AGC439_Artime_Lievito


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1. IL RETTOR MAGGIORE
STRENNA 2023
del Rettor Maggiore
Don .Àngel Fernandez Artime
COME LIEVITO
NELLA FAMIGLIA UMANA D'OGGI
La dimensione laicale
della Famiglia di Don Bosco
Torino, 20 dicembre 2022
Introduzione
In occasione del raduno della Consulta Mondiale della Famiglia
Salesiana, tenutasi nel mese di maggio 2022 a Torino-Valdocco,
mi è stato chiesto di approfondire con la Strenna per l'anno
2023, il tema della dimensione laicale della Famiglia salesiana:
una famiglia che cerca di essere sempre fedele al Signore sulle
"orme" di Don Bosco. Il presente commento intende rispondere
a tale richiesta.
Anzitutto, desidero ricordare che la Strenna 2023 è rivolta a
due gruppi di destinatari.
I primi sono gli adolescenti e i giovani di tutte le presenze
della Famiglia di Don Bosco nel mondo - quali primi "destinata-
ri" della missione salesiana. Essi, infatti, fin dalle origini sono
presenti nelle case salesiane e al centro delle attenzioni di qual-
siasi gruppo della nostra famiglia e devono poter conoscere - co-
me cristiani o anche come credenti di altre religioni - la forza di
questo messaggio del Signore: «essere sale della terra e luce del
mondo»; essere lievito nella famiglia umana di oggi. Si tratta di
un impegno molto bello, di un bel modo di vivere la propria vo-

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
cazione; e, contemporaneamente, di una sfida preziosa rivolta a
noi educatori, che abbiamo il compito di accompagnare i giovani
nel cammino della vita, affinché essa sia vissuta all'insegna del-
l'impegno e della responsabilità, nella ricerca della fraternità e
della giustizia per tutti e per ciascuno.
Allo stesso tempo, la Strenna è indirizzata a tutti i gruppi
della Famiglia salesiana, invitati a riscoprire (o a scoprire) la
dimensione laicale propria della nostra famiglia e la complemen-
tarità vocazionale che c'è e che deve esserci sempre tra di noi.
Alla luce di ciò che caratterizza maggiormente la nostra
pedagogia e la nostra spiritualità, intendiamo aiutare soprattut-
to gli adolescenti e i giovani a scoprire che ognuno di loro è chia-
mato ad essere come il lievito di cui parla Gesù: il lievito buono
che aiuta a far crescere e a rendere più grande e saporito il "pa-
n e" della famiglia umana. Ciascuno di loro è chiamato ad essere
un vero protagonista, perché, a modo suo, è «una missione su
questa terra»1•
Per la Famiglia di Don Bosco questo vuole essere un messag-
gio che vigorosamente la sprona nella riscoperta della sua di-
mensione laicale. Infatti, è una famiglia dove la maggioranza dei
membri è costituita da laici: uomini e donne di numerose nazio-
ni e distribuiti in tutti i continenti. Questa varietà che ci con-
traddistingue è già in un dono ed è una responsabilità che non
possiamo eludere. Essere così ricchi di culture e così capillar-
mente presenti nel mondo è frutto della storia della missione e
del carisma nei quali siamo stati generati e che sono dono dello
Spirito.
L'essere insieme come popolo di Dio (la6s = popolo, da cui
laico, cioè membro del popolo) per il bene dei giovani dall'Est
all'Ovest del globo, dal Sud al Nord, è in piena sintonia con
quanto la Chiesa chiede insistentemente da t empo, ed è ciò di
cui il nostro mondo così frammentato ha sempre più bisogno.
I EG, 273; ChV, 25.

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IL RETTOR MAGGIORE 5
Come consacrati e consacrate nella Famiglia Salesia-
na siamo ugualmente invitati a essere "lievito nella pasta del
pane dell'umanità" e a vivere gli uni con gli altri, lasciandoci ar-
ricchire dalla laicità evangelica di tanti fratelli e sorelle. Con lo-
ro, infatti, condividiamo gran parte delle giornate. Pertanto, la
secolarità è già nel nostro DNA di consacrati e consacrate sale-
siani, perché siamo stati generati nella famiglia alla quale ha da-
to vita Don Bosco nel primo Oratorio e che, fin dalle origini, era
composta da consacrati e laici. Siamo nati con questa intensa vi-
cinanza e condivisione tra stati di vita e vocazioni. Insomma e
per dirla in breve: siamo chiamati come Famiglia a donarci e a
completarci a vicenda.
1. Il lievito del Regno
Gesù disse ancora:
«A che cosa posso paragonare il Regno di Dio?
È simile al lievito, che una donna prese
e mescolò in tre misure di farina,
finché non fu tutta lievitata» (Le 13,20-21)
Il lievito lavora silenziosamente. La lievitazione avviene nel si-
lenzio, così come l'operare del Regno di Dio; lavora "dal di dentro".
Chi, infatti, ha potuto ascoltare il lievito mentre agisce sulla
farina e sulla pasta in cui è stato messo, mentre fa lievitare l'in-
tera massa? Questa immagine permette di comprendere l'azione
del Regno di Dio. Lo stesso apostolo Paolo presenta il Regno a
partire richiamando l'essenziale: «II Regno di Dio, infatti, non è
cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo»
(Rom 14,17). Ebbene, questo è il modo di agire interiormente e
invisibilmente dello Spirito; è il lievito messo nel cuore. E come
il lievito svolge la sua azione per contatto diretto, così accade per
il Vangelo.

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La parabola del lievito, scelta come tematica della Strenna
2023, ha una grande saggezza evangelica e pedagogica e presenta
una forte valenza educativa: esprime in modo compiuto la
natura del Regno di Dio che Gesù ha vissuto ed insegnato.
Ci sono varie interpretazioni e accentuazioni possibili. La
mia scelta interpretativa per la Strenna di quest'anno è di pre-
sentare il lievito come l'immagine-simbolo della fecondità e della
crescita tipiche del Regno di Dio. Regno che nel cuore delle per-
sone feconda la chiamata alla vita, la vocazione dove Dio ci ha
piantato, orientando la missione dei laici e dell'intera famiglia
di don Bosco in tutto il mondo.
«Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta» (Gal 5,9).
È sorprendente come una porzione di farina raddoppi o triplichi
il proprio volume, grazie all'aggiunta di una piccola porzione di
lievito. Il Signore dice che il R egno di Dio è come il lievito con cui
si fa lievitare la farina impastata con cui si prepara il pane. Il lie-
vito, come sottolinea Gesù , non l'elemento presente in grande
quantità. Al contrario, se ne usa pochissimo. Ma ciò che lo distingue
è di essere l'unico ingrediente vivo e, poiché è vivo, ha la forza
di infl,uenzare, condizionare e trasformare l'intera pasta.
Possiamo affermare, quindi, che il Regno di Dio è
«una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per en-
trare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle
proprie capacità, ma nella potenza dell'amore di Dio; non agire per es-
sere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che
predilige i semplici e gli umili. Certamente il Regno di Dio richiede la
nostra collaborazione, ma è soprattutto iniziativa e dono del Signore.
La nostra debole opera, apparentemente piccola di fronte alla comples-
sità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non h a paura
delle difficoltà. La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spun -
tare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci
apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie,
le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia
e si sviluppa, perché lo fa maturare l' amore misericordioso di Dio»•.
2 F RANCESCO, Angelus, Roma 14 giugno 2015.

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IL RETTOR MAGGIORE 7
2. Un Regno di Dio che germoglia nel nostro mondo, tra
luci e ombre
Nel Vangelo il Regno viene con Gesù stesso: è la sua presenza,
la sua parola - lui, il Verbo fatto carne. È il suo modo di vivere
con la gente, mescolandosi con persone di ogni estrazione sociale,
tra cui predilige proprio coloro che altri escludono. C'è un passag-
gio del vangelo secondo Matteo che apre una finestra sul modo
di essere Regno di Dio vissuto da Gesù.
Allora i farisei uscirono
e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là.
Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti
e impose loro di non divulgarlo,
perché si compisse ciò che era stato detto
per mezzo del profeta Isaia:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni»
(Mt 12,14-21)
Gesù stesso opera come lievito in mezzo alla gente più comune,
tra i poveri e i malati bisognosi di guarigione.
«Ed egli guarì tutti»: è un volto "laicale" quello di Gesù, in
mezzo al laos, al suo popolo, dove non c'è differenza di ceto so-
ciale o provenienza; dove t utti sembrano essere accomunati dal-
la povertà e dal bisogno di aiuto. Una vulnerabilità che non Gli
è estranea - come mostrano i primi versetti dove si parla della

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
aperta ostilità dei farisei: segno premonitore della croce che si
sta avvicinando e dove il suo farsi povero per arricchirci raggiun-
gerà pieno compimento (Cfr. 2 Cor 8,9).
«Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e
credete nel Vangelo» (Mc 1,15). L'espressione si trova 122 volte nel
Vangelo e 90 volte sulle labbra di Gesù. Come ha espresso tante
volte il grande teologo Karl Rahner, è evidente che al centro della
predicazione di Gesù c'è il Regno di Dio. Gesù ha vissuto pienamen-
te il Regno, dimostrando nei fatti l'amore incondizionato di Dio per
gli ultimi, e il suo stile di vita viene assunto per osmosi dai dodici
e continua nella prima Chiesa: «Chi crede in me anch'egli compirà
le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (Gu 14,12).
Anche oggi riconosciamo che è tanto il bene che si fa e che
cresce a tutte le latitudini, in questo Regno in costruzione. Rico-
nosciamo altresì la presenza di tanto dolore: un'afflizione che
spesso è conseguenza diretta del nostro modo di stare e di agire
all'interno della famiglia umana.
Siamo chiamati ad aprire i nostri occhi e i nostri cuori al mo-
do di agire di Dio che stabilisce il suo Regno secondo le sue vie.
È sintonizzandoci con il suo modo di essere e di agire che colla-
boriamo con Lui, come operai nella sua vigna. Diversamente ces-
sa di essere "di Dio" e diventa soltanto opera nostra.
L'apertura universale che ci caratterizza come Famiglia Sa-
lesiana è in piena sintonia con il Vangelo del Regno. La vicinan-
za a così tante e diverse comunità umane in circa il 75% dei pae-
si del mondo è già in sé stessa un potenziale formidabile di unità
e di missione. La Chiesa è formata per oltre il 99% da laici. Im-
maginiamo come aumenta la proporzione se si considera e se si
abbraccia l'intera famiglia umana: i laici sono la pasta oltre che
lievito del Regno. Come già scriveva San Giovanni Paolo Il, oltre
30 anni fa, in questo vasto mondo «la missione è solo agli inizi»3•
3 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio, Roma 7 dicembre
1990, n. 40.

