Costituzioni, nella ricorrenza del loro giubileo d’oro, e anche con i Regolamenti da poco riveduti, ossia con quei testi
qualificati e autorevoli che costituiscono quasi «l’anima della nostra Società»;l3 inoltre con le nostre Tradizioni più
genuine, giacché esse «danno il colore e imprimono il carattere alla nostra Società e missione. Se questo colore
svanisce, se questo carattere si perde, potremo ancora essere religiosi, ancora educatori praticando puramente la lettera
delle Regole, ma non saremo più Salesiani di Don Bosco».l4
Ne fece poi argomento delle sue conferenze e delle sue prediche, soprattutto negli ultimi anni del suo Rettorato.
Il Sogno, dunque, viene presentato da don Rinaldi unitamente alle Costituzioni e alle Tradizioni vive, come
quadro di riferimento per fotografare l’identità salesiana.
Anche don Renato Ziggiotti, quinto successore di Don Bosco, ha richiamato l’attenzione dei confratelli su questo
Sogno in occasione della Strenna del 1964; egli lo ha distribuito a tutti e lo ha offerto come un metro accreditato per un
processo di revisione e di conversione, e per una crescita nel delicato processo di identificazione: «il sogno dei dieci
diamanti — scriveva — ci invita a praticare le virtù per noi più essenziali».
A ragione dunque si è potuto affermare di questo Sogno che «è fra quelli più conosciuti e più meditati nella
tradizione salesiana».l5 Io considero utile anche per noi, oggi, tornare a riflettere sui significati che ci presenta.
Forse qualcuno, in vista delle esigenze di un certo tipo di studi, potrà giustamente osservare che «occorre vagliare
la tradizione documentaria dei sogni, prima di accingersi a farne l’analisi psicologica, teologica o pedagogica». Noi non
intendiamo in questa sede mettere in questione i livelli scientifici sia dello studio critico del testo sia della natura
specifica dei sogni di Don Bosco. Ci manteniamo invece a un livello più alto e più importante, che è quello
dell’esperienza viva e qualificata della nostra spiritualità. La vita, infatti, è anteriore ad ogni suo studio, e gli elementi
che la possono nutrire e stimolare devono poter intervenire ed agire non semplicemente per una ben calibrata
programmazione scientifica (arriverebbe troppo tardi!), ma per un’autorevole e tempestiva mediazione carismatica;
così come l’hanno fatto, con autorevolezza, Don Bosco e i suoi Successori, in particolare don Rinaldi, e i loro
collaboratori nella formazione salesiana: ossia, attraverso i canali di trasmissione viva della nostra esperienza spirituale.
Le seguenti parole di don Rinaldi ci devono far riflettere al riguardo: il modello presentato dal Sogno «lo si studi e
si approfondisca con la meditazione quotidiana: se ne parli in ogni circostanza; se ne illuminino convenientemente i
vari aspetti della visione [...]. Prego vivamente i cari Ispettori e Direttori di convergere le loro conferenze su questo
modello; e così pure i predicatori degli Esercizi Spirituali, i quali ne trarranno gli argomenti delle loro istruzioni, in
modo che la spiritualità salesiana s’imprima bellamente negli animi degli uditori».16
Il suo più acuto interprete: don Rinaldi
Chi più d’ogni altro sembra aver riflettuto su questo Sogno e ne ha fatto spesso tema d’orientamento per tutta la
Congregazione è certamente don Filippo Rinaldi. Egli era di casa a S. Benigno quando Don Bosco fece e narrò il
Sogno; ne riportò perciò una particolare impressione.
Da Rettor Maggiore, terzo successore di Don Bosco, ne scrisse, come abbiamo detto, varie volte ai confratelli.
Sono ancora molti in Congregazione coloro che intesero direttamente le sue spiegazioni: ad esempio nella predica dei
ricordi fatta ai giovani confratelli in formazione a Foglizzo, ai primi dell’estate del 1931, di cui si conservano in
archivio alcuni appunti fedeli.
Una diligente lettura dei testi di don Rinaldi lascia intravvedere in lui un processo di attenta riflessione e di
progressivo approfondimento. Così negli ultimi suoi interventi egli presenta una interpretazione originale e organica del
Sogno, maturata in una puntualizzazione penetrante, frutto di lunga meditazione e di assidua osservazione: ha cioè
identificato per noi la figura del Personaggio e ha fatto luce sulla disposizione dei diamanti. Questi, infatti, incastonati
sul petto o nel verso e con il rilievo di luce e di collocazione che ad ognuno compete, danno la visione «organica» e
«dinamica» della caratteristica spirituale del salesiano. «Si faccia risaltare — scrive appunto don Rinaldi — la
disposizione dei diamanti, che, spostati, non renderebbero più lo splendore della nostra vita».17
Egli afferma più volte che in questo Sogno è descritto «il modello del vero salesiano» o «del perfetto
salesiano»,18 quale lo vide Don Bosco, che lo «tramandò a noi, perché fosse non solo un ricordo, ma la realtà della
nostra vita».19
Dunque: il Personaggio del manto e la disposizione stessa dei diamanti hanno (secondo don Rinaldi) un loro
significato rilevante perché concorrono a tracciare il profilo spirituale della nostra «indole propria». E questa è
un’osservazione di grande interesse, confermata da quanto affermano, circa la specificità di ogni vocazione, gli studiosi
delle diverse spiritualità religiose.
Essendo don Rinaldi uno dei più fedeli testimoni della nostra spiritualità salesiana ed avendo espresso le sue
riflessioni sul Sogno soprattutto negli ultimi anni di vita come Rettor Maggiore, è nostra convinzione che egli sia
arrivato a questa sua interpretazione come a una maturazione di sintesi, dopo lunga meditazione fatta in sintonia e
responsabilità vocazionale, non senza preghiera e forse con qualche speciale luce dall’alto.
Le riflessioni che qui mi sono impegnato ad annotare e che vi offro, si muovono su questa visione «rinaldiana»,
acuta e penetrante, e di cui intendo sviluppare alcuni aspetti.
Spero che servano a farci crescere nella fedeltà alla nostra vocazione nella Chiesa e ad approfondirne sempre
meglio l’identità.