passava lunghe
ore in confessionale, nella Basilica di Maria Ausiliatrice e in altri Istituti della città di
Torino. Alla sua morte, il 27 marzo 1907, don Rua disse di lui: “Senza far rumore, compì
una vita ripiena di opere buone. Lasciò, ovunque passò, le tracce del suo spirito
veramente sacerdotale e salesiano”.
Giuseppe Bongiovanni, 23 anni.
Nato a Torino il 15 dicembre 1836. Quando Don Bosco pubblicò la 5a edizione della
Vita di Domenico Savio (1878), aggiunse una pagina con un rapido profilo di Giuseppe
Bongiovanni. Ecco quanto scrive Don Bosco:
“Uno fra quelli che più efficacemente aiutarono Savio Domenico nell’istituire la
Compagnia dell’Immacolata Concezione e compilarne il regolamento fu
Bongiovanni Giuseppe. Questi, rimasto orfano di padre e di madre, era stato
raccomandato da una zia al Direttore dell’Oratorio (Don Bosco), che
caritatevolmente lo accolse nel Novembre del 1854. Trovavasi allora all’età di 17
anni, e a malincuore forzato dalle circostanze egli venne, ma ancora colla mente
piena delle vanità del mondo e con varii pregiudizi in fatto di religione… In breve si

2.3 Page 13

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13
affezionò grandemente alla casa e ai superiori; rettificò insensibilmente le sue idee
e diedesi con tutto ardore all’acquisto della virtù ed alle pratiche di pietà. Dotato
com’era d’ingegno molto perspicace e di grande facilità ad imparare, venne
applicato allo studio… Fornito di fervida immaginazione spiegò una grande abilità
nel poetare sia nell’italiana favella, sia in dialetto; e mentre nelle famigliari
conversazioni serviva di diletto agli amici coll’improvvisare su argomenti
scherzevoli, scriveva al tavolino bellissime poesie di cui molte furon pubblicate…
Avviatosi alla carriera ecclesiastica, sempre si segnalò durante il chiericato per la
sua pietà e fedele osservanza delle regole e zelo pel bene de’ suoi compagni. Fatto
sacerdote nel 1863, non è a dire con quale ardore siasi dato all’esercizio del sacro
ministero… Dopo aver aiutato Savio Domenico, con cui era unito in santa
amicizia, ad istituire la Compagnia dell’Immacolata, essendo allora solamente
chierico, fondò col permesso del Superiore un’altra compagnia ad onore del SS.
Sacramento, che aveva per iscopo di promuoverne il culto fra la gioventù e di
addestrare gli allievi più noti in virtù al servizio delle sacre funzioni, formando così
un piccolo clero ad accrescerne la maestà e la grazia. E ben si può dire che se la
Congregazione di S. Francesco di Sales poté già dare alla Chiesa un bel numero di
ministri degli altari, in gran parte si deve alle sante premure del Sac. Bongiovanni
intorno al Piccolo Clero. Nel 1868, avvicinandosi l’epoca della consacrazione della
Chiesa eretta a Valdocco ad onore di Maria Ausiliatrice, Don Bongiovanni
s’adoperò con tutto l’impegno per disporre le cose necessarie a tale funzione e
specialmente nel preparare il Piccolo Clero… Nulla risparmiò di sollecitudini, di
fatiche e sudori, particolarmente nella vigilia che fu agli 8 Giugno di tale anno…
Egli che si era tanto adoperato per la buona riuscita delle feste, ai 9 di Giugno,
giorno della consacrazione, trovossi infermo, in modo da non potersi alzare dal
letto. Esso desideroso di poter almeno una volta celebrare i divini misteri nella
nuova chiesa, supplicò la SS. Vergine con calde istanze ad ottenergliene la grazia.
Fu esaudito. Nella domenica fra l’ottava… poté celebrare la santa Messa con
immensa consolazione del suo cuore. Dopo la messa disse a qualcuno de’ suoi
amici che era tanto contento che ben poteva intonare il Nunc dimittis. E così fu”.23
Tornò a letto, e il mercoledì seguente, il 17 giugno 1868, circondato da una corona
di amici, morì nel nome del Signore. Aveva solo 32 anni.
Cinque ci ripensano
Nel gruppo del 18 dicembre 1858 ci sono altri cinque nomi: Giovanni Anfossi,
Marcellino Luigi, Secondo Pettiva, Antonio Rovetto, Luigi Chiapale. Anch’essi, “si
ascrissero alla Pia Società dopo matura riflessione”. Ma le vicende della vita e i successivi
ripensamenti finirono per portarli, chi prima chi dopo, lontano dalla Pia Società
Salesiana. Do alcuni lineamenti anche di questi cinque, perché anch’essi furono tra i
primi a credere nel sogno di Don Bosco.
Giovanni Anfossi, 19 anni.
Nato a Vigone, Torino, aveva l’età di Domenico Savio, e fu suo compagno e amico
intimo per tutto il tempo che Domenico trascorse all’Oratorio. Camminava ogni mattina
insieme con lui e con Rua, Cagliero, Bonetti verso la scuola del prof. Bonzanino. Dopo
essere stato ‘ascritto’ alla Pia Società Salesiana, fece il noviziato ed emise i regolari voti
triennali. Ma poi preferì continuare gli studi in Seminario; lasciò la Congregazione nel
1864, due anni dopo aver fatto la prima professione temporanea. Fu sacerdote
eccellente, canonico, professore e monsignore. Frequentava molto spesso l’Oratorio, ed
era amico fraterno di don Rua, don Cagliero e don Cerruti. Fu il 20° testimone giurato al
processo di beatificazione di Don Bosco, e il 7° in quello di Domenico Savio. Le sue
23 G. BOSCO, ‘Vita di Domenico Savio’, in Biografie edificanti (Roma: UPS, 2007) p. 76.

2.4 Page 14

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14
testimonianze (conservate manoscritte) sono ampie e bellissime. Morì a Torino il 15
febbraio 1913.
Luigi Marcellino, 22 anni.
Nato nel 1837, all’Oratorio fu compagno e amico di Domenico Savio. Fu tra i primi a
far parte della Compagnia dell’Immacolata. Il suo nome non appare tra i primi professi.
Decise di continuare i suoi studi sacerdotali in Seminario, e divenne Curato della
Parrocchia dei Ss. Martiri in Torino.
Secondo Pettiva (o Petiva), 23 anni.
Nella festa dell’inaugurazione della chiesa di S. Francesco di Sales (1852) un ragazzo
di nome Secondo Pettiva – nato a Torino nel 1836 – cantò una parte da solo, strappando
moltissimi applausi. Egli divenne valente nell’arte musicale, e sui 20 anni divenne con
Giovanni Cagliero l’anima della musica all’Oratorio. Per diversi anni fu animatore delle
feste e della gioia collettiva all’Oratorio. A 24 anni decise che rimanere con Don Bosco
non era la sua vocazione. L’anno dopo (1864) chiese al suo compagno e amico don Rua
di ospitarlo nella nuova casa di Mirabello. Di qui tornò a Torino, ma fu colpito da una
forma grave di tubercolosi. Don Bosco andò a trovarlo più volte all’Ospedale San Luigi, e
lo preparò all’incontro con il Signore. Si spense nel 1868 a soli 30 anni.
Antonio Rovetto, 17 anni.
Nato a Castelnuovo d’Asti nel 1842, entrò nell’Oratorio nel 1855. Compagno di
Domenico Savio, fu nel gruppo fondatore della Pia Società, e l’anno seguente firmò con
Don Bosco e tutti gli ascritti la lettera che fu inviata all’Arcivescovo Luigi Fransoni per
avere l’approvazione delle prime Regole. Nei verbali del Capitolo Superiore è scritto che
Antonio Rovetto fece i voti triennali nella mani di Don Bosco il 18 gennaio 1863. Lasciò
l’Oratorio nel 1865. Su di lui purtroppo non ci sono altre notizie.
Luigi Chiapale, 16 anni.
Nato a Costigliole Asti il 13 gennaio 1843, entrò nell’Oratorio nel 1857. Fu uno dei
ragazzi che accompagnavano Don Bosco ai Becchi per la festa della Madonna del
Rosario. Compagno e amico di Domenico Savio, Michele Rua, Giovanni Cagliero… fece
parte del gruppo degli ‘ascritti’ che diede inizio alla Pia Società, ma un biglietto
confidenziale di Don Bosco lo ammoniva: “Non sai ancora che cosa sia l’ubbidienza”.24
Fece la prima professione nel 1862, che rinnovò cinque anni dopo. Rientrato nella
diocesi di Saluzzo e diventato sacerdote, fu valido predicatore, e divenne Cappellano
Mauriziano di Fornaca Saluzzo (Cuneo).
Il canonico Anfossi, uno tra quelli che lasciò l’Oratorio per entrare nel clero della
Diocesi, affermava che Don Bosco non si offendeva di questi abbandoni, “mentre dava la
benedizione a quelli che da lui si congedavano, affinché continuassero sulla via della
virtù e riuscissero a far del bene alle anime”. E il canonico Ballesio soggiungeva: “Per le
relazioni che ho avuto con Don Bosco anche dopo la mia uscita dall’Oratorio, posso
assicurare che egli (…) non cessava di amare gli ingrati, invitarli a far visita all’Oratorio,
e all’occorrenza continuare ad essere il loro benefattore”.25
2.3 Coinvolgere i giovani di oggi
24 MB VII p. 6.
25 MB V p. 406.

