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Un altro ostacolo che incontriamo – diffuso, e perfino giustificato, soprattutto in questo tempo di
precarietà e fragilità – è la tendenza al rigorismo. Confondendo autorità con autoritarismo, esso
pretende di governare e controllare i processi umani con un atteggiamento scrupoloso, severo e
perfino meschino di fronte ai limiti e alle debolezze propri o altrui (soprattutto altrui). Il rigorista
dimentica che il grano e la zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,24-30) e «che non tutti possono
tutto e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte
dalla grazia. In qualsiasi caso, come insegnava sant’Agostino, Dio ti invita a fare quello che puoi e
a chiedere quello che non puoi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 49). San Tommaso d’Aquino
con grande finezza e sottigliezza spirituale ci ricorda che «il diavolo inganna molti. Alcuni
attirandoli a commettere i peccati, altri invece all’eccessiva rigidità verso chi pecca, così che se
non può averli con il comportamento vizioso, conduce alla perdizione quelli che ha già, utilizzando
il rigore dei prelati, i quali, non correggendoli con misericordia, li inducono alla disperazione, ed è
così che si perdono e cadono nella rete del diavolo. E questo capita a noi, se non perdoniamo ai
peccatori».[6]
Coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di
mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una
prospettiva salvifica. Un educatore «che non teme di porre limiti e, al tempo stesso, si abbandona
alla dinamica della speranza espressa nella sua fiducia nell’azione del Signore dei processi, è
l’immagine di un uomo forte, che guida ciò che non appartiene a lui, ma al suo Signore»[7]. Non ci
è lecito soffocare e impedire la forza e la grazia del possibile, la cui realizzazione nasconde
sempre un seme di Vita nuova e buona. Impariamo a lavorare e a confidare nei tempi di Dio, che
sono sempre più grandi e saggi delle nostre miopi misure. Lui non vuole distruggere nessuno, ma
salvare tutti.
Èurgente, pertanto, trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto
che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni
battezzato – con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti – e non solo dei cosiddetti “attori qualificati”
(cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 120); una partecipazione dove il servizio, e il servizio al più
povero, sia l’asse portante che aiuti a manifestare e a testimoniare meglio nostro Signore, «che
non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt
20,28). Vi incoraggio a continuare a impegnarvi per fare delle vostre case un “laboratorio
ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e
missioni nella Chiesa.[8]
In questo senso, penso concretamente a due presenze della vostra comunità salesiana, che
possono aiutare come elementi a partire dai quali confrontare il posto che occupano le diverse
vocazioni tra di voi; due presenze che costituiscono un “antidoto” contro ogni tendenza clericalista
e rigorista: il Fratello Coadiutore e le donne.
I Fratelli Coadiutori sono espressione viva della gratuità che il carisma ci invita a custodire. La