La-vita_come_preghiera


La-vita_come_preghiera

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
2.2 LA VITA COME PREGHIERA
Don Ivo COELHO
Consigliere per la Formazione
Il Rettor Maggiore, nella sua Presentazione dei Documenti
del CG 27, parlando della "grazia dell'unità", scrive: il cam-
mino per rispondere con generosità ed essere noi stessi: salesia-
ni consacrati, fratelli al servizio dei giovani. Accogliendo questo
dono incontreremo un tratto_caratteristico della nostra spiritua-
lità, che è l'unione con Dio; essa favorisce l'unificazione della vi-
ta: preghiera e lavoro, azione e contemplazione, riflessione e
apostolato" (CG 27, p. 12). Il Capitolo stesso scelse l'icona della
vite e dei tralci come simbolo dell'unità profonda tra l'essere mi-
stici nello Spirito, profeti di fraternità, e servi dei giovani. Vo-
gliamo offrire questo sussidio in vista di quell'unificazione che ci
faccia diventare contemplativi in azione (Cast. 12), persone con
"un progetto di vita fortemente unitario", come quello del no-
stro padre Don Bosco (Cast. 21).
Indubbiamente, la nostra vita si caratterizza per il lavoro in-
stancabile, nella fedeltà al motto "lavoro e temperanza", e so-
prattutto all'esempio del nostro Padre Don Bosco. Ma non di-
venta molte volte questo lavoro un grande rischio, un ostacolo
alla nostra preghiera? Non ci riferiamo soltanto a "le" preghie-
re, intese come pratiche di pietà, ma soprattutto a quell'unione
con Dio che deve caratterizzare tutta la nostra vita. Ricordando
la bella frase di santa Teresa di Gesù, "che l'orazione mentale
non è altro che amicizia, trattandosi spesso di essere da sole con
chi sappiamo che ci ama"2, la domanda è: come fare della nostra
vita esperienza di Dio, incontro di amore con Lui? E come po-
trebbe la nostra missione dare a tutta la nostra esistenza il suo
tono concreto (Cast . 3), in modo che la vita diventi preghiera?
2 "Que no es otra cosa oraci6n mental, a mi parecer, sino tratar de amistad, estando
muchas veces tratando a solas con quien sabemos que nos ama." S. Teresa di Gesù,
Vida 8, 5.

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ORIENTAMENTI E DIRETTIVE 33
La nostra Regola di Vita, nella prima sezione, dove si pre-
senta l'identità fondamentale del salesiano, afferma:
"Operando per la salvezza della gioventù, il salesiano fa esperien-
za della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione
divina della sua attività: 'Senza di me non potete fare nulla' (Gv
15, 5). Coltiva l'unione con Dio, avvertendo l'esigenza di pregare
senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il
Padre che sente vicino. Attento alla presenza dello Spirito e com-
piendo tutto per amore di Dio, diventa, come Don Bosco, contem-
plativo nell'azione" (Cast. 12).
Come possiamo trasformare questo ideale in realtà? Qui con-
viene fare una necessaria chiarificazione: non si tratta di toglie-
re importanza alle pratiche sacramentali e di pietà, attraverso
le quali diventa concreto il nostro dialogo con il Signore. Più in
là di queste, ci domandiamo invece come la nostra vita e lavoro
potrebbe diventare esperienza di Dio.
"La vita come preghiera": identità dell'orazione salesiana
Mi sembra che a questa domanda, essenziale per la nostra
vita di consacrati apostoli, risponde in maniera straordinaria-
mente ricca l'articolo 95 delle nostre Costituzioni, che porta in-
fatti come titolo "La vita come preghiera":
"Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il
salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è manda-
to. Scoprendo i frutti dello Spirito nella vita degli uomini, special-
mente dei giovani, rende grazie in ogni cosa; condividendo i loro
problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la forza della Sua
presenza. Attinge alla carità del Buon Pastore, di cui vuole essere
il testimone, e partecipa alle ricchezze spirituali che la comunità
gli offre. Il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico, lo
porta a celebrare la liturgia della vita, raggiungendo quella 'opero-
sità instancabile, santificata dalla preghiera e dall'unione con Dio,
che dev'essere la caratteristica dei figli di San Giovanni Bosco"3•
3 Mentre l'unione con Dio è il tema di Cast. 12, Cast. 95 sulla vita come preghiera
occupa un posto molto speciale nelle Costituzioni, venendo proprio alla fine stessa, non