2.5 Page 15

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15
È una certezza: la Congregazione salesiana è stata fondata e si è dilatata
coinvolgendo giovani, che si lasciarono convincere dalla passione apostolica di Don
Bosco e dal suo sogno di vita. Dobbiamo narrare ai giovani la storia degli inizi della
Congregazione, della quale i giovani furono ‘confondatori’. La maggioranza (Rua,
Cagliero, Bonetti, Durando, Marcellino, Bongiovanni, Francesia, Lazzero, Savio) furono
compagni di Domenico Savio e membri della Compagnia dell’Immacolata; e dodici furono
fedeli a Don Bosco fino alla morte.
È auspicabile che questo fatto ‘fondazionale’ ci aiuti a coinvolgere sempre più i
giovani di oggi nell’impegno apostolico per la salvezza di altri giovani. Essere coinvolti
significa diventare terreno in cui cresce naturalmente la vocazione consacrata salesiana.
Abbiamo il coraggio di proporre ai nostri giovani la vocazione consacrata salesiana!
Per aiutarvi in questo grande compito, vi espongo alla buona tre mie convinzioni che
vi aiuteranno (insieme a quello che vi ho raccontato finora) a ‘narrare’ la storia degli inizi.
a) Don Bosco intuì che per la sua Congregazione la strada giusta era quella
della giovinezza.
Gliela indicò la Madonna in due sogni profetici, ed egli non ebbe paura di affidare
le massime responsabilità a giovani e giovanissimi cresciuti nel clima del suo Oratorio.
Il primo dei due sogni viene ricordato nella tradizione salesiana come il sogno
delle tre fermate. È scritto da Don Bosco stesso nella pagine 94-95 delle sue ‘Memorie
dell’Oratorio’ con la sua tremenda grafia.
“La seconda domenica di ottobre di quell’anno (1844) dovevo partecipare ai miei
giovanetti, che l’Oratorio si sarebbe trasferito in Valdocco. Ma l’incertezza del
luogo, dei mezzi, delle persone mi lasciavano veramente sopra pensiero. La sera
precedente andai a letto col cuore inquieto. In quella notte feci un nuovo sogno,
che pare un’appendice di quello fatto ai Becchi quando avevo nove anni…
Sognai di vedermi in mezzo a una moltitudine di lupi, di capre e caprette, di
agnelli, pecore, montoni, cani e uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno
schiamazzo o meglio un diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi. Io volevo
fuggire, quando una Signora, assai ben messa a foggia di pastorella, mi fe’ cenno
di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo
vagando per vari siti; facemmo tre stazioni o fermate. Ad ogni fermata molti di
quegli animali si cangiavano in agnelli, il cui numero andavasi ognor più
ingrossando. Dopo aver molto camminato mi sono trovato in un prato, dove quegli
animali saltellavano e mangiavano insieme senza che gli uni tentassero di nuocere
agli altri.
Oppresso dalla stanchezza voleva sedermi accanto di una strada vicina, ma la
pastorella mi invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi
sono trovato in un vasto cortile con porticato attorno alla cui estremità eravi una
chiesa. Allora mi accorsi che quattro quinti di quegli animali erano diventati
agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero
parecchi pastorelli per custodirli. Ma essi fermavansi poco, e tosto partivano.
Allora succedette una meraviglia: Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che
crescendo prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si
divisero e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri
ovili. (…)
Volli dimandare alla pastora (…) che cosa volevasi indicare con quel camminare,
colle fermate (…) «Tu comprenderai ogni cosa quando cogli occhi tuoi materiali
vedrai di fatto quanto ora vedi cogli occhi della mente»”.26
26 G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione, note e
testo critico a cura di A. DA SILVA FERREIRA (Roma: LAS, 1991) pp. 129-130. Le evidenziazioni in
corsivo sono mie.

2.6 Page 16

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16
“Attraverso il linguaggio figurato del sogno”, commenta don Stella, “Don Bosco
sentiva ch’era destinato ad avere sotto di sé molti giovani, vari dei quali si sarebbero
trasformati in pastorelli e lo avrebbero aiutato nell’opera educativa”.27
Il secondo sogno, ricordato nella tradizione salesiana come ‘il sogno del pergolato di
rose, Don Bosco lo raccontò nel 1864. Narrato da don Lemoyne, venne pubblicato nel
1903, viventi don Rua, mons. Cagliero e don Barberis.
“Nel 1864 una sera dopo le orazioni radunava a conferenza nella sua anticamera,
come era solito fare di quando in quando, coloro che già appartenevano alla sua
Congregazione: tra i quali don Michele Rua, don Cagliero Giovanni… e don
Barberis Giulio… «Vi ho già raccontato diverse cose in forma di sogno dalle quali
possiamo argomentare quanto la Madonna SS. ci ami e ci aiuti; ma giacché siamo
qui noi soli, perché ognuno di noi abbia la sicurezza essere Maria Vergine che vuole
la nostra Congregazione e affinché ci animiamo sempre più a lavorare per la
maggior gloria di Dio, vi racconterò non già la descrizione di un sogno, ma quello
che la stessa Beata Vergine si compiacque di farmi vedere. Essa vuole che
riponiamo in lei tutta la nostra fiducia ….
« Un giorno dell'anno 1847, avendo io molto meditato sul modo di far del bene alla
gioventù, mi comparve la Regina del cielo e mi condusse in un giardino
incantevole. Vi era un bellissimo porticato, con piante rampicanti cariche di foglie
e di fiori. Questo porticato metteva in un pergolato incantevole, fiancheggiato e
coperto da meravigliosi rosai in piena fioritura.(…) Anche il terreno era tutto
coperto di rose. La Beata Vergine mi disse: – (…) È quella la strada che devi
percorrere.
Deposi le scarpe: mi sarebbe rincresciuto calpestare quelle rose. Cominciai a
camminare, ma subito sentii che quelle rose nascondevano spine acutissime. Fui
costretto a fermarmi e poi a tornare indietro.
– Qui ci vogliono le scarpe, dissi alla mia guida.
– Certamente - mi rispose - ci vogliono buone scarpe.
Mi calzai e mi rimisi sulla via con un certo numero di compagni che erano comparsi
in quel momento, chiedendo di camminare con me.
Molti rami scendevano dall’alto come festoni. Io non vedevo che rose ai lati, rose di
sopra, rose innanzi ai miei passi.(…) Le mie gambe si impigliavano nei rami stesi
per terra e ne rimanevano ferite; rimuovevo un ramo trasversale e mi pungevo,
sanguinavo nelle mani e in tutta la persona. Le rose nascondevano tutte una
grandissima quantità di spine. Ciò non pertanto, incoraggiato dalla Beata Vergine,
proseguii il mio cammino.(…) Tutti coloro che mi vedevano camminare dicevano: "
Don Bosco cammina sempre sulle rose! Tutto gli va bene! ". Non vedevano che le
spine laceravano le mie povere membra.
Molti chierici, preti e laici da me invitati, si erano messi a seguirmi festanti, attirati
dalla bellezza di quei fiori; ma si accorsero che si doveva camminare sulle spine, e
incominciarono a gridare: "Siamo stati ingannati! ".
Non pochi tornarono indietro… Ritornai anch’io indietro per richiamarli, ma
inutilmente. Allora cominciai a piangere dicendo: "Possibile che debba io solo
percorrere tutta questa via così faticosa?".
Ma presto fui consolato. Vedo avanzarsi verso di me uno stuolo di preti, chierici,
secolari, i quali mi dissero: Eccoci; siamo tutti suoi, pronti a seguirla. Precedendoli
mi rimisi in via. Solo alcuni si perdettero d’animo e si arrestarono. Ma una gran
parte di essi giunse con me alla meta.
27 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. I: Vita e Opere [Roma: LAS,
19792] p. 140.

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Percorso tutto il pergolato, mi trovai in un bellissimo giardino. I miei pochi seguaci
erano dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Allora si levò una brezza leggera, e a
quel soffio tutti guarirono. Soffiò un altro vento, e come per incanto mi trovai
circondato da un numero immenso di giovani e di chierici, di laici coadiutori e anche
di preti, che si misero a lavorare con me guidando quella gioventù. Parecchi li
conobbi di fisionomia, molti non li conoscevo ancora… Allora la Vergine SS., che
era stata la mia guida, mi interrogò:
– Sai che cosa significa ciò che tu vedi ora, e ciò che hai visto prima?
– No.
– Sappi che la via da te percorsa tra le rose e le spine significa la cura che tu
dovrai prenderti della gioventù. Tu devi camminare colle scarpe della
mortificazione. Le spine significano… gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi
toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e con la mortificazione,
tutto supererete, e giungerete alle rose senza spine.
Appena la Madre di Dio ebbe finito di parlare, rinvenni in me e mi trovai nella mia
camera”.28
Come si legge tra le righe di questi due sogni e sappiamo dalla storia del primo
Oratorio, Don Bosco non trovò aiuto permanente in altri sacerdoti della sua terra, e
nemmeno tra essi li cercò, come normalmente li cercavano altre istituzioni benefiche (i
Rosminiani, i Preti del Cottolengo) che crescevano accanto a lui. Si accorse presto che i
‘pastori’ doveva trovarli nel ‘suo gregge’: si chiamavano Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti,
Bonetti… E ad essi, giovanissimi, affidò le massime responsabilità della sua
Congregazione nascente.
Un giorno espose così il suo pensiero: «Grande vantaggio è il ricevere noi ancor
piccolini la maggior parte di coloro che si faranno Salesiani. Vengono grandi
assuefacendosi senz’accorgersene ad una vita laboriosa, conoscono tutto il congegno
della Congregazione e si troveranno facilmente pratici di qualunque affare; sono subito
buoni assistenti e buoni maestri, con unità di spirito e di metodo, senz’aver bisogno che
nessuno loro insegni il metodo nostro, perché lo impararono mentr’erano allievi… Credo
che fino ai tempi nostri non sia ancor nata una Congregazione o un Ordine religioso che
abbia avuta tanta comodità nella scelta degli individui a lei più adattati… Coloro che sono
vissuti molto tempo fra di noi infonderanno negli altri il nostro spirito».29
b) Don Bosco non aveva paura a chiamare i suoi giovani a imprese coraggiose
e, umanamente parlando, temerarie.
Il primo esempio che vi ricordo è il tempo del colera scoppiato all’inizio dell’estate
1854. Fu un momento pauroso per la città di Torino: alla fine dell’estate si sarebbero
contati 1248 morti (la città aveva 117 mila abitanti); Borgo Dora fu particolarmente
colpito: “la parrocchia dei Ss. Simone e Giuda, la parrocchia dell’Oratorio, ebbe il 53 %
del totale dei decessi”.30 La paura provocava “il chiudersi delle botteghe, il fuggire che
tosto moltissimi facevano dal luogo invaso. Che più. In certi luoghi, appena uno era
assalito, i vicini e talora gli stessi parenti impaurivano siffattamente, che lo
abbandonavano senza aiuto e senza assistenza”.31 Un lazzaretto fu improvvisato a ovest
di Valdocco. Ma pochi erano i coraggiosi che si prestavano a curare i malati. Don Bosco
si rivolse ai più grandi tra i suoi giovani.
28 MB III pp. 32-36. Le evidenziazioni in corsivo sono mie.
29 MB XII, p. 300. Le evidenziazioni in corsivo sono mie.
30 P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo della libertà. Vol. I (Roma: LAS, 2003), 263.
31 G. BONETTI, Cinque Lustri di Storia dell’Oratorio Salesiano fondato dal sacerdote D. Giovanni
Bosco (Torino: Tipografia Salesiana, 1892), pp. 420-421.

