Don Bosco - Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo
stomaco è impedito, del male però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con
voce seria) si è il dovermi presentare al grande Giudizio di Dio » Esortandolo io a non volersi
così affannare, essere queste certamente cose remote, e avere tutto il tempo a prepararsi,
entrammo in Chiesa. Ascoltò ancora la santa Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno
sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di
Capella mi recai a visitarlo nella propria {50[50]} camerata, dove appena mi vide tra gli astanti,
fece segno che gli m'approssimassi e fattomi chinare il capo, come se avesse a manifestarmi cosa
di grande importanza, così prese a dire «Mi diceste; che era cosa remota e che eravi ancor tempo
a prepararmi prima d'andarmene, ma non è così; so certo che debbo presentarmi presto al
cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che ti dica di più? Abbiamo da lasciarci »
Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee; non m'inquieto,
interrompendomi disse, nè m'affanno, solo penso che debbo andare al gran Giudizio, e Giudizio
inappellabile, e questo agita tutto il mio interno. Tali parole mi colpirono al vivo, e mi resero
assai inquieto; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo
visitava mi ripeteva sempre le stesse parole. S' avvicina il tempo che debbo presentarmi al divin
Giudizio, dobbiamo lasciarci » talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma
più di quindici volte ripetute. Locchè sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a
{51[51]} più altri suoi colleghi nell'occasione che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo
male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni, e medicine non gli avrebbero
prodotto verun giovamento; Il che tutto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero
timore dei Giudizi divini, al vedere poi che s'andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad
alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale benchè sulle prime
ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato dacché ne vide gli effetti.
Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante in letto, il martedì, e mercoledì
passolli fuori di letto, però sempre tristo, e melanconico assorto nel pensiero dei Giudizi divini.
Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì,
venerdì, sabbato della stessa settimana (santa) gli furon fatti tre salassi, prese vari medicinali,
ruppe in copioso sudore, il che non gli recò alcun giovamento. Il sabbato a sera, vigilia di
Pasqua, andatolo a visitare, « poichè, mi {52[52]} disse, dobbiamo lasciarci, e fra poco io debbo
presentarmi al Giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte, perciò dimanderò licenza,
e spero mi sarà concesso ». Come ebbe parlato col signor Direttore, il quale tosto conobbe alcuni
sintomi del peggio di sua malattia, mi diede licenza di passare coll'infermo la notte del 30 marzo
precedente al solenne giorno di Pasqua. Verso le otto mi accorsi che la febbre facevasi più
violenta, alle otto e un quarto l’assali un accesso di febbre convulsiva si gagliardo, che gli tolse
l'uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento clamoroso, come se fosse stato atterrito da
qualche spaventevole oggetto; da li a mezza' ora tornato alquanto in se, e guardando fisso gli
astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali,
che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.
Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se
stesso. Stette lunga pezza pensieroso, come occupato in seria riflessione, {53[53]} quindi
deposta quell'aria di mestizia, e terrore che da più giorni dimostrava pei Giudizi Divini,
comparve tutto tranquillo, e placido, parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli
venivano fatte. Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, poc'anzi sì tristo poscia sì
gioviale, e affabile. A tale dimanda mostrossi dapprima imbrogliato a rispondere, poscia rivolto
qua, e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: «
fin ora paventai di morire pel timore dei Giudizi Divini; questo tutto m' atterriva, ma ora sono
tranquillo, e nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto;
mentre era estremamente agitato pel timore del giudizio divino, parvemi in un istante essere stato
trasportato in una profonda, ed ampia valle, in cui lo squilibrio dell’aria, e le bufere del vento
furioso toglievano ogni forza, e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle v'era
un profondo abisso a guisa di fornace, onde uscivano fiamme avvampanti.... A {54[54]} tal vista
spaventato mi posi a gridare per timore di dovere in quella voragine precipitare. Quindi mi voltai
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