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Per sottolineare alcuni elementi di questo bellissimo testo,
vorrei fare un confronto con la versione previa nelle Costituzioni
ad experimentum del Capitolo Generale Speciale (1972). Allora,
il testo esprimeva piuttosto la problematica della sintesi tra pre-
ghiera e lavoro: ''Al salesiano, immerso nel mondo e nelle preoc-
cupazioni della vita apostolica, incontrarsi con Dio nella li-
bertà e spontaneità di figlio può talvolta riuscire diffi-
cile". Era senza dubbio una costatazione vera e concreta, ma al-
lo stesso tempo implicava una certa dicotomia, che si faceva pre-
sente di nuovo alla fine quando si diceva: "il bisogno interiore
di Dio ci porta a vivere in Lui la liturgia della vita, offrendo noi
stessi nel quotidiano lavoro, 'come ostie vive, sante e gradite a
Dio' (Rm 12,1)" (Cost. 67, 1972). Anche questo è vero, e rispec-
chia tutta la tradizione spirituale della Chiesa, ma possiamo do-
mandarci: non è troppo generico, in maniera tale che può appli-
carsi a qualsiasi lavoro, e a qualsiasi tipo di spiritualità?
Invece, l'articolo attuale cerca di superare questa possibile di-
cotomia, nella sua stessa radice: cioè, nella maniera di intendere
salesianamente il rapporto tra il nostro lavoro e l'unione con Dio.
Possiamo aggiungere che non è stato facile: infatti, il processo
di elaborazione di questo articolo, un vero gioiello di spiritualità
salesiana, soltanto verso la fine del Capitolo, nell'ultima redazio-
ne, ha trovato una sintesi riuscita e illuminante. Questo si vede
fin dall'inizio dell'articolo, che offre un esplicito contrasto con il
testo precedente: "immerso nel mondo e nelle preoccupazioni
della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio
attraverso quelli a cui è mandato". E alla fine, la stessa cosa
viene sottolineata: "il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno
a p o s t o l i c o ... ".
solo del cap. VII: In dialogo con il Signore, ma anche della Seconda Parte delle nostre Co-
stituzioni: Inviati ai giovani - in comunità - al seguito di Cristo. Il CG22 era estrema-
mente sensibile alla struttura delle Costituzioni, e la collocazione di Cast. 95 lo fa una
specie di sintesi non solo della nostra vita di preghiera ma anche di tutta la nostra vita.
Esso tratta precisamente della vita come preghiera.

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ORIENTAMENTI E DIRETTIVE 35
Vorrei invitarvi ad una lettura attenta e accurata di questo
articolo, per scoprire in esso alcuni preziosi elementi che costi-
tuiscono una criteriologia che ci aiuta a discernere se la nostra
azione stia veramente diventando preghiera, esperienza di Dio.
Allo stesso tempo, questa criteriologia ci offre le "condizioni di
possibilità" per realizzarlo.
1. In primo luogo, troviamo un elemento essenziale e indi-
spensabile: l'essere in mezzo ai giovani e con loro. Questa "pre-
senza attiva e amichevole" (Cast. 39), che chiamiamo "assisten-
za," non ha niente da vedere con quella di un gendarme che si in-
teressa solamente di mantenere l'ordine, ma neanche costituisce
soltanto la "base" per poi fare altre cose, più importanti. Siamo
chiamati non a "fare tante cose" ma a essere come Gesù epifania,
rivelazione, Volto del Padre; la nostra missione consiste nell'esse-
re segni e portatori del suo amore (Cast. 2). La presenza salesia-
na costituisce una mediazione concreta della presenza del "Dio-
con-noi"; e in qualche maniera, possiamo dire che è un'anticipa-
zione di quello che Gesù ha chiesto al Padre per tutti noi: "Padre,
voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io"
(Gv 17,24). Questo "essere-con" costituisce il nucleo della vita
eterna: essere con Dio e con tutti i nostri fratelli e sorelle.4 Non
possiamo ignorare che questo è uno degli aspetti in cui noi tutti
siamo chiamati a crescere: noi tutti, e non soltanto i confratelli
giovani (significativamente chiamati alle volte "assistenti").
2. La nostra presenza deve avere una caratteristica molto
concreta: la coscienza di missione. Il testo costituzionale non
' Vale la pena fermarsi sulla presenza salesiana come anticipazione della vita eterna,
e essenzialmente come uno stare insieme con Dio e con tutti i nostri fratelli e sorelle. Sul
primo punto, cf. J. Ratzinger, "My Joy is to Be in Thy Presence: On the Christian Belief
in Eternal Life," in J. Ratzinger, God is Near Us: The Eucharist, the Heart of Life (San
Francisco: lgnatius Press, 2003). Sul secondo punto, cf. il suggerimento affascinante di
J. Alison che "la gioia messa davanti a [Gesù]" (Eb 12, 2) era precisamente "la possibilità
di gioire per sempre in una grande celebrazione, insieme ad una moltitudine di persone,
buoni, cattivi, depressivi, ma esseri umani e perciò amati." Cf. J. Alison, Raising Abel: The
Recouery of the Eschatological Imagination (New York, Crossroad, 1996), 189. "Dov'è il
tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,21). Il cuore di Gesù è senz'altro centrato sul
Padre e su di noi tutti, i suoi fratelli e sorelle.

