Don_Bosco-Biografie_1881


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Don Bosco - Biografie 1881
BIOGRAFIE 1881
{1 [387]} {2 [388]}
[è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
[Prefazione]..................................................................................................................................2
Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna Nell’anno 1881.......................................................2
Il coad. Giuseppe Rossi...............................................................................................................2
Il sac. Stefano Albano..................................................................................................................4
Il sac. Stefano Chicco..................................................................................................................6
Il coad. Giuseppe Zana..............................................................................................................10
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Don Bosco - Biografie 1881
[Prefazione]
L’annuo rendiconto necrologico è un titolo che non manca mai d’argomento, ed in ogni
anno vi sono nuove mancanze a segnalare. Nell’anno 1881, il Signore ha voluto chiamare a sè
non pochi dei nostri confratelli sia ecclesiastici, sia laici coadiutori; ed io ho da comunicarvi
alcuni cenni biografici, affinchè vi servano come di stimolo ad imitarli, e d’eccitamento a
seguirne le orme perchè ne abbiate incoraggiamento ad affrontare con gaudio nel Signore
l’arrivo della morte, quando piaccia a Dio di chiamare anche noi, forse più presto ancora di
quanto possiamo aspettarlo.
S. Gregorio ci ha dato avviso che per avere la grazia di non paventare l’arrivo del Giudice
Supremo dobbiamo premunirci di un buon corredo d’opere buone che fiammeggino ed
avvampino come lucerne ardenti, nelle mani di coloro {3 [389]} che aspettando il loro Signore
quando sia per ritornare dalle nozze, saranno trovati pronti e vigilanti a riceverlo. Chi è pronto lo
riceverà con amore e confidenza, e tosto gli aprirà. Chi non è pronto ha pur troppo ragione di
paventarne l’arrivo. I pochi cenni biografici che io vi trasmetto riguardo a questi confratelli, che
già chiamati dal Signore vi hanno preceduto al suo Giudicio, vi rappresentano quelle lucerne
ardenti di buone opere che loro hanno resa preziosa e tranquilla la morte. Volete godere anche
voi di così bella sorte? Procurate d’armarvi delle medesime lucerne ardenti a rischiararvi la
strada in quell’ultimo passo.
Ecco il motivo di questi annuali resoconti necrologici che ci servono a tenervi preparati a
rispondere al Padrone quando sia per venire a bussare anche alle nostre porte...Il ricordo della
morte di quei cari confratelli che già ci hanno prevenuti, ed il racconto di quelle buone opere che
loro hanno reso dolci gli ultimi momenti è un pensiero salutare e santo; utile per essi, perchè
ricordandoci noi di loro, non tralascieremo di raccomandarli al Signore qualora avessero ancor
bisogno delle nostre preghiere, ed acquisteremo nuovi protettori in Cielo; utile più specialmente
a noi, che ci potremo sentire eccitati ad imitarne gli esempi che ci hanno lasciato ed a seguirne le
norme.
Questo desiderio d’imitarli nei mezzi di cui si sono serviti deve esservi tanto più
famigliare, in {4 [390]} quanto che questi mezzi sono stati praticati da confratelli che, come voi,
correvano nella stessa carriera, quindi dovete esser facilmente persuasi che ciò che fu facile ad
essi non deve riuscire tanto difficile anche per voi.
Vogliate adunque ricevere questi cenni, quale ricordo di questi vostri confratelli, quale
eccitamento a seguirli nelle buone opere da essi esercitate in vita, affinchè ricopiate nella vostra
condotta, possiate avere una fonte di tranquillità nell’appressarvi al momento della morte, ed un
presagio non dubbio di un premio eterno da quel Signore, che verrà ad incontrarci, non come
Giudice severo, ma come tenero riconoscente amico, per quel poco di bene che gli potremo
offerire al suo arrivo.
In G. C. vostro affmo
Sac. GIOVANNI BOSCO.
PS. Quanto prima saranno ultimate le edificanti Biografie dei Confratelli Sacerdoti D.
Bodratto Francesco e D. Stefano Buffa. {5 [391]} {6 [392]}
Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna Nell’anno 1881.
Il coad. Giuseppe Rossi.
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Nel mattino del 27 Marzo dell’anno 1881 moriva nell’Oratorio di S. Francesco di Sales in
Torino un bravo nostro coadiutore, Rossi Giuseppe del luogo di Cermenate, Provincia di Como,
figlio di Carlo Rossi e di Costanza Bianchi.
Modello del buon cristiano da proporsi ad esempio de' suoi compagni, si può dire ch’egli
abbia riunite in se medesimo le qualità de' buoni servi di Dio tanto nelle opere manuali, quanto
nella vita di religiosa pietà.
S. Agostino ci propone separati e distinti gli esempi delle sorelle Maria Maddalena e
Marta, le quali concordemente, al Signore, che erasi portato a visitarle, prestarono opere di
pietosa sollecitudine, Maria collo {7 [393]} starsene a Lui d’accanto a pendere dal suo labbro e
tenergli speciale compagnia; Marta col darsi affanno per preparargli il necessario; Maria prese la
parte migliore, come lo attestò lo stesso Gesù; non fu peroche i servigi di Marta non gli siano
stati graditi. Sant’Agostino ci assicura che il Signore amò tanto d’essere pasciuto da Marta
ch’Egli stesso volle a sua volta pascerla e nutrirla nell’anima. - Marta spiritu pascenda suscepit
Dominum in carne pascendum - Marta accoglieva il Signore, e pascendolo nella sua sacra
umanità meritava d’esser da Lui pasciuta nell’anima.
Ebbene il nostro bravo coadiutore seppe in sè riunire e l’amor di Maria pel buon Gesù e
ia operosità di Marta nei lavori manuali a servizio di Gesù, nella persona de' suoi figli nella
Congregazione nostra.
Addetto alla cura del giardino che gli era stato affidato, lo si vedeva continuamente
occupato alla coltivazione di esso; e ciò faceva con tanta diligenza, che non avrebbe potuto far di
più chi vi si fosse applicato per proprio conto.