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IL RETTOR MAGGIORE 9
A volte il nostro contributo umano o il nostro piccolo sforzo
possono sembrare insignificanti, ma sono sempre preziosi da-
vanti a Dio. Non dobbiamo e non possiamo misurare l'efficacia
o i risultati dei nostri sforzi calcolando quanto investiamo in es-
si, la fatica che ci richiedono, come se fossero gli unici fattori in
gioco, poiché la ragione e il movente di tutto è Dio. Non perdia-
moci in scuse che paralizzano la missione e la costruzione del
Regno. Anche per Don Bosco l'ottimo poteva essere nemico del
bene: non occorre attendere circostanze ideali per muovere un
primo passo. Essere coscienti del nostro limite, liberi da trion-
falismi e autoreferenzialità sterili, e allo stesso tempo pieni di
fiducia, sicuri che sempre «avvi un punto accessibile al bene (MB
V, 367; MB V, 266): questo è lo stile del Regno vissuto secondo il
carisma salesiano.
Guardando la realtà con gli "occhi" e con il "cuore" di Dio
comprenderemo che piccolezza e umiltà non significano debolez-
za e inerzia. È poco quello che possiamo fare di fronte al molto
che ci viene richiesto. Tuttavia, mai è «non abbastanza» o irrile-
vante, perché è Dio che fa crescere. È la forza di Dio che viene
in aiuto . Ed è Dio che alla fine accompagna il nostro impegno,
i nostri sforzi, il nostro essere povero lievito nella pasta. A con-
dizione di operare tutto e sempre nel suo nome.
3. La famiglia umana ha bisogno di figli e figlie responsabili
«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono
pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli
di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco
nel loro cuore»4
Così inizia la Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II
Gaudium et Spes. Fra tre anni ricorderemo il 60° della sua
~ GS, 1.

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
promulgazione5• Essa ha segnato e continua a segnare l'orizzon-
te entro cui la Chiesa è chiamata a muoversi: un panorama così
familiare per chi nella Chiesa e nel mondo porta avanti una mis-
sione come quella di Don Bosco, dove la vitalità giovanile e la
compassione per chi è povero e soffre sono sempre compresenti.
È un invito a sentirci solidali ed entrare senza paura in
questo tempo che ci è dato di vivere, con sfide che sembrano
crescere sempre più in intensità, che sono sempre più globali e
dove i primi ad esserne toccati, spesso in modo tragico, sono le
fasce più giovani della popolazione.
È una spinta a scoprire il significato della propria esistenza
nella consapevolezza che la mia vita non è mai isolata da quella
di tutti gli altri. L'"io" e il "noi" possono esistere e vivere bene
solo insieme. La parabola del lievito e la proposta di questa
Strenna aiutano a sintonizzarci con l'evolversi nel tempo dei
processi che disegnano la storia umana. Il lievito amalgamato
con la massa del pane ha bisogno di un tempo proprio per fer-
mentare; e anche noi abbiamo una r esponsabilità e un impegno
nella costruzione di questa famiglia umana affinché il mondo sia
più vivibile, più giusto, più fraterno.
Conosciamo il tanto bene che ci circonda, ma anche quanta è
la sofferenza, l'ingiustizia, la pena che ancora attanaglia il mon-
do in cui viviamo, come ho già detto. Papa Francesco ci ricorda
proprio questo, quando afferma:
«Ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle genera-
zioni preceden ti e condurle a mete ancora più alte. E il cammino. Il be-
ne, come anch e l'amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono
una volta per sempr e; vanno conquistati ogni giorno. Non è possibile
accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e fermarsi, e
goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che molti nostri fra-
telli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti»6
5 La Costituzione è stata promulgata in occasione della celebrazione dei
vespri della Solennità dell'Immacolata Concezione, il 7 dicembre 1965.
6 FRANCESCO, Incontro con le autorità, la società civile e il Co,po diploma-
tico. Santiago de Chile (16 di gennaio 2018), citato in Fratelli tutti, 11.

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IL RETTOR MAGGIORE 11
Cresce il grido dei poveri, la maggioranza dei quali sono bam-
bini, adolescenti e giovani: abbiamo davanti sfide che sono tanto
estese quanto prossime a quelle che troviamo alle origini della
nostra missione. Siamo fatti per questo tempo non meno di
quanto Don Bosco lo è stato per il suo. Sentiamo forte l'appello
che viene dalla famiglia umana della quale siamo parte come
singoli e come comunità; famiglia segnata e ferita dal bisogno
pressante di giustizia e di dignità per gli ultimi e gli scartati7;
bisognosa di pace e di fraternità8; di cura della casa comune9•
Non meno forte e radicale, cioè alla radice di ogni altro ane-
lito, sono il bisogno di verità10 e il bisogno di Dio11
Di fronte a questa realtà, dobbiamo essere molto consapevoli
del fatto che non possiamo rimandare a domani il bene che
possiamo e dobbiamo fare oggi. Siamo chiamati a essere lievito
che trasforma la famiglia umana dal suo interno. È un mandato
fondamentale e coincide con la nostra stessa vita, con l'essere
umani: nessuno può tirarsi fuori o ritenersene escluso.
Perciò come membri della Famiglia di Don Bosco e ispiran-
doci alla dinamica evangelica del lievito, intendiamo approfon-
dire e riconoscere la ricchezza dell'essere parte di questa Fami-
glia, umana e salesiana, dove tanti in questa famiglia di Don
Bosco sono laici e laiche, e dove come consacrati dobbiamo ar-
ricchirci con questa complementarità12• L'essere laico è uno sta-
to di vita, una vocazione che caratterizza in modo così prepon-
derante tutte le presenze nel mondo che in vario modo si identi-
ficano o sintonizzano con la Famiglia di Don Bosco. Riconoscenti
e uniti come un'autentica famiglia vogliamo valorizzare al me-
glio nelle diverse culture e società, il dono della loro vita, la forza
1 Cfr. FT, 15-17; 18-21; 29-31; 69-71; 80-83; 124-127;234.
8 Cfr. FT 88-111; 216-221; ChV 163-167.
9 Cfr. tutta l 'Enciclica Laudato Si'.
IO Cfr. LF 23-25; FT 226-227.
II Cfr. LF 1-7; 35; 50-51; 58-60.
12 Cfr. J.E. VEccm, La famiglia salesiana compie uenticinque anni, in
Educatori appassionati esperti e consacrati per i giouani. Lettere circolari ai
Salesiani di don Juan E. Vecchi, a cura di Marco Bay, LAS, Roma 2013, 137.

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
della loro fede, la bellezza della loro famiglia, la loro esperienza
di vita e di lavoro, il loro talento nell'interpretare e vivere il cari-
sma e la missione di Don Bosco per i giovani e il mondo di oggi.
4. Il laico: un cristiano che "santifica il mondo dal di dentro"
Le cose stanno così: il laico nella Chiesa e nella Famiglia sa-
lesiana è e sarà sempre più un cristiano impegnato che "santifi-
ca il mondo dal di dentro".
Uno sguardo corretto e attento all'ecclesiologia proposta dal
Concilio Vaticano II consente di dichiarare che oggi, soprattutto
come cristiani, non possiamo accettare (e tanto meno incorag-
giare) un dualismo tra sacro e profano nella realtà di un mondo
che è stato creato da Dio. Sicuramente questa deriva dualista si
è verificata nel momento in cui la legittima autonomia delle "co-
se secolari", in contrapposizione alle cose "sacre" o religiose, non
è stata adeguatamente compresa.
La Chiesa, fin dalle origini del cristianesimo e soprattutto
a partire dal Concilio Vaticano II, ha riconosciuto chiaramente
il rapporto del cristiano con il mondo in cui vive; anche in una
società dove essere cristiano era ed è qualcosa di marginale.
Nella Lettera ''A Diogneto" (II secolo d.C.) - a mio parere una
bellissima opera della letteratura cristiana antica- è offerta una
splendida descrizione del cristiano nel mondo:
«I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il luogo in cui
vivono, né per la loro lingua, né per i loro costumi. Essi, infatti, non
hanno città proprie, né usano un linguaggio insolito, né conducono un
tipo di vita diverso. Il loro sistema di dottrina non è stato inventato
dal talento e dalla speculazione di uomini dotti, né, come altri, profes-
sano un insegnamento basato sull'autorità degli uomini.
Vivono in città greche e barbare, secondo la loro sorte; seguono i co-
stumi degli abitanti del paese, sia nel vestire che nell'intero modo di
vivere, eppure mostrano un tenore di vita ammirevole e, a detta di tut-
ti, incredibile. Abitano nel loro paese, ma come stranieri; partecipano

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
a tutto come cittadini, ma sopportano tutto come stranieri; ogni terra
straniera è per loro una patria, ma sono in ogni patria come in una
terra straniera. [...]
Per dirla in breve: i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel
corpo. L'anima, infatti, è dispersa in tutte le membra del corpo; così
anche i cristiani sono dispersi in tutte le città del mondo [...] »19•
È un testo magnifico e molto utile per capire la laicità
cristiana che intendiamo presentare e che abbiamo indicato nel
titolo della Strenna con "dimensione laicale" della vita cristiana
e della nostra Famiglia salesiana.
La Famiglia salesiana di Don Bosco è chiamata oggi a vivere
nel mondo come lievito, collaborando, a partire dalla propria
condizione di credente, alla costruzione di un mondo migliore,
ovunque siamo, indipendentemente dalla nazione, dalla cultura
e dalla religione. La Chiesa ha dato un nome a questo ampio
campo d'azione: indole secolare della vocazione dei laici.
«Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici [...] Per
loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattan-
do le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel seco-
lo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nel-
le ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro
esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribui-
re, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del
mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito
evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri prin-
cipalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col ful-
gore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro, quindi,
particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose
temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano
fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode
al Creatore e Redentore»14•
13 Lettera a Diogneto (Cap. 5-6; Funk 1, 317-321).
14 LG, 31. L'esortazione apostolica Christifideles laici (1988), sintetizza
molto bene che è compito di tutti i battezzati, anche se in modi diversi, essere