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
dice semplicemente "nelle persone", ma neanche soltanto "nei
giovani", ma esplicitamente: "in quelli a cui è inviato". Nono-
stante la nostra buona volontà, non troveremo il Signore se non
lo cerchiamo in quelli a cui Lui stesso ci invia. Questo costituisce
uno degli elementi essenziali dell'obbedienza salesiana, intesa
come la ricerca costante e appassionata della volontà di Dio, sul-
l'esempio di Gesù: "Il mio alimento è fare la volontà di Colui che
mi ha mandato" (Gv 4,34). Ciò non è sempre facile, in particola-
re quando il lavoro non è "gratificante".
3. In questo movimento verso i giovani a cui siamo inviati,
troviamo un'interessante dialettica: Dio ci aspetta in questi de-
stinatari della nostra missione, ma allo stesso tempo siamo chia-
mati a portare loro il suo Amore salvifico: una dialettica che, in
un certo senso, troviamo anche nelle parole di Gesù, in Mt 25,
31-46. Ciò mi sembra l'elemento centrale se la vita salesiana
deve diventare preghiera. Esso si può sintetizzare nella frase,
"lasciare Dio per Dio", purché sia ben intesa e non semplice-
mente come una scusa conveniente per abbandonare la "pre-
ghiera" per il "lavoro" o viceversa.
4. L'azione educativa e pastorale a favore dei giovani pre-
suppone un'analisi della realtà sulla base della fede e della mis-
sione salesiana: implica guardare la realtà giovanile con lo
sguardo di Gesù, Buon Pastore, nello stile di Don Bosco. Tale
"lettura" determinerà se un'azione è veramente salesiana, o se
siamo ridotti ad essere, come dice ripetutamente Papa France-
sco, una semplice ONG che lavora per la promozione della gio-
ventù. Questo "sguardo pastorale" - con la "serena attenzione,
che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza
stare a pensare a ciò che viene dopo" (Laudato Si' 226) - ci per-
metterà di discernere le priorità evangeliche nel nostro lavoro, e
allo stesso tempo di riconoscere "l'azione dello Spirito" nella vi-
ta dei giovani: altrimenti, corriamo il rischio di lavorare molto,
ma tralasciando la missione - un pericolo molto reale, data la
complessità della realtà giovanile.

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ORIENTAMENTI E DIRETTIVE 37
5. Una caratteristica della preghiera salesiana, sottolineata
fin dall'inizio nella nostra Regola di Vita, è il rapporto inscindi-
bile con la vita, sull'esempio di Don Bosco, che "visse l'esperien-
za di una preghiera umile, fiduciosa e apostolica, che congiunge-
va spontaneamente l'orazione con la vita" (Cost. 86). Lo stesso
articolo finisce affermando che la preghiera salesiana aderen-
te alla vita e si prolunga in essa": culmine e fonte, come dice il
Concilio Vaticano II, parlando dell'Eucaristia.
Non si tratta, dunque, di "lasciar alla porta della cappella" le
nostre preoccupazioni, progetti pastorali, entusiasmi e delusioni;
in quel caso, chi entra a dialogare con Dio? Una persona vuota,
senza identità, senza storia, senza motivi per incontrare il Si-
gnore... Come abbiamo visto, l'articolo 95 parla esplicitamente
del "bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico".
6. Cercando di rendere questo punto ancora più concreto, lo
stesso articolo indica, in maniera breve ma molto importante,
come le diverse "forme" di preghiera nascono dalla situazione
vitale dei nostri giovani: "scoprendo i frutti dello Spirito nella
vita degli uomini, specialmente dei giovani, [egli] rende grazie in
ogni cosa5; condividendo i loro problemi e sofferenze, invoca per
essi la luce e la forza della... Sua presenza". La preghiera di lode
e di ringraziamento nasce dalla contemplazione dell'azione dello
Spirito nei nostri giovani (qui di nuovo è necessario lo sguardo di
fede del Buon Pastore: dobbiamo ricordare che Gesù loda e rin-
grazia il Padre anche dopo l'insuccesso della sua predicazione
nelle città del lago! Mt 11,25-30). La preghiera di domanda e di
petizione sorge dalla partecipazione nei loro problemi e difficoltà;
e mi piacerebbe aggiungere una forma di preghiera tipica del
mediatore-apostolo, alle volte troppo dimenticata: quella di inter-
cessione ("affinché il disegno del Padre si compia in ciascuno
di essi" - Cast. 86) e persino di riparazione (nel suo senso più
autentico).
5 L'articolo costituzionale cita Ef 5,20; io aggiungerei Fil 4,6 (il testo paolino della
Messa di Don Bosco).

