Don Bosco - Vita di San Martino Vescovo di Tours
Capo VIII. S. Martino alla corte dell'imperatore Valentiniano I, e a
quella dell'imperatore Massimo.
Benchè il santo Vescovo evitasse le corti dei principi, nè amasse di trattare {43 [431]}
coi grandi del secolo, tuttavia la carità verso del prossimo lo costrinse di portarsi due volte alla
corte imperiale. La prima volta fu nell'anno 379, quando andò a Milano ove risiedeva
l'imperatore Valentiniano I per intercedere la grazia ad alcuni, che correano pericolo di perdere le
sostanze e la vita. Saputosi il suo arrivo a Milano ed il motivo per cui era venuto, l'imperatore,
d'indole severa, eccitato da sua moglie che professava l'eresia d'Ario, diede ordine che Martino
non fosse ammesso alla sua presenza; e ciò faceva per torgli l'occasione di fargli la grazia che
domandava. Il buon servo di Dio tentò più volte di avere udienza, ma sempre invano.
Martino non perdendosi di animo, nè turbandosi per le ripulse, colla solita sua fede
ricorse alle armi già altre volte usate, cioè all'orazione, al cilicio, al digiuno, per ottenere da Dio
quello che gli veniva negato dagli uomini. Passò egli sette giorni e sette notti intiere vestito di
cilicio, asperso di cenere senza mangiar nulla. Nel settimo giorno gli apparve un angelo, il quale
gli disse: Va pure alla corte, troverai le porte aperte, entrerai nella stanza dell'imperatore senza
alcuno impedimento. {44 [432]} Così di fatto avvenne. Martino si reca al palazzo imperiale,
passa in mezzo alle guardie e senza far parola di sorta va direttamente nella camera
dell'imperatore. Questi nel vederlo comparire davanti contro gli ordini dati, e senza che ne fosse
avvisato secondo il solito, se ne mostrò sdegnato e si fece a sgridare le guardie che lo avevano
introdotto. Le guardie erano sbalordite e non sapevano che cosa rispondere. Mentre l'imperatore
stava tuttora immobile senza rispondere, nè fare alcuna sorta di accoglienze, ecco ad un tratto un
fuoco improvviso attorniare la sedia imperiale. La fiamma si appicca con veemenza a quella
parte ove appoggiavasi il corpo dell'imperatore. Salta esso velocemente in piedi e tutto tremante
ed umiliato saluta il servo di Dio e accoglie colla massima cortesia colui che poco prima
rifiutava di vedere, e incontanente senza aspettar suppliche gli fece grazia di quanto desiderava.
Di poi lo chiamò più volte a ragionamenti famigliari, e al partire gli offerì diversi ricchi presenti,
che il sant'uomo, siccome amico della povertà, non volle accettare. Così con grande edificazione
{45 [433]} dell'imperatore e di tutta quella corte, Martino ritornò alla sua diocesi.
La seconda volta che per motivo di carità gli convenne andare alla corte fu nell'anno 383,
in cui per intercedere grazie andò a Treveri5 dall'imperatore Massimo: Costui era stato
proclamato imperatore nella Gran Brettagna dalle legioni romane coll'uccisione di Graziano, cui
sarebbe toccato l'impero, ed erasi impadronito delle Gallie e di tutta la Spagna. Per tale
rivoluzione dell'impero molte persone, che avevano tenuto il partito di Graziano, e si erano
opposte con vigore a Massimo, correvano pericolo di essere private dei loro beni e condannale
alla morte. Eravi inoltre certo Itacio vescovo spagnuolo, il quale aveva indotto l'imperatore a
spedire nelle {46 [434]}
Spagne parecchi uffiziali, acciocchè privassero di vita gli eretici Priscillianisti, così detti
da Priscilliano loro capo6. S. Martino che era tutto carità non voleva che si venisse a questa
5Treveri anticamente Augusta Trevirorum antichissima, popolarissima e celebre città di Alemagna. L'arcivescovo di
Treveri era primo cancelliere dell'impero, ed il primo a dire il voto nell'elezione degl'imperatori. La città, conserva
molti preziosi monumenti di antichità, e siccome è fabbricata di pietre di straordinaria grandezza, così suol dirsi nel
paese, che è stato il diavolo che le ha poste in opera. Ci sono poche città nella cristianità in cui esistano tante chiese;
la più bella è la cattedrale.
6Priscilliano capo dei Priscillianisti era un ricco signore di Spagna dotato di una grande attrattiva e di una
maravigliosa facilità di parlare. Egli era capace di patire la fame, la sete, le persecuzioni e i mali di ogni genere
purchè potesse riuscire nelle sue mire. Ma teneva una pessima condotta, ed allettava i suoi seguaci colla dissolutezza
come avevano fatto altri eretici detti Gnostici e Manichei. Oltre di perturbare la chiesa i Priscillianisti si mischiarono
in cose politiche; perciò la loro dottrina fu condannata dalla Chiesa e dalle autorità civili. E poichè non cessavano
mai di cagionare scandali e turbare la pubblica tranquillità furono dall'imperatore Graziano, e di poi dall'imperatore
Massimo condannati alla morte.
Lo stesso Priscilliano dopo di aver a lungo difesa la propria causa e quella de' suoi, subì eziandio l'ultimo supplizio
con parecchi suoi seguaci verso l'anno 585. Ma la sua morte non estinse la setta la quale si dilatò in molti luoghi,
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