Don_Bosco-Angelina


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Don Bosco – Angelina o degli apennini
ANGELINA O DEGLI APENNINI PEL SACERDOTE GIOVANNI
BOSCO
TORINO.
TIP. DELL'ORATORIO DI S. FRANC. DI SALES.
1869. {1 [171]}
PROPRIETÀ DELL EDITORE. {2 [172]}
INDEX
Al lettore......................................................................................................................................2
Capo I. La famiglia fortunata.......................................................................................................2
Capo II. Uno strano incontro.......................................................................................................3
Capo III. La buona domestica......................................................................................................4
Capo IV. Rare doti dell'orfanello.................................................................................................6
Capo V. L'assistenza di un moribondo........................................................................................7
Capo VI. Il prevosto e l’orfanello................................................................................................8
Capo VII. Chi fosse l'orfanello; sua educazione..........................................................................9
Capo VIII. Le agiatezze.............................................................................................................10
Capo IX. Le angustie.................................................................................................................11
Capo X. La fuga.........................................................................................................................13
Capo XI. Ultime azioni dell'orfanello........................................................................................14
Capo XII. Morte dell'orfanello..................................................................................................15
Indice.........................................................................................................................................17
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Don Bosco – Angelina o degli apennini
Al lettore
Nel decorso del passato autunno per motivo del sacro ministero mi sono recato in un
paese dove udii a raccontare cose che mi parvero assai interessanti di una giovinetta. Sebbene sia
morta sul principio di questo secolo, se ne conserva tuttor viva la memoria come se fosse testè
soltanto mancata di mezzo a loro. Il paroco di quel luogo mi somministrò molte particolarità e
fra le altre mi diede copia di un manoscritto il cui originale si conserva tra gli archivi parochiali.
Dai {3 [173]} racconti particolari e più positivamente da quel manoscritto ho raccolto quanto mi
parve più curioso, più ameno e più importante pei nostri lettori. Io sono semplice relatore, e sarà
per me gran mercede se taluno leggerà con qualche suo vantaggio, o almeno darà benevolo
compatimento a quelle cose in cui non l'avessi potuto appagare. Dio ci colmi tutti de'suoi celesti
favori e ci conceda lunghi anni di vita felice. {4 [174]}
Capo I. La famiglia fortunata
Alle falde degli Apennini, non molto distante da una delle principali città d'Italia, circa la
metà del secolo passato, viveva una famiglia che godeva la felicità che si può desiderare sopra
questa misera terra.
Pietro era il nome del capo della fortunata famiglia. Educato cristianamente, mercè
economia e diligenza giunse a migliorare la sua condizione, talmente che si annoverava fra i
primi possidenti del paese.
Alla frugalità del vitto egli sapeva unire la liberalità delle limosine. I {5 [175]} miei
affari, egli diceva, cominciarono a procedere prosperamente dal momento che mi sono fatto una
legge di non mai mandar via alcun mendico dalla porta di mia casa colle mani vuote.
Egli attribuiva la prosperità delle sue sostanze ad un campo che egli diceva campo della
fortuna, ma il pubblico nominava campo dei poveri. Era questo un terreno di parecchie are, che
Pietro seminava di fagiuoli e di fave. Lo coltivava e lo custodiva fino a tanto che si poteva
raccogliere qualche frutto, e allora egli cessando di custodirlo come suo, diventava proprietà dei
poveri; i quali potevano andare liberamente a raccogliere quanto occorreva per soddisfare alle
necessità della vita. Ognuno può immaginarsi gli auguri di benedizione e di abbondanza che tutti
pregavano al caritatevole Pietro. Quando avveniva di incontrarlo per via, quei mendici correvano
a lui per ossequiarlo ed esprimergli la propria gratitudine.
Per dare alloggio ai più abbandonati egli teneva pronto un fenile fornito {6 [176]} a
sufficienza di paglia e di lenzuola per coprirsi. Alla sera per altro portavasi in persona ad
osservare che non avvenissero disordini, e recitate con loro le preghiere, augurava loro la buona
sera con qualche cristiano ricordo. Che siate poveri, loro diceva, non importa, ciò non è vizio;
ma che non siate irreligiosi e malvagi.
Era qualche volta avvenuto che alcuni de'ricoverati corrispondendo in modo indegno alla
carità usata, fuggivano di notte portando seco quanto potevano rubare. Perciò Pietro chiudeva
ogni sera la porta del fenile e non l'apriva più fino al mattino.
Aveva Pietro imparata la musica ed il canto gregoriano, ossia canto fermo, di cui
dilettavasi assai. Oltre ad intervenire ai vespri, alla benedizione, alla Messa cantata, era anche
riuscito a farsi una scelta di giovanetti di buona voce e di ferma volontà, ai quali aveva egli
stesso insegnato il canto. Così nelle maggiori solennità si facevano funzioni così maestose {7
[177]} che cagionavano invidia e ammirazione ai paesi vicini.
Tutto il paese aveva in Pietro piena confidenza, e non era mai dimenticato negli impieghi
che soglionsi affidare alle persone più probe ed oneste. Era capo del coro, cassiere di molte opere
di beneficenza, consigliere comunale e fu qualche volta sindaco.
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Il prevosto aveva in Pietro un parochiano fedele e poteva calcolare sopra di lui in caso di
aiuto e di consiglio negli affari più importanti e confidenziali. Tutti trattenevansi volentieri con
lui perchè faceva del bene, a chi poteva, ma del male a nissuno. Perciò tutti si arrendevano di
buon grado alle sue proposte.
La divina provvidenza gli aveva fatto trovare una moglie, che al pari di lui amava la
religione, l'economia, la carità; così che gli affari domestici erano diretti da Cecchina (tale era il
nome di lei, così detto in modo vezzeggiativo da Francesca). Ella aveva cura del vitto, degli
abiti, della biancheria, della disciplina, dei servi e {8 [178]} della educazione di tre fanciulletti,
che formavano l'oggetto delle incessanti sue sollecitudini, e che ella amava come preziosi doni
del cielo.
Era in questo stato la famiglia di Pietro quando un incidente venne a turbarne la pace.
Cecchina era potentemente coadiuvata da una fedele e virtuosa domestica, che l'aiutava ad aver
cura delle cose temporali, specialmente dei crescenti figliuoli. Una serva fedele è un gran bene
per una famiglia, ma è un tesoro ancor più prezioso per la tenera figliuolanza, la cui moralità per
lo più è tutta nelle sue mani. Ora quella fantesca cadde in una malattia, che entro a pochi giorni
la tolse di vita.
Pietro e Cecchina provarono tale afflizione, che maggiore non avrebbero provato se
quella fosse stata loro propria figlia. Dopo la sepoltura Pietro in faccia a tutti quei di casa disse
commosso: Abbiamo toccata una vera disgrazia nella perdita della nostra Manetta, (è questo il
nome della virtuosa fantesca); ora preghiamo Iddio che {9 [179]} ce ne faccia trovare un'altra,
che sia per noi un novello angelo tutelare pei nostri cari fanciulli.
Capo II. Uno strano incontro.
Soleva Cecchina recarsi ad ascoltar la santa Messa in quei giorni e in quell'ora che i
doveri del proprio stato lo permettevano. Ma dopo la morte di Manetta andava più per tempo,
affinchè allo svegliarsi dei ragazzi ella ne fosse ritornata. È bene di notare che la casa di Pietro
era circa un chilometro distante dal paese, e per venire alla chiesa Cecchina doveva passare
accanto al cimitero. Il quale però non mai oltrepassava senza fare una preghiera per le anime di
coloro che colà erano sepolti, aggiungendo un Pater Ave e Requiem in suffragio dell'anima della
cara domestica. Un mattino in sul fare del giorno ella, recandosi in chiesa, si fermò per la solita
preghiera presso {10 [180]} al cimitero, ed essendo il cielo coperto da folta nebbia, a stento
scorgeva chi le passasse vicino. Ella pertanto alla porta del cimitero cerca di mettersi ginocchioni
sopra di un rialzo che a lei pareva un terrapieno. Olà, suona una tetra e gemebonda voce, appena
pose le ginocchia. Olà, pietà, aiuto! Misericordia! gridò Cecchina, e in fretta levandosi cerca di
fuggire. Ma in quello istante dal suo inginochiarsi si alza e come spettro appare una donna che
gridando e fuggendo urta di faccia a faccia con lei, sicchè l'una e l'altra cadono
contemporaneamente a terra in senso opposto. In quel momento la povera Cecchina non sapendo
più se fosse sulla terra o nella tomba, si alza in un attimo e grida, fuggendo verso casa: aiuto, per
carità, aiuto! La sconosciuta tuttora sonnolenta, pensandosi di essere ella pure inseguita da
qualche spettro, fugge correndo dietro all'altra, chiedendo parimenti aiuto e pietà.
