papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia-it


papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia-it

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
La Santa Sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA
POSTSINODALE
AMORIS LAETITIA
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
AGLI SPOSI CRISTIANI
E A TUTTI I FEDELI LAICI
SULL’AMORE NELLA FAMIGLIA
[pdf]
1. La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa. Come hanno
indicato i Padri sinodali, malgrado i numerosi segni di crisi del matrimonio, «il desiderio di famiglia
resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa».[1] Come risposta a questa aspirazione
«l’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia».[2]
2. Il cammino sinodale ha permesso di porre sul tappeto la situazione delle famiglie nel mondo
attuale, di allargare il nostro sguardo e di ravvivare la nostra consapevolezza sull’importanza del
matrimonio e della famiglia. Al tempo stesso, la complessità delle tematiche proposte ci ha
mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali,
spirituali e pastorali. La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta,
realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza. I dibattiti che si trovano nei
mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un
desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento

1.2 Page 2

▲back to top
2
che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da
alcune riflessioni teologiche.
3. Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni
dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella
Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi
modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano.
Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè
quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo.
Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni
e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha
bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato».[3]
4. In ogni modo, devo dire che il cammino sinodale ha portato in sé una grande bellezza e ha
offerto molta luce. Ringrazio per i tanti contributi che mi hanno aiutato a considerare i problemi
delle famiglie del mondo in tutta la loro ampiezza. L’insieme degli interventi dei Padri, che ho
ascoltato con costante attenzione, mi è parso un prezioso poliedro, costituito da molte legittime
preoccupazioni e da domande oneste e sincere. Perciò ho ritenuto opportuno redigere una
Esortazione Apostolica postsinodale che raccolga contributi dei due recenti Sinodi sulla famiglia,
unendo altre considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale, e
al tempo stesso arrechino coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro impegno e nelle loro
difficoltà.
5. Questa Esortazione acquista un significato speciale nel contesto di questo Anno Giubilare della
Misericordia. In primo luogo, perché la intendo come una proposta per le famiglie cristiane, che le
stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di
valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza. In secondo luogo, perché si propone
di incoraggiare tutti ad essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si
realizza perfettamente o non si svolge con pace e gioia.
6. Nello sviluppo del testo, comincerò con un’apertura ispirata alle Sacre Scritture, che conferisca
un tono adeguato. A partire da lì considererò la situazione attuale delle famiglie, in ordine a tenere
i piedi per terra. Poi ricorderò alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il
matrimonio e la famiglia, per fare spazio così ai due capitoli centrali, dedicati all’amore. In seguito
metterò in rilievo alcune vie pastorali che ci orientino a costruire famiglie solide e feconde secondo
il piano di Dio, e dedicherò un capitolo all’educazione dei figli. Quindi mi soffermerò su un invito
alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente
a quello che il Signore ci propone, e infine traccerò brevi linee di spiritualità familiare.
7. A causa della ricchezza dei due anni di riflessioni che ha apportato il cammino sinodale, la
presente Esortazione affronta, con stili diversi, molti e svariati temi. Questo spiega la sua

1.3 Page 3

▲back to top
3
inevitabile estensione. Perciò non consiglio una lettura generale affrettata. Potrà essere meglio
valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale familiare, se la approfondiranno
pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni
circostanza concreta. E’ probabile, ad esempio, che i coniugi si riconoscano di più nei capitoli
quarto e quinto, che gli operatori pastorali abbiano particolare interesse per il capitolo sesto, e che
tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo. Spero che ognuno, attraverso la lettura, si
senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse «non sono un
problema, sono principalmente un’opportunità».[4]
CAPITOLO PRIMO
ALLA LUCE DELLA PAROLA
8. La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla
prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma
anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le
nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9). Le due case che Gesù descrive, costruite sulla
roccia o sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27), rappresentano tante situazioni familiari, create dalla libertà
di quanti vi abitano, perché, come scrive il poeta, «ogni casa è un candelabro».[5] Entriamo ora in
una di queste case, guidati dal Salmista, attraverso un canto che ancora oggi si proclama sia nella
liturgia nuziale ebraica sia in quella cristiana:
«Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Pace su Israele!» (Sal 128,1-6).
Tu e la tua sposa

1.4 Page 4

▲back to top
4
9. Varchiamo dunque la soglia di questa casa serena, con la sua famiglia seduta intorno alla
mensa festiva. Al centro troviamo la coppia del padre e della madre con tutta la loro storia
d’amore. In loro si realizza quel disegno primordiale che Cristo stesso evoca con intensità: «Non
avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina?» (Mt 19,4). E riprende il
mandato del Libro della Genesi: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24).
10. I due grandiosi capitoli iniziali della Genesi ci offrono la rappresentazione della coppia umana
nella sua realtà fondamentale. In quel testo iniziale della Bibbia brillano alcune affermazioni
decisive. La prima, citata sinteticamente da Gesù, afferma: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a
immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (1,27). Sorprendentemente, l’“immagine di
Dio” ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”. Questo significa che Dio
stesso è sessuato o che lo accompagna una compagna divina, come credevano alcune religioni
antiche? Ovviamente no, perché sappiamo con quanta chiarezza la Bibbia ha respinto come
idolatriche queste credenze diffuse tra i cananei della Terra Santa. Si preserva la trascendenza di
Dio, ma, dato che è al tempo stesso il Creatore, la fecondità della coppia umana è “immagine”
viva ed efficace, segno visibile dell’atto creatore.
11. La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente (non quella di pietra o d’oro che
il Decalogo proibisce), capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo
viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio (cfr Gen 1,28; 9,7; 17,2-5.16; 28,3; 35,11;
48,3-4). A questo si deve che la narrazione del Libro della Genesi, seguendo la cosiddetta
“tradizione sacerdotale”, sia attraversata da varie sequenze genealogiche (cfr 4,17-22.25-26; 5;
10; 11,10-32; 25,1-4.12-17.19-26; 36): infatti la capacità di generare della coppia umana è la via
attraverso la quale si sviluppa la storia della salvezza. In questa luce, la relazione feconda della
coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione
cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è
comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente. Ci illuminano le parole di san Giovanni
Paolo II: «Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che
ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Questo amore, nella famiglia
divina, è lo Spirito Santo».[6] La famiglia non è dunque qualcosa di estraneo alla stessa essenza
divina.[7] Questo aspetto trinitario della coppia ha una nuova rappresentazione nella teologia
paolina quando l’Apostolo la mette in relazione con il “mistero” dell’unione tra Cristo e la Chiesa
(cfr Ef 5,21-33).
12. Ma Gesù, nella sua riflessione sul matrimonio, ci rimanda a un’altra pagina del Libro della
Genesi, il capitolo 2, dove appare un mirabile ritratto della coppia con dettagli luminosi. Ne
scegliamo solo due. Il primo è l’inquietudine dell’uomo che cerca «un aiuto che gli corrisponda»
(vv. 18.20), capace di risolvere quella solitudine che lo disturba e che non è placata dalla
vicinanza degli animali e di tutto il creato. L’espressione originale ebraica ci rimanda a una
relazione diretta, quasi “frontale” – gli occhi negli occhi – in un dialogo anche tacito, perché

1.5 Page 5

▲back to top
5
nell’amore i silenzi sono spesso più eloquenti delle parole. E’ l’incontro con un volto, un “tu” che
riflette l’amore divino ed è «il primo dei beni, un aiuto adatto a lui e una colonna d’appoggio» (Sir
36,26), come dice un saggio biblico. O anche come esclamerà la sposa del Cantico dei Cantici in
una stupenda professione d’amore e di donazione nella reciprocità: «Il mio amato è mio e io sono
sua […] Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2,16; 6,3).
13. Da questo incontro che guarisce la solitudine sorgono la generazione e la famiglia. Questo è il
secondo dettaglio che possiamo rilevare: Adamo, che è anche l’uomo di tutti i tempi e di tutte le
regioni del nostro pianeta, insieme con sua moglie dà origine a una nuova famiglia, come ripete
Gesù citando la Genesi: «Si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne» (Mt 19,5; cfr Gen
2,24). Il verbo “unirsi” nell’originale ebraico indica una stretta sintonia, un’adesione fisica e
interiore, fino al punto che si utilizza per descrivere l’unione con Dio: «A te si stringe l’anima mia»
(Sal 63,9), canta l’orante. Si evoca così l’unione matrimoniale non solamente nella sua
dimensione sessuale e corporea, ma anche nella sua donazione volontaria d’amore. Il frutto di
questa unione è “diventare un’unica carne”, sia nell’abbraccio fisico, sia nell’unione dei due cuori e
della vita e, forse, nel figlio che nascerà dai due, il quale porterà in sé, unendole sia
geneticamente sia spiritualmente, le due “carni”.
I tuoi figli come virgulti d’ulivo
14. Riprendiamo il canto del Salmista. In esso compaiono, dentro la casa dove l’uomo e la sua
sposa sono seduti a mensa, i figli, che li accompagnano «come virgulti d’ulivo» (Sal 128,3), ossia
pieni di energia e di vitalità. Se i genitori sono come le fondamenta della casa, i figli sono come le
“pietre vive” della famiglia (cfr 1 Pt 2,5). E’ significativo che nell’Antico Testamento la parola che
compare più volte dopo quella divina (YHWH, il “Signore”) è “figlio” (ben), un vocabolo che
rimanda al verbo ebraico che significa “costruire” (banah). Per questo nel Salmo 127 si esalta il
dono dei figli con immagini che si riferiscono sia all’edificazione di una casa, sia alla vita sociale e
commerciale che si svolgeva presso la porta della città: «Se il Signore non costruisce la casa,
invano si affaticano i costruttori […] Ecco eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto
del grembo. Come frecce in mano a un guerriero sono i figli avuti in giovinezza. Beato l’uomo che
ne ha piena la faretra: non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri
nemici» (vv. 1.3-5). E’ vero che queste immagini riflettono la cultura di una società antica, però la
presenza dei figli è in ogni caso un segno di pienezza della famiglia nella continuità della
medesima storia della salvezza, di generazione in generazione.
15. In questa prospettiva possiamo porre un’altra dimensione della famiglia. Sappiamo che nel
Nuovo Testamento si parla della “Chiesa che si riunisce nella casa” (cfr 1 Cor 16,19; Rm 16,5; Col
4,15; Fm 2). Lo spazio vitale di una famiglia si poteva trasformare in chiesa domestica, in sede
dell’Eucaristia, della presenza di Cristo seduto alla stessa mensa. Indimenticabile è la scena
dipinta nell’Apocalisse: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la
porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Così si delinea una casa che porta al

1.6 Page 6

▲back to top
6
proprio interno la presenza di Dio, la preghiera comune e perciò la benedizione del Signore. E’ ciò
che si afferma nel Salmo 128 che abbiamo preso come base: «Ecco com’è benedetto l’uomo che
teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion» (vv. 4-5).
16. La Bibbia considera la famiglia anche come la sede della catechesi dei figli. Questo brilla nella
descrizione della celebrazione pasquale (cfr Es 12,26-27; Dt 6,20-25), e in seguito fu esplicitato
nella haggadah giudaica, ossia nella narrazione dialogica che accompagna il rito della cena
pasquale. Ancora di più, un Salmo esalta l’annuncio familiare della fede: «Ciò che abbiamo udito e
conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando
alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha
compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha posto una legge in Israele, che ha
comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione futura, i
figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli» (78,3-6). Pertanto, la famiglia
è il luogo dove i genitori diventano i primi maestri della fede per i loro figli. E’ un compito
“artigianale”, da persona a persona: «Quando tuo figlio un domani ti chiederà […] tu gli
risponderai…» (Es 13,14). Così le diverse generazioni intoneranno il loro canto al Signore, «i
giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini» (Sal 148,12).
17. I genitori hanno il dovere di compiere con serietà lo loro missione educativa, come insegnano
spesso i sapienti della Bibbia (cfr Pr 3,11-12; 6,20-22; 13,1; 29,17). I figli sono chiamati ad
accogliere e praticare il comandamento: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12), dove il verbo
“onorare” indica l’adempimento degli impegni familiari e sociali nella loro pienezza, senza
trascurarli con pretese scusanti religiose (cfr Mc 7,11-13). Infatti, «chi onora il padre espia i
peccati, chi onora sua madre è come chi accumula tesori» (Sir 3,3-4).
18. Il Vangelo ci ricorda anche che i figli non sono una proprietà della famiglia, ma hanno davanti il
loro personale cammino di vita. Se è vero che Gesù si presenta come modello di obbedienza ai
suoi genitori terreni, stando loro sottomesso (cfr Lc 2,51), è pure certo che Egli mostra che la
scelta di vita del figlio e la sua stessa vocazione cristiana possono esigere un distacco per
realizzare la propria dedizione al Regno di Dio (cfr Mt 10,34-37; Lc 9,59-62). Di più, Egli stesso, a
dodici anni, risponde a Maria e a Giuseppe che ha una missione più alta da compiere al di là della
sua famiglia storica (cfr Lc 2,48-50). Perciò esalta la necessità di altri legami più profondi anche
dentro le relazioni familiari: «Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola
di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). D’altra parte, nell’attenzione che Egli riserva ai bambini –
considerati nella società del Vicino Oriente antico come soggetti privi di diritti particolari e come
parte della proprietà familiare – Gesù arriva al punto di presentarli agli adulti quasi come maestri,
per la loro fiducia semplice e spontanea verso gli altri: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e
non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo
come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,3-4).
Un sentiero di sofferenza e di sangue

1.7 Page 7

▲back to top
7
19. L’idillio presentato dal Salmo 128 non nega una realtà amara che segna tutte le Sacre
Scritture. E’ la presenza del dolore, del male, della violenza che lacerano la vita della famiglia e la
sua intima comunione di vita e di amore. Non per nulla il discorso di Cristo sul matrimonio (cfr Mt
19,3-9) è inserito all’interno di una disputa sul divorzio. La Parola di Dio è testimone costante di
questa dimensione oscura che si apre già all’inizio quando, con il peccato, la relazione d’amore e
di purezza tra l’uomo e la donna si trasforma in un dominio: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed
egli ti dominerà» (Gen 3,16).
20. E’ un sentiero di sofferenza e di sangue che attraversa molte pagine della Bibbia, a partire
dalla violenza fratricida di Caino su Abele e dai vari litigi tra i figli e tra le spose dei patriarchi
Abramo, Isacco e Giacobbe, per giungere poi alle tragedie che riempiono di sangue la famiglia di
Davide, fino alle molteplici difficoltà familiari che solcano il racconto di Tobia o l’amara confessione
di Giobbe abbandonato: «I miei fratelli si sono allontanati da me, persino i miei familiari mi sono
diventati estranei. […] Il mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio ribrezzo ai figli del mio
grembo» (Gb 19,13.17).
21. Gesù stesso nasce in una famiglia modesta, che ben presto deve fuggire in una terra
straniera. Egli entra nella casa di Pietro dove la suocera di lui giace malata (cfr Mc 1,30-31); si
lascia coinvolgere nel dramma della morte nella casa di Giairo e in quella di Lazzaro (cfr Mc 5,22-
24.35-43; Gv 11,1-44); ascolta il grido disperato della vedova di Nain davanti a suo figlio morto (cfr
Lc 7,11-15); accoglie l’invocazione del padre dell’epilettico in un piccolo villaggio di campagna (cfr
Mc 9,17-27). Incontra pubblicani come Matteo e Zaccheo nelle loro case (cfr Mt 9,9-13; Lc 19,1-
10), e anche peccatori, come la donna che irrompe nella casa del fariseo (cfr Lc 7,36-50).
Conosce le ansie e le tensioni delle famiglie e le inserisce nelle sue parabole: dai figli che se ne
vanno di casa in cerca di avventura (cfr Lc 15,11-32) fino ai figli difficili con comportamenti
inspiegabili (cfr Mt 21,28-31) o vittime della violenza (cfr Mc 12,1-9). E ancora si preoccupa per le
nozze che corrono il rischio di risultare imbarazzanti per la mancanza di vino (cfr Gv 2,1-10) o per
la latitanza degli invitati (cfr Mt 22,1-10), come pure conosce l’incubo per la perdita di una moneta
in una famiglia povera (cfr Lc 15,8-10).
22. In questo breve percorso possiamo riscontrare che la Parola di Dio non si mostra come una
sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in
crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino, quando Dio «asciugherà
ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4).
La fatica delle tue mani
23. All’inizio del Salmo 128, si presenta il padre come un lavoratore, che con l’opera delle sue
mani può sostenere il benessere fisico e la serenità della sua famiglia: «Della fatica delle tue mani
ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene» (v. 2). Che il lavoro sia una parte fondamentale della
dignità della vita umana, lo si deduce dalle prime pagine della Bibbia, quando si dice che «il

1.8 Page 8

▲back to top
8
Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse»
(Gen 2,15). E’ la rappresentazione del lavoratore che trasforma la materia e sfrutta le energie del
creato, producendo il «pane di fatica» (Sal 127,2), oltre a coltivare sé stesso.
24. Il lavoro rende possibile nello stesso tempo lo sviluppo della società, il sostentamento della
famiglia e anche la sua stabilità e la sua fecondità: «Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i
giorni della tua vita! Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!» (Sal 128,5-6). Nel Libro dei Proverbi si
presenta anche il compito della madre di famiglia, il cui lavoro viene descritto in tutte le sue
particolarità quotidiane, attirando la lode dello sposo e dei figli (cfr 31,10-31). Lo stesso apostolo
Paolo si mostrava orgoglioso di aver vissuto senza essere di peso per gli altri, perché lavorò con
le sue mani assicurandosi così il sostentamento (cfr At 18,3; 1 Cor 4,12; 9,12). Era talmente
convinto della necessità del lavoro, che stabilì una ferrea norma per le sue comunità: «Chi non
vuole lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3,10; cfr 1 Ts 4,11).
25. Detto questo, si capisce come la disoccupazione e la precarietà lavorativa diventino
sofferenza, come si registra nel piccolo Libro di Rut e come ricorda Gesù nella parabola dei
lavoratori che stanno seduti, in un ozio forzato, nella piazza del paese (cfr Mt 20,1-16), o come
Egli sperimenta nel fatto stesso di essere tante volte circondato da bisognosi e affamati. E’ ciò che
la società sta vivendo tragicamente in molti paesi, e questa mancanza di lavoro colpisce in diversi
modi la serenità delle famiglie.
26. Nemmeno possiamo dimenticare la degenerazione che il peccato introduce nella società,
quando l’essere umano si comporta come tiranno nei confronti della natura, devastandola,
usandola in modo egoistico e persino brutale. Le conseguenze sono al tempo stesso la
desertificazione del suolo (cfr Gen 3,17-19) e gli squilibri economici e sociali, contro i quali si leva
con chiarezza la voce dei profeti, da Elia (cfr 1 Re 21) fino alle parole che Gesù stesso pronuncia
contro l’ingiustizia (cfr Lc 12,13-21; 16,1-31).
La tenerezza dell’abbraccio
27. Cristo ha introdotto come segno distintivo dei suoi discepoli soprattutto la legge dell’amore e
del dono di sé agli altri (cfr Mt 22,39; Gv 13,34), e l’ha fatto attraverso un principio che un padre e
una madre sono soliti testimoniare nella propria esistenza: «Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Frutto dell’amore sono anche la
misericordia e il perdono. In questa linea, è molto emblematica la scena che mostra un’adultera
sulla spianata del tempio di Gerusalemme, circondata dai suoi accusatori, e poi sola con Gesù
che non la condanna e la invita ad una vita più dignitosa (cfr Gv 8,1-11).
28. Nell’orizzonte dell’amore, essenziale nell’esperienza cristiana del matrimonio e della famiglia,
risalta anche un’altra virtù, piuttosto ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali: la
tenerezza. Ricorriamo al dolce e intenso Salmo 131. Come si riscontra anche in altri testi (cfr Es

1.9 Page 9

▲back to top
9
4,22; Is 49,15; Sal 27,10), l’unione tra il fedele e il suo Signore si esprime con tratti dell’amore
paterno e materno. Qui appare la delicata e tenera intimità che esiste tra la madre e il suo
bambino, un neonato che dorme in braccio a sua madre dopo essere stato allattato. Si tratta –
come indica la parola ebraica gamul – di un bambino già svezzato, che si afferra coscientemente
alla madre che lo porta al suo petto. E’ dunque un’intimità consapevole e non meramente
biologica. Perciò il salmista canta: «Io resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a
sua madre» (Sal 131,2). Parallelamente, possiamo rifarci ad un’altra scena, là dove il profeta
Osea pone in bocca a Dio come padre queste parole commoventi: «Quando Israele era fanciullo,
io l’ho amato […] (gli) insegnavo a camminare tenendolo per mano […] Io lo traevo con legami di
bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su
di lui per dargli da mangiare» (11,1.3-4).
29. Con questo sguardo, fatto di fede e di amore, di grazia e di impegno, di famiglia umana e di
Trinità divina, contempliamo la famiglia che la Parola di Dio affida nelle mani dell’uomo, della
donna e dei figli perché formino una comunione di persone che sia immagine dell’unione tra il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’attività generativa ed educativa è, a sua volta, un riflesso
dell’opera creatrice del Padre. La famiglia è chiamata a condividere la preghiera quotidiana, la
lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica per far crescere l’amore e convertirsi sempre
più in tempio dove abita lo Spirito.
30. Davanti ad ogni famiglia si presenta l’icona della famiglia di Nazaret, con la sua quotidianità
fatta di fatiche e persino di incubi, come quando dovette patire l’incomprensibile violenza di Erode,
esperienza che si ripete tragicamente ancor oggi in tante famiglie di profughi rifiutati e inermi.
Come i magi, le famiglie sono invitate a contemplare il Bambino e la Madre, a prostrarsi e ad
adorarlo (cfr Mt 2,11). Come Maria, sono esortate a vivere con coraggio e serenità le loro sfide
familiari, tristi ed entusiasmanti, e a custodire e meditare nel cuore le meraviglie di Dio (cfr Lc
2,19.51). Nel tesoro del cuore di Maria ci sono anche tutti gli avvenimenti di ciascuna delle nostre
famiglie, che ella conserva premurosamente. Perciò può aiutarci a interpretarli per riconoscere
nella storia familiare il messaggio di Dio.
CAPITOLO SECONDO
LA REALTÀ E LE SFIDE DELLE FAMIGLIE
31. Il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa. Sono innumerevoli le
analisi che si sono fatte sul matrimonio e la famiglia, sulle loro difficoltà e sfide attuali. E’ sano
prestare attenzione alla realtà concreta, perché «le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano
anche negli stessi avvenimenti della storia», attraverso i quali «la Chiesa può essere guidata ad
una intelligenza più profonda dell'inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia».[8] Non

1.10 Page 10

▲back to top
10
pretendo di presentare qui tutto ciò che si potrebbe dire circa i diversi temi relativi alla famiglia nel
contesto attuale. Ma poiché i Padri sinodali hanno apportato uno sguardo sulla realtà delle
famiglie di tutto il mondo, ritengo opportuno raccogliere alcuni dei loro contributi pastorali,
aggiungendo altre preoccupazioni che provengono dal mio proprio sguardo.
La situazione attuale della famiglia
32. « Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua
complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. […] Il cambiamento antropologico-culturale
influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato».[9] Nel
contesto di vari decenni fa, i Vescovi di Spagna riconoscevano già una realtà domestica con
maggiori spazi di libertà, «con un’equa ripartizione di incarichi, responsabilità e compiti […]
Valorizzando di più la comunicazione personale tra gli sposi, si contribuisce a umanizzare l’intera
convivenza familiare […] Né la società in cui viviamo né quella verso la quale camminiamo
permettono la sopravvivenza indiscriminata di forme e modelli del passato».[10] Ma «siamo
consapevoli dell’orientamento principale dei cambiamenti antropologico-culturali, in ragione dei
quali gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali nella loro vita affettiva
e familiare».[11]
33. D’altra parte, «bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un
individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente
della famiglia come un'isola, facendo prevalere, in certi casi, l'idea di un soggetto che si costruisce
secondo i propri desideri assunti come un assoluto».[12] «Le tensioni indotte da una esasperata
cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche
di insofferenza e di aggressività».[13] Vorrei aggiungere il ritmo della vita attuale, lo stress,
l’organizzazione sociale e lavorativa, perché sono fattori culturali che mettono a rischio la
possibilità di scelte permanenti. Nello stesso tempo troviamo fenomeni ambigui. Per esempio, si
apprezza una personalizzazione che punta sull’autenticità invece che riprodurre comportamenti
prestabiliti. E’ un valore che può promuovere le diverse capacità e la spontaneità, ma che,
orientato male, può creare atteggiamenti di costante diffidenza, fuga dagli impegni, chiusura nella
comodità, arroganza. La libertà di scegliere permette di proiettare la propria vita e coltivare il
meglio di sé, ma, se non ha obiettivi nobili e disciplina personale, degenera in una incapacità di
donarsi generosamente. Di fatto, in molti paesi dove diminuisce il numero di matrimoni, cresce il
numero di persone che decidono di vivere sole, o che convivono senza coabitare. Possiamo
rilevare anche un lodevole senso di giustizia; però, se male inteso, esso trasforma i cittadini in
clienti che pretendono soltanto la prestazione di servizi.
34. Se questi rischi si trasferiscono al modo di intendere la famiglia, questa può trasformarsi in un
luogo di passaggio, al quale ci si rivolge quando pare conveniente per sé, o dove si va a
reclamare diritti, mentre i vincoli rimangono abbandonati alla precarietà volubile dei desideri e
delle circostanze. In fondo, oggi è facile confondere la genuina libertà con l’idea che ognuno

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
11
giudica come gli pare, come se al di là degli individui non ci fossero verità, valori, principi che ci
orientino, come se tutto fosse uguale e si dovesse permettere qualsiasi cosa. In tale contesto,
l’ideale matrimoniale, con un impegno di esclusività e di stabilità, finisce per essere distrutto dalle
convenienze contingenti o dai capricci della sensibilità. Si teme la solitudine, si desidera uno
spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una
relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali.
35. Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire
la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado
morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo,
non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo
cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è
chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le
motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più
disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro.
36. Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di
presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di
cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica. D’altra parte, spesso
abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore
e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere
della procreazione. Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi
anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre
volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi
artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle
famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo
risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente,
ma tutto il contrario.
37. Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e
morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie,
consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a
presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un
peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che
tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare
avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo
chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle.
38. Dobbiamo ringraziare per il fatto che la maggior parte della gente stima le relazioni familiari
che vogliono durare nel tempo e che assicurano il rispetto all’altro. Perciò si apprezza che la
Chiesa offra spazi di accompagnamento e di assistenza su questioni connesse alla crescita

2.2 Page 12

▲back to top
12
dell’amore, al superamento dei conflitti e all’educazione dei figli. Molti stimano la forza della grazia
che sperimentano nella Riconciliazione sacramentale e nell’Eucaristia, che permette loro di
sostenere le sfide del matrimonio e della famiglia. In alcuni paesi, specialmente in diverse parti
dell’Africa, il secolarismo non è riuscito a indebolire alcuni valori tradizionali e in ogni matrimonio si
produce una forte unione tra due famiglie allargate, dove ancora si mantiene un sistema ben
definito di gestione di conflitti e difficoltà. Nel mondo attuale si apprezza anche la testimonianza
dei coniugi che non solo hanno perseverato nel tempo, ma continuano a portare avanti un
progetto comune e conservano l’affetto. Questo apre la porta a una pastorale positiva,
accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo.
Tuttavia, molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali
moltiplicando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositiva per indicare strade di
felicità. Molti non percepiscono che il messaggio della Chiesa sul matrimonio e la famiglia sia stato
un chiaro riflesso della predicazione e degli atteggiamenti di Gesù, il quale nel contempo
proponeva un ideale esigente e non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili
come la samaritana o la donna adultera.
39. Questo non significa non riconoscere più la decadenza culturale che non promuove l’amore e
la dedizione. Le consultazioni previe ai due ultimi Sinodi hanno fatto emergere diversi sintomi della
“cultura del provvisorio”. Mi riferisco, per esempio, alla rapidità con cui le persone passano da una
relazione affettiva ad un’altra. Credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o
disconnettere a piacimento del consumatore e anche bloccare velocemente. Penso anche al
timore che suscita la prospettiva di un impegno permanente, all’ossessione per il tempo libero, alle
relazioni che calcolano costi e benefici e si mantengono unicamente se sono un mezzo per
rimediare alla solitudine, per avere protezione o per ricevere qualche servizio. Si trasferisce alle
relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente: tutto è scartabile, ciascuno
usa e getta, spreca e rompe, sfrutta e spreme finché serve. E poi addio. Il narcisismo rende le
persone incapaci di guardare al di là di sé stesse, dei propri desideri e necessità. Ma chi utilizza gli
altri prima o poi finisce per essere utilizzato, manipolato e abbandonato con la stessa logica. E’
degno di nota il fatto che le rotture dei legami avvengono molte volte tra persone adulte che
cercano una sorta di “autonomia” e rifiutano l’ideale di invecchiare insieme prendendosi cura l’uno
dell’altro e sostenendosi.
40. «A rischio di banalizzare, potremmo dire che viviamo in una cultura che spinge i giovani a non
formare una famiglia, perché mancano loro possibilità per il futuro. Ma questa stessa cultura
presenta ad altri così tante opzioni che anch’essi sono dissuasi dal formare una famiglia».[14] In
alcuni paesi, molti giovani «spesso sono indotti a rimandare le nozze per problemi di tipo
economico, lavorativo o di studio. Talora anche per altri motivi, come l’influenza delle ideologie
che svalutano il matrimonio e la famiglia, l’esperienza del fallimento di altre coppie che essi non
vogliono rischiare, il timore verso qualcosa che considerano troppo grande e sacro, le opportunità
sociali ed i vantaggi economici che derivano dalla convivenza, una concezione meramente
emotiva e romantica dell’amore, la paura di perdere la libertà e l’autonomia, il rifiuto di qualcosa

2.3 Page 13

▲back to top
13
concepito come istituzionale e burocratico».[15] Abbiamo bisogno di trovare le parole, le
motivazioni e le testimonianze che ci aiutino a toccare le fibre più intime dei giovani, là dove sono
più capaci di generosità, di impegno, di amore e anche di eroismo, per invitarli ad accettare con
entusiasmo e coraggio la sfida del matrimonio.
41. I Padri sinodali hanno fatto riferimento alle attuali «tendenze culturali che sembrano imporre
un’affettività senza limiti, […] un’affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i
soggetti a raggiungere una maggiore maturità». Si sono detti preoccupati per «una certa diffusione
della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di
internet» e per la «situazione di quelle persone che sono obbligate a praticare la prostituzione». In
questo contesto, «le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere.
Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La
crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a
produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami
sociali».[16] Le crisi coniugali frequentemente si affrontano «in modo sbrigativo e senza il coraggio
della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio. I
fallimenti danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi matrimoni,
creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la scelta cristiana».[17]
42. «Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche
mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle
generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento
economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto
anch’esso un forte impatto sulla natalità».[18] Possono aggiungersi altri fattori come
«l’industrializzazione, la rivoluzione sessuale, il timore della sovrappopolazione, i problemi
economici, […]. La società dei consumi può anche dissuadere le persone dall’avere figli anche
solo per mantenere la loro libertà e il proprio stile di vita».[19] E’ vero che la retta coscienza degli
sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione
di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri, ma sempre «per amore di questa
dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a
favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto».[20] Tali misure sono inaccettabili
anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in
alcuni paesi che soffrono il dramma di un tasso di natalità molto basso. Come hanno indicato i
Vescovi della Corea, questo è «agire in un modo contraddittorio e venendo meno al proprio
dovere».[21]
43. L’indebolimento della fede e della pratica religiosa in alcune società ha effetti sulle famiglie e le
lascia più sole con le loro difficoltà. I Padri hanno affermato che «una delle più grandi povertà della
cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità
delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-
economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. […] Spesso le famiglie si sentono

2.4 Page 14

▲back to top
14
abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni. Le conseguenze
negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle
difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli
anziani come un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza. È
responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei
giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia».[22]
44. La mancanza di una abitazione dignitosa o adeguata porta spesso a rimandare la
formalizzazione di una relazione. Occorre ricordare che «la famiglia ha il diritto a un’abitazione
decente, adatta per la vita della famiglia e proporzionata al numero dei membri, in un ambiente
che provveda i servizi di base per la vita della famiglia e della comunità».[23] Una famiglia e una
casa sono due cose che si richiamano a vicenda. Questo esempio mostra che dobbiamo insistere
sui diritti della famiglia, e non solo sui diritti individuali. La famiglia è un bene da cui la società non
può prescindere, ma ha bisogno di essere protetta.[24] La difesa di questi diritti è «un appello
profetico in favore dell'istituzione familiare, la quale deve essere rispettata e difesa da tutte le
usurpazioni»,[25] soprattutto nel contesto attuale dove solitamente occupa poco spazio nei
progetti politici. Le famiglie hanno, tra gli altri diritti, quello di «poter fare assegnamento su una
adeguata politica familiare da parte delle pubbliche autorità nell'ambito giuridico, economico,
sociale e fiscale».[26] A volte sono drammatiche le angustie delle famiglie quando, in presenza
della malattia di una persona cara, non hanno accesso a servizi sanitari adeguati, o quando si
prolunga il tempo senza che si ottenga un impiego dignitoso. «Le coercizioni economiche
escludono l’accesso delle famiglie all’educazione, alla vita culturale e alla vita sociale attiva.
L’attuale sistema economico produce diverse forme di esclusione sociale. Le famiglie soffrono in
modo particolare i problemi che riguardano il lavoro. Le possibilità per i giovani sono poche e
l’offerta di lavoro è molto selettiva e precaria. Le giornate lavorative sono lunghe e spesso
appesantite da lunghi tempi di trasferta. Questo non aiuta i familiari a ritrovarsi tra loro e con i figli,
in modo da alimentare quotidianamente le loro relazioni».[27]
45. «Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli
che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. […] Lo
sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della
società attuale. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o
della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deteriorate e soprattutto
nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di
strada».[28] L’abuso sessuale dei bambini diventa ancora più scandaloso quando avviene in
luoghi dove essi devono essere protetti, particolarmente nelle famiglie, nelle scuole e nelle
comunità e istituzioni cristiane.[29]
46. Le migrazioni «rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto
il carico di conseguenze sulla vita familiare».[30] L’ultimo Sinodo ha dato una grande importanza a
questa problematica, affermando che «tocca, con modalità differenti, intere popolazioni, in diverse