Anzi trattandosi di servizio che doveva recar frutto alla Congregazione, aggiunse
all’amor del lavoro l’impegno che se ne faceva pel dovere della propria coscienza.
Lo stare inoperoso in taluna delle proprie incumbenze sarebbegli sembrato un danno
cagionato alla Casa; quindi è che lo si vide costantemente occupato de' suoi lavori. Questi,
quantunque umili, fatti con singolare affetto producevano grande vantaggio alla Comunità -
Pascebat Dominum - Nutriva il Signore.
E non è a dire che il Signore in ricompensa non lo abbia copiosamente pasciuto
nell’anima colle sue grazie, e coll’amore che gl’infuse alla esattezza dell’orario, {8 [394]} e
dell’osservanza delle regole della Congregazione, come pare con un grandissimo desiderio
d’accostarsi a Gesù Sacramentato. - Spiritu pascendus pascebat Dominum; Pascendo il Signore
erada Lui pasciuto nell’anima.
Dal giorno in cui entrò nella Congregazione, che fu addì 19 Maggio 1875, fino a quello
della sua morte, spiegò la massima diligenza nel recarsi alla chiesa alle ore prescritte, e fu
sempre tra i primi a trovarsi alle preghiere che si fanno in comune dai coadiutori, ed alla prima
messa che per essi si celebra. Quanti gli furono compagni attestano che lo si vide tutte le mattine
accostarsi alla Mensa Eucaristica, ed assicurano non esservi forse stato giorno in cui non siasi
cibato del Pane degli Angeli.
Recavasi anche lungo la giornata a fare divotamente la visita al SS. Sacramento con tale
esattezza ed edificazione che chi lo vedeva ne rimaneva profondamente colpito.
La sua vita alternata dal lavoro e dalle opere di pietà fu doppiamente utile alla
Congregazione. Come operosità; mentre si rendeva grandemente utile col suo lavoro, fu modello
d’attività che non perdette un minuto del suo tempo; come pietà, ne fu a' suoi compagni il più
eloquente esempio. Sapendo riunire la perfetta sommessione ai Superiori e la più pronta
obbedienza ai loro cenni, ed all’orario, mai non fu che abbia lasciato passar ora del giorno senza
che sia stata a vantaggio del lavoro o della pietà. Così giungendo l’ora della morte non lo si vide
punto angustiato od inquieto, sicuro di non aver mai sprecato il tempo; i suoi ultimi pensieri
furono per la religione e pel suo giardino.
Vittima forse della sua operosità, perchè sorpreso {9 [395]} in sul lavoro da gagliardo
vento, e colpito da violento dolore alle coste, in pochi giorni venne a fin di vita.
Presentendo che presto avrebbe a far viaggio pel Paradiso, chiese egli stesso dei SS.
Sacramenti, che ricevette con edificante serenità e divozione. Poscia riconciliato (come ei
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diceva) col suo Signore, volle riconciliarsi con i compagni suoi, e fattili tutti a sè venire, a tutti
chiese perdono, se alle volte involontariamente ne avesse offeso taluno. Parlò della prossima sua
dipartita, e del gaudio che provava d’aver potuto ricevere tutti i Sacramenti. Si sfogava in atti di
amore e di ringraziamento a Gesù d’averlo chiamato nella Congregazione Salesiana, ove
occupato al lavoro ed animato dal buon esempio dei suoi compagni coadiutori, aveva potuto
conoscere più da vicino il grande amore che Gesù Cristo ci ha portato. Diceva che moriva tanto
contento, e che trovandosi così ben preparato, non avrebbe voluto cambiare la sua sorte con
chicchessia.
Così ben disposto a comparire d’innanzi all’Eterno Giudice ebbe ancora un pensiero al
suo dovere ed all’incarico che gli era stato affidato. Diede minuti ricordi a chi doveva
succedergli nel giardino, sul da farsi nei varii spazii del terreno, quali preparati, quali non ancora,
quali esigessero mutazione di coltura, quali continuazione della medesima.
Raccomandò la cura degli alberi fruttiferi, la conservazione delle sementi, e diede avvisi
sul tempo da metterle in terra.
Interessato fino all’ultimo al buon andamento del suo lavoro al maggior vantaggio
temporale della Congregazione, imitò fino all’ultimo la pietosa sollecitudine di Marta nel pascere
Gesù nella persona dei servi suoi, mentre egli pasciuto da Gesù, e rinforzato {10 [396]} dai SS.
Sacramenti anelava a Gesù con l’amorosa Maria; e con questi divoti sentimenti spirava la
Dell’anima nel bacio del Signore.
Il sac. Stefano Albano.
Una gran perdita ha fatto la Congregazione Salesiana nella dipartita pel cielo del
sacerdote D. Stefano Albano, che rassegnato e tranquillo rendeva l’anima a Dio fra le braccia di
D. Bosco, nel giorno 28 Giugno del 1881.
Questo solo cenno ci dà fidanza a credere, che piena di buone opere sia stata la vita di
questo nostro confratello. La sorte d’aver al letto di morte l’assistenza del nostro Superiore è per
noi Salesiani tale una grazia, che ci dà prova della tenerezza d’amore con che il Signore doveva
prediligere quell’anima bella, da farci arguire che bella pur molto debba essere stata la vita che
precedette tal morte.
D. Bosco ne aveva udita l’ultima confessione; D. Bosco l’aveva preparato a ricevere in
Viatico l’amato Gesù; D. Bosco statogli al fianco in quel solenne istante gli aveva suggerito
infuocate parole di ringraziamento. Poi presente all’amministrazione della Estrema Unzione ne
confortava gli ultimi aneliti, nè più l’abbandonava fino a che spirata l’anima benedetta potè egli
stesso consegnarla a Gesù ed a Maria, accompagnandone il trapasso colla Papale Apostolica
Benedizione.