Pietro stava in quel momento nell'aia aggiogando i buoi all'aratro, mentre il bovaro
portava un sacco di {11 [181]} grano da seminare nel campo. Credendo che qualche malfattore
avesse insultato sua moglie, dà di piglio ad un tridente; il servo impugna un badile e colla
velocità del lampo corrono in aiuto della padrona.
- Che c'è, gridava da lontano appena da essere udito da essa, chi si avanza, io vi scanno,
io vi infilzo tutti, scellerati che siete.
- È un morto che mi insegue, esclama Cecchina, egli corre, mi chiama, mi minaccia,
eccolo... eccolo...
- Non temere i morti, ripiglia Pietro; se ti corre dietro, è un vivo, non un morto.
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Mentre la buona donna come svenuta corre in casa a gettarsi sopra una sedia, Pietro col
tridente e il servo col badile affrontano il temuto spettro e lo circondano gridando: fermatevi o
siete scannato. Ma quale non fu la loro sorpresa quando invece di morto o spettro o fantasma
vedono una giovane che assai più di loro tremava di spavento.
- Chi siete voi, esclamò tosto Pietro, chi siete, donde venite, che volete, {12 [182]}
perchè inseguite in tal fatta l’onesta gente?
- Non fatemi alcun male, rispose la donna, io sono una povera ed infelice orfanella,
vittima della sventura.
- Ma che volete?
- Dimando che mi salviate.
- Da chi?
- Da chi mi insegue.
- Ma se nessuno vi insegue, anzi voi inseguite gli altri.
- Me misera, dove sono! dove vado! chi mi dà consiglio!
- Presto, venite, ritiratevi in casa, io temo per voi qualche malanno - disse la moglie,
appena potè riaversi e proferir parola.
Conobbe allora Pietro essere stata l'una cagione dello spavento dell'altra e guidato dal
solito desiderio di fare del bene a tutti e del male a nissuno, pensò di condurre la forestiera in
casa per acquietar la moglie e sapere come quello strano incidente fosse avvenuto.
- Cecchina, esclamò, non temere, non è uno spettro, nemmeno un morto: è una povera
giovane spaventata più {13 [183]} di te. Ella ha bisogno di essere refiziata; guardala, poverina, è
mezzo morta!
- Chi siete voi, tosto le disse la padrona.
- Sono una povera orfanella che fuggo la sventura.
- Donde venite?
- Vengo da una città di qui assai lontano?
- Che cosa facevate al cimitero.
- Ho camminato quasi tutta la notte, sul far del giorno mi sentii così oppressa dalla
stanchezza, che, adagiatami contro al muro, che credeva di qualche edifizio, caddi vinta dal
sonno. Nel sonno sembravami che alcuni assassini mi inseguissero e mi avessero raggiunta,
sicchè io mi svegliai gridando.
- Povera me! Voi non sapevate che quell'edifizio era il cimitero. Io andava alla santa
Messa, e per fare una preghiera per l'anima della povera mia Manetta, volli inginocchiarmi, e
persuasa che là fosse un rialzo di terra, mi posi sulla vostra persona. {14 [184]}
- Quanto mi rincresce di aver cagionato quel dispiacere!
- Che spavento, non so come non sia morta!
- Che farsa da ridere, disse Pietro.
- Roba veramente da teatro, aggiunse il servo, che per altro non aveva mai assistito nè a
teatri, nè a rappresentazioni teatrali.
Capo III. La buona domestica.
Pietro fece somministrare una piccola refezione alla forestiera e nel tempo stesso le
indirizzò parecchie dimande per sapere chi ella fosse; ma non potè ricavarne alcun costrutto,
nemmeno vedere alcun certificato che desse garanzia della moralità della misteriosa straniera.
- Ora, disse Pietro, vi siete ristorata, andate pei fatti vostri, io vado a solcare un campo
che mi preme sia per tempo seminato.
- Se non volete annoverarmi tra le {15 [185]} vostre braccianti, datemi almeno qualche
buon consiglio, indirizzatemi presso qualche onesto padrone, dove io possa guadagnarmi il pane
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colle mie fatiche e intanto vivere fuor di pericolo per l'anima mia. Dio vi rimeriterà la carità che
mi usate.
- Se potessi avere garanzia della vostra moralità, sarebbe facile trovarvi qualche buon
padrone, ma una persona sconosciuta, sola, senza scritti di sorta... io non saprei dove indirizzarla.
- Vorrei che qualcheduno mi prendesse anche solo alla prova per qualche giorno, e poi
colla assiduità al lavoro e coll'aiuto del Signore spero di acquistarmi fiducia e buon nome.
- A quali lavori sareste capace?
- Non ho alcun mestiere determinato; ma so fare un po'di tutto, essendo poi sana e
robusta credo in breve tempo rendermi capace a qualsiasi lavoro.
- Anche a zappare?
- Coll'aiuto del Signore anche a zappare. {16 [186]}
- Con quelle mani da signorina usare la zappa farebbe ridere fino i matti.
- Desidero soltanto che ne facciate esperimento.
- Gecchina era stata molto attenta a quel discorso, e osservando il bel garbo, le belle
espressioni e più ancora i pensieri religiosi, con cui condiva il discorso, giudicò di poterla
mettere alla prova e in qualità di giornaliera.
- Noi, ella disse al marito, abbiamo da fare parecchie opere nell'orto, possiamo metterla
qui alla prova; intanto vedremo.
- Mi rincresce assai ammettere persona presso di noi senza conoscerla; ma se così ti
piace, fa pure, ma apri l'occhio affinchè non siano rinnovati i disordini già altre volte avvenuti.
- Come vi dovremo chiamare? conchiuse Pietro:
- Angelina è sempre stato il mio nome.
- State dunque agli ordini di mia moglie, e poi vedremo. Partì intanto coll'aratro e col
carro e andò pei suoi lavori.
- La buona moglie lasciò riposare alquanto la povera orfanella, e sì l'una che l'altra non
potevano finire di parlare e di ridere dello spavento provato alla porta del cimitero.
- Ora, le disse la padrona, venite nell'orto, ci sono più cose a farsi, occupatevi in quelle
che sapete e che potete.
Come se fosse giardiniera di professione, Angelina si cinse un bianco grembiale di tela
grossa, poi diè mano ad un sarchietto e si diede a sarchiare uno strato di spinagi, un altro di
lattughe, svellendo, estirpando la gramigna e le altre erbe nocive ai legumi. Di poi strapiantò
porri, cipolle e cavoli; raccolse fagiuoli, zucche e patate; quindi, zappando il terreno reso vacante
e spargendolo di concime, lo seminò di bel nuovo di quel genere d'insalata che si sostiene vegeta
e verdeggiante negli stessi freddi invernali. Ma ciò fece in modo così regolato e con tal
destrezza, che ognuno ne sarebbe stato {18 [188]} altamente maravigliato. La sera Pietro
domandò notizia dell'orfanella, cui prontamente rispose la moglie:
- L'orfanella è un'eccellente giardiniera; io l'ho attentamente osservata da una finestra;
ella lavorò indefessa tutta la giornata. Aggiustò, trapiantò e seminò in modo che il nostro
giardino sembra divenuto altro. Ma quello che mi ha di preferenza colpita, si è la sua divozione.
Pensandosi di non essere da alcuna veduta, al suono del mezzodì si pose ginocchioni, e colle
mani giunte recitò l’Angelus con grande raccoglimento, di poi continuò pregando così: Mio Dio,
assistetemi. Voi mi avete finora aiutato; deh! compite l'opera vostra. Se questo è il luogo in cui
io vi possa amare e servire tutta la vita, voi inspirate a questo buon contadino che mi ritenga per
sempre presso di sè... Disse ancora altre cose che non ho più potuto capire; ma io giudico che
qualche mistero ci sia in quella giovane. Poco per volta scopriremo tutto.
- Vedremo che ne sarà, rispose {19 [189]} Pietro. Intanto continui a rimanere con noi.
Il giorno seguente Pietro giunto a casa all'ora del mezzodì trovò il pranzo di gusto
squisito.
- Che hai fatto Cecchina? perchè fare spesa fuori di tempo per avere manicaretti... queste
cose si devono fare soltanto nelle straordinarie solennità.