2.5 Page 15

▲back to top
15
parti del mondo. La Chiesa ha esercitato in questo campo un ruolo di primo piano. La necessità di
mantenere e sviluppare questa testimonianza evangelica (cf. Mt 25,35) appare oggi più che mai
urgente. […] La mobilità umana, che corrisponde al naturale movimento storico dei popoli, può
rivelarsi un’autentica ricchezza tanto per la famiglia che emigra quanto per il paese che la
accoglie. Altra cosa è la migrazione forzata delle famiglie, frutto di situazioni di guerra, di
persecuzione, di povertà, di ingiustizia, segnata dalle peripezie di un viaggio che mette spesso in
pericolo la vita, traumatizza le persone e destabilizza le famiglie. L’accompagnamento dei migranti
esige una pastorale specifica rivolta alle famiglie in migrazione, ma anche ai membri dei nuclei
familiari rimasti nei luoghi d’origine. Ciò deve essere attuato nel rispetto delle loro culture, della
formazione religiosa ed umana da cui provengono, della ricchezza spirituale dei loro riti e
tradizioni, anche mediante una cura pastorale specifica. […] Le migrazioni appaiono
particolarmente drammatiche e devastanti per le famiglie e per gli individui quando hanno luogo al
di fuori della legalità e sono sostenute da circuiti internazionali di tratta degli esseri umani. Lo
stesso può dirsi quando riguardano donne o bambini non accompagnati, costretti a soggiorni
prolungati nei luoghi di passaggio, nei campi profughi, dove è impossibile avviare un percorso di
integrazione. La povertà estrema e altre situazioni di disgregazione inducono talvolta le famiglie
perfino a vendere i propri figli per la prostituzione o per il traffico di organi».[31] «Le persecuzioni
dei cristiani, come anche quelle di minoranze etniche e religiose, in diverse parti del mondo,
specialmente in Medio Oriente, rappresentano una grande prova: non solo per la Chiesa, ma
anche per l’intera comunità internazionale. Ogni sforzo va sostenuto per favorire la permanenza di
famiglie e comunità cristiane nelle loro terre di origine».[32]
47. I Padri hanno dedicato speciale attenzione anche «alle famiglie delle persone con disabilità, in
cui l’handicap, che irrompe nella vita, genera una sfida, profonda e inattesa, e sconvolge gli
equilibri, i desideri, le aspettative. […] Meritano grande ammirazione le famiglie che accettano con
amore la difficile prova di un figlio disabile. Esse danno alla Chiesa e alla società una
testimonianza preziosa di fedeltà al dono della vita. La famiglia potrà scoprire, insieme alla
comunità cristiana, nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di
accoglienza e cura del mistero della fragilità. Le persone con disabilità costituiscono per la famiglia
un dono e un’opportunità per crescere nell’amore, nel reciproco aiuto e nell’unità. […] La famiglia
che accetta con lo sguardo della fede la presenza di persone con disabilità potrà riconoscere e
garantire la qualità e il valore di ogni vita, con i suoi bisogni, i suoi diritti e le sue opportunità. Essa
solleciterà servizi e cure, e promuoverà compagnia ed affetto, in ogni fase della vita».[33]
Desidero sottolineare che l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità
è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente
in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle
persone fragili.
48. «La maggior parte delle famiglie rispetta gli anziani, li circonda di affetto e li considera una
benedizione. Uno speciale apprezzamento va alle associazioni e ai movimenti familiari che
operano in favore degli anziani, sotto l’aspetto spirituale e sociale […]. Nelle società altamente

2.6 Page 16

▲back to top
16
industrializzate, ove il loro numero tende ad aumentare mentre decresce la natalità, essi rischiano
di essere percepiti come un peso. D’altra parte le cure che essi richiedono mettono spesso a dura
prova i loro cari».[34] «La valorizzazione della fase conclusiva della vita è oggi tanto più
necessaria quanto più si tenta di rimuovere in ogni modo il momento del trapasso. La fragilità e
dipendenza dell’anziano talora vengono sfruttate iniquamente per mero vantaggio economico.
Numerose famiglie ci insegnano che è possibile affrontare le ultime tappe della vita valorizzando il
senso del compimento e dell’integrazione dell’intera esistenza nel mistero pasquale. Un gran
numero di anziani è accolto in strutture ecclesiali dove possono vivere in un ambiente sereno e
familiare sul piano materiale e spirituale. L’eutanasia e il suicidio assistito sono gravi minacce per
le famiglie in tutto il mondo. La loro pratica è legale in molti Stati. La Chiesa, mentre contrasta
fermamente queste prassi, sente il dovere di aiutare le famiglie che si prendono cura dei loro
membri anziani e ammalati».[35]
49. Voglio mettere in risalto la situazione delle famiglie schiacciate dalla miseria, penalizzate in
tanti modi, dove i limiti della vita si vivono in maniera lacerante. Se tutti incontrano difficoltà, in una
casa molto povera queste diventano più dure.[36] Per esempio, se una donna deve allevare suo
figlio da sola, per una separazione o per altre cause, e deve lavorare senza la possibilità di
lasciarlo a un’altra persona, lui cresce in un abbandono che lo espone ad ogni tipo di rischio, e la
sua maturazione personale resta compromessa. Nelle difficili situazioni che vivono le persone più
bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare,
evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò
l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare
loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del
Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in «pietre morte da scagliare contro
gli altri».[37]
Alcune sfide
50. Le risposte ricevute alle due consultazioni, effettuate durante il cammino sinodale, hanno
menzionato le più diverse situazioni che pongono nuove sfide. Oltre a quelle già indicate, molti si
sono riferiti alla funzione educativa, che si trova in difficoltà perché, tra le altre cause, i genitori
tornano a casa stanchi e senza voglia di parlare, in tante famiglie non c’è più nemmeno l’abitudine
di mangiare insieme, e cresce una gran varietà di offerte di distrazioni oltre la dipendenza dalla
televisione. Questo rende difficile la trasmissione della fede da genitori a figli. Altri hanno
segnalato che le famiglie sono spesso malate di un’enorme ansietà. Sembra che siano più
preoccupate di prevenire problemi futuri che di condividere il presente. Questo, che è una
questione culturale, si aggrava a causa di un futuro professionale incerto, dell’insicurezza
economica, o del timore per l’avvenire dei figli.
51. E’ stata menzionata anche la tossicodipendenza come una delle piaghe della nostra epoca,
che fa soffrire molte famiglie, e non di rado finisce per distruggerle. Qualcosa di simile succede

2.7 Page 17

▲back to top
17
con l’alcolismo, il gioco e altre dipendenze. La famiglia potrebbe essere il luogo della prevenzione
e delle buone regole, ma la società e la politica non arrivano a capire che una famiglia a rischio
«perde la capacità di reazione per aiutare i suoi membri […] Notiamo le gravi conseguenze di
questa rottura in famiglie distrutte, figli sradicati, anziani abbandonati, bambini orfani di genitori
vivi, adolescenti e giovani disorientati e senza regole».[38] Come hanno indicato i Vescovi del
Messico, ci sono tristi situazioni di violenza familiare che sono terreno fertile per nuove forme di
aggressività sociale, perché «le relazioni familiari spiegano anche la predisposizione a una
personalità violenta. Le famiglie che influiscono in tal senso sono quelle che mancano di
comunicazione; quelle in cui predominano atteggiamenti difensivi e i membri non si appoggiano
tra loro; in cui non ci sono attività familiari che favoriscano la partecipazione; in cui le relazioni dei
genitori tra loro sono spesso conflittuali e violente, e quelle genitori-figli si caratterizzano per
atteggiamenti ostili. La violenza intrafamiliare è scuola di risentimento e di odio nelle relazioni
umane fondamentali».[39]
52. Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio
sia qualcosa che giova alla società. Accade il contrario: pregiudica la maturazione delle persone,
la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle città e dei villaggi. Non si avverte più con
chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione
sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità. Dobbiamo
riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma
le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare
semplicisticamente al matrimonio. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci
assicura il futuro della società. Ma chi si occupa oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i
rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità
dell’unione coniugale?
53. «In alcune società vige ancora la pratica della poligamia; in altri contesti permane la pratica dei
matrimoni combinati. […] In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la
prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche quella di convivenze non orientate ad
assumere la forma di un vincolo istituzionale».[40] In diversi paesi la legislazione facilita lo
sviluppo di una molteplicità di alternative, così che un matrimonio connotato da esclusività,
indissolubilità e apertura alla vita finisce per apparire una proposta antiquata tra molte altre.
Avanza in molti paesi una decostruzione giuridica della famiglia che tende ad adottare forme
basate quasi esclusivamente sul paradigma dell’autonomia della volontà. Benché sia legittimo e
giusto che si respingano vecchie forme di famiglia “tradizionale” caratterizzate dall’autoritarismo e
anche dalla violenza, questo non dovrebbe portare al disprezzo del matrimonio bensì alla
riscoperta del suo vero senso e al suo rinnovamento. La forza della famiglia «risiede
essenzialmente nella sua capacità di amare e di insegnare ad amare. Per quanto ferita possa
essere una famiglia, essa può sempre crescere a partire dall’amore».[41]
54. In questo breve sguardo sulla realtà, desidero rilevare che, per quanto ci siano stati notevoli

2.8 Page 18

▲back to top
18
miglioramenti nel riconoscimento dei diritti della donna e nella sua partecipazione allo spazio
pubblico, c’è ancora molto da crescere in alcuni paesi. Non sono ancora del tutto sradicati costumi
inaccettabili. Anzitutto la vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i
maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù che non costituiscono una dimostrazione di forza
mascolina bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro
le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale. Penso alla
grave mutilazione genitale della donna in alcune culture, ma anche alla disuguaglianza
dell’accesso a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi in cui si prendono le decisioni. La storia ricalca le
orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe, ma
ricordiamo anche la pratica dell’“utero in affitto” o la «strumentalizzazione e mercificazione del
corpo femminile nell’attuale cultura mediatica».[42] C’è chi ritiene che molti problemi attuali si sono
verificati a partire dall’emancipazione della donna. Ma questo argomento non è valido, «è una
falsità, non è vero. E’ una forma di maschilismo».[43] L’identica dignità tra l’uomo e la donna ci
porta a rallegrarci del fatto che si superino vecchie forme di discriminazione, e che in seno alle
famiglie si sviluppi uno stile di reciprocità. Se sorgono forme di femminismo che non possiamo
considerare adeguate, ammiriamo ugualmente l’opera dello Spirito nel riconoscimento più chiaro
della dignità della donna e dei suoi diritti.
55. L’uomo «riveste un ruolo egualmente decisivo nella vita della famiglia, con particolare
riferimento alla protezione e al sostegno della sposa e dei figli. […] Molti uomini sono consapevoli
dell’importanza del proprio ruolo nella famiglia e lo vivono con le qualità peculiari dell’indole
maschile. L’assenza del padre segna gravemente la vita familiare, l’educazione dei figli e il loro
inserimento nella società. La sua assenza può essere fisica, affettiva, cognitiva e spirituale.
Questa carenza priva i figli di un modello adeguato del comportamento paterno».[44]
56. Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che
«nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza
differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti
educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva
radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene
consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo».[45] E’ inquietante che
alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte
comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei
bambini. Non si deve ignorare che «sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso
(gender), si possono distinguere, ma non separare».[46] D’altra parte, «la rivoluzione
biotecnologica nel campo della procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto
generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. In questo modo,
la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette
prevalentemente ai desideri di singoli o di coppie».[47] Una cosa è comprendere la fragilità umana
o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli
aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore.

2.9 Page 19

▲back to top
19
Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al
tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e
rispettarla come è stata creata.
57. Rendo grazie a Dio perché molte famiglie, che sono ben lontane dal considerarsi perfette,
vivono nell’amore, realizzano la propria vocazione e vanno avanti anche se cadono tante volte
lungo il cammino. A partire dalle riflessioni sinodali non rimane uno stereotipo della famiglia ideale,
bensì un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni. Le
realtà che ci preoccupano sono sfide. Non cadiamo nella trappola di esaurirci in lamenti
autodifensivi, invece di suscitare una creatività missionaria. In tutte le situazioni «la Chiesa avverte
la necessità di dire una parola di verità e di speranza. […] I grandi valori del matrimonio e della
famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana».[48] Se
constatiamo molte difficoltà, esse sono – come hanno affermato i Vescovi della Colombia – un
invito a «liberare in noi le energie della speranza traducendole in sogni profetici, azioni
trasformatrici e immaginazione della carità».[49]
CAPITOLO TERZO
LO SGUARDO RIVOLTO A GESÙ: LA VOCAZIONE DELLA FAMIGLIA
58. Davanti alle famiglie e in mezzo ad esse deve sempre nuovamente risuonare il primo
annuncio, ciò che è «più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario»[50], e
«deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice».[51] È l’annuncio principale, «quello che si
deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare
durante la catechesi in una forma o nell’altra».[52] Perché «non c’è nulla di più solido, di più
profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» e «tutta la formazione
cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma».[53]
59. Il nostro insegnamento sul matrimonio e la famiglia non può cessare di ispirarsi e di
trasfigurarsi alla luce di questo annuncio di amore e di tenerezza, per non diventare mera difesa di
una dottrina fredda e senza vita. Infatti, non si può neppure comprendere pienamente il mistero
della famiglia cristiana se non alla luce dell’infinito amore del Padre, che si è manifestato in Cristo,
il quale si è donato sino alla fine ed è vivo in mezzo a noi. Perciò desidero contemplare Cristo
vivente che è presente in tante storie d’amore, e invocare il fuoco dello Spirito su tutte le famiglie
del mondo.
60. Entro tale quadro, questo breve capitolo raccoglie una sintesi dell’insegnamento della Chiesa
sul matrimonio e la famiglia. Anche a questo riguardo citerò diversi contributi presentati dai Padri
sinodali nelle loro considerazioni sulla luce che ci offre la fede. Essi sono partiti dallo sguardo di

2.10 Page 20

▲back to top
20
Gesù e hanno indicato che Egli «ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con
amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia,
nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio».[54] Allo stesso modo, il Signore ci accompagna
oggi nel nostro impegno per vivere e trasmettere il Vangelo della famiglia.
Gesù recupera e porta a compimento il progetto divino
61. Di fronte a quelli che proibivano il matrimonio, il Nuovo Testamento insegna che «ogni
creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato» (1 Tm 4,4). Il matrimonio è un «dono» del Signore
(cfr 1 Cor 7,7). Nello stesso tempo, a causa di tale valutazione positiva, si pone un forte accento
sull’avere cura di questo dono divino: «Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia
senza macchia» (Eb 13,4). Tale dono di Dio include la sessualità: «Non rifiutatevi l’un l’altro» (1
Cor 7,5).
62. I Padri sinodali hanno ricordato che Gesù, «riferendosi al disegno primigenio sulla coppia
umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che “per la durezza del
vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt
19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo
separi”: Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come
un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […] La condiscendenza divina accompagna
sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo
verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di
Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza
della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr Mt 19,3)».[55]
63. «Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro
forma originale (cfr Mc 10,1-12). La famiglia e il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cfr Ef
5,21-32), restaurati a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero
amore. L’alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza,
riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la
Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l'amore di Dio e
vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la storia del mondo sin dalla
creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) fino al compimento del
mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze dell’Agnello (cfr Ap 19,9)».[56]
64. «L’esempio di Gesù è paradigmatico per la Chiesa. […] Egli ha inaugurato la sua vita pubblica
con il segno di Cana, compiuto ad un banchetto di nozze (cfr Gv 2,1-11). […] Ha condiviso
momenti quotidiani di amicizia con la famiglia di Lazzaro e le sue sorelle (cfr Lc 10,38) e con la
famiglia di Pietro (cfr Mt 8,14). Ha ascoltato il pianto dei genitori per i loro figli, restituendoli alla
vita (cfr Mc 5,41; Lc 7,14-15) e manifestando così il vero significato della misericordia, la quale
implica il ristabilimento dell’Alleanza (cfr Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 4). Ciò appare

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
21
chiaramente negli incontri con la donna samaritana (cfr Gv 4,1-30) e con l’adultera (cfr Gv 8,1-11),
nei quali la percezione del peccato si desta davanti all’amore gratuito di Gesù».[57]
65. L’incarnazione del Verbo in una famiglia umana, a Nazaret, commuove con la sua novità la
storia del mondo. Abbiamo bisogno di immergerci nel mistero della nascita di Gesù, nel sì di Maria
all’annuncio dell’angelo, quando venne concepita la Parola nel suo seno; anche nel sì di
Giuseppe, che ha dato il nome a Gesù e si fece carico di Maria; nella festa dei pastori al presepe;
nell’adorazione dei Magi; nella fuga in Egitto, in cui Gesù partecipa al dolore del suo popolo
esiliato, perseguitato e umiliato; nella religiosa attesa di Zaccaria e nella gioia che accompagna la
nascita di Giovanni Battista; nella promessa compiuta per Simeone e Anna nel tempio;
nell’ammirazione dei dottori della legge mentre ascoltano la saggezza di Gesù adolescente. E
quindi penetrare nei trenta lunghi anni nei quali Gesù si guadagnò il pane lavorando con le sue
mani, sussurrando le orazioni e la tradizione credente del suo popolo ed educandosi nella fede dei
suoi padri, fino a farla fruttificare nel mistero del Regno. Questo è il mistero del Natale e il segreto
di Nazaret, pieno di profumo di famiglia! E’ il mistero che tanto ha affascinato Francesco di Assisi,
Teresa di Gesù Bambino e Charles de Foucauld, e al quale si dissetano anche le famiglie
cristiane per rinnovare la loro speranza e la loro gioia.
66. «L’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la Santa Famiglia di Nazaret, illumina il principio che
dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della
storia. Su questo fondamento, ogni famiglia, pur nella sua debolezza, può diventare una luce nel
buio del mondo. “Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi che cos’è la
famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e
inviolabile; ci faccia vedere come è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua
funzione naturale nell’ordine sociale” (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964)».[58]
La famiglia nei documenti della Chiesa
67. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, si è occupato
della promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cfr nn. 47-52). «Esso ha definito il
matrimonio come comunità di vita e di amore (cfr 48), mettendo l’amore al centro della famiglia
[…]. Il “vero amore tra marito e moglie” (49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la
dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cfr 48-49). Inoltre sottolinea il
radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore “viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento
del matrimonio” (48) e con loro rimane. Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica,
lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la
loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante
una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cfr Lumen
gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia
cristiana, che lo manifesta in modo genuino».[59]

3.2 Page 22

▲back to top
22
68. In seguito, «il beato Paolo VI, sulla scia del Concilio Vaticano II, ha approfondito la dottrina sul
matrimonio e sulla famiglia. In particolare, con l’Enciclica Humanae vitae, ha messo in luce il
legame intrinseco tra amore coniugale e generazione della vita: “L’amore coniugale richiede dagli
sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale
oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. […] L’esercizio
responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio,
verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori» (n. 10).
Nell’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, Paolo VI ha evidenziato il rapporto tra la famiglia
e la Chiesa».[60]
69. «San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue
catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie Gratissimam sane e soprattutto con
l’Esortazione apostolica Familiaris consortio. In tali documenti, il Pontefice ha definito la famiglia
“via della Chiesa”; ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della
donna; ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della
famiglia nella società. In particolare, trattando della carità coniugale (cfr Familiaris consortio, 13),
ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e
vivono la loro chiamata alla santità».[61]
70. «Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus caritas est, ha ripreso il tema della verità dell’amore tra
uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso (cfr 2). Egli
ribadisce come “il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del
rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore
umano” (11). Inoltre, nell’Enciclica Caritas in veritate, evidenzia l’importanza dell’amore come
principio di vita nella società (cfr 44), luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune».[62]
Il sacramento del matrimonio
71. «La Scrittura e la Tradizione ci aprono l’accesso a una conoscenza della Trinità che si rivela
con tratti familiari. La famiglia è immagine di Dio, che […] è comunione di persone. Nel battesimo,
la voce del Padre designa Gesù come suo Figlio amato, e in questo amore ci è dato di
riconoscere lo Spirito Santo (cfr Mc 1,10-11). Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé e ha
redento l’uomo dal peccato, non solo ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma
originale, ma ha anche elevato il matrimonio a segno sacramentale del suo amore per la Chiesa
(cfr Mt 19,1-12; Mc 10,1-12; Ef 5,21-32). Nella famiglia umana, radunata da Cristo, è restituita la
“immagine e somiglianza” della Santissima Trinità (cfr Gen 1,26), mistero da cui scaturisce ogni
vero amore. Da Cristo, attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia dello
Spirito Santo, per testimoniare il Vangelo dell’amore di Dio».[63]
72. Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno
esterno di un impegno. Il sacramento è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi,

3.3 Page 23

▲back to top
23
perché «la loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno
sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo
permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra, e per i figli,
testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi».[64] Il matrimonio è una
vocazione, in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come
segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e di formare
una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale.
73. «Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del
battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella
reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e
apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre
loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora,
nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante
l’aiuto della grazia del sacramento. […] Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come
al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù».[65] Il sacramento non
è una “cosa” o una “forza”, perché in realtà Cristo stesso «viene incontro ai coniugi cristiani
attraverso il sacramento del matrimonio. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo
prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi
vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri».[66] Il matrimonio cristiano è un segno che
non solo indica quanto Cristo ha amato la sua Chiesa nell’Alleanza sigillata sulla Croce, ma rende
presente tale amore nella comunione degli sposi. Unendosi in una sola carne rappresentano lo
sposalizio del Figlio di Dio con la natura umana. Per questo «nelle gioie del loro amore e della loro
vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze
dell’Agnello».[67] Benché «l’analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa» sia una
«analogia imperfetta»,[68] essa invita ad invocare il Signore perché riversi il suo amore dentro i
limiti delle relazioni coniugali.
74. L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è a sua volta per gli
sposi via di crescita nella vita della grazia. È il «mistero nuziale».[69] Il valore dell’unione dei corpi
è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati
reciprocamente per condividere tutta la vita. Queste parole conferiscono un significato alla
sessualità, liberandola da qualsiasi ambiguità. Tuttavia, in realtà, tutta la vita in comune degli
sposi, tutta la rete delle relazioni che tesseranno tra loro, con i loro figli e con il mondo, sarà
impregnata e irrobustita dalla grazia del sacramento che sgorga dal mistero dell’Incarnazione e
della Pasqua, in cui Dio ha espresso tutto il suo amore per l’umanità e si è unito intimamente ad
essa. Non saranno mai soli con le loro forze ad affrontare le sfide che si presentano. Essi sono
chiamati a rispondere al dono di Dio con il loro impegno, la loro creatività, la loro resistenza e lotta
quotidiana, ma potranno sempre invocare lo Spirito Santo che ha consacrato la loro unione,
perché la grazia ricevuta si manifesti nuovamente in ogni nuova situazione.

3.4 Page 24

▲back to top
24
75. Secondo la tradizione latina della Chiesa, nel sacramento del matrimonio i ministri sono l’uomo
e la donna che si sposano,[70] i quali, manifestando il loro mutuo consenso ed esprimendolo nel
reciproco dono corporale, ricevono un grande dono. Il loro consenso e l’unione dei corpi sono gli
strumenti dell’azione divina che li rende una sola carne. Nel Battesimo è stata consacrata la loro
capacità di unirsi in matrimonio come ministri del Signore per rispondere alla chiamata di Dio.
Pertanto, quando due coniugi non cristiani ricevono il Battesimo, non è necessario che rinnovino
la promessa matrimoniale ed è sufficiente che non la rifiutino, dal momento che, a causa del
Battesimo che ricevono, la loro unione diventa per ciò stesso sacramentale. Il Diritto Canonico
riconosce anche la validità di alcuni matrimoni che si celebrano senza un ministro ordinato.[71]
Infatti l’ordine naturale è stato assunto dalla redenzione di Gesù Cristo, in maniera tale che «tra i
battezzati, non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso
sacramento».[72] La Chiesa può esigere che l’atto sia pubblico, la presenza di testimoni e altre
condizioni che sono mutate nel corso della storia, però questo non toglie ai due sposi il loro
carattere di ministri del sacramento, né diminuisce la centralità del consenso dell’uomo e della
donna, che è ciò che di per sé stabilisce il vincolo sacramentale. In ogni caso, abbiamo bisogno di
riflettere ulteriormente circa l’azione divina nel rito nuziale, che è posta in grande risalto nelle
Chiese orientali, con l’attribuire particolare importanza alla benedizione dei contraenti come segno
del dono dello Spirito.
Semi del Verbo e situazioni imperfette
76. «Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve
curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati»,[73] in modo che,
partendo dal dono di Cristo nel sacramento, «siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad
una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita».[74]
77. Assumendo l’insegnamento biblico secondo il quale tutto è stato creato da Cristo e in vista di
Cristo (cfr Col 1,16), i Padri sinodali hanno ricordato che «l’ordine della redenzione illumina e
compie quello della creazione. Il matrimonio naturale, pertanto, si comprende pienamente alla luce
del suo compimento sacramentale: solo fissando lo sguardo su Cristo si conosce fino in fondo la
verità sui rapporti umani. “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il
mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del
suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione”
(Gaudium et spes, 22). Risulta particolarmente opportuno comprendere in chiave cristocentrica le
proprietà naturali del matrimonio, che costituiscono il bene dei coniugi (bonum coniugum)»,[75]
che comprende l’unità, l’apertura alla vita, la fedeltà e l’indissolubilità, e all’interno del matrimonio
cristiano anche l’aiuto reciproco nel cammino verso una più piena amicizia con il Signore. «Il
discernimento della presenza dei semina Verbi nelle altre culture (cfr Ad gentes, 11) può essere
applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare. Oltre al vero matrimonio naturale ci sono
elementi positivi presenti nelle forme matrimoniali di altre tradizioni religiose»,[76] benché non
manchino neppure le ombre. Possiamo affermare che «ogni persona che desideri formare in

3.5 Page 25

▲back to top
25
questo mondo una famiglia che insegni ai figli a gioire per ogni azione che si proponga di vincere il
male – una famiglia che mostri che lo Spirito è vivo e operante –, troverà la gratitudine e la stima,
a qualunque popolo, religione o regione appartenga».[77]
78. «Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cfr Gv 1,9; Gaudium et spes, 22) ispira
la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto
matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati. Nella prospettiva della pedagogia divina, la
Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con
essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno
dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano. […] Quando l’unione
raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico – ed è connotata da affetto
profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove – può essere
vista come un’occasione da accompagnare verso il sacramento del matrimonio, laddove questo
sia possibile».[78]
79. «Di fronte a situazioni difficili e a famiglie ferite, occorre sempre ricordare un principio
generale: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le
situazioni” (Familiaris consortio, 84). Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e
possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con
chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle
diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a
motivo della loro condizione».[79]
La trasmissione della vita e l’educazione dei figli
80. Il matrimonio è in primo luogo una «intima comunità di vita e di amore coniugale»[80] che
costituisce un bene per gli stessi sposi,[81] e la sessualità «è ordinata all’amore coniugale
dell’uomo e della donna».[82] Perciò anche «i coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli,
possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente».[83]
Ciò nonostante, questa unione è ordinata alla generazione «per la sua stessa natura».[84] Il
bambino che nasce «non viene ad aggiungersi dall’esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia
al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento».[85] Non giunge come alla fine
di un processo, ma invece è presente dall’inizio del loro amore come una caratteristica essenziale
che non può venire negata senza mutilare lo stesso amore. Fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni
impulso di chiudersi in sé stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria
esistenza. Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato,[86] benché per
diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita.
81. Il figlio chiede di nascere da un tale amore e non in qualsiasi modo, dal momento che egli
«non è qualcosa di dovuto ma un dono»,[87] che è «il frutto dello specifico atto dell’amore
coniugale dei suoi genitori».[88] Perché «secondo l’ordine della creazione l’amore coniugale tra un

3.6 Page 26

▲back to top
26
uomo e una donna e la trasmissione della vita sono ordinati l’uno all’altra (cfr Gen 1,27-28). In
questo modo il Creatore ha reso partecipi l’uomo e la donna dell’opera della sua creazione e li ha
contemporaneamente resi strumenti del suo amore, affidando alla loro responsabilità il futuro
dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana».[89]
82. I Padri sinodali hanno affermato che «non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità
che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di
coppia».[90] L’insegnamento della Chiesa «aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la
comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va
riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di
rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità
[…] La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza
coniugale».[91] Con particolare gratitudine, la Chiesa «sostiene le famiglie che accolgono,
educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili».[92]
83. In questo contesto, non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il
luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi
il luogo dove la vita viene negata e distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così
inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in
nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere
decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di
dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al
suo tramonto. Perciò «a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale
dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il
diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta
fermamente la pena di morte».[93]
84. I Padri hanno voluto sottolineare anche che «una delle sfide fondamentali di fronte a cui si
trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla
realtà culturale attuale e della grande influenza dei media».[94] «La Chiesa svolge un ruolo
prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall'iniziazione cristiana, attraverso comunità
accoglienti».[95] Tuttavia mi sembra molto importante ricordare che l’educazione integrale dei figli
è «dovere gravissimo» e allo stesso tempo «diritto primario» dei genitori.[96] Non si tratta
solamente di un’incombenza o di un peso, ma anche di un diritto essenziale e insostituibile che
sono chiamati a difendere e che nessuno dovrebbe pretendere di togliere loro. Lo Stato offre un
servizio educativo in maniera sussidiaria, accompagnando la funzione non delegabile dei genitori,
che hanno il diritto di poter scegliere con libertà il tipo di educazione – accessibile e di qualità –
che intendono dare ai figli secondo le proprie convinzioni. La scuola non sostituisce i genitori
bensì è ad essi complementare. Questo è un principio basilare: «Qualsiasi altro collaboratore nel
processo educativo deve agire in nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura,
anche su loro incarico».[97] Tuttavia «si è aperta una frattura tra famiglia e società, tra famiglia e

3.7 Page 27

▲back to top
27
scuola, il patto educativo oggi si è rotto; e così, l’alleanza educativa della società con la famiglia è
entrata in crisi».[98]
85. La Chiesa è chiamata a collaborare, con un’azione pastorale adeguata, affinché gli stessi
genitori possano adempiere la loro missione educativa. Deve farlo aiutandoli sempre a valorizzare
il loro ruolo specifico, e a riconoscere che coloro che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio
diventano veri ministri educativi, perché nel formare i loro figli edificano la Chiesa,[99] e nel farlo
accettano una vocazione che Dio propone loro.[100]
La famiglia e la Chiesa
86. «Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli
agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono.
Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per
sempre. Nella famiglia, “che si potrebbe chiamare Chiesa domestica” (Lumen gentium, 11),
matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il
mistero della Santa Trinità. “È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il
perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta
della propria vita” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657)».[101]
87. La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese
domestiche. Pertanto, «in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti
un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della
Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia,
la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non
solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana».[102]
88. L’amore vissuto nelle famiglie è una forza permanente per la vita della Chiesa. «Il fine unitivo
del matrimonio è un costante richiamo al crescere e all’approfondirsi di questo amore. Nella loro
unione di amore gli sposi sperimentano la bellezza della paternità e della maternità; condividono i
progetti e le fatiche, i desideri e le preoccupazioni; imparano la cura reciproca e il perdono
vicendevole. In questo amore celebrano i loro momenti felici e si sostengono nei passaggi difficili
della loro storia di vita […] La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce
e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono
unica e insostituibile la risposta alla vocazione della famiglia»,[103] tanto per la Chiesa quanto per
l’intera società.
CAPITOLO QUARTO

3.8 Page 28

▲back to top
28
L’AMORE NEL MATRIMONIO
89. Tutto quanto è stato detto non è sufficiente ad esprimere il vangelo del matrimonio e della
famiglia se non ci soffermiamo in modo specifico a parlare dell’amore. Perché non potremo
incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il
consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare. In effetti, la grazia del
sacramento del matrimonio è destinata prima di tutto «a perfezionare l’amore dei coniugi».[104]
Anche in questo caso rimane valido che, anche «se possedessi tanta fede da trasportare le
montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e
consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1 Cor
13,2-3). La parola “amore”, tuttavia, che è una delle più utilizzate, molte volte appare
sfigurata.[105]
Il nostro amore quotidiano
90. Nel cosiddetto inno alla carità scritto da San Paolo, riscontriamo alcune caratteristiche del vero
amore:
«La carità è paziente,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7).
Questo si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro
figli. Perciò è prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per
tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia.
Pazienza
91. La prima espressione utilizzata è macrothymei. La traduzione non è semplicemente “che

3.9 Page 29

▲back to top
29
sopporta ogni cosa”, perché questa idea viene espressa alla fine del v. 7. Il senso si coglie dalla
traduzione greca dell’Antico Testamento, dove si afferma che Dio è «lento all’ira» (Es 34,6; Nm
14,18). Si mostra quando la persona non si lascia guidare dagli impulsi e evita di aggredire. È una
caratteristica del Dio dell’Alleanza che chiama ad imitarlo anche all’interno della vita familiare. I
testi in cui Paolo fa uso di questo termine si devono leggere sullo sfondo del libro della Sapienza
(cfr 11,23; 12,2.15-18): nello stesso tempo in cui si loda la moderazione di Dio al fine di dare
spazio al pentimento, si insiste sul suo potere che si manifesta quando agisce con misericordia.
La pazienza di Dio è esercizio di misericordia verso il peccatore e manifesta l’autentico potere.
92. Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni
fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le
relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e
aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a
reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per
rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci
di dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia. Per questo la Parola
di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni
sorta di malignità» (Ef 4,31). Questa pazienza si rafforza quando riconosco che anche l’altro
possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio
per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è
in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che
porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso
da quello che io avrei desiderato.
Atteggiamento di benevolenza
93. Segue la parola chresteuetai, che è unica in tutta la Bibbia, derivata da chrestos (persona
buona, che mostra la sua bontà nelle azioni). Però, considerata la posizione in cui si trova, in
stretto parallelismo con il verbo precedente, ne diventa un complemento. In tal modo Paolo vuole
mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto non è un atteggiamento totalmente
passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti
degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come
“benevola”.
94. Nell’insieme del testo si vede che Paolo vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un
sentimento, ma che si deve intendere nel senso che il verbo “amare” ha in ebraico, vale a dire:
“fare il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle
parole».[106] In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la
felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare,
senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire.