Rassegnato e tranquillo il Sac. Stefano Albano era spirato fra le mani del suo Superiore e
padre. Che {11 [397]} bella morte! Questa grazia, è tale un favore di Gesù, che ci fa prora dei
meriti acquistati in vita da chi ha potato essere in morte così specialmente favorito.
Sì, la Congregazione nostra nella morte del confratello Albano ha perduto un modello per
le Case Salesiane. Modello dei giovani studenti, che furono testimoni dell’impegno da lui sempre
usato nell’avanzarsi nelle cristiane virtù e nello studio. Modello dei chierici maestri ed assistenti,
che ne poterono osservare l’applicazione e l’oculatezza, la pazienza e la bontà. Modello dei
sacerdoti, che ne ebbero ad ammirare lo zelo e la pietà.
Nato in Verolengo il 24 Dicembre del 1852, da Domenico Albano e Veronica Ponzetti,
docile e tranquillo qual’era ei fu sempre la gioia e la consolazione de' suoi parenti, che lo
amavano d’un affetto ben meritato.
In sui tredici anni veniva accettato nell’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, e vi
faceva l’ingresso nel giorno 30 dicembre del 1865. Di carattere gioviale e franco, egli seppe farsi
amare da tutti i compagni; paziente, diligente ed operoso era pure la soddisfazione dei Superiori;
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a tutti poi d’eccitamento al lavoro ed allo studio. Alla capacità della mente aggiugnevasi
l’insistenza dell’applicazione, e la buona volontà, di guisa che nelle scuole da lui percorse fu
quasi sempre fra i primi. Prevenuto dalla grazia del Signore chiedeva ed otteneva il favore di
vestire l’abito clericale nel giorno della Epifania del 1870 con sommo giubilo dell’anima sua. Ma
ciò non era che una parte delle sue aspirazioni. Egli desiderava particolarmente di essere
aggregato nella nostra Congregazione, e per rendersene meritevole volle applicarsi specialmente
a quegli studii che lo potessero rendere {12 [398]} più utile alla stessa. Quindi è che mentre
seguiva con alacrità i suoi studii e si preparava a ricevere i diversi gradi della carriera
ecclesiastica, volle per tempo anche abilitarsi a quegli altri studii che pur gli dovevano aprire la
via a quella dell’insegnamento nelle pubbliche scuole. Nel 1872 già aveva ottenuta la patente di
maestro di scuola elementare superiore, e nel 1874 quella di maestro di scuola tecnica: di modo
che quando nel 1875, addì 12 Marzo, entrava negli Ordini Minori, era già abilitato a coprire
diverse cattedre. Munito di questi diplomi e di un buon corredo di virtù si presentava a D. Bosco
e gli chiedeva di essere ammesso a fare i voti perpetui per essere definitivamente compreso fra i
membri Salesiani. Ma qui ebbe ad incontrare una inaspettata difficoltà, venuta appunto da ciò
ch’egli aveva creduto mezzo più facile per ottenere il santo suo intento. I parenti del nostro
Albano avendone osservati i progressi, e vedendolo abilitato a trarre vantaggio dal suo proprio
personale, ebbero pensiero d’utilizzarlo a prò della famiglia; e perciò offuscati da particolare
interesse si opposero alla sua entrata in religione. I contrasti furono ostinati e molti, e la lotta non
breve. Pur finalmente coll’aiuto del Signore la vinse, ed accettandolo il nostro Superiore e padre
nel numero de' suoi figli, ebbe la sorte di prestare nelle sue mani i voti perpetui nell’anno 1875.
Nell’anno stesso alli 18 del mese di Giugno era consacrato Suddiacono e saliva al
Diaconato addì 18 Dicembre, per essere finalmente insignito del grado sacerdotale nel
susseguente anno 1876, nel giorno 1° Aprile. Nell’anno 1877 otteneva ancora il diplom a di
ginnasio, di Storia e di greco. Per tal guisa salesiano, sacerdote ed insignito delle qualità di
maestro e {13 [399]} professore in diversi rami d’insegnamento, erasi fatto capace di rendere
alla Congregazione che lo aveva accolto, quei servigi che il nostro Superiore aspetta dai figli
suoi a vantaggio spirituale e temporale dei poveri giovani a lui affidati dal Signore. A misura che
si abilitava nelle varie scienze egli venne impiegato a far quelle scuole cui era autorizzato.
Dapprima fu destinato al collegio di Lanzo ove faceva la scuola elementare.
Dopo alcuni anni venne traslocato ad Alassio nel nostro collegio, ed ivi occupò le
cattedre di storia, di greco e di 3a ginnasiale. Ovunque ebbe ad occupare il posto di maestro
insegnante, lasciò sempre cara memoria di sè, sia per la facilità di metodo e chiarezza
d’insegnamento, sia pel sistema di sorveglianza educativa con cui sapeva dirigere i suoi
dipendenti.
I Superiori ne furono sempre soddisfattissimi, ed altro non hanno a ripetere che amante
dell’obbedienza, ed esatto in ogni dovere era pronto a sobbarcarsi ad ogni ufficio che gli venisse
richiesto, abilissimo ad insegnare, come anche peritissimo nel sorvegliare ed educare i giovani
alunni. In iscuola come maestro, in istudio come assistente, fu mai sempre un vero modello di
sacrificio e d’abnegazione nell’accettare con indifferenza qualunque incarico gli si fosse affidato.
Modello di maestro e modello di institutore, era poi specialmente modello di religiosa
condotta. Questo sentimento di soda pietà che traspariva da tutti i suoi atti era forse quello che
convincendo i giovani delle sue virtù esercitò più di tutto l’influenza sua sopra dei loro cuori.
