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penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e non
darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il resto della
giornata, a domestici e vicini. Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare
l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i
nemici; ci sarà poi l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per
la testa; ci vorrà il tribunale». [36] Sono evidentemente vizi e fatiche di sempre, anche di oggi, per
cui il Santo conclude: «Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma
non lo è per niente». [37]
La novità e la verità della devozione, invece, si trovano altrove, in una radice profondamente
legata alla vita divina in noi. In tal modo «la vera e viva devozione […] esige l’amore di Dio, anzi
non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso». [38] Nella sua
fervente immaginazione essa non è che, «a dirla in breve, una sorta di agilità e vivacità spirituale
per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con
prontezza e affetto». [39] Per questo essa non si pone accanto alla carità, ma è una sua
manifestazione e, insieme, conduce ad essa. È come una fiamma rispetto al fuoco: ne ravviva
l’intensità, senza mutarne la qualità. «In conclusione, si può dire che la carità e la devozione
differiscono tra loro come il fuoco dalla fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia
con una forte fiamma si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la
fiamma che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei
Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni del cielo». [40] Una
devozione così intesa non ha nulla di astratto. È, piuttosto, uno stile di vita, un modo di essere nel
concreto dell’esistenza quotidiana. Essa raccoglie e interpreta le piccole cose di ogni giorno, il
cibo e il vestito, il lavoro e lo svago, l’amore e la generazione, l’attenzione agli obblighi
professionali; in sintesi, illumina la vocazione di ognuno.
Si intuisce qui la radice popolare della devozione, affermata fin dalle prime battute di Filotea:
«Quasi tutti quelli che hanno trattato della devozione si sono interessati di istruire persone
separate dal mondo o, perlomeno , hanno insegnato un tipo di devozione che porta a questo
isolamento. Io intendo offrire i miei insegnamenti a quelli che vivono nelle città, in famiglia, a corte,
e che, in forza del loro stato, sono costretti, dalle convenienze sociali, a vivere in mezzo agli altri».
[41] È per questo che si sbaglia di molto chi pensa di relegare la devozione a qualche ambito
protetto e riservato. Piuttosto, essa è di tutti e per tutti, ovunque siamo, e ciascuno la può praticare
secondo la propria vocazione. Come scriveva San Paolo VI nel quarto centenario della nascita di
Francesco di Sales, «la santità non è prerogativa dell’uno o dell'altro ceto; ma a tutti i cristiani è
rivolto il pressante invito: “Amico, sali più in alto” ( Lc 14,10); tutti sono vincolati dall’obbligo di
salire il monte di Dio, anche se non tutti per la stessa via. “La devozione dev’essere esercitata in
modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal cameriere, dal principe, dalla vedova, dalla
giovane, dalla sposa. Ancor più, la pratica della devozione deve essere adattata alle forze, agli
affari e ai doveri di ognuno”». [42] Attraversare la città secolare, custodendo l’interiorità, coniugare
il desiderio di perfezione con ogni stato di vita, ritrovando un centro che non si separa dal mondo,