3.10 Page 30

▲back to top
30
Guarendo l’invidia
95. Quindi si rifiuta come contrario all’amore un atteggiamento espresso con il termine zelos
(gelosia o invidia). Significa che nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del
bene dell’altro (cfr At 7,9; 17,5). L’invidia è una tristezza per il bene altrui che dimostra che non ci
interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere.
Mentre l’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io. Il vero amore
apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro
dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in
modo di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro.
96. In definitiva si tratta di adempiere quello che richiedevano gli ultimi due comandamenti della
Legge di Dio: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo
prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che
appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun
essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità. Amo quella persona, la guardo con lo
sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), e dunque
accetto dentro di me che possa godere di un buon momento. Questa stessa radice dell’amore, in
ogni caso, è quella che mi porta a rifiutare l’ingiustizia per il fatto che alcuni hanno troppo e altri
non hanno nulla, o quella che mi spinge a far sì che anche quanti sono scartati dalla società
possano vivere un po’ di gioia. Questo però non è invidia, ma desiderio di equità.
Senza vantarsi o gonfiarsi
97. Segue l’espressione perpereuetai, che indica la vanagloria, l’ansia di mostrarsi superiori per
impressionare gli altri con un atteggiamento pedante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo
evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo
posto, senza pretendere di stare al centro. La parola seguente – physioutai – è molto simile,
perché indica che l’amore non è arrogante. Letteralmente esprime il fatto che non si “ingrandisce”
di fronte agli altri, e indica qualcosa di più sottile. Non è solo un’ossessione per mostrare le proprie
qualità, ma fa anche perdere il senso della realtà. Ci si considera più grandi di quello che si è
perché ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per esempio per
dire che «la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1). Vale a dire,
alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a
controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il
debole. In un altro versetto lo utilizza per criticare quelli che si “gonfiano d’orgoglio” (cfr 1 Cor
4,18), ma in realtà hanno più verbosità che vero “potere” dello Spirito (cfr 1 Cor 4,19).
98. E’ importante che i cristiani vivano questo atteggiamento nel loro modo di trattare i familiari
poco formati nella fede, fragili o meno sicuri nelle loro convinzioni. A volte accade il contrario:
quelli che, nell’ambito della loro famiglia, si suppone siano cresciuti maggiormente, diventano

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
31
arroganti e insopportabili. L’atteggiamento dell’umiltà appare qui come qualcosa che è parte
dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile
guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà. Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere
ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice loro: «tra voi non sarà così» (Mt 20,26). La
logica dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro
sentire il suo potere, ma quella per cui «chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore»
(Mt 20,27). Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la
competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore.
Vale anche per la famiglia questo consiglio: «Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché
Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1 Pt 5,5).
Amabilità
99. Amare significa anche rendersi amabili, e qui trova senso l’espressione aschemonei. Vuole
indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel
tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire
gli altri. La cortesia «è una scuola di sensibilità e disinteresse» che esige dalla persona che
«coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a
tacere».[107] Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte
delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò «ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con
quelli che lo circondano».[108] Ogni giorno, «entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte
della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il
rispetto. […] E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la
capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore».[109]
100. Per disporsi ad un vero incontro con l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui.
Questo non è possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli errori altrui,
forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci
molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo
differenti. L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce
una solida trama sociale. In tal modo protegge sé stesso, perché senza senso di appartenenza
non si può sostenere una dedizione agli altri, ognuno finisce per cercare unicamente la propria
convenienza e la convivenza diventa impossibile. Una persona antisociale crede che gli altri
esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo il loro dovere.
Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire
parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano.
Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: «Coraggio figlio!» (Mt 9,2).
«Grande è la tua fede!» (Mt 15,28). «Alzati!» (Mc 5,41). «Va’ in pace» (Lc 7,50). «Non abbiate
paura» (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano.
Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù.

4.2 Page 32

▲back to top
32
Distacco generoso
101. Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia,
questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello
che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non cerchi l’interesse
proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle
Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del
dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente
come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà
ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? [...] Nessuno è peggiore di chi
danneggia sé stesso» (Sir 14,5-6).
102. Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che «è più proprio della carità voler amare
che voler essere amati»[110] e che, in effetti, «le madri, che sono quelle che amano di più,
cercano più di amare che di essere amate».[111] Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e
straripare gratuitamente, «senza sperarne nulla» (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande,
che è «dare la vita» per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di
donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede
il Vangelo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).
Senza violenza interiore
103. Se la prima espressione dell’inno ci invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di
fronte alle debolezze o agli errori degli altri, adesso appare un’altra parola – paroxynetai – che si
riferisce ad una reazione interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di
una violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri,
come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare. Alimentare tale aggressività intima non
serve a nulla. Ci fa solo ammalare e finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a
reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri
atteggiamenti verso gli altri.
104. Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio (cfr Mt 7,5), e come cristiani
non possiamo ignorare il costante invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: «Non lasciarti
vincere dal male» (Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire
la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un
atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira»
(Ef 4,26). Perciò, non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. «E come devo
fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia
familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la
pace!».[112]La reazione interiore di fronte a una molestia causata dagli altri dovrebbe essere
anzitutto benedire nel cuore, desiderare il bene dell’altro, chiedere a Dio che lo liberi e lo guarisca:

4.3 Page 33

▲back to top
33
«Rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la
sua benedizione» (1 Pt 3,9). Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre
“no” alla violenza interiore.
Perdono
105. Se permettiamo ad un sentimento cattivo di penetrare nelle nostre viscere, diamo spazio a
quel rancore che si annida nel cuore. La frase logizetai to kakon significa “tiene conto del male”,
“se lo porta annotato”, vale a dire, è rancoroso. Il contrario è il perdono, un perdono fondato su un
atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a cercare delle scuse
per l’altra persona, come Gesù che disse: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che
fanno» (Lc 23,34). Invece la tendenza è spesso quella di cercare sempre più colpe, di immaginare
sempre più cattiverie, di supporre ogni tipo di cattive intenzioni, e così il rancore va crescendo e si
radica. In tal modo, qualsiasi errore o caduta del coniuge può danneggiare il vincolo d’amore e la
stabilità familiare. Il problema è che a volte si attribuisce ad ogni cosa la medesima gravità, con il
rischio di diventare crudeli per qualsiasi errore dell’altro. La giusta rivendicazione dei propri diritti si
trasforma in una persistente e costante sete di vendetta più che in una sana difesa della propria
dignità.
106. Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che
sia facile. La verità è che «la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con
un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di
ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia
ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte
colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella
vita familiare».[113]
107. Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza
liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico
delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla
fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali.
Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la
propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi,
per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri.
108. Ma questo presuppone l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e
non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre
sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che l’amore di Dio è senza
condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là
di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in
famiglia cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà uno

4.4 Page 34

▲back to top
34
spazio di tensione permanente e di reciproco castigo.
Rallegrarsi con gli altri
109. L’espressione chairei epi te adikia indica qualcosa di negativo insediato nel segreto del cuore
della persona. È l’atteggiamento velenoso di chi si rallegra quando vede che si commette
ingiustizia verso qualcuno. La frase si completa con quella che segue, che si esprime in modo
positivo: synchairei te aletheia: si compiace della verità. Vale a dire, si rallegra per il bene
dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue capacità e le sue
buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il
proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti.
110. Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le
cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con
gioia» (2 Cor 9,7), nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro.
Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto
sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto
Gesù, «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). La famiglia dev’essere sempre il luogo
in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui.
Tutto scusa
111. L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa,
tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo contro-
culturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare.
112. In primo luogo si afferma che “tutto scusa” (panta stegei). Si differenzia da “non tiene conto
del male”, perché questo termine ha a che vedere con l’uso della lingua; può significare
“mantenere il silenzio” circa il negativo che può esserci nell’altra persona. Implica limitare il
giudizio, contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. «Non condannate e
non sarete condannati» (Lc 6,37). Benché vada contro il nostro uso abituale della lingua, la Parola
di Dio ci chiede: «Non sparlate gli uni degli altri, fratelli» (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare
l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza
fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la diffamazione può essere un
grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri
procurando loro dei danni molto difficili da riparare. Per questo la Parola di Dio è così dura con la
lingua, dicendo che è «il mondo del male» che «contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra
vita» (Gc 3,6), «è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,8). Se «con essa malediciamo
gli uomini fatti a somiglianza di Dio» (Gc 3,9), l’amore si prende cura dell’immagine degli altri, con
una delicatezza che porta a preservare persino la buona fama dei nemici. Nel difendere la legge
divina non bisogna mai dimenticare questa esigenza dell’amore.

4.5 Page 35

▲back to top
35
113. Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il
lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il
silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un
atteggiamento interiore. E non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i
punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli
sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere
dell’altro. Un fatto sgradevole nella relazione non è la totalità di quella relazione. Dunque si può
accettare con semplicità che tutti siamo una complessa combinazione di luci e ombre. L’altro non
è soltanto quello che a me dà fastidio. È molto più di questo. Per la stessa ragione, non pretendo
che il suo amore sia perfetto per apprezzarlo. Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il
fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma
limitato e terreno. Perciò, se pretendo troppo, in qualche modo me lo farà capire, dal momento
che non potrà né accetterà di giocare il ruolo di un essere divino né di stare al servizio di tutte le
mie necessità. L’amore convive con l’imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti
della persona amata.
Ha fiducia
114. Panta pisteuei: “tutto crede”. Per il contesto, non si deve intendere questa “fede” in senso
teologico, bensì in quello corrente di “fiducia”. Non si tratta soltanto di non sospettare che l’altro
stia mentendo o ingannando. Tale fiducia fondamentale riconosce la luce accesa da Dio che si
nasconde dietro l’oscurità, o la brace che arde ancora sotto le ceneri.
115. Questa stessa fiducia rende possibile una relazione di libertà. Non c’è bisogno di controllare
l’altro, di seguire minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia.
L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare. Questa
libertà, che rende possibili spazi di autonomia, apertura al mondo e nuove esperienze, permette
che la relazione si arricchisca e non diventi una endogamia senza orizzonti. In tal modo i coniugi,
ritrovandosi, possono vivere la gioia di condividere quello che hanno ricevuto e imparato al di fuori
del cerchio familiare. Nello stesso tempo rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché
quando uno sa che gli altri confidano in lui e ne apprezzano la bontà di fondo, allora si mostra
com’è, senza occultamenti. Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo giudicano senza
compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà mantenere i suoi segreti,
nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello che non è. Viceversa, una famiglia in cui
regna una solida e affettuosa fiducia, e dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto,
permette che emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti
l’inganno, la falsità e la menzogna.
Spera
116. Panta elpizei: non dispera del futuro. In connessione con la parola precedente, indica la

4.6 Page 36

▲back to top
36
speranza di chi sa che l’altro può cambiare. Spera sempre che sia possibile una maturazione, un
sorprendente sbocciare di bellezza, che le potenzialità più nascoste del suo essere germoglino un
giorno. Non vuol dire che tutto cambierà in questa vita. Implica accettare che certe cose non
accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva diritto sulle righe storte di quella persona
e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra.
117. Qui si fa presente la speranza nel suo senso pieno, perché comprende la certezza di una vita
oltre la morte. Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là,
completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue
oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua
potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di
contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e
attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile.
Tutto sopporta
118. Panta hypomenei significa che sopporta con spirito positivo tutte le contrarietà. Significa
mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile. Non consiste soltanto nel tollerare alcune cose
moleste, ma in qualcosa di più ampio: una resistenza dinamica e costante, capace di superare
qualsiasi sfida. È amore malgrado tutto, anche quando tutto il contesto invita a un’altra cosa.
Manifesta una dose di eroismo tenace, di potenza contro qualsiasi corrente negativa, una opzione
per il bene che niente può rovesciare. Questo mi ricorda le parole di Martin Luther King, quando
ribadiva la scelta dell’amore fraterno anche in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni: «La
persona che ti odia di più, ha qualcosa di buono dentro di sé; e anche la nazione che più odia, ha
qualcosa di buono in sé; anche la razza che più odia, ha qualcosa di buono in sé. E quando arrivi
al punto di guardare il volto di ciascun essere umano e vedi molto dentro di lui quello che la
religione chiama “immagine di Dio”, cominci ad amarlo nonostante tutto. Non importa quello che
fa, tu vedi lì l’immagine di Dio. C’è un elemento di bontà di cui non ti potrai mai sbarazzare […] Un
altro modo in cui ami il tuo nemico è questo: quando si presenta l’opportunità di sconfiggere il tuo
nemico, quello è il momento nel quale devi decidere di non farlo […] Quando ti elevi al livello
dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i
sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di
sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male
nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e
così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche
parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la
persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male […] Qualcuno deve
avere abbastanza fede e moralità per spezzarla e iniettare dentro la stessa struttura dell’universo
l’elemento forte e potente dell’amore».[114]
119. Nella vita familiare c’è bisogno di coltivare questa forza dell’amore, che permette di lottare

4.7 Page 37

▲back to top
37
contro il male che la minaccia. L’amore non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le
persone, dal desiderio di ferire o di far pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare
nella famiglia, è amore malgrado tutto. A volte ammiro, per esempio, l’atteggiamento di persone
che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, e tuttavia, a causa
della carità coniugale che sa andare oltre i sentimenti, sono stati capaci di agire per il suo bene,
benché attraverso altri, in momenti di malattia, di sofferenza o di difficoltà. Anche questo è amore
malgrado tutto.
Crescere nella carità coniugale
120. L’inno di san Paolo, che abbiamo percorso, ci permette di passare alla carità coniugale. Essa
è l’amore che unisce gli sposi,[115] santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento
del matrimonio. È «un’unione affettiva»,[116] spirituale e oblativa, che però raccoglie in sé la
tenerezza dell’amicizia e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i
sentimenti e la passione si indebolissero. Il Papa Pio XI ha insegnato che tale amore permea tutti i
doveri della vita coniugale e «tiene come il primato della nobiltà».[117] Infatti, tale amore forte,
versato dallo Spirito Santo, è il riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità, culminata
nella dedizione sino alla fine, sulla croce: «Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e
rende l’uomo e la donna capaci di amarsi come Cristo ci ha amato. L’amore coniugale raggiunge
quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale».[118]
121. Il matrimonio è un segno prezioso, perché «quando un uomo e una donna celebrano il
sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri
lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi.
Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da
sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei
due sposi una sola esistenza».[119] Questo comporta conseguenze molto concrete e quotidiane,
perché gli sposi, «in forza del Sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione,
perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo
ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei».[120]
122. Tuttavia, non è bene confondere piani differenti: non si deve gettare sopra due persone
limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la
sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica «un processo dinamico, che avanza
gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio».[121]
Tutta la vita, tutto in comune
123. Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la «più grande amicizia».[122] E’
un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro,
reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la

4.8 Page 38

▲back to top
38
vita condivisa. Però il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si
esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza. Siamo sinceri e
riconosciamo i segni della realtà: chi è innamorato non progetta che tale relazione possa essere
solo per un periodo di tempo, chi vive intensamente la gioia di sposarsi non pensa a qualcosa di
passeggero; coloro che accompagnano la celebrazione di un’unione piena d’amore, anche se
fragile, sperano che possa durare nel tempo; i figli non solo desiderano che i loro genitori si amino,
ma anche che siano fedeli e rimangano sempre uniti. Questi e altri segni mostrano che nella
stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo. L’unione che si cristallizza nella
promessa matrimoniale per sempre, è più che una formalità sociale o una tradizione, perché si
radica nelle inclinazioni spontanee della persona umana; e, per i credenti, è un’alleanza davanti a
Dio che esige fedeltà: «Il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai
tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto: […] nessuno tradisca la
donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio» (Ml 2,14.15.16).
124. Un amore debole o malato, incapace di accettare il matrimonio come una sfida che richiede
di lottare, di rinascere, di reinventarsi e ricominciare sempre di nuovo fino alla morte, non è in
grado di sostenere un livello alto di impegno. Cede alla cultura del provvisorio, che impedisce un
processo costante di crescita. Però «promettere un amore che sia per sempre è possibile quando
si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero
futuro alla persona amata».[123] Perché tale amore possa attraversare tutte le prove e mantenersi
fedele nonostante tutto, si richiede il dono della grazia che lo fortifichi e lo elevi. Come diceva san
Roberto Bellarmino, «il fatto che un uomo e una donna si uniscano in un legame esclusivo e
indissolubile, in modo che non possano separarsi, quali che siano le difficoltà, e persino quando si
sia persa la speranza della prole, questo non può avvenire senza un grande mistero».[124]
125. Il matrimonio, inoltre, è un’amicizia che comprende le note proprie della passione, ma
sempre orientata verso un’unione via via più stabile e intensa. Perché «non è stato istituito
soltanto per la procreazione», ma affinché l’amore reciproco «abbia le sue giuste manifestazioni,
si sviluppi e arrivi a maturità»[125]. Questa peculiare amicizia tra un uomo e una donna acquista
un carattere totalizzante che si dà unicamente nell’unione coniugale. Proprio perché è totalizzante
questa unione è anche esclusiva, fedele e aperta alla generazione. Si condivide ogni cosa,
compresa la sessualità, sempre nel reciproco rispetto. Il Concilio Vaticano II lo ha affermato
dicendo che «un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e
mutuo dono di sé stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta
quanta la vita dei coniugi».[126]
Gioia e bellezza
126. Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. Quando la ricerca del piacere è
ossessiva, rinchiude in un solo ambito e non permette di trovare altri tipi di soddisfazione. La gioia,
invece, allarga la capacità di godere e permette di trovare gusto in realtà varie, anche nelle fasi

4.9 Page 39

▲back to top
39
della vita in cui il piacere si spegne. Per questo san Tommaso diceva che si usa la parola “gioia”
per riferirsi alla dilatazione dell’ampiezza del cuore.[127] La gioia matrimoniale, che si può vivere
anche in mezzo al dolore, implica accettare che il matrimonio è una necessaria combinazione di
gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche,
di fastidi e di piaceri, sempre nel cammino dell’amicizia, che spinge gli sposi a prendersi cura l’uno
dell’altro: «prestandosi un mutuo aiuto e servizio».[128]
127. L’amore di amicizia si chiama “carità” quando si coglie e si apprezza “l’alto valore” che ha
l’altro.[129] La bellezza – “l’alto valore” dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o
psicologiche – ci permette di gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosa necessità di
possederla. Nella società dei consumi si impoverisce il senso estetico e così si spegne la gioia.
Tutto esiste per essere comprato, posseduto e consumato; anche le persone. La tenerezza,
invece, è una manifestazione di questo amore che si libera dal desiderio egoistico di possesso
egoistico. Ci porta a vibrare davanti a una persona con un immenso rispetto e con un certo timore
di farle danno o di toglierle la sua libertà. L’amore per l’altro implica tale gusto di contemplare e
apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, che esiste al di là dei miei bisogni.
Questo mi permette di ricercare il suo bene anche quando so che non può essere mio o quando è
diventato fisicamente sgradevole, aggressivo o fastidioso. Perciò, «dall’amore per cui a uno è
gradita un’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratis».[130]
128. L’esperienza estetica dell’amore si esprime in quello sguardo che contempla l’altro come un
fine in sé stesso, quand’anche sia malato, vecchio o privo di attrattive sensibili. Lo sguardo che
apprezza ha un’importanza enorme e lesinarlo produce di solito un danno. Quante cose fanno a
volte i coniugi e i figli per essere considerati e tenuti in conto! Molte ferite e crisi hanno la loro
origine nel momento in cui smettiamo di contemplarci. Questo è ciò che esprimono alcune
lamentele e proteste che si sentono nelle famiglie. “Mio marito non mi guarda, sembra che per lui
io sia invisibile”. “Per favore, guardami quando ti parlo”. “Mia moglie non mi guarda più, ora ha
occhi solo per i figli”. “A casa mia non interesso a nessuno e neppure mi vedono, come se non
esistessi”. L’amore apre gli occhi e permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale un essere
umano.
129. La gioia di tale amore contemplativo va coltivata. Dal momento che siamo fatti per amare,
sappiamo che non esiste gioia maggiore che nel condividere un bene: «Regala e accetta regali, e
divertiti» (Sir 14,16). Le gioie più intense della vita nascono quando si può procurare la felicità
degli altri, in un anticipo del Cielo. Va ricordata la felice scena del film Il pranzo di Babette, dove la
generosa cuoca riceve un abbraccio riconoscente e un elogio: «Come delizierai gli angeli!». È
dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere. Tale gioia,
effetto dell’amore fraterno, non è quella della vanità di chi guarda sé stesso, ma quella di chi ama
e si compiace del bene dell’amato, che si riversa nell’altro e diventa fecondo in lui.
130. Per altro verso, la gioia si rinnova nel dolore. Come diceva sant’Agostino, «quanto maggiore

4.10 Page 40

▲back to top
40
è stato il pericolo nella battaglia, tanto più intensa è la gioia nel trionfo».[131] Dopo aver sofferto e
combattuto uniti, i coniugi possono sperimentare che ne è valsa la pena, perché hanno ottenuto
qualcosa di buono, hanno imparato qualcosa insieme, o perché possono maggiormente
apprezzare quello che hanno. Poche gioie umane sono tanto profonde e festose come quando
due persone che si amano hanno conquistato insieme qualcosa che è loro costato un grande
sforzo condiviso.
Sposarsi per amore
131. Voglio dire ai giovani che nulla di tutto questo viene pregiudicato quando l’amore assume la
modalità dell’istituzione matrimoniale. L’unione trova in tale istituzione il modo di incanalare la sua
stabilità e la sua crescita reale e concreta. E’ vero che l’amore è molto di più di un consenso
esterno o di una forma di contratto matrimoniale, ma è altrettanto certo che la decisione di dare al
matrimonio una configurazione visibile nella società con determinati impegni, manifesta la sua
rilevanza: mostra la serietà dell’identificazione con l’altro, indica un superamento
dell’individualismo adolescenziale, ed esprime la ferma decisione di appartenersi l’un l’altro.
Sposarsi è un modo di esprimere che realmente si è abbandonato il nido materno per tessere altri
legami forti e assumere una nuova responsabilità di fronte ad un’altra persona. Questo vale molto
di più di una mera associazione spontanea per la mutua gratificazione, che sarebbe una
privatizzazione del matrimonio. Il matrimonio come istituzione sociale è protezione e strumento
per l’impegno reciproco, per la maturazione dell’amore, perché la decisione per l’altro cresca in
solidità, concretezza e profondità, e al tempo stesso perché possa compiere la sua missione nella
società. Perciò il matrimonio va oltre ogni moda passeggera e persiste. La sua essenza è radicata
nella natura stessa della persona umana e del suo carattere sociale. Implica una serie di obblighi,
che scaturiscono però dall’amore stesso, da un amore tanto determinato e generoso che è capace
di rischiare il futuro.
132. Scegliere il matrimonio in questo modo esprime la decisione reale ed effettiva di trasformare
due strade in un’unica strada, accada quel che accada e nonostante qualsiasi sfida. A causa della
serietà di questo impegno pubblico di amore, non può essere una decisione affrettata, ma per la
stessa ragione non la si può rimandare indefinitamente. Impegnarsi con un altro in modo esclusivo
e definitivo comporta sempre una quota di rischio e di scommessa audace. Il rifiuto di assumere
tale impegno è egoistico, interessato, meschino, non riesce a riconoscere i diritti dell’altro e non
arriva mai a presentarlo alla società come degno di essere amato incondizionatamente. D’altra
parte, quelli che sono veramente innamorati, tendono a manifestare agli altri il loro amore.
L’amore concretizzato in un matrimonio contratto davanti agli altri, con tutti gli obblighi che
derivano da questa istituzionalizzazione, è manifestazione e protezione di un “sì” che si dà senza
riserve e senza restrizioni. Quel “sì” significa dire all’altro che potrà sempre fidarsi, che non sarà
abbandonato se perderà attrattiva, se avrà difficoltà o se si offriranno nuove possibilità di piacere o
di interessi egoistici.

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
41
Amore che si manifesta e cresce
133. L’amore di amicizia unifica tutti gli aspetti della vita matrimoniale e aiuta i membri della
famiglia ad andare avanti in tutte le sue fasi. Perciò i gesti che esprimono tale amore devono
essere costantemente coltivati, senza avarizia, ricchi di parole generose. Nella famiglia «è
necessario usare tre parole. Vorrei ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole
chiave!».[132] «Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una
famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha
fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia».[133] Non
siamo avari nell’utilizzare queste parole, siamo generosi nel ripeterle giorno dopo giorno, perché
«alcuni silenzi pesano, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra padri e figli, tra
fratelli».[134] Invece le parole adatte, dette al momento giusto, proteggono e alimentano l’amore
giorno dopo giorno.
134. Tutto questo si realizza in un cammino di permanente crescita. Questa forma così particolare
di amore che è il matrimonio, è chiamata ad una costante maturazione, perché ad essa bisogna
sempre applicare quello che san Tommaso d’Aquino diceva della carità: «La carità, in ragione
della sua natura, non ha un limite di aumento, essendo essa una partecipazione dell’infinita carità,
che è lo Spirito Santo. […] Nemmeno da parte del soggetto le si può porre un limite, poiché col
crescere della carità, cresce sempre più anche la capacità di un aumento ulteriore ».[135] San
Paolo esortava con forza: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e
verso tutti» (1 Ts 3,12); e aggiunge: «Riguardo all’amore fraterno […] vi esortiamo, fratelli, a
progredire ancora di più» (1 Ts 4,9-10). Ancora di più. L’amore matrimoniale non si custodisce
prima di tutto parlando dell’indissolubilità come di un obbligo, o ripetendo una dottrina, ma
fortificandolo grazie ad una crescita costante sotto l’impulso della grazia. L’amore che non cresce
inizia a correre rischi, e possiamo crescere soltanto corrispondendo alla grazia divina mediante
più atti di amore, con atti di affetto più frequenti, più intensi, più generosi, più teneri, più allegri. Il
marito e la moglie «sperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la
conseguono».[136] Il dono dell’amore divino che si effonde sugli sposi è al tempo stesso un
appello ad un costante sviluppo di questo regalo della grazia.
135. Non fanno bene alcune fantasie su un amore idilliaco e perfetto, privato in tal modo di ogni
stimolo a crescere. Un’idea celestiale dell’amore terreno dimentica che il meglio è quello che non
è stato ancora raggiunto, il vino maturato col tempo. Come hanno ricordato i Vescovi del Cile,
«non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse
non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte […]. La pubblicità consumistica
mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per
giorno i padri e la madri di famiglia».[137] È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le
imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la
solidità dell’unione, accada quel che accada.

5.2 Page 42

▲back to top
42
Il dialogo
136. Il dialogo è una modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare
l’amore nella vita coniugale e familiare. Ma richiede un lungo e impegnativo tirocinio. Uomini e
donne, adulti e giovani, hanno modi diversi di comunicare, usano linguaggi differenti, si muovono
con altri codici. Il modo di fare domande, la modalità delle risposte, il tono utilizzato, il momento e
molti altri fattori possono condizionare la comunicazione. Inoltre, è sempre necessario sviluppare
alcuni atteggiamenti che sono espressione di amore e rendono possibile il dialogo autentico.
137. Darsi tempo, tempo di qualità, che consiste nell’ascoltare con pazienza e attenzione, finché
l’altro abbia espresso tutto quello che aveva bisogno di esprimere. Questo richiede l’ascesi di non
incominciare a parlare prima del momento adatto. Invece di iniziare ad offrire opinioni o consigli,
bisogna assicurarsi di aver ascoltato tutto quello che l’altro ha la necessità di dire. Questo implica
fare silenzio interiore per ascoltare senza rumori nel cuore e nella mente: spogliarsi di ogni fretta,
mettere da parte le proprie necessità e urgenze, fare spazio. Molte volte uno dei coniugi non ha
bisogno di una soluzione ai suoi problemi ma di essere ascoltato. Deve percepire che è stata colta
la sua pena, la sua delusione, la sua paura, la sua ira, la sua speranza, il suo sogno. Tuttavia
sono frequenti queste lamentele: “Non mi ascolta. Quando sembra che lo stia facendo, in realtà
sta pensando ad un’altra cosa”. “Parlo e sento che sta aspettando che finisca una buona volta”.
“Quando parlo tenta di cambiare argomento, o mi dà risposte rapide per chiudere la
conversazione”.
138. Sviluppare l’abitudine di dare importanza reale all’altro. Si tratta di dare valore alla sua
persona, di riconoscere che ha il diritto di esistere, a pensare in maniera autonoma e ad essere
felice. Non bisogna mai sottovalutare quello che può dire o reclamare, benché sia necessario
esprimere il proprio punto di vista. È qui sottesa la convinzione secondo la quale tutti hanno un
contributo da offrire, perché hanno un’altra esperienza della vita, perché guardano le cose da un
altro punto di vista, perché hanno maturato altre preoccupazioni e hanno altre abilità e intuizioni. È
possibile riconoscere la verità dell’altro, l’importanza delle sue più profonde preoccupazioni e il
sottofondo di quello che dice, anche dietro parole aggressive. Per tale ragione bisogna cercare di
mettersi nei suoi panni e di interpretare la profondità del suo cuore, individuare quello che lo
appassiona e prendere quella passione come punto di partenza per approfondire il dialogo.
139. Ampiezza mentale, per non rinchiudersi con ossessione su poche idee, e flessibilità per poter
modificare o completare le proprie opinioni. È possibile che dal mio pensiero e dal pensiero
dell’altro possa emergere una nuova sintesi che arricchisca entrambi. L’unità alla quale occorre
aspirare non è uniformità, ma una “unità nella diversità” o una “diversità riconciliata”. In questo
stile arricchente di comunione fraterna, i diversi si incontrano, si rispettano e si apprezzano,
mantenendo tuttavia differenti sfumature e accenti che arricchiscono il bene comune. C’è bisogno
di liberarsi dall’obbligo di essere uguali. E ci vuole anche astuzia per accorgersi in tempo delle
“interferenze” che possono comparire, in modo che non distruggano un processo di dialogo. Per

5.3 Page 43

▲back to top
43
esempio, riconoscere i cattivi sentimenti che potrebbero emergere e relativizzarli affinché non
pregiudichino la comunicazione. È importante la capacità di esprimere ciò che si sente senza
ferire; utilizzare un linguaggio e un modo di parlare che possano essere più facilmente accettati o
tollerati dall’altro, benché il contenuto sia esigente; esporre le proprie critiche senza però scaricare
l’ira come forma di vendetta, ed evitare un linguaggio moralizzante che cerchi soltanto di
aggredire, ironizzare, incolpare, ferire. Molte discussioni nella coppia non sono per questioni molto
gravi. A volte si tratta di cose piccole, poco rilevanti, ma quello che altera gli animi è il modo di
pronunciarle o l’atteggiamento che si assume nel dialogo.
140. Avere gesti di attenzione per l’altro e dimostrazioni di affetto. L’amore supera le peggiori
barriere. Quando si può amare qualcuno o quando ci sentiamo amati da lui, riusciamo a
comprendere meglio quello che vuole esprimere e farci capire. Superare la fragilità che ci porta ad
avere timore dell’altro come se fosse un “concorrente”. È molto importante fondare la propria
sicurezza su scelte profonde, convinzioni e valori, e non sul vincere una discussione o sul fatto
che ci venga data ragione.
141. Infine, riconosciamo che affinché il dialogo sia proficuo bisogna avere qualcosa da dire, e ciò
richiede una ricchezza interiore che si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella
preghiera e nell’apertura alla società. Diversamente, le conversazioni diventano noiose e
inconsistenti. Quando ognuno dei coniugi non cura il proprio spirito e non esiste una varietà di
relazioni con altre persone, la vita familiare diventa endogamica e il dialogo si impoverisce.
Amore appassionato
142. Il Concilio Vaticano II ha insegnato che questo amore coniugale «abbraccia il bene di tutta la
persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della
vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale».[138] Ci deve
essere qualche ragione per il fatto che un amore senza piacere né passione non è sufficiente a
simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio: «Tutti i mistici hanno affermato che l’amore
soprannaturale e l’amore celeste trovano i simboli di cui vanno alla ricerca nell’amore
matrimoniale, più che nell’amicizia, più che nel sentimento filiale o nella dedizione a una causa. E
il motivo risiede giustamente nella sua totalità».[139] Perché allora non soffermarci a parlare dei
sentimenti e della sessualità nel matrimonio?
Il mondo delle emozioni
143. Desideri, sentimenti, emozioni, quello che i classici chiamavano “passioni”, occupano un
posto importante nel matrimonio. Si generano quando un “altro” si fa presente e si manifesta nella
propria vita. È proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra realtà, e questa tendenza
presenta sempre segni affettivi basilari: il piacere o il dolore, la gioia o la pena, la tenerezza o il
timore. Sono il presupposto dell’attività psicologica più elementare. L’essere umano è un vivente