Egli era amantissimo di Gesù e di Maria, e colle sue parole e col suo esempio inspirava a tutti il
desiderio di seguirli ed imitarli. {14 [400]} Uso a sovente visitarli nella chiesa, era talvolta
circondato da non pochi de' suoi scuolari, che eccitati dal suo esempio lo venivano seguendo,
quando terminata la scuola o lo studio, poteva dare a quella visita alcuni momenti della venuta
ricreazione. Questa sua tenerezza amorosa per Gesù e Maria crebbe a dismisura nel suo cuore
quando arrivato al sacerdozio potè colle sue mani offrire a Dio nella messa quella Vittima
immacolata. Tanta era la consolazione ch’ei provava nel celebrare, che anche negli ultimi tempi
del suo vivere, sebbene oppresso da massima spossatezza, non ne sospese la celebrazione, se non
negli ultimi giorni che gli mancarono affatto le forze. L’ora del suo trapasso dalla terra al cielo
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era già decretata, ed il Signore che lo voleva con se, gli aveva mandato da circa un anno una
febbre insistente e quotidiana, accompagnata da tosse ostinata, che lo rendeva in qualche mese
incapace a proseguire nel suo ufficio di far scuola. Da Alassio, ove si trovava, passato a
Verolengo co' suoi parenti, non riesci a ristabilirsi; perlocchè desideroso di trovarsi presso il
nostro Padre D. Bosco si restituì nella casa di S. Francesco di Sales, ossia nell’Oratorio di
Torino.
Qui abbiamo potuto ammirare la sua pazienza e rassegnazione ai voleri di Dio. La vita
sua pareva spegnersi giornalmente e le forze fisiche sensibilmente lo abbandonavano, ma la
bontà ed il coraggio non gli venivano meno. Costante al celebrare la santa Messa, alla visita del
SS. Sacramento, alla lettura, lo si vedeva con gli altri raccolto sotto il manto di Maria, ai piedi
del suo altare, seguire gli esercizii comuni di pietà, ed offerirsi al Signore vittima obbediente di
rassegnazione a quanto il Signore avesse decretato di lui. I suoi pensieri erano pur sempre rivolti
{15 [401]} a' suoi doveri, a' suoi studi! ed alla sua scuola. Ne parlava con i Superiori e cogli
amici, mostrandosi sempre pronto ad adoperarsi al vantaggio dei suoi scolari e della
Congregazione. Un giorno lo si vide più debole ed oppresso. Era l’indomani della festa di S.
Giovanni cui preso aveva parte per onorare l’onomastico del Superiore. Era più stanco, e gli
amici lo consigliavano di riposarsi in letto. Accondiscese ma non vi stette gran fatto, che non
credeva d’averne ancora assoluta necessità, lottò per due giorni, ma nel terzo sentendosi più
affranto dovette rimanervi. In questo giorno si tratteneva con i Superiori ed amici che lo
venivano a visitare. Il male non pareva poi tanto grave, quando sul far della sera mostrò
desiderio di vedere il Superiore della Casa, D. Bosco. Era l’ora della cena, ed alla riunione nel
refettorio glie ne venne fatto motto, non tanto perchè vi si credesse fretta, ma solo affinchè
potesse soddisfarlo dopo della cena. Appena lo seppe, D. Bosco lasciò tutto, e accorse accanto
all’infermo. Era un presentimento, era grazia specialmente del Signore? Egli è ben certo che
n’era proprio il tempo. Uditolo in confessione, animatolo a confidenza, e preparatolo a ricevere il
Santissimo Viatico, non ebbe ad abbandonarlo. Terminati gli atti di ringraziamento a Gesù, di cui
si era cibato, parve che nulla più lo ritenesse su questa terra. Andava al paradiso e lo diceva a D.
Bosco, contento di morire fra le sue braccia. Ricevuta l’Estrema Unzione e la Benedizione
Papale spirava nel bacio del Signore alle ore 8 e mezzo del giorno 28 Giugno 1881, vigilia della
festività dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, principi della Chiesa.
Nel ritirarsi dalla camera mortuaria, D. Bosco in tre parole ne tesseva il più bell’elogio
che ne compendia {16 [402]} la virtù di tutta la vita. Il nostro Albano fa sempre giovane buono,
chierico migliore, ottimo sacerdote.
Il sac. Stefano Chicco.
Il sacerdote D. Stefano Chicco nasceva in Piobesi il 3 Gennaio 1846, da Agostino Chicco
e Maria Chinotti. I parenti che lo amavano da buoni cristiani, e che desideravano di vederlo
crescere in un centro d’educazione cattolica e santa, chiesero ed ottennero di vederlo accettato
nell’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, presso il Rev° D. Bosco. Il giovane Chicco
faceva l’ingresso in età d’anni 12, cioè nel giorno 8 d’ottobre del 1858. Nel 1860-61 egli
frequentava la 4a ginnasiale ed il suo Maestro assicura che vi si segnalava per non comune
intelligenza nello studio dei classici e per la docilità costante a' suoi Superiori. Aggiunge
ancora: la sua virtù non era di quelle appariscenti, ma tanto più soda e sincera, guanto
maggiore era l’umiltà su cui poggiava, che fu sempre la principale delle virtù da lui praticate.
Nel 1862 vestiva le divise ecclesiastiche, e se ne mostrava degno colla sua condotta, e con
l’assiduità costante ne' suoi studi.
Il Signore che per renderlo più degno ministro dell’altare volle fin da principio di sua
carriera provarlo nel crogiolo della tribolazione, permise che la già debole sua salute si rendesse
sempre più restia a favorirne gli studi. A metà corso della filosofia, fu sorpreso da quasi
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giornalieri attacchi di forti dolori al capo, che resisi abituali e costanti, gli facevano passare
giorni amatissimi, tanto che per qualche anno {17 [403]} gli tolsero la facoltà di continuare gli
studi. Egli sopportava questa contrarietà con non ordinaria uniformità alla volontà del Signore,
rassegnato a rimanere per tutta la vita come semplice chierico, qualora Iddio avesse così disposto
di Lui. Ma il Signore pago del suo sacrifizio, volle premiare la sua rassegnazione coll’elevarlo al
sacerdozio quando meno egli se lo aspettava, ed allietare il suo cuore con una gioia tanto più
soave, quanto più inaspettata.