- Non ho speso un soldo, rispose la moglie.
- Chi dunque ha fatto questa eccellente pietanza?
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- Angelina.
- Angelina! Ma con qual cosa?
- Non so, può dirlo essa stessa.
- È cosa semplice, disse Angelina. Alcune uova, una foglietta di latte, con una zucchetta e
un po'di zucchero è quanto ho oggi impiegato per fare la cucina.
- Bene, benone, soggiunse Pietro, con una cuoca di questa fatta noi possiamo sfidare la
cucina del re. Fatevi coraggio, disse ad Angelina, mi sembra che siate capace di lavorare, ed il
vostro contegno mi persuade che {20 [190]} non siate donna di mal fare, perciò vi terremo in
casa nostra; e se l'aspettazione non andrà fallita, chi sa che voi non possiate compiere
l’educazione dei nostri ragazzi, che la nostra Manetta ha dovuto interrompere per volare al cielo?
- Vi assicuro che non avrete a pentirvi della carità che mi usate. Farò quanto posso per
lavorare e corrispondere al benefizio che mi fate. Non cesserò di pregare la misericordia del
Signore che a suo tempo ve ne dia la dovuta mercede.
Capo IV. Rare doti dell'orfanello.
Entro lo spazio di pochi giorni Angelina divenne la maraviglia della casa di Pietro. Le
cognizioni di lei sorprendevano ogni genere di persone. Conosceva il tempo di seminare e
raccogliere le biade dei campi. Parlava della mietitura, della trebbiatura del {21 [191]} grano,
della segatura del fieno, del potare, spampanare, smoccolare le viti, a segno che ognuno l'avrebbe
detta maestra di agronomia. Ma che diremo delle occupazioni domestiche? Con ammirabile
disinvoltura cucinava, apprestava la tavola, assettava i letti, scopava, mugneva il latte, ne faceva
la quagliata, il burro, la ricotta, il cacio, in fine cucire, ricamare, rappezzare, soppressare erano
lavori da lei fatti, come se ciascuno fosse di unico suo mestiere.
Ma le rare qualità dell'orfanella si manifestarono vie meglio allorchè Pietro, fatto certo
del tesoro che possedeva nella nuova domestica, le affidò la cura dei suoi figli. Non fallirono le
sue speranze. Ella cominciò dall'insinuare ne'giovani loro cuori pensieri religiosi. Miei bambini,
loro diceva, non dimenticate mai che Dio è nostro Creatore. Noi eravamo niente; egli ci creò ad
immagine e somiglianza sua, ci creò perchè lo amiamo e lo serviamo fedelmente nella presente
vita. Ma quando noi cessiamo di vivere {22 [192]} ed il nostro corpo è portato alla tomba, allora
l'anima ritorna davanti al Creatore per dar conto delle sue azioni. Oh che gran premio è riservato
in cielo a chi fa delle buone azioni sulla terra!
Loro additava che avrebbero avuto lunga vita sulla terra, se fossero sempre stati
ubbidienti e rispettosi ai proprii genitori. Instruitili nei principali misteri della fede, li preparò
poco per volta a fare divotamente il segno della santa croce, a recitare le quotidiane preghiere, ad
accostarsi ai sacramenti della Confessione, Cresima e Comunione.
Ciò ella faceva con animo allegro, con brevità, spiegando le cose con belle similitudini e
con esempi ameni che ella sapeva in copia. Quindi quei fanciulli non erano mai annoiati della
istruzione, anzi godevano e si mostravano sempre ansiosi di potersi a lungo trattenere colla loro
nonna, così solevano chiamare l'orfanella.
Queste cose non poterono stare celate. Il prevosto facendo un giorno una {23 [193]}
passeggiata fino alla casa di Pietro, ebbe egli pure occasione di parlare colla nuova fantesca.
- Mia buona giovane, le disse, io sono contento delle buone notizie che mi son dette di
voi, so che lavorate, e che ammaestrate nella religione i figli di Pietro ed altri fanciulli del
vicinato. Ciò mi consola assai e credo che anche voi andiate ai santi Sacramenti, non è vero?
- Sì, signor prevosto, credo che mi abbia già potuto conoscere, io vado a confessarmi da
lei ogni settimana.
- Bene, continuate, e ciò che fate voi, insinuatelo anche agli altri, e ne avrete doppio
merito. Ora io dovrei fare un registro di tutti i miei parochiani ed avrei bisogno che mi diceste
anche il vostro nome, cognome, famiglia e patria; credo che non abbiate in ciò difficoltà.
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- Signor prevosto, disse Angelina turbata, io sono una povera fanciulla, vittima della
sventura. Il dire a voi chi sono non farebbe che accrescere le mie tribolazioni, e forse
compromettere {24 [194]} la mia e la vostra tranquillità.
- Ma se io non vi metto a registro, potrei essere compromesso davanti alle leggi.
- Il mio nome è Angelina. Scrivete questo, il rimanente rimandiamolo ad altro tempo.
Il paroco, vedendo quella povera giovane immersa nella costernazione, pensò per allora
di sospendere ulteriori interrogazioni; e intanto cercare altrimenti informazioni di lei. Parlò con
Pietro, con sua moglie, domandò ai vicini, ma tutti decantavano le sue qualità morali, e niente di
più.
- Mi è più volte venuto in pensiero, disse scherzando Cecchina, che questa giovane sia la
nostra Marietta risuscitata con più senno e con maggiore virtù e scienza di quello che aveva
prima di morire.
Risero tutti e il prevosto soggiunse: Rispettiamo i segreti e la suscettibilità di questa
buona fanciulla. Prendendo le cose bel bello, forse giungeremo a scoprire quanto è necessario e
non più. {25 [195]}
Capo V. L'assistenza di un moribondo.
In quel tempo per alcuni politici avvenimenti un esercito francese venne in Italia. Un
reggimento ebbe a soggiornare nel paese dove aveva dimora Angelina. Nella partenza alcuni
militari per malattia non potendo mettersi in viaggio vennero raccomandati al nostro Pietro che
aveva abitazione opportuna. Egli li accolse molto volentieri presso di sè perciocchè in quel paese
non vi era pubblico ospedale. Malgrado ogni assistenza uno di loro peggiorò e in breve si trovò
in pericolo della vita. Qui nacque un grave incaglio per l'amministrazione dei Sacramenti a
motivo che la lingua francese era fra que'buoni terrazzani affatto sconosciuta: e sebbene il
prevosto la conoscesse alquanto sui libri, non aveva per altro mai avuto occasione nè di scriverla
nè di parlarla, sicchè non era in grado di tenere un discorso di cose importanti quali sono {26
[196]} i santi Sacramenti. Fu allora che la nostra Orfanella fece manifeste altre sue morali
qualità. Soleva prestarsi con molto belle maniere all'assistenza degli infermi ogni volta ne fosse
occasione. Fino allora Angelina erasi tenuta ritirata, lasciando che gl'infermieri compissero il
dovere per cui erano stipendiati. Ma quando si accorse del pericolo in cui trovavasi l'anima di
quel militare, pose a parte ogni umano riguardo e si presentò parlandogli francese con parole
scelte e forbite. Stupirono l'ammalato e gli altri che gli stavano attorno, perciocchè in quella
donnicciola niente erasi fino allora ravvisato che una povera fantesca. Ma quale non fu
l'imbarazzo quando venne ad accorgersi che quel militare non era cattolico?
- Io sono luterano, egli rispose ad alcuni consigli che erano suggeriti, e perciò non fo
conto di sacramenti.
- Ma senza sacramenti voi non potete salvarvi, perchè questi sono appunto istituiti dal
Signore per salvare la nostra anima. {27 [197]}
- Non posso essere tranquillo nella mia religione?
- No: voi non potete essere tranquillo nella vostra credenza; perchè dal momento che voi
vi chiamate luterano, voi vi professate seguace di Lutero e non più di Gesù Cristo.
- Ma Lutero non seguiva la vera religione?
- No certamente; prima di Lutero niuno mai professò dottrina simile alla sua; quando
Lutero cominciò a predicare la sua credenza fu una vera novità. Cioè predicò un sistema nuovo
di credenza che è affatto contrario alla fede di Cristo.