5.4 Page 44

▲back to top
44
di questa terra e tutto quello che fa e cerca è carico di passioni.
144. Gesù, come vero uomo, viveva le cose con una carica di emotività. Perciò lo addolorava il
rifiuto di Gerusalemme (cfr Mt 23,37) e questa situazione gli faceva versare lacrime (cfr Lc 19,41).
Ugualmente provava compassione di fronte alla sofferenza della gente (cfr Mc 6,34). Vedendo
piangere gli altri si commuoveva e si turbava (cfr Gv 11,33), ed Egli stesso pianse la morte di un
amico (cfr Gv 11,35). Queste manifestazioni della sua sensibilità mostravano fino a che punto il
suo cuore umano era aperto agli altri.
145. Provare un’emozione non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso.[140]
Incominciare a provare desiderio o rifiuto non è peccaminoso né riprovevole. Quello che è bene o
male è l’atto che uno compie spinto o accompagnato da una passione. Ma se i sentimenti sono
alimentati, ricercati e a causa di essi commettiamo cattive azioni, il male sta nella decisione di
alimentarli e negli atti cattivi che ne conseguono. Sulla stessa linea, provare piacere per qualcuno
non è di per sé un bene. Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona diventi mia
schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo perché
“proviamo dei sentimenti” è un tremendo inganno. Ci sono persone che si sentono capaci di un
grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di
lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri. In tal caso i sentimenti
distolgono dai grandi valori e nascondono un egocentrismo che non rende possibile coltivare una
vita in famiglia sana e felice.
146. D’altro canto, se una passione accompagna l’atto libero, può manifestare la profondità di
quella scelta. L’amore matrimoniale porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene
per la famiglia e sia al servizio della vita in comune. La maturità giunge in una famiglia quando la
vita emotiva dei suoi membri si trasforma in una sensibilità che non domina né oscura le grandi
opzioni e i valori ma che asseconda la loro libertà,[141] sorge da essa, la arricchisce, la abbellisce
e la rende più armoniosa per il bene di tutti.
Dio ama la gioia dei suoi figli
147. Questo richiede un cammino pedagogico, un processo che comporta delle rinunce. È una
convinzione della Chiesa che molte volte è stata rifiutata, come se fosse nemica della felicità
umana. Benedetto XVI ha raccolto questo interrogativo con grande chiarezza: «La Chiesa con i
suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza
forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità
che ci fa pregustare qualcosa del Divino?».[142] Ma egli rispondeva che, seppure non sono
mancati nel cristianesimo esagerazioni o ascetismi deviati, l’insegnamento ufficiale della Chiesa,
fedele alle Scritture, non ha rifiutato «l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo
stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros [...] lo priva della sua dignità, lo
disumanizza».[143]

5.5 Page 45

▲back to top
45
148. L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile
porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri,
finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere,[144] e danneggiano la vita della famiglia.
In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in
un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni
interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia,[145] ma
assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di
inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere
vissuta interamente.
149. Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi
crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto «perché possiamo
goderne» (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza quando ci propone:
«Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Anche una coppia di
coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo questo invito biblico: «Nel giorno lieto sta’ allegro»
(Qo 7,14). La questione è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di
espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore. In tal senso,
si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza,
per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale
ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua
dilatazione e il suo perfezionamento.
La dimensione erotica dell’amore
150. Tutto questo ci porta a parlare della vita sessuale dei coniugi. Dio stesso ha creato la
sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che
manchi di controllo, è per impedire che si verifichi «l’impoverimento di un valore autentico».[146]
San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a «una negazione
del valore del sesso umano» o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della
procreazione».[147] Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in
alcun modo di mettere in questione quel bisogno».[148]
151. A coloro che temono che con l’educazione delle passioni e della sessualità si pregiudichi la
spontaneità dell’amore sessuato, san Giovanni Paolo II rispondeva che l’essere umano è
«chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del
discernimento degli impulsi del proprio cuore».[149] È qualcosa che si conquista, dal momento
che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del
corpo».[150] La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un
linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal
modo «il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità».[151] In questo
contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso

5.6 Page 46

▲back to top
46
si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono».[152] Nelle sue
catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità
sessuata «è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione», ma possiede «la capacità di
esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono».[153] L’erotismo
più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può
umanizzare gli impulsi.
152. Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un
male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio
che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che
ammira la dignità dell’altro, diventa una «piena e limpidissima affermazione d’amore» che ci
mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento «si percepisce che
l’esistenza umana è stata un successo».[154]
Violenza e manipolazione
153. Nel contesto di questa visione positiva della sessualità, è opportuno impostare il tema nella
sua integrità e con un sano realismo. Infatti non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si
spersonalizza ed anche si colma di patologie, in modo tale che «diventa sempre più occasione e
strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e
istinti».[155] In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo
spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere
finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o
dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che
sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli
altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
154. Non è superfluo ricordare che anche nel matrimonio la sessualità può diventare fonte di
sofferenza e di manipolazione. Per questo dobbiamo ribadire con chiarezza che «un atto
coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni ed ai suoi giusti desideri
non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli
sposi».[156] Gli atti propri dell’unione sessuale dei coniugi rispondono alla natura della sessualità
voluta da Dio se sono «compiuti in modo veramente umano».[157] Per questo san Paolo
esortava: «Che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello» (1 Ts 4,6). Sebbene
egli scrivesse in un’epoca in cui dominava una cultura patriarcale, nella quale la donna era
considerata un essere completamente subordinato all’uomo, tuttavia insegnò che la sessualità
dev’essere una questione da trattare tra i coniugi: prospettò la possibilità di rimandare i rapporti
sessuali per un certo periodo, però «di comune accordo» (1 Cor 7,5).
155. San Giovanni Paolo II ha dato un avvertimento molto sottile quando ha affermato che l’uomo
e la donna sono «minacciati dall’insaziabilità».[158] Vale a dire, sono chiamati ad un’unione

5.7 Page 47

▲back to top
47
sempre più intensa, ma il rischio sta nel pretendere di cancellare le differenze e quell’inevitabile
distanza che vi è tra i due. Perché ciascuno possiede una dignità propria e irripetibile. Quando la
preziosa appartenenza reciproca si trasforma in dominio, «cambia […] essenzialmente la struttura
di comunione nella relazione interpersonale».[159] Nella logica del dominio, anche chi domina
finisce per negare la propria dignità[160] e in definitiva cessa di «identificarsi soggettivamente con
il proprio corpo»,[161] dal momento che lo priva di ogni significato. Vive il sesso come evasione da
sé stesso e come rinuncia alla bellezza dell’unione.
156. E’ importante essere chiari nel rifiuto di qualsiasi forma di sottomissione sessuale. Perciò è
opportuno evitare ogni interpretazione inadeguata del testo della Lettera agli Efesini dove si
chiede che «le mogli siano [sottomesse] ai loro mariti» (Ef 5,22). San Paolo qui si esprime in
categorie culturali proprie di quell’epoca, ma noi non dobbiamo assumere tale rivestimento
culturale, bensì il messaggio rivelato che soggiace all’insieme della pericope. Riprendiamo la
sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: «L’amore esclude ogni genere di sottomissione,
per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito [...]. La comunità o unità che essi debbono
costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche
una sottomissione vicendevole».[162] Per questo si dice anche che «i mariti hanno il dovere di
amare le mogli come il proprio corpo» (Ef 5,28). In realtà il testo biblico invita a superare il comodo
individualismo per vivere rivolti agli altri: «Siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Tra i coniugi
questa reciproca “sottomissione” acquisisce un significato speciale e si intende come
un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto
e cura. La sessualità è in modo inseparabile al servizio di tale amicizia coniugale, perché si orienta
a fare in modo che l’altro viva in pienezza.
157. Tuttavia, il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci
a disprezzarli o a trascurarli. L’ideale del matrimonio non si può configurare solo come una
donazione generosa e sacrificata, dove ciascuno rinuncia ad ogni necessità personale e si
preoccupa soltanto di fare il bene dell’altro senza alcuna soddisfazione. Ricordiamo che un vero
amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non
rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella
carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale. Benedetto XVI era chiaro a tale
proposito: «Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una
eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità».[163] Per questa
ragione «l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non
può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso
riceverlo in dono».[164] Questo richiede, in ogni modo, di ricordare che l’equilibrio umano è fragile,
che rimane sempre qualcosa che resiste ad essere umanizzato e che in qualsiasi momento può
scatenarsi nuovamente, recuperando le sue tendenze più primitive ed egoistiche.
Matrimonio e verginità

5.8 Page 48

▲back to top
48
158. «Molte persone che vivono senza sposarsi non soltanto sono dedite alla propria famiglia
d’origine, ma spesso rendono grandi servizi nella loro cerchia di amici, nella comunità ecclesiale e
nella vita professionale. […] Molti, poi, mettono i loro talenti a servizio della comunità cristiana nel
segno della carità e del volontariato. Vi sono poi coloro che non si sposano perché consacrano la
vita per amore di Cristo e dei fratelli. Dalla loro dedizione la famiglia, nella Chiesa e nella società,
è grandemente arricchita».[165]
159. La verginità è una forma d’amore. Come segno, ci ricorda la premura per il Regno, l’urgenza
di dedicarsi senza riserve al servizio dell’evangelizzazione (cfr 1 Cor 7,32), ed è un riflesso della
pienezza del Cielo, dove «non si prende né moglie né marito» (Mt 22,30). San Paolo la
raccomandava perché attendeva un imminente ritorno di Gesù e voleva che tutti si concentrassero
unicamente sull’evangelizzazione: «Il tempo si è fatto breve» (1 Cor 7,29). Tuttavia rimaneva
chiaro che era un’opinione personale e un suo desiderio (cfr 1 Cor 7,6-8) e non una richiesta di
Cristo: «Non ho alcun comando dal Signore» (1 Cor 7,25). Nello stesso tempo, riconosceva il
valore delle diverse chiamate: «Ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un
altro» (1 Cor 7,7). In questo senso san Giovanni Paolo II ha affermato che i testi biblici «non
forniscono motivo per sostenere né l’“inferiorità” del matrimonio, né la “superiorità” della verginità o
del celibato»[166] a motivo dell’astinenza sessuale. Più che parlare della superiorità della verginità
sotto ogni profilo, sembra appropriato mostrare che i diversi stati di vita sono complementari, in
modo tale che uno può essere più perfetto per qualche aspetto e l’altro può esserlo da un altro
punto di vista. Alessandro di Hales, per esempio, affermava che in un senso il matrimonio può
considerarsi superiore agli altri sacramenti: perché simboleggia qualcosa di così grande come
«l’unione di Cristo con la Chiesa o l’unione della natura divina con quella umana».[167]
160. Pertanto, «non si tratta di sminuire il valore del matrimonio a vantaggio della
continenza»[168] e «non vi è invece alcuna base per una supposta contrapposizione [...]. Se,
stando a una certa tradizione teologica, si parla dello stato di perfezione (status perfectionis), lo si
fa non a motivo della continenza stessa, ma riguardo all’insieme della vita fondata sui consigli
evangelici».[169] Tuttavia una persona sposata può vivere la carità in altissimo grado. Dunque
«perviene a quella perfezione che scaturisce dalla carità, mediante la fedeltà allo spirito di quei
consigli. Tale perfezione è possibile e accessibile ad ogni uomo».[170]
161. La verginità ha il valore simbolico dell’amore che non ha la necessità di possedere l’altro, e
riflette in tal modo la libertà del Regno dei Cieli. È un invito agli sposi perché vivano il loro amore
coniugale nella prospettiva dell’amore definitivo a Cristo, come un cammino comune verso la
pienezza del Regno. A sua volta, l’amore degli sposi presenta altri valori simbolici: da una parte, è
un peculiare riflesso della Trinità. Infatti la Trinità è unità piena, nella quale però esiste anche la
distinzione. Inoltre, la famiglia è un segno cristologico, perché manifesta la vicinanza di Dio che
condivide la vita dell’essere umano unendosi ad esso nell’Incarnazione, nella Croce e nella
Risurrezione: ciascun coniuge diventa “una sola carne” con l’altro e offre sé stesso per
condividerlo interamente con l’altro sino alla fine. Mentre la verginità è un segno “escatologico” di

5.9 Page 49

▲back to top
49
Cristo risorto, il matrimonio è un segno “storico” per coloro che camminano sulla terra, un segno di
Cristo terreno che accettò di unirsi a noi e si donò fino a donare il suo sangue. La verginità e il
matrimonio sono, e devono essere, modalità diverse di amare, perché «l'uomo non può vivere
senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se
non gli viene rivelato l’amore».[171]
162. Il celibato corre il rischio di essere una comoda solitudine, che offre libertà per muoversi con
autonomia, per cambiare posto, compiti e scelte, per disporre del proprio denaro, per frequentare
persone diverse secondo l’attrattiva del momento. In tal caso, risplende la testimonianza delle
persone sposate. Coloro che sono stati chiamati alla verginità possono trovare in alcune coppie di
coniugi un segno chiaro della generosa e indistruttibile fedeltà di Dio alla sua Alleanza, che può
stimolare i loro cuori a una disponibilità più concreta e oblativa. Infatti ci sono persone sposate che
mantengono la loro fedeltà quando il coniuge è diventato sgradevole fisicamente, o quando non
soddisfa le loro necessità, nonostante che molte occasioni li invitino all’infedeltà o all’abbandono.
Una donna può curare suo marito malato e lì, accanto alla Croce, torna a ripetere il “sì” del suo
amore fino alla morte. In tale amore si manifesta in modo splendido la dignità di chi ama, dignità
come riflesso della carità, dal momento che è proprio della carità amare più che essere
amati.[172]Possiamo anche riscontrare in molte famiglie una capacità di servizio oblativo e tenero
nei confronti di figli difficili e persino ingrati. Questo fa di tali genitori un segno dell’amore libero e
disinteressato di Gesù. Tutto ciò diventa un invito alle persone celibi perché vivano la loro
dedizione per il Regno con maggiore generosità e disponibilità. Oggi la secolarizzazione ha
offuscato il valore di un’unione per tutta la vita e ha sminuito la ricchezza della dedizione
matrimoniale, per cui «occorre approfondire gli aspetti positivi dell’amore coniugale».[173]
La trasformazione dell’amore
163. Il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la
relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei
decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. Forse il coniuge non
è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il
piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice”
che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel
cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo
genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale. Non
possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente
avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci
separi, e vivere sempre una ricca intimità. L’amore che ci promettiamo supera ogni emozione,
sentimento o stato d’animo, sebbene possa includerli. È un voler bene più profondo, con una
decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza. Così, in mezzo ad un conflitto non risolto, e
benché molti sentimenti confusi si aggirino nel cuore, si mantiene viva ogni giorno la decisione di
amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi.

5.10 Page 50

▲back to top
50
Ciascuno dei due compie un cammino di crescita e di cambiamento personale. Nel corso di tale
cammino, l’amore celebra ogni passo e ogni nuova tappa.
164. Nella storia di un matrimonio, l’aspetto fisico muta, ma questo non è un motivo perché
l’attrazione amorosa venga meno. Ci si innamora di una persona intera con una identità propria,
non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di
esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore. Quando gli altri
non possono più riconoscere la bellezza di tale identità, il coniuge innamorato continua ad essere
capace di percepirla con l’istinto dell’amore, e l’affetto non scompare. Riafferma la sua decisione
di appartenere ad essa, la sceglie nuovamente ed esprime tale scelta attraverso una vicinanza
fedele e colma di tenerezza. La nobiltà della sua decisione per essa, essendo intensa e profonda,
risveglia una nuova forma di emozione nel compimento della missione coniugale. Perché
«l’emozione provocata da un altro essere umano come persona [...] non tende di per sé all’atto
coniugale».[174] Acquisisce altre espressioni sensibili perché l’amore «è un’unica realtà, seppur
con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere
maggiormente».[175] Il vincolo trova nuove modalità ed esige la decisione di riprendere sempre
nuovamente a stabilirlo. Non solo però per conservarlo, ma per farlo crescere. È il cammino di
costruirsi giorno per giorno. Ma nulla di questo è possibile se non si invoca lo Spirito Santo, se non
si grida ogni giorno chiedendo la sua grazia, se non si cerca la sua forza soprannaturale, se non
gli si richiede ansiosamente che effonda il suo fuoco sopra il nostro amore per rafforzarlo,
orientarlo e trasformarlo in ogni nuova situazione.
CAPITOLO QUINTO
L’AMORE CHE DIVENTA FECONDO
165. L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale «non si esaurisce all’interno della
coppia [...]. I coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio,
riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed
indissociabile del loro essere padre e madre».[176]
Accogliere una nuova vita
166. La famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma anche dell’accoglienza della vita che
arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita «ci permette di scoprire la dimensione più gratuita
dell’amore, che non finisce mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati
prima che arrivino».[177] Questo riflette il primato dell’amore di Dio che prende sempre l’iniziativa,
perché i figli «sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo».[178] Tuttavia, «tanti
bambini fin dall’inizio sono rifiutati, abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro.

6 Pages 51-60

▲back to top

6.1 Page 51

▲back to top
51
Qualcuno osa dire, quasi per giustificarsi, che è stato un errore farli venire al mondo. Questo è
vergognoso! […] Che ne facciamo delle solenni dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei diritti del
bambino, se poi puniamo i bambini per gli errori degli adulti?».[179] Se un bambino viene al
mondo in circostanze non desiderate, i genitori o gli altri membri della famiglia, devono fare tutto il
possibile per accettarlo come dono di Dio e per assumere la responsabilità di accoglierlo con
apertura e affetto. Perché «quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio
degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di
essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla
prepotenza degli uomini».[180] Il dono di un nuovo figlio che il Signore affida a papà e mamma ha
inizio con l’accoglienza, prosegue con la custodia lungo la vita terrena e ha come destino finale la
gioia della vita eterna. Uno sguardo sereno verso il compimento ultimo della persona umana
renderà i genitori ancora più consapevoli del prezioso dono loro affidato: ad essi infatti Dio
concede di scegliere il nome col quale Egli chiamerà ogni suo figlio per l’eternità.[181]
167. Le famiglie numerose sono una gioia per la Chiesa. In esse l’amore esprime la sua fecondità
generosa. Questo non implica dimenticare una sana avvertenza di san Giovanni Paolo II, quando
spiegava che la paternità responsabile non è «procreazione illimitata o mancanza di
consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di
utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà
sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri».[182]
L’amore nell’attesa propria della gravidanza
168. La gravidanza è un periodo difficile, ma anche un tempo meraviglioso. La madre collabora
con Dio perché si produca il miracolo di una nuova vita. La maternità proviene da una «particolare
potenzialità dell’organismo femminile, che con peculiarità creatrice serve al concepimento e alla
generazione dell’essere umano».[183] Ogni donna partecipa «del mistero della creazione, che si
rinnova nella generazione umana».[184] Come dice il Salmo: «Mi hai tessuto nel grembo di mia
madre» (139,13). Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un progetto eterno di Dio
Padre e del suo amore eterno: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che
tu uscissi alla luce, ti ho consacrato» (Ger 1,5). Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e
nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. Pensiamo quanto vale
l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo con lo stesso sguardo d’amore del
Padre, che vede oltre ogni apparenza.
169. La donna in gravidanza può partecipare a tale progetto di Dio sognando suo figlio: «Tutte le
mamme e tutti i papà hanno sognato il loro figlio per nove mesi. […] Non è possibile una famiglia
senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non crescono e
l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si spegne».[185] All’interno di questo sogno, per una
coppia di coniugi cristiani, appare necessariamente il Battesimo. I genitori lo preparano con la loro
preghiera, affidando il figlio a Gesù già prima della sua nascita.

6.2 Page 52

▲back to top
52
170. Con i progressi delle scienze oggi si può sapere in anticipo che colore di capelli avrà il
bambino e di quali malattie potrà soffrire in futuro, perché tutte le caratteristiche somatiche di
quella persona sono inscritte nel suo codice genetico già nello stadio embrionale. Ma solo il Padre
che lo ha creato lo conosce pienamente. Solo Lui conosce ciò che è più prezioso, ciò che è più
importante, perché Egli sa chi è quel bambino, qual è la sua identità più profonda. La madre che lo
porta nel suo grembo ha bisogno di chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio
figlio e per attenderlo quale è veramente. Alcuni genitori sentono che il loro figlio non arriva nel
momento migliore. Hanno bisogno di chiedere al Signore che li guarisca e li fortifichi per accettare
pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. È importante che quel bambino si senta
atteso. Egli non è un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale. È un essere
umano, con un valore immenso e non può venire usato per il proprio beneficio. Dunque, non è
importante se questa nuova vita ti servirà o no, se possiede caratteristiche che ti piacciono o no,
se risponde o no ai tuoi progetti e ai tuoi sogni. Perché «i figli sono un dono. Ciascuno è unico e
irripetibile […]. Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché è bello, o perché è così o cosà; no,
perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio».[186]
L’amore dei genitori è strumento dell’amore di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di
ogni bambino, lo accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente.
171. Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con affetto: abbi cura della tua gioia, che
nulla ti tolga la gioia interiore della maternità. Quel bambino merita la tua gioia. Non permettere
che le paure, le preoccupazioni, i commenti altrui o i problemi spengano la felicità di essere
strumento di Dio per portare al mondo una nuova vita. Occupati di quello che c’è da fare o
preparare, ma senza ossessionarti, e loda come Maria: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio
spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48). Vivi
con sereno entusiasmo in mezzo ai tuoi disagi, e prega il Signore che custodisca la tua gioia
perché tu possa trasmetterla al tuo bambino.
Amore di madre e di padre
172. «I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la
conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome
personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi.
Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la
nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. […] E
questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio!».[187] Ogni bambino ha il diritto di ricevere
l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e
armoniosa. Come hanno affermato i Vescovi dell’Australia, entrambi «contribuiscono, ciascuno in
una maniera diversa, alla crescita di un bambino. Rispettare la dignità di un bambino significa
affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere una madre e un padre».[188] Non si
tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di
loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento

6.3 Page 53

▲back to top
53
della famiglia. Diversamente, il figlio sembra ridursi ad un possesso capriccioso. Entrambi, uomo e
donna, padre e madre, sono «cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti».[189]
Mostrano ai loro figli il volto materno e il volto paterno del Signore. Inoltre essi insieme insegnano
il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e
sa anche ricevere dall’altro. Se per qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante
cercare qualche maniera per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio.
173. Il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di
quanto pensiamo. Oggi riconosciamo come pienamente legittimo, e anche auspicabile, che le
donne vogliano studiare, lavorare, sviluppare le proprie capacità e avere obiettivi personali. Ma
nello stesso tempo non possiamo ignorare la necessità che hanno i bambini della presenza
materna, specialmente nei primi mesi di vita. La realtà è che «la donna sta davanti all’uomo come
madre, soggetto della nuova vita umana che in essa è concepita e si sviluppa, e da essa nasce al
mondo».[190] Il diminuire della presenza materna con le sue qualità femminili costituisce un
rischio grave per la nostra terra. Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità né la
negazione della maternità. Perché la grandezza della donna implica tutti i diritti che derivano dalla
sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la società.
Le sue capacità specificamente femminili – in particolare la maternità – le conferiscono anche dei
doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la
società deve proteggere e preservare per il bene di tutti.[191]
174. Di fatto, «le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. […] Sono
esse a testimoniare la bellezza della vita».[192] Senza dubbio, «una società senza madri sarebbe
una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori,
la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più
profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino
impara […]. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona
parte del suo calore semplice e profondo. […] Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete
nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo».[193]
175. La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza e la sua compassione, lo aiuta a far
emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo
permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura
paterna, d’altra parte, aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per
l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla
lotta. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto
verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e
compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara
e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione
del bambino.

6.4 Page 54

▲back to top
54
176. Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura occidentale, la figura
del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta, sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe
messa in discussione. Si è verificata una comprensibile confusione, perché «in un primo
momento, la cosa è stata percepita come una liberazione: liberazione dal padre-padrone, dal
padre come rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore della
felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei giovani. Talvolta in alcune case
regnava in passato l’autoritarismo, in certi casi addirittura la sopraffazione».[194] Tuttavia, «come
spesso avviene, si passa da un estremo all’altro. Il problema dei nostri giorni non sembra essere
più tanto la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza. I padri
sono talora così concentrati su sé stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni
individuali, da dimenticare anche la famiglia. E lasciano soli i piccoli e i giovani».[195]La presenza
paterna, e pertanto la sua autorità, risulta intaccata anche dal tempo sempre maggiore che si
dedica ai mezzi di comunicazione e alla tecnologia dello svago. Inoltre oggi l’autorità è vista con
sospetto e gli adulti sono duramente messi in discussione. Loro stessi abbandonano le certezze e
perciò non offrono ai figli orientamenti sicuri e ben fondati. Non è sano che si scambino i ruoli tra
genitori e figli: ciò danneggia l’adeguato processo di maturazione che i bambini hanno bisogno di
compiere e nega loro un amore capace di orientarli e che li aiuti a maturare.[196]
177. Dio pone il padre nella famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità,
«sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia
vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati
e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando
hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente,
sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori
annullano i figli».[197] Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che «i figli
hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di
tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno».[198] Non è bene che i
bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini prima del tempo.
Fecondità allargata
178. Molte coppie di sposi non possono avere figli. Sappiamo quanta sofferenza questo comporti.
D’altra parte, sappiamo pure che «il matrimonio non è stato istituito soltanto per la procreazione
[…]. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c’è, il matrimonio
perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua
indissolubilità».[199] Inoltre «la maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma si
esprime in diversi modi».[200]
179. L’adozione è una via per realizzare la maternità e la paternità in un modo molto generoso, e
desidero incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore coniugale
per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto familiare. Non si pentiranno mai di

6.5 Page 55

▲back to top
55
essere stati generosi. Adottare è l’atto d’amore di donare una famiglia a chi non l’ha. È importante
insistere affinché la legislazione possa facilitare le procedure per l’adozione, soprattutto nei casi di
figli non desiderati, al fine di prevenire l’aborto o l’abbandono. Coloro che affrontano la sfida di
adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione
dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò
mai” (cfr Is 49,15).
180. «La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza
coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. […] A fronte di quelle
situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto del proprio completamento,
l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un aspetto importante della genitorialità e della
figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro
da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo. L’interesse
prevalente del bambino dovrebbe sempre ispirare le decisioni sull’adozione e l’affido».[201] D’altra
parte «il traffico di bambini fra Paesi e Continenti va impedito con opportuni interventi legislativi e
controlli degli Stati».[202]
181. E’ opportuno anche ricordare che la procreazione e l’adozione non sono gli unici modi di
vivere la fecondità dell’amore. Anche la famiglia con molti figli è chiamata a lasciare la sua
impronta nella società dove è inserita, per sviluppare altre forme di fecondità che sono come il
prolungamento dell’amore che la sostiene. Le famiglie cristiane non dimentichino che «la fede non
ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso. […] Ognuno di noi, infatti, svolge
un ruolo speciale nella preparazione della venuta del Regno di Dio».[203] La famiglia non deve
pensare sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società. Non rimane ad
aspettare, ma esce da sé nella ricerca solidale. In tal modo diventa un luogo d’integrazione della
persona con la società e un punto di unione tra il pubblico e il privato. I coniugi hanno bisogno di
acquisire una chiara e convinta consapevolezza riguardo ai loro doveri sociali. Quando questo
accade, l’affetto che li unisce non viene meno, ma si riempie di nuova luce, come esprimono i
seguenti versi:
«Le tue mani sono la mia carezza
i miei accordi quotidiani
ti amo perché le tue mani
si adoperano per la giustizia.
Se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due».[204]
182. Nessuna famiglia può essere feconda se si concepisce come troppo differente o “separata”.

6.6 Page 56

▲back to top
56
Per evitare questo rischio, ricordiamo che la famiglia di Gesù, piena di grazia e di saggezza, non
era vista come una famiglia “strana”, come una casa estranea e distante dal popolo. Proprio per
tale ragione la gente faceva fatica a riconoscere la sapienza di Gesù e diceva: «Da dove gli
vengono queste cose? […] Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,2-3). «Non è costui
il figlio del falegname?» (Mt 13,55). Questo conferma che era una famiglia semplice, vicina a tutti,
inserita in maniera normale nel popolo. Neppure Gesù crebbe in una relazione chiusa ed
esclusiva con Maria e Giuseppe, ma si muoveva con piacere nella famiglia allargata in cui c’erano
parenti e amici. Questo spiega che, quando tornavano da Gerusalemme, i suoi genitori
accettassero che il bambino di dodici anni si perdesse nella carovana per un giorno intero,
ascoltando i racconti e condividendo le preoccupazioni di tutti: «Credendo che egli fosse nella
comitiva, fecero una giornata di viaggio» (Lc 2,44). Invece a volte succede che certe famiglie
cristiane, per il linguaggio che usano, per il modo di dire le cose, per lo stile del loro tratto, per la
ripetizione continua di due o tre temi, sono viste come lontane, come separate dalla società,
persino i loro stessi parenti si sentono disprezzati o giudicati da esse.
183. Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a
sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio
ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo,[205] affinché tutti giungano a
sentire ogni essere umano come un fratello: «Uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini
e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione
di spirito famigliare. […] Non solo l’organizzazione della vita comune si incaglia sempre più in una
burocrazia del tutto estranea ai legami umani fondamentali, ma, addirittura, il costume sociale e
politico mostra spesso segni di degrado».[206] Invece le famiglie aperte e solidali fanno spazio ai
poveri, sono capaci di tessere un’amicizia con quelli che stanno peggio di loro. Se realmente
hanno a cuore il Vangelo, non possono dimenticare quello che dice Gesù: «Tutto quello che avete
fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). In definitiva, vivono
quello che ci viene chiesto in modo tanto eloquente in questo testo: «Quando offri un pranzo o una
cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta
non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita
poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato» (Lc 14,12-14). Sarai beato! Ecco qui il segreto di una
famiglia felice.
184. Con la testimonianza, e anche con la parola, le famiglie parlano di Gesù agli altri,
trasmettono la fede, risvegliano il desiderio di Dio, e mostrano la bellezza del Vangelo e dello stile
di vita che ci propone. Così i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo
con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede
luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere
presente l’amore di Dio nella società.
Discernere il corpo

6.7 Page 57

▲back to top
57
185. In questa linea è opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti
interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il
suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale. Si tratta di 1 Cor 11,17-34,
dove san Paolo affronta una situazione vergognosa della comunità. In quel contesto alcune
persone abbienti tendevano a discriminare quelle povere, e questo si verificava persino
nell’incontro conviviale che accompagnava la celebrazione dell’Eucaristia. Mentre i ricchi
godevano dei loro cibi prelibati, i poveri facevano da spettatori ed erano affamati: «così uno ha
fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il
disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (vv. 21-22).
186. L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale. Chi si accosta al Corpo e al
Sangue di Cristo non può nello stesso tempo offendere quel medesimo Corpo operando
scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Si tratta infatti di “discernere” il Corpo del
Signore, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali sia nella comunità, altrimenti
si mangia e si beve la propria condanna (cfr v. 29). Questo testo biblico è un serio avvertimento
per le famiglie che si richiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma più specificamente per
le famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose. La
celebrazione eucaristica diventa così un costante appello rivolto a ciascuno perché «esamini se
stesso» (v. 28) al fine di aprire le porte della propria famiglia ad una maggior comunione con
coloro che sono scartati dalla società e dunque ricevere davvero il Sacramento dell’amore
eucaristico che fa di noi un solo corpo. Non bisogna dimenticare che «la “mistica” del Sacramento
ha un carattere sociale».[207] Quando coloro che si comunicano non accettano di lasciarsi
spingere verso un impegno con i poveri e i sofferenti o acconsentono a diverse forme di divisione,
di disprezzo e di ingiustizia, l’Eucaristia è ricevuta indegnamente. Invece, le famiglie che si
nutrono dell’Eucaristia con la giusta disposizione, rafforzano il loro desiderio di fraternità, il loro
senso sociale e il loro impegno con i bisognosi.
La vita nella famiglia in senso ampio
187. Il piccolo nucleo familiare non dovrebbe isolarsi dalla famiglia allargata, dove ci sono i
genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini. In tale famiglia larga ci possono essere alcuni che hanno
bisogno di aiuto o almeno di compagnia e di gesti di affetto, o possono esserci grandi sofferenze
che hanno bisogno di un conforto.[208] L’individualismo di questi tempi a volte conduce a
rinchiudersi nella sicurezza di un piccolo nido e a percepire gli altri come un pericolo molesto.
Tuttavia, tale isolamento non offre più pace e felicità, ma chiude il cuore della famiglia e la priva
dell’orizzonte ampio dell’esistenza.
Essere figli
188. In primo luogo parliamo dei propri genitori. Gesù ricordava ai farisei che l’abbandono dei
genitori è contrario alla Legge di Dio (cfr Mc 7,8-13). A nessuno fa bene perdere la coscienza di

6.8 Page 58

▲back to top
58
essere figlio. In ogni persona, «anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore,
se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti
siamo figli. E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo
ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto».[209]
189. Per questo «il quarto comandamento chiede ai figli […] di onorare il padre e la madre (cfr Es
20,12). Questo comandamento viene subito dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene
qualcosa di sacro, qualcosa di divino, qualcosa che sta alla radice di ogni altro genere di rispetto
fra gli uomini. E nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: “perché si
prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore tuo Dio ti dà”. Il legame virtuoso tra le generazioni
è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana. Una società di figli che non
onorano i genitori è una società senza onore […]. È una società destinata a riempirsi di giovani
aridi e avidi».[210]
190. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre» (Gen
2,24), afferma la Parola di Dio. Questo a volte non si realizza, e il matrimonio non viene assunto
fino in fondo perché non si è compiuta tale rinuncia e tale dedizione. I genitori non devono essere
abbandonati né trascurati, tuttavia, per unirsi in matrimonio occorre lasciarli, in modo che la nuova
casa sia la dimora, la protezione, la piattaforma e il progetto, e sia possibile diventare realmente
«una sola carne» (ibid.). In alcuni matrimoni capita che si nascondano molte cose al proprio
coniuge, che invece si dicono ai propri genitori, al punto che contano di più le opinioni dei genitori
che i sentimenti e le opinioni del coniuge. Non è facile sostenere questa situazione per molto
tempo, ed essa è possibile solo provvisoriamente, mentre si creano le condizioni per crescere
nella fiducia e nel dialogo. Il matrimonio sfida a trovare un nuovo modo di essere figli.
Gli anziani
191. «Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie
forze» (Sal 71,9). È il grido dell’anziano, che teme l’oblio e il disprezzo. Così come Dio ci invita ad
essere suoi strumenti per ascoltare la supplica dei poveri, Egli attende anche da noi che
ascoltiamo il grido degli anziani.[211] Questo interpella le famiglie e le comunità, perché «la
Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di
indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di
gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua
comunità. Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra
stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna».[212]
Perciò, «come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un
nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani!».[213]
192. San Giovanni Paolo II ci ha invitato a prestare attenzione al posto dell’anziano nella famiglia,
perché vi sono culture che «in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno

6.9 Page 59

▲back to top
59
condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione».[214] Gli
anziani aiutano a percepire «la continuità delle generazioni», con «il carisma di ricucire gli
strappi».[215] Molte volte sono i nonni che assicurano la trasmissione dei grandi valori ai loro
nipoti e «molte persone possono constatare che proprio ai nonni debbono la loro iniziazione alla
vita cristiana».[216] Le loro parole, le loro carezze o la loro sola presenza aiutano i bambini a
riconoscere che la storia non inizia con loro, che sono eredi di un lungo cammino e che bisogna
rispettare il retroterra che ci precede. Coloro che rompono i legami con la storia avranno difficoltà
a tessere relazioni stabili e a riconoscere che non sono i padroni della realtà. Dunque,
«l’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è
posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli
anziani».[217]
193. La mancanza di memoria storica è un grave difetto della nostra società. E’ la mentalità
immatura dell’“ormai è passato”. Conoscere e poter prendere posizione di fronte agli avvenimenti
passati è l’unica possibilità di costruire un futuro che abbia senso. Non si può educare senza
memoria: «Richiamate alla memoria quei primi giorni» (Eb 10,32). I racconti degli anziani fanno
molto bene ai bambini e ai giovani, poiché li mettono in collegamento con la storia vissuta sia della
famiglia sia del quartiere e del Paese. Una famiglia che non rispetta e non ha cura dei suoi nonni,
che sono la sua memoria viva, è una famiglia disintegrata; invece una famiglia che ricorda è una
famiglia che ha futuro. Pertanto, «in una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati
perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte»,[218] dal momento che
«si strappa dalle proprie radici».[219] Il fenomeno contemporaneo del sentirsi orfani, in termini di
discontinuità, sradicamento e caduta delle certezze che danno forma alla vita, ci sfida a fare delle
nostre famiglie un luogo in cui i bambini possano radicarsi nel terreno di una storia collettiva.
Essere fratelli
194. La relazione tra i fratelli si approfondisce con il passare del tempo, e «il legame di fraternità
che si forma in famiglia tra i figli, se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la
grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana […]. Forse
non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo!
A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo
stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società».[220]
195. Crescere tra fratelli offre la bella esperienza di una cura reciproca, di aiutare e di essere
aiutati. Perciò «la fraternità in famiglia risplende in modo speciale quando vediamo la premura, la
pazienza, l’affetto di cui vengono circondati il fratellino o la sorellina più deboli, malati, o portatori
di handicap».[221] Bisogna riconoscere che «avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è
un’esperienza forte, impagabile, insostituibile»,[222] però occorre insegnare con pazienza ai figli a
trattarsi da fratelli. Tale tirocinio, a volte faticoso, è una vera scuola di socialità. In alcuni Paesi
esiste una forte tendenza ad avere un solo figlio, per cui l’esperienza di essere fratello comincia

6.10 Page 60

▲back to top
60
ad essere poco comune. Nel caso in cui non sia stato possibile avere più di un figlio, si dovrà
trovare il modo di far sì che il bambino non cresca solo o isolato.
Un cuore grande
196. Oltre il piccolo cerchio formato dai coniugi e dai loro figli, vi è la famiglia allargata che non
può essere ignorata. Infatti «l’amore tra l’uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed
allargata, l’amore tra i membri della stessa famiglia - tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra
parenti e familiari - è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la
famiglia ad una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità
coniugale e familiare».[223] In tale ambito si inseriscono anche gli amici e le famiglie amiche, ed
anche le comunità di famiglie che si sostengono a vicenda nelle difficoltà, nell’impegno sociale e
nella fede.
197. Questa famiglia allargata dovrebbe accogliere con tanto amore le ragazze madri, i bambini
senza genitori, le donne sole che devono portare avanti l’educazione dei loro figli, le persone con
disabilità che richiedono molto affetto e vicinanza, i giovani che lottano contro una dipendenza, le
persone non sposate, quelle separate o vedove che soffrono la solitudine, gli anziani e i malati che
non ricevono l’appoggio dei loro figli, fino ad includere nel loro seno «persino i più disastrati nelle
condotte della loro vita».[224] Può anche aiutare a compensare le fragilità dei genitori, o a scoprire
e denunciare in tempo possibili situazioni di violenza o anche di abuso subite dai bambini, dando
loro un amore sano e un sostegno familiare quando i loro genitori non possono assicurarlo.
198. Infine non si può dimenticare che in questa famiglia allargata vi sono anche il suocero, la
suocera e tutti i parenti del coniuge. Una delicatezza propria dell’amore consiste nell’evitare di
vederli come dei concorrenti, come persone pericolose, come invasori. L’unione coniugale chiede
di rispettare le loro tradizioni e i loro costumi, cercare di comprendere il loro linguaggio, limitare le
critiche, avere cura di loro e integrarli in qualche modo nel proprio cuore, anche quando si
dovrebbe preservare la legittima autonomia e l’intimità della coppia. Questi atteggiamenti sono
anche un modo squisito di esprimere la generosità della dedizione amorosa al proprio coniuge.
CAPITOLO SESTO
ALCUNE PROSPETTIVE PASTORALI
199. I dialoghi del cammino sinodale hanno condotto a prospettare la necessità di sviluppare
nuove vie pastorali, che cercherò ora di riassumere in modo generale. Saranno le diverse
comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli
insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali. Senza pretendere di presentare qui

7 Pages 61-70

▲back to top

7.1 Page 61

▲back to top
61
una pastorale della famiglia, intendo limitarmi solo a raccogliere alcune delle principali sfide
pastorali.
Annunciare il Vangelo della famiglia oggi
200. I Padri sinodali hanno insistito sul fatto che le famiglie cristiane, per la grazia del sacramento
nuziale, sono i principali soggetti della pastorale familiare, soprattutto offrendo «la testimonianza
gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche».[225] Per questo hanno sottolineato che
«si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che “riempie il cuore e la vita
intera”, perché in Cristo siamo “liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore,
dall’isolamento” (Evangelii gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cfr Mt 13,3-9), il
nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna nemmeno
dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione»,[226] ma gli sposi
apprezzano che i Pastori offrano loro motivazioni per una coraggiosa scommessa su un amore
forte, solido, duraturo, capace di far fronte a tutto ciò che si presenti sulla loro strada. La Chiesa
vuole raggiungere le famiglie con umile comprensione, e il suo desiderio «è di accompagnare
ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che
incontrano sul loro cammino».[227] Non basta inserire una generica preoccupazione per la
famiglia nei grandi progetti pastorali. Affinché le famiglie possano essere sempre più soggetti attivi
della pastorale familiare, si richiede «uno sforzo evangelizzatore e catechetico indirizzato
all’interno della famiglia»,[228] che la orienti in questa direzione.
201. «Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non
fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone».[229] La
pastorale familiare «deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più
profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella
comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa, ma di proporre
valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi, anche nei paesi più secolarizzati».[230]
Inoltre «si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con
franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato
alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni,
povertà, esclusioni e violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le
strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito
culturale e sociopolitico».[231]
202. «Il principale contributo alla pastorale familiare viene offerto dalla parrocchia, che è una
famiglia di famiglie, dove si armonizzano i contributi delle piccole comunità, dei movimenti e delle
associazioni ecclesiali».[232] Insieme con una pastorale specificamente orientata alle famiglie, ci
si prospetta la necessità di «una formazione più adeguata per i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le
religiose, per i catechisti e per gli altri agenti di pastorale».[233] Nelle risposte alle consultazioni
inviate a tutto il mondo, si è rilevato che ai ministri ordinati manca spesso una formazione

7.2 Page 62

▲back to top
62
adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie. Può essere utile in tal senso
anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati.
203. I seminaristi dovrebbero accedere ad una formazione interdisciplinare più ampia sul
fidanzamento e il matrimonio, e non solamente alla dottrina. Inoltre, la formazione non sempre
permette loro di esprimere il proprio mondo psicoaffettivo. Alcuni portano nella loro vita
l’esperienza della propria famiglia ferita, con assenza di genitori e con instabilità emotiva.
Occorrerà garantire durante la formazione una maturazione affinché i futuri ministri possiedano
l’equilibrio psichico che il loro compito esige. I vincoli familiari sono fondamentali per fortificare la
sana autostima dei seminaristi. Perciò è importante che le famiglie accompagnino tutto il processo
del seminario e del sacerdozio, poiché aiutano a fortificarlo in modo realistico. In tal senso è
salutare la combinazione di tempi di vita in seminario con altri di vita in parrocchia, che permettano
di prendere maggior contatto con la realtà concreta delle famiglie. Infatti, lungo tutta la sua vita
pastorale il sacerdote si incontra soprattutto con famiglie. «La presenza dei laici e delle famiglie, in
particolare la presenza femminile, nella formazione sacerdotale, favorisce l’apprezzamento per la
varietà e la complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa».[234]
204. Le risposte alle consultazioni esprimono anche con insistenza la necessità della formazione
di operatori laici di pastorale familiare con l’aiuto di psicopedagogisti, medici di famiglia, medici di
comunità, assistenti sociali, avvocati per i minori e le famiglie, con l’apertura a ricevere gli apporti
della psicologia, della sociologia, della sessuologia e anche del counseling. I professionisti,
specialmente coloro che hanno esperienza di accompagnamento, aiutano a incarnare le proposte
pastorali nelle situazioni reali e nelle preoccupazioni concrete delle famiglie. «Itinerari e corsi di
formazione destinati specificamente agli operatori pastorali potranno renderli idonei ad inserire lo
stesso cammino di preparazione al matrimonio nella più ampia dinamica della vita
ecclesiale».[235] Una buona preparazione pastorale è importante «anche in vista delle particolari
situazioni di emergenza determinate dai casi di violenza domestica e di abuso sessuale».[236]
Tutto ciò in nessun modo sminuisce, bensì integra il valore fondamentale della direzione spirituale,
delle inestimabili risorse spirituali della Chiesa e della Riconciliazione sacramentale.
Guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio
205. I Padri sinodali hanno affermato in diversi modi che bisogna aiutare i giovani a scoprire il
valore e la ricchezza del matrimonio.[237] Devono poter cogliere l’attrattiva di un’unione piena che
eleva e perfeziona la dimensione sociale dell’esistenza, conferisce alla sessualità il suo senso più
grande, e al tempo stesso promuove il bene dei figli e offre loro il miglior contesto per la loro
maturazione ed educazione.
206. «La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare
richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al
matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione

7.3 Page 63

▲back to top
63
preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri
sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera
comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della
preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del
matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di
programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di
partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare».[238]
207. Invito le comunità cristiane a riconoscere che accompagnare il cammino di amore dei
fidanzati è un bene per loro stesse. Come hanno detto bene i Vescovi d’Italia, coloro che si
sposano sono per la comunità cristiana «una preziosa risorsa perché, impegnandosi con sincerità
a crescere nell’amore e nel dono vicendevole, possono contribuire a rinnovare il tessuto stesso di
tutto il corpo ecclesiale: la particolare forma di amicizia che essi vivono può diventare contagiosa,
e far crescere nell’amicizia e nella fraternità la comunità cristiana di cui sono parte».[239] Ci sono
diversi modi legittimi di organizzare la preparazione prossima al matrimonio, e ogni Chiesa locale
discernerà quale sia migliore, provvedendo ad una formazione adeguata che nello stesso tempo
non allontani i giovani dal sacramento. Non si tratta di dare loro tutto il Catechismo, né di saturarli
con troppi argomenti. Anche in questo caso, infatti, vale che «non il molto sapere sazia e soddisfa
l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose».[240] Interessa più la qualità che la
quantità, e bisogna dare priorità – insieme ad un rinnovato annuncio del kerygma – a quei
contenuti che, trasmessi in modo attraente e cordiale, li aiutino a impegnarsi in un percorso di tutta
la vita «con animo grande e liberalità».[241]Si tratta di una sorta di “iniziazione” al sacramento del
matrimonio che fornisca loro gli elementi necessari per poterlo ricevere con le migliori disposizioni
e iniziare con una certa solidità la vita familiare.
208. E’ inoltre opportuno trovare i modi, attraverso le famiglie missionarie, le famiglie stesse dei
fidanzati e varie risorse pastorali, per offrire una preparazione remota che faccia maturare il loro
amore con un accompagnamento ricco di vicinanza e testimonianza. Sono spesso molto utili i
gruppi di fidanzati e le proposte di conferenze facoltative su una varietà di temi che interessano
realmente ai giovani. Comunque, sono indispensabili alcuni momenti personalizzati, dato che
l’obiettivo principale è aiutare ciascuno perché impari ad amare questa persona concreta, con la
quale desidera condividere tutta la vita. Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si
improvvisa, né può essere l’obiettivo di un breve corso previo alla celebrazione del matrimonio. In
realtà, ogni persona si prepara per il matrimonio fin dalla nascita. Tutto quanto la sua famiglia gli
ha dato dovrebbe permettergli di imparare dalla propria storia e renderlo capace di un impegno
pieno e definitivo. Probabilmente quelli che arrivano meglio preparati a sposarsi sono coloro che
hanno imparato dai propri genitori che cos’è un matrimonio cristiano, in cui entrambi si sono scelti
senza condizioni e continuano a rinnovare quella decisione. In questo senso, tutte le azioni
pastorali tendenti ad aiutare i coniugi a crescere nell’amore e a vivere il Vangelo nella famiglia,
sono un aiuto inestimabile perché i loro figli si preparino per la loro futura vita matrimoniale. Non
bisogna nemmeno dimenticare i validi contributi della pastorale popolare. Per fare un semplice

7.4 Page 64

▲back to top
64
esempio, ricordo il giorno di San Valentino, che in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai commercianti
che non dalla creatività dei pastori.
209. La preparazione di quanti hanno già formalizzato un fidanzamento, quando la comunità
parrocchiale riesce a seguirli con buon anticipo, deve anche dare loro la possibilità di riconoscere
incompatibilità e rischi. In questo modo si può arrivare ad accorgersi che non è ragionevole
puntare su quella relazione, per non esporsi ad un fallimento prevedibile che avrà conseguenze
molto dolorose. Il problema è che l’abbaglio iniziale porta a cercare di nascondere o di
relativizzare molte cose, si evitano le divergenze, e così solamente si scacciano in avanti le
difficoltà. I fidanzati dovrebbero essere stimolati e aiutati a poter esprimere ciò che ognuno si
aspetta da un eventuale matrimonio, il proprio modo di intendere quello che è l’amore e l’impegno,
ciò che si desidera dall’altro, il tipo di vita in comune che si vorrebbe progettare. Queste
conversazioni possono aiutare a vedere che in realtà i punti di contatto sono scarsi, e che la sola
attrazione reciproca non sarà sufficiente a sostenere l’unione. Nulla è più volubile, precario e
imprevedibile del desiderio, e non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio
se non si sono approfondite altre motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di
stabilità.
210. In ogni caso, se si riconoscono con chiarezza i punti deboli dell’altro, occorre avere una
fiducia realistica nella possibilità di aiutarlo a sviluppare il meglio della sua persona per
controbilanciare il peso delle sue fragilità, con un deciso interesse a promuoverlo come essere
umano. Questo implica accettare con ferma volontà la possibilità di affrontare alcune rinunce,
momenti difficili e situazioni conflittuali, e la salda decisione di prepararsi a questo. Si devono
poter individuare i segnali di pericolo che potrà avere la relazione, per trovare prima di sposarsi i
mezzi che permettano di affrontarli con successo. Purtroppo molti arrivano alle nozze senza
conoscersi. Si sono solo divertiti insieme, hanno fatto esperienze insieme, ma non hanno
affrontato la sfida di mostrare sé stessi e di imparare chi è realmente l’altro.
211. Tanto la preparazione prossima quanto l’accompagnamento più prolungato devono fare in
modo che i fidanzati non vedano lo sposarsi come il termine del cammino, ma che assumano il
matrimonio come una vocazione che li lancia in avanti, con la ferma e realistica decisione di
attraversare insieme tutte le prove e i momenti difficili. La pastorale prematrimoniale e la pastorale
matrimoniale devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino elementi
che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i momenti duri. Questi apporti non sono
unicamente convinzioni dottrinali, e nemmeno possono ridursi alle preziose risorse spirituali che
sempre offre la Chiesa, ma devono essere anche percorsi pratici, consigli ben incarnati, strategie
prese dall’esperienza, orientamenti psicologici. Tutto ciò configura una pedagogia dell’amore che
non può ignorare la sensibilità attuale dei giovani, per poterli mobilitare interiormente. Al tempo
stesso, nella preparazione dei fidanzati, si deve poter indicare loro luoghi e persone, consultori o
famiglie disponibili, a cui potranno rivolgersi per cercare aiuto quando si presentassero delle
difficoltà. Ma non bisogna mai dimenticare di proporre loro la Riconciliazione sacramentale, che

7.5 Page 65

▲back to top
65
permette di porre i peccati e gli errori della vita passata, e della stessa relazione, sotto l’influsso
del perdono misericordioso di Dio e della sua forza risanatrice.
La preparazione della celebrazione
212. La preparazione prossima al matrimonio tende a concentrarsi sugli inviti, i vestiti, la festa e gli
innumerevoli dettagli che consumano tanto le risorse economiche quanto le energie e la gioia. I
fidanzati arrivano sfiancati e sfiniti al matrimonio, invece di dedicare le migliori energie a prepararsi
come coppia per il gran passo che faranno insieme. Questa mentalità si riscontra anche in alcune
unioni di fatto, che non arrivano mai al matrimonio perché pensano a festeggiamenti troppo
costosi, invece di dare priorità all’amore reciproco e alla sua formalizzazione davanti agli altri. Cari
fidanzati, abbiate il coraggio di essere differenti, non lasciatevi divorare dalla società del consumo
e dell’apparenza. Quello che importa è l’amore che vi unisce, fortificato e santificato dalla grazia.
Voi siete capaci di scegliere un festeggiamento sobrio e semplice, per mettere l’amore al di sopra
di tutto. Gli operatori pastorali e tutta la comunità possono aiutare a far sì che questa priorità
diventi la normalità e non l’eccezione.
213. Nella preparazione più immediata è importante illuminare gli sposi perché vivano con grande
profondità la celebrazione liturgica, aiutandoli a comprendere e a vivere il senso di ciascun gesto.
Ricordiamo che un impegno così grande come quello che esprime il consenso matrimoniale, e
l’unione dei corpi che consuma il matrimonio, quando si tratta di due battezzati, si possono
interpretare solo come segni dell’amore del Figlio di Dio fatto carne e unito con la sua Chiesa in
alleanza d’amore. Nei battezzati, le parole e i gesti si trasformano in un linguaggio che manifesta
la fede. Il corpo, con i significati che Dio ha voluto infondere in esso creandolo, «si trasforma nel
linguaggio dei ministri del sacramento, coscienti che nel patto coniugale si manifesta e si realizza
il mistero».[242]
214. A volte i fidanzati non percepiscono il peso teologico e spirituale del consenso, che illumina il
significato di tutti i gesti successivi. E’ necessario evidenziare che quelle parole non possono
essere ridotte al presente; esse implicano una totalità che include il futuro: «finché la morte non vi
separi». Il significato del consenso mostra che «libertà e fedeltà non si oppongono, anzi piuttosto
si sostengono mutuamente, tanto nelle relazioni interpersonali, come in quelle sociali.
Effettivamente, pensiamo ai danni che producono, nella civiltà della comunicazione globale,
l’inflazione di promesse incompiute […]. Onorare la parola data, la fedeltà alla promessa, non si
possono comprare né vendere. Non si possono imporre con la forza, ma nemmeno custodire
senza sacrificio».[243]
215. I Vescovi del Kenya hanno osservato che «troppo concentrati sul giorno delle nozze, i futuri
sposi si dimenticano che stanno preparandosi per un impegno che dura tutta la vita».[244]
Bisogna aiutare a comprendere che il sacramento non è solo un momento che poi entra a far
parte del passato e dei ricordi, perché esercita la sua influenza su tutta la vita matrimoniale, in

7.6 Page 66

▲back to top
66
modo permanente.[245] Il significato procreativo della sessualità, il linguaggio del corpo e i gesti
d’amore vissuti nella storia di una coppia di coniugi, diventano una «ininterrotta continuità del
linguaggio liturgico», e «la vita coniugale diventa, in un certo senso, liturgia».[246]
216. Si può anche meditare con le letture bibliche, e arricchire la comprensione del significato
degli anelli che ci si dona a vicenda, o di altri segni che fanno parte del rito. Ma non sarebbe bene
che arrivino al matrimonio senza aver pregato insieme, l’uno per l’altro, chiedendo aiuto a Dio per
essere fedeli e generosi, domandando insieme a Dio che cosa Lui si aspetta da loro, e anche
consacrando il loro amore davanti a un’immagine di Maria. Coloro che li accompagnano nella
preparazione al matrimonio dovrebbero orientarli in modo che sappiano vivere questi momenti di
preghiera che possono fare loro molto bene. «La liturgia nuziale è un evento unico, che si vive nel
contesto familiare e sociale di una festa. Il primo dei segni di Gesù avvenne al banchetto delle
nozze di Cana: il vino buono del miracolo del Signore, che allieta la nascita di una nuova famiglia,
è il vino nuovo dell’Alleanza di Cristo con gli uomini e le donne di ogni tempo. […]
Frequentemente, il celebrante ha l’opportunità di rivolgersi ad un’assemblea composta da persone
che partecipano poco alla vita ecclesiale o appartengono ad altra confessione cristiana o comunità
religiosa. Si tratta di una preziosa occasione di annuncio del Vangelo di Cristo».[247]
Accompagnare nei primi anni della vita matrimoniale
217. Dobbiamo riconoscere come un gran valore che si comprenda che il matrimonio è una
questione di amore, che si possono sposare solo coloro che si scelgono liberamente e si amano.
Ciò nonostante, quando l’amore diventa una mera attrazione o una vaga affettività, questo fa sì
che i coniugi soffrano una straordinaria fragilità quando l’affettività entra in crisi o quando
l’attrazione fisica viene meno. Dato che queste confusioni sono frequenti, si rende indispensabile
accompagnare gli sposi nei primi anni di vita matrimoniale per arricchire e approfondire la
decisione consapevole e libera di appartenersi e di amarsi sino alla fine. Molte volte il tempo del
fidanzamento non è sufficiente, la decisione di sposarsi si affretta per diverse ragioni, mentre,
come se non bastasse, la maturazione dei giovani si è ritardata. Dunque, gli sposi novelli si
trovano a dover completare quel percorso che si sarebbe dovuto realizzare durante il
fidanzamento.
218. D’altro canto, desidero insistere sul fatto che una sfida della pastorale familiare è aiutare a
scoprire che il matrimonio non può intendersi come qualcosa di concluso. L’unione è reale, è
irrevocabile, ed è stata confermata e consacrata dal sacramento del matrimonio. Ma nell’unirsi, gli
sposi diventano protagonisti, padroni della propria storia e creatori di un progetto che occorre
portare avanti insieme. Lo sguardo si rivolge al futuro che bisogna costruire giorno per giorno con
la grazia di Dio, e proprio per questo non si pretende dal coniuge che sia perfetto. Bisogna
mettere da parte le illusioni e accettarlo così com’è: incompiuto, chiamato a crescere, in cammino.
Quando lo sguardo verso il coniuge è costantemente critico, questo indica che non si è assunto il
matrimonio anche come un progetto da edificare insieme, con pazienza, comprensione, tolleranza

7.7 Page 67

▲back to top
67
e generosità. Questo fa sì che l’amore venga sostituito a poco a poco da uno sguardo inquisitore e
implacabile, dal controllo dei meriti e dei diritti di ciascuno, dalle proteste, dalla competizione e
dall’autodifesa. Così diventano incapaci di sostenersi l’un l’altro per la maturazione di entrambi e
per la crescita dell’unione. Ai nuovi coniugi è necessario presentare questo con chiarezza
realistica fin dall’inizio, in modo che prendano coscienza del fatto che stanno incominciando. Il “sì”
che si sono scambiati è l’inizio di un itinerario, con un obiettivo capace di superare ciò che
potrebbero imporre le circostanze o gli ostacoli che si frapponessero. La benedizione ricevuta è
una grazia e una spinta per questo cammino sempre aperto. Spesso aiuta che si mettano seduti a
dialogare per elaborare il loro progetto concreto nei suoi obiettivi, nei suoi strumenti, nei suoi
dettagli.
219. Ricordo un ritornello che diceva che l’acqua stagnante si corrompe, si guasta. È quanto
accade quando la vita dell’amore nei primi anni del matrimonio ristagna, smette di essere in
movimento, cessa di avere quella sana inquietudine che la spinge in avanti. La danza proiettata in
avanti con quell’amore giovane, la danza con quegli occhi meravigliati pieni di speranza non deve
fermarsi. Nel fidanzamento e nei primi anni di matrimonio la speranza è quella che ha in sé la
forza del lievito, quella che fa guardare oltre le contraddizioni, i conflitti, le contingenze, quella che
fa sempre vedere oltre. E’ quella che mette in moto ogni aspettativa per mantenersi in un
cammino di crescita. La stessa speranza ci invita a vivere in pieno il presente, mettendo il cuore
nella vita familiare, perché il modo migliore di preparare e consolidare il futuro è vivere bene il
presente.
220. Il cammino implica passare attraverso diverse tappe che chiamano a donarsi con generosità:
dall’impatto iniziale caratterizzato da un’attrazione marcatamente sensibile, si passa al bisogno
dell’altro sentito come parte della propria vita. Da lì si passa al gusto della reciproca
appartenenza, poi alla comprensione della vita intera come progetto di entrambi, alla capacità di
porre la felicità dell’altro al di sopra delle proprie necessità, e alla gioia di vedere il proprio
matrimonio come un bene per la società. La maturazione dell’amore implica anche imparare a
“negoziare”. Non è un atteggiamento interessato o un gioco di tipo commerciale, ma in definitiva
un esercizio dell’amore vicendevole, perché questa negoziazione è un intreccio di reciproche
offerte e rinunce per il bene della famiglia. In ogni nuova tappa della vita matrimoniale, occorre
sedersi e negoziare nuovamente gli accordi, in modo che non ci siano vincitori e vinti, ma che
vincano entrambi. In casa le decisioni non si prendono unilateralmente, e i due condividono la
responsabilità per la famiglia, ma ogni casa è unica e ogni sintesi matrimoniale è differente.
221. Una delle cause che portano alla rottura dei matrimoni è avere aspettative troppo alte
riguardo alla vita coniugale. Quando si scopre la realtà, più limitata e problematica di quella che si
aveva sognato, la soluzione non è pensare rapidamente e irresponsabilmente alla separazione,
ma assumere il matrimonio come un cammino di maturazione, in cui ognuno dei coniugi è uno
strumento di Dio per far crescere l’altro. È possibile il cambiamento, la crescita, lo sviluppo delle
buone potenzialità che ognuno porta in sé. Ogni matrimonio è una “storia di salvezza”, e questo

7.8 Page 68

▲back to top
68
suppone che si parta da una fragilità che, grazie al dono di Dio e a una risposta creativa e
generosa, via via lascia spazio a una realtà sempre più solida e preziosa. La missione forse più
grande di un uomo e una donna nell’amore è questa: rendersi a vicenda più uomo e più donna.
Far crescere è aiutare l’altro a modellarsi nella sua propria identità. Per questo l’amore è
artigianale. Quando si legge il passo della Bibbia sulla creazione dell’uomo e della donna, si
osserva prima Dio che plasma l’uomo (cfr Gen 2,7), poi si accorge che manca qualcosa di
essenziale e plasma la donna, e allora vede la sorpresa dell’uomo: “Ah, ora sì, questa sì!”. E poi
sembra di udire quello stupendo dialogo in cui l’uomo e la donna incominciano a scoprirsi a
vicenda. In effetti, anche nei momenti difficili l’altro torna a sorprendere e si aprono nuove porte
per ritrovarsi, come se fosse la prima volta; e in ogni nuova tappa ritornano a “plasmarsi” l’un
l’altro. L’amore fa sì che uno aspetti l’altro ed eserciti la pazienza propria dell’artigiano che è stata
ereditata da Dio.
222. L’accompagnamento deve incoraggiare gli sposi ad essere generosi nella comunicazione
della vita. «Conformemente al carattere personale e umanamente completo dell’amore coniugale,
la giusta strada per la pianificazione familiare è quella di un dialogo consensuale tra gli sposi, del
rispetto dei tempi e della considerazione della dignità del partner. In questo senso l’Enciclica
Humanae vitae (cfr 10-14) e l’Esortazione apostolica Familiaris consortio (cfr 14; 28-35) devono
essere riscoperte al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità
spesso ostile alla vita […]. La scelta responsabile della genitorialità presuppone la formazione
della coscienza, che è “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui
voce risuona nell’intimità” (Gaudium et spes, 16). Quanto più gli sposi cercano di ascoltare nella
loro coscienza Dio e i suoi comandamenti (cfr Rm 2,15), e si fanno accompagnare spiritualmente,
tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai
modi di comportarsi del loro ambiente».[248] Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel
Concilio Vaticano II: «I coniugi [...], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un
retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli
nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali
della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare,
della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono
formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi».[249] D’altra parte, «il ricorso ai metodi fondati sui “ritmi
naturali di fecondità” (Humanae vitae, 11) andrà incoraggiato. Si metterà in luce che “questi
metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano la tenerezza fra di loro e favoriscono
l’educazione di una libertà autentica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370). Va evidenziato
sempre che i figli sono un meraviglioso dono di Dio, una gioia per i genitori e per la Chiesa.
Attraverso di essi il Signore rinnova il mondo».[250]
Alcune risorse
223. I Padri sinodali hanno indicato che «i primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e
delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del

7.9 Page 69

▲back to top
69
matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione
del sacramento (cfr Familiaris consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa
pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il
luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con
l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare
gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata
l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia
domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita
spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali ed
Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state
menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia».[251]
224. Questo cammino è una questione di tempo. L’amore ha bisogno di tempo disponibile e
gratuito, che metta altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi
senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare
la relazione. A volte il problema è il ritmo frenetico della società, o i tempi imposti dagli impegni
lavorativi. Altre volte il problema è che il tempo che si passa insieme non ha qualità. Condividiamo
solamente uno spazio fisico, ma senza prestare attenzione l’uno all’altro. Gli operatori pastorali e i
gruppi di famiglie dovrebbero aiutare le coppie di sposi giovani o fragili a imparare ad incontrarsi in
quei momenti, a fermarsi l’uno di fronte all’altro, e anche a condividere momenti di silenzio che li
obblighino a sperimentare la presenza del coniuge.
225. Gli sposi che hanno una buona esperienza di “apprendistato” in questo senso possono offrire
gli strumenti pratici che sono stati utili per loro: la programmazione dei momenti per stare insieme
gratuitamente, i tempi di ricreazione con i figli, i vari modi di celebrare cose importanti, gli spazi di
spiritualità condivisa. Ma possono anche insegnare accorgimenti che aiutano a riempire di
contenuto e di significato questi momenti, per imparare a comunicare meglio. Questo è di somma
importanza quando si è spenta la novità del fidanzamento. Perché quando non si sa che fare col
tempo condiviso, uno o l’altro dei coniugi finirà col rifugiarsi nella tecnologia, inventerà altri
impegni, cercherà altre braccia o scapperà da un’intimità scomoda.
226. I giovani sposi vanno anche stimolati a crearsi delle proprie abitudini, che offrono una sana
sensazione di stabilità e di protezione, e che si costruiscono con una serie di rituali quotidiani
condivisi. È buona cosa darsi sempre un bacio al mattino, benedirsi tutte le sere, aspettare l’altro e
accoglierlo quando arriva, uscire qualche volta insieme, condividere le faccende domestiche. Ma
nello stesso tempo, è bene interrompere le abitudini con la festa, non perdere la capacità di
celebrare in famiglia, di gioire e di festeggiare le belle esperienze. Hanno bisogno di sorprendersi
insieme per i doni di Dio e alimentare insieme l’entusiasmo per la vita. Quando si sa celebrare,
questa capacità rinnova l’energia dell’amore, lo libera dalla monotonia e riempie di colore e di
speranza le abitudini quotidiane.