Una insperata tregua ai mali che lo affliggevano, ed un impulso d’incoraggiamento che
gli diede il Superiore lo posero in istato di subire gli esami per essere ammesso ai primi gradi
degli Ordini minori ch’egli prese alli 17 Dicembre del 1870, dopo otto anni di semplice
vestizione clericale. Quindi favorito dal suo Superiore, ottenuta la dispensa dei voluti interstizi, e
superati gli esami per i gradi superiori, venne ordinato Suddiacono addì 4 Marzo 1871, e
Diacono addì 25 stesso mese ed anno, per esser elevato al Ministero sacerdotale nel giorno 3
Giugno successivo dello stesso anno 1871.
Questi suoi incomodi gli diedero occasione di esercitare la pazienza, l’umiltà e la
rassegnazione fin da quando si trovava nell’esordio della carriera ecclesiastica. Il suo malore,
com’egli ebbe a palesare ad un suo amico negli ultimi giorni di sua vita, proveniva da una grave
caduta ch’egli aveva fatto fin da fanciullo, per cui avendo riportato gravi sconcerti nell’interno
de' visceri vitali e negli apparati digestivi, subiva quasi giornalmente dolori allo stomaco, al
ventre ed alla spina dorsale, che lo sforzavano a sedere anche in chiesa per allievarne la violenza.
Coloro che non ne conoscevano la causa, massime fra i chierici e compagni di classe, ed anche
qualche assistente, ebbe {18 [404]} ad adombrarsene, e giudicando l’effetto quasi proveniente da
fiacchezza d’animo e da poltroneria, non gli furono risparmiate osservazioni, che ne ferivano
amaramente l’amor proprio; egli tutto sopportando con cristiana rassegnazione, taceva,
pazientava e soffriva. Un amico e compagno che venne assai tardi a conoscere la causa, e la
antica esistenza degli incomodi suoi, ammirandone la nascosta virtù se ne addolora e scrive:
Dovetti convincermi, che ciò che da noi era creduto fiacchezza di ardore nelle preghiere, era
frutto di soda virtù; e se questa mia asserzione desterà meraviglia in alcuni che non l’hanno ben
apprezzato, ciò non toglie nulla alla verità della cosa che, da me conosciuta, credo mio debito di
render palese. Io ho potuto convincermi che lo spirito di mortificazione da lui abbracciato si
estendeva non solo alla mortificazione dello spirito, con l’amore alla umiltà ed ai dispregi, ma
pur anche al desiderio di tutto soffrire per amore di Gesù.
Con questo mirabilmente si addestrava a praticare i voti di povertà e d’obbedienza, e
castigando il proprio corpo, lo rendeva più docile e più soggetto all’esercizio del terzo voto,
quello della castità.
Quanto fosse geloso di questa bella virtù sempre lo addimostrò nella custodia de' suoi
occhi, come nel modo di conversare con i giovani ed i compagni, ed in tutto il contegno di sua
persona.
Questo manifestamente si palesò nell’ultima sua malattia, in cui dovendo assoggettarsi a
servizi assai delicati, per medicamenti a prestarsi al suo corpo da persona inserviente, non vi si
adagiò se non per necessità d’obbedienza, facendo intanto spiccare sentitamente il merito grande
che si guadagnava pel cielo chi doveva prestargli questi atti di carità. Quando {19 [405]} doveva
assoggettarsi a qualche cura delicata soleva dire: Adesso passo ad una mezz’ora d’inferno: mi
sarebbe più caro sopire doppio il male, che permettere ad altri di medicarmi il corpo.
Ma prima di passar alle virtù da lui esercitate nell’ultima sua dolorosa malattia, è bene
seguirlo nell’esercizio de' suoi doveri come salesiano e ministro di Dio.
Prefetto per due anni nel Collegio di Alassio e per uno a Magliano Sabino, lavorava con
tale sollecitudine che era certamente mirabile, massime per chi conosceva gli sforzi che doveva
fare con sì debole salute. Abilitatosi all’esercizio del ministero della Penitenza tutto vi si
consacrò, passando le lunghe ore in confessare, nulla curando i propri incomodi, e solo mirando
a guadagnar anime a Dio. Nel che riesci va egregiamente, perocchè oltre allo zelo e la fermezza,
era egli fornito di un sano criterio e di una rara prudenza direttrice, condizioni ambedue
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indispensabili per esercitare con frutto questo sacro ministerio. Il che faceva che il suo
confessionale fosse assai frequentato, e non pochi penitenti lamentassero ancora parecchi anni
dopo l’assenza di lui, da cui avevano ricevuto tanto spirituale vantaggio. Stette parecchi anni
come prefetto del Collegio in Borgo S. Martino, facendo rilevare la sua attività unitamente allo
spirito di calma e dolcezza propria dei figli di S. Francesco di Sales. Di lì venne destinato a
Direttore della nuova casa di Nizza Monferrato, aperta alle nostre Suore, figlie di Maria
Ausiliatrice con l’annesso Educandato di ragazze.
Il quale delicato e difficile incarico disimpegno con frutto circa due anni (1877, 1878),
continuamente occupato nel confessare e predicare, tanto alle Suore {20 [406]} e figlie loro
affidate, quanto nella chiesa a benefizio del pubblico.