- Per dirvi la verità io non mi sono gran cosa occupato di religione. Non posso per altro
nascondervi un pensiero che mi ha sempre lasciato qualche inquietudine. Osservo che i cattolici
sono d'accordo nell'ubbidire al Papa e confessano tutti una medesima fede, quindi quella
uniformità di dogmi e discipline in tutti i tempi, in tutti i luoghi. Fra noi ognuno interpreta le
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cose come vuole, ammette e rigetta {28 [198]} quel che vuole. Nella stessa mia città, e posso
dire nella stessa famiglia vi sono persone che professano cose le une opposte alle altre. Sarà
possibile, ho più volte detto tra me, che vi possa essere la verità in proposizioni opposte? Se per
necessità una deve essere erronea, come conoscere la vera? Chi me lo potrà assicurare? Ora mi
sembra che voi abbiate studiato più di me, e se voi giudicate che per salvarmi sia necessario di
farmi cattolico sono pronto ad ubbidire.
- Ringraziamo il Signore che vi inspira questa santa risoluzione. Siate adunque tranquillo
non sopra la mia parola che può errare ad ogni momento, ma sopra la promessa di Dio che non
può fallire. Avvi un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, e perciò una sola Chiesa di Gesù
Cristo. Esso deputò l'apostolo Pietro a capo di questa Chiesa; a san Pietro succedettero gli altri
Vicari di G. C. fino ai nostri giorni. Essi hanno sempre condannato l'errore e diffuse le verità
proposte, dilatate, predicate dagli apostoli. {29 [199]} Dimodochè noi cominciando dal regnante
Pontefice discendiamo da un Papa ad un altro fino a s. Pietro, fino a Gesù C., e chi confronta la
dottrina del papa d'oggidì con quella dei papi di tutti i tempi, la troverà sempre uniforme come se
vi fosse stato un solo Pontefice. Questo argomento ci assicura che noi abbiamo tutta ed intiera la
dottrina del Vangelo, tutte e singole le verità predicate dagli apostoli. Al contrario i Luterani non
hanno alcun capo, e se si vuole formare la cronologia dei ministri luterani non si può discendere
più indietro che a Lutero. Con esso confondesi il luteranismo, nè prima di lui si trova un solo che
abbia professato la sua dottrina.
- Io mi rimetto a quanto voi dite; ma nel mio stato attuale non posso istruirmi. Che cosa
posso io fare per assicurarmi in qualche modo la mia eterna salvezza?
- Lasciate a me il pensiero di provvedere ai vostri bisogni religiosi. Io vado, me la
intendo col nostro prevosto, egli provvederà ad ogni cosa. {30 [200]}
Di fatto Angelina andò dal prevosto, il quale assicuratosi delle buone disposizioni del
Miret, era il nome dell'infermo, diede carico a lei medesima di continuare ad istruirlo nella fede.
Ma essendo prevenuto dai medici che l'ammalato si trovava in pericolo di morte, gli fece fare
l'abiura della sua eresia e la professione della vera fede. Dipoi gli amministrò sotto condizione il
battesimo pel timore che questo sacramento gli fosse stato amministrato invalidamente; fece di
poi la confessione; gli fu amministrato il viatico, l'olio santo colla benedizione papale. La sera di
quello stesso giorno spirava tranquillamente l'anima sua, baciando il Crocifisso ed invocando la
misericordia del Signore. Le sue ultime parole furono queste: Sia sempre esaltata la grande
misericordia del Signore, che per mezzo di un angelo consolatore mi tolse dalle tenebre e mi
condusse alla luce della verità. Questo è un gran dono del Signore. Se tutti i miei correligionari
potessero gustare le consolazioni che io provo in questo momento, {31 [201]} si farebbero tutti
cattolici. Dio sia benedetto: la sua misericordia infinita salvi me e salvi tutti gli uomini del
mondo.
Capo VI. Il prevosto e l’orfanello.
Fino allora la nostra orfanella era giudicata una buona cristiana, una contadina di buona
volontà che affezionata a'suoi padroni nulla risparmiava per fare del bene a chi poteva. Al più si
ravvisava in lei una giovane di sodo criterio, di molta memoria da ricordare e ritenere le cose che
leggeva. Ma quando si sparse la notizia che ella parlava per eccellenza la lingua francese, che in
modo chiaro aveva saputo persuadere al Miret di farsi cattolico, tutti ne facevano alta maraviglia.
Il prevosto, che erasi trovato presente, quando raccomandava l'anima al moribondo militare,
disse tra sè e lo ripetè di poi con altri: In questa donna si nasconde un mistero. {32 [202]}
Erudizione così profonda e così estesa non può trovarsi se non in chi abbia fatto lunghi studi.
Taluno diceva avere una scienza rivelata dal Signore; altri che la supposta orfanella era
qualche alto personaggio, che in espiazione de'suoi peccati si era condannato a quella vita di
contadino. Nè mancarono quelli che la dissero strega, ed alcuni giunsero fino a crederla un
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angelo mandato dal cielo. Il paroco intanto coglieva tutte le occasioni per raccogliere le notizie
più edificanti che riguardassero l'orfanella, ed un giorno potè farsi promettere qualche cosa in
questo modo. Angelina aveva fatto una malattia che l'aveva portata all'orlo della tomba. Il paroco
le prestò la più caritatevole assistenza e soleva seco lei trattenersi qualche volta un tempo
notabile per confortarla negli acuti spasimi cagionati dal male.
- Sig. prevosto, ella disse un giorno, io mi trovo al fine della vita. Voi potete raddolcirmi
gli affanni di morte, se mi prometteste di raccomandarmi {33 [203]} al Signore nella santa
Messa dopo mia morte affinchè possa essere presto liberata dalle pene del purgatorio.
- Vi do parola di farlo e di raccomandarvi anche in chiesa alle pubbliche preghiere, ma
vorrei anche da voi un favore, che io reputo tornare alla maggior gloria di Dio.
- Chiedete qualunque cosa, sig. prevosto, io sarò fortunata se prima di morire potrò fare
cosa di vostro gradimento.
- Che voi mi raccontiate le vostre vicende prima che veniste in casa di Pietro.
- Povera me! Voi mi dimandate cosa che non posso rifiutarvi, ma che mi ripugna di fare,
perchè in questa guisa comprometterei me e forse avreste anche voi non piccoli fastidi. E poi ciò
vi gioverebbe a niente.
- Aggiustiamo le cose: scrivete tutte le particolarità che riguardano voi, la vostra patria e i
vostri parenti; tacete pure i nomi de'luoghi e delle persone; poi datemi ogni cosa scritta e
sigillata. Io conserverò tutto in forma confidenziale, {34 [204]} nè alcuno vedrà cosa di sorta se
non dopo la vostra morte.
- Nello stato in cui mi trovo non posso scrivere.
- A me basta la promessa di farlo se guarirete.
- In questo senso ve lo prometto e lo farò.
La divina provvidenza dispose che la malata riacquistasse la primiera sanità e scrivesse
una serie di notizie, le quali, se non danno di lei compiuto ragguaglio, servono a farci conoscere
la sua condizione ed educazione. Quelle notizie vennero di fatto scritte, sigillate e consegnate al
prevosto che le conservò sigillate fin dopo la morte di lei. Noi dal paroco successore avendone
potuto avere copia fedele, abbiamo estratto quelle cose che sono più secondo il nostro scopo e le
mettiamo qui per completare il racconto, riserbandoci in appresso di esporre le ultime azioni
dell'orfanella. {35 [205]}
Capo VII. Chi fosse l'orfanello; sua educazione.
Angelina comincia a parlare di se stessa come segue: Io nacqui nella città di... capitale
dello stato; Angela fu il nome impostomi nel battesimo. I miei parenti avevano il primo titolo e
la prima dignità dopo il sovrano. - Mio padre era assai ricco e le sue sostanze gli permettevano di
spendere quattro mila scudi, oltre a venti mila franchi per settimana. - Mia madre ed una nutrice
ebbero cura di me fino agli anni otto. In quella età fui collocata in una casa di educazione per
meglio prepararmi a fare la prima Confessione e a ricevere il sacramento della Cresima e la santa
Comunione. Era intenzione dei miei genitori che io dimorassi colà solamente alcune settimane;
ma osservando che io ci stava molto volentieri, deliberarono di lasciarmi pel tempo necessario
agli studi letterarii, che difficilmente si possono fare in famiglia. {36 [206]} Messa così sotto alla
guida di pie, dotte e prudenti maestre potei presto conoscere la bellezza della virtù e il pregio
delle scienze, imparando a leggere, scrivere, parlar correttamente la lingua italiana e la francese.