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
7. Finalmente, tra molti altri aspetti, vorrei sottolineare la
dimensione comunitaria della nostra preghiera: "(il salesia-
no) partecipa alle ricchezze spirituali che la comunità gli offre".
Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto prima, non si potrebbe
intendere questa dimensione anche come una condivisione co-
munitaria dell'esperienza di Dio di ciascun confratello? Come
sarebbe bello se, nella comunità, potessimo esprimere e condivi-
dere la maniera in cui ognuno di noi "scopre Dio" nei nostri de-
stinatari! Penso all'icona di Emmaus: tra quelli che sono rimasti
a Gerusalemme e quelli che sono andati a quel villaggio, e'è un
interscambio di "incontri con Gesù risorto", che culmina con la
presenza del Signore stesso! (cf. Le 24,33-35).
Concretamente...
Indubbiamente, tutto questo costituisce un ideale, una mèta
che non sempre si raggiunge nella nostra vita quotidiana. D'altra
parte, si tratta di un elemento-chiave della nostra spiritualità,
uno degli elementi fondamentali, come si diceva all'inizio: la
"grazia dell'unità", la chiamata a diventare "mistici nello Spiri-
to" e "contemplativi nell'azione". Questo, mi sembra, è anche il
traguardo della vita intesa in chiave di formazione permanente, e
perciò vorrei sottolineare una parola chiave, che intenzional-
mente non ho menzionato finora: "il salesiano impara a incon-
trare Dio... ". Questo termine indica che è indispensabile un ap-
prendistato, fatto in primo luogo di sforzo personale, indubbia-
mente, ma anche di tempo, accompagnamento, esperienze che
facciano possibile questo "imparare". Non dobbiamo dare per
scontato che ogni incontro e lavoro con i giovani automatica-
mente diventi preghiera e incontro con Dio . In altre parole, aven-
do riflettuto sul "che", è necessario anche insistere sul "come".
Prima di procedere, però, vorrei notare che il "che" sopra
tracciato è eminentemente pratico, e in quel senso è già un "co-
me". "Il nostro essere dipende dal nostro modo di vedere e dalla
misura in cui questa visione diviene stabile nella nostra inten-