Si è nel 1879, che, dovendosi aprire la nuova casa di Cremona, venne egli chiamato a
coprirne la carica di Direttore. Umile come era si sentì dapprima assai sconfortato ed oppresso;
senonchè sempre pronto a far la volontà dei Superiori, vi si adattò fiduciosamente pensando, che
nulla da sè, ma tutto unicamente da Dio doveva aspettarsi l’esito della riescita. Questa sua
destinazione gli fu fatta palese nel mese di Settembre del 1879, e chi gli era stato assegnato a
compagno, ricorda con compiacenza la grata impressione che gli avea fatto il primo colloquio
che ebbe con Lui, che gli doveva esser Direttore in quella nuova casa. Quanto trepido per se
medesimo, tanto più fiduciato nell’aiuto del Signore, si sobbarcava all’arduo impiego, solo
contento di far esattamente la volontà di chi lo mandava! Nel riceverne pertanto la santa
Benedizione, alle varie interrogazioni fatte all’amato Superiore D. Bosco, il caro D. Chicco si
sentì rispondere: Va con grande confidenza, e non temere di nulla; Dominus est tecum et nihil
Ubi deerit. Allietato da cordiale accoglienza, prendeva possesso della bella e spaziosa chiesa
annessa al grandioso locale che era stato allestito per i Salesiani. Il suo studio fu tutto nel
preparare l’Oratorio festivo per accogliere i giovani abbandonati, ai quali portava in Gesù Cristo
la più grande tenerezza, non che le scuole primarie per toglierli dai pericoli dell’ignoranza e della
oziosità. Egli era tutto a tutti, mentre con naturale giovialità sapeva farsi piccolo coi piccoli,
venendo in ricreazione a trattenersi con discorsi facili e giocherellare con ragazzetti, non
badando punto al suo grado di Direttore, si adattava ad ogni sorta d’ufficio quando ne fosse il
bisogno. {21 [407]} Nel principio del primo anno, per deficienza di maestri per più mesi si
addossò l’insegnamento ai più piccoli nella 1a Classe Elementare. Nell’assisterli sia in iscuola,
sia in ricreazione, tale era la sua affabilità ed amorevolezza che tutti lo ricambiavano di sincera
ammirazione e tenera dimestichezza. Coi più provetti s’occupava egli stesso a promuovere nel
loro cuore l’amore al culto divino, coll’addestrarli egli stesso al canto di qualche lode a Maria,
che assai volentieri imparavano e più volentieri ancora ripetevano soventi in divoti cori, e si
sforzava ancora di abilitarli ad accompagnare in musica qualche messa e Tantum ergo. Pur
troppo questo esercizio contribuì non poco a debilitare sempre più il povero suo petto, già logoro
dal male che da qualche anno gli andava consumando la vita.
Se vi si aggiunge lo spirito di mortificazione e di penitenza che dirigeva tutte le sue
azioni a non guardare in se stesso che la vittima del dovere, ad immolarsi per la gloria di Dio ed
a provvedere a tutti i bisogni della casa a lui affidata, si comprenderà facilmente quanto molti
replicati sacrifici abbiano potuto contribuire al sacrifizio della sua vita. È un fatto (così scrive un
suo amico) che col pretesto d’economia si ridusse per qualche tempo a vivere di solo pane e
minestra, e si privò del beneficio del fuoco nel rigido inverno di Cremona.
Questo spirito di mortificazione aveva forse un altro motivo che, col pretesto
d’economia, celando l’amore alla penitenza, tendeva a conservare in se medesimo la più bella
delle virtù, di cui come si disse più sopra egli era amante e geloso al sommo. Un suo confratello
parlando dell’amore ch’egli aveva per questa virtù, così si esprime: Lo stato di sacerdote, e
sacerdote {22 [408]} confessore, di salesiano e salesiano Direttore, espone senza dubbio a molti
pericoli; ma chi si mortifica, vigila e prega è sempre al sicuro, e questo è ciò che faceva il caro
D. Chicco. Egli stava bene in guardia, e fuggiva tutte le occasioni, ed io fui testimonio più volte
di certe sante astuzie che metteva in pratica per ischivare certi incontri e non ricevere certe visite;
di più si teneva ben armato colla preghiera, colla frequente confessione, colla penitenza e colla
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divozione alla SS. Vergine Maria, a cui portava il più tenero affetto, ed onorava ogni giorno con
ispeciali pratiche di pietà. Non tralasciava giammai la recita quotidiana del S. Rosario, ed in certi
giorni di molta occupazione, non avendo potuto alla solita ora, si ritirava a recitarlo quando gli
altri erano già a riposo, ed io più volte ne fui pure buon testimonio. Si è con tali mezzi che seppe
mantenersi puro e casto modello d’illibatezza a quanti lo avvicinavano.
Questa sua tenerezza per Maria SS. fu quella che lo consolò sempre nelle sue pene, quella
che lo sostenne nelle sue tribolazioni, quella che lo confortò nei lunghi dolori ch’ebbe a soffrire
in tutta la sua vita, quella che gli rese preziosa la morte.
Il suo confratello e collega nella direzione della casa di Cremona parlando della pazienza
e rassegnazione nelle varie vicende ch’ebbe ad incontrare il nostro D. Chicco, massime nel
primo anno del suo ufficio di Direttore, esce in queste parole: Io ne fui buon testimonio per quasi
un anno e mezzo, e troppe cose potrei dire a prova di ciò; ma mi basta poter attestare a lode del
caro D. Chicco, che se anche qualche volta lo trovai abbattuto e quasi prostrato dalla
tribolazione, era cosa del momento, perchè ricorrendo a Maria sapeva ben presto rialzarsi, e
scambiare {23 [409]} quasi ad un tratto il gemito dell’afflizione col canto dell’allegrezza.
Quante volte mi ebbe a succedere, che uscendo io tristo e malinconico dalla sua stanza
per aver udito da lui relazione assai dolorosa, e per averlo trovato afflitto e sconfortato, fatti
pochi passi, lo sentiva intuonare qualche affettuoso cantico in onore di Maria a cui ricorreva con
grande sollievo nelle sue tribolazioni ed affanni. Maria e Gesù Sacramentato erano il solo suo
conforto, e ricorrendo ad essi il suo cuore si faceva rassegnato e tranquillo.
Ciò gli avvenne specialmente quando dolorosi contrasti gli venivano attraversando i
progetti di maggior carità, che intendeva introdurre nell’Oratorio festivo a vantaggio di maggior
numero di ragazzi e che gli impedivano ottenere un più copioso frutto.
È ben vero che charitas patiens est, ma ciò non toglie che le trafitture delle spine della
tribolazione non venissero a crudelmente straziare il cuore del nostro amico, massime allora
quando può andarvi di mezzo un maggior bene pel prossimo, che si sarebbe sperato di potere
altrimenti ottenere.