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Tra essi c’era il fior fiore dei suoi futuri Salesiani. A quattro di essi (tra cui Rua e
Cagliero) il 26 gennaio di quel 1854 aveva avanzato la prima proposta di “fare coll’aiuto
del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di esercizio pratico della carità verso il
prossimo, per venire poi ad una promessa; e quindi, se sarà possibile e conveniente, di
farne un voto al Signore. Da tale sera fu posto il nome di Salesiani a coloro che si
proposero e si proporranno tale esercizio”.32 Eppure non ebbe paura che la sua prima
fioritura fosse distrutta da un temerario gesto di carità. Disse loro che il Sindaco faceva
appello ai migliori della città perché si trasformassero in infermieri e assistenti dei
colerosi. Se qualcuno voleva unirsi a lui in quell’opera di carità, lo ringraziava a nome di
Dio. Si offrirono in quattordici, “e poi altri trenta, i quali si dedicarono con tanto zelo,
abnegazione e coraggio, che riscossero la pubblica ammirazione”.33 Il 5 agosto, festa di
Maria Vergine della Neve, Don Bosco parlando ai ricoverati disse loro: “Io voglio che ci
mettiamo anima e corpo nelle mani di Maria (…) Se voi vi metterete tutti in grazia di Dio
e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che niuno di voi sarà toccato
dal colera”.34
Furono giornate di caldo torrido, fatica, pericoli, puzza nauseabonda. Michele Rua
(17 anni) fu preso a sassate da gente infuriata mentre entrava nel lazzaretto; il popolino
credeva che lì dentro si uccidessero i malati. Giovanni B. Francesia (16 anni) ricordava:
“Quante volte io stesso giovinetto, dovevo animare i vecchi a recarsi al lazzaretto. – Ma
mi uccideranno. – Cosa dite mai? Anzi, vi troverete meglio. E poi ci sono io. – Sì? Ebbene
portatemi dove volete”. Giovanni Cagliero (16 anni) stava servendo gli ammalati al
lazzaretto insieme con Don Bosco. Un medico lo vide e gridò: “Questo giovane non può e
non deve stare qui! Non le pare una grave imprudenza?” “No, no signor dottore – rispose
Don Bosco – Né lui, né io abbiamo paura del colera e non succederà niente”.35 Giovanni
B. Anfossi al processo di beatificazione di Don Bosco depose: “Ebbi la fortuna di
accompagnare Don Bosco in parecchie visite che faceva ai colerosi. Io allora avevo solo
14 anni, e ricordo che, prestando la mia opera come infermiere, provavo una grande
tranquillità, riposando sulla speranza di essere salvo, speranza che D. Bosco aveva
saputo infondere ne’ suoi alunni”.36
Con le piogge d’autunno la pestilenza finì. Tra i giovanissimi volontari di Don Bosco
nessuno era stato toccato dal colera.
Il secondo esempio che voglio ricordarvi è la prima spedizione missionaria,
avvenuta l’11 novembre 1875. A fine gennaio Don Bosco aveva comunicato a Salesiani e
giovani che i primi missionari sarebbero presto partiti per le missioni dell’Argentina
meridionale; e il 5 febbraio, con una circolare, lo annunciò ufficialmente, chiedendo ai
Salesiani la loro disponibilità.37 Suscitò un entusiasmo incontenibile.38
Ma tra i meno giovani suscitò timori e perplessità per un’impresa che sembrava
temeraria. “Dobbiamo riportarci a quei tempi – scrive don Ceria – quando l’Oratorio non
era ancora un ambiente, dirò così, internazionale e la Congregazione aveva ancora l’aria
di una famiglia strettamente accentrata attorno al suo Capo”.39 Nel giorno del solenne
annuncio “alcuni dei superiori si mostrarono ritrosi a prendere posto sul palco, per
timore che, all’atto pratico, mancanza di persone e insufficienza di mezzi mandasse a
32 MB V p. 9. Cf. ASC 9.132 Rua.
33 G. B. FRANCESIA, Vita breve e popolare di D. Giovanni Bosco (San Benigno Canavese: Libreria
Salesiana, 1912) p. 183.
34 MB V pp. 83.84.
35 MB V p. 101.
36 MB V Ivi.
37 Lett. 5 febbraio 1875, E II p. 451.
38 Cf. G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 3, pp. 3-25: ASC A 001.
39 E. CERIA, Annali della Società Salesiana dalle origini alla morte di S. Giovanni Bosco (1841-
1888) (Torino: SEI, 1941) p. 249.

2.9 Page 19

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19
monte la spedizione”.40 Le opere aperte in Italia erano già tante, il personale era il
minimo indispensabile. Con la partenza di dieci missionari (e Don Bosco non voleva
mandare gli ‘scarti’, ma il meglio della Congregazione) le opere principali venivano
dissanguate.
Era difficile immaginare la colossale opera di Valdocco (700 giovani, una sessantina
di Salesiani) senza Giovanni Cagliero. A 37 anni egli era diventato una delle due giovani
colonne della Congregazione: Rua, ombra silenziosa e fedele di Don Bosco, Cagliero,
mente entusiasta e braccio forte di Don Bosco. Laureato in teologia, era il professore dei
chierici, l’insuperabile maestro e compositore di musica, Direttore Spirituale dell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nato da appena due anni. Era pure difficile strappare
all’esile struttura salesiana dell’opera di Varazze il sacerdote laureato Giuseppe Fagnano.
Così per tutti gli altri, che partendo per le missioni assottigliavano le forze salesiane in
diverse opere. Eppure Don Bosco mandò quel gruppo di Salesiani al di là dell’oceano.
“Chi sa – diceva – che non sia questa partenza e questo poco come un seme da cui abbia
a sorgere una grande pianta? Chi sa che non sia come un granellino di miglio o di
senapa, che a poco a poco vada estendendosi e non sia per fare un gran bene?”41 Essi
partirono per una terra sconosciuta, avendo come unica sicurezza la parola di Don
Bosco. E quei dieci, con un gesto di assoluta fiducia in lui, diedero inizio alle
grandissime Missioni Salesiane.
Mi riempie di dolcezza il cuore guardare il mondo salesiano e vedere che anche oggi
non abbiamo paura ad impegnarci in imprese coraggiose e, umanamente parlando,
temerarie. In tante poverissime periferie di grandi città, dove si corre il rischio di perdere
la salute ed anche la vita, tra i ragazzi miseri ci sono i figli di Don Bosco. In zone
sperdute e lontane, dimenticate da tutti, nei villaggi andini, nelle foreste che
custodiscono le insidiate tribù aborigene, nella sconfinata brousse africana c’è la gioia
squillante degli oratori salesiani. Se ci fossimo dimenticati di questo coraggio e di questa
temerarietà, se in qualche terra ci fossimo imborghesiti o impigriti, Don Bosco ci
richiama a “raggiungere [i giovani] nel loro ambiente e a incontrarli nel loro stile di vita
con adeguate forme di servizi” (Cost. 41): “sul suo esempio, vogliamo andare loro
incontro, convinti che il modo più efficace per rispondere alle loro povertà è proprio
l’azione preventiva”.42
c) La Compagnia dell’Immacolata, fondata da san Domenico Savio, fu il
piccolo campo dove germinarono i primi semi della fioritura salesiana.
Domenico arrivò all’Oratorio nell’autunno del 1854, al termine della micidiale
pestilenza che aveva decimato la città di Torino. Divenne subito amico di Michele Rua,
Giovanni Cagliero, Giovanni Bonetti, Giuseppe Bongiovanni con cui si accompagnava
recandosi a scuola in città. Con ogni probabilità non seppe niente della ‘Società
salesiana’ di cui Don Bosco aveva cominciato a parlare ad alcuni dei suoi giovani nel
gennaio di quell’anno. Ma nella primavera seguente ebbe un’idea che confidò a Giuseppe
Bongiovanni. Nell’Oratorio c’erano ragazzi magnifici, ma c’erano anche mezze teppe che
si comportavano male, e c’erano ragazzi sofferenti, in difficoltà negli studi, presi dalla
nostalgia di casa. Ognuno per conto suo cercava di aiutarli. Perché i giovani più
volenterosi non potevano unirsi insieme, in una ‘società segreta’, per diventare un
gruppo compatto di piccoli apostoli nella massa degli altri? Giuseppe si disse d’accordo.
Ne parlarono con alcuni. L’idea piacque. Si decise di chiamare il gruppo “Compagnia
dell’Immacolata”. Don Bosco diede il suo consenso: provassero, stendessero un piccolo
40 MB XI p. 143.
41 MB XI p. 385.
42 CG 26, 98.