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
E non è meno vero che la condizione dei fedeli laici è comune
a tutti, e che tutti siamo corresponsabili del Regno.
«Teologicamente, la laicità di tutta la Chiesa si comprende a
partire dal significato della relazione chiesa-mondo, e dal sacer-
dozio comune, dalla profezia e dalla dimensione regale; ogni bat-
tezzato è membro di una chiesa che deve servire il mondo per
rendere presente la volontà salvifica di Dio e il suo Regno, anche
se ogni battezzato esercita o sviluppa questa laicità in modo
particolare, così che c'è una diversità di ministeri e funzioni e,
in una certa misura, di "presenza e situazione" nel mondo, nella
storia e n ella società»t5•
È importante capire in cosa consiste questo "stile cristiano"
come modo di essere presenti nella società, in linea con il Conci-
lio Vaticano 1!16; la via da seguire per l'evangelizzazione e l'azio-
ne missionaria della Chiesa in una società in cui la religiosità
non può più essere data per scontata come se fosse qualcosa di
ovvio e sempre presente.
Riconoscendo !'"autonomia del profano" come un aspetto le-
gittimo della secolarità, la teologia si preoccupa di distinguere
tra l'autonomia dei compiti profani e il regno del religioso, con il
diritto legittimo alla coesistenza di entrambe le realtà. In altre
parole, mette in luce l'aspetto legittimo della laicità, che è molto
diverso dal "secolarismo" legato a una secolarizzazione radicale
nemica di tutto ciò che è religioso. Il fatto religioso nei suoi vari
lievito nel mondo: «Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito,
pw· riguardando indistintamente tutti i discepoli di Gesù, trovano una specifi-
ca applicazione ai fedeli laici. Sono immagini splendidamente significative, per-
ché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli
laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la
novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione destinati alla
diffusione del Vangelo che salva» (Cfr. ChL 15).
16 R. BERZOSA, «i Una teologia y espiritualidad laical? », Revista Misi6n
Abierta, (mercaba.org/fichas/laico).
16 Cfr. C. THEOBALD, La fede nell'attuale contesto europeo. Cristianesimo
come stile, Queriniana, Brescia 2021, 96-146.

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
"credo" ha tutto il diritto di esistere e di avere la "carta di citta-
dinanza". Il Concilio Vaticano II è decisivo a questo proposito:
«Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno
troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita
l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e
le stesse società hanno leggi e valori propri, ch e l'uomo gradatamente
deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'auto-
nomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli u omini del no-
stro tempo, ma è anche conforme al voler e del Creatore (...)
A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti
mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, deri-
vati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia
della scienza, (. .. ) Se invece con l'espressione "autonomia delle r ealtà
temporali" si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e
ch e l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno
che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura,
infatti, sen za il Creatore svanisce»17
L'antropologia cristiana deve cercare oggi, come in passato,
di tradurre i valori e il messaggio di salvezza trasmessi dal Van-
gelo nel linguaggio delle diverse società e culture del mondo. Si
tratta di armonizzare la legittima autonomia dell'uomo con la
validità, l 'autenticità e la coerenza della fede cristiana. Questa è
la sfida per il credente, per i fedeli cristiani e per noi nella nostra
missione come Famiglia di Don Bosco: rispetto per tutti, ma pau-
ra e vergogna per la nostra condizione di credenti, imai e con
n essuno!
La Chiesa, con la voce del Concilio Vaticano II, ci ricorda che
è un grave errore separare la vita quotidiana dalla vita di fede.
«Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadi-
nanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo
possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece
proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione
di ciascuno.
A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi im-
11 GS, 36.

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
mergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tut-
to estranee alla vita religiosa , la qua le consisterebbe, secondo loro,
esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.
La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la
loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro
t e m p o »18
Si tratta di vivere come cristiani in un mondo che non sarà
migliore senza il piccolo lievit o che il cristianesimo porta al mon-
do creato da Dio. È dall'umiltà, ma anche dalla convinzione del
valore della nostra fede, nel dialogo con società e culture diverse,
che possiamo contribuire a migliorare la vita delle persone che
ci circondano, rinunciando a qualsiasi logica di proselitismo o di
imposizione. Per dirla con le parole di un magnifico pastore, e
uomo di riflessione capace di dialogare con la cultura, il cardina-
le Carlo Maria Martini: «Brandire un credo, sia esso scientifico,
fùosofico o teologico, per far quadrare i conti imponendo una so-
luzione, è una premessa dolorosa per un'ideologia che è fonte di
violenza»19• Ma non è nemmeno accettabile che il cristiano di
tutti i tempi - e soprattutto di oggi - pratichi un comodo ireni-
smo o un "buonismo" che riduce la coerenza, la testimonianza e
l'autenticità personale e comunitaria.
E , come il lievito nella pasta passa quasi del tutto inosserva-
to, così la nostra collaborazione all'edificazione della Chiesa e al-
la costruzione di una società più umana, più giusta e più confor-
me alla volontà di Dio, ci chiede di considerare che è più impor-
tante fare il bene rispetto al fatto che il bene che viene fatto sia
attribuito a noi; la cosa più importante sarà sempre contribuire
al bene della società e del mondo, anche "senza copyright",
senza confondere l'azione efficace con il protagonismo, ricono-
scendo anche che il bene fatto dagli altri vale almeno quanto il
nostro. Se non ne siamo convinti, rileggiamo il passo del Vangelo
in cui il Signore corregge i suoi discepoli per aver cercato di
18 GS, 43.
19 Cfr. C. M. MARTIN!, Los movimientos en la Iglesia, LEV, 1999, p. 156
(la traduzione in italiano è nostra).

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
fermare il bene che gli altri facevano, anche se non erano del
"loro gruppo".
Dobbiamo esercitarci a fare una lettura credente della realtà
che includa gli altri, promuovendo il dialogo con gli altri, con la
cultura, con i media, con gli intellettuali, con chi la pensa diversa-
mente e anche in opposizione a noi. Sono le abitudini virtuose che
il nostro modo di stare nel mondo richiede, lo "stile cristiano e sa-
lesiano" che possiamo portare alla visione del mondo e delle cose.
Questo stile ci permetterà di intrecciare relazioni con altre
persone consacrate, con altri ministri ordinati, con altri fedeli
laici, con altri cristiani e con altri uomini e donne di altre reli-
gioni. Sembra che questo sia un buon modo di essere «chiamati
a contribuire, quasi dall'interno come lievito, alla santificazione
del
mondo
»20
Un
modo
di
fare
che
ci
mette
in
sintonia
con
«la
vocazione universale alla santità nella Chiesa»21 E poiché la
Chiesa è coinvolta nel mondo nella duplice dimensione trascen-
dente e immanente, ogni cristiano deve essere segno del Regno
di Dio già presente nella storia umana. Se la pietà e la devozione,
la vita di preghiera e la vita sacramentale sottolineano il profilo
trascendente di questa santità, l'impegno sociale a favore della
giustizia e della fratellanza umana sottolinea, per noi, la dimen-
sione cristiana immanente. Come Don Bosco, viviamo con i piedi
per terra e gli occhi fissi al cielo. In questo senso, un membro
qualificato della nostra Famiglia salesiana ci ha offerto la pro-
pria riflessione vitale di laico nel mondo e nella Famiglia di Don
Bosco, definendo i laici credenti nella Chiesa e nella Famiglia
di Don Bosco come quegli uomini e quelle donne dalla triplice
appartenenza: appartenere a Cristo, appartenere alla Chiesa e
appartenere al mondo22•
20 Lumen gentium, 31.
21 Titolo del capitolo V della Lumen gentium.
22 Cfr. A. BOCCIA, Credenti Laici nella Chiesa e nella Famiglia di Don Bo-
sco. Uomini e donne delle tre appartenenze, Edizione privata.

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Papa Francesco, nel bellissimo incontro che abbiamo avuto
con lui in occasione della canonizzazione di Artemide Zatti, nel
presentarlo come "parente di tutti i poveri", ci ha ricordato che fa
parte della nostra vocazione salesiana essere educatori del cuore,
preparando le persone, soprattutto i giovani, al mondo di oggi:
«Così un ospedale è diventato la "Locanda del Padre", segno di una
Chiesa che vuole essere ricca di doni di umanità e di Grazia, dimora
del comandamento dell' amore di Dio e del fratello, luogo di salute
quale pegno di salvezza. È vero anche che questo entra nella vocazione
salesiana: i salesiani sono i grandi educatori del cuore, dell'amore,
dell'affettività, della vita sociale; grandi educatori del cuore»23•
Portare nella Chiesa e nel mondo il dono del carisma laicale
vissuto nella Famiglia salesiana è una risposta vocazionale che
ci porta ad essere presenti come segni e testimoni, in dialogo
e offrendo l'umile servizio di ciò che siamo per il bene comune.
È dalla e nella stessa vita laicale, che in molti casi passa at-
traverso la specifica vocazione in famiglia e dalla professionalità
nel mondo, che i laici, e in particolare i laici cristiani, i laici della
famiglia di Don Bosco, sono chiamati a stabilire, promuovere e
sostenere i valori evangelici nella società e nella storia, contri-
buendo alla consacratio mundi, alla consacrazione del mondo,
all'instaurazione del Regno di Dio qui e ora.
San Francesco di Sales,. del quale abbiamo appena terminato
le celebrazioni in occasione del quarto centenario dalla morte, è
uno dei profeti più singolari e fecondi nella storia della Chiesa
in grado di illuminare la grandezza della vocazione di ognuno.
Così è stato per tanti laici di ogni estrazione sociale che lui ha
personalmente accompagnato, aiutandoli a fiorire nel giardino
in cui sono stati posti dal Signore, fino alla santità piena.
San Francesco di Sales rimane una fonte di ispirazione sempre
nuova e insostituibile per chi si riconosce come "salesiano" ,
qualunque sia il suo stato di vita.
23 FRANCESCO, Discorso nell'udienza alla Famiglia Salesiana convenuti per
la canonizzazione del Beato Artemide Zatti, Aula Paolo VI, Roma, 8 ottobre 2022.