Cucire, rappezzare, soppressare, dipingere, suonare il piano forte erano cose che mi tornavano
molto a genio e che mi divennero assai famigliari. Fra i rami d'istruzione vi erano anche gli
elementi di agronomia e di botanica. Ogni giovedì dalle dieci alle dodici del mattino le allieve
erano condotte in un vasto giardino annesso allo stabilimento e loro si spiegavano in modo
pratico che cosa fossero i fiori, e quale il vocabolo con cui ciascuna parte dovesse appellarsi; lo
stesso facevasi delle altre piante, e degli erbaggi. Mi ricordo che mentre il maestro parlava, un
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contadino teneva tra mano la zappa, un altro la vanga e il badile. Noi poi avevamo una zappetta,
ovvero sarchietto; quindi ci spiegavano con voci italiane le funzioni cui servivano questi
strumenti. - Lo stesso facevasi delle viti. Un lungo pergolato {37 [207]} serviva di modello, e
mentre un vignaiuolo lavorava, il maestro diceva che voleva dire potare, spampanare,
smoccolare, vendemmiare, svinare, grappolo, acino, raspo, albio, mastello, tino, cerchio, doga,
botte, barile e simili.
Una maestra faceva parimenti un esercizio pratico intorno alle cose di cucina, di tavola,
di camera. Ella si metteva in un angolo e le allieve apprestavano la mensa, o assettavano una
camera; ma qualunque oggetto prendessero tra mano dovevano pronunciarne il nome ad alta e
chiara voce a comune ammaestramento. Con questo mezzo le educande si rendevano famigliari i
vocaboli delle cose domestiche con molto vantaggio della lingua e con soddisfazione dei nostri
parenti. - Due cose per altro mi erano di fastidio: la passeggiata e la danza. Siccome per altro ciò
apparteneva alle lezioni libere, così ne fui con facilità dispensata. Io approfittava di quel tempo
per lavorare nel giardino e ripassare così in pratica le cose insegnate. Ma {38 [208]} la mia
delizia era passare alcune ore in camera per apprendere non solo la nomenclatura, ma eziandio il
vero modo pratico di confezionare vari generi di minestra, di vivande, intingoli, manicaretti, a
segno che in occasione di villeggiatura le mie maestre per compiacermi davanmi facoltà di
preparare da sola le pietanze e quanto occorreva per pranzo e per cena. - Allora imparava quelle
cose per diporto, ma mi riuscirono poi utilissime specialmente quando sono venuta nella casa di
Pietro, il quale mosso da carità e dalla varietà de'lavori, di cui era capace, mi accolse per sua
domestica. L'infermeria era del pari un sito dove io andava spesso a trattenermi o per consolare
le compagne inferme o prestare loro qualche servizio. Rammento ognor con dolore l'assistenza
prestata alla più cara delle mie amiche negli ultimi momenti di sua vita. Mi voleva sempre
accanto al letto, ed io colla religione e con segni di benevolenza mi adoperava in tutte guise per
renderle meno amara la sua agonia. - Fu quella {39 [209]} compagna che mi lasciò un ricordo,
che non potrò mai cancellar dalla mia mente. Angelina, ella mi disse con tremola voce, cara mia
Angelina, che terribile momento è mai per un ricco che si trovi al punto di morte. Abbi ognor
presente il detto del nostro Salvatore: è più facile che una grossa fune passi per la piccola cruna
di un ago che un ricco si salvi. - In casa tua tu hai molte ricchezze, perciò... voleva parlare, ma le
mancò la parola e poco dopo spirò. - O amica fedele, Dio ti accolga fra i beati in cielo. Il tuo
avviso non fu compiuto, ma io ne intesi abbastanza e mi rimarrà fisso nella mente per tutta la mia
vita. - Dopo sette anni di educazione i miei parenti mi richiamarono in famiglia per compiere,
dicevano, la mia educazione, ma in realtà per impedire di farmi monaca, cui conoscevano avere
molta tendenza. {40 [210]}
Capo VIII. Le agiatezze.
Ritornata in famiglia, mio padre mi volle subito far dare lezioni di danza, cui aveva
sempre avuto assoluta avversione. Io ravvisava una specie di pazzia quando vedeva uomini e
donne mossi unicamente dallo suono di alcuni istrumenti, o eccitati dalle corde musicali,
moversi, girare e saltare da spiritati. Di qui cominciarono i dispiaceri e le opposizioni. - Mio
padre desiderava fare di me una signorina galante, che fosse l'anima delle conversazioni geniali;
io al contrario abborriva ogni genere di lusso o di vana comparsa. - Mio padre mi condusse una
volta al teatro e fu una volta sola; giacchè i discorsi che si facevano, le cose che si
rappresentavano e lo smodato vestire erano incompatibili coll'onestà e colla coscienza del
cristiano. - Ma le mie afflizioni si accrebbero dallo spreco che si faceva del danaro in cose inutili
e talvolta {41 [211]} dannose. - Quaranta persone di servizio per quattro persone: io, i miei
genitori ed un fratello. Due carrozze caduno, una per l'estale, l'altra per l'inverno con un numero
corrispondente di cavalli e di cocchieri; due guardiaportone, due portieri, due maggior domo, due
maestri di etichetta, o come si dice, due maestri di cerimonie. Il rimanente era occupato nei vari
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uffizi domestici. Tante persone di servizio, mentre la decima parte avrebbe bastato a tutto e per
tutti. Nelle sedie, nei pavimenti, nei letti, nella mensa l'oro e l'argento erano scialacquati. - Non è
che mio padre non avesse religione; che trattava bene i frati e i preti ogni volta che se ne
presentava l'occasione; anzi godeva quando poteva seco avere a mensa qualche illustre
personaggio, come sarebbe un canonico, prevosto o prelato; ma ciò con fine umano, per far
parlare di sè e per essere lodato. Se era richiesto di qualche carità, per lo più sclamava che aveva
molte spese, molte imposte, diminuzione di {42 [212]} entrate e simili. Intanto si trovavano
somme enormi per dare delle serate agli amici, intraprendere lunghi e spendiosissimi viaggi,
cangiare e rimodernare ogni anno i suppellettili di casa; senza calcolar il continuo cangiare,
vendere, comperare carrozze, cavalli con immensi dispendi.
Nelle stesse limosine io non vedeva certamente quello che dice il vangelo: la sinistra non
sappia quello che fa la tua destra. Tutto l'opposto. Se non facevansi profondi inchini, pubblici e
ripetuti ringraziamenti, o se non si dava in qualche modo pubblicità alle offerte, per lo più quella
offerta era l'ultima; nè più avrebbesi potuto cavargli un soldo sotto allo specioso pretesto che
quel tale era un ingrato, ma in realtà perchè non aveva suonata la tromba ai quattro venti. Mi
sembrava potersi dire col Salvatore: Hanno già ricevuto la loro mercede. Un giorno ho
dimandato a mio padre come intendeva le parole del vangelo: Date il superfluo ai poveri.
Rispose egli che questo era consiglio, ma non precetto. Mi sembra, aggiunsi, che la parola {43
[213]} Date sia di modo imperativo e perciò un vero comando e non un consiglio. Non mi fece
alcuna risposta. Altra volta gli dimandai come intendesse quelle altre parole del vangelo: Guai
airicchi; è più facile che una grossa fune passi per la cruna d'un ago che un ricco si salvi.
Queste cose, egli disse, bisogna che si studino, si sappiano, ma non fermarcisi troppo sopra,
altrimenti fanno perdere la pace del cuore, anzi farebbero dare la volta al cervello se uno di
troppo se ne desse pensiero.
Tale risposta fu come una scintilla alle mie perturbazioni. Se è una verità, io diceva,
perchè non meditarla sempre? Perchè dal mondo è dimenticata? Quel guai ai ricchi vorrà forse
dire che essi debbano andare tutti perduti? siccome ci vuole un gran miracolo perchè una grossa
fune passi pel foro di un ago, così è forse d'uopo che si operi un miracolo di questo genere
perchè un ricco si salvi? Se è così difficile che un ricco si salvi, non è meglio mettere in pratica il
consiglio del Salvatore: vendete quello che possedete e datelo aipoveri? {44 [214]} Mio padre
dice che il pensare seriamente a queste cose potrebbe far dare volta al cervello. Ma se produce
questo terribile effetto il solo pensiero, che sarà di chi avesse la sventura di provarne le
conseguenze della minaccia del Salvatore che sarebbe l'eterna perdizione?
Capo IX. Le angustie.