Ma già il Signore aveva pensato a premiare quella bell’anima col premio eterno del
paradiso, ove il voleva incoronare quale martire di abnegazione, di pazienza, di carità e di
rassegnazione. Ai soliti e molti suoi incommodi erasi aggiunto da quasi un anno una tosse atroce,
insistente ed ostinata, che sovente gli toglieva quasi il respiro, ed un’affannosa oppressione al
petto faceva poco ben presagire dell’esito della sua malattia. Aggravandosi giornalmente il suo
male, erano già circa due mesi dacchè il povero infermo giaceva quasi immobile sul suo letto di
dolore. Lo stare continuamente nella medesima posizione gli aveva reso {24 [410]} intollerabile
il giacere nel letto, che una piaga sola formatasi su tutto il dorso gli faceva sentire ad ogni
movimento atroci dolori, e tutto egli sopportava con ammirabile pazienza e rassegnazione. Più
volte munito del SS. Sacramento si confortava di trovarsi unito col suo Gesù e paragonando il
suo letto di dolore alla croce del Golgota, coll’esempio del suo Redentore andava alleviando le
lunghe ore del proprio martirio.
Prima di morire ebbe la consolazione di avere l’assistenza d’un suo Superiore e di essere
stato visitato dallo stesso D. Bosco, che partito da Torino, venne a confortarlo a Cremona d’un
ultimo abbraccio; visita assai preziosa, che valse a prepararlo al sacrificio della vita che già tutta
era stata consecrata al nostro buon Dio. D. Bosco non si poteva trattenere a Cremona, però
dovendo lasciare sì caro figlio, lasciogli a fianco un confratello salesiano, compagno nella
direzione di Collegio e suo intimissimo, che più non lo abbandonò fino all’ultimo istante della
vita. Ecco com’egli ne descrive la preziosa morte in sua lettera del 16 Settembre 1881, al molto
Rev. D. Bosco.
Il nostro caro D. Stefano non è più; egli se ne volò al cielo stanotte alle ore 11, 35 (era la
sera dell’ottava della Natività di Maria SS.). Che bella morte ha egli fatto mai!
In quei supremi momenti come si conosce la virtù degli uomini D. Chicco deve essere
assai provetto nella virtù! In un mese e mezzo circa dacchè lo assistetti, non udii mai dal suo
labbro un lamento, malgrado gli acuti dolori che doveva continuamente sopportare. L’affanno
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del petto, la febbre continua, il lungo giacere e la piaga che si estendeva a tutto il dorso gli
produceva atrocissimi dolori. Confitto sulla sua croce tutto ei soffriva con ammirabile pazienza.
{25 [411]} Il suo male fa stazionario fino a mercoledì ora scorso. Sul fare di detto giorno, il caro
infermo incominciò a vaneggiare alquanto ed a palesare una debolezza insolita. Ieri poi il
vaneggiamento fu quasi continuo con un aumento di catarro ed un forte rantolo al petto. Potè
tuttavia fare la SS. Comunione durante la messa da me celebrata nella mattina all’altare, per
privilegio eretto nella sua camera. Circa le 9 pomeridiane si allontanava l’ottimo nostro Vicario
che era venuto a visitarlo, e nel partire mi esternò il forte timore che non dovesse passare la
notte; e così fu pur troppo. Verso le ore 10, il nostro caro D. Stefano veniva assalito da violento
affanno, foriero della prossima morte. Durò in questo stato d’agitazione fino alle 11. A questo
punto esclamò: Mi sento mancare, pregate per me! Furono le ultime parole dette con chiarezza,
dopo le quali entrò in agonia che durò appena mezz’ora. In questo tempo mentre io leggeva le
belle preci pei moribondi, egli non cessò un istante dal pregare, dal raccomandarsi a Dio, al
Sacro Cuore di Gesù, a Maria Ausiliatrice ed a S. Giuseppe. Fra le molte giaculatorie ripeteva
sovente queste, che ho potuto intendere: O Gesù, vi offro la mia vita - Sono contento di morire -
Deh pei vostri meriti, per la vostra misericordia apritemi il paradiso!
Così moriva il nostro amato confratello; così possiamo noi tutti imitarlo nelle sue virtù;
così possa dirsi di noi come nella loro infantile apprezzazione dicevano di lui i buoni ragazzi
dell’oratorio di Cremona ai quali avea fatto da Padre: - Il nostro Direttore per le sue belle virtù
andò dritto al cielo; e di là prega per noi! {26 [412]}
Il coad. Giuseppe Zana.
Alcuni cenni sulla morte edificante del Confratello coadiutore Domenico Zana, deceduto
nella casa della Misericordia in Buenos Aires, addì 16 Dicembre 1881, chiudono le biografie
dell’anno 1881, le quali si erano cominciate con quelle di un Confratello pure coadiutore. E l’uno
e l’altro hanno trovato nella nostra Congregazione quel sicuro porto di salute, che separandoci
dal mare burrascoso del mondo, assicura alle ultime ore della presente vita una morte preziosa,
foriera dei celesti beni promessi a coloro che si sono occupati della salute del prossimo. Oh cara
Congregazione, che arricchisci coi meriti dell’Apostolato non soltanto i dedicati al ministero
sacerdotale, che recano colla predicazione l’Evangelio nelle più remote contrade, ma quei laici
eziandio che vi prendono parte comechesia, anche meno direttamente, coll’aiuto che possono
prestare a questi operai della vigna del Signore! Tale si fu il nostro confratello coadiutore
Domenico Zana.
Nato in Armeno Novarese, da Pietro e Giulia Cimelli addì 3 Dicembre 1838, dopo i primi
anni passati a lavorare col padre nella professione di fabbricante d’ombrelli, continuò in questo
suo mestiere fino all’età di 39 anni. In quell’epoca desideroso di provvedere alla salute sua
spirituale si ricoverava presso D. Bosco nell’Oratorio di S. Francesco di Sales in {27 [413]}
Torino. Ciò avveniva nel 1877 alli 5 Febbraio. Sul finire del medesimo anno, fatti i voti perpetui
della nostra Congregazione, si univa alla seconda spedizione dei nostri missionarii diretti alla
Republica Argentina, per servirli in qualità d’inserviente coadiutore. Un lontano desiderio egli
nutriva, ed era quello di abilitarsi allo studio del latino, ed ove il Signore lo avesse chiamato,
farsi strada al sacerdozio per rendersi utile alle missioni di quelle terre lontane.