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
Nella recente Lettera Apostolica che Papa Francesco ha
offerto a tutte le famiglie religiose che si rifanno al carisma di
San Francesco di Sales, è messa in evidenza l'importanza della
spiritualità che il Santo ginevrino proponeva ai suoi tempi e che
oggi è di estrema attualità nella teologia dei laici.
«Quasi tutti quelli che hanno trattato della devozione si sono interes-
sati di istruire persone separate dal mondo o, perlomeno, hanno inse-
gnato un tipo di devozione che porta a questo isolamento. Io intendo
offrire i miei insegnamenti a quelli che vivono nelle citta, in famiglia,
a corte, e che, in forza del loro stato, sono costretti, dalle convenienze
sociali, a vivere in mezzo agli altri»2\\
È per questo che sbaglia molto chi pensa di relegare la devo-
zione a qualche ambito protetto e riservato. Piuttosto, essa è
di tutti e per tutti, ovunque siamo, e ciascuno la può praticare
secondo la propria vocazione. Come scriveva San Paolo VI nel
quarto centenario della nascita di Francesco di Sales:
«La santità non e prerogativa dell'uno o dell'altro ceto; ma a tutti
i cristiani è rivolto il pressante invito: "Amico, sali più in alto"
(Le 14,10); tutti sono vincolati dall'obbligo di salire il monte di Dio,
anche se non tutti per la stessa via. "La devozione dev'essere esercitata
in modo diver so dal gentiluomo, dall'artigiano, dal cameriere, dal
principe, dalla vedova, dalla giovane, dalla sposa. Ancor più, la pratica
della devozione deve essere adattata alle forze, agli affari e ai doveri
di ognuno"»26•
Attraversare la città secolare, custodendo l'interiorità, coniu-
gare il desiderio di perfezione con ogni stato di vita, ritrovando
un centro che non si separa dal mondo, ma insegna ad abitarlo,
ad apprezzarlo, imparando anche a prendere le giuste distanze
da esso: questo era il suo intento e continua a essere una lezione
preziosa per ogni donna e uomo del nostro tempo.
2
S.
FRANCESCO DI
SALES,
Introduction
à
la
vie
d éuote,
I,l:
ed.
Ravier
-
Devos, Paris 1969, 23 (nostra traduzione in lingua italiana).
25 PAOLO VI, Epist. Ap. Sabaudiae gemma, nel IV centenario della nascita
di san Francesco di Sales, dottore della Chiesa (29 gennaio 1967), in AAS 59
(1967), 119.

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È questo il tema conciliare della vocazione universale alla
santità:
«Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e di una tale gran-
dezza, tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore,
ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione e quella stessa
del Padre celeste» (LG 11) . "Ognuno per la sua via" dice il Concilio.
«Dunque, non e il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli
di
santità
che
appaiono
ir
raggi
u
n
g
ibili
»26
La madre Chiesa ce li propone non perché cerchiamo di
copiarli, ma perché ci spronino a camminare sulla via unica e
specifica ch e il Signore ha pensato per noi. «Quello che conta è
che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emerge-
re il meglio di sé, quanto di cosi personale Dio ha posto in lui
(Cfr. 1 Cor 12,7)»27•
La Chiesa, «insieme di coloro che sono chiamati» stando al
significato originario del termine, vive grazie alla ricchezza di
ogni vocazione che la definisce. Ogni chiamata è a servizio di tut-
te le altre e soltanto nel donarsi riesce a esprimere e ritrovare la
sua piena identità. I doni non sono proprietà privata ed esclusiva
di un gruppo. Come battezzati tutti partecipiamo del sacerdozio
di Cristo, della profezia e della regalità di Lui che è venuto per
servire e dare la vita. Il ministero ordinato si comprende soltan-
to come un servizio al sacerdozio comune di tutti i fedeli. Così
pure quanto è tipico della condizione laicale è un dono per tutti
che entra nella vita e nella chiamata di ogni altro membro del-
l'unico corpo di Cristo. La "dimensione secolare" è quindi con-
divisa anche da chi appartiene alla vita consacrata o al ministero
ordinato: la storia di don Bosco ce ne offre una splendida evi-
denza . Don Bosco è un prete della diocesi di Torino che fonda
due congregazioni di consacrati e consacrate, e altre due asso-
ciazioni laicali; e con tutti loro, e con tanti altri che sa coinvol-
26 Gaudete et exsultate, 10-11.
27 FRANCESCO, Lettera Apostolica Totum amoris est, nel N Centenario della
morte di San Francesco di Sales, LEV, Città del Vaticano 2022, 32-34.

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
gere, si immerge intensissimamente nel "secolo" in cui vive, nel-
la vita e nei problemi di centinaia di migliaia di giovani, supe-
rando senza paura grandi difficoltà e confini, con una fecondità
che ispira oggi milioni di persone - al di delle differenze
nazionali, culturali, religiose.
Essere cristiano ed essere laico apre la via per far fruttificare
al massimo della intensità il talento laicale, secolare, impegnan-
dolo nella infinita ricchezza di possibilità che si aprono a chi vive
nel mondo animato da fede, speranza e carità. Il Concilio Vatica-
no II lo ha proclamato con chiarezza:
«Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando
le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè
implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie
condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come
intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno
a modo di fermento28, alla santificazione del mondo esercitando il
proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo
a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza del-
la loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e ca-
rità. A loro, quindi, particolarmente spetta di illuminare e ordinare
tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo
che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di
lode al Creatore e Redentore»29•
Non è compito del commento alla Strenna definire tutti gli
ambiti e le realtà di vita in cui la presenza dei laici è trasforman-
te e può diventare quel lievito del Regno di Dio che nessun altro
potrebbe "impastare" con la stessa efficacia e capillarità. In ogni
caso, nella Chiesa i laici hanno uno spettro ampio e complesso
di potenzialità e di sfide, di situazioni da affrontare che sono al
contempo altrettanti appelli per chi desidera essere «sale della
terra e luce del mondo». Un cammino che la Strenna di questo
211 Faccio notare che l'indicazione in corsivo e in grassetto è una mia scelta,
proprio per evidenziare il tema che questo commento alla Strenna 2023 inten-
de sottolineare in modo specifico.
29 LG, 31.

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
anno invita e spinge a riprendere, intensificare, fare proprio con
coraggio e generosità rendendo attuale il messaggio della Chiesa
stessa quando dice:
«Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso:
quello di t antissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita
e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incom-
presi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Pa-
dre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore,
sono gli artefici umili e grandi - certo per la potenza della grazia di
Dio - della crescita del Regno di Dio nella storia»30•
Non c'è alcun dubbio che per tutti i laici della Famiglia sale-
siana di oggi - e per i consacrati e le consacrate che vivono gior-
no per giorno arricchiti dalla loro vocazione e complementarietà
- il mondo, la società, l'economia e la politica, l'azione sociale
a servizio degli altri, la vita cristiana nella quotidianità sono e
devono essere sempre un luogo teologico di incontro con Dio:
«Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice [dei laici] è il
mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'eco-
nmnia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita in-
ternazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di
altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore,
la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro pro-
fessionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evan-
gelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in es-
se, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta
la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più
queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente
umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso scono-
sciuta, si troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio,
e quindi della salvezza in Gesù Cristo»3'.
30 ChL , 17.
31 EN, 70.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
5. La famiglia di don Bosco chiamata ad essere lievito
Don Bosco è stato capace di coinvolgere così tante persone,
facendole diventare protagoniste attive e intraprendenti dello
stesso sogno di salvezza per i giovani. Don Giulio Barberis ha
annotato con cura quanto Don Bosco ha detto rivolgendosi ai
giovani più grandi dell'Oratorio la sera della festa di San Giu-
seppe, il 19 marzo 1876, poco più di cinque mesi dopo la parten-
za dei primi missionari per la Patagonia. Riferendosi al campo e
alla vigna delle parabole evangeliche e forte della sua personale
esperienza di vita contadina, aiuta i giovani a Valdocco a com-
prendere come tutti possono fare la loro parte, sempre preziosa
e importante, per la crescita del Regno di Dio. È un esempio tan-
to laico quanto evangelico ed ecclesiale di come siamo chiamati
a far fruttare i nostri talenti insieme, ciascuno secondo la sua
storia di vita, capacità e chiamata. Così, don Barberis riprende
le parole di don Bosco, che ci sembreranno senza dubbio della
massima rilevanza teologica:
«Il divin Salvatore, e voi lo capite a sufficienza, per campo o vigna che
gli stava d'attorno intendeva di parlai:e della Chiesa e di tutti gli uo-
mini del mondo; la messe da farsi consiste nella salvezza delle anime,
ché tutte le anime devono esser raccolte e portate nel granaio del Si-
gnore; oh quanto copiosa è questa messe; quanti milioni d'uomini sono
su questa terra! quanto lavoro sarebbe ancora a farsi per ottenere che
tutti si salvino; ma operarii autem pauci, gli operai son pochi.
Per operai che lavorano nella vigna del Signore s'intendono tutti colo-
ro che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime. E, notate
bene, che operai qui non s'intendono solo, come alcuno può credere,
i sacerdoti, predicatori e confessori, che certo più di proposito son posti
a lavorare e più direttamente s'affaticano a raccoglier la messe, ma
essi non son soli, essi basterebbero. Operai son tutti quelli che
in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime; come operai
nel campo non son solo quelli che raccolgono il grano, ma anche tutti
gli altri.
Guardate in un campo, questa varietà di operai. Vi è chi ara, chi disso-
da la terra; altri che colla zappa l'aggiusta; chi col rastrello o randello
rompe le zolle e le appiana; altri getta la semente, altri la copre; chi
toglie poi l'erba cattiva, la zizzania, il loglio, la veccia; chi sarchia, chi