Agitata dal pensiero delle difficoltà che ha un ricco per potersi salvare, mi sono recata da
un venerando ecclesiastico per avere instruzioni e conforto. Quell’uomo di Dio mi rispose che
queste parole vogliono essere nel loro vero senso interpretate. Volle il Salvatore significare,
diceva, che le ricchezze sono vere spine e sorgente infausta di pericoli nella via della salvezza, e
ciò pel grande abuso che per lo più se ne fa; spese inutili, viaggi inopportuni, intemperanze, balli,
giuochi, oppressione dei deboli, fraudazioni {45 [215]} della mercede agli operai: appagamenti
di passioni indegne, liti ingiuste, odio, rabbia e vendette, ecco il frutto che molti raccolgono dalle
loro ricchezze. Per costoro le sostanze temporali sono un gran rischio di perversione spirituale, e
di costoro appunto disse il salvatore: Guai ai ricchi; è più facile che una grossa fune passi per la
cruna di un ago, che un ricco si salvi.
Ma coloro che fanno buon uso delle ricchezze, che se ne servono a vestire i nudi, a dar da
mangiare ai poveri affamati, dar da bere agli assetati, albergare pellegrini; quelli che senza
vanagloria e senza ambizione danno il superfluo ai poveri, costoro, dico, hanno un mezzo di
salvezza nella loro sostanza temporale, e sanno cangiar le ricchezze, che sono vere spine, in fiori
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per l'eternità. Credetelo: quando Dio dà delle sostanze temporali ad un uomo, fa una grazia, ma
la grazia è assai maggiore, quando inspira il coraggio di farne buon uso.
Voi intanto, conchiuse quel direttore, non datevi affanno per le ricchezze {46 [216]} che
avete; giacchè con esse voi potete fare molte opere buone, e acquistarvi gran merito per l'altra
vita. Procurate solamente di farne buon uso. Vi raccomando però due cose assai importanti. La
prima di non essere tanto stretta nel calcolare il superfluo. Alcuni si pensano che dando un
decimo od un ventesimo in limosina, possano del resto farne quell'uso che loro tornerà più
gradito. Non è così. Disse Iddio di dare il superfluo ai poveri senza fissare nè decimo nè
ventesimo. Perciò dobbiamo soltanto tenerci per noi il necessario dandone il rimanente ai poveri.
Vi raccomando in secondo luogo di non mai dimenticare che non porteremo con noi
alcuna sostanza temporale alla tomba, e che perciò, da volere a non volere, o per amore o per
forza, o in vita o in morte, dobbiamo abbandonare tutto. È meglio pertanto staccarci dalle cose
terrene volontariamente con merito e farne buon uso nella vita, che abbandonarle poi per forza e
senza merito al punto della morte. {47 [217]}
Questa risposta semplice e chiara invece di acquietarmi accrebbe ognor più le mie
angustie. Mi sono confermata nella persuasione che le ricchezze sono un gran pericolo di
perversione, e che è cosa molto difficile farne buon uso.
In quelle mie incertezze ho voluto consultare le opere di un santo, a cui mio padre mi
aveva avvezzata a farne frequente lettura. Era questi s. Girolamo, che la Chiesa proclama il
massimo dottore nello interpretare le sante scritture. Desidero, diceva il padre mio, che la mia
figliolanza si renda famigliare la lettura delle lettere di questo glorioso nostro concittadino. La
sua eloquenza, la sua dottrina, la sua chiarezza mi hanno sempre eccitato all'entusiasmo.
Pertanto ho voluto consultare questo gran maestro.
Ma egli parimenti nelle sue lettere qua e là chiama le ricchezze: spine che pungono, peso
che aggrava gli uomini e dal cielo li strascina alla terra; strumenti che accecano i più veggenti;
oggetti di perversione; materia infausta di cui l'uomo suole servirsi per iscavarsi {48 [218]}
l'abisso di perdizione; alimento della superbia, della vanagloria e dell'ambizione; esca per
secondare le più sfrenate passioni.
S. Gerolamo stesso volle dare esempio della stima che devesi fare delle cose del mondo.
Abbandonò patria, parenti, amici, pose in non cale il vasto campo di gloria che gli preparava lo
straordinario suo ingegno; tutto volle abbandonare per andarsi a nascondere nell'orrido deserto di
Calcide.
Ma ciò che più di ogni altra cosa mi colpi furono le parole con cui pone fine alla vita di
san Paolo primo eremita. Dopo aver bellamente esposte le azioni di quel glorioso abitator della
Tebaide conchiude così:
«In fine di questo racconto mi sia permesso di interrogare i ricchi ed i potenti del secolo, i
quali sprecando il danaro fabbricano palazzi d'oro e di marmo; e comprano possessioni di cui
ignorano il prezzo ed il confine; dicano costoro: che cosa mancò a questo povero vecchio, cioè a
Paolo? Voi, o {49 [219]} ricchi, bevete in tazze ingemmate, e Paolo bevendo l'acqua col concavo
della mano soddisfece così al bisogno della sete. Voi portate abiti lavorati in ricamo o tessuti
d'oro; e Paolo fu sempre contento di una povera tunica, quale nemmeno portano gli ultimi dei
vostri schiavi. Ma intanto a questo povero è aperto il paradiso, e a voi l'inferno. Egli amando la
nudità, conservò la veste, ossia la grazia di Gesù Cristo; e voi vestiti in seta avete perduto il
vestimento della grazia di Cristo. Paolo è sepolto vilmente sotto un po'di terra; ma egli risusciterà
in gloria; mentre voi coi sepolcri lavorati in marmi squisiti e ornati in oro risusciterete per ardere
tra le fiamme. Deh! abbiate pietà di voi e delle vostre ricchezze e non le spendete in cose vane ed
inutili. Perchè vestire i cadaveri dei vostri morti con vesti dorate? L'ambizione e la vanità non
cesserà nemmeno alla tomba? Forse i corpi dei ricchi non possono marcire se non avvolti in
seta? O voi tutti che leggete queste cose {50 [220]} ricordatevi di pregare per me Girolamo
peccatore.
Vi dico in verità che se Dio me ne desse la scelta, eleggerei piuttosto la povera tunica di
Paolo co'suoi meriti, che la porpora e tutti i regni della terra.»
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Fin qui S. Gerolamo.
La dottrina e l'esempio di questo santo accrebbero gli affanni miei al punto di gettarmi in
una vera costernazione.
Altro doloroso avvenimento pose il colmo a'mali miei. La cara mia genitrice, il sostegno,
la direttrice delle cose temporali e morali della famiglia, la mia guida, il mio tutto cessava di
vivere dopo breve malattia.
Una cosa di lei mi rimase altamente impressa nella mente.
Allora che il sacerdote le dava il crocifisso a baciare, diceva: Ecco il nostro amico, il
nostro modello, mettiamo in lui la nostra fiducia. Non mai alcuno, che abbia sperato in lui, restò
confuso.
Come, dissi tra me piangendo, Gesù {51 [221]} Cristo è nostro modello; egli moriva
povero, nudo sopra un duro legno, abbeverato con fiele e mirra! Che terribile confronto! In
nostra casa l'argento, l'oro, il lusso, le bibite più ricercate, e non già inzuppate in una spugna, ma
versate in vasi di cristallo o d'altra sostanza preziosa. Quale somiglianza adunque avvi tra Cristo
modello e chi lo dovrebbe imitare?
Finalmente la moribonda madre m'indirizzò queste ultime parole: Angelina, disse
stringendomi la mano e versando lacrime di commozione, io non posso più vivere, spero di morir
nella misericordia del Signore; ma ricordati che la morte è terribile per chi ha godute agiatezze
che per forza deve per sempre abbandonare. Se Dio ti chiama a qualche atto generoso, sia anche
tu generosa a corrispondere, nè mai dimenticare che i sacrifizi fatti nella vita saranno largamente
compensati al punto di morte. Allora l'uomo raccoglierà il frutto di quanto ha seminato nella vita.
Queste parole alludevano al pensiero più volte manifestato {52 [222]} a mia madre di volermi
ritirare in qualche monastero per consacrarmi definitivamente al Signore.
Capo X. La fuga.
Dopo la morte dell'amata genitrice le cose di nostra famiglia subirono notabilissime
mutazioni. Mio fratello mercè un matrimonio aveva quasi raddoppiate le molte sostanze di cui
era già padrone. - Un onesto collocamento si stava preparando eziandio per me. Tutti i miei
parenti ne esaltavano la convenienza. Ma io provava la più viva ripugnanza a quello stato, anzi
ogni giorno più mi cresceva il desiderio di andarmi a nascondere in un monastero di cappuccine,
concui la nostra famiglia teneva relazioni. Mio padre voleva che accettassi il fidanzato proposto,
e mi proibì severamente di pensare a farmi religiosa. Se tu vai in monastero, mi diceva
severamente, {53 [223]} io verrò a trarti fuori o viva o morta.