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20
regolamento. Lui stesso scrisse: “Uno di quelli che aiutarono più efficacemente Domenico
Savio nella fondazione e nella stesura del regolamento, fu Giuseppe Bongiovanni”.43
Dai verbali della Compagnia conservati nell’Archivio Salesiano, sappiamo che i
componenti che si radunavano una volta alla settimana erano una decina: Michele Rua
(che fu eletto presidente), Domenico Savio, Giuseppe Bongiovanni (eletto segretario),
Celestino Durando, Giovanni B. Francesia, Giovanni Bonetti, Angelo Savio chierico,
Giuseppe Rocchietti, Giovanni Turchi, Luigi Marcellino, Giuseppe Reano, Francesco
Vaschetti. Mancava Giovanni Cagliero perché era convalescente dopo una grave malattia
e viveva nella casa di sua madre.
L’articolo conclusivo del regolamento, che fu approvato da tutti, anche da Don
Bosco, diceva: “Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare
verso di Lei, una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci
nelle risoluzioni, rigidi verso noi stessi, amorevoli col prossimo, esatti in tutto”.
I soci della Compagnia scelsero di ‘curare’ due categorie di ragazzi, che nel
linguaggio segreto dei verbali vennero chiamati ‘clienti’. La prima categoria era formata
dagli indisciplinati, quelli che avevano la parolaccia facile e menavano le mani. Ogni
socio ne prendeva in consegna uno e gli faceva da ‘angelo custode’ per tutto il tempo
necessario (Michele Magone ebbe un ‘angelo custode’ perseverante!).
La seconda categoria erano i nuovi arrivati. Li aiutavano a trascorrere in allegria i
primi giorni, quando ancora non conoscevano nessuno, non sapevano giocare, parlavano
solo il dialetto del loro paese, avevano nostalgia. (Francesco Cerruti ebbe come ‘angelo
custode’ Domenico Savio, e narrò con semplice incanto i loro primi incontri).
Nei verbali si vede lo snodarsi di ogni singola riunione: un momento di preghiera,
pochi minuti di lettura spirituale, un’esortazione vicendevole a frequentare la
Confessione e la Comunione; “parlasi quindi dei clienti affidati. Si esorta la pazienza e la
confidenza in Dio per coloro che sembravano interamente sordi e insensibili; la prudenza
e la dolcezza verso coloro che promettonsi facili a persuasione”.44
Confrontando i nomi dei partecipanti alla Compagnia dell’Immacolata con i nomi dei
primi ‘ascritti’ alla Pia Società, si ha la commovente impressione che la ‘Compagnia’
fosse la ‘prova generale’ della Congregazione che Don Bosco stava per fondare. Essa era
il piccolo campo dove germinarono i primi semi della fioritura salesiana.
La ‘Compagnia’ divenne il lievito dell’Oratorio. Essa trasformò ragazzi comuni in
piccoli apostoli con una formula semplicissima: una riunione settimanale con una
preghiera, l’ascolto di una pagina buona, un’esortazione vicendevole a frequentare i
Sacramenti, un programma concreto su come e chi aiutare nell’ambiente dove si viveva,
una chiacchierata alla buona per comunicarsi successi e fallimenti dei giorni appena
trascorsi.
Don Bosco ne fu molto contento. E volle che fosse trapiantata in ogni opera
salesiana che nasceva, perché anche lì fosse un centro di ragazzi impegnati e di future
vocazioni salesiane e sacerdotali.
Nelle quattro pagine di consigli che Don Bosco diede a Michele Rua che andava a
fondare la prima casa salesiana fuori Torino, a Mirabello (sono una delle sintesi migliori
del suo sistema di educare, e verranno consegnate ad ogni nuovo direttore salesiano) si
leggono queste due righe: “Procura d’iniziare la Società dell’Immacolata Concezione, ma
ne sarai soltanto promotore e non direttore; considera tal cosa come opera dei giovani”.45
In ogni opera salesiana un gruppo di ragazzi impegnati, denominato come crediamo
più opportuno, ma fotocopia dell’antica ‘Compagnia dell’Immacolata’! Non sarà questo il
segreto che Don Bosco ci confida per far nuovamente germinare vocazioni salesiane e
sacerdotali?
43 G. BOSCO, ‘Vita di Domenico Savio’, in Biografie edificanti (Roma: UPS, 2007) p. 76.
44 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870) (Roma: LAS, 1980) p. 481.
45 MB VII p. 526.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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21
3. CONSACRATI A DIO NEI GIOVANI
Che “la scelta dei giovani, da Don Bosco effettuata poco più che trentenne (1844-
1846), per poter diventare ‘missione’ dei Salesiani, aveva bisogno del necessario humus
della consacrazione”46 è stata sua convinzione dopo un lungo, e sofferto, apprendistato.
Fin dall’inizio egli cercò di radunare attorno a sé un gruppo di collaboratori, ecclesiastici
e laici; nessuno però di quei primi aiutanti entrerà in Congregazione. In penuria di
collaboratori, provò ad attingere al proprio vivaio; nel luglio del 1849 si mise ad avviare
allo stato ecclesiastico un gruppo di quattro giovani, che collaboravano con lui
nell’Oratorio; i quattro chierici (Giuseppe Buzzetti, Carlo Gastini, Giacomo Bellia, Felice
Reviglio) “rimasero sempre attaccati a Don Bosco e alla sua opera per tutta la loro vita,
ma non furono mai preti salesiani”;47 soltanto il Buzzetti si farà poi coadiutore e morirà
salesiano.
Chissà se proprio per questa sua esperienza Don Bosco abbia capito e difeso
l’inscindibile intreccio di consacrazione e missione nella vita salesiana. Il prete diocesano
diventava così “gradualmente… religioso, maestro e plasmatore di comunità di
consacrati”.48 Risulta evidente già nel primo articolo delle Costituzioni, precisato a
continue riprese, che Don Bosco collocava la missione giovanile come scopo della
Congregazione.49 Egli era convinto, ed è un tratto caratteristico della sua spiritualità, che
“il progresso verso la ‘santità’ si realizza nell’azione al servizio, specialmente, dei giovani
più bisognosi”;50 darsi a Dio era per lui condizione necessaria per darsi ai giovani. “Ci
siamo consacrati a Dio”, scriveva Don Bosco ai salesiani nel 1884, “non per attaccarci
alle creature, ma per praticare la carità verso il prossimo mossi dal solo amor di Dio”.51
3.1 Figli di Fondatori Consacrati
Il gruppo che costituì la ‘Società di S.Franceso di Sales’ la sera del 18 dicembre
1859, era formato da diciotto persone, incluso Don Bosco; si chiamarono ‘ascritti’.52 Due
di essi (Cagliero e Rua) erano tra quelli che cinque anni prima, il 26 gennaio 1854,53 si
erano impegnati a fare “coll’aiuto del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di
esercizio pratico della carità verso il prossimo, per venire poi ad una promessa; e quindi,
se sarà possibile e conveniente, di fare un voto al Signore”.54 Circa tre anni dopo quel 18
46 F. MOTTO, Ripartire da Don Bosco. Dalla Storia alla vita oggi (Torino-Leumann: Elledici, 2007) p.
83.
47 F. DESRAMAUT, ‘Don Bosco fondatore’, in M. MIDALI (a cura di), Don Bosco Fondatore della
Famiglia Salesiana. Atti del Simposio (Roma, 22-26 gennaio 1989) p. 129. Cf. MB III pp. 549-550.
48 P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo delle libertà. Vol. I (Roma: LAS, 2003) p. 435.
49 Cf. G. BOSCO, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1858-1875. Introduzione e testi
critici a cura di F. MOTTO [Roma: LAS 1982] pp. 72-73.
50 F. DESRAMAUT, Don Bosco en son temps (1815-1888) (Torino: SEI, 1996) p. 573.
51 MB XVII p. 17.
52 Dei diciotto due erano sacerdoti, Don Bosco e Don Alasonatti, un laico (Giuseppe Gaia) e il
resto chierici, la cui età media era inferiore a ventun anni (Cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia
economica e sociale (1815-1870) [Roma: LAS, 1980] p. 295
53 Questo anno sarebbe lo “spartiacque” tra il tempo dell’Oratorio e quello della Società salesiana,
a dire di A. J. LENTI, Don Bosco. History and Spirit. III: Don Bosco Educator, Spiritual Master,
Writer and Founder of the Salesian Society. Edited by A. GIRAUDO (Roma: LAS, 2008) pp.
312.316-319.
54 MB V p. 9. Gli altri due che si erano impegnati in quel 26 gennaio 1854, insieme con Cagliero e
Rua, erano Rocchietti e Artiglia. Rocchietti, pur non essendo tra i convocati nel 18 dicembre
1859, è nel gruppo di professi del 14 maggio 1862. Cf. anche E. CERIA, Vita del servo di Dio Don

3.2 Page 22

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22
dicembre, il 14 maggio 1862, ormai in ventidue, divennero consacrati, i primi ‘Salesiani’,
pronunciando i primi voti ufficiali,55 mentre lo stesso Don Bosco si offriva “in sacrificio al
Signore, pronto ad ogni cosa, affine di procurare la sua maggior gloria e la salute delle
anime”.56
Nei verbali del ‘Capitolo Superiore’, alla data 14 maggio 1862, si legge:
“I confratelli della Società di S. Francesco di Sales furono convocati dal Rettore, e
la maggior parte di essi (che avevano compiuto l’anno di noviziato) si confermarono
nella nascente Società coll’emettere formalmente i voti triennali. Questo si fece nel
modo seguente:
“Il sig. D. Bosco Rettore, vestito di cotta, invitò ognuno a inginocchiarsi, e
inginocchiatosi egli pure, incominciò la recita del Veni Creator (…), si recitarono le
Litanie della Beata Vergine. (…) Finite queste preghiere i confratelli in sacris (=con
ordini sacri) D. Alasonatti Vittorio. D. Rua Michele, D. Savio Angelo, D. Rocchietti
Giuseppe, D. Cagliero Giovanni, D. Francesia Giov. Batt., Don Ruffino Domenico; i
chierici Durando Celestino, Anfossi Giov. Batt., Boggero Giovanni, Bonetti
Giovanni, Ghivarello Carlo, Cerruti Francesco, Chiapale Luigi, Bongiovanni
Giuseppe, Lazzero Giuseppe, Provera Francesco, Garino Giovanni, Jarac Luigi,
Albera Paolo; i laici Cav. Oreglia Federico di S. Stefano, Gaia Giuseppe
pronunciarono ad alta voce e chiaramente tutti insieme la formola dei voti (…) Ciò
fatto ciascuno si sottoscrisse in apposito libro”.57
Don Bonetti, nella sua cronaca, continua: “Facemmo dunque i voti in numero di 22,
non compreso D. Bosco, che in mezzo a noi stava inginocchiato presso il tavolino su cui
era il crocifisso. Essendo in molti, ripetemmo in molti la formola, a mano a mano che D.
Rua la leggeva. Dopo ciò D. Bosco, alzatosi in piedi, si volse verso di noi che eravamo
ancora inginocchiati e ci indirizzò alcune parole… Fra le altre cose ci disse: « (…)
Qualcuno mi dirà: – Don Bosco ha egli pure fatti questi voti? – Ecco: mentre voi
facevate a me questi voti, io li facevo pure a questo Crocifisso per tutta la mia vita;
offrendomi in sacrificio al Signore, pronto ad ogni cosa, affine di procurare la sua
maggior gloria e la salute delle anime, specialmente pel bene della gioventù. Ci aiuti il
Signore a mantenere fedelmente le nostre promesse (…). Miei cari, viviamo in tempi
torbidi (…) Io ho non solo probabili, ma sicuri argomenti essere volontà di Dio che la nostra
Società incominci e prosegua. (…) Tutto ci fa argomentare che con noi abbiamo Iddio (…)
Chi sa che il Signore non voglia servirsi di questa nostra Società per fare molto bene
nella sua Chiesa! (…) Da qui a venticinque o trenta anni, se il Signore continua ad
aiutarci, come fece finora, la nostra Società sparsa per diverse parti del mondo potrà
anche ascendere al numero di mille socii”.58
Nella lista dei 22 elencati dal verbale appaiono otto nomi nuovi, tutti giovani o
giovanissimi, dal ventiduenne Domenico Ruffino ai diciassettenni Paolo Albera e
Giovanni Garino.
I primi voti perpetui, con cui ci si consacrava a Dio per tutta la vita, Don Bosco
permise ai suoi figli di farli solo dopo aver compiuto i voti triennali. I verbali raccontano:
“Il 10 novembre 1865, dopo radunatisi tutti i confratelli della Pia Società di S. Francesco
di Sales, il Sacerdote Lemoyne Giovanni Battista (26 anni, da tre anni Sacerdote nella
diocesi di Genova, venuto ad ‘aiutare Don Bosco’) (…) emise innanzi al Rettore Sac. Bosco
Michele Rua, primo successore di San Giovanni Bosco (Torino: SEI, 1949) p. 29.
55 Dei convocati il 18 dicembre 1859 tre non arrivarono alla prima professione del 14 maggio
1862: Marcellino Luigi, Pettiva Secondo e Rovetto Antonio. Altri otto aderirono durante il triennio:
Albera Paolo, Boggero Giovanni, Gaia Giuseppe, Garino Giovanni, Jarac Luigi, Oreglia Federico,
Rocchietti Giuseppe, Ruffino Domenico.
56 MB VII p. 163. Cf. FDB 1873, Epistolario 5-6.
57 MB VII p. 161.
58 MB VII pp. 162-164. Cf. FDB 992, Epistolario 10. – Le evidenziazioni in corsivo sono mie.