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sradica, chi taglia; altri poi innaffia a tempo opportuno ed incalza; altri
invece miete e fa manipoli e covoni e borle - in dialetto piemontese si-
gnifica il cumulo dei covoni -, e chi carica sul carro e chi conduce; chi
stende, chi batte il grano; chi separa il grano dalla paglia; altri lo avac-
cia - raduna insieme-, lo pw·ga, lo vaglia, lo mette nella sacca, lo porta
al molino e qui da vari si rende in farina; poi chi lo buratta - burattare
è termine arcaico per setacciare-, chi l'impasta, chi l'inforna.
Vedete miei cari, quanta varietà d'operai si richiede prima che la messe
possa riuscire al suo scopo a ridarci cioè pane eletto del paradiso. Come
nel campo, così nella Chiesa, c'è bisogno d 'ogni sorta d'operai, ma pro-
prio di tutti i generi; non c'è uno il quale possa dire: 'Io benché tenga
condotta irreprensibile, sarò buono a niente nel lavorare a maggior
gloria di Dio'. No, non si dica così da nessuno; tutti possono in qualche
modo far qualche cosa»32•
Siamo nati carismaticamente come comunità e come comunio-
ne di persone di differente estrazione sociale, stato di vita, profilo
professionale... uniti dalla stessa missione e motivati dalla stessa
carica carismatica che Don Bosco sa comunicare33• Questa è lana-
tura dell'Oratorio negli anni della sua fondazione, dal 1841 al 1859:
(18 anni!), nei quali si rispecchia ancora fortemente questa sinergia
di popolo di Dio che in vario modo coopera per fare dei giovani
più a rischio «buoni cristiani e onesti cittadini». È innegabile il
fatto che siamo nati fin da subito come insieme di popolo di Dio:
è la natura del nostro carisma e della nostra missione.
Sono molto consapevole - e cerco di trasmettere questa
coscienza a tutta la nostra Famiglia salesiana - di un fatto par-
ticolarmente evidente: soltanto insieme, soltanto vivendo in
comunione potremo fare qualche cosa di significativo oggi.
Ho lanciato un forte appello a tutta la Congregazione sa-
lesiana riguardante la nostra missione condivisa con i laici -
appello che serve a tutta la Famiglia di don Bosco - e non ascol-
tarlo condurrebbe, in un futuro non molto lontano, ad un punto
di pericoloso non ritorno.
32 ISS, Fonti salesiane, 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 716-717.
133 J.E. VECCHI, La famiglia salesiana compie venticinque anni, 140-142.

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
Ho dichiarato:
«Il nostro CG24 è stato certamente una risposta carismatica all'eccle-
siologia cli comunione del Vaticano Il. Sappiamo bene che Don Bosco,
fin dall'inizio della sua missione a Valdocco, ha coinvolto tanti laici,
amici e collaboratori in modo che fossero partecipi della sua missione
tra i giovani. Da subito egli "suscita condivisione e corresponsabilità
da parte cli ecclesiastici, laici, uomini e donne"34• Si tratta, dunque, no-
nostante le nostre resistenze, di un punto di non ritorno, perché,
oltre a corrispondere all'agire di Don Bosco, il modello operativo della
missione condivisa con i laici proposto dal CG24 è di fatto "l'unico pra-
ticabile nelle condizioni attuali"»36•
Abbiamo così un punto di non ritorno per il bene di chi
decide e ha deciso di entrare in questo stile di missione, forma-
zione, vita condivisa che apre nuovi orizzonti di futuro per il ca-
risma di Don Bosco in piena sintonia con il cammino che la Chie-
sa sta portando avanti con la guida di Papa Francesco, senz'altro
profetico ed esemplare.
Allo stesso tempo c'è anche un altro pericoloso e rischioso
non ritorno di chi invece non riesce o non vuole varcare questa
soglia e si chiude in forme di isolamento autoreferenziale: non
più al passo con i tempi nel modo di vivere e interpretare la pre-
senza salesiana, e destinate a diventare irrilevanti e ad estin-
guersi col passare degli anni.
L'obiettivo ultimo della missione di Don Bosco è, assieme al-
la salvezza dei suoi ragazzi, la trasformazione della società.
L'ampia e coraggiosa visione di Don Bosco, la sua operosità in-
stancabile, la sua resilienza di fronte agli ostacoli... si spiegano
solo con questo orizzonte di trasformazione sociale e di evange-
lizzazione dei giovani su scala mondiale.
Don Bosco non fa politica ma può parlare con tutti i rappre-
sentanti dei vari livelli di governo perché il suo impegno è limpi-
:u CG24, n. 71.
35 CG28, Linea programatica 6, p. 59.

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
damente orientato verso il bene dei giovani, dei quali nessuno
che ha a cuore la società umana e il servizio agli altri - come è
e dovrebbe essere anche il servizio pubblico per il bene di tutti
- può disinteressarsi.
Dunque, la nostra voce comune può trovare accesso e ascolto
ben oltre i confini confessionali se insieme incarniamo oggi quel-
lo stesso zelo di predilezione per i giovani che ci è stato dato
come carisma e che non possiamo realizzare se non insieme come
Famiglia di don Bosco.
La complementarità delle vocazioni nella famiglia di
don Bosco, l'essere uniti come Famiglia salesiana, e uniti con il
grande numero di laici e laiche delle presenze del mondo, insieme
nella missione e nella formazione, diventa un'esigenza ineludibile
oggi e tanto più in futuro, se non si vuole rimanere irrilevanti.
E la comunione nello spirito di famiglia e all'interno del
vasto movimento salesiano è il grande dono che possediamo
come preziosa eredità.
6. All'ombra di un grande albero con splendidi frutti
Nella mia lettera a conclusione del Secondo Seminario per la
promozione delle Cause di Beatificazione e Canonizzazione della
Famiglia Salesiana, scrivevo:
«Da Don Bosco fino ai nostri giorni riconosciamo una tradizione di
santità a cui merita dare attenzione, perché incarnazione del carisma
che da lui ha avuto origine e che si è espresso in una plw·alità di stati
di vita e di forme. Si tratta di uomini e donne, giovani e adulti, consa-
crati e laici, vescovi e missionari che in contesti storici, cultur ali, so-
ciali diversi nel tempo e nello spazio hanno fatto brillare di singolare
luce il carisma salesiano, rappresentando un patrimonio che svolge un
ruolo efficace nella vita e nella comunità dei credenti e per gli uomini
di buona volontà»36•
36 A. FERNÀNDEZ ARTIME, Lettera del Rettor Maggiore a conclusione del II
Seminario di promozione delle Cause di Beatificazione e Canonizzazione della

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
Con umiltà e profondo senso di gratitudine, riconosciamo
nella Famiglia salesiana un grande albero con tanti frutti di
santità. Si tratta di uomini e donne, giovani e adulti che hanno
colmato loro vita con il lievito dell'amore, amore che si dona fino
in fondo, fedele a Gesù Cristo e al suo Vangelo.
L'ecclesiologia mostra, come sappiamo, che le diverse voca-
zioni hanno una comune r adice battesimale e sono destinate a
contribuire alla crescita del popolo di Dio:
«Nella Chiesa-Comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati
da essere ordinati l'uno all'altro. Certamente comune, anzi unico è il
loro significato profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere
l'eguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella per-
fezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e complementari,
sicch é ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia
e nello stesso tempo ciascu na di esse si pone in relazione alle altre e al
loro servizio»37•
Tale prospettiva indica che il carisma salesiano è completo
quando la vocazione e la missione sono vissute nella reciprocità
e complementarità delle diverse chiamate. Proprio questo do-
vrebbe essere il senso profondo della Famiglia Salesiana: un
vasto movimento apostolico per la salvezza dei giovani.
È interessante notare ch e, tra i 173 Santi, Beati, Venerabili,
Servi di Dio della nostra Famiglia, 25 sono laici che hanno in-
carnato il carisma salesiano in famiglia, nella casa salesiana, nel-
la vita secolare, nella professione, spazio privilegiato della testi-
monianza cristiana, e in contesti sociali, storici e culturali diver-
si tra loro. Ritengo molto opportuno ricordarli come testimo-
nianza all'interno del commento di questa Strenna:
San Domenico Savio, adolescente, espressione della san -
tità giovanile, frutto della grazia preventiva e capofila di una
lunga schiera di santi giovani e giovani santi.
Famiglia Salesiana, Roma 20 maggio 2018. <https://archive.sdb.org/ Docu-
menti/Santita/Seminario_2018/Santi_2_Seminario_2018_RM1ettera_es.pdf>
37 ChL, 55.

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
- Beata Laura Vicuiia, adolescente, testimonianza della for-
za dell'amore che dà la vita e ricorda la realtà della famiglia
ferita.
- Beato Zeffirino Namuncura, giovane mapuche, richiama
al valore e al rispetto delle culture indigene e all'opera di in-
culturazione della fede e del carisma.
Beati Francesco K~sy, Czeslaw Jozwiak, Edward Kai
mierski, Edward Klinik, Jarogniew Wojciechowski,
martiri dell'oratorio di Poznan, testimoni della fede fino al
martirio.
- Tra i beati martiri della persecuzione spagnola incontriamo:
Alessandro Planas Sauri e Giovanni de Mata Diez,
collaboratori laici; Tommaso Gil de la Cal, Federico Co-
bo Sanz, Igino de Mata Diez, tre aspiranti alla vita sale-
siana; Bartolomeo Bianco Marquez, laico e fidanzato;
Teresa Cejudo Redondo, sposa e madre, salesiani coope-
ratori impegnati nella realtà ecclesiale, sociale, associativa
del loro ambiente.
Beata Alexandrina Maria Da Costa, salesiana cooperatrice,
che richiama la forma più alta di cooperazione, quella del-
l'unione alla passione redentrice di Gesù.
- Beato Alberto Marvelli, ex allievo dell'oratorio di Rimini,
impegnato nel mondo sociale e politico.
- Venerabile mamma Margherita Occhiena, presenza ma-
terna e femminile alle origini del carisma.
- Venerabile Dorotea Chopitea, sposa e madre, che "acco-
glie" e fa crescere il carisma salesiano, manifestando la scelta
di una vita povera e la capacità di lasciarsi evangelizzare dai
poveri.
- Venerabile Attilio Giordani, sposo e padre, che incarna la
gioia salesiana in famiglia, nel lavoro, in oratorio, in terra di
missione.
- Servo di Dio Simao, indio bororo, che condivide con padre
Rodolfo Lunkenbein la missione salesiana e ricorda l'esigenza
di riconoscere e accogliere i semi di verità presenti in ogni
cultura e tradizione.