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ORIENTAMENTI E DIRETTIVE 39
zionalità. Non arriviamo a vedere, tuttavia, attraverso il sempli-
ce atto di guardare, ma attraverso un allenamento della nostra
visione con l'aiuto delle metafore e dei simboli che costituiscono
le nostre convinzioni centrali"6• In qualsiasi sforzo di cambiare la
nostra vita, quindi, acquisire una visione corretta è molto più im-
portante che l'esercizio pur diligente della forza di volontà. Gesù,
dovremmo ricordare, faceva uso abbondante delle immagini. "La
forza di volontà è un motore inaffidabile su cui fidarsi per l'ener-
gia interiore; un'immagine corretta, invece, silenziosamente ed
inesorabilmente ci trae nel suo campo della realtà, che è anche
un campo di energia"7• Il cammino verso la vita come incontro
con Dio, o meglio, l'unione con Lui, comporta una formazione
della nostra visione che non può essere sottovalutata.
Spetta ad ogni Ispettoria, e ad ogni comunità locale, trovare
i mezzi più adeguati per camminare verso questa "identità sale-
siana". Ma possiamo anche ritornare alla "criteriologia" propo-
sta sopra, che ci offre allo stesso tempo anche "condizioni di pos-
sibilità" per arrivare a questo traguardo.
II primo criterio è una condizione necessaria (ma non suffi-
ciente!): se non facciamo lo sforzo di stare con i giovani, non c'è
la possibilità di scoprire l'operazione della grazia in loro. Oggi
costatiamo, in diverse parti della Congregazione, un certo "al-
lontanamento" dai giovani da parte dei nostri confratelli, giova-
ni e non, e soprattutto una certa svalutazione dell'assistenza :
come se avessimo "cose più importanti da fare". Corriamo il
rischio di perdere l'incontro con i giovani reali (alcune volte
troppo difficili da gestire) e ci rifugiamo nell'incontro virtuale,
attraverso tanti mezzi moderni di comunicazione - anche se
' "We are as we come to see and as that seeing becomes enduring in our intention-
ality. We do not come to see, however, just by looking but by training our vision through
the metaphors and symbols that constitute our centrai convictions." Stanley Hauerwas,
Vision and Virtue (Notre Dame: University ofNotre Dame Press, 1981), 2.
7 "Willpower is a notoriously sputtery engine on which to rely for internal energy, but
a right image silently and inexorably pulls us into its field of reality, which is also a field
of energy." Eugene H. Peterson, Under the Unpredictable Plant: An Exploration in Voca-
tional Holiness (Grand Rapids: William B. Eerdmans / Leominster: Gracewing, 1992), 6.

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40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
qualche volta potremmo arrivare al punto di "offrirlo a Dio"! Ma
non è questa la via, non è questo che ci fa diventare "buoni pa-
stori dei giovani" sull'esempio di Don Bosco. Dunque, è indi-
spensabile offrire ai nostri confratelli giovani l'esperienza di
essere con i giovani, educandoli (questo è indispensabile!) al ve-
r o senso dell'assistenza salesiana: il che si fa non soltanto con le
parole ma con l'esempio.
Il secondo, il terzo e il quarto criterio comportano, infatti, una
ri-educazione della nostra visione: la coscienza della missione, la
consapevolezza della dialettica tra Dio che ci aspetta nei giovani
e la nostra vocazione come epifania, lo "sguardo pastorale". Non
basta "essere con i giovani": bisogna farlo con il senso di missio-
ne, che deriva direttamente dall'obbedienza intesa come ricerca
e compimento della volontà di Dio. È necessario cercare strate-
gie e linee di azione per rafforzare questo senso "di fede" nel la-
voro con essi, evitando ogni tipo di individualismo o di "scelte
puramente personali" nell'azione educativa e pastorale. Non ba-
sta fare "cose buone", o anche di "scoprire Dio" in tutte le per-
sone. Siamo chiamati a trovare Dio precisamente nei giovani
"poveri, abbandonati e in pericolo" (Cost. 26), "prioritariamente
la gioventù maschile" (Reg. 3), e non in qualsiasi persona.
Il quinto criterio è la dialettica tra "preghiera" e vita. C'è un
rapporto vitale tra le "pratiche di pietà" - quelle comunitarie e
quelle personali- e la vita. Gesù stesso ha sentito il bisogno di tra-
scorrere lunghi momenti in preghiera. L'amore è prima di tutto
uno stato piuttosto che un atto. Ma ha bisogno di atti, di momen-
ti speciali che lo dichiarano, affermano, celebrano, condividono,
rafforzano. È importante superare un atteggiamento di dicotomia.
Il Dio che scopriamo in coloro a cui siamo inviati è lo stesso Dio che
invochiamo e celebriamo e ringraziamo nei nostri momenti for-
mali e informali di preghiera. Il salesiano ha bisogno di momenti
di silenzio per rivedere e rivivere la sua giornata, per rendere gra-
zie e per l'intercessione. Non può permettersi di trascurare i mo-
menti di tranquillità che sono intrecciati nella struttura della vi-
ta comunitaria. Tali pratiche e momenti sono elementi importan-