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23
Giovanni i voti perpetui di castità, povertà ed obbedienza, avendo ai lati i due testimoni
Sac. Cagliero Giovanni e Sac. Ghivarello Carlo”.
“Il 15 novembre – riferiscono sempre i verbali – emisero i voti perpetui innanzi al
Rettore Sac. Bosco Giovanni: Rua Michele sacerdote, Cagliero Giovanni sacerdote,
Francesia Giovanni sacerdote, Ghivarello Carlo sacerdote, Bonetti Giovanni sacerdote,
Bonetti Enrico chierico, Racca Pietro chierico, Gaia Giuseppe laico, Rossi Domenico
laico”.59
Il 6 dicembre si aggiungono alla lista dei ‘consacrati perpetui’ Durando Celestino
sacerdote, Oreglia Federico laico, Jarach Luigi chierico, Mazzarello Giuseppe chierico,
Berto Gioachino chierico.60 ‘Consacrato’, aveva spiegato molte volte Don Bosco nelle
conferenze preparatorie ai voti, significa ‘che appartiene a Dio’, ‘votato a Dio’. Nelle
parlate di Don Bosco ‘consacrazione’, ‘professione’, ‘santi voti’ diventano sinonimi.
Giovanni Bosco si era sempre sentito ‘consacrato’
Giovanni Bosco si era sempre sentito ‘di Dio’. Quando la notte estiva era bella,
Mamma Margherita e i suoi bambini uscivano dalla casetta e si sedevano a prendere il
fresco stretti sulla soglia (che è ancora là, consumata dal tempo ma silenziosa
testimone). Guardavano in su, verso l’unico ‘video’ che allora esisteva: il cielo gremito di
stelle. E la mamma diceva sottovoce: “È Dio che ha creato tutto, e ha messo tante stelle
lassù”. E Giovanni si sentiva avvolto dalla misteriosa presenza di quella Persona grande,
invisibile, che aveva dato la vita a tutto, anche a lui. E che sua madre gli insegnava a
scoprire dappertutto: nel cielo, nelle campagne bellissime, nella faccia dei poveri, nella
coscienza che parlava con la sua voce, e gli diceva: “Hai fatto bene, hai fatto male”. Si
sentiva ‘immerso in Dio’ e ‘di Dio’.
Questo è il dono più grande che la sua santa mamma gli fece. La ‘consacrazione a
Dio’, Giovanni Bosco la fece inconsciamente da fanciullo, tenendo per mano sua madre.
Giovanni Bosco non ebbe mai bisogno di un inginocchiatoio per pregare. Pregava al
mattino presto, quando la mamma lo destava, in ginocchio sul pavimento della cucina
accanto ai fratelli e alla madre. E poi ‘parlava con Dio’, pregava, dovunque: sull’erba, sul
fieno, rincorrendo una mucca che si era sbandata, fissando il cielo: alla cascina Moglia
mamma Dorotea e il cognato Giovanni un giorno lo trovarono inginocchiato “che teneva
il libro penzoloni tra le mani: gli occhi aveva chiusi, la faccia teneva rivolta al cielo”61, e
dovettero scuoterlo, tanto era assorto nella sua riflessione. Gli anni in cui fu
giovanissimo contadino furono anni “nei quali si radicò più profondo in lui il senso di
Dio e della contemplazione, a cui poté introdursi nella solitudine e nel colloquio con Dio
durante il lavoro dei campi”.62
Poco per volta la preghiera divenne per Giovanni Bosco (contadino, studente,
seminarista, sacerdote) un’atmosfera, che circondava ogni azione senza rompere il ritmo
dell'attività. Papa Pio XI, che da giovane sacerdote aveva vissuto due soli giorni con lui
sessantottenne, l’aveva scoperta: era un’atmosfera che compenetrava ogni azione di Don
Bosco. E la descrisse con cinque parole: “Don Bosco era con Dio”.
Il Papa chiede la consacrazione con i voti
Nel 1857 Don Bosco confidò al suo direttore spirituale don Cafasso le difficoltà che
incontrava per rendere stabile e sicura la sua Opera. Aveva pensato che una seria
59 MB VIII p. 241.
60 Ivi
61 MB I p. 196.
62 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. I: Vita e Opere [Roma: LAS,
19792] p. 36.

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24
promessa da parte dei migliori dei suoi collaboratori di rimanere a lavorare con lui fosse
sufficiente. Ma i fatti non gli davano ragione; non riusciva a trattenere giovani e chierici
per aiutarlo nella sua impresa. Don Cafasso non ci pensò sopra a lungo, e gli rispose:
«Per le vostre opere è indispensabile una congregazione religiosa (…) Questa associazione
abbia i vincoli dei voti, e sia approvata dall’autorità suprema della Chiesa. E allora potrà
liberamente disporre de’ suoi membri».63
Don Bosco, non convinto, consultò anche mons. Losana, Vescovo di Biella. Poi si
rivolse per lettera al suo Arcivescovo mons. Fransoni, esiliato a Lione. La risposta di
quest’ultimo fu “di recarsi a Roma a fine di chiedere all’immortale Pontefice Pio IX e
consiglio e norme opportune”.64
Don Bosco ubbidì al suo Arcivescovo, e nella parte introduttiva delle Regole della
Società di S. Francesco di Sales, Edizione 1877,65 scriveva: “La prima volta che il Sommo
Pontefice parlò della Società Salesiana, disse queste parole: «In una congregazione o
società religiosa sono necessari i voti, affinché tutti i membri siano da un vincolo di
coscienza legati col superiore, e il superiore tenga sé e i suoi legati col Capo della
Chiesa, e per conseguenza con Dio medesimo»”.66
Tutti praticamente gli dicevano che “il seme non può germogliare verso l’alto
(missione) senza che al tempo stesso le sue radici si estendano verso il basso”
(consacrazione).
Don Bosco non esitò più. Si convinse che anche i suoi aiutanti, oltre a restare con
lui e fare come lui, dovevano ‘essere di Dio’ per poter dedicare tutta la vita alla salvezza
dei giovani: “il darsi a Dio per tempo nei giovani che si sentono attratti a stare con Don
Bosco gradatamente si traduce in attrattiva verso lo stato ecclesiastico e religioso”.67
3.2 L’insegnamento di Don Bosco ai suoi Salesiani
Ai Salesiani, “Don Bosco parla della Società Salesiana da profeta e vaticinatore (…) Il
trovarsi con Don Bosco rientra in un piano divino. I singoli salesiani sono prescelti e
predestinati a essere, come Don Bosco, strumento della gloria di Dio e della salvezza
delle anime”.68
All’inizio del libro delle Regole, Don Bosco scrive una lunga lettera ‘Ai Soci Salesiani’,
quaranta paginette che i novizi salesiani lessero e studiarono per un centinaio d’anni.
Don Bosco espone diffusamente i principi evangelici e il suo pensiero sulla vita religiosa,
la consacrazione, i voti, la vita salesiana. Al termine egli scrive: “Ricevete i pensieri che
precedono come ricordi, che io vi lascio prima della partenza per la mia eternità cui mi
accorgo avvicinarmi a gran passi”.69
Ecco il ‘nocciolo duro’ e insieme il fior fiore di quelle pagine sulla nostra
consacrazione e i nostri voti. Ascoltiamo con venerazione questa ‘eredità’ del nostro
Fondatore.
63 MB V p. 685.
64 MB V p. 701.
65 In questa Introduzione, “per la cui composizione D. Bosco si fece aiutare da D. Barberis e da
altri”, vennero appunto “evidenziati i principi evangelici e spirituali della vita religiosa” (G. BOSCO,
Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1858-1875. Introduzione e testi critici a cura di
F. MOTTO [Roma: LAS 1982] p. 20).
66 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di Approvazione
del 3 aprile 1874 (Ed. Torino 1877) ‘Ai Soci Salesiani’, p. 19.
67 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II: Mentalità religiosa e
Spiritualità [Roma: LAS, 1969] p. 393.
68 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II: Mentalità religiosa e
Spiritualità [Roma: LAS, 1969] p. 402.
69 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di Approvazione
del 3 aprile 1874 (Ed. Torino 1875) ‘Ai Soci Salesiani’, p. XLI.

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Il consacrato
Con i nostri voti “ci consacriamo al Signore, e mettiamo in potere del superiore la
propria volontà, le sostanze, le nostre forze fisiche e morali, affinché tra tutti facciamo
un cuor solo e un’anima sola per promuovere la maggior gloria di Dio, secondo le nostre
costituzioni (…) I voti sono un’offerta eroica. (…) Sono soliti i dottori di santa Chiesa a
paragonare i voti religiosi al martirio; perché, dicono, ciò che nei voti manca d’intensità è
supplito dalla durazione”.70
“L’uomo che si consacra a Dio in religione… vive con maggior purezza di cuore, di
volontà e di opere, e per conseguenza ogni sua opera, ogni parola viene spontaneamente
offerta a Dio con purezza di corpo e con mondezza di cuore”.71
“Mediante l’osservanza dei voti religiosi, occupato in ciò che torna alla maggior
gloria di Dio… (il consacrato) può liberamente occuparsi del servizio del Signore,
affidando ogni pensiero del presente e dell’avvenire nelle mani di Dio e de’ suoi superiori,
che ne fanno le veci”.72
“Chi dà un bicchiere d’acqua fresca per amore del Padre celeste, avrà la sua
ricompensa. Colui poi che abbandona il mondo, rinuncia ad ogni soddisfazione terrestre,
dà vita e sostanze per seguire il divin Maestro, quale ricompensa non avrà in cielo?”73
In ogni nostro uffizio, in ogni nostro lavoro, pena o dispiacere, non dimentichiamo
mai che, essendoci consacrati a Dio, per lui solo dobbiamo faticare, e da lui soltanto
attendere la nostra ricompensa. Egli tiene minutamente conto di ogni più piccola cosa
fatta per suo santo nome, ed è di fede che a suo tempo ci compenserà con abbondante
misura. In fin di vita, quando ci presenteremo al suo divin tribunale, mirandoci con volto
amorevole ci dirà: Tu sei stato fedele in poco ed io ti farò padrone di molto; entra nel
gaudio del tuo Signore”.74
I santi voti
Ubbidienza
“La vera ubbidienza, che ci rende cari a Dio ed agli uomini, consiste nel far con
buon animo qualunque cosa ci sia comandata dalle nostre costituzioni, o dai nostri
superiori, che sono garanti delle nostre azioni in faccia a Dio…; consiste nel mostrarci
arrendevoli anche nelle cose difficili, contrarie al nostro amor proprio, e di volerle
compiere anche con pena e con patimenti. In questi casi l’ubbidienza è più difficile, ma
assai più meritoria, e, come ci assicura Gesù Cristo, ci conduce al possesso del regno dei
cieli”. Il consacrato “con tanta fiducia dirà con s. Agostino: «Signore, dammi quel che
comandi; e comandami quel che vuoi»”.75
Povertà
Il consacrato “è considerato come chi nulla più possiede, essendosi fatto povero per
divenire ricco con Gesù Cristo. Egli seguita l’esempio del Salvatore, che nacque nella
povertà, visse nella privazione di tutte le cose, e morì nudo in croce. (…)
“È vero che talvolta dovremo tollerare qualche disagio nei viaggi, nei lavori, in tempo
di sanità o di malattia. Talora avremo vitto, vestito od altro che non saranno di nostro
gusto; ma appunto in questi casi dobbiamo ricordarci che siamo poveri, e che se
70 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di Approvazione
del 3 aprile 1874 (Ed. Torino 1877) ‘Ai Soci Salesiani’, pp. 19.20.
71 Ivi p. 16.
72 Ivi p. 17.
73 Ivi p. 18.
74 Ivi p. 40.
75 Ivi, pp. 19.27