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
- Serva di Dio Matilde Salem, sposa e benefattrice, che dona
beni e vita per la fecondità del carisma in terra siriana, e te-
stimonia la forza della comunione tra cristiani, e la capacità
di convivenza con fedeli di altre religioni.
Servo di Dio Antonino Baglieri, Volontario Con Don Bosco,
che nella malattia sa essere lievito evangelico.
Serva di Dio Vera Grita, salesiana cooperatrice e insegnante,
strumento di un'Opera mistica che impegna ogni cristiano
a far fruttificare la grazia dell'Eucarestia.
Servo di Dio Akash Bashir, giovane ex-allievo del Pakistan
che ha dato la sua vita per i fratelli.
Tra queste numerose e variegate figure di santità vorrei in-
dicarne altre che ci offrono una testimonianza significativa e ori-
ginale di santità laicale e che, a mio avviso, mostrano quell'a-
spetto poliedrico, cioè ricco di aspetti, lati, forme e colori, della
vita laicale vissuta in contesti diversi, in secoli diversi, convoca-
zioni diverse, ma piena di semplice santità nel quotidiano. Quel-
la santità laica della "porta accanto" che ci farà sempre tanto
bene scoprire. Mi fermo a contemplare:
MARGHERITA 0CCHIENA,
LA ''MAMMA''
Sappiamo come Don Bosco agli inizi dell'oratorio, dopo aver
pensato e ripensato come uscire dalle difficoltà, andò a parlarne
col proprio parroco di Castelnuovo, esponendogli la sua necessità
e i suoi timori. «Hai tua madre! - rispose il parroco senza esitare
un istante - falla venire con te a Torino». Mamma Margherita
giunse a Valdocco nel 3 di novembre del 1846, e per dieci anni fu
la madre per centinaia di ragazzi. Nel 1846 era aperto solo l'ora-
torio, e i ragazzi vi affluivano soprattutto alla domenica. Le Me-
morie Biografiche parlano di almeno 800 frequentanti. Lungo la
settimana, ogni sera, dopo il lavoro in città, venivano i giovanotti
della scuola serale. Gli schiamazzi si possono immaginare. Le
classi occupavano la cucina e la camera di Don Bosco, la sacre-

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
stia, il coro, la cappella. Voci, canti, andirivieni, ma non si poteva
fare altrimenti. Mamma Margherita era con loro. Certo veni-
vano sacerdoti e anche laici ad aiutare Don Bosco e alcune donne
vennero in seguito a dare una mano. Ma solo Mamma Marghe-
rita era sempre là, a tempo pieno. Questa sua disponibilità la
r endeva cara a tutti, ed era quindi venerata da quanti la cono-
scevano. Fin dal principio che venne in Torino, appena fu cono-
sciuta dai cittadini dei vicini quartieri, non fu chiamata con altro
nome che con quello di "mamma".
Qui, per dieci anni, la sua vita si confonde con quella del fi-
glio e con gli inizi dell'opera salesiana: è la prima e principale
cooperatrice di Don Bosco; con bontà fattiva diventa l'elemento
materno del sistema preventivo. illetterata - ma piena di quella
sapienza che viene dall'alto - fu anche l'aiuto per tanti poveri
ragazzi della strada, figli di nessuno; ha messo Dio, prima di tut-
to, consumandosi per Lui in una vita di povertà, di preghiera e
di sacrificio.
BARTOLOMÉ BLANCO MARQUEZ,
GIOVANE CRISTIANO A TUTTO CAMPO
«Io sono operaio, sono nato da genitori che pure lo erano. Ho
vissuto e vivo nell'ambiente di strettezza e di lavoro delle classi
umili e sento correre nelle mie vene, esacerbate a volte dal fuoco
dell'entusiasmo giovanile, una protesta, un'energica protesta,
contro coloro che credono che non siamo uomini come loro per-
ché abbiamo avuto la disgrazia - o forse la sorte - di nascere nel-
la povertà, di u sare il camice da lavoro e avere le mani ruvide e
callose. Però chiariamo i concetti: sono operaio e sono cattolico».
Chi parla così è un giovane di 19 anni, di professione fabbricatore
di sedie, seggiolaio, al comizio dell'Azione Popolare il 5 novembre
1933 a Pozoblanco (Spagna); un giovane retto e coraggioso, con
un'intelligenza non comune, di umili origini, di condizione
operaia, difensore dei diritti del popolo e della Chiesa.
Nato a Pozoblanco (Cordoba, Spagna) il 25 dicembre 1914,
perde la mamma nell'epidemia detta "spagnola". Orfano anche

3.9 Page 29

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IL RETTOR MAGGIORE 31
di padre a dodici anni, deve lasciare la scuola e mettersi a lavo-
rare da seggiolaio. Quando nel settembre 1930 arrivano a Pozo-
blanco i Salesiani, Bartolomé frequenta l'oratorio e aiuta come
catechista e animatore. Trova in don Antonio do Muino un di-
rettore che lo spinge a continuare la sua formazione intellettua-
le, culturale e spirituale attraverso la partecipazione ai circoli di
studio. Questo salesiano sarà, fino alla prematura morte di Bar-
tolomé, suo confessore e guida spirituale. È apprezzato da pa-
renti, amici, compagni per il suo ingegno, l'impegno apostolico,
l'attitudine di leader. Più tardi entra nell'Azione Cattolica, di cui
è segretario e dove dà il meglio di sé. Trasferitosi a Madrid per
specializzarsi nell'apostolato fra gli operai presso l'Istituto So-
ciale Operaio, si distingue come oratore eloquente e studioso del-
la questione sociale. Ottenuta una borsa di studio, può conoscere
attraverso un viaggio organizzato dall'Istituto Sociale Operaio
le organizzazioni operaie cattoliche di Francia, Belgio e Olanda.
Nominato delegato dei sindacati cattolici, nella provincia di
Cordoba ne fonda otto sezioni.
Quando esplode la rivoluzione, il 30 giugno 1936, Bartolomé
ritorna a Pozoblanco e si mette a disposizione della "Guardia
Civile" per la difesa della città, che dopo un mese si arrende al-
l'altra fazione in guerra. Accusato di ribellione viene portato in
carcere, dove continua ad avere un comportamento esemplare:
«Per meritarsi il martirio, bisogna offrirsi a Dio come martiri! ».
Viene processato e condannato a morte a J aén il 29 settembre.
Dopo la sentenza, mantenendo la calma e difendendosi con di-
gnità, dice: «Avete creduto di farmi un male e invece mi fate un
bene perché mi cesellate una corona».
Le lettere che scrive alla famiglia e alla fidanzata alla vigilia
della morte ne sono una chiara prova: «Lascia che questa sia la
mia ultima volontà: perdono, perdono e perdono; ma indulgenza,
che voglio sia accompagnata facendo tutto il meglio possibile.
Quindi vi chiedo di vendicarmi con la vendetta del cristiano:
ricambiando con il bene coloro che hanno cercato di farmi del
male», scrive alle zie e ai cugini.
E alla sua fidanzata, Maruja: «Quando mi restano poche ore

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
per il riposo finale, voglio solo chiederti una cosa: che in ricordo
dell'amore che abbiamo avuto l'uno per l'altro e che in questo
momento aumenta, ti occupi della salvezza della tua anima come
obiettivo principale, perché così potremo incontrarci in cielo per
tutta l'eternità, dove nessuno ci separerà».
I suoi compagni di prigionia hanno conservato i dettagli emo-
zionanti della sua partenza per la morte: a piedi nudi, per asso-
migliare più da vicino a Cristo. Quando gli mettono le manette
ai polsi, bacia le mani del miliziano che gliele mette. Non accet-
ta, come gli propongono, di essere fucilato alla schiena. «Chi
muore per Cristo, disse, deve farlo frontalmente e con il petto
nudo. Viva Cristo Re! » e cade con le braccia aperte a forma di
croce, crivellato di colpi accanto a una quercia. È il 2 ottobre
1936. Non aveva ancora 22 anni. È stato beatificato a Roma il
28 ottobre 2007.
ATTILIO GIORDANI,
UN LAICO "ALLA DON Bosco"
Nasce a Milano il 3 febbraio 1913. Si distingue fin dai primi
anni per la sua grande passione per l'oratorio salesiano Sant'A-
gostino e, già sui diciotto anni, per la sua dedizione ai giovani che
lo frequentano. Per decenni è un solerte catechista ed un anima-
tore costante e geniale, con tanta semplicità ed allegria. Cura la
liturgia, la formazione, il gioco, il tempo libero, il teatro. Ama Dio
con tutto il cuore e trova nella vita sacramentale, nella preghiera
e nella direzione spirituale la risorsa per la vita di grazia.
Durante il servizio militare che inizia nel 1934 e termina,
con fasi alterne, nel 1945 dimostra senso apostolico tra i suoi
compagni. È impiegato nell'industria della Pirelli a Milano dove
pure diffonde allegria e buon umore, con il più profondo senso
del dovere.
Il 6 maggio 1944 si sposa con una catechista, Noemi D'Avanzo.
Avranno tre figli: Piergiorgio, Mariagrazia, Paola. Nella propria
famiglia è marito e padre ricco di grande fede e serenità, in una
voluta austerità e povertà evangelica a vantaggio dei più bisogno-

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTOR MAGGIORE 33
si. Senza nulla togliere alla famiglia, fa dell'oratorio la sua seconda
famiglia, mettendo a servizio dei ragazzi la ricca inventiva ed una
straordinaria arte educativa. D'accordo con la moglie Noemi, par-
te per il Mato Grosso (Brasile) per condividere la scelta dei figli
nell'impegno missionario. Il 18 dicembre 1972, nel corso di una
riunione, dopo aver parlato con entusiasmo e con ardore del do-
vere di dare la vita per gli altri, improvvisamente si sente venir
meno. Fa appena in tempo a dire al figlio: «Pier, continua tu» e
muore stroncato da un infarto. È venerabile dal 9 ottobre 2013.
La sua vita di cristiano, apostolicamente impegnato, ha preso
un orientamento così deciso e personale da scoprire (son tutte fra-
si sue): "La gioia di servire Cristo"; "non essere dei buoni alla buo-
na"; "Vivere nel mondo senza essere del mondo"; ''.Andare contro-
corrente"; "Non cercare, ma dare"; necessario vivere ciò che si
vuol far vivere". Questa maturazione cresce nelle diverse fasi del-
la sua vita: da adolescente, da giovane militare, da soldato sul
fronte militare greco-albanese, come risulta dal suo "Diario di
guerra". Anche la scelta della fidanzata Noemi Davanzo è moti-
vata da ragioni di fede, come le scrive in una lettera: «Il Signore,
avvicinandomi a voi, mi pose innanzi agli occhi il vostro amore e
spirito di dedizione verso i prediletti del Salvatore, fu questa la
molla superiore, che mi spinse a chiedervi per compagna».
La fede di Attilio è così grande da essere davvero "segno"
della presenza di Dio: in famiglia, all'oratorio, nella comunità
parrocchiale e per quanti lo incontrano: una fede che più che
proclamata, traspare dalle sue azioni e dal suo modo di essere:
«La misura del nostro credere si manifesta nel nostro essere».
VERA GRITA,
"LA MAESTRINA DI SAVONA"
Nata a Roma il 28 gennaio 1923, visse e studiò a Savona dove
conseguì l'abilitazione magistrale. A 21 anni, durante una improv-
visa incursione aerea sulla città (1944) , venne travolta e calpestata
dalla folla in fuga, riportando conseguenze gravi per il suo fisico
che da allora rimase segnato per sempre dalla sofferenza.