Di più egli per motivi suoi particolari desiderava che mi allontanassi dalla famiglia e
proibendomi il monastero bisognava scegliere il matrimonio. Egli trattò ogni cosa da sè, come se
io avessi dato pieno consenso, e aveva fino fissata l'epoca dello sposalizio. Io mi trovava nella
massima costernazione. Chi mi dà consiglio, chi mi dirigerà nelle mie incertezze? andava
esclamando vagando per la mia camera. Fu allora che quasi macchinalmente corsi a prostrarmi
davanti ad un'immagine della santa Vergine dove mia madre soleva porsi ginocchioni per fare le
sue preghiere. Fosse per la stanchezza, o per l'affanno, fosse per la rimembranza della perdita di
lei, io caddi svenuta. In quel momento non so se in sogno o nella immaginazione vidi mia madre
che mi disse in tuono severo: Il tuo scampo è nella fuga. Ritorno in me stessa, medito quel
pensiero e risolvo di effettuarlo. {54 [224]}
Ma dove andare? entrar nelle cappuccine? avrei compromesse quelle buone religiose;
d'altronde chi avrebbe potuto prevedere le escandescenze di mio padre?
Colsi l'occasione in cui questi era fuori di casa per qualche giorno, sola mi recai da una
rigattiera, comperai abiti da fantesca, me li indossai invece de'miei, dicendo alla negoziante di
tener questi presso di sè finchè io fossi ritornata. Di poi nascosta allo sguardo altrui da una
grossa e logora cuffia, con un canestro in mano in cui aveva riposto un po'di pane con alcuni
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Don Bosco – Angelina o degli apennini
frutti per la giornata, partii dalla patria mia per andar dove la divina provvidenza mi avesse
condotta. Camminai tutto il giorno; ma giunta la sera mi trovai in una trista posizione. Era notte
oscura, e doveva camminare una strada deserta in cui non appariva nè orma di uomini, nè segni
che anche a qualche distanza abitasse anima viva. Verso la mezzanotte non potendo più
camminare mi scostai alquanto dalla via per riposarmi {55 [225]} alcuni istanti. Già mi era
seduta, quando a poca distanza scorgo un lume. Tacita allora mi vi avvicino, persuasa di trovare
qualche persona amica; e già apriva bocca per dimandare ricovero per quella notte; quando
invece vidi otto uomini che mangiavano e bevevano allegramente raccontando ciascuno i furti e
gli assassini commessi nella scorsa giornata. Non caddi a terra, perchè Dio mi sostenne; ma il
mio spavento fu grande. Camminando sulla punta dei piedi per non fare rumore ritornai sulla
strada primiera e feci ancora alcune ore di cammino finchè non potendo più reggermi decisi di
sedermi presso un cespuglio ch'era accanto alla strada. Ma che? fosse un cane, una volpe od altro
animale che giaceva dentro al cespuglio, egli ebbe paura di me come più ancora io l'ebbi di lui.
Mandò un grido che si avvicinava all'urlo del lupo e fuggendo urtò in me, e mi gittò a terra. Potei
ancora alzarmi, camminare alcuni istanti finchè ricaddi come morta. Senza che me ne fossi
accorta ciò avvenne alla porta del cimitero. {56 [226]} Un profondo sonno congiunto ad una
quasi totale prostrazione di forze mi invase e rimasi come in un letargo sino al mattino. Nel
sonno mi pareva di essere inseguita e quasi raggiunta da que'malandrini, quando la moglie di
Pietro venne ad inginocchiarsi sopra di me credendomi la riva del cimitero.
Taluno forse dimanderà che ne sia stato di mio padre. Da notizie ricevute posteriormente
conobbi come egli appena intesa la mia fuga montò sulle furie e corse alle cappuccine. Nè
avendomi colà trovata si mostrò molto desolato per l'incertezza della mia sorte finchè un amico
gli disse: Perchè mai affannarvi; vostra figlia con questa azione vi ha rinnegato da padre e con
ciò si rese indegna del nome di vostra figlia. A queste parole si acquetò; e rivolse le sue
sollecitudini per effettuare il progetto che da qualche tempo vagheggiava e che la sola mia
presenza in famiglia faceva ritardare. Mio fratello prese la cosa in senso benevolo. Se a mia
sorella, disse egli, va a garbo chiudersi in un monastero, sia pure {57 [227]} così. È questo un
piacere come gli altri. Quindi contento di porsi all'amministrazione delle sostanze che mi erano
fissate in dote non badò più ad altro.
Lo scopo della mia fuga era di svincolarmi dal mondo e allontanarmi dalle domestiche
agiatezze in cui ravvisava un pericolo di eterna perdizione. Desiderava di lavorare, fare penitenza
dei miei peccati e così assicurarmi la salvezza dell'anima. Ciò non poteva fare in monastero,
dove non sarei stata accolta senza che prima manifestassi la mia condizione; nè i monasteri di
nostra conoscenza mi avrebbero ammessa per le gravi molestie, cui sarebbero stati esposti.
Perciò ho deliberato di fuggire sconosciuta abbandonando la mia vita nelle mani di quel Dio,
nelle cui mani sono le sorti degli uomini; nè cade un capello dal nostro capo senza che egli lo
voglia o lo permetta. Dio mi condusse nella casa di Pietro, che per me fu arca di salvezza. Fin
qui la relazione scritta dalla medesima Angelina. {58 [228]}
Capo XI. Ultime azioni dell'orfanello.
La vita dell'orfanella nella casa di Pietro fu una serie continua di buone azioni. Ignorando
tutti l'alta sua condizione ognuno non ravvisava in lei che una semplice e laboriosa domestica.
Qualunque uffizio, qualunque lavoro era colla massima alacrità adempiuto. La sua condotta
morale era un modello per tutti. Dalla sua bocca non uscì mai parola di vanagloria, o che
meritasse il minimo rimprovero.
Le mormorazioni, le critiche sui fatti altrui erano affatto da lei sbandite. Dobbiamo
occuparci di tante cose nostre, perchè andarci a mischiare ancora nei fatti altrui? Faceva bene a
chi poteva, male a nissuno. Con questo mezzo ella godeva la benevolenza di tutti e ognuno
andava a gara per fare quello che tornasse a lei di gradimento.
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Nei giorni festivi compieva li suoi religiosi doveri assistendo alla messa, predica e
benedizione. Il rimanente {59 [229]} della giornata impiegava a raccontare esempi edificanti e
nel fare buone letture in compagnia di molte zitelle che specialmente ne'giorni festivi godevano
di potersi raccogliere intorno a lei per ascoltare i suoi discorsi e gli ameni racconti che ella
andava esponendo a comune vantaggio.
Soleva da prima accostarsi ogni quindici giorni alla confessione, di poi ogni otto. Se
dobbiamo badare a tenere puliti gli abiti del corpo, quanto maggior cura dobbiamo usare per
tener pulita l'anima e lavarla dalle macchie che per avventura le facesse il peccato.
Un giorno una compagna le espose alcuni spropositi uditi sulla confessione, cui ella
semplicemente rispose: Non dobbiamo badare a quello che dice il mondo, ma a quello che dice
Iddio. Nel santo Vangelo egli ha detto a'suoi ministri: A chi rimetterete i peccati sono rimessi; a
chi voi li riterrete sono ritenuti. Con queste parole Dio diede ai confessori facoltà di rimettere o
non rimettere, cioè di perdonare o non perdonare i peccati secondo {60 [230]} le disposizioni del
penitente. Inoltre per conoscere se esistano cose che impediscano di assolvere uopo è che siano
manifestate, ed ecco la necessità della confessione esterna dei peccati, senza cui non si ottiene il
perdono dei peccati commessi dopo il battesimo.
Frequentava molto la santa Comunione; procurava di accostarvisi ogni giorno festivo e
quando il confessore ne la consigliava ci andava anche più volte lungo la settimana. Anzi nelle
novene delle maggiori solennità ella procurava di comunicarsi tutti i giorni. E vero che si doveva
qui impiegare un po'di tempo, ma ella si alzava presto al mattino, compieva le sue pratiche di
pietà e si trovava all'ora dovuta pei suoi doveri. Pietro poi ne era contentissimo, e le disse più
volte di non darsi alcuna pena se per attendere alla religione doveva differire od anche
ommettere qualche lavoro domestico. Dio ha molti modi, egli diceva, di compensare quanto
facciamo per amor suo.
