Don Bosco - Il Galantuomo pel 1865
In questi ultimi tempi molti e molti preti cattolici vennero con fede, con amore, con
ispirito di sacrifizio a seguitare questa santa carriera. Ora non direm che d’ un solo, il padre
Enrico Domenico Lacordaire; uomo che ha riempito la Francia colla sua gloria, e che ha ridonato
colla sua commovente parola la fede a tante anime illuse e convintone tante altre, come la
Religione cattolica sia la vera inspiratrice di tutto che è grande, nobile e vantaggioso agli
individui ed alle nazioni. Or bene, egli, {16 [452]} questo bel genio, questo pio ed eloquente
predicatore non ha sdegnato ritirarsi negli ultimi anni di sua vita in un pacifico villaggio nei
dintorni di Tolosa per consacrarsi intieramente all’ educazione della gioventù, per la quale ha
sempre nutrito caldissimo affetto. Per questo scopo, egli dopo aver ricondotto in Francia il
grànd’ Ordine di S. Domenico vi ha aggiunto un terz’ ordine insegnante, inteso ad estendere gli
effetti del suo zelo pel bene della gioventù. Il frammento di un discorso che noi vogliamo qui
trascrivere detto dal padre Lacordaire in occasione della distribuzione de' premi ai giovani del
suo collegio di Soreze ci spiegherà tutto il suo cuore, come ci spiegherà il segreto che spinse quei
generosi, di cui abbiamo parlato poc’ anzi, e che spinge il prete cattolico a consacrarsi al bene
della gioventù.
Dopo aver accennato come la Religione cattolica sia la base dell’ educazione soggiunge
queste belle parole: «La Religione in questa scuola ha ripigliato un impero che non le sarà più
rapito; ella vi regna non per forza o colla sola pompa del suo culto, ma per una unanime e sincera
convinzione, per doveri compiuti in segreto, per aspirazioni conosciute da Dio mercè a pace del
bene e il rimorso del male, {17 [453]} per solennità in cui il cuore di tutti si ravvicina e si
confonde in uno slancio non già ispirato dall’ ipocrisia, non arrestato dall’ umano rispetto, ma
frutto generoso di una vera comunità di sentimenti.»
Egli viene poscia a spiegarci il suo segreto.
«Si sa evidentemente se si ami o non si ami; si sa nella propria coscienza per un’
ineffabile testimonianza il movimento che vi regna, ed il cui soffio trasporta la volontà. Ora il
movimento che proviamo pei nostri allievi non posso definirlo che con una sola parola,
semplicissima e celeberrima parola: Li amiamo. Ogni artista ama la sua opera; se ne compiace,
vi si attacca, vi pone la sua vita; e quando l’ opera, invece d essere una statua od un tempio, è un’
anima, la grandezza dell’ opera commuove l’ operaio; e, meglio di Pigmalione innanzi al marmo
di Psiche, crede alla vita di quel ch’ ei fa , e sotto una forma creata vi adora la stessa beltà divina.
La cultura delle anime fu sempre il colmo delle cose ed il gusto dei Savii; ma da che Iddio si è
fatto uomo per coltivarla egli stesso, dacchè l’ Artista eterno quaggiù comparve, e le nostr’
anime sono il campo che egli inafllia, il marmo ch’ egli scolpisce, il santuario che edifica, la città
che prepara, {18 [454]} il mondo che dispone pel suo e nostro Padre, la cura delle anime ch’ era
già si grande, è divenuta un amore che tutti supera gli altri, ed una paternità che non la più rivale.
L’ artista non è più artista, è padre; il saggio non è più saggio, ma un sacerdote. Una
soprannaturale unzione si è aggiunta alla tendenza della natura, e l’ educazione delle anime,
invece d’ essere una cultura, è, per verità, un culto che fa parte di quello di Dio.
«Non ci è difficile amare i nostri allievi. Ci basta credere alle loro anime, al Dio che le ha
fatte e che le ha salvate, alla loro origine ed al loro fine. Più ancor degne d’ interesse, perche son
più giovani, hanno agli occhi nostri l’ invincìbile attrattiva della debolezza e della primiera beltà.
Chi toccherà il cuore d’ un uomo, se non lo muove l’ anima d’ un fanciullo? Chi mai non lo
intenerirà se l’ anima d’ un adolescente alle prese col bene e col male non lo intenerisce? Ah! noi
non abbiamo merito ad amare; l’ amore è a se stesso la sua ricompensa, la sua gioia, la sua
fortuna e la sua benedizione.» Iddio ha voluto, esclamava poco dopo, che all’ uomo non si
facesse alcun bene se non amandolo. Sarebbe men giusto il dire «e senza esserne amato». Ma
però la Dio grazia {19 [455]} il povero cuor dell’ uomo non è sempre un ingrato, e talvolta sa
comprendere quanto sia glorioso esser buono.
Un aneddoto che ci venne raccontato dall’ amato discepolo del venerato religioso l’ abate
Perreyve finirà di far conoscere come il prete cattolico sappia amare le anime, sappia amare la
gioventù. Un anno prima della sua morte egli, il padre Lacordaire, era venuto a Parigi. Siccome
al suo arrivo aveva detto di voler tosto ripartire per Soreze, uno de' suoi più antichi, de' suoi più
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