4.2 Page 32

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34 A7T/ DEL CONSIGLIO GENERALE
Passò inosservata nella sua breve vita terrena, insegnando
nelle scuole dell'entroterra ligure, dove si guadagnò la stima e
l'affetto di tutti per il suo carattere buono e mite.
A Savona, nella parrocchia salesiana di Maria Ausiliatrice,
partecipava alla Messa ed era assidua al sacramento della Peni-
tenza. Salesiana Cooperatrice dal 1967, realizzò la sua chiamata
nel dono totale di al Signore, che in modo straordinario si
donava a lei, nell'intimo del suo cuore, con la "Voce" , con la
"Parola", per comunicarle l'Opera dei Tabernacoli Viventi.
Sotto l'impulso della grazia divina e accogliendo la mediazione
delle guide spirituali, Vera Grita rispose al dono di Dio testimo-
niando nella sua vita, segnata dalla fatica della malattia, l'incon-
tro con il Risorto e dedicandosi con eroica generosità all'insegna-
mento e all'educazione degli allievi, sovvenendo alle necessità
della famiglia e testimoniando una vita di evangelica povertà.
Morì il 22 dicembre 1969, a 46 anni, in una cameretta dell'ospe-
dale a Pietra Ligure.
Vera Grita attesta anzitutto un orientamento eucaristico to-
talizzante, che si fa esplicito soprattutto negli ultimi anni della
sua esistenza. Non ha pensato in termini di programmi, di ini-
ziative apostoliche, di progetti: ha accolto il "progetto" fonda-
mentale che è Gesù stesso, fino a farne vita della propria vita.
Il mondo odierno attesta un grande bisogno di Eucaristia.
Il suo cammino nella faticosa operosità dei giorni offre anche
una nuova prospettiva laica alla santità, divenendo esempio di
conversione, accettazione e santificazione per i "poveri", i "fragi-
li", i "malati" che in lei possono riconoscersi e ritrovare speranza.
Come Salesiana Cooperatrice, Vera Grita vive e lavora, inse-
gna e incontra la gente con una spiccata sensibilità salesiana:
dall'amorevolezza della sua presenza discreta ma efficace alla
sua capacità di farsi amare da bambini e famiglie; dalla pedago-
gia della bontà che attua con il suo costante sorriso alla generosa
prontezza con cui, incurante dei disagi, si volge di preferenza
agli ultimi, ai piccoli, ai lontani, ai dimenticati; dalla generosa
passione per Dio e la Sua Gloria alla via della croce, lasciandosi
togliere tutto nella sua condizione di malata.

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
AKAsH BASHIR,
TESTIMONE DI FORTEZZA E DI PACE.
Exallievo di Don Bosco è il primo pakistano di cui è in corso
il processo di Beatificazione e Canonizzazione. Il 15 marzo 2015
si sacrificò per impedire che un attentatore suicida provocasse
una strage nella chiesa di San Giovanni a Youhannabad, quar-
tiere cristiano di Lahore, in Pakistan. Akash Bashir aveva 20 an-
ni, aveva studiato all'Istituto Tecnico Don Bosco di Lahore ed
era diventato un volontario della sicurezza.
Ciò che più colpisce è come questo giovane semplice sia stato
forte nell'affrontare il male e nel combattere la violenza omicida.
La frase pronunciata verso l'attentatore prima di morire - "Mo-
rirò, ma non ti lascerò entrare in chiesa" - esprime una fede for-
te e un coraggio eroico nel testimoniare un amore senza misura.
Il vangelo di quella IV Domenica di Quaresima (15 marzo
2015) annunciava le parole di Gesù a Nicodemo: «Chiunque in-
fatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue
opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso
la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state
fatte in Dio» (Gv 3,20-21).
Akash ha sigillato con il suo sangue di giovane cristiano que-
ste parole. Ha lottato corpo a corpo con il potere della morte,
dell'odio e della violenza e ha fatto trionfare la luce e la verità.
Ha lavato il vestito bianco con il sangue dell'Agnello rendendolo
splendente (cf. Ap 7,14).
Il contatto con il mondo e il carisma salesiano ha rafforzato
in Akash quelle disposizioni di bontà e generosità che aveva ap-
preso nella sua famiglia e nella comunità cristiana. Akash Ba-
shir è un esempio di santità per ogni cristiano, un esempio per
tutti i giovani cristiani del mondo. Ed è senza dubbio un segno
carismatico evidente del sistema educativo salesiano. Akash è la
voce di tanti giovani coraggiosi che riescono a dare la loro vita
per la fede nonostante le difficoltà, la povertà, l'estremismo reli-
gioso, l'indifferenza, la disuguaglianza sociale, la discriminazio-
ne. La vita e il martirio di questo giovane pakistano ci fa ricono-

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
scere la potenza dello Spirito Santo di Dio, vivo, presente nei
luoghi meno attesi, negli umili, nei perseguitati, nei giovani, nei
piccoli di Dio.
E non dimentichiamo
ARTEMIDE ZATTI,
NELL'ANNO DELLA SUA CANONIZZAZIONE
Era certamente un religioso consacrato, ma non si può non
rimanere colpiti dalla dimensione laicale della sua santità,
vissuta nell'esercizio quotidiano della carità nella semplicità di
un piccolo ospedale e di un piccolo villaggio. Egli è un esempio e
un modello di consacrazione al suo popolo nel lavoro sacrificato
e paziente, avendo Dio come fonte, motivazione nella fede e
obiettivo unico e ultimo della sua vita.
La loro vita, la vita di tutti loro e il loro esempio sono come
«lievito nella pasta» che continua a far crescer e il Regno dentro
di noi e accanto a noi.
I
laici
danno
l'humus
alla
crescita
della
f
e
d
e
38
Questa
espressione di Benedetto XVI ci ricorda come grazie alla fede e al-
l'impegno nell'evangelizzazione di tanti laici, di sposati, di famiglie,
di comunità cristiane il cristianesimo si radica e si sviluppa nel
mondo. Per la grazia del Battesimo, la fede cresce e si diffonde.
Analogamente anche i testimoni laici della santità salesiana
sopra ricordati e moltissimi altri della porta accanto hanno dato
e danno l 'humus alla crescita del carisma salesiano. Questa
compagnia dei santi ci ricorda che prima delle opere e dei ruoli è
la qualità delle relazioni umane il luogo privilegiato dell'annun-
cio del Vangelo e della fioritura del carisma.
Tali testimonianze ci ricordano la chiamata universale alla
santità, tanto cara sia a san Francesco di Sales - come già ab-
biamo detto - sia al nostro Padre della Famiglia Salesiana, Don
38 BENEDETTO XVI, Catechesi del 7 febbraio 2007.

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IL REITOR MAGGIORE 37
Bosco, quando proponeva ai giovani dell'oratorio e al ceto popo-
lare la meta della santità come traguardo aperto a tutti, facile
da percorrere e orientato a una felicità senza fine.
Tutto questo avendo vicino Maria Ausiliatrice, Colei che ha
accolto Gesù nel suo seno verginale e per questo è Madre, Mae-
stra e Guida della fede, in modo particolare neU.'accompagnamen-
to delle giovani generazioni nel loro cammino verso la santità. La
vita di tutti loro e il loro esempio sono come "lievito per il pane".
7. I nostri giovani come lievito nel mondo di oggi
Desidero concludere il messaggio della Strenna di quest'anno
con un'ultima parola che si rivolge ai nostri giovani e al cammi-
no che vogliamo fare insieme, perché anche loro vogliono accom-
pagnarci come noi vogliamo accompagnare loro:
«Vogliamo dirvelo forte, con tutto il cuore. Essere qui per noi
è stato un sogno che si è fatto realtà: in questo luogo speciale
che è Valdocco, dove è iniziata la missione salesiana, insieme sa-
lesiani e giovani per la missione salesiana, con la nostra comune
volontà di essere santi insieme. Avete i nostri cuori nelle vostre
mani. Prendetevi cura di questo vostro prezioso tesoro. Per fa-
vore, non dimenticatevi mai di noi e continuate ad ascoltarci.
Torino, 7 marzo 2020»39•
In effetti, i giovani si preparano alla vita, noi li accompagnia-
mo in questo cammino, e non ho dubbi che un servizio molto
grande che renderemmo a loro, alla società e alla Chiesa è quello
di aiutarli a prendere coscienza del ruolo sociale che devono svol-
gere e per il quale devono prepararsi. Per questo sono anche i
primi a imparare che sono chiamati a essere quel lievito nella
famiglia umana.
Nel prepararmi alla stesura di questo commento, ho deciso
39 CG XXVIII, Quali salesiani per i giovani di oggi? Lettera dei giovani ai
capitolari, Allegato 3, p. 146.