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ORIENTAMENTI E DIRETTIVE 41
ti nella dialettica del nostro percorso verso l'unione di amore che
è la vita come preghiera. La nostra vita e il nostro lavoro entrano
in questi momenti, le nostre intenzioni si purificano, i nostri occhi
si schiariscono e la nostra visione si sblocca per vedere l'opera di
Dio nella vita di coloro ai quali siamo stati mandati. È ora di fare
attenzione all'invito dei nostri Capitoli Generali recenti e di cura-
re particolarmente la preghiera personale e la meditazione, dove
ciascuno esprime il suo modo personale e profondo di essere figlio
di Dio, rendendo grazie al Padre e confidandogli i desideri e le
preoccupazioni dell'apostolato, ricordando che per Don Bosco l'o-
razione mentale era "garanzia di gioiosa perseveranza nella voca-
zione", in quanto rafforza la nostra intimità con Dio, salva dall'a-
bitudine, conserva il cuore libero, attinge dinamismo e costanza,
e alimenta la dedizione verso coloro a cui siamo mandati (Cost. 93,
88). Come comunità ispettoriali e locali, abbiamo bisogno di pre-
stare rinnovata attenzione ai ritiri mensili e agli esercizi spiritua-
li annuali, che sono "occasioni particolari di ascolto della Parola di
Dio, di discernimento della sua volontà e di purificazione del cuo-
re", e che "ridonano al nostro spirito profonda unità nel Signore
Gesù e tengono viva l'attesa del suo ritorno" (Cost. 91). Si do-
vrebbe aggiungere qui anche l'accompagnamento spirituale che
"addestra" i nostri occhi, che ci aiuta a sviluppare l'intelligenza
contemplativa e la capacità di discernere la presenza di Dio e l'a-
zione di grazia nei nostri destinatari (vedi CG27 67,2), così pure
l'accompagnamento pastorale nei primi anni di ministero - e qui
i maestri dei novizi, i direttori e le guide spirituali dei postnovizi,
dei tirocinanti e dei giovani confratelli in formazione specifica han-
no una responsabilità tutta speciale. Particolarmente nei primi
anni della formazione, impariamo e siamo aiutati a riconoscere la
dimensione divina della nostra attività. Avvertiamo "l'esigenza di
pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vi-
vo e con il Padre"; impariamo ad essere attenti alla presenza del-
lo Spirito e a compiere tutto per amore di Dio (Cost. 12).
Non c'è bisogno di elaborare ulteriormente la sesta condizio-
ne. Vale la pena, invece, soffermarci sulla settima, la dimensione

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42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
comunitaria, perché risponde all'insistenza dei nostri Capitoli
Generali recenti sulle forme comuni di preghiera, sia vecchie che
nuove. Una delle difficoltà riguardo alla preghiera comunitaria
è la condivisione fraterna, in particolare della nostra esperienza
di Dio. Non è facile "rieducarci" in questo senso. Indubbiamen-
te, è più facile farlo con i giovani confratelli all'inizio della vita
salesiana, ma neanche nel loro caso si può prenderlo per sconta-
to. È necessario trovare momenti idonei di condivisione comuni-
t aria (la lectio divina inclusa), per educarli (e educare noi stessi)
a pregare insieme partendo dalle esperienze del nostro lavoro
educativo e pastorale: preghiere di ringraziamento, di petizione,
di intercessione, di riparazione... Inoltre, queste esperienze
rafforzano e approfondiscono in maniera straordinaria la vita
fraterna, quasi da diventarne un termometro: dove non c'è co-
municazione in profondità, il livello di vita comunitaria è molto
superficiale, a volte quasi inesistente.
Chiedo che il Direttore di ogni comunità, dopo aver studiato
e meditato personalmente su questa mia riflessione, inviti cia-
scuno dei suoi confratelli a fare lo stesso, e renda possibile un
momento comunitario di scambio e dialogo, utilizzando queste o
altre domande simili: Quali aspetti mi colpiscono di più? In qua-
li aspetti avrei/ avremmo bisogno di crescere? Quali passi potrei
/ potremmo prendere in questa direzione?
In modo speciale, invito i maestri dei novizi, i direttori e le
guide spirituali di ogni livello di formazione a escogitare modi
di accompagnare i giovani confratelli, come individui e come
comunità, nel loro cammino verso la vita come preghiera.
Cari confratelli, invochiamo insieme l'assistenza della Ma-
donna, "modello di preghiera e di carità pastorale" (Cast. 92) e
"madre e maestra" (Cast. 98), di san Giuseppe, "maestro della
vita interiore", del nostro padre Don Bosco, e di una moltitudi-
ne di confratelli, grandi e piccoli, tra cui il beato Artemide Zatti
e il ven. Simaan Srugi, i quali vissero la grazia di unità e ora
intercedono per noi.