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26
vogliamo averne merito dobbiamo sopportarne le conseguenze. Guardiamoci bene da un
genere di povertà altamente biasimato da s. Bernardo. Vi sono di quelli, egli dice, che si
gloriano di esser chiamati poveri, ma non vogliono i compagni della povertà… Altri poi
sono contenti di essere poveri, purché loro niente manchi”.76
Castità
La castità è “la virtù sommamente necessaria, virtù grande, virtù angelica, cui fanno
corona tutte le altre virtù… Il Salvatore ci assicura che coloro, i quali posseggono questo
inestimabile tesoro, anche nella vita mortale, diventano simili agli angeli di Dio”.
“Non aggregatevi alla Società Salesiana se non dopo esservi consigliati con persona
prudente, che vi giudichi tali da poter conservare questa virtù”.
E quasi al termine della lunga lettera, Don Bosco conclude: “Chi si consacra al
Signore coi santi voti, egli fa un’offerta delle più preziose e delle più gradite alla divina
Maestà”.77
Il sogno della Società Salesiana consacrata
Al termine dell’anno 1881 Don Bosco (66 anni) impugna la penna e comunica a tutti
i Salesiani un sogno che ha fatto nella notte tra il 10 e l’11 settembre. È il famoso ‘ sogno
dei diamanti’. Egli sta camminando con i direttori delle case salesiane, quando
“apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso che non potevamo reggerne lo
sguardo (…) Un ricco Manto gli copriva la persona (…) Sulla fascia stava scritto a
caratteri luminosi: Pia Società Salesiana nell’anno 1881 – e sulla striscia d’essa
portava scritte queste parole: Come deve essere. Dieci diamanti di grossezza e
splendore straordinario erano quelli che ci impedivano di fermare lo sguardo, se
non con gran pena, sopra quell’Augusto Personaggio (…)
“Cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto (…) Uno più grosso e
sfolgorante stava in mezzo... e portava scritto: Obbedienza. Sul primo a destra
leggevasi: Voto di povertà () Nella sinistra sul più elevato era scritto: Voto di
castità (…) Questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si
alzavano e portavano scritte varie sentenze (…)
Sui raggi dell’Obbedienza: Fondamento di tutta la costruzione, e compendio della
santità. Sui raggi della Povertà: Di essi è il regno dei cieli. Le ricchezze sono spine.
La povertà si costruisce non colle parole ma con il cuore e l’agire. Essa aprirà la
porta del Cielo e vi farà entrare. Sui raggi della Castità: Insieme con essa vengono
tutte le virtù. Coloro che hanno il cuore puro, vedranno le cose arcane di Dio e Dio
stesso (…).
“Riapparve una luce che circondava un cartello su cui si leggeva: “Come corre
pericolo di essere la Pia Società dei Salesiani nell’anno di salvezza 1900” (…)
Apparve di nuovo il Personaggio di prima (…) Il suo manto era divenuto scolorato,
tarlato, sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo
guasto (…) Al posto dell’Obbedienza eravi niente altro che un guasto largo e
profondo senza scritto. A Castità: Concupiscenza e vita superba. A Povertà era
succeduto: Letto, vestiti, bere e denaro.
A quella vista fummo tutti spaventati”
Don Bosco continua il racconto dicendo che in quel momento la voce dolce di un
ragazzo li ammonì:
76 Ivi pp. 28.29.
77 Ivi pp. 30.31.41.

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“Servi e strumenti di Dio Onnipotente, osservate e comprendete. Prendete coraggio e
siate forti. Le cose che avete visto e udito sono un’ammonizione divina che ora viene
fatta a voi e ai vostri fratelli, state all’erta e capite bene il messaggio…
“Senza stancarvi predicate nei momenti favorevoli e nei momenti non favorevoli.
Ma ciò che predicate, fatelo voi costantemente, così che le vostre opere siano come
luce, che si tramandi ai vostri fratelli e ai vostri figli come tradizione sicura di
generazione in generazione.
“State attenti e comprendete: la vostra meditazione mattino e sera sia
sull’osservanza delle Costituzioni.
“Se vi sarete comportati così, l’aiuto dell’Onnipotente non vi mancherà mai. Sarete
ammirevoli davanti al mondo e agli angeli, e allora la vostra gloria sarà la gloria di
Dio”(…)
Don Bosco conclude il suo manoscritto con queste parole: “Questo sogno mi durò
l’intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze (…) La nostra Società è benedetta
dal Cielo, ma egli vuole che noi prestiamo l’opera nostra. I mali minacciati saranno
prevenuti se noi predicheremo sopra la virtù e sopra i vizi ivi notati; se ciò che
predichiamo, lo praticheremo e lo tramanderemo ai nostri fratelli con una tradizione
pratica di quanto si è fatto e faremo (…) Maria Aiuto dei Cristiani – Prega per noi”.78
Qualche storico salesiano ha detto che in questo sogno c’è poco sogno e molta
esortazione paterna del nostro Santo Fondatore. Sia pure così. Questo non toglie nulla
alla forza delle affermazioni (tratte in gran parte dalla Bibbia) che Don Bosco, insieme
con il Signore, dona a tutti i suoi figli. Esse devono costituire linee portanti per la nostra
vita e argomento della nostra meditazione, per camminare nello spirito di ‘persone
consacrate salesiane’.
4. LE NOSTRE COSTITUZIONI, LA VIA DELLA FEDELTÀ
4.1 La prima fotografia voluta da Don Bosco
Novembre 1875. Don Bosco sta per coronare il sogno di mandare i primi missionari
salesiani nell’America del Sud, verso la Patagonia. E, per la prima volta nella sua vita,
vuole una fotografia. Deve immortalare l’avvenimento, per farlo conoscere in grande, e
perché serva di stimolo ai Salesiani e ai loro giovani. Per questo si rivolge al più
qualificato fotografo di Torino, Michele Schemboche.79 Nello studio del fotografo posa
con i dieci missionari in ‘veste ufficiale’. La fotografia mostra nei particolari tutta
l’importanza che Don Bosco desidera dare all’avvenimento: i partenti vestono alla
spagnola col mantello caratteristico e su di essi spicca il Crocifisso dei Missionari, il
console argentino è in grande uniforme, Don Bosco indossa il ferraiolo e lo zucchetto
come nelle grandi occasioni in cui si presenta al Papa, e posa mentre consegna al capo
della spedizione don Cagliero un libro: sono le Regole della Società Salesiana. Egli
desidera dar rilievo a questo gesto, che per lui ha un profondo significato.
Scriverà don Rua, suo Successore: “Quando il Venerabile Don Bosco inviò i suoi
primi figliuoli in America, volle che la fotografia lo rappresentasse in mezzo a loro
nell’atto di consegnare a don Giovanni Cagliero, capo della spedizione, il libro delle
nostre Costituzioni. Quante cose diceva Don Bosco con quell’atteggiamento! Era come
dicesse: «Voi traverserete i mari, vi recherete in paesi ignoti, avrete da trattare con gente
di lingue e costumi diversi, sarete forse esposti a gravi cimenti. Vorrei accompagnarvi io
78 C. ROMERO, I Sogni di Don Bosco. Edizione critica (Torino: Elle Di Ci, 1978) pp. 63-71.
79 G. SOLDÀ, Don Bosco nella fotografia dell’800. 1861-1888 (Torino: SEI, 1987) p. 124.

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stesso, confortarvi, consolarvi, proteggervi. Ma quello che non posso fare io stesso, lo
farà questo libretto. Custoditelo come prezioso tesoro»”.80
4.2 Un cammino lungo e spinoso
Carissimi, vi invito a ripercorrere con me il cammino lungo e spinoso che costò al
nostro Santo Fondatore quel ‘libretto’ delle nostre Regole.
Dopo aver fondato la nostra Società, Don Bosco doveva scriverne le Regole (o
Costituzioni) ed averne l’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Era di norma ottenere
prima l’approvazione diocesana, e poi eventualmente quella pontificia. Ma poiché
l’Arcivescovo di Torino era in quegli anni esiliato a Lione, e le relazioni con lui tramite
terze persone (non molto favorevoli a Don Bosco) risultavano difficili, il nostro Fondatore
pensò di rivolgersi direttamente al Papa.
Credeva si trattasse di una faccenda semplice e breve. Infatti, la prima stesura
(1858) era il punto di arrivo di oltre un decennio di esperienza educativa fatta da lui
nell’Oratorio. Erano 58 articoli, divisi in nove brevi capitoli. Si diceva semplicemente che
la Società sarebbe composta di ecclesiastici e di laici, uniti dai voti, desiderosi di
consacrarsi al bene della gioventù povera, e di ‘sostenere la religione cattolica’ nei ceti
popolari ‘colla voce e con gli scritti’.
Le pagine rispecchiavano un clima di serena familiarità, il Superiore era il papà di
una grande famiglia. La spiritualità che emergeva era semplice e radicata nel Vangelo. I
soci si consacravano a Dio proponendosi l’imitazione di Cristo, il ‘divin Salvatore’ che
‘cominciò a fare ed insegnare’. E la loro missione consisteva nella pratica della carità
verso i giovani, specialmente i più poveri, e verso il ‘basso popolo’. Era questo il
semplicissimo carisma che la nuova Società religiosa intendeva portare nella Chiesa.
Quattro anni prima una legge firmata dal ministro Rattazzi aveva soppresso le
‘corporazioni religiose’, cioè gli ordini e le congregazioni, e aveva ‘incamerato’ le loro case
e i loro beni. Questa legge, prima applicata al solo Piemonte, stava per essere estesa a
tutta l’Italia. Affinché questo non capitasse alla sua Società, Don Bosco (per consiglio
dello stesso Ministro, che lo stimava) inserì un articolo in cui si affermava che i Salesiani
sarebbero stati totalmente religiosi davanti alla Chiesa, ma cittadini che mantenevano i
loro diritti civili davanti allo Stato. Questa formulazione (che era piaciuta addirittura a
Papa Pio IX) era una novità assoluta, che spalancava nuove prospettive alla Chiesa:
adottandola, i Religiosi non avrebbero più subito vessazioni da parte dello Stato.
Sulla ‘faccenda semplice e breve’ Don Bosco si sbagliava. Da un primo abbozzo (nel
1855) fino all’approvazione definitiva passarono quasi vent’anni.81 Don Bosco ne soffrì
molto. Riassunse così tutto quel tribolato cammino: “Si prendevano le nostre povere
regole e ad ogni parola si trovava una difficoltà insormontabile. Coloro che avrebbero
potuto fare di più in mio favore, erano quelli che più risolutamente si manifestavano di
parere contrario”.82 Quello di Don Bosco non fu un lamento immotivato: lo dimostrano
“le correzioni, le aggiunte, i pentimenti, i rifacimenti, le rifusioni che si avvicendarono
lungo i quasi vent’anni di gestazione del testo… quei poveri quaderni, quei semplici e
tormentati foglietti stanno a testimoniare quanto sia costata a Don Bosco la redazione di
certi articoli o capitoli”.83
Due erano i punti su cui si indirizzavano le principali critiche e su cui Don Bosco
non si arrese mai: la distinzione in ogni Salesiano del ‘religioso’ sottomesso alla Chiesa e
del ‘cittadino che conserva i diritti civili’ (il riferimento alle ‘leggi civili’ dava fastidio,
80 Lettere circolari di Don Rua ai Salesiani (Torino: Tipografia Salesiana, 1910) p. 409.
81 Cf. M. WIRTH, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (Roma: LAS, 2000) p. 145.
82 MB IX p. 499. In quest’ultima riga Don Bosco adombra i gravi ostacoli sollevati da mons.
Gastaldi, divenuto Arcivescovo di Torino nel 1871.
83 G. BOSCO, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1858-1875. Introduzione e testi
critici a cura di F. MOTTO [Roma: LAS 1982] p. 15.