4.6 Page 36

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERA LE
di cercare e leggere, proprio per questa sezione finale della
Strenna, qualche tratto di ciò che gli ultimi tre pontefici - San
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco - hanno detto
ai giovani, perché ero certo che i loro messaggi sarebbero stati
abbondanti e molto potenti. Ed è così che mi sembrano: così
attuali, così puntuali e, oserei dire, così "salesiani". E allo stesso
tempo voglio affermare fortemente quanto sia vasto, esteso e im-
pegnativo il compito che i giovani hanno davanti a nella Chie-
sa e nel mondo. Se accettano la sfida di essere veramente giovani
di oggi, attivi nel loro impegno cristiano e sociale e vero "lievito"
nella famiglia umana.
Papa Giovanni Paolo II, tre anni prima della sua morte,
in uno dei suoi discorsi propose40, otto grandi sfide che sono au-
tentiche proposte di vita e di impegno cristiano, sociale e politico
per i giovani che vogliono raccogliere sfide significative. In
realtà, si tratta di otto sfide che alcuni studiosi riducono a una
sola che potrebbe essere espressa in questo modo: mettere l'esse-
re umano al centro dell'economia e della politica. Il compito è
questo: la difesa della vita umana in ogni situazione; la promo-
zione della famiglia e l'eliminazione della povertà (con la ridu-
zione del debito, la promozione dello sviluppo e l'apertura di un
commercio internazionale equo); la difesa dei diritti umani e il
lavoro per garantire il disarmo (riduzione della vendita di armi
e consolidamento della pace una volta terminati i conflitti);
la lotta contro le principali malattie e l'accesso per tutti ai far-
maci più necessari; la salvaguardia della natura e la prevenzione
delle catastrofi naturali; infine, l'applicazione rigorosa del dirit-
to e delle convenzioni internazionali.
A sua volta, nella lettera enciclica sullo sviluppo umano inte-
grale, Caritas in veritate41, Papa Benedetto XVI elenca le sfide
' 0 GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli ambasciatori dei paesi accreditati pres-
so la S anta Sede, Roma 10 gennaio 2002.
41 Cf. B ENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, Roma 29
giugno 2009.

4.7 Page 37

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IL RETTOR MAGGIORE 39
attuali che sono urgenti ed essenziali per la vita del mondo e nel-
le quali i giovani di oggi possono impegnarsi, come ad esempio:
l'uso delle risorse della terra, il r ispetto dell'ecologia, la giusta
distribuzione dei beni e il controllo dei meccanismi finanziari, la
lotta contro la fame nel mondo, la promozione della dignità del
lavoro, la solidarietà umana con i Paesi più poveri, il servizio alla
cultura della vita, il dialogo interreligioso e la costruzione della
pace tra i popoli e le nazioni.
Infine, Papa Francesco propone una serie di compiti im-
pegnativi che abbiamo come cristiani e che attendono i giovani
che vogliono assumerli e impegnarsi in essi con la loro fede e il
loro impegno, poiché molti altri giovani soffrono di tali violenze
ed estorsioni.
Tra i suoi diversi scritti (encicliche, esortazioni apostoliche e
messaggi ai giovani)42, vorrei ricordare quanto segue: ci sono
contesti di guerra terribili e dolorosi (e non posso non citare la
guerra ingiusta contro il popolo ucr aino, che tutti conosciamo
perché dura ormai da undici mesi); ci sono molte persone e gio-
vani che soffrono per la violen za che si manifesta in molti modi
diversi: rapimenti, estorsioni, criminalità organizzata, traffico di
esseri umani, schiavitù e sfruttamento sessuale, crimini di guer-
ra, ecc. Alcuni bambini sono costretti a diventare soldati, a far
parte di bande armate e criminali, a essere coinvolti nel traffico
di dr oga. Non pochi bambini e adolescenti sono ridotti in schia-
vitù n el commercio sessuale e nella tratta. E non mancano per-
sone e giovani emarginati e persino martirizzati a causa della lo-
ro etnia o del loro credo. Il dolore della migrazione (in situazioni
disumane) e la piaga della xenofobia non possono essere dimen-
ticati43. Lo scarto di persone in tutto il mondo, il razzismo e la
violazione dei diritti umani universali sono altre realtà di un
mondo in cui c'è an che tanto dolore44•
2 Cf. ChV, 72-74; Cf. FT, 25.
43 FT, 38-40.
44 Ibid, 18-24.

4.8 Page 38

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40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Siamo consapevoli che tutto questo e molto altro colpisce
questa famiglia umana in cui vogliamo essere lievito, sale e
luce45? Si potrebbe dire che questa è una visione pessimistica?
No, per niente. Lo st esso Papa Francesco cita tanti progressi che
esistono oggi, ma che vanno di pari passo con un "deterioramen-
to dell'etica":
«Con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb non ignoriamo gli sviluppi
positivi avvenuti nella scienza, nella tecnologia, nella medicina, nell'in-
dustria e nel benessere, soprattutto nei Paesi sviluppati. Ciò nonostante,
"sottolineiamo che, insieme a tali progressi storici, grandi e apprezzati,
si verifica un deterioramento dell'etica, che condiziona l'agire interna-
zionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsa-
bilità. Tutto ciò contribuisce a diffondere una sensazione generale di fru-
strazione, di solitudine e di disperazione[. ..]. Nascono focolai di tensione
e si accumulano armi e munizioni, in una situazione mondiale dominata
dall'incertezza, dalla delusione e dalla pama del futuro e controllata
dagli interessi economici miopi". Segnaliamo altresì "le forti crisi politi-
che, l'ingiustizia e la mancanza di una distribuzione equa delle risorse
naturali. [...] Nei confronti di tali crisi che portano a morire di fame
milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani - a motivo della povertà
e della fame-, regna un silenzio internazionale inaccettabile»46•
Questa realtà è un'opportunità per tutti noi, ma in modo
particolare per i giovani, di sentire la chiamata del Signore a
vivere la propria vita cristiana e anche salesiana (all'interno del-
la famiglia di Don Bosco) come un grande compito.
Questo compito e questa sfida erano già stati richiamati da
Papa Paolo VI alla fine del Concilio Vaticano II con un messaggio
rivolto ai giovani in cui diceva:
46 Vorrei sottolineare in modo molto significativo quanto il Rettor Maggiore
Don Pascual Chavez ha scritto sull'impegno della Famiglia Salesiana nella di-
fesa della vita, in tutti i suoi sensi e in tutte le sue dimensioni. Si tratta di un
elenco molto ricco del nostro impegno attuale (che coinvolge anche i giovani):
Cfr. P. CHAVEZ V, Ami tutte le cose e niente detesti di ciò che hai fatto... Signore
amante della Vita. (Sap 11, 24.12,1), in Lettere circolari ai salesiani [ACG 396
(2006) Letter a 019] a cura di Marco Bay, LAS, Roma 2021, 604-605, 609-617.
46 FT, 29 che cita anche il Documento sulla fratellanza umana per la pace
mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi (4 febbraio 2019): L 'Osservatore
Romano 4-5 febbraio 2019, p.6.

4.9 Page 39

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IL RETTOR MAGGIORE 41
«È a voi, giovani e fanciulle del mondo intero, che il Concilio vuole ri-
volgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la
fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento
delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, rac-
cogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori
e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete
o perirete con essa.
[...] E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!»47•
Questa richiesta che viene a tutti noi per essere veramente
lievito nella famiglia umana, oggi la rivolgo con profonda con-
vinzione a tutti voi, cari giovani. Queste sfide chiedono che con
la vostra vita, la vostra formazione, i vostri studi, il vostro lavoro
e la vostra vocazione diciate un sì o un no al vostro impegno per
costruire un mondo più giusto e fraterno. Queste sfide vi pongo-
no di fronte al bivio di accettare o rifiutare una vita impegnativa
ed entusiasmante in cui mettere tutte le vostre forze ed energie
secondo il sogno di Dio per ciascuno di voi.
E di certo non vi è chiesto nessun eroismo particolare, straor-
dinario, ma solo - ma è già molto - di far fruttare i propri doni e
talenti dati da Dio a ciascuno di voi, impegnandovi a crescere
nella fede, nell'Amore vero, nella fraternità e nel servizio a
favore di tutti, soprattutto degli ultimi, di coloro che sono più
colpiti dalla vita, di coloro che hanno meno opportunità.
Mi sembra una proposta preziosa per ogni giovane cristiano
e salesiano che voglia essere discepolo missionario del Signore
oggi, e anche una sfida e una proposta di tale dignità e portata
che, senza alcun pudore, può essere offerta a qualsiasi giovane
che voglia vivere in pienezza la propria condizione umana, sia
che sia cristiano o che professi altri credi religiosi o che cerchi di
vivere di un umanesimo essenziale e autentico, e allo stesso tem-
po vi porti a vivere fuori dalle "zone di comfort" che, come sirene
con i loro canti, possono cullarvi nel sonno.
•7 PAOLO VI, Messaggio ai giovani, Roma 8 dicembre 1968.

4.10 Page 40

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42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Ho fatto riferimento all'umanesimo e vorrei concludere in
modo esplicito con un cenno a questo "umanesimo salesiano"
con il quale possiamo educare a tutti i giovani di tutte le nazioni
del mondo nelle presenze salesiane perché
«per don Bosco significava valorizzare tutto il positivo radicato nella
vita delle persone, nelle realtà create, negli eventi della storia. Ciò lo
portava a cogliere gli autentici valori presenti nel mondo, specie se gra-
diti ai giovani; a inserirsi nel flu sso della cultura e dello sviluppo uma-
no del proprio tempo, stimolando il bene e rifiutandosi di genere sui
mali; a ricercare con saggezza la cooperazione di molti, convinto che
ciascuno ha dei doni che vanno scoperti, riconosciuti e valorizzati; a
credere nella forza dell'educazione che sostiene la crescita del giovani
e lo incoraggia a diventare onesto cittadino e buon cristiano; ad affi-
darsi sempre e comunque alla provvidenza di Dio, percepito e amato
come Padre»•8•
Concludo ringraziando al Signore per tanta vita bella e piena
nella nostra Famiglia salesiana al servizio del Vangelo, chiedendo
al Signore per tutta la Chiesa e per noi come parte della stessa
chiesa di accettare il gioioso compito di evangelizzare, perché «da
Cristo è stata inviata a rivelare e a comunicare la carità di Dio a
tutti i popoli»49•
La nostra Madre Ausiliatrice aiuti tutti noi ad essere discepoli-
missionari, piccole stelle che riflettono la sua luce. E preghiamo
perché i cuori si aprano a riceve gioiosamente l'annuncio di
salvezza che è Dio stesso in Gesù.
~~~di4
Don Angel FERNÀNDEZ ARTIME, s db
Rettor Maggiore
•e P. Chàvez, Come don Bosco educatore, offriamo ai giovani il Vangelo del-
la gioia attraverso la pedagogia della bontà. Strenna 2013 [ACG 415 (2013)
Lettera 038], o.e., 1240-1241.
•• Ad Gentes, 10.