espressioni nei più diversi luoghi, in scritti teologici e in riviste di attualità in cui
si sente il polso della vita religiosa.
Nel nostro CG27, raccogliendo l’esperienza di tutta la Congregazione, la
diagnosi era tra noi coincidente e con altri sguardi.
Credo veramente, Confratelli, che la vita spirituale dev’essere al primo posto21,
una vita spirituale che è prima di tutto ricerca di Dio nel quotidiano, in mezzo a
quel che facciamo, alle nostre occupazioni. E dico questo perché per noi, come lo
fu per Don Bosco nella ricerca del meglio per i suoi giovani, la loro salvezza, e per
tutta la vita religiosa di oggi, l’elemento fondamentale di essa è stato, continua ad
essere e sarà, la persona del Signore Gesù e il suo messaggio. In definitiva, I
centralità di Gesù Cristo nella nostra vita. Può anche darsi che ciò non sia stato
mai messo in dubbio, ma non è lo stesso farlo vita e criterio della propria vita.
La nostra vita religiosa – perché, non dobbiamo dimenticarci che la nostra vita
non è solo vita salesiana, ma vita religiosa come consacrati Salesiani – non trova
la sua ragione d’essere in quel che facciamo, neppure nei modi di organizzarci, né
nell’efficienza dei nostri programmi e pianificazioni. O la nostra vita religiosa
come consacrati ci fa diventare segno (comunità di uomini credenti al servizio del
Regno), oppure corriamo il pericolo di preoccuparci più della nostra forza (caso
mai l’avessimo) che del messaggio di Dio.
Il pericolo insito in ogni vita religiosa è quello di perdere la freschezza
carismatica. È possibile che ci coinvolgano tanto i lavori, le attività, i compiti
(pastorali o meno) ... e possiamo perdere il valore simbolico della nostra vita. Per
esempio, quando sento, come mi è capitato recentemente, che in un determinato
paese, con grande presenza di opere salesiane, abbiamo un grande
riconoscimento per le nostre opere sociali, e invece è poco stimata la nostra
condizione di salesiani come persone credenti di vita consacrata, debbo
confessarvi che mi preoccupo e mi chiedo: cos’è che non facciamo bene? che cos’è
che non riusciamo a testimoniare?
Per questo… quando ci domandiamo che cos’è l’essenziale nella nostra vita, il
cammino è quello del ritorno all’incontro con Colui che dà significato ad ogni
istante, chiedendoci il perché, per che cosa e per chi facciamo le cose, in base a
quale criterio facciamo le nostre scelte e viviamo come viviamo.
Per tutto questo possiamo dire che il nucleo della nostra identità e la ragion
d’essere della nostra vita religiosa è, in definitiva, l’esperienza di Dio. E la
domanda sulla qualità di vita nella vita religiosa diventa, in definitiva, la
domanda circa la qualità di questa esperienza di fede22. Ed è in questo quadro e
21 CG27, Introduzione, p.21, in Giovanni Paolo II, ‘Vita consacrata’,n.93: “La vita spirituale deve essere al primo posto
… Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la
generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni”.
22 La citazione testuale è come segue: “Il nucleo dell’identità e la ragione d’essere della vita religiosa e di ogni vita
cristiana è l’esperienza di Dio. Si può parlare di esperienza di Dio, di fede radicale, di priorità assoluta del Regno di Dio
e della sua giustizia, di vivere la vita in chiave escatologica… Poco importano i nomi. L’importante è tenere ben
presente che tale esperienza nucleare è ciò che dà un significato a tutto in questo genere di vita, è quel che dà qualità di
vita ai suoi membri e fa sì che si tratti veramente di vocazione e non di una semplice professione. La domanda circa la
qualità di vita nella vita religiosa è la domanda circa la qualità di questa esperienza di fede” (in traduzione nostra da:
FERNANDO PRADO (ed.), Adonde el Senhor nos lleve, P.Claretiane, Madrid, 2004, 31).