Ma il Signore che tiene preparate molte mansioni, e che vuol farci vedere come molte
siano altresì le vie che vi conducono, aveva stabilito che il nostro Domenico vi salisse per mezzo
di un più umile lavoro. Lo volle semplice coadiutore, e dopo quattro anni di tale meritorio
servizio lo richiamava a sè, premiandolo con una preziosa morte. Chi di Colà ne dava notizia al
Rev. D. Bosco, non dubita d’asserire che tale sua morte fu invidiabile a chi ne fu presente.
Dopo il suo soggiorno in America, la salute di Domenico Zana erasi notabilmente
alterata, e fin quasi dal principio rinunciando al suo primo progetto, erasi abbandonato nelle
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mani del Signore ed adattandosi intieramente a quanto volevano da lui i Superiori, aveva messo
ogni impegno a contentarli nell’impiego di coadiutore inserviente nella Casa della Misericordia
in Buenos Aires. Utile alla casa e caro a tutti, seppe meritarsi la benevolenza dei Confratelli
compagni, come dei Superiori, e la grazia di compiacere al Signore nell’eseguire la sua volontà.
Aggravandosi i suoi incomodi, ed esacerbandosi giornalmente il suo male, da parecchi
mesi dovette accorgersi, che vane riuscendo le cure praticate, più non gli rimaneva che prepararsi
al termine della sua carriera. Rassegnato e tranquillo conferendo spesso {28 [414]} col suo
direttore, colla frequenza dei SS. Sacramenti e colle ripetute pratiche di pietà si stava famiglia
rizzando coll’idea di un prossimo passaggio al cielo. Era l’11 del mese di Dicembre del 1881, ed
il suo Direttore scriveva a D. Bosco che, essendo fatto chiamare presso l’infermo, ebbe ad
accorgersi che poteva essere il caso di un prossimo pericolo. Il nostro Domenico con tutta calma
lo richiese di poter ricevere il buon Gesù Sacramentato, ed ove d’uopo, gli estremi conforti di
religione, che sentendosi a mancare voleva premunirsi contro gli assalti che gli potesse dare il
nemico infernale negli ultimi istanti del viver suo. Gli fu tosto portato il Santissimo Viatico che
ricevette con singolare pietà; recitando egli stesso il Confiteor e rispondendo alle preghiere che
accompagnano questa venuta di Gesù. E fu una vera grazia del Signore, che più tardi, e nei tre
giorni che precedettero la morte sua, essendosi subitamente aggravato e nulla più potendo
inghiottire, non avrebbe più potuto cibarsi del Pane della vita eterna. Essendogli stato
amministrato in quello stesso giorno il Sacramento della Estrema Unzione, chiese egli stesso che
gli si leggessero le preghiere della buona morte, quelle stesse che si trovano nel libro il Giovane
provveduto, ch’egli aveva l’abitudine di recitar sovente e che essendogli famigliari gli recavano
maggiore consolazione. Egli le ripeteva parola per parola con tale fede, divozione e fervore, da
fare ammirazione ed invidia a quanti vi assistevano. Chi scrive queste consolanti notizie
aggiunse: Gli lessi pure la preghiera a S. Giuseppe per impetrare una buona morte, ed altre
orazioni alla cara nostra madre Maria ed all’amantissimo Cuore di Gesù. Di tanto in tanto per
timore di troppo stancarlo gli chiedeva se volesse che {29 [415]} sospendessi le preghiere per
lasciarlo alquanto in riposo; ma sentii rispondermi che avrei potuto continuare, tanta era la
consolazione ed il sollievo che ne provava. Intanto tra le alternative del male ora più, ora meno
minaccioso, tra le preghiere ch’egli andava ripetendo, tra quelle che gli facevano i Confratelli
che lo assistevano, passarono ancora due giorni ed il termine di sua vita si faceva imminente.
Volle ancora vedere i confratelli, volle chiedere a tutti speciale perdono dei disgusti che loro
avesse potuto arrecare, e desiderando di morire in pace con tutti prendeva da tutti un fraterno
amichevole commiato. Parlò del vecchio suo padre e della defunta madre che sperava di
riabbracciare in Cielo, dei fratelli e sorelle che raccomandava alle preghiere di tutti. Ma ciò che
più lo consolava in questi ultimi momenti era il pensiero che, come membro della nostra
Congregazione, sarebbe partecipe di quante opere buone, e di quanti sacrificii vedeva sostenersi
dai Missionari Salesiani in quelle regioni.
L’esserne stato testimonio così dappresso, e poter calcolare su una buona porzione anche
a proprio spirituale vantaggio, era per lui un immenso conforto. Un ultimo pensiero di
soddisfazione lo diede alla laica Società Operaia Cattolica detta di S. Vincenzo de' Paoli, cui egli
apparteneva in Torino e che forse fu quel primo strumento di cui servissi il Signore per mandare
al suo cuore le prime sue chiamate. Benedisse a Gesù che ve lo aveva chiamato, benedisse a
Maria che ve lo aveva condotto, benedisse al momento che vi si aggregò, benedisse ai buoni
esempi ricevuti dai confratelli, benedisse a tutti, e pregando per tutti si faceva animo al pensiero
che presto tutti si sarebbero riuniti a lodar Dio nel bel paradiso. {30 [416]}
Il confratello che lo assisteva, potè adirlo raccomandare l’anima propria al Signore che lo
invitava a sè, e morendogli sulle labbra i nomi SS. di Gesù e di Maria lo vide esalare l’ultimo
respiro, alle ore 4 mattutine del 16 Dicembre 1881.
Torino, 1882. - Tipografia Salesiana. {31 [417]} {33 [418]} {33 [419]}{34 [420]}
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