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29
perché poteva sembrare un riconoscimento dello Stato che perseguitava la Chiesa); e la
facoltà del Superiore della Congregazione di far ammettere agli ordini sacri i Salesiani
che lui giudicava degni.
Il 3 aprile 1874 il testo delle Regole, ritoccato in alcuni punti, fu finalmente
approvato. Ma per l’ultimo passo occorse il voto personale del Papa Pio IX. Fu soppresso
il Proemium storico-spirituale e recepita la ‘normalizzazione’ del noviziato e degli studi;
inoltre la formula ‘diritti civili’ era stata cambiata in ‘dominio radicale dei propri beni’, e
la ‘facoltà di ammettere agli ordini’ fu concessa solo come ‘privilegio’ per dieci anni.84
Don Bosco, con un telegramma da Roma, scatenò la festa grande di Valdocco, dove
si aspettava pregando la sospirata approvazione. Ma confessò pure che, ‘se avesse
saputo prima ciò che gli sarebbe costato, forse il coraggio gli sarebbe venuto meno’ .
4.3 Sacralità delle Regole approvate dalla Chiesa
Subito dopo cominciò da parte di Don Bosco stesso il sentimento di rispetto davanti
alla sacralità nuova acquistata dalle Regole Salesiane. Quel libretto non era più il campo
di battaglia dove si erano fatte e rifatte correzioni, aggiunte, rifacimenti. Era l’esposizione
(rimasta sostanzialmente intatta nella lunga battaglia) del semplicissimo carisma che la
nuova Società religiosa umilmente portava nella Chiesa, e che la Chiesa approvava.
“Le nostre costituzioni – scrisse nella lettera ‘ai Soci Salesiani’ che apriva il libro
delle Regole – furono definitivamente approvate dalla Santa Sede il 3 aprile 1874.
Questo fatto… ci assicura che nell’osservanza delle nostre regole noi ci appoggiamo a
basi stabili, sicure e, possiamo dire, infallibili, essendo infallibile il giudizio del Capo
Supremo della Chiesa, che le ha sanzionate”.85 Col suo senso pratico Don Bosco
continua subito: “Ma qualunque pregio porti seco questa approvazione, tornerebbe di
poco frutto, se tali regole non fossero conosciute e fedelmente osservate”.86
4.4 Il ritornello costante di Don Bosco e di don Rua
Da quel momento l’osservanza delle Regole (cioè della consacrazione e della
missione) diventa il ritornello costante di Don Bosco. Nella Lettera circolare del 6 gennaio
1884 egli dice e ridice, insiste e rinnova questo invito:
“Osservare le nostre Regole, quelle Regole che la Santa Madre Chiesa si degnò di
approvare per nostra guida e per il bene dell’anima nostra e per vantaggio
spirituale e temporale dei nostri amati allievi. Queste Regole noi le abbiamo lette,
studiate, ed ora formano l’oggetto delle nostre promesse, e dei voti con cui ci
siamo consacrati al Signore. Pertanto io vi raccomando con tutto l’animo mio, che
niuno lasci sfuggire parole di rincrescimento, peggio ancora, di pentimento di
essersi in simile guisa consacrato al Signore (…)
“Qualcuno di voi potrebbe dire: ma l’osservanza della nostre Regole costa fatica;
l’osservanza delle Regole costa fatica in chi le osserva mal volentieri, in chi ne è
trascurato. Ma nei diligenti, in chi ama il bene dell’anima, questa osservanza
diviene, come dice il Divin Salvatore, un giogo soave, un peso leggero (…)
84 Cf. M. WIRTH, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (Roma: LAS, 2000) pp.
154-155.
85 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il Decreto di Approvazione
del 3 aprile 1874 (Ed. Torino 1877) ‘Ai Soci Salesiani’, p. 3. Si può notare che quando nel 1875
Don Bosco scrisse queste espressioni nella introduzione alla prima pubblicazione a stampa delle
Costituzioni approvate, erano passati appena cinque anni dalla definizione dell’infallibilità
pontificia nel Concilio Vaticano I.
86 Ivi p. 3.

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“E poi, miei cari, vogliamo forse andare in Paradiso in carrozza? (…) Ci siamo
consacrati a Dio non per comandare, ma per obbedire; non per attaccarci alle
creature, ma per praticare la carità verso il prossimo, mossi dal solo amor di Dio;
non per fare una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo, patire con
Gesù Cristo sovra la terra, per farci degni della sua gloria in Cielo”.87
Don Rua, primo successore di Don Bosco, chiamato ‘la Regola vivente’ e oggi beato,
chiamava le Regole: “Libro della vita, midollo del Vangelo, speranza di nostra salvezza,
misura di nostra perfezione, chiave del Paradiso. Veneratela come il più bel ricordo e la
più preziosa reliquia del nostro amatissimo Don Bosco!”.88
4.5 Il rinnovamento delle Costituzioni
Dopo il Concilio Vaticano II, un Capitolo Generale Speciale (1971-1972) fu chiamato
a rifondere interamente le Costituzioni, tenendo presenti le due esigenze indicate dal
Concilio: tornare al carisma primitivo della Congregazione e adattare le Costituzioni ai
bisogni dei tempi.
Furono circa sette mesi di lavoro intenso, “in un clima vivace e talvolta teso, tra i
protagonisti della tradizione e quelli del cambiamento, tra le esigenze dell’unità e quelle
del decentramento, o anche tra quelle dell’autorità centrale e quelle della
corresponsabilità”.89
Nel loro contenuto e nel loro stile, le Costituzioni rinnovate risultarono “una Regola
di vita meno giuridica che spirituale, la quale non solo formulava delle prescrizioni, ma
dava le motivazioni evangeliche, teologiche e salesiane”.90 Le Regole rinnovate furono
approvate ‘ad esperimento’ per sei anni e poi per altri sei anni.
Nel 1984 il Capitolo Generale XXII, dopo ulteriore impegnativo lavoro, approvò il
testo definitivo delle nostre Regole rinnovate. Questo testo, infine, fu approvato dalla
Sede Apostolica il 25 novembre 1984. Il Rettor Maggiore don Egidio Viganò, settimo
Successore di Don Bosco, nel discorso conclusivo del Capitolo Generale poté dichiarare:
“È un testo organico, profondo, migliorato, permeato di Vangelo, ricco della genuinità
delle origini, aperto all’universalità e proteso al futuro, sobrio e dignitoso, denso di
equilibrato realismo e di assimilazione dei principi conciliari. È il testo ripensato
comunitariamente in fedeltà a Don Bosco e in risposta alle sfide dei tempi”.91
4.6 Le parole del testamento
Don Bosco, negli ultimi tre anni della sua vita, scrisse a tratti su un taccuino il suo
‘testamento spirituale’. Le grafia irregolare e tormentata rivela l’insufficienza della sua
vista e la stanchezza fisica. Lo stile è disadorno, sostanzioso, efficace. Chi ne ha curato
l’edizione critica scrive: “Si potrebbe così leggere, come in uno specchio, un autoritratto
di Don Bosco (…) Di fronte a certi passi, è difficile sottrarsi alla suggestione di essere alla
presenza di un testo ‘sacro’, tanto è irrorato di parole non vane e non caduche”.92 In
questo ‘testamento’, Don Bosco dedica cinque paginette per salutare i suoi Salesiani.
Riporto qui le parole essenziali:
87 Lettere circolari di Don Bosco e di Don Rua ed altri loro scritti ai Salesiani (Torino: Tipografia
Salesiana, 1989) pp. 21-22.
88 Lettere circolari di Don Rua ai Salesiani (Torino: Tipografia Salesiana, 1910) p. 123.
89 M. WIRTH, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (Roma: LAS, 2000) p. 451.
90 M. WIRTH, ivi p. 452.
91 CG 22, 134 (ACG 311 (1984) p. 139).
92 F. MOTTO, ‘Memorie dal 1841 al 1884-5-6. A’ suoi figliuoli salesiani’, in P. BRAIDO (a cura di),
Don Bosco Educatore. Scritti e testimonianze (Roma: LAS 19922) p. 391.