7.10 Page 70

▲back to top
70
227. Noi Pastori dobbiamo incoraggiare le famiglie a crescere nella fede. Per questo è bene
esortare alla Confessione frequente, alla direzione spirituale, alla partecipazione ai ritiri. Ma non
bisogna dimenticare di invitare a creare spazi settimanali di preghiera familiare, perché “la famiglia
che prega unita resta unita”. Come pure, quando visitiamo le case, dovremmo invitare tutti i
membri della famiglia a un momento per pregare gli uni per gli altri e per affidare la famiglia alle
mani del Signore. Allo stesso tempo, è opportuno incoraggiare ciascuno dei coniugi a prendersi
dei momenti di preghiera in solitudine davanti a Dio, perché ognuno ha le sue croci segrete.
Perché non raccontare a Dio ciò che turba il cuore, o chiedergli la forza per sanare le proprie ferite
e implorare la luce di cui si ha bisogno per sostenere il proprio impegno? I Padri sinodali hanno
anche evidenziato che «la Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la
pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa
domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è
una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per
il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie».[252]
228. È possibile che uno dei coniugi non sia battezzato, o che non voglia vivere gli impegni della
fede. In tal caso, il desiderio dell’altro di vivere e crescere come cristiano fa sì che l’indifferenza
del coniuge sia vissuta con dolore. Ciò nonostante, è possibile trovare alcuni valori comuni da
poter condividere e coltivare con entusiasmo. In ogni modo, amare il coniuge non credente, dargli
felicità, alleviare le sue sofferenze e condividere la vita con lui è un vero cammino di
santificazione. D’altra parte, l’amore è un dono di Dio, e lì dove si diffonde fa sentire la sua forza
trasformatrice, in modi a volte misteriosi, fino al punto che «il marito non credente viene reso santo
dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1 Cor
7,14).
229. Le parrocchie, i movimenti, le scuole e altre istituzioni della Chiesa possono svolgere diverse
mediazioni per curare e ravvivare le famiglie. Per esempio, tramite strumenti come: riunioni di
coppie vicine o amiche, ritiri brevi per sposi, conferenze di specialisti su problematiche molto
concrete della vita familiare, centri di consulenza matrimoniale, operatori missionari preparati per
parlare con gli sposi sulle loro difficoltà e aspirazioni, consulenze su diverse situazioni familiari
(dipendenze, infedeltà, violenza familiare), spazi di spiritualità, laboratori di formazione per genitori
con figli problematici, assemblee familiari. La segreteria parrocchiale dovrebbe essere in grado di
accogliere con cordialità e di occuparsi delle urgenze familiari, o di indirizzare facilmente verso chi
possa dare aiuto. C’è anche un sostegno pastorale che si dà nei gruppi di sposi, tanto di servizio
che di missione, di preghiera, di formazione o di mutuo aiuto. Questi gruppi offrono l’opportunità di
dare, di vivere l’apertura della famiglia agli altri, di condividere la fede, ma al tempo stesso sono
un mezzo per rafforzare i coniugi e farli crescere.
230. È vero che molte coppie di sposi spariscono dalla comunità cristiana dopo il matrimonio, ma
tante volte sprechiamo alcune occasioni in cui tornano a farsi presenti, dove potremmo riproporre
loro in modo attraente l’ideale del matrimonio cristiano e avvicinarli a spazi di accompagnamento:

8 Pages 71-80

▲back to top

8.1 Page 71

▲back to top
71
mi riferisco, per esempio, al Battesimo di un figlio, alla prima Comunione, o quando partecipano
ad un funerale o al matrimonio di un parente o di un amico. Quasi tutti i coniugi riappaiono in
queste occasioni, che potrebbero essere meglio valorizzate. Un’altra via di avvicinamento è la
benedizione delle case, o la visita di un’immagine della Vergine, che offrono l’occasione di
sviluppare un dialogo pastorale sulla situazione della famiglia. Può anche essere utile affidare a
coppie più adulte il compito di seguire coppie più recenti del proprio vicinato, per incontrarle,
seguirle nei loro inizi e proporre loro un percorso di crescita. Con il ritmo della vita attuale, la
maggior parte degli sposi non saranno disposti a riunioni frequenti, e non possiamo ridurci a una
pastorale di piccole élites. Oggi la pastorale familiare dev’essere essenzialmente missionaria, in
uscita, in prossimità, piuttosto che ridursi ad essere una fabbrica di corsi ai quali pochi assistono.
Rischiarare crisi, angosce e difficoltà
231. Una parola vada a coloro che nell’amore hanno già invecchiato il vino nuovo del
fidanzamento. Quando il vino si invecchia con questa esperienza del cammino, lì appare, fiorisce
in tutta la sua pienezza, la fedeltà dei piccoli momenti della vita. È la fedeltà dell’attesa e della
pazienza. Questa fedeltà piena di sacrifici e di gioie va come fiorendo nell’età in cui tutto diventa
“stagionato” e gli occhi diventano scintillanti in contemplazione dei figli dei propri figli. Così era fin
dal principio, ma ormai si è fatto consapevole, sedimentato, maturato nella sorpresa quotidiana
della riscoperta giorno dopo giorno, anno dopo anno. Come insegnava san Giovanni della Croce,
«gli amanti vecchi [sono] quelli già esercitati e provati». Essi sono privi «dei fervori sensibili, delle
ebollizioni e dei fuochi esterni di fervore. Essi gustano ormai la soavità del vino di amore nella
sostanza, già fermentato e posato dentro l’anima».[253] Questo suppone l’essere stati capaci di
superare uniti le crisi e i tempi di angoscia, senza sfuggire dalle sfide e senza nascondere le
difficoltà.
La sfida delle crisi
232. La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua
drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione
meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme
per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle
possibilità aperte da una nuova tappa. Ogni crisi implica un apprendistato che permette di
incrementare l’intensità della vita condivisa, o almeno di trovare un nuovo senso all’esperienza
matrimoniale. In nessun modo bisogna rassegnarsi a una curva discendente, a un deterioramento
inevitabile, a una mediocrità da sopportare. Al contrario, quando il matrimonio si assume come un
compito, che implica anche superare ostacoli, ogni crisi si percepisce come l’occasione per
arrivare a bere insieme il vino migliore. È bene accompagnare i coniugi perché siano in grado di
accettare le crisi che possono arrivare, raccogliere il guanto e assegnare ad esse un posto nella
vita familiare. I coniugi esperti e formati devono essere disposti ad accompagnare altri in questa
scoperta, in modo che le crisi non li spaventino né li portino a prendere decisioni affrettate. Ogni

8.2 Page 72

▲back to top
72
crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore.
233. La reazione immediata è fare resistenza davanti alla sfida di una crisi, mettersi sulla difensiva
sentendo che sfugge al proprio controllo, perché mostra l’insufficienza del proprio modo di vivere,
e questo dà fastidio. Allora si usa il metodo di negare i problemi, nasconderli, relativizzare la loro
importanza, puntare solo sul passare del tempo. Ma ciò ritarda la soluzione e porta a consumare
molta energia in un occultamento inutile che complicherà ancora di più le cose. I vincoli si vanno
deteriorando e si va consolidando un isolamento che danneggia l’intimità. In una crisi non
affrontata, quello che più si compromette è la comunicazione. In tal modo, a poco a poco, quella
che era “la persona che amo” passa ad essere “chi mi accompagna sempre nella vita”, poi solo “il
padre o la madre dei miei figli”, e alla fine un estraneo.
234. Per affrontare una crisi bisogna essere presenti. È difficile, perché a volte le persone si
isolano per non mostrare quello che sentono, si fanno da parte in un silenzio meschino e
ingannatore. In questi momenti occorre creare spazi per comunicare da cuore a cuore. Il problema
è che diventa più difficile comunicare così in un momento di crisi se non si è mai imparato a farlo.
È una vera arte che si impara in tempi di calma, per metterla in pratica nei tempi duri. Bisogna
aiutare a scoprire le cause più nascoste nei cuori dei coniugi, e ad affrontarle come un parto che
passerà e lascerà un nuovo tesoro. Ma le risposte alle consultazioni realizzate rilevano che in
situazioni difficili o critiche la maggioranza non ricorre all’accompagnamento pastorale, perché non
lo sente comprensivo, vicino, realistico, incarnato. Per questo, cerchiamo ora di accostarci alle
crisi matrimoniali con uno sguardo che non ignori il loro carico di dolore e di angoscia.
235. Ci sono crisi comuni che accadono solitamente in tutti i matrimoni, come la crisi degli inizi,
quando bisogna imparare a rendere compatibili le differenze e a distaccarsi dai genitori; o la crisi
dell’arrivo del figlio, con le sue nuove sfide emotive; la crisi di allevare un bambino, che cambia le
abitudini dei genitori; la crisi dell’adolescenza del figlio, che esige molte energie, destabilizza i
genitori e a volte li oppone tra loro; la crisi del “nido vuoto”, che obbliga la coppia a guardare
nuovamente a sé stessa; la crisi causata dalla vecchiaia dei genitori dei coniugi, che richiedono
più presenza, più attenzioni e decisioni difficili. Sono situazioni esigenti, che provocano paure,
sensi di colpa, depressioni o stanchezze che possono intaccare gravemente l’unione.
236. A queste si sommano le crisi personali che incidono sulla coppia, legate alle difficoltà
economiche, di lavoro, affettive, sociali, spirituali. E si aggiungono circostanze inaspettate che
possono alterare la vita familiare e che esigono un cammino di perdono e riconciliazione. Nel
momento stesso in cui cerca di fare il passo del perdono, ciascuno deve domandarsi con serena
umiltà se non ha creato le condizioni per esporre l’altro a commettere certi errori. Alcune famiglie
soccombono quando i coniugi si accusano a vicenda, ma «l’esperienza mostra che con un aiuto
adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali
si supera in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza
fondamentale nella vita familiare».[254] «La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del

8.3 Page 73

▲back to top
73
sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta
anche di un aiuto esterno e professionale».[255]
237. È diventato frequente che, quando uno sente di non ricevere quello che desidera, o che non
si realizza quello che sognava, ciò sembra essere sufficiente per mettere fine a un matrimonio.
Così non ci sarà matrimonio che duri. A volte, per decidere che tutto è finito basta una delusione,
un’assenza in un momento in cui si aveva bisogno dell’altro, un orgoglio ferito o un timore
indefinito. Ci sono situazioni proprie dell’inevitabile fragilità umana, alle quali si attribuisce un peso
emotivo troppo grande. Per esempio, la sensazione di non essere completamente corrisposto, le
gelosie, le differenze che possono emergere tra i due, l’attrazione suscitata da altre persone, i
nuovi interessi che tendono a impossessarsi del cuore, i cambiamenti fisici del coniuge, e tante
altre cose che, più che attentati contro l’amore, sono opportunità che invitano a ricrearlo una volta
di più.
238. In queste circostanze, alcuni hanno la maturità necessaria per scegliere nuovamente l’altro
come compagno di strada, al di là dei limiti della relazione, e accettano con realismo che non
possa soddisfare tutti i sogni accarezzati. Evitano di considerarsi gli unici martiri, apprezzano le
piccole e limitate possibilità che offre loro la vita in famiglia e puntano a rafforzare il vincolo in una
costruzione che richiederà tempo e sforzo. Perché in fondo riconoscono che ogni crisi è come un
nuovo “sì” che rende possibile che l’amore rinasca rafforzato, trasfigurato, maturato, illuminato. A
partire da una crisi si ha il coraggio di ricercare le radici profonde di quello che sta succedendo, di
negoziare di nuovo gli accordi fondamentali, di trovare un nuovo equilibrio e di percorrere insieme
una nuova tappa. Con questo atteggiamento di costante apertura si possono affrontare tante
situazioni difficili! In ogni caso, riconoscendo che la riconciliazione è possibile, oggi scopriamo che
«un ministero dedicato a coloro la cui relazione matrimoniale si è infranta appare particolarmente
urgente».[256]
Vecchie ferite
239. È comprensibile che nelle famiglie ci siano molte difficoltà quando qualcuno dei suoi membri
non ha maturato il suo modo di relazionarsi, perché non ha guarito ferite di qualche fase della sua
vita. La propria infanzia e la propria adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi
personali che finiscono per danneggiare il matrimonio. Se tutti fossero persone maturate
normalmente, le crisi sarebbero meno frequenti e meno dolorose. Ma il fatto è che a volte le
persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero
dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza. A volte si ama con un amore egocentrico proprio
del bambino, fissato in una fase in cui la realtà si distorce e si vive il capriccio che tutto debba
girare intorno al proprio io. È un amore insaziabile, che grida e piange quando non ottiene quello
che desidera. Altre volte si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal
contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della
fantasia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci.

8.4 Page 74

▲back to top
74
240. Molti terminano la propria infanzia senza aver mai sperimentato di essere amati
incondizionatamente, e questo ferisce la loro capacità di aver fiducia e di donarsi. Una relazione
mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita
coniugale. Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la
relazione tra i coniugi non funziona bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene
assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia. Ciò esige di
riconoscere la necessità di guarire, di chiedere con insistenza la grazia di perdonare e di
perdonarsi, di accettare aiuto, di cercare motivazioni positive e di ritornare a provare sempre di
nuovo. Ciascuno dev’essere molto sincero con sé stesso per riconoscere che il suo modo di
vivere l’amore ha queste immaturità. Per quanto possa sembrare evidente che tutta la colpa sia
dell’altro, non è mai possibile superare una crisi aspettando che solo l’altro cambi. Occorre anche
interrogarsi sulle cose che uno potrebbe personalmente maturare o sanare per favorire il
superamento del conflitto.
Accompagnare dopo le rotture e i divorzi
241. In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un
limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una
mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che «ci sono casi in cui la
separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto
si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla
prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e
dall’indifferenza».[257] Comunque «deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che
ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano».[258]
242. I Padri hanno indicato che «un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare
pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la
sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono,
oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per
l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità
di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto
specializzati da stabilire nelle diocesi».[259] Nello stesso tempo, «le persone divorziate ma non
risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare
nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono
accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro
situazione di povertà».[260] Un fallimento matrimoniale diventa molto più traumatico e doloroso
quando c’è povertà, perché si hanno molte meno risorse per riorientare l’esistenza. Una persona
povera che perde l’ambiente protettivo della famiglia resta doppiamente esposta all’abbandono e
a ogni tipo di rischi per la sua integrità.
243. Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della

8.5 Page 75

▲back to top
75
Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la
comunione ecclesiale.[261] Queste situazioni «esigono un attento discernimento e un
accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia
sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di
loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza
circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità».[262]
244. D’altra parte, un gran numero di Padri «ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili
ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità».[263]
La lentezza dei processi crea disagio e stanca le persone. I miei due recenti Documenti su tale
materia[264] hanno portato ad una semplificazione delle procedure per una eventuale
dichiarazione di nullità matrimoniale. Attraverso di essi ho anche voluto «rendere evidente che lo
stesso Vescovo nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i
fedeli a lui affidati».[265] Perciò, «l’attuazione di questi documenti costituisce una grande
responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni
modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia. Ciò implica la preparazione di
un personale sufficiente, composto di chierici e laici, che si consacri in modo prioritario a questo
servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o
delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale
familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo
matrimoniale (cfr Mitis Iudex, art. 2-3)».[266]
245. I Padri Sinodali hanno anche messo in evidenza «le conseguenze della separazione o del
divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione».[267] Al di sopra di tutte le
considerazioni che si vogliano fare, essi sono la prima preoccupazione, che non deve essere
offuscata da nessun altro interesse o obiettivo. Ai genitori separati rivolgo questa preghiera: «Mai,
mai, mai prendere il figlio come ostaggio! Vi siete separati per tante difficoltà e motivi, la vita vi ha
dato questa prova, ma i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano
usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà,
benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma».[268] È irresponsabile rovinare
l’immagine del padre o della madre con l’obiettivo di accaparrarsi l’affetto del figlio, per vendicarsi
o per difendersi, perché questo danneggerà la vita interiore di quel bambino e provocherà ferite
difficili da guarire.
246. La Chiesa, sebbene comprenda le situazioni conflittuali che i coniugi devono attraversare,
non può cessare di essere voce dei più fragili, che sono i figli che soffrono, spesso in silenzio.
Oggi, «nonostante la nostra sensibilità apparentemente evoluta, e tutte le nostre raffinate analisi
psicologiche, mi domando se non ci siamo anestetizzati anche rispetto alle ferite dell’anima dei
bambini. […] Sentiamo il peso della montagna che schiaccia l’anima di un bambino, nelle famiglie
in cui ci si tratta male e ci si fa del male, fino a spezzare il legame della fedeltà coniugale?».[269]
Queste brutte esperienze non sono di aiuto affinché quei bambini maturino per essere capaci di

8.6 Page 76

▲back to top
76
impegni definitivi. Per questo, le comunità cristiane non devono lasciare soli i genitori divorziati
che vivono una nuova unione. Al contrario, devono includerli e accompagnarli nella loro funzione
educativa. Infatti, «come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i
figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a
distanza dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati? Si deve fare in modo di non
aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover
portare!».[270] Aiutare a guarire le ferite dei genitori e accoglierli spiritualmente, è un bene anche
per i figli, i quali hanno bisogno del volto familiare della Chiesa che li accolga in questa esperienza
traumatica. Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per
questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie, è rafforzare
l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo
dramma della nostra epoca.
Alcune situazioni complesse
247. «Le problematiche relative ai matrimoni misti richiedono una specifica attenzione. I matrimoni
tra cattolici e altri battezzati “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi
che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono
dare al movimento ecumenico”. A tal fine “va ricercata […] una cordiale collaborazione tra il
ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle
nozze” (Familiaris consortio, 78). Circa la condivisione eucaristica si ricorda che “la decisione di
ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in
conformità alle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali quanto per gli altri
cristiani, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del
matrimonio cristiano due cristiani battezzati. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in
comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può
essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate” (Pont. Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme
sull’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160)».[271]
248. «I matrimoni con disparità di culto rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso
[…] comportano alcune speciali difficoltà sia riguardo alla identità cristiana della famiglia, sia
all’educazione religiosa dei figli. […] Il numero delle famiglie composte da unioni coniugali con
disparità di culto, in crescita nei territori di missione e anche nei Paesi di lunga tradizione cristiana,
sollecita l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo i diversi contesti
sociali e culturali. In alcuni Paesi, dove la libertà di religione non esiste, il coniuge cristiano è
obbligato a passare ad un’altra religione per potersi sposare, e non può celebrare il matrimonio
canonico in disparità di culto né battezzare i figli. Dobbiamo ribadire pertanto la necessità che la
libertà religiosa sia rispettata nei confronti di tutti».[272] «È necessario rivolgere un’attenzione
particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle
nozze. Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro

8.7 Page 77

▲back to top
77
non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste
situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli».[273]
249. «Particolare difficoltà presentano le situazioni che riguardano l’accesso al battesimo di
persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa. Si tratta di persone che hanno
contratto un’unione matrimoniale stabile in un tempo in cui ancora almeno una di esse non
conosceva la fede cristiana. I Vescovi sono chiamati a esercitare, in questi casi, un discernimento
pastorale commisurato al loro bene spirituale».[274]
250. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è
offerto per ogni persona senza eccezioni.[275] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la
situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza
omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto
ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata
nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta
discriminazione»[276] e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle
famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che
manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e
realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.[277]
251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno
osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone
omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote,
tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che
le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali
condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il
“matrimonio” fra persone dello stesso sesso».[278]
252. Le famiglie monoparentali hanno origine spesso a partire da «madri o padri biologici che non
hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto
fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e
altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno
e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli
organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei
problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei
figli, dalla mancanza di una casa».[279]
Quando la morte pianta il suo pungiglione
253. A volte la vita familiare si vede interpellata dalla morte di una persona cara. Non possiamo
tralasciare di offrire la luce della fede per accompagnare le famiglie che soffrono in questi

8.8 Page 78

▲back to top
78
momenti.[280] Abbandonare una famiglia quando una morte la ferisce sarebbe una mancanza di
misericordia, perdere un’opportunità pastorale, e questo atteggiamento può chiuderci le porte per
qualsiasi altra azione evangelizzatrice.
254. Comprendo l’angoscia di chi ha perso una persona molto amata, un coniuge con cui ha
condiviso tante cose. Gesù stesso si è commosso e ha pianto alla veglia funebre di un amico (cfr
Gv 11,33.35). E come non comprendere il lamento di chi ha perso un figlio? Infatti, «è come se si
fermasse il tempo: si apre un abisso che ingoia il passato e anche il futuro. […] E a volte si arriva
anche ad accusare Dio. Quanta gente – li capisco – si arrabbia con Dio».[281] «La vedovanza è
un’esperienza particolarmente difficile […] alcuni mostrano di saper riversare le proprie energie
con ancor più dedizione sui figli e i nipoti, trovando in questa espressione di amore una nuova
missione educativa. […] Coloro che non possono contare sulla presenza di familiari a cui dedicarsi
e dai quali ricevere affetto e vicinanza devono essere sostenuti dalla comunità cristiana con
particolare attenzione e disponibilità, soprattutto se si trovano in condizioni di indigenza».[282]
255. In generale il lutto per i defunti può durare piuttosto a lungo, e quando un pastore vuole
accompagnare questo percorso, deve adattarsi alle necessità di ognuna delle sue fasi. Tutto il
percorso è solcato da domande: sulle cause della morte, su ciò che si sarebbe potuto fare, su
cosa vive una persona nel momento precedente alla morte... Con un cammino sincero e paziente
di preghiera e di liberazione interiore, ritorna la pace. A un certo punto del lutto occorre aiutare a
scoprire che quanti abbiamo perso una persona cara abbiamo ancora una missione da compiere,
e che non ci fa bene voler prolungare la sofferenza, come se questa fosse un atto di ossequio. La
persona amata non ha bisogno della nostra sofferenza, né le risulta lusinghiero che roviniamo la
nostra vita. Nemmeno è la migliore espressione di amore ricordarla e nominarla in ogni momento,
perché significa rimanere attaccati ad un passato che non esiste più, invece di amare la persona
reale che ora si trova nell’al di là. La sua presenza fisica non è più possibile, ma, se la morte è
qualcosa di potente, «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). L’amore possiede un’intuizione che
gli permette di ascoltare senza suoni e di vedere nell’invisibile. Questo non è immaginare la
persona cara così com’era, bensì poterla accettare trasformata, come è ora. Gesù risorto, quando
la sua amica Maria volle abbracciarlo con forza, le chiese di non toccarlo (cfr Gv 20,17), per
condurla a un incontro differente.
256. Ci consola sapere che non esiste la distruzione completa di coloro che muoiono, e la fede ci
assicura che il Risorto non ci abbandonerà mai. Così possiamo impedire alla morte «di
avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».[283] La Bibbia
parla di un Dio che ci ha creato per amore, e che ci ha fatto in modo tale che la nostra vita non
finisce con la morte (cfr Sap 3,2-3). San Paolo ci parla di un incontro con Cristo immediatamente
dopo la morte: «Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo» (Fil 1,23). Con Lui,
dopo la morte ci aspetta ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano (cfr 1 Cor 2,9). Il
prefazio della Liturgia dei defunti lo esprime magnificamente: «Se ci rattrista la certezza di dover
morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma

8.9 Page 79

▲back to top
79
trasformata». Infatti «i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura
che essi sono nelle mani buone e forti di Dio».[284]
257. Un modo di comunicare con i nostri cari che sono morti è pregare per loro.[285] Dice la
Bibbia che «pregare per i defunti» è cosa «santa e devota» (2 Mac 12,44-45). Pregare per loro
«può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore».[286]
L’Apocalisse presenta i martiri mentre intercedono per coloro che soffrono ingiustizia sulla terra
(cfr 6,9-11), solidali con questo mondo in cammino. Alcuni santi, prima di morire, consolavano i
propri cari promettendo che sarebbero stati loro vicini per aiutarli. Santa Teresa di Lisieux sentiva
di voler continuare a fare del bene dal Cielo.[287] San Domenico affermava che «sarebbe stato
più utile dopo la morte, […] più potente nell’ottenere grazie».[288] Sono legami di amore,[289]
perché «l’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è
minimamente spezzata […], è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».[290]
258. Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa. La via è crescere nell’amore verso
coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento
né affanno» (Ap 21,4). In questo modo ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono
morti. Come Gesù restituì a sua madre il figlio che era morto (cfr Lc 7,15), similmente farà con noi.
Non sprechiamo energie fermandoci anni e anni nel passato. Quanto meglio viviamo su questa
terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo
a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste.
CAPITOLO SETTIMO
RAFFORZARE L’EDUCAZIONE DEI FIGLI
259. I genitori incidono sempre sullo sviluppo morale dei loro figli, in bene e in male. Di
conseguenza, la cosa migliore è che accettino questa responsabilità inevitabile e la realizzino in
maniera cosciente, entusiasta, ragionevole e appropriata. Poiché questa funzione educativa delle
famiglie è così importante ed è diventata molto complessa, desidero trattenermi in modo speciale
su questo punto.
Dove sono i figli?
260. La famiglia non può rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida,
anche se deve reinventare i suoi metodi e trovare nuove risorse. Ha bisogno di prospettare a che
cosa voglia esporre i propri figli. A tale scopo non deve evitare di domandarsi chi sono quelli che si
occupano di dare loro divertimento e intrattenimento, quelli che entrano nelle loro abitazioni
attraverso gli schermi, quelli a cui li affidano per guidarli nel loro tempo libero. Soltanto i momenti

8.10 Page 80

▲back to top
80
che passiamo con loro, parlando con semplicità e affetto delle cose importanti, e le sane
possibilità che creiamo perché possano occupare il loro tempo permetteranno di evitare una
nociva invasione. C’è sempre bisogno di vigilanza. L’abbandono non fa mai bene. I genitori
devono orientare e preparare i bambini e gli adolescenti affinché sappiano affrontare situazioni in
cui ci possano essere, per esempio, rischi di aggressioni, di abuso o di tossicodipendenza.
261. Tuttavia l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in
cui un figlio potrebbe trovarsi a passare. Qui vale il principio per cui «il tempo è superiore allo
spazio».[291] Vale a dire, si tratta di generare processi più che dominare spazi. Se un genitore è
ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di
dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad
affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore,
processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione
dell’autentica autonomia. Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per
sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili. Pertanto il
grande interrogativo non è dove si trova fisicamente il figlio, con chi sta in questo momento, ma
dove si trova in un senso esistenziale, dove sta posizionato dal punto di vista delle sue
convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita. Per questo le domande
che faccio ai genitori sono: «Cerchiamo di capire “dove” i figli veramente sono nel loro cammino?
Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere?».[292]
262. Se la maturità fosse solo lo sviluppo di qualcosa che è già contenuto nel codice genetico, non
ci sarebbe molto da fare. La prudenza, il buon giudizio e il buon senso non dipendono da fattori
puramente quantitativi di crescita, ma da tutta una catena di elementi che si sintetizzano
nell’interiorità della persona; per essere più precisi, al centro della sua libertà. È inevitabile che
ogni figlio ci sorprenda con i progetti che scaturiscono da tale libertà, che rompa i nostri schemi,
ed è bene che ciò accada. L’educazione comporta il compito di promuovere libertà responsabili,
che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza; persone che
comprendano senza riserve che la loro vita e quella della loro comunità è nelle loro mani e che
questa libertà è un dono immenso.
La formazione etica dei figli
263. Anche se i genitori hanno bisogno della scuola per assicurare un’istruzione di base ai propri
figli, non possono mai delegare completamente la loro formazione morale. Lo sviluppo affettivo ed
etico di una persona richiede un’esperienza fondamentale: credere che i propri genitori sono degni
di fiducia. Questo costituisce una responsabilità educativa: con l’affetto e la testimonianza
generare fiducia nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto. Quando un figlio non sente più di
essere prezioso per i suoi genitori nonostante sia imperfetto, o non percepisce che loro nutrono
una preoccupazione sincera per lui, questo crea ferite profonde che causano molte difficoltà nella
sua maturazione. Questa assenza, questo abbandono affettivo, provoca un dolore più profondo di

9 Pages 81-90

▲back to top

9.1 Page 81

▲back to top
81
una eventuale correzione che potrebbe ricevere per una cattiva azione.
264. Il compito dei genitori comprende una educazione della volontà e uno sviluppo di buone
abitudini e di inclinazioni affettive a favore del bene. Questo implica che si presentino come
desiderabili comportamenti da imparare e inclinazioni da far maturare. Ma si tratta sempre di un
processo che va dall’imperfezione alla maggiore pienezza. Il desiderio di adattarsi alla società o
l’abitudine di rinunciare a una soddisfazione immediata per adattarsi a una norma e assicurarsi
una buona convivenza, è già in sé stesso un valore iniziale che crea disposizioni per elevarsi poi
verso valori più alti. La formazione morale dovrebbe realizzarsi sempre con metodi attivi e con un
dialogo educativo che coinvolga la sensibilità e il linguaggio proprio dei figli. Inoltre, questa
formazione si deve attuare in modo induttivo, in modo che il figlio possa arrivare a scoprire da sé
l’importanza di determinati valori, principi e norme, invece di imporgliele come verità indiscutibili.
265. Per agire bene non basta “giudicare in modo adeguato” o sapere con chiarezza che cosa si
deve fare, benché ciò sia prioritario. Molte volte siamo incoerenti con le nostre convinzioni
personali, persino quando esse sono solide. Per quanto la coscienza ci detti un determinato
giudizio morale, a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono, se non abbiamo acquisito
che il bene colto dalla mente si radichi in noi come profonda inclinazione affettiva, come gusto per
il bene che pesi più di altre attrattive e che ci faccia percepire che quanto abbiamo colto come
bene lo è anche “per noi” qui ed ora. Una formazione etica efficace implica il mostrare alla
persona fino a che punto convenga a lei stessa agire bene. Oggi è spesso inefficace chiedere
qualcosa che esiga sforzo e rinunce, senza mostrare chiaramente il bene che con ciò si potrebbe
raggiungere.
266. È necessario maturare delle abitudini. Anche le consuetudini acquisite da bambini hanno una
funzione positiva, permettendo che i grandi valori interiorizzati si traducano in comportamenti
esterni sani e stabili. Qualcuno può avere sentimenti socievoli e una buona disposizione verso gli
altri, ma se per molto tempo non si è abituato per l’insistenza degli adulti a dire “per favore”,
“permesso”, “grazie”, la sua buona disposizione interiore non si tradurrà facilmente in queste
espressioni. Il rafforzamento della volontà e la ripetizione di determinate azioni costruiscono la
condotta morale, e senza la ripetizione cosciente, libera e apprezzata di certi comportamenti buoni
non si porta a termine l’educazione a tale condotta. Le motivazioni, o l’attrazione che proviamo
verso un determinato valore, non diventano virtù senza questi atti adeguatamente motivati.
267. La libertà è qualcosa di grandioso, ma possiamo perderla. L’educazione morale è un
coltivare la libertà mediante proposte, motivazioni, applicazioni pratiche, stimoli, premi, esempi,
modelli, simboli, riflessioni, esortazioni, revisioni del modo di agire e dialoghi che aiutino le
persone a sviluppare quei principi interiori stabili che possono muovere a compiere
spontaneamente il bene. La virtù è una convinzione che si è trasformata in un principio interno e
stabile dell’agire. La vita virtuosa, pertanto, costruisce la libertà, la fortifica e la educa, evitando
che la persona diventi schiava di inclinazioni compulsive disumanizzanti e antisociali. Infatti la

9.2 Page 82

▲back to top
82
dignità umana stessa esige che ognuno «agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè
e determinato da convinzioni personali».[293]
Il valore della sanzione come stimolo
268. Ugualmente, è indispensabile sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda
conto che le cattive azioni hanno delle conseguenze. Occorre risvegliare la capacità di porsi nei
panni dell’altro e di pentirsi per la sua sofferenza quando gli si è fatto del male. Alcune sanzioni –
ai comportamenti antisociali aggressivi – possono conseguire in parte questa finalità. È importante
orientare il bambino con fermezza a chiedere perdono e a riparare il danno causato agli altri.
Quando il percorso educativo mostra i suoi frutti in una maturazione della libertà personale, il figlio
stesso a un certo punto inizierà a riconoscere con gratitudine che è stato un bene per lui crescere
in una famiglia e anche sopportare le esigenze imposte da tutto il processo formativo.
269. La correzione è uno stimolo quando al tempo stesso si apprezzano e si riconoscono gli sforzi
e quando il figlio scopre che i suoi genitori mantengono viva una paziente fiducia. Un bambino
corretto con amore si sente considerato, percepisce che è qualcuno, avverte che i suoi genitori
riconoscono le sue potenzialità. Questo non richiede che i genitori siano immacolati, ma che
sappiano riconoscere con umiltà i propri limiti e mostrino il loro personale sforzo di essere migliori.
Ma una testimonianza di cui i figli hanno bisogno da parte dei genitori è che non si lascino
trasportare dall’ira. Il figlio che commette una cattiva azione, deve essere corretto, ma mai come
un nemico o come uno su cui si scarica la propria aggressività. Inoltre un adulto deve riconoscere
che alcune azioni cattive sono legate alle fragilità e ai limiti propri dell’età. Per questo sarebbe
nocivo un atteggiamento costantemente sanzionatorio, che non aiuterebbe a percepire la
differente gravità delle azioni e provocherebbe scoraggiamento e irritazione: «Padri, non
esasperate i vostri figli» (Ef 6,4; cfr Col 3,21).
270. La cosa fondamentale è che la disciplina non si tramuti in una mutilazione del desiderio, ma
in uno stimolo per andare sempre oltre. Come integrare disciplina e dinamismo interiore? Come
far sì che la disciplina sia un limite costruttivo del cammino che deve intraprendere un bambino e
non un muro che lo annulli o una dimensione dell’educazione che lo inibisca? Bisogna saper
trovare un equilibrio tra due estremi ugualmente nocivi: uno sarebbe pretendere di costruire un
mondo a misura dei desideri del figlio, che cresce sentendosi soggetto di diritti ma non di
responsabilità. L’altro estremo sarebbe portarlo a vivere senza consapevolezza della sua dignità,
della sua identità singolare e dei suoi diritti, torturato dai doveri e sottomesso a realizzare i
desideri altrui.
Paziente realismo
271. L’educazione morale implica chiedere a un bambino o a un giovane solo quelle cose che non
rappresentino per lui un sacrificio sproporzionato, esigere solo quella dose di sforzo che non