Un giorno mentre veniva dalla chiesa, {61 [231]} un cotale, che nel paese passava per
sapiente: Povera Angelina, le disse, che necessità vi è di andare cotanto spesso alla Comunione,
e così privarvi del necessario riposo con tanto disturbo?
La necessità è grande, rispose ella con calma, Dio comanda di accostarci spesso. I
primitivi cristiani si comunicavano ogni giorno; perchè non possiamo fare anche noi altrettanto?
Se ogni giorno diamo alimento al corpo che fra poco deve essere portato al sepolcro, perchè non
dovremmo usare se non maggiore almeno uguale sollecitudine per dare il dovuto nutrimento
all'anima che deve vivere in eterno?
In questa guisa Angelina era divenuta l'ammirazione di tutti; e chi voleva indicare una
persona virtuosa, caritatevole, additava l'orfanella di Pietro.
Nella casa del suo padrone era venerata come un idolo, e Pietro considerandola come
propria figlia, la faceva padrona della casa a segno che ella poteva in casi particolari allontanarsi
{62 [232]} per assistere infermi, fare catechismo a povere ragazze, prepararle a fare la loro
confessione e comunione. Angelina era divenuta come la regina del paese e diceva in cuore suo
che Dio la ricompensava troppo largamente nella presente vita. Ma ogni mortale ha il suo
termine sopra la terra. E la nostra Orfanella si andava avvicinando eziandio al tempo in cui
doveva ricevere la ricompensa di tante virtù. Ella vide la famiglia di suo padrone crescere in
numero, virtù e ricchezze. Pietro d'un età molto avanzata, col riso sulle labbra e colla pace
de'giusti nel cuore riposava nel bacio del Signore. Franceschina lo aveva di poco preceduto.
Angelina li assistette ambidue colle cure più affettuose. Giorno e notte non li abbandonò mai
fino all'ultimo respiro. Li pianse dopo morte come se fossero stati suoi propri genitori, e finchè
visse non mancò di fare mattino e sera speciali preghiere per l'eterno riposo dell'anima de'suoi
padroni, cui ella dava sempre il nome di benefattori. {63 [233]}
Capo XII. Morte dell'orfanello.
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Don Bosco – Angelina o degli apennini
Finalmente la nostra Orfanella doveva ella pure abbandonare l'esiglio del mondo per
volare a quella patria celeste che era stato l'oggetto costante del suo cuore e di ogni suo pensiero.
La vita cristiana in ogni tempo tenuta, l'eroico distacco dalle comodità e dalle grandezze della
terra, la pratica costante della pietà, le facevano considerare la morte come un termine sospirato
di cessare dalle pene per entrare al possesso della vera felicità. Sebbene fosse in età di oltre a
settant'anni tuttavia godeva sanità, floridezza invidiabile alla stessa gioventù, sicchè ella avrebbe
forse ancora protratti non poco i suoi giorni, se un doloroso avvenimento non avesse contribuito
a troncarli. Eravamo al principio di questo secolo: gli avvenimenti politici avevano sconvolto
l'Europa intera; e la cattolica religione ne aveva sofferto assai. Le chiese spogliate o {64 [234]}
profanate, i conventi soppressi, i monaci dispersi, le monache cacciate dai chiostri, preti, vescovi
e cardinali perseguitati ed esigliati, lo stesso Sommo Pontefice, Pio VII, deposto dal suo trono,
condotto prigioniero di paese in paese, sono i fatti che ci danno una debole idea dei mali che
opprimevano il mondo l'anno 1810, quando appunto avvenne la morte di Angelina.
Un mattino la nosra Orfanella si recò per tempo in chiesa, fece la sua Confessione e
Comunione con insolito e più fervoroso ringraziamento. Di poi andò a casa e si pose a lavorare
secondo il solito. Ma al mezzo dì il maggiore dei figli di Pietro entra in casa agitato e turbato.
Angelina, le disse, una grande sciagura incoglie il mondo tutto: chi sa che sarà di noi!
- Che? rispose Angelina con tremola voce.
- Il nostro sommo pontefice, il regnante Pio VII, il capo della cristianità, il successore di
S. Pietro, il vicario di G. C. da Savona è stato condotto in Francia, e Dio voglia che {65 [235]}
mentre io parlo egli non sia già morto! - Gran Dio, esclamò Angelina, salvate il vostro
rappresentante sopra la terra. Voi siete sdegnato pei peccati degli uomini, deh! ricevete la povera
vita mia in espiazione di tanta iniquità, ma salvate il capo della Chiesa. – Ciò detto, ella cadde
svenuta e si abbandonò sopra di una sedia. Venne tosto portata a letto, e in fretta si chiamò il
paroco pei conforti della religione. Quando egli giunse, Angelina pareva estinta, ma dopo alcuni
istanti si riebbe alquanto, e aperti gli occhi: Sig. prevosto, disse a stento, aiutatemi... Datemi
l'Olio santo, datemi il crocifisso. Come l'ebbe tra mano: Mio Gesù, disse con parole appena
intelligibili, voi siete nato, vissuto nella povertà, e siete morto nudo in croce. Ho lasciato ogni
cosa per voi ed ora nelle vostre mani raccomando l'anima mia. Baciando quindi il crocifisso fece
un dolce sorriso e in quell'atto l'anima sua volava in seno al Creatore. Così terminava i suoi
giorni l'Orfanella degli Apennini. Ella avrebbe venduto il fatto {66 [236]} suo e datolo in
limosina, come dice il Salvatore; ma giudicò meglio di mettere in pratica l'altro consiglio che
diede pure il nostro Salvatore ad un giovane che prima di porsi alla sua sequela voleva recarsi a
dar sepoltura al defunto suo padre. Lascia, egli disse, che i morti seppelliscano i morti, tu vieni e
seguimi.
Ella fu sempre grandemente contenta del sacrifizio che aveva fatto, abbandonando le
agiatezze del mondo. Se io fossi rimasta in casa, lasciò scritto nelle sue memorie, per vendere le
sostanze che mi spettavano, i miei parenti avrebbero certamente messo incaglio a'miei disegni.
D'altronde il piacere di amministrare cose temporali, le lodi esagerate che suole tributare il
mondo a chi fa qualche opera clamorosa, avrebbero anche potuto farmi cangiar disegno o almeno
diminuitone il merito di assai. - Ho pensato di troncare ogni difficoltà, non badando più a nulla di
quanto era nel mondo e così lasciare che i morti seppellissero i morti. {67 [237]}
Il più bel giorno di mia vita, diceva altrove, fu quello in cui fuggii dalla casa paterna; fu
un atto grave che non consiglio ad altri, ma per me fu il principio della felicità, e posso dire che
d'allora in poi io vissi come in un vero paradiso terrestre. Se i ricchi gustassero la consolazione
che si prova nell'abbandonare le cose del mondo, o nel darle ai poveri per amor di Dio,
certamente i loro cuori non sarebbero più attacccati ai beni della terra. - Sembra che Dio abbia
gradito il sacrifizio che Angelina faceva della sua vita; giacchè poco dopo il Romano Pontefice,
fatto libero di se stesso, partiva da Fontainebleau e ritornava pacificamente sul suo trono a Roma.
Qui, dissemi fra le altre cose infine il paroco, sta sepolta la salma della nostra Orfanella.
Alcune sue allieve o compagne, che vivono ancora, vengono spesso con altre pie giovanette a
pregare presso la tomba di lei; e nel paese è viva e cara la rimembranza di lei, come se testè
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Don Bosco – Angelina o degli apennini
avesse cessato di vivere; e quando tra noi si {68 [238]} vuole accennare ad un perfetto modello
di vita cristiana si ricorda con dolce venerazione il nome di Angelina che nelle memorie
parochiali e nella voce pubblica è nota sotto al nome di Orfanella degli Apennini.
Con permissione ecclesiastica. {69 [239]}
Indice
AL LETTORE
CAPO I. La famiglia fortunata
- II. Uno strano incontro
- III. La buona domestica
- IV. Bare doti dell'orfanella
- V. L’assistenza di un moribondo
- VI. Il prevosto e l'orfanella
- VII. Chi fosse l'orfanella; sua educazione
- VIII. Le agiatezze
- IX. Le angustie
- X. La fuga
- XI. Ultime azioni dell'orfanella
- XII. Morte dell'orfanella
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