4 Pages 31-40

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“Miei cari ed amati figliuoli in G.C.
Prima di partire per la mia eternità, io debbo compiere verso di voi alcuni doveri…
Anzitutto vi ringrazio col più vivo affetto dell’animo per la ubbidienza che mi avete
prestata, e di quanto avete lavorato per sostenere e propagare la Congregazione
(…)
Vi raccomando di non piangere la mia morte (…) Invece di piangere fate delle
ferme ed efficaci risoluzioni di rimaner saldi nella vocazione fino alla morte (…)
Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta
osservanza delle nostre Costituzioni (…)
Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al Cielo. Là parleremo di Dio, di Maria,
Madre e sostegno della nostra Congregazione (…); là benediremo in eterno questa
nostra Congregazione, la osservanza delle cui Regole contribuì potentemente ed
efficacemente a salvarci”.93
Questo testamento ha parole preziose ed esigenti per tutti noi. Credo che, dopo il
Vangelo, il libro delle Regole debba diventare il secondo libro della nostra meditazione
quotidiana. Sarà il nutrimento costante della nostra salesianità, e la realizzazione
dell’ammonimento contenuto nel ‘sogno dei diamanti’: “la vostra meditazione mattino e
sera sia sull’osservanza delle Costituzioni”.
5. DON BOSCO FONDATORE DI “UN VASTO MOVIMENTO DI PERSONE CHE, IN
VARI MODI, OPERANO PER LA SALVEZZA DELLA GIOVENTU’ ” (Cost. 5)
Nati 150 anni fa come Società, siamo diventati più consapevoli che il nostro Padre
non ha pensato solo a noi, ma da sempre ha voluto creare “un vasto movimento di
persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù” (Cost. 5). Noi siamo
stati pensati come evangelizzatori e come animatori di una Famiglia carismatica. Così
infatti si esprimeva il CGS: “Don Bosco fu ispirato soprannaturalmente a creare una
comunità di religiosi all’interno della Famiglia che a lui si ispira, con una funzione
specifica di fermento animatore dell’identica missione. Egli attuò per gradi il disegno,
stabilendo dapprima vincoli di amicizia con i suoi giovani migliori, impegnandoli poi in
una prova di esercizio pratico di carità verso il prossimo, per venire quindi ad una
promessa e portandoli infine alla consacrazione religiosa mediante i voti. Nasceva così la
prima comunità salesiana”.94
5.1 I figli dell’Oratorio sparsi in tutto il mondo”
Il professore di pedagogia Giuseppe Rayneri, in una sua breve pubblicazione in
omaggio a Don Bosco scrisse: “Nel pomeriggio di una domenica del 1851 (Don Bosco
aveva 36 anni, e mancavano ben 8 anni alla fondazione della Società Salesiana) si era
fatta una lotteria; i vincitori erano molti, e per ciò molto contenti. Per ultimo Don Bosco
dal balcone gettò caramelle a destra e a sinistra, ed erano pur molti che avevano la
bocca addolcita. Era facile che raddoppiassimo gli evviva. Don Bosco disceso dal balcone
fu preso e alzato come in trionfo qual segno di massima gioia, quando un giovane
studente disse: – O Don Bosco, se potesse vedere tutte le parti del mondo ed in ciascuna
di esse tanti Oratori! Don Bosco (parmi vederlo) volse intorno lo sguardo maestoso,
soave, e rispose: – Chi sa che non debba venire il giorno in cui i figli dell’Oratorio non
siano sparsi per tutto il mondo! ”.95
93 F. MOTTO, ivi, pp. 410-411.
94 CGS, 496.
95 MB IV p. 318.

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Oggi chi guarda il mondo vede che Don Bosco fu profeta.
5.2 La vasta rete della Famiglia Salesiana
Don Bosco non è stato un suscitatore di speranze luminose ma fallaci, non è stato
un distributore di parole gioiose ma evanescenti. Don Bosco è stato un albero grande e
robusto. Aveva in sé la vita divina e la dava. Noi Salesiani siamo il frutto più bello e
fecondo della sua totale consacrazione a Dio e della sua passione di vedere i giovani,
specialmente poveri e a rischio, raggiungere la pienezza della vita umana e cristiana.
Ma noi non siamo l’unico frutto di questo albero robusto e grande. “I Salesiani –
dichiarò il CGS – non possono ripensare integralmente la loro vocazione nella Chiesa
senza riferirsi a quelli che con loro sono i portatori della volontà del Fondatore. Per
questo ricercano una migliore unità di tutti, pur nell’autentica diversità di ciascuno”;96 lo
richiede la stessa e comune vocazione salesiana, dal momento che si tratta di un’unica
chiamata divina “per la realizzazione organica, pur nella sua complessità, della salvezza
dei giovani poveri ed abbandonati secondo lo spirito di Don Bosco”.97
Così Don Bosco vide ‘i figli dell’Oratorio sparsi in tutto il mondo’, una vasta rete di
persone che dedicano la loro vita ai giovani poveri e a rischio, con la sua stessa passione
per Dio e per i giovani figli di Dio. Questa vasta rete, costituita all’origine dai gruppi
fondati dallo stesso Don Bosco – prima la ‘Società di San Francesco di Sales’, poi
l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l’Associazione dei Cooperatori Salesiani e
l’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice – andò via via estendendosi e forma la
grande Famiglia Salesiana, che comprende oggi 26 gruppi.
Sono nati anche altri gruppi, che attendono che maturino le condizioni per venire
formalmente riconosciuti come membri della Famiglia Salesiana; nel frattempo si
prepara il terreno nel quale altri gruppi potrebbero ancora esprimersi.
Noi Salesiani, nucleo primogenito germogliato nel caldo della passione di Don Bosco,
siamo da lui chiamati ad avere un cuore grande, che accoglie e riconosce come fratelli e
sorelle tutti i componenti della Famiglia Salesiana; un’accoglienza grata e gioiosa delle
diversità, come manifestazioni dello Spirito che parla in molte lingue; la volontà di
camminare insieme verso un traguardo condiviso: il Regno di Dio da portare ai giovani e
ai poveri.
5.3 Ciò che Don Bosco sentì e vide
Don Giulio Barberis, da Don Bosco eletto nel 1874 ‘maestro dei novizi’ di tutta la
Società Salesiana, al ‘processo di beatificazione’ di Don Bosco depose sotto giuramento
che nel 1876, quando Don Bosco non aveva ancora aperto che tre Case, raccontò che in
sogno aveva visto la Congregazione estendersi per tutte le parti della terra. “Uomini
d’ogni colore, d’ogni vestito, d’ogni nazione vi stavano radunati […] Vi erano tanti
Salesiani che conducevano come per mano squadre di ragazzi e ragazze. Poi venivano
altri, con altre squadre; poi ancora altri ed altri che più non conosceva e più non poteva
distinguere, ma erano in un numero indescrivibile”.98
Un anno dopo, nel gennaio di 1877, nella solita conferenza annuale di S. Francesco
di Sales, rivolgendosi “a tutti i professi, ascritti e aspiranti dell’Oratorio” venne a parlare
di un seme che si doveva mettere, l’Opera dei Cooperatori Salesiani: “È appena
incominciata e già molti vi sono ascritti (…) Non andrà molto che si vedranno popolazioni
e città intiere unite nel Signore in un vincolo spirituale colla Congregazione Salesiana
96 CGS, 151.
97 CGS, 171.
98 MB XII p. 466.

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(…) Non passeranno molti anni che le città e le popolazioni intiere non si distingueranno
dai Salesiani che per le abitazioni. Se ora sono cento Cooperatori, il loro numero
ascenderà a migliaia e a migliaia, e se ora siamo mille, allora saremo milioni, procurando
di accettare ed iscrivere quelli che sono più adattati. Spero che questo sarà il volere del
Signore”.99
Oggi noi abbiamo sotto i nostri occhi la realizzazione non statica ma dinamica, non
ferma all’oggi ma protesa al domani, di ciò che Don Bosco sentì e vide nei sogni in cui
Dio gli spalancava misteriosamente l’avvenire. “Ai salesiani, commenta don Stella, Don
Bosco faceva balenare progetti che avevano del grandioso, se non proprio dell’utopico”.100
La Famiglia Salesiana è uno di questi grandiosi progetti; che non rimanga utopico,
dipenderà da tutti noi, i membri di questa Famiglia di Don Bosco.
CONCLUSIONE
Carissimi confratelli, vi avevo invitato a raccontare la storia delle origini della nostra
Congregazione. Ebbene, io stesso ho fatto un primo tentativo. L’ho fatto però non
facendo soltanto memoria di quanto è accaduto, ma cercando di imparare della storia
passata; le nostri origini sono la miglior guida per continuare a scrivere la storia
salesiana con vitalità e fecondità. Ho voluto individuare quegli elementi che, a mio
avviso, sono stati determinanti per la buona riuscita di questo meraviglioso progetto di
Dio: i giovani, la nostra identità di consacrati apostoli, la fedeltà a Don Bosco attraverso
le Costituzioni, la consapevolezza d’essere parte integrante della Famiglia Salesiana ed
avere un ruolo di animazione insostituibile all’interno di essa.
Non mi sembra un’esagerazione affermare che alle origini della Congregazione i
giovani sono stati veri “confondatori” insieme a Don Bosco; alcuni giovani, infatti,
formavano il primo nucleo che si impegnò ad erigersi in Società o Congregazione. Mi
auguro che questo anniversario rinnovi in ogni salesiano il coraggio di proporre ai
giovani la vocazione consacrata salesiana e diventi davvero un periodo di grande
fecondità vocazionale.
La celebrazione del 150º anniversario della nascita della nostra Congregazione ci
deve aiutare a prendere coscienza della nostra identità di persone consacrate, votate al
primato di Dio, alla sequela di Cristo, obbediente, povero e casto, totalmente dedicate ai
giovani. Questa nostra identità dobbiamo viverla con gioia e manifestarla nell’ardore
evangelizzatore e nello slancio pastorale, ispirato al programma di vita di Don Bosco,
espresso nel motto “da mihi animas, cetera tolle”.
La consapevolezza che tutto Don Bosco si trova nelle Costituzioni e che la nostra
fedeltà a lui passa attraverso la fedeltà al nostro Progetto di Vita diventa un appello ad
approfondire, meditare e pregare le Costituzioni, che ci indicano la via della fedeltà al
carisma di Don Bosco e alla nostra vocazione; direi, anzi, che solo il salesiano che fa
delle Costituzioni il suo progetto di vita diventa incarnazione, viva icona, di Don Bosco
oggi. Questo cammino di conversione per un’attuazione sempre più piena degli impegni
di santificazione tracciati dalla Regola di vita porterà ciascuno di noi a rinnovare la
propria professione religiosa, precisamente il 18 dicembre, giorno dell’anniversario, come
punto di partenza di una rinnovata offerta della nostra vita a Dio per i giovani. Come
Don Bosco.
Infine, la coscienza crescente che Don Bosco non ha pensato solo ad una
Congregazione, ma da sempre ha voluto creare un “vasto movimento di persone che, in
vari modi, operano per la salvezza della gioventù” (Cost. 5), ci deve ricordare che, come
99 MB XIII p. 81.
100 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II: Mentalità religiosa e
Spiritualità [Roma: LAS, 1969] p. 368.

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Congregazione, abbiamo nella Famiglia Salesiana una particolare responsabilità di
unità di spirito e di collaborazione fraterna. Non possiamo vivere fuori di essa, che è la
nostra famiglia; essa non può crescere e moltiplicarsi senza di noi, suo cuore animatore.
Affido a Maria Santissima, Madre di Dio ed Ausiliatrice dei Cristiani, tutti e ciascuno
di voi, mentre celebriamo l’Annunciazione del Signore e ricordiamo lieti e riconoscenti il
75° anniversario della Canonizzazione del nostro amato Fondatore e Padre Don Bosco.
Maria Ausiliatrice e Don Bosco ci aiuteranno a vivere gioiosamente, generosamente e
fedelmente la nostra vocazione salesiana e trovare in essa la via della nostra
santificazione.
Con affetto e stima,
Don Pascual Chávez Villanueva
Rettor Maggiore