9.3 Page 83

▲back to top
83
provochi risentimento o azioni puramente forzate. Il percorso ordinario è proporre piccoli passi che
possano essere compresi, accettati e apprezzati, e comportino una rinuncia proporzionata.
Diversamente, per chiedere troppo, non si ottiene nulla. La persona, appena potrà liberarsi
dell’autorità, probabilmente smetterà di agire bene.
272. La formazione etica a volte provoca disprezzo dovuto a esperienze di abbandono, di
delusione, di carenza affettiva, o ad una cattiva immagine dei genitori. Si proiettano sui valori etici
le immagini distorte delle figure del padre e della madre, o le debolezze degli adulti. Per questo
bisogna aiutare gli adolescenti a mettere in pratica l’analogia: i valori sono compiuti
particolarmente da alcune persone molto esemplari, ma si realizzano anche in modo imperfetto e
in diversi gradi. Nello stesso tempo, poiché le resistenze dei giovani sono molto legate a
esperienze negative, bisogna aiutarli a percorrere una via di guarigione di questo mondo interiore
ferito, così che possano accedere alla comprensione e alla riconciliazione con le persone e con la
società.
273. Quando si propongono i valori, bisogna procedere a poco a poco, progredire in modi diversi a
seconda dell’età e delle possibilità concrete delle persone, senza pretendere di applicare
metodologie rigide e immutabili. I contributi preziosi della psicologia e delle scienze
dell’educazione mostrano che occorre un processo graduale nell’acquisizione di cambiamenti di
comportamento, ma anche che la libertà ha bisogno di essere incanalata e stimolata, perché
abbandonata a sé stessa non può garantire la propria maturazione. La libertà situata, reale, è
limitata e condizionata. Non è una pura capacità di scegliere il bene con totale spontaneità. Non
sempre si distingue adeguatamente tra atto “volontario” e atto “libero”. Qualcuno può volere
qualcosa di malvagio con una grande forza di volontà, ma a causa di una passione irresistibile o di
una cattiva educazione. In tal caso, la sua decisione è fortemente volontaria, non contraddice
l’inclinazione del suo volere, ma non è libera, perché le risulta quasi impossibile non scegliere quel
male. È ciò che accade con un dipendente compulsivo dalla droga. Quando la desidera lo fa con
tutte le sue forze, ma è talmente condizionato che per il momento non è capace di prendere una
decisione diversa. Pertanto la sua decisione è volontaria, ma non libera. Non ha senso “lasciare
che scelga con libertà”, poiché di fatto non può scegliere, ed esporlo alla droga non fa altro che
aumentare la dipendenza. Ha bisogno dell’aiuto degli altri e di un percorso educativo.
La vita familiare come contesto educativo
274. La famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove si impara il buon uso della libertà. Ci
sono inclinazioni maturate nell’infanzia che impregnano il profondo di una persona e permangono
per tutta la vita come un’emozione favorevole nei confronti di un valore o come un rifiuto
spontaneo di determinati comportamenti. Molte persone agiscono per tutta la vita in una certa
maniera perché considerano valido quel modo di agire che hanno assimilato dall’infanzia, come
per osmosi: “A me hanno insegnato così”; “questo è ciò che mi hanno inculcato”. Nell’ambito
familiare si può anche imparare a discernere in modo critico i messaggi dei vari mezzi di

9.4 Page 84

▲back to top
84
comunicazione. Purtroppo, molte volte alcuni programmi televisivi o alcune forme di pubblicità
incidono negativamente e indeboliscono valori ricevuti nella vita familiare.
275. Nell’epoca attuale, in cui regnano l’ansietà e la fretta tecnologica, compito importantissimo
delle famiglie è educare alla capacità di attendere. Non si tratta di proibire ai ragazzi di giocare
con i dispositivi elettronici, ma di trovare il modo di generare in loro la capacità di differenziare le
diverse logiche e di non applicare la velocità digitale a ogni ambito della vita. Rimandare non è
negare il desiderio, ma differire la sua soddisfazione. Quando i bambini o gli adolescenti non sono
educati ad accettare che alcune cose devono aspettare, diventano prepotenti, sottomettono tutto
alla soddisfazione delle proprie necessità immediate e crescono con il vizio del “tutto e subito”.
Questo è un grande inganno che non favorisce la libertà, ma la intossica. Invece, quando si educa
ad imparare a posporre alcune cose e ad aspettare il momento adatto, si insegna che cosa
significa essere padrone di sé stesso, autonomo davanti ai propri impulsi. Così, quando il bambino
sperimenta che può farsi carico di sé stesso, arricchisce la propria autostima. Al tempo stesso,
questo gli insegna a rispettare la libertà degli altri. Naturalmente ciò non significa pretendere dai
bambini che agiscano come adulti, ma nemmeno bisogna disprezzare la loro capacità di crescere
nella maturazione di una libertà responsabile. In una famiglia sana, questo apprendistato si attua
in maniera ordinaria attraverso le esigenze della convivenza.
276. La famiglia è l’ambito della socializzazione primaria, perché è il primo luogo in cui si impara a
collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare, a rispettare, ad aiutare, a
convivere. Il compito educativo deve suscitare il sentimento del mondo e della società come
“ambiente familiare”, è un’educazione al saper “abitare”, oltre i limiti della propria casa. Nel
contesto familiare si insegna a recuperare la prossimità, il prendersi cura, il saluto. Lì si rompe il
primo cerchio del mortale egoismo per riconoscere che viviamo insieme ad altri, con altri, che
sono degni della nostra attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto. Non c’è legame
sociale senza questa prima dimensione quotidiana, quasi microscopica: lo stare insieme nella
prossimità, incrociandoci in diversi momenti della giornata, preoccupandoci di quello che interessa
tutti, soccorrendoci a vicenda nelle piccole cose quotidiane. La famiglia deve inventare ogni giorno
nuovi modi di promuovere il riconoscimento reciproco.
277. Nell’ambiente familiare si possono anche reimpostare le abitudini di consumo per provvedere
insieme alla casa comune: «La famiglia è il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché
è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana
sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità».[294] Ugualmente, i momenti difficili
e duri della vita familiare possono essere molto educativi. È ciò che accade, per esempio, quando
sopraggiunge una malattia, perché «di fronte alla malattia, anche in famiglia sorgono difficoltà, a
causa della debolezza umana. Ma, in genere, il tempo della malattia fa crescere la forza dei
legami familiari. […] Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana,
inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano “anestetizzati” verso la sofferenza altrui, incapaci di
confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite».[295]

9.5 Page 85

▲back to top
85
278. L’incontro educativo tra genitori e figli può essere facilitato o compromesso dalle tecnologie
della comunicazione e del divertimento, sempre più sofisticate. Quando sono ben utilizzate
possono essere utili per collegare i membri della famiglia malgrado la distanza. I contatti possono
essere frequenti e aiutare a risolvere difficoltà.[296] Deve però essere chiaro che non
sostituiscono né rimpiazzano la necessità del dialogo più personale e profondo che richiede il
contatto fisico, o almeno, la voce dell’altra persona. Sappiamo che a volte questi mezzi
allontanano invece di avvicinare, come quando nell’ora del pasto ognuno è concentrato sul suo
telefono mobile, o come quando uno dei coniugi si addormenta aspettando l’altro, che passa ore
alle prese con qualche dispositivo elettronico. In famiglia, anche questo dev’essere motivo di
dialogo e di accordi, che permettano di dare priorità all’incontro dei suoi membri senza cadere in
divieti insensati. Comunque, non si possono ignorare i rischi delle nuove forme di comunicazione
per i bambini e gli adolescenti, che a volte ne sono resi abulici, scollegati dal mondo reale. Questo
“autismo tecnologico” li espone più facilmente alla manipolazione di quanti cercano di entrare nella
loro intimità con interessi egoistici.
279. Non è bene neppure che i genitori diventino esseri onnipotenti per i propri figli, che
potrebbero aver fiducia solo in loro, perché così impediscono un adeguato processo di
socializzazione e di maturazione affettiva. Per rendere efficace il prolungamento della paternità e
della maternità verso una realtà più ampia, «le comunità cristiane sono chiamate ad offrire
sostegno alla missione educativa delle famiglie»,[297] in modo particolare attraverso la catechesi
di iniziazione. Per favorire un’educazione integrale abbiamo bisogno di «ravvivare l’alleanza tra la
famiglie e la comunità cristiana».[298] Il Sinodo ha voluto evidenziare l’importanza delle scuole
cattoliche, che «svolgono una funzione vitale nell’assistere i genitori nel loro dovere di educare i
figli. […] Le scuole cattoliche dovrebbero essere incoraggiate nella loro missione di aiutare gli
alunni a crescere come adulti maturi che possono vedere il mondo attraverso lo sguardo di amore
di Gesù e che comprendono la vita come una chiamata a servire Dio».[299] In tal senso, «vanno
affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto
all’obiezione di coscienza da parte degli educatori».[300]
Sì all’educazione sessuale
280. Il Concilio Vaticano II prospettava la necessità di «una positiva e prudente educazione
sessuale» che raggiungesse i bambini e gli adolescenti «man mano che cresce la loro età» e
«tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica».[301] Dovremmo
domandarci se le nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida. È difficile pensare
l’educazione sessuale in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità. Si
potrebbe intenderla solo nel quadro di una educazione all’amore, alla reciproca donazione. In tal
modo il linguaggio della sessualità non si vede tristemente impoverito, ma illuminato. L’impulso
sessuale può essere coltivato in un percorso di conoscenza di sé e nello sviluppo di una capacità
di dominio di sé, che possano aiutare a far emergere capacità preziose di gioia e di incontro
amoroso.

9.6 Page 86

▲back to top
86
281. L’educazione sessuale offre informazione, ma senza dimenticare che i bambini e i giovani
non hanno raggiunto una maturità piena. L’informazione deve arrivare nel momento appropriato e
in un modo adatto alla fase che vivono. Non serve riempirli di dati senza lo sviluppo di un senso
critico davanti a una invasione di proposte, davanti alla pornografia senza controllo e al
sovraccarico di stimoli che possono mutilare la sessualità. I giovani devono potersi rendere conto
che sono bombardati da messaggi che non cercano il loro bene e la loro maturità. Occorre aiutarli
a riconoscere e a cercare le influenze positive, nel tempo stesso in cui prendono le distanze da
tutto ciò che deforma la loro capacità di amare. Ugualmente, dobbiamo accettare che «il bisogno
di un nuovo e più adeguato linguaggio si presenta innanzitutto nel momento di introdurre i bambini
e gli adolescenti al tema della sessualità».[302]
282. Un’educazione sessuale che custodisca un sano pudore ha un valore immenso, anche se
oggi alcuni ritengono che sia una cosa di altri tempi. È una difesa naturale della persona che
protegge la propria interiorità ed evita di trasformarsi in un puro oggetto. Senza il pudore,
possiamo ridurre l’affetto e la sessualità a ossessioni che ci concentrano solo sulla genitalità, su
morbosità che deformano la nostra capacità di amare e su diverse forme di violenza sessuale che
ci portano ad essere trattati in modo inumano o a danneggiare gli altri.
283. Frequentemente l’educazione sessuale si concentra sull’invito a “proteggersi”, cercando un
“sesso sicuro”. Queste espressioni trasmettono un atteggiamento negativo verso la naturale
finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi
proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza. È irresponsabile
ogni invito agli adolescenti a giocare con i loro corpi e i loro desideri, come se avessero la
maturità, i valori, l’impegno reciproco e gli obiettivi propri del matrimonio. Così li si incoraggia
allegramente ad utilizzare l’altra persona come oggetto di esperienze per compensare carenze e
grandi limiti. E’ importante invece insegnare un percorso sulle diverse espressioni dell’amore, sulla
cura reciproca, sulla tenerezza rispettosa, sulla comunicazione ricca di senso. Tutto questo, infatti,
prepara ad un dono di sé integro e generoso che si esprimerà, dopo un impegno pubblico,
nell’offerta dei corpi. L’unione sessuale nel matrimonio apparirà così come segno di un impegno
totalizzante, arricchito da tutto il cammino precedente.
284. Non bisogna ingannare i giovani portandoli a confondere i piani: l’attrazione «crea, sul
momento, un’illusione di unione, eppure senza amore questa “unione” lascia due esseri estranei e
divisi come prima».[303] Il linguaggio del corpo richiede il paziente apprendistato che permette di
interpretare ed educare i propri desideri per donarsi veramente. Quando si pretende di donare
tutto in un colpo è possibile che non si doni nulla. Una cosa è comprendere le fragilità dell’età o le
sue confusioni, altra cosa è incoraggiare gli adolescenti a prolungare l’immaturità del loro modo di
amare. Ma chi parla oggi di queste cose? Chi è capace di prendere sul serio i giovani? Chi li aiuta
a prepararsi seriamente per un amore grande e generoso? Si prende troppo alla leggera
l’educazione sessuale.

9.7 Page 87

▲back to top
87
285. L’educazione sessuale dovrebbe comprendere anche il rispetto e la stima della differenza,
che mostra a ciascuno la possibilità di superare la chiusura nei propri limiti per aprirsi
all’accettazione dell’altro. Al di là delle comprensibili difficoltà che ognuno possa vivere, occorre
aiutare ad accettare il proprio corpo così come è stato creato, perché «una logica di dominio sul
proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato […] Anche apprezzare
il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi
nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico
dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente».[304] Solo abbandonando
la paura verso la differenza si può giungere a liberarsi dall’immanenza del proprio essere e dal
fascino per sé stessi. L’educazione sessuale deve aiutare ad accettare il proprio corpo, in modo
che la persona non pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi
con essa».[305]
286. Non si può nemmeno ignorare che nella configurazione del proprio modo di essere,
femminile o maschile, non confluiscono solamente fattori biologici o genetici, ma anche molteplici
elementi relativi al temperamento, alla storia familiare, alla cultura, alle esperienze vissute, alla
formazione ricevuta, alle influenze di amici, familiari e persone ammirate, e ad altre circostanze
concrete che esigono uno sforzo di adattamento. È vero che non possiamo separare ciò che è
maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed
esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare. Però è anche vero che il
maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido. Perciò è possibile, ad esempio, che il modo di
essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie.
Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno
maschile, né significano un fallimento, un cedimento o una vergogna. Bisogna aiutare i bambini ad
accettare come normali questi sani “interscambi”, che non tolgono alcuna dignità alla figura
paterna. La rigidità diventa una esagerazione del maschile o del femminile, e non educa i bambini
e i giovani alla reciprocità incarnata nelle condizioni reali del matrimonio. Questa rigidità, a sua
volta, può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare
come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida.
Questo, grazie a Dio, è cambiato, ma in alcuni luoghi certe concezioni inadeguate continuano a
condizionare la legittima libertà e a mutilare l’autentico sviluppo dell’identità concreta dei figli e
delle loro potenzialità.
Trasmettere la fede
287. L’educazione dei figli dev’essere caratterizzata da un percorso di trasmissione della fede, che
è reso difficile dallo stile di vita attuale, dagli orari di lavoro, dalla complessità del mondo di oggi, in
cui molti, per sopravvivere, sostengono ritmi frenetici.[306] Ciò nonostante, la famiglia deve
continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a
pregare e a servire il prossimo. Questo inizia con il Battesimo, nel quale, come diceva
sant’Agostino, le madri che portano i propri figli «cooperano al parto santo».[307] Poi inizia il

9.8 Page 88

▲back to top
88
cammino della crescita di quella vita nuova. La fede è dono di Dio, ricevuto nel Battesimo, e non è
il risultato di un’azione umana, però i genitori sono strumento di Dio per la sua maturazione e il
suo sviluppo. Perciò «è bello quando le mamme insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a
Gesù o alla Vergine. Quanta tenerezza c’è in quel gesto! In quel momento il cuore dei bambini si
trasforma in spazio di preghiera».[308] La trasmissione della fede presuppone che i genitori
vivano l’esperienza reale di avere fiducia in Dio, di cercarlo, di averne bisogno, perché solo in
questo modo «una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese» (Sal 144,4) e
«il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà» (Is 38,19). Questo richiede che invochiamo l’azione
di Dio nei cuori, là dove non possiamo arrivare. Il granello di senape, seme tanto piccolo, diventa
un grande arbusto (cfr Mt 13,31-32), e così riconosciamo la sproporzione tra l’azione e il suo
effetto. Allora sappiamo che non siamo padroni del dono ma suoi amministratori premurosi.
Tuttavia il nostro impegno creativo è un contributo che ci permette di collaborare con l’iniziativa di
Dio. Pertanto, «si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della
catechesi […]. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i
giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria
famiglia».[309]
288. L’educazione alla fede sa adattarsi a ciascun figlio, perché gli strumenti già imparati o le
ricette a volte non funzionano. I bambini hanno bisogno di simboli, di gesti, di racconti. Gli
adolescenti solitamente entrano in crisi con l’autorità e con le norme, per cui conviene stimolare le
loro personali esperienze di fede e offrire loro testimonianze luminose che si impongano per la
loro stessa bellezza. I genitori che vogliono accompagnare la fede dei propri figli sono attenti ai
loro cambiamenti, perché sanno che l’esperienza spirituale non si impone ma si propone alla loro
libertà. È fondamentale che i figli vedano in maniera concreta che per i loro genitori la preghiera è
realmente importante. Per questo i momenti di preghiera in famiglia e le espressioni della pietà
popolare possono avere maggior forza evangelizzatrice di tutte le catechesi e tutti i discorsi.
Desidero esprimere in modo speciale la mia gratitudine a tutte le madri che pregano
incessantemente, come faceva santa Monica, per i figli che si sono allontanati da Cristo.
289. L’esercizio di trasmettere ai figli la fede, nel senso di facilitare la sua espressione e la sua
crescita, permette che la famiglia diventi evangelizzatrice, e che spontaneamente inizi a
trasmetterla a tutti coloro che le si accostano, anche al di fuori dello stesso ambiente familiare. I
figli che crescono in famiglie missionarie spesso diventano missionari, se i genitori sanno vivere
questo compito in modo tale che gli altri li sentano vicini e amichevoli, e così che i figli crescano in
questo stile di relazione con il mondo, senza rinunciare alla propria fede e alle proprie convinzioni.
Ricordiamo che Gesù stesso mangiava e beveva con i peccatori (cfr Mc 2,16; Mt 11,19), poteva
fermarsi a conversare con la samaritana (cfr Gv 4,7-26), e ricevere Nicodemo di notte (cfr Gv 3,1-
21), si lasciava ungere i piedi da una donna prostituta (cfr Lc 7,36-50), e non esitava a toccare i
malati (cfr Mc 1,40-45; 7,33). Lo stesso facevano i suoi apostoli, che non erano persone
sprezzanti verso gli altri, reclusi in piccoli gruppi di eletti, isolati dalla vita della gente. Mentre le
autorità li perseguitavano, loro godevano della simpatia di tutto il popolo (cfr At 2,47; 4,21.33;

9.9 Page 89

▲back to top
89
5,13).
290. «La famiglia si costituisce così come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio
esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la solidarietà verso i poveri,
l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e materiale
verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene
comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire dal territorio nel
quale essa vive, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale».[310] Ciò va collocato
nel quadro della convinzione più preziosa dei cristiani: l’amore del Padre che ci sostiene e ci fa
crescere, manifestato nel dono totale di Gesù, vivo tra noi, che ci rende capaci di affrontare uniti
tutte le tempeste e tutte le fasi della vita. Anche nel cuore di ogni famiglia bisogna far risuonare il
kerygma, in ogni occasione opportuna e non opportuna, perché illumini il cammino. Tutti
dovremmo poter dire, a partire dal vissuto nelle nostre famiglie: «Noi abbiamo creduto all’amore
che Dio ha per noi» (1 Gv 4,16). Solo a partire da questa esperienza, la pastorale familiare potrà
ottenere che le famiglie siano al tempo stesso Chiese domestiche e fermento evangelizzatore
nella società.
CAPITOLO OTTAVO
ACCOMPAGNARE, DISCERNERE E INTEGRARE LA FRAGILITÀ
291. I Padri sinodali hanno affermato che, nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del
vincolo matrimoniale «è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi
figli».[311] Illuminata dallo sguardo di Cristo, «la Chiesa si volge con amore a coloro che
partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle
loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro
ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano».[312] D’altra parte, questo
atteggiamento risulta rafforzato nel contesto di un Anno Giubilare dedicato alla misericordia.
Benché sempre proponga la perfezione e inviti a una risposta più piena a Dio, «la Chiesa deve
accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito,
ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo
alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla
tempesta».[313] Non dimentichiamo che spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un
ospedale da campo.
292. Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente
nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella
libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati
dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di

9.10 Page 90

▲back to top
90
vita nuova per la società. Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre
alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. I Padri sinodali hanno affermato che la
Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono
ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio.[314]
La gradualità nella pastorale
293. I Padri hanno anche considerato la situazione particolare di un matrimonio solo civile o, fatte
salve le differenze, persino di una semplice convivenza in cui, «quando l’unione raggiunge una
notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità
nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da
accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio».[315] D’altra parte è
preoccupante che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e convivano rinviando
indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono fine all’impegno assunto e
immediatamente ne instaurano uno nuovo. Coloro «che fanno parte della Chiesa hanno bisogno
di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante».[316] Infatti, ai Pastori compete non
solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche «il discernimento pastorale delle situazioni
di tanti che non vivono più questa realtà», per «entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine
di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al
Vangelo del matrimonio nella sua pienezza».[317] Nel discernimento pastorale conviene
«identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e
spirituale».[318]
294. «La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso
non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni
culturali o contingenti».[319] In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni di amore
che in qualche modo riflettono l’amore di Dio.[320] Sappiamo che «è in continua crescita il numero
di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del
matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale
contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale
(lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il
rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito
come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di
fatto».[321] Comunque, «tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando
di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla
luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza».[322] È
quello che ha fatto Gesù con la samaritana (cfr Gv 4,1-26): rivolse una parola al suo desiderio di
amore vero, per liberarla da tutto ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del
Vangelo.
295. In questa linea, san Giovanni Paolo II proponeva la cosiddetta “legge della gradualità”, nella

10 Pages 91-100

▲back to top

10.1 Page 91

▲back to top
91
consapevolezza che l’essere umano «conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di
crescita».[323] Non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale
degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare
pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché anche la legge è dono di Dio che indica la
strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia, anche se ogni
essere umano «avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle
esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo».[324]
Il discernimento delle situazioni dette “irregolari” [325]
296. Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di imperfezione. Al riguardo, desidero
qui ricordare ciò che ho voluto prospettare con chiarezza a tutta la Chiesa perché non ci capiti di
sbagliare strada: «due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare
[…]. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della
misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare
eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con
cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!».[326]
Pertanto, «sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse
situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo
della loro condizione».[327]
297. Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla
comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e
gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del
Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque
situazione si trovino. Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse
parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa,
non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa
dalla comunità (cfr Mt 18,17). Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e
l’invito alla conversione. Ma perfino per questa persona può esserci qualche maniera di
partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di preghiera, o secondo quello
che la sua personale iniziativa, insieme al discernimento del Pastore, può suggerire. Riguardo al
modo di trattare le diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno raggiunto un
consenso generale, che sostengo: «In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che
hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono,
compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a
raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro»,[328] sempre possibile con la forza dello Spirito
Santo.
298. I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto
diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare

10.2 Page 92

▲back to top
92
spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione
consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano,
consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza
sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo
e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare
l’obbligo della separazione».[329] C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare
il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di «coloro che hanno contratto
una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in
coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».[330]
Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze
di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che
ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale
che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. I Padri sinodali hanno affermato che il
discernimento dei Pastori deve sempre farsi «distinguendo adeguatamente»,[331] con uno
sguardo che discerna bene le situazioni.[332] Sappiamo che non esistono «semplici ricette».[333]
299. Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che «i
battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità
cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione
è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono
al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono
battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti.
La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali
delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e
istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma
possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li
accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del
Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli,
che debbono essere considerati i più importanti».[334]
300. Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo
sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa
Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile
soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei
casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché «il grado di responsabilità non è uguale in
tutti i casi»,[335]le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere
sempre gli stessi.[336] I presbiteri hanno il compito di «accompagnare le persone interessate sulla
via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In
questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di
pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli
quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la

10.3 Page 93

▲back to top
93
situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della
famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al
matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non
viene negata a nessuno».[337] Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento
che «orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col
sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la
possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e
farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr Familiaris consortio, 34), questo
discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte
dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà,
riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e
nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa».[338] Questi atteggiamenti sono
fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote
possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi
sacramentali in cambio di favori. Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non
pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che
sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato
discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale.
Le circostanze attenuanti nel discernimento pastorale
301. Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento
speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere
conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa
possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non
è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare”
vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono
semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la
norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si
può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere
altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono
esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino
riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene
qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non
manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù
trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli
atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».[342]
302. Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera
decisiva: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate
dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e

10.4 Page 94

▲back to top
94
da altri fattori psichici oppure sociali».[343] In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a
circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza,
l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o
sociali.[344] Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un
giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta.[345] Nel contesto di queste
convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali:
«In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il
discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone,
deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono
necessariamente le stesse in tutti i casi».[346]
303. A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che
la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune
situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente
bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal
discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella
grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde
obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà
ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa
sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla
complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso,
ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di
crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.
Le norme e il discernimento
304. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una
legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena
fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo
sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento
pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose
particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità
o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso
quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente
conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel
particolare».[347] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai
disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente
tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò
che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere
elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma
metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.[348]

10.5 Page 95

▲back to top
95
305. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che
vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone.
È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa
«per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi
difficili e le famiglie ferite».[349]In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione
Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme
già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione
oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione».[350] A causa dei
condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato
– che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia
di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale
scopo l’aiuto della Chiesa.[351] Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di
risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte
chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno
gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più
gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare
importanti difficoltà».[352] La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di
fare propria questa realtà.
306. In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge
divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei
cristiani (cfr Gv 15,12; Gal 5,14). Non dimentichiamo la promessa delle Scritture: «Soprattutto
conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8);
«sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti» (Dn
4,24); «l’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati» (Sir 3,30). È anche ciò
che insegna sant’Agostino: «Come dunque se fossimo in pericolo per un incendio correremmo per
prima cosa in cerca dell’acqua, con cui poter spegnere l’incendio, […] ugualmente, se qualche
fiamma di peccato si è sprigionata dal fieno delle nostre passioni e perciò siamo scossi,
rallegriamoci dell’opportunità che ci viene data di fare un’opera di vera misericordia, come se ci
fosse offerta la fontana da cui prender l’acqua per spegnere l’incendio che si era acceso».[353]
La logica della misericordia pastorale
307. Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve
rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza: «I
giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di
amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo
e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa».[354] La tiepidezza, qualsiasi
forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di
fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi.
Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né

10.6 Page 96

▲back to top
96
proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei
fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.
308. Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche,
storiche e anche biologiche – ne segue che «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico,
bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone
che si vanno costruendo giorno per giorno», lasciando spazio alla «misericordia del Signore che ci
stimola a fare il bene possibile».[355] Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida
che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa
attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in
cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché
corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada».[356] I Pastori che propongono ai fedeli
l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica
della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e
impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr Mt 7,1; Lc 6,37).
Gesù «aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di
mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in
contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo
facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente».[357]
309. È provvidenziale che queste riflessioni si sviluppino nel contesto di un Anno Giubilare
dedicato alla misericordia, perché anche davanti alle più diverse situazioni che interessano la
famiglia, «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del
Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di
Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere
nessuno».[358] Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di
novantanove. Le vuole tutte. A partire da questa consapevolezza, si renderà possibile che «a tutti,
credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già
presente in mezzo a noi».[359]
310. Non possiamo dimenticare che «la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il
criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia,
perché a noi per primi è stata usata misericordia».[360] Non è una proposta romantica o una
risposta debole davanti all’amore di Dio, che sempre vuole promuovere le persone, poiché
«l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale
dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e
della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia».[361] È vero che a volte
«ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una
dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».[362]
311. L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste

10.7 Page 97

▲back to top
97
considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale
della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i
valori più alti e centrali del Vangelo,[363] particolarmente il primato della carità come risposta
all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio. A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore
incondizionato di Dio.[364] Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso
concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo. È vero, per
esempio, che la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la
misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio.
Pertanto, conviene sempre considerare «inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima
analisi metta in dubbio l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia».[365]
312. Questo ci fornisce un quadro e un clima che ci impedisce di sviluppare una morale fredda da
scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un discernimento
pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad
accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare. Questa è la logica che deve prevalere nella
Chiesa, per «fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie
esistenziali».[366] Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia
a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in
essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce
che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un
cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il
desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di
vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa.
CAPITOLO NONO
SPIRITUALITÀ CONIUGALE E FAMILIARE
313. La carità assume diverse sfumature, a seconda dello stato di vita a cui ciascuno è stato
chiamato. Già alcuni decenni fa, il Concilio Vaticano II, a proposito dell’apostolato dei laici,
metteva in risalto la spiritualità che scaturisce dalla vita familiare. Affermava che la spiritualità dei
laici «deve assumere una sua fisionomia particolare» anche dallo «stato del matrimonio e della
famiglia»[367] e che le preoccupazioni familiari non devono essere qualcosa di estraneo al loro
stile di vita spirituale.[368] Pertanto vale la pena di fermarci brevemente a descrivere alcune
caratteristiche fondamentali di questa spiritualità specifica che si sviluppa nel dinamismo delle
relazioni della vita familiare.
Spiritualità della comunione soprannaturale

10.8 Page 98

▲back to top
98
314. Abbiamo sempre parlato della inabitazione di Dio nel cuore della persona che vive nella sua
grazia. Oggi possiamo dire anche che la Trinità è presente nel tempio della comunione
matrimoniale. Così come abita nelle lodi del suo popolo (cfr Sal 22,4), vive intimamente nell’amore
coniugale che le dà gloria.
315. La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze,
lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani. Quando si vive in famiglia, lì è difficile fingere e mentire,
non possiamo mostrare una maschera. Se l’amore anima questa autenticità, il Signore vi regna
con la sua gioia e la sua pace. La spiritualità dell’amore familiare è fatta di migliaia di gesti reali e
concreti. In questa varietà di doni e di incontri che fanno maturare la comunione, Dio ha la propria
dimora. Questa dedizione unisce «valori umani e divini»,[369] perché è piena dell’amore di Dio. In
definitiva, la spiritualità matrimoniale è una spiritualità del vincolo abitato dall’amore divino.
316. Una comunione familiare vissuta bene è un vero cammino di santificazione nella vita
ordinaria e di crescita mistica, un mezzo per l’unione intima con Dio. Infatti i bisogni fraterni e
comunitari della vita familiare sono un’occasione per aprire sempre più il cuore, e questo rende
possibile un incontro con il Signore sempre più pieno. La Parola di Dio dice che «chi odia il suo
fratello cammina nelle tenebre» (1 Gv 2,11), «rimane nella morte» (1 Gv 3,14) e «non ha
conosciuto Dio» (1 Gv 4,8). Il mio predecessore Benedetto XVI ha detto che «chiudere gli occhi di
fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio»,[370] e che l’amore è in fondo l’unica luce
che «rischiara sempre di nuovo un mondo buio».[371] Solo «se ci amiamo gli uni gli altri, Dio
rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1 Gv 4,12). Dato che «la persona umana ha una
nativa e strutturale dimensione sociale»[372] e «la prima e originaria espressione della
dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia»,[373] la spiritualità si incarna nella
comunione familiare. Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire
che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il
Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica.
Uniti in preghiera alla luce della Pasqua
317. Se la famiglia riesce a concentrarsi in Cristo, Egli unifica e illumina tutta la vita familiare. I
dolori e i problemi si sperimentano in comunione con la Croce del Signore, e l’abbraccio con Lui
permette di sopportare i momenti peggiori. Nei giorni amari della famiglia c’è una unione con Gesù
abbandonato che può evitare una rottura. Le famiglie raggiungono a poco a poco, «con la grazia
dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, anche partecipando al mistero
della croce di Cristo, che trasforma le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore».[374] D’altra
parte, i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una
partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione. I coniugi danno forma con vari gesti
quotidiani a questo «spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore
risorto».[375]

10.9 Page 99

▲back to top
99
318. La preghiera in famiglia è un mezzo privilegiato per esprimere e rafforzare questa fede
pasquale.[376] Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo,
dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta
passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose
buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici,
questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia. Le diverse espressioni della
pietà popolare sono un tesoro di spiritualità per molte famiglie. Il cammino comunitario di
preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel
contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la
Cena eucaristica (cfr Ap 3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha
uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce.[377] L’Eucaristia è il
sacramento della Nuova Alleanza in cui si attualizza l’azione redentrice di Cristo (cfr Lc 22,20).
Così si notano i legami profondi che esistono tra la vita coniugale e l’Eucaristia.[378] Il nutrimento
dell’Eucaristia è forza e stimolo per vivere ogni giorno l’alleanza matrimoniale come «Chiesa
domestica».[379]
Spiritualità dell’amore esclusivo e libero
319. Nel matrimonio si vive anche il senso di appartenere completamente a una sola persona. Gli
sposi assumono la sfida e l’anelito di invecchiare e consumarsi insieme e così riflettono la fedeltà
di Dio. Questa ferma decisione, che segna uno stile di vita, è una «esigenza interiore del patto
d’amore coniugale»,[380] perché «colui che non si decide ad amare per sempre, è difficile che
possa amare sinceramente un solo giorno».[381] Ma questo non avrebbe significato spirituale se
si trattasse solo di una legge vissuta con rassegnazione. E’ un’appartenenza del cuore, là dove
solo Dio vede (cfr Mt 5,28). Ogni mattina quando ci si alza, si rinnova davanti a Dio questa
decisione di fedeltà, accada quel che accada durante la giornata. E ciascuno, quando va a
dormire, aspetta di alzarsi per continuare questa avventura, confidando nell’aiuto del Signore.
Così, ogni coniuge è per l’altro segno e strumento della vicinanza del Signore, che non ci lascia
soli: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
320. C’è un punto in cui l’amore della coppia raggiunge la massima liberazione e diventa uno
spazio di sana autonomia: quando ognuno scopre che l’altro non è suo, ma ha un proprietario
molto più importante, il suo unico Signore. Nessuno può pretendere di possedere l’intimità più
personale e segreta della persona amata e solo Lui può occupare il centro della sua vita. Nello
stesso tempo, il principio del realismo spirituale fa sì che il coniuge non pretenda che l’altro
soddisfi completamente le sue esigenze. E’ necessario che il cammino spirituale di ciascuno –
come indicava bene Dietrich Bonhoeffer – lo aiuti a “disilludersi” dell’altro,[382] a smettere di
attendere da quella persona ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio. Questo richiede una
spogliazione interiore. Lo spazio esclusivo che ciascuno dei coniugi riserva al suo rapporto
personale con Dio, non solo permette di sanare le ferite della convivenza, ma anche di trovare
nell’amore di Dio il senso della propria esistenza. Abbiamo bisogno di invocare ogni giorno

