dev’essere la nostra prima occupazione – ricordavo ai Capitolari in partenza. – È lui che ci invia e ci
affida i giovani… Dio ci aspetta nei giovani per darci la grazia di un incontro con Lui»[25]. Se la
nostra vita è illuminata da questo anelito, essa ha tutto, nonostante le sue carenze; ma se questa
spinta si attenua, il nostro cammino diventa incolore, e inutile la fatica nel percorrerlo, nonostante
l’apparenza di una certa efficienza.
– La santificazione è dono di Dio. L’iniziativa è stata e resta sempre di Dio: la certezza di poter
cambiare la nostra vita si radica nella certezza di essere già stati oggettivamente trasformati in Lui,
per cui la santità è – per usare le parole del Card. Suenens – «un’assunzione prima di essere
un’ascensione» [26].
«C'è una tentazione, che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione
pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare.
Certo, Iddio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia, e dunque ci invita ad investire, nel
nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre risorse di intelligenza e di operatività. Ma guai a
dimenticare che “senza Cristo non possiamo far nulla” (cf. Gv 15,5)»[27].
Nella santità ricercata splende, indiscusso, il primato di Dio: la santità non è mai un progetto
personale, che va programmato ed eseguito secondo tempi, metodologie ed opzioni da noi fissati;
più che un generico desiderio di Dio, è la sua volontà espressa su ciascuno di noi (1 Ts 4,3); pura
grazia, dono sempre, non possiamo conquistarla da soli, ma nemmeno possiamo rifiutarla senza
serie conseguenze. Dio ci ha creati buoni, anzi molto buoni (cf. Gn 1,26-31), e ci ha pensati santi
“prima della creazione del mondo” (Ef 1,4); resta, però, la nostra parte: possiamo aiutare Dio a
completare in noi la sua opera creatrice se lo lasciamo realizzare il suo disegno meraviglioso, il più
originario, su di noi. Non ci chiede di più; ma non si aspetta di meno.
– La santità, per noi salesiani, si costruisce nella risposta quotidiana, come espressione e frutto della
mistica e dell’ascesi del “da mihi animas cetera tolle”. Data per sicura la parte di Dio, sorgente di
ogni santità, è la nostra risposta che va quotidianamente stimolata perché, come dice il nostro S.
Francesco di Sales: «Per abbondante che sia la sorgente, le sue acque entrano in un giardino non
secondo la loro quantità, ma soltanto secondo la portata, grande o piccola, del canale per il quale vi
sono condotte»[28].
Di qui l’indispensabile ricorso alla mortificazione, ossia alla morte di tutto ciò che chiude il
nostro essere al dono; tutto quanto in noi mette Dio al secondo posto, non merita cura né attenzione.
La nostra è una esistenza pasquale; il cammino verso la Pasqua – ben lo sappiamo – passa
necessariamente per il Calvario (cf. Mt 16,21-23): fu risuscitato chi era stato prima crocifisso. Per il
cristiano, dunque, la mortificazione non è l’obiettivo, ma il mezzo; non è meta, ma via; non bisogna
cercarla, ma non è possibile evitarla.
I nostri Santi sono una testimonianza vivente di tale anelito alla santità e di tale cammino
verso la vita e la risurrezione. Mi vengono in mente, a questo proposito, alcune espressioni della
beata Maria Romero: «Toglimi, o Signore, tutto ciò che fin qui mi hai dato e non ridarmi mai più
nulla in avvenire, però concedimi la grazia di vivere ogni giorno più intimamente unita a te, in un
atto ininterrotto di amore, di abbandono, di fiducia e senza perdere mai un solo istante la tua
presenza».[29] «Amarti, farti amare e vederti amato, mio Dio adorato, è l’unica mia brama, lusinga,
ambizione, preoccupazione e ossessione».[30]
2. Noi educatori alla santità