10.10 Page 100

▲back to top
100
l’azione dello Spirito perché questa libertà interiore sia possibile.
Spiritualità della cura, della consolazione e dello stimolo
321. «I coniugi cristiani sono cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro, nei
confronti dei figli e di tutti gli altri familiari».[383] Dio li invita a generare e a prendersi cura. Ecco
perché la famiglia «è sempre stata il più vicino “ospedale”».[384] Prendiamoci cura, sosteniamoci
e stimoliamoci vicendevolmente, e viviamo tutto ciò come parte della nostra spiritualità familiare.
La vita di coppia è una partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una
permanente provocazione dello Spirito. L’amore di Dio si esprime «attraverso le parole vive e
concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale».[385] Così i due sono tra
loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio.
Pertanto, «voler formare una famiglia è avere il coraggio di far parte del sogno di Dio, il coraggio di
sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di
costruire un mondo dove nessuno si senta solo».[386]
322. Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive
nella vita dell’altro: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori [...] non con
inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (2 Cor 3,2-3). Ognuno è un «pescatore di uomini»
(Lc 5,10) che nel nome di Gesù getta le reti (cfr Lc 5,5) verso gli altri, o un contadino che lavora in
quella terra fresca che sono i suoi cari, stimolando il meglio di loro. La fecondità matrimoniale
comporta la promozione, perché «amare una persona è attendere da essa qualcosa di indefinibile,
di imprevedibile; è al tempo stesso offrirle in qualche modo il mezzo per rispondere a questa
attesa».[387] Questo è un culto a Dio, perché è Lui che ha seminato molte cose buone negli altri
nella speranza che le facciamo crescere.
323. E’ una profonda esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e
riconoscere Cristo in lei. Questo richiede una disponibilità gratuita che permetta di apprezzare la
sua dignità. Si può essere pienamente presenti davanti all’altro se ci si dona senza un perché,
dimenticando tutto quello che c’è intorno. Così la persona amata merita tutta l’attenzione. Gesù
era un modello, perché quando qualcuno si avvicinava a parlare con Lui, fissava lo sguardo,
guardava con amore (cfr Mc 10,21). Nessuno si sentiva trascurato in sua presenza, poiché le sue
parole e i suoi gesti erano espressione di questa domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?»
(Mc 10,51).Questo si vive nella vita quotidiana della famiglia. In essa ricordiamo che la persona
che vive con noi merita tutto, perché ha una dignità infinita, essendo oggetto dell’immenso amore
del Padre. Così fiorisce la tenerezza, in grado di «suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato.
Essa si esprime in particolare nel volgersi con attenzione squisita ai limiti dell’altro, specialmente
quando emergono in maniera evidente».[388]
324. Sotto l’impulso dello Spirito, il nucleo familiare non solo accoglie la vita generandola nel
proprio seno, ma si apre, esce da sé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura

11 Pages 101-110

▲back to top

11.1 Page 101

▲back to top
101
e cercare la loro felicità. Questa apertura si esprime particolarmente nell’ospitalità[389],
incoraggiata dalla Parola di Dio in modo suggestivo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni,
praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli»(Eb 13,2). Quando la famiglia accoglie, e
va incontro agli altri, specialmente ai poveri e agli abbandonati, è «simbolo, testimonianza,
partecipazione della maternità della Chiesa».[390]L’amore sociale, riflesso della Trinità, è in realtà
ciò che unifica il senso spirituale della famiglia e la sua missione all’esterno di sé stessa, perché
rende presente il kerygma con tutte le sue esigenze comunitarie. La famiglia vive la sua spiritualità
peculiare essendo, nello stesso tempo, una Chiesa domestica e una cellula vitale per trasformare
il mondo.[391]
***
325. Le parole del Maestro (cfr Mt 22,30) e quelle di san Paolo (cfr 1 Cor 7,29-31) sul matrimonio,
sono inserite – non casualmente – nella dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza, che
abbiamo bisogno di recuperare. In tal modo gli sposi potranno riconoscere il senso del cammino
che stanno percorrendo. Infatti, come abbiamo ricordato più volte in questa Esortazione, nessuna
famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale
sviluppo della propria capacità di amare. C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione
piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è
la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia,
contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il
cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni
interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo
nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni
di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi
stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo,
famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo
la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di
comunione che ci è stata promessa.
Preghiera alla Santa Famiglia
Gesù, Maria e Giuseppe,
in voi contempliamo
lo splendore del vero amore,
a voi, fiduciosi, ci affidiamo.
Santa Famiglia di Nazaret,
rendi anche le nostre famiglie
luoghi di comunione e cenacoli di preghiera,
autentiche scuole di Vangelo

11.2 Page 102

▲back to top
102
e piccole Chiese domestiche.
Santa Famiglia di Nazaret,
mai più ci siano nelle famiglie
episodi di violenza, di chiusura e di divisione;
che chiunque sia stato ferito o scandalizzato
venga prontamente confortato e guarito.
Santa Famiglia di Nazaret,
fa’ che tutti ci rendiamo consapevoli
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
della sua bellezza nel progetto di Dio.
Gesù, Maria e Giuseppe,
ascoltateci e accogliete la nostra supplica.
Amen.
Dato a Roma, presso San Pietro, nel Giubileo Straordinario della Misericordia, il 19 marzo,
solennità di San Giuseppe, dell’anno 2016, quarto del mio Pontificato.
Francesco
[1] III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relatio Synodi, 18 ottobre 2014,
2.
[2] XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relatio finalis, 24 ottobre 2015, 3.
[3] Discorso a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24
ottobre 2015): L’Osservatore Romano,26-27 ottobre 2015, p. 13; cfr Pontificia Commissione
Biblica, Fede e cultura alla luce della Bibbia. Atti della Sessione plenaria 1979 della Pontificia
Commissione Biblica, Torino 1981; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 44; Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 52: AAS 83 (1991), 300; Esort. ap.
Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 69.117: AAS 105 (2013), 1049.1068-1069.
[4] Discorso nell’incontro con le famiglie a Santiago di Cuba (22 settembre 2015): L’Osservatore
Romano, 24 settembre 2015, p. 7.
[5] Jorge Luis Borges, “Calle desconocida”, en Fervor de Buenos Aires, Buenos Aires 2011, 23
(trad. it.: Fervore di Buenos Aires, Milano 2010, 29).

11.3 Page 103

▲back to top
103
[6] Omelia nella Messa a Puebla de los Ángeles (28 gennaio 1979), 2: AAS 71 (1979), 184.
[7] Cfr ibid.
[8] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 4: AAS 74 (1982), 84.
[9] Relatio Synodi 2014, 5.
[10] Conferenza Episcopale Spagnola, Matrimonio y familia (6 luglio 1979), 3.16.23.
[11] Relatio finalis 2015, 5.
[12] Relatio Synodi 2014, 5.
[13] Relatio finalis 2015, 8.
[14] Discorso al Congresso degli Stati Uniti d’America (24 settembre 2015): L’Osservatore
Romano, 26 settembre 2015, p. 7.
[15] Relatio finalis 2015, 29.
[16] Relatio Synodi 2014, 10.
[17] III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Messaggio, 18 ottobre 2014.
[18] Relatio Synodi 2014, 10.
[19] Relatio finalis 2015, 7.
[20] Ibid., 63.
[21] Conferenza dei Vescovi cattolici della Corea, Towards a culture of life! (15 marzo 2007).
[22] Relatio Synodi 2014, 6.
[23] Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti dalla famiglia (22 ottobre 1983), 11.
[24] Cfr Relatio finalis 2015, 11-12.
[25] Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti dalla famiglia (22 ottobre 1983), Intr.
[26] Ibid., 9.

11.4 Page 104

▲back to top
104
[27] Relatio finalis 2015, 14.
[28] Relatio Synodi 2014, 8.
[29] Cfr Relatio finalis 2015, 78.
[30] Relatio Synodi 2014, 8.
[31] Relatio finalis 2015, 23; cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato
2016 (12 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 2 ottobre 2015, p. 8.
[32] Relatio finalis 2015, 24.
[33] Ibid., 21.
[34] Ibid., 17.
[35] Ibid., 20.
[36] Cfr ibid., 15.
[37] Discorso conclusivo della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24
ottobre 2015): L’Osservatore Romano, 26-27 ottobre 2015, p. 13.
[38] Conferenza Episcopale Argentina, Navega mar adentro (31 maggio 2003), 42.
[39] Conferenza Episcopale Messicana, Que en Cristo Nuestra Paz México tenga vida digna (15
febbraio 2009), 67.
[40] Relatio finalis 2015, 25.
[41] Ibid., 10.
[42] Catechesi (22 aprile 2015):L’Osservatore Romano, 23 aprile 2015, p. 7.
[43] Catechesi (29 aprile 2015):L’Osservatore Romano, 30 aprile 2015, p. 8.
[44] Relatio finalis 2015, 28.
[45] Ibid., 8.
[46] Ibid., 58.

11.5 Page 105

▲back to top
105
[47] Ibid., 33.
[48] Relatio Synodi 2014, 11.
[49] Conferenza Episcopale Colombiana, A tiempos difíciles, colombianos nuevos (13 febbraio
2003), 3.
[50] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 35: AAS 105 (2013), 1034.
[51] Ibid., 164: AAS 105 (2013), 1088.
[52] Ibid.
[53] Ibid., 165: AAS 105 (2013), 1089.
[54] Relatio Synodi 2014, 12.
[55] Ibid., 14.
[56] Ibid., 16.
[57] Relatio finalis 2015, 41.
[58] Ibid., 38.
[59] Relatio Synodi 2014, 17.
[60] Relatio finalis 2015, 43.
[61] Relatio Synodi 2014, 18.
[62] Ibid., 19.
[63] Relatio finalis 2015, 38.
[64] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 13: AAS 74 (1982), 94.
[65] Relatio Synodi 2014, 21.
[66] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1642.
[67] Ibid.

11.6 Page 106

▲back to top
106
[68] Catechesi (6 maggio 2015):L’Osservatore Romano(7 maggio 2015), p. 8.
[69] Leone Magno, Epistola Rustico narbonensi episcopo, inquis. IV: PL 54, 1205A; cfr Incmaro di
Reims, Epist. 22: PL 126, 142.
[70] Cfr Pio XII, Lett. enc. Mystici Corporis Christi (29 giugno 1943): AAS 35 (1943), 202:
«Matrimonio enim quo coniuges sibi invicem sunt ministri gratiae».
[71] Cfr Codice di Diritto Canonico, cc. 1116; 1161-1165; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali,
832; 848-852.
[72] Codice di Diritto Canonico, c. 1055 § 2.
[73] Relatio Synodi 2014, 23.
[74] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 9: AAS 74 (1982), 90.
[75] Relatio finalis 2015, 47.
[76]Ibid.
[77] Omelia nella Santa Messa di chiusura dell’VIII Incontro Mondiale delle famiglie, Filadelfia (27
settembre 2015): L´Osservatore Romano, 28-29 settembre 2015, p. 7.
[78] Relatio finalis 2015, 53-54.
[79] Ibid., 51.
[80] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
[81] Cfr Codice di Diritto Canonico, c. 1055 § 1: «Ad bonum coniugum atque ad prolis
generationem et educationem ordinatum».
[82] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2360.
[83] Ibid., 1654.
[84] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
[85] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2366.
[86] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae (25 luglio 1968), 11-12: AAS 60 (1968), 488-489.

11.7 Page 107

▲back to top
107
[87] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2378.
[88] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae (22 febbraio 1987), II, 8: AAS 80
(1988), 97.
[89] Relatio finalis 2015, 63.
[90] Relatio Synodi 2014, 57.
[91] Ibid., 58.
[92] Ibid., 57.
[93] Relatio finalis 2015, 64.
[94] Relatio Synodi 2014, 60.
[95] Ibid., 61.
[96] Codice di Diritto Canonico, c. 1136; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 627.
[97] Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: verità e significato (8 dicembre 1995),
23.
[98] Catechesi (20 maggio 2015):L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.
[99] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 38: AAS 74 (1982),
129.
[100] Cfr Discorso all’Assemblea diocesana di Roma (14 giugno 2015): L’Osservatore Romano,
15-16 giugno 2015, p. 8.
[101] Relatio Synodi 2014, 23.
[102] Relatio finalis 2015, 52.
[103] Ibid., 49-50.
[104] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1641.
[105] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 2: AAS 98 (2006), 218.

11.8 Page 108

▲back to top
108
[106] Esercizi spirituali, Contemplazione per raggiungere l’amore, 230.
[107] Octavio Paz, La llama doble, Barcelona 1993, 35.
[108] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 114, a. 2, ad 1.
[109] Catechesi (13 maggio 2015):L’Osservatore Romano, 14 maggio 2015, p. 8.
[110] Summa Theologiae II-II, q. 27, a. 1, ad 2.
[111] Ibid., a. 1.
[112] Catechesi (13 maggio 2015):L’Osservatore Romano, 14 maggio 2015, p. 8.
[113] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 21: AAS 74 (1982),
106.
[114] Sermone tenuto nella chiesa Battista di Dexter Avenue, Montgomery, Alabama, 17
novembre 1957.
[115] San Tommaso d’Aquino intende l’amore come «vis unitiva» (Summa Theologiae I, q. 20, a.
1, ad 3), riprendendo un’espressione di Dionigi Ps.-Areopagita (De divinis nominibus, IV, 12: PG
3, 709).
[116] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 27, a. 2.
[117] Lett. enc. Casti connubii (31 dicembre 1930): AAS 22 (1930), 547-548.
[118] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 13: AAS 74 (1982),
94.
[119] Catechesi (2 aprile 2014):L’Osservatore Romano, 3 aprile 2014, p. 8.
[120] Ibid.
[121] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 9: AAS 74 (1982), 90.
[122] Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, III, 123; cfr Aristotele, Etica Nic., 8, 12 (ed.
Bywater, Oxford 1984, 174).
[123] Lett. enc. Lumen fidei (29 giugno 2013), 52: AAS 105 (2013), 590.

11.9 Page 109

▲back to top
109
[124] De sacramento matrimonii, I, 2: in Id. Disputationes, III, 5, 3 (ed. Giuliano, Napoli 1858, 778).
[125] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 50.
[126] Ibid., 49.
[127] Cfr Summa Theologiae I-II, q. 31, a. 3, ad 3.
[128] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
[129] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I-II, q. 26, a. 3.
[130] Ibid., q. 110, a. 1.
[131] Confessioni, VIII, 3, 7: PL 32, 752.
[132] Discorso alle famiglie del mondo in occasione del loro pellegrinaggio a Roma nell’Anno della
Fede (26 ottobre 2013):AAS 105 (2013), 980.
[133] Angelus (29 dicembre 2013):L’Osservatore Romano, 30-31 dicembre 2013, p. 7.
[134] Discorso alle famiglie del mondo in occasione del loro pellegrinaggio a Roma nell’Anno della
Fede (26 ottobre 2013): AAS 105 (2013), 978.
[135] Summa Theologiae II-II, q. 24, a. 7.
[136] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
[137] Conferenza Episcopale del Cile, La vida y la familia: regalos de Dios para cada uno de
nosotros (21 luglio 2014).
[138] Cost. past. Gaudium et spes, 49.
[139] A. Sertillanges, L’amour chrétien, Paris 1920, 174.
[140] Cfr Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I-II, q. 24, a. 1.
[141] Cfr ibid., q. 59, a. 5.
[142] Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 3: AAS 98 (2006), 219-220.
[143] Ibid., 4 : AAS 98 (2006), 220.

11.10 Page 110

▲back to top
110
[144] Cfr Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I-II, q. 32, a. 7.
[145] Cfr ibid., II-II, q. 153, a. 2, ad 2: «Abundantia delectationis quae est in actu venereo
secundum rationem ordinato, non contrariatur medio virtutis».
[146] Giovanni Paolo II, Catechesi (22 ottobre 1980), 5: Insegnamenti III, 2 (1980), 951.
[147] Ibid., 3.
[148] Id., Catechesi (24 settembre 1980), 4: Insegnamenti III, 2 (1980), 719.
[149] Catechesi (12 novembre 1980), 2: Insegnamenti III, 2 (1980), 1133.
[150] Ibid., 4.
[151] Ibid., 5.
[152] Ibid., 1: 1132.
[153] Catechesi (16 gennaio 1980), 1: Insegnamenti III, 1 (1980), 151.
[154] Josef Pieper, Über die Liebe, München 2014, 174.
[155] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 23: AAS 87 (1995), 427.
[156] Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae (25 luglio 1968), 13: AAS 60 (1968), 489.
[157] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 49.
[158] Catechesi (18 giugno 1980), 5: Insegnamenti III, 1 (1980), 1778.
[159] Ibid., 6.
[160] Cfr Catechesi (30 luglio 1980), 1: Insegnamenti III, 2 (1980), 311.
[161] Catechesi (8 aprile 1981), 3: Insegnamenti IV, 1 (1981), 904.
[162] Catechesi (11 agosto 1982), 4: Insegnamenti V, 3 (1982), 205-206.
[163] Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 5: AAS 98 (2006), 221.
[164] Ibid., 7.

12 Pages 111-120

▲back to top

12.1 Page 111

▲back to top
111
[165] Relatio finalis 2015, 22.
[166] Catechesi (14 aprile 1982), 1: Insegnamenti V, 1 (1982), 1176.
[167] Glossa in quatuor libros sententiarum Petri Lombardi, IV, XXVI, 2 (Quaracchi 1957, 446).
[168] Giovanni Paolo II, Catechesi (7 aprile 1982), 2: Insegnamenti V, 1 (1982), 1127.
[169] Id., Catechesi (14 aprile 1982), 3: Insegnamenti V, 1 (1982), 1177.
[170] Ibid.
[171] Id., Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 10: AAS 71 (1979), 274.
[172] Cfr Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 27, a. 1.
[173] Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia, matrimonio e “unioni di fatto” (26 luglio 2000),
40.
[174] Giovanni Paolo II, Catechesi (31 ottobre 1984), 6: Insegnamenti VII, 2 (1984), 1072.
[175] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 8: AAS 98 (2006), 224.
[176] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 14: AAS 74 (1982),
96.
[177] Catechesi (11 febbraio 2015): L’Osservatore Romano, 12 febbraio 2015, p. 8.
[178] Ibid.
[179] Catechesi (8 aprile 2015): L’Osservatore Romano,9 aprile 2015, p. 8.
[180] Ibid.
[181] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 51: «Tutti sappiamo che la vita
dell’uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi
trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli
uomini».
[182] Lettera alla Segretaria generale della Conferenza internazionale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite su popolazione e sviluppo (18 marzo 1994): Insegnamenti XVII, 1 (1994), 750-751.

12.2 Page 112

▲back to top
112
[183] Giovanni Paolo II, Catechesi (12 marzo 1980), 3: Insegnamenti III, 1 (1980), 543.
[184] Ibid.
[185] Discorso nell’incontro con le famiglie a Manila (16 gennaio 2015):AAS 107 (2015), 176.
[186] Catechesi (11 febbraio 2015):L’Osservatore Romano, 12 febbraio 2015, p. 8.
[187] Catechesi (14 ottobre 2015):L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2015, p. 8.
[188] Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’Australia, Lett. past. Don’t Mess with Marriage (24
novembre 2015), 11.
[189] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 50.
[190] Giovanni Paolo II, Catechesi (12 marzo 1980), 2: Insegnamenti III, 1 (1980), 542.
[191] Cfr Id. Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 30-31: AAS 80 (1988), 1727-1729.
[192] Catechesi (7 gennaio 2015):L’Osservatore Romano, 7-8 gennaio 2015, p. 8.
[193] Ibid.
[194] Catechesi (28 gennaio 2015):L’Osservatore Romano, 29 gennaio 2015, p. 8.
[195] Ibid.
[196] Cfr Relatio finalis 2015, 28.
[197] Catechesi (4 febbraio 2015):L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2015, p. 8.
[198] Ibid.
[199] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 50.
[200] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di
Aparecida (29 giugno 2007), 457.
[201] Relatio finalis 2015, 65.
[202] Ibid.

12.3 Page 113

▲back to top
113
[203] Discorso all’incontro con le famiglie a Manila (16 gennaio 2015):AAS 107 (2015), 178.
[204] Mario Benedetti, “Te quiero”, in Poemas de otros, Buenos Aires 1993, 316.
[205] Cfr Catechesi (16 settembre 2015):L’Osservatore Romano, 17 settembre 2015, p. 8.
[206] Catechesi (7 ottobre 2015):L’Osservatore Romano, 8 ottobre 2015, p. 8.
[207] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 14: AAS 98 (2006), 228.
[208] Cfr Relatio finalis 2015, 11.
[209] Catechesi (18 marzo 2015):L’Osservatore Romano, 19 marzo 2015, p. 8.
[210] Catechesi (11 febbraio 2015):L’Osservatore Romano, 12 febbraio 2015, p. 8.
[211] Cfr Relatio finalis 2015, 17-18.
[212] Catechesi (4 marzo 2015):L’Osservatore Romano, 5 marzo 2015, p. 8.
[213] Catechesi (11 marzo 2015):L’Osservatore Romano, 12 marzo 2015, p. 8.
[214] Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 27: AAS 74 (1982), 113.
[215] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Forum internazionale sull’invecchiamento attivo
(5 settembre 1980), 5: Insegnamenti III, 2 (1980), 539.
[216] Relatio finalis 2015, 18.
[217] Catechesi (4 marzo 2015):L’Osservatore Romano, 5 marzo 2015), p. 8.
[218] Ibid.
[219] Discorso all’Incontro con gli anziani (28 settembre 2014):L’Osservatore Romano,29-30
settembre 2014, p. 7.
[220] Catechesi (18 febbraio 2015):L’Osservatore Romano, 19 febbraio 2015, p. 8.
[221] Ibid.
[222] Ibid.

12.4 Page 114

▲back to top
114
[223] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 18: AAS 74 (1982),
101.
[224] Catechesi (7 ottobre 2015):L’Osservatore Romano, 8 ottobre 2015, p. 8.
[225] Relatio Synodi 2014, 30.
[226] Ibid., 31.
[227] Relatio finalis 2015, 56.
[228] Ibid., 89.
[229] Relatio Synodi 2014, 32.
[230] Ibid., 33.
[231] Ibid., 38.
[232] Relatio finalis 2015, 77.
[233] Ibid., 61.
[234] Ibid.
[235] Ibid.
[236] Ibid.
[237] Cfr Relatio Synodi 2014, 26.
[238] Ibid., 39.
[239] Conferenza Episcopale Italiana. Commissione episcopale per la famiglia e la vita,
Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia (22 ottobre 2012), 1.
[240] Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, annotazione 2.
[241] Ibid., annotazione 5.
[242] Giovanni Paolo II, Catechesi (27 giugno 1984), 4: Insegnamenti VII, 1 (1984), 1941.

12.5 Page 115

▲back to top
115
[243] Catechesi (21 ottobre 2015): L’Osservatore Romano,22 ottobre 2015, p. 12.
[244] Conferenza Episcopale del Kenya, Messaggio di Quaresima (18 febbraio 2015).
[245] Cfr Pio XI, Lett. enc. Casti connubii (31 dicembre 1930): AAS 22 (1930), 583.
[246] Giovanni Paolo II, Catechesi (4 luglio 1984), 3.6:Insegnamenti VII, 2 (1984), 9.10.
[247] Relatio finalis 2015, 59.
[248] Ibid., 63.
[249] Cost. past. Gaudium et spes, 50.
[250] Relatio finalis 2015, 63.
[251] Relatio Synodi 2014, 40.
[252] Ibid., 34.
[253] Cantico spirituale B, XXV, 11.
[254] Relatio Synodi 2014, 44.
[255] Relatio finalis 2015, 81.
[256] Ibid., 78.
[257] Catechesi (24 giugno 2015): L’Osservatore Romano,25 giugno 2015, p. 8.
[258] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 83: AAS 74 (1982),
184.
[259] Relatio Synodi 2014, 47.
[260] Ibid., 50.
[261] Cfr Catechesi (5 agosto 2015): L’Osservatore Romano, 6 agosto 2015, p. 7.
[262] Relatio Synodi 2014, 51; cfr Relatio finalis 2015, 84.
[263] Relatio Synodi 2014, 48.

12.6 Page 116

▲back to top
116
[264] Cfr Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (15 agosto 2015): L’Osservatore Romano, 9
settembre 2015, pp. 3-4; Motu proprio Mitis et Misericors Iesus (15 agosto 2015): L’Osservatore
Romano, 9 settembre 2015, pp. 5-6.
[265] Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (15 agosto 2015), preambolo, III: L’Osservatore
Romano, 9 settembre 2015, p. 3.
[266] Relatio finalis 2015, 82.
[267] Relatio Synodi 2014, 47.
[268] Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.
[269] Catechesi (24 giugno 2015): L’Osservatore Romano,25 giugno 2015, p. 8.
[270] Catechesi (5 agosto 2015): L’Osservatore Romano,6 agosto 2015, p. 7.
[271] Relatio finalis 2015, 72.
[272] Ibid., 73.
[273] Ibid., 74.
[274] Ibid., 75.
[275] Cfr Bolla Misericordiae Vultus, 12: AAS 107 (2015), 409.
[276] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358; cfr Relatio finalis 2015, 76.
[277]Cfr ibid.
[278] Relatio finalis 2015, 76; cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i
progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), 4.
[279] Relatio finalis 2015, 80.
[280] Cfr ibid., 20.
[281] Catechesi (17 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 18 giugno 2015, p. 8.
[282] Relatio finalis 2015, 19.

12.7 Page 117

▲back to top
117
[283]Catechesi (17 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 18 giugno 2015, p. 8.
[284] Ibid.
[285] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 958.
[286] Ibid.
[287] Cfr Ultimi colloqui, “Quaderno giallo” di Madre Agnese, 17 luglio 1897: Opere complete, Città
del Vaticano - Roma 1997, 1028. A tale proposito è significativa la testimonianza delle consorelle
circa la promessa di santa Teresa che la sua partenza da questo mondo sarebbe stata «come una
pioggia di rose» (ibid., 9 giugno, 991).
[288] Giordano di Sassonia, Libellus de principiis Ordinis prædicatorum, 93: Monumenta Historica
Sancti Patris Nostri Dominici, XVI, Roma 1935, 69.
[289] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 957.
[290] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 49.
[291] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 222: AAS 105 (2013), 1111.
[292] Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.
[293] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 17.
[294] Catechesi (30 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 1 ottobre 2015, p. 8.
[295] Catechesi (10 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 11 giugno 2015, p. 8.
[296] Cfr Relatio finalis 2015, 67.
[297] Catechesi (20 maggio 2015): L’Osservatore Romano, 21 maggio 2015, p. 8.
[298] Catechesi (9 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 10 settembre 2015, p. 8.
[299] Relatio finalis 2015, 68.
[300] Ibid., 58.
[301] Dich. Gravissimum educationis, 1.

12.8 Page 118

▲back to top
118
[302] Relatio finalis 2015, 56.
[303] Erich Fromm, The Art of Loving, New York 1956, p. 54 (trad. it.: L’arte di amare, Milano
1978, 72-73).
[304] Lett. enc. Laudato siʼ (24 maggio 2015), 155.
[305] Catechesi (15 aprile 2015): L´Osservatore Romano, 16 aprile 2015, p. 8.
[306] Cfr Relatio finalis 2015, 13-14.
[307] De sancta virginitate, 7, 7: PL 40, 400.
[308] Catechesi (26 agosto 2015): L´Osservatore Romano, 27 agosto 2015, p. 8.
[309] Relatio finalis 2015, 89.
[310] Ibid., 93.
[311] Relatio Synodi 2014, 24.
[312] Ibid., 25.
[313] Ibid., 28.
[314] Cfr ibid., 41.43; Relatio finalis 2015, 70.
[315] Relatio Synodi 2014, 27.
[316] Ibid., 26.
[317] Ibid., 41.
[318] Ibid.
[319] Relatio finalis 2015, 71.
[320] Cfr ibid.
[321] Relatio Synodi 2014, 42.
[322] Ibid., 43.

12.9 Page 119

▲back to top
119
[323] Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 34: AAS 74 (1982), 123.
[324] Ibid., 9: 90.
[325] Cfr Catechesi (24 giugno 2015): L’Osservatore Romano, 25 giugno 2015, p. 8.
[326] Omelia durante l’Eucaristia celebrata con i nuovi cardinali (15 febbraio 2015): AAS 107
(2015), 257.
[327] Relatio finalis 2015, 51.
[328] Relatio Synodi 2014, 25.
[329] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84: AAS 74 (1982),
186. In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello
e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è
raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51).
[330] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84: AAS 74 (1982),
186.
[331] Relatio Synodi 2014, 26.
[332] Cfr ibid., 45.
[333] Benedetto XVI, Discorso al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano (2 giugno 2012),
risposta 5: Insegnamenti VIII, 1 (2012), 691.
[334] Relatio finalis 2015, 84.
[335] Ibid., 51.
[336] Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento
può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. Qui si applica quanto ho
affermato in un altro documento: cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44.47:
AAS 105 (2013), 1038-1040.
[337] Relatio finalis 2015, 85.
[338] Ibid., 86.

12.10 Page 120

▲back to top
120
[339] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 33: AAS 74 (1982),
121.
[340] Relatio finalis 2015, 51.
[341] Cfr Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2.
[342] Ibid., ad 3.
[343] N. 1735.
[344] Cfr ibid., 2352; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Iura et bona sull’eutanasia (5
maggio 1980), II: AAS 72 (1980), 546. Giovanni Paolo II, criticando la categoria della “opzione
fondamentale”, riconosceva che «senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e
oscure sotto l'aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore»
(Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia [2 dicembre 1984], 17: AAS 77 [1985], 223).
[345] Cfr Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione sull’ammissibilità alla Comunione
dei divorziati risposati (24 giugno 2000), 2.
[346] Relatio finalis 2015, 85.
[347] Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4.
[348] Riferendosi alla conoscenza generale della norma e alla conoscenza particolare del
discernimento pratico, san Tommaso arriva a dire che «se non vi è che una sola delle due
conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare, che si avvicina
maggiormente all’agire» (Sententia libri Ethicorum, VI, 6 [ed. Leonina, t. XLVII, 354]).
[349] Discorso a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24
ottobre 2015): L’Osservatore Romano,26-27 ottobre 2015, p. 13.
[350] In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), 59.
[351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo
che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del
Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038).
Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un
alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039).
[352] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105 (2013), 1038-1039.

13 Pages 121-130

▲back to top

13.1 Page 121

▲back to top
121
[353] De catechizandis rudibus, I, 14, 22: PL 40, 327; cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24
novembre 2013), 193: AAS 105 (2013), 1101.
[354] Relatio Synodi 2014, 26.
[355] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105 (2013), 1038.
[356] Ibid., 45: AAS 105 (2013), 1039.
[357] Ibid., 270: AAS 105 (2013), 1128.
[358] Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), 12: AAS 107 (2015), 407.
[359] Ibid., 5: 402.
[360] Ibid., 9: 405.
[361] Ibid., 10: 406.
[362] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 47: AAS 105 (2013), 1040.
[363] Cfr ibid., 36-37: AAS 105 (2013), 1035.
[364] Forse per scrupolo, nascosto dietro un grande desiderio di fedeltà alla verità, alcuni
sacerdoti esigono dai penitenti un proposito di pentimento senza ombra alcuna, per cui la
misericordia sfuma sotto la ricerca di una giustizia ipoteticamente pura. Per questo vale la pena di
ricordare l’insegnamento di san Giovanni Paolo II, il quale affermò che la prevedibilità di una
nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito» (Lettera al Card. William W. Baum in
occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzeria Apostolica [22 marzo 1996], 5:
Insegnamenti XIX, 1 [1996], 589).
[365] Commissione Teologica Internazionale, La speranza della salvezza per i bambini che
muoiono senza battesimo (19 aprile 2007), 2.
[366] Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), 15: AAS 107 (2015), 409.
[367] Decr. Apostolicam actuositatem, 4.
[368] Cfr ibid.
[369] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 49.

13.2 Page 122

▲back to top
122
[370] Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 16: AAS 98 (2006), 230.
[371] Ibid., 39: AAS 98 (2006), 250.
[372] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Christifideles laici (30 dicembre 1988), 40: AAS 81
(1989), 468.
[373] Ibid.
[374] Relatio finalis 2015, 87.
[375] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Vita consecrata (25 marzo 1996), 42: AAS 88 (1996),
416.
[376] Cfr Relatio finalis 2015, 87.
[377] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 57: AAS 74
(1982), 150.
[378] Non dimentichiamo che l’Alleanza di Dio con il suo popolo si esprime come un fidanzamento
(cfr Ez 16,8.60; Is 62,5; Os 2,21-22), e la nuova Alleanza si presenta anche come un matrimonio
(cfr Ap 19,7; 21,2; Ef 5,25).
[379] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11.
[380] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 11: AAS 74 (1982),
93.
[381] Id., Omelia nella Santa Messa celebrata per le famiglie a Córdoba - Argentina (8 aprile
1987), 4: Insegnamenti X, 1 (1987), 1161-1162.
[382] Cfr Gemeinsames Leben, München 1973, 18 (trad. it.: La vita comune, Brescia 1973, 46).
[383] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.
[384] Catechesi (10 giugno 2015): L’Osservatore Romano,(11 giugno 2015), p. 8.
[385] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 12: AAS 74 (1982),
93.
[386] Discorso alla Festa delle Famiglie e veglia di preghiera, Filadelfia (26 settembre 2015):
L’Osservatore Romano,28-29 settembre 2015, p. 6.

13.3 Page 123

▲back to top
123
[387] Gabriel Marcel, Homo viator. Prolégomènes à une métaphysique de l´espérance, Paris
1944, 63.
[388] Relatio finalis 2015, 88.
[389] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 44: AAS 74
(1982), 136.
[390] Ibid., 49: AAS 74 (1982), 141.
[391] Sugli aspetti sociali della famiglia, cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 248-254.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana