Don_Bosco-Biografie._Confratelli_chiamati_da_Dio_alla_vita_eterna_nell-anno_1880


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Don Bosco - Biografie. Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna nell'anno 1880
BIOGRAFIE. CONFRATELLI CHIAMATI DA DIO ALLA VITA
ETERNA NELL’ANNO 1880
{1 [5]} {2 [6]}
[è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
Il sac. Alfonso Searavelli.............................................................................................................2
Il sac. Francesco Bodrato.............................................................................................................4
Il chierico Antonio Giuliano........................................................................................................4
Il chierico Giuseppe Galvagno....................................................................................................7
Il chierico Giovanni Fabrici.........................................................................................................9
Indice.........................................................................................................................................12
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Il sac. Alfonso Searavelli.
Egli nacque in Torino da pia ed agiata famiglia nell’anno 1847 alli 29 Giugno. Per
secondare il suo carattere religioso fu dai suoi parenti collocato all’Oratorio di S. Francesco di
Sales con due de' suoi fratelli, fin dall’anno 1860. Non è a dire come egli si fece subito conoscere
giovanetto di molta pietà ed applicato a tutti i suoi doveri. Era allora sul nascere il piccolo clero,
scelto fra i giovanetti studenti più esemplari. Uno dei primi e più lodati era appunto il giovanetto
Alfonso, che, considerando seriamente quella congregazione religiosa, si impegnava per
eseguirne con inappuntabile esattezza tutti gli obblighi. Merito però principale di tanta virtù si
deve alla buona educazione che aveva ricevuto in famiglia dalla {3 [7]} sua madre, che riponeva
suo vanto e gloria nell’educare santamente i suoi figli. I quali riconoscenti a tanta pietà si
studiavano di corrispondere quanto meglio sapevano a' suoi pii disegni.
Il Signore però dispose che questo eletto fiore di virtù spandesse anche altrove la
fragranza de' suoi, doni. Nell’anno 1861-62 il nostro caro Superiore D. Bosco, invitato dalla
Curia Arcivescovile di Torino, riapriva il Collegio di Giaveno, che da qualche tempo erasi
dovuto chiudere per mancanza assoluta di allievi. Colà pure fu ricevuto co' suoi fratelli il piccolo
Alfonso, e colà si fece anche ammirare per la pratica delle più elette qualità. Frequenza ai ss.
Sacramenti, speciale divozione a Maria SS., buon esempio in tutti i suoi doveri erano le virtù che
maggiormente brillavano nel giovanetto Alfonso; cosicchè fu presto considerata come un
segnalato favore del cielo la sua accettazione. Ancorché nqn si facesse vedere come di raro
ingegno e di mente svegliata, tuttavia coll’applicazione assidua agli studi meritava ogni anno la
regolare promozione e lodi speciali per la sua condotta, in ogni parte senza macchia. Quando si
venne alla scelta dello stato, non rimase in dubbio, egli voleva consecrarsi a Dio; per allora nello
stato ecclesiastico, e poi a Dio piacendo ad uno stato più perfetto in un ordine religioso.
Già chierico rientrò nell’Oratario, che allora cominciava a prendere forma regolare di una
Congregazione. Dovette per certo lottare con sè e con la famiglia quando si decise di consecrarsi
tutto al Signore. Ma anche qui la mamma sua fu a lui di grande aiuto dandogli volentieri il suo
assenso perchè egli si ascrivesse alla Congregazione. Come avesse ricevuto il più grande de'
favori non finiva di ringraziarne il {4 [8]} Signore ed i suoi parenti, e si studiava di praticarne
con fedeltà le regole. Destinato a chierico assistente a Lanzo vi si recò col desiderio di
impegnarsi con tutto l’affetto e la pazienza che esige tal genere di occupazione. Sapendo che per
farsi dai giovanetti ubbidire bisogna ubbidire ai proprii superiori, procurava di non allontanarsi
mai dagli ordini prescritti. Il suo buon esempio più ancora che le raccomandazioni giovava a
tenere a segno i giovanetti numerosi e vispi che gli erano stati destinati. Nulla tanto lo inquietava
quanto il vedere che alcuni non erano abbastanza buoni. Non fidandosi troppo di se stesso voleva
sempre che il superiore fosse informato di tutto, e che lo regolasse come riuscir meglio nel
disimpegno de' suoi doveri. Incontrando alcune volte caratteri alteri ed anche caparbi, procurava
di piegarli con somma carità, senza cercare di urtarli troppo duramenta.
Più volte fu visto conturbato perchè trovava difficoltà nel guadagnare certi cuori, che egli
desiderava convertire a Dio. Allora si volgevi a' suoi superiori, esponeva tutti i suoi dubbi, ne
aspettava con docilità i consigli, e poi cercava di metterli con puntualità in pratica. Questa
esattezza scrupolosa fu cagione sovente di fastidio a lui ed anche di gran fatica, ma pensando per
chi egli lavorava, sopportava ogni cosa in pace. Tra i giovani poi, come mezzo efficacissimo,
consigliava la pratica della pietà, precedendo tutti nella virtù. Usava con frequenza e divozione ai
ss. Sacramenti. La comunione era quasi quotidiana. Ogni dì faceva la sua visita al SS.
Sacramento, e sapeva sempre farsi accompagnare da molti e molti di essi. La sua divozione a
Maria SS. era proprio bella ed esemplare. Soleva chiamare Maria la mamma {5 [9]} sua
dolcissima e voleva che tutti ne fossero invaghiti. Era contento di avere nome Alfonso, perchè il
gran Vescovo di Sant’Agata de' Goti, S. Alfonso de Liguori aveva fatto tanto per diffondere la
divozione di Maria Santissima. Libro suo prediletto era quello di questo dottore della Chiesa
intitolato appunto a decantarne le Glorie. In una saa imaginetta del B. Sebastiano Valfrè, che
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portava sempre nel breviario, aveva scritto: “Coraggio, Alfonso, se vuoi farti santo sii divoto di
Maria SS.”
Messo a fare scuola in quel Collegio medesimo non si dimenticava che il vero mezzo per
ottenere disciplina e profitto era insinuare la pietà nei suoi scolari. Con un ingegno appena
sufficiente, guidava la scuola con soddisfazione de' superiori e con vantaggio degli allievi, i quali
corrispondevano con zelo agli impegni del maestro. Mentre faceva scuola era pur destinato
all’uffizio di catechista. Il giovane clero era educato da lui mirabilmente. Amante di fare il
catechismo, vi si impegnava per riuscire con profitto, studiandosi sempre di avere qualche
bell’esempio che servisse di vantaggio e di sollievo a suoi piccoli allievi. Era infaticabile nei
lavori che gli si affidavano, specialmente nel surrogare maestri ammalati od assenti. Della nostra
Congregazione era amantissimo, come anche de' suoi superiori. Ogni loro osservazione era per
lui un vero comando, e vi si adattava con iscrupolo di coscienza. Gli riusciva amarissima l’idea
di aver qualche volta trovata difficoltà per uniformare il suo consiglio con quello de' suoi
superiori.
I suoi direttori ricordano benissimo che varie volte il buon chierico mostravasi
inconsolabile quando gli capitava d’aver meritato non dico un rimprovero ma una sola parola da
cui arguisse che essi fossero dolenti {6 [10]} di lui. Oh allora non trovava più pace, finché non
n’avesse ottenuto perdono.
Una sera d’inverno, racconta un suo superiore, io mi era ritirato un po' tardi in camera, e
distolto dai molti affari del Collegio, allora soltanto poteva incominciare la recita del s. Uffizio.
Ed ecco sentii picchiare leggermente alla porta, ed una voce sommessa che mi chiamava. Non
credetti per allora interrompere la mia preghiera, e continuai. Dopo un quarti-cello d’ora, ecco il
medesimo picchio con la medesima voce. Sospettando allora che fosse avvenuto qualche
disturbo in Collegio, mi alzo e vado ad aprire. Quale non fu la mia sorpresa, quando vidi
prostrato ai miei piedi il chierico Scaravelli che colle lagrime agli occhi mi domandava il mio
perdono e la mia benedizione.
- Ma, caro amico, perchè non potesti aspettare ora più comoda? Perchè non venire
domani mattina?
- Non avrei potuto riposare pel timore di averle recato dispiacere. L’assicuro però che mi
rincresce di aver detto il mio parere un po' troppo vivamente. Mi perdoni, non lo farò più. -
Intanto l’orologio della casa batteva le undici ore! L’accommiatai coll’assicurarlo che
aveva dimenticato ogni cosa, perchè era certo che egli in quel momento aveva parlato per amore
del bene e per la salute delle anime, e che anzi lo ringraziava della sua carità. Non ci voleva altro
per acquietare quell’anima pia. Si alzò con infiniti ringraziamenti, e andò a letto, ove finalmente
potè prendere riposo.
Il nostro Superiore lo teneva per un giovane che non conoscesse peccato. A Lanzo si
fermò fino a quel giorno in cui la volontà dei superiori lo chiamava a Trinità come Direttore di
quella piccola missione. Sul principio ne fu come sbigottito, poi umiliato perchè {7 [11]} i suoi
superiori avessero destinato lui a reggere, mentre si trovava così bene nell’ubbidire alle
disposizioni di chi èra messo da Dio a comandargli. Riconoscendo in questa disposizione la
volontà, di Dio, pieno il cuore di rassegnazione, ed animato dal desiderio di lavorare senza
riposo a benefizio della gioventù, se ne partiva da Lanzo nel mese di Ottobre 4878. La sua
condizione era alquanto delicata, perchè doveva surrogare un confratello che aveva sollevati gli
animi a tante speranze. Ma egli colla sua pietà, colla sua prudenza seppe regolarsi veramente in
lodevole modo, e guadagnarsi la benevolenza di quanti lo dovevano avvicinare. Una cosa sola lo
inquietava, ed era il dover comandare, mentre avrebbe voluto dipendere dagli altri. Guardava
però di farlo così bene, con tutto garbo da far soave violenza, in coloro che dipendevano da lui.
I giorni che egli passava in quella modesta casa si potrebbero chiamare con linguaggio
scritturale dies pieni. Alla mattina meditazione e preparazione della messa, quindi
ringraziamento e recita delle ore diurne. Visita alla casa e sorveglianza ai giovanetti che
cominciavano a raccogliersi per la scuola. Lungo la mattina ora in una scuola ed ora in un’altra a
raccomandare quanto giudicava necessario per il buon ordine. Era pena al suo cuore il temere
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disordini per causa di sua trascuranza. Dopo mezzodì, tra la scuola, l’uffizio e la visita al SS.
Sacramento veniva l’ora di studio, che procurava di farlo coi confratelli. La sua vita era di
edificazione a tutti; e il suo zelo predicava assai più che la sua parola.
Intanto si risvegliò la malattia che molte volte aveva già minacciato i suoi giorni, ed il
buon Sacerdote aspettava con rassegnazione il compimento della {8 [12]} volontà di Dio.
Avrebbe desiderato rivedere il nostro carissimo Superiore D. Bosco, e ne fece volentieri un
sacrifizio, quando seppe che doveva differire la sua venuta. Ne fu compensato da alcune parole
che gli fece avere assicurandolo che avrebbe pregato per lui. Disse allora: Sia fatta la s. volontà
di Dio! Se Don Bosco prega per me, troverò misericordia al tribunale del Signore.
Nella lunga sua malattia provava dispiacere nel doversi alcune volte rendere penoso agli
altri. Se ne accorgeva poi e ne domandava umile perdono. Assistito da varii nostri confratelli che
si davano la muta per alleggerigli il dolore di quei momenti egli spirava l’anima nell’ottava del
Corpus Domini, nell’età appena di 32 anni. Gesù Sacramentato lo volle premiare e chiamare con
sé, come piamente si spera, nei giorni in cui la Chiesa suole invitare i fedeli a ringraziarlo di
tanto benefizio.
Il sac. Francesco Bodrato.
NB. Essendo già in via di pubblicazione i cenni più particola rizzati di questa biografia per ora
non si danno che le seguenti notizie:
Nato in Mornese da
Giovanni e Catterina
Pozzolo
il 18 Ottobre 1823
Entrato nell’Oratorio
il 20 Ottobre 1864
Ordinato Sacerdote
il 28 Novembre 1869
Morto in Buenos-Ayres
il 4 Agosto 1880 {9 [13]}
Il chierico Antonio Giuliano
Il giorno 25 Agosto 1880 fu ben doloroso per l’Oratorio di S. Benigno Canavese! In esso
spirava la sua bell’anima il chierico Antonio Giuliano, il quale con le sue esimie virtù seppe
attirarsi l’affezione e la stima de' proprii Superiori e compagni e l’ammirazione di tutti quelli che
lo conobbero.
Egli nacque in Ciglione paese del Monferrato da onesti ed agiati contadini, i quali fin da
fanciullo seppero instillargli i più profondi sentimenti di pietà, di onestà e di amore al lavoro. La
madre attesta che il suo piccolo Antonio mostrò sempre un grande abbonimento al peccato; che
non fu udito mai dire bugie o parole cattive; e che non si rifiutò mai di ubbidirla. Bella
testimonianza di una madre! Quanto poche sono quelle che possono dire altrettanto! Una pietà
singolare, un amore alla chiesa ed alle funzioni sacre lo distinguevano fino dai suoi più teneri
anni. Quindi è che recitò fin da piccino volentieri e con divozione le sue orazioni, e dopo
d’averle recitate se vedeva la madre insegnarle agli altri fratelli egli provava gran piacere nel
ripeterle con essi. Molto sovente lo si vedeva in chiesa tutto raccolto ed intento alla preghiera, od
a prepararsi ai ss. Sacramenti; ai quali accorreva sollecito in occasione di feste o di sacre
funzioni. Fu sempre alieno dalle cattive compagnie, e coi giovani indisciplinati e irreligiosi, i
quali invece di recarsi alle funzioni di chiesa vanno altrove a divertirsi, con fu mai visto a
bazzicare. Mite e condiscendente con tutti egli non diede mai in atti di collera; fu veduto una sola
volta assai alterato; {10 [14]} ma ciò avvenne perchè in giorno di festa lo si voleva far lavorare
ed egli noi volle temendo con ciò di offendere il Signore.
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Fornito di sufficiente ingegno e di molto buona volontà di imparare faceva grande
profitto nella scuola che frequentava in paese, benchè con suo grande dispiacere abbia dovuto
presto lasciare quella occupazione per andare coi fratelli a coltivare la campagna. Col crescere
negli anni il nostro Antonio andò ognor crescendo nel timor di Dio, nella pietà, nella modestia,
nell’esercizio della preghiera, nella divozione a Gesù Sacramentato, a Maria SS., a S. Giuseppe,
all’Angelo Custode ed alle anime del Purgatorio, nella frequenza alla chiesa ed ai SS.
Sacramenti, e in tutte quelle opere che dimostrano un’anima timorata del Signore. Fu sua delizia,
appena se ne trovò in grado, il fare la dottrina ai ragazzi, il servire la Messa, la Benedizione, e in
generale prestavasi ad ogni cosa che riguardasse il culto divino. In queste pratiche durò fino ai 26
anni in Ciglione sua patria nè solo nei giorni festivi praticava la chiesa, ma anche sempre nei
giorni feriali.
Siccome lo zelantissimo Parroco aveva introdotto parecchie divozioni speciali, come il
mese di Maria, del Sacro Cuore di Gesù e simili, il nostro Giuliano tuttochè
occupato da mane a sera nei faticosi lavori di campagna si mostrava in questi esercizi quotidiani
assiduo e fervoroso. In tutto l’anno ogni mattina, alzatosi per tempo, prima d’andare a lavorare in
campagna si portava in chiesa a recitare le sue orazioni ed assistere alla s. Messa: alla sera poi
tornato a casa dai lavori, se era tempo del Rosario o della Benedizione, mentre i fratelli e gli altri
giornalieri andavano a cenare egli recavasi tosto in chiesa, che se gli rimaneva qualche po' di
tempo, ritiravasi {11 [15]} prima in camera a cambiarsi la giubba e le scarpe perchè sporche di
polvere e di fango, e a lavarsi le mani e la faccia. Osservandogli talora la madre che questa sua
cura e pulitezza non era necessaria perchè l’oscurità della sera impediva alla gente di osservare le
maechie dell’abito, egli rispondeva con sentimento: Oh cara madre! se all’oscuro le persone non
possono vederle, le vede ben il nostro buon Dio! Era ancora amantissimo della mortificazione e
Dio solo sa quanto l’abbia praticata nascostamente.
Qui accenneremo solo alla sua esattezza nell’os-servare il digiuno ecclesiastico anche
quando attendeva tutto il giorno ai lavori gravi di campagna. In detti giorni quando si portava la
merenda, se a lavorare non vi erano che i suoi fratelli, egli al tempo che gli altri merendavano si
ritirava da parte senza mangiare nulla; e qualora coi fratelli ci fossero stati altri giornalieri
prendeva anche esso un po' di cibo, ma alla sera non cenava più. Amava la ritiratezza ed il
silenzio, eppero quando si trovava in compagnia di altri stava ascoltando quanto dicevano, ma
d’ordinario parlava poco. Nelle ore che aveva libere dalle occupazioni della campagna, se non
era in chiesa, il che avveniva il più delle volte, era in sua camera a leggere buoni libri od a fare
qualche lavoro per casa. Nelle lunghe sere d’inverno, passato qualche po' di tempo cogli altri
soleva ritirarsi nella sua camera a leggere buoni libri od a pregare, attestando la madre che gli si
vedeva a lungo il lume acceso ed in camera non teneva altro che alcuni libri di pietà. Questo suo
amore alla penitenza ed alla ritiratezza non lo rendeva per niente malinconico in se stesso o
rozzo cogli altri; anzi egli era costantemente allegre e talvolta venendo in casa sua alcuni buoni
compagni {12 [16]} a veglia giuocava con essi, si mostrava allegro quando dicevano cose da
ridere ed egli stesso sapeva trovare motti e facezie da tenere allegra la brigata; ma passata una
mezz’ora o tutt’al più un’ora, chiestone permesso si ritirava secondo il solito nella sua camera.
Le notizie fin qui riportate tutte furono somministrate dalla madre e confermate
dall’unanime attestazione dei fratelli. Altre notizie avute da un suo intrinseco amico d’infanzia
sul conto di quest’anima bella ci confermano pienamente quanto abbiamo fin qui detto facendo
soprappiù risaltare il suo abborrimento per le cattive compagnie, che fuggiva anche quando
alcuna gli se ne presentasse nella sua stessa casa, e impegno grandissimo nell’evitare la
conversazione con persone di sesso diverso, per cui assicura non averlo mai veduto parlare con
una di queste. Aggiunge poi che i pochi discorsi che teneva con taluno de' suoi compagni si
raggiravano sempre su cose indifferenti o di divozione. Se fosse ancor tra i viventi il Rev. signor
D. Mariscotti, che fu parroco per trent’anni a Ciglione, oh! quanti lodevoli atti potrebbe narrarci
del caro Giuliano, poichè quando parlava di lui andava come fuori di sè per la gioia d’aver avuto
un parrocchiano sì virtuoso ed esemplare.
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Il signor Parroco di Ponzone che ebbe la cortesia, di comunicarci varie delle suesposte
informazioni conchiude così: “Io ho potuto dir poco, e solo in succinto intorno alla vita
dell’ottimo Antonio Giuliano, avendolo conosciuto particolarmente solo nei tre anni che dimorai
a Ciglione, e che furono gli ultimi da lui passati in famiglia, ma posso aggiungere che in detta
epoca ebbi a ravvisarlo come un vero modello {13 [17]} di virtù straordinaria; e che tutto
Ciglione ammirava ed encomiava la vita esemplarissima del Giuliano.”
Ed il suo intrinseco amico sopra citato conchiude le notizie che ci dà di lui con queste
eloquentissime parole: “Insomma io tengo per certo ch’egli si sia conservato immune da ogni
peccato, almeno mortale, per tutto il corso di sua vita! Fortunato quell’uomo di cui può dirsi così
santa lode!”
Con questo tenor di vita era arrivato ai 26 anni. Ma un fiore così prezioso non doveva
stare più a lungo negletto in mezzo ai campi; meritava d’essere trapiantato in qualche giardino di
benedizione perchè si preparasse a ricevere poi più copioso quel premio che Iddio gli stava
preparando. Ed in vero da lungo tempo egli maturava nel suo cuore il disegno di intraprendere
gli studi latini per potere poi un giorno salire l’altare, ministro del gran Dio dell’universo. Ma
siccome non l’aveva potuto effettuare quando la tenera età gli dava speranza fondata di riuscire
negli studi, quasi già si disperava di poterlo ancora eseguire quando gli si presentò la propizia
occasione di essere accettato nell’Oratorio di S. Francesco di Sales e di quivi mandato a fare i
suoi studi a Sampierdarena. È indescrivibile il contento che provò: subito si pose con un
impegno speciale e agli studi e ad osservare le regole del Collegio. La vita che condusse quivi
non è certo ricca di episodii nè feconda di fatti straordinarii: è la vita di colui che ha un solo
impegno cioè di studiare molto per rendersi presto atto ai sacri ministeri e sempre più virtuoso
per farsene degno; ma i suoi meriti certo sono grandi perchè egli faceva tutto pel Signore, ed il
Signore aveva ogni giorno a registrare a suo conto centinaia {14 [18]} di atti di mortificazione di
sè, di preghiera affettuosa, di pietà ardente, di carità verso i compagni, di pazienza e di
rassegnazione continua.
Ecco le notizie che, richiestone, ci fece scrivere il direttore di S. Pier d’Arena: “Per
quanto fu dato di ravvisare co' suoi occhi al direttore di qui e da quello che attestano ed
assicurano i suoi maestri e compagni, le notizie sul conto del giovane Giuliano non potrebbero
essere migliori. Tutti convengono nel dire, che la sua vita fu ottima ed esemplarissima, che
rispettoso ai superiori, condiscendente coi compagni, mite e mansueto con tutti, di profonda
umiltà, di pietà esemplarissima, si segnalava specialmente in una rara prontezza nell’obbedienza
proprio a modo dei padri dell’eremo, come narra il Rodriguez, che ad ogni cenno di superiore
erano pronti tanto da lasciare imperfetta anche una parola incominciata.
Con queste virtù proseguiva e compiva lo studio ginnasiale e doveva pensare allo stato di
vita da intraprendere, se cioè dovesse abbracciare la vita del prete in mezzo al mondo o stare
ritirato in una Congregazione religiosa e attendere in questo modo a maggiormente santificare
l’anima sua e coltivare la salute delle anime in unione di confratelli che a ciò l’aiutassero e di
superiori che a ciò lo dirigessero ed animassero. Nel suo animo la tenzone fu breve; il pensiero
del gran bene che si può fare nelle missioni e della gran messe che offre la Congregazione
Salesiana lo decise a chiamare di essere a questa ascritto. Delle difficoltà ne aveva, ma la sua
ferma decisione le vinse e il giorno 29 del mese di Settembre 1879 in vista della sua esemplare
condotta fu ben facilmente accettato e mandato a far l’anno di noviziato a S. Benigno. {15 [19]}
Quivi la sua vita già tanto buona si fece ognor più esemplare. Il tempo che quivi passò fu breve
ma fecondo di elette virtù come dovea essere la corona di tutta la sua vita. Non atti di grande
apparenza, non singolarità ammirevoli e discorsi che lo facessero dai compagni tenere quale
anima prediletta da Dio. Era la viola nascosta fra le erbe, era un braciere d’amor divino coperto
dal cenere dell’umiltà. Ritiratezza, silenzio, esattezza nell’adempimento de' suoi doveri. Quella
compostezza spirituale, sempre eguale a se stessa, che non si sfiducia nell’avversità, nè
imbaldanzisce della buona fortuna, che non si risente alla parola inconsiderata e forse pungente
del compagno, nè s’invanisce della giusta lode che gli vien porta. Assiduo nello studio, cui si
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applicava con fervida volontà, facendovi non leggieri progressi, sebbene forse l’età e l’ingegno
non troppo esercitato per lo innanzi paresse volerne rallentare il cammino.
La sua buona volontà suppliva a tutto, e trattandosi di compiere un suo dovere, ed
un’azione qualsiasi impostagli, l’ubbidienza si faceva per lui una morale necessità. Il rispetto ai
superiori era così grande e la sua umiltà così sincera che talvolta si mostrava quasi trepidante
innanzi a loro. Fervoroso nella divozione, assiduo ai Sacramenti, inappuntabile nelle sue
relazioni coi compagni, era l’esempio di ciascuno, il modello dei novizii.
Negli ultimi mesi del suo noviziato, o fosse disposizione del suo fisico, o troppa
occupazione agli studii o ciò che è più certo espressa volontà del Signore, cominciò a
manifestarsi una tosse da prima leggiera, ma poscia insistente e continua. Nè essi nè altri ne
presero pensiero parendo cosa ovvia tanto più riguardo alla sua apparenza piuttosto robusta e
vigorosa. Eppure {16 [20]} la tosse progrediva, una lenta spossatezza cominciò ad accasciare le
sue forze, si ebbe qualche cura ma passeggiera e senza effetto.
Il buon Giuliano che tutto era nel desiderio di passare gli esami, per esser presto amine
ammesso a fare i suoi voti, non voleva far caso dello sua debolezza, e quasi superiore al male
non se ne dava per inteso, e non ne faceva motto con chicchessia.
Giunse intanto il giorno della emissione dei voti, e fu il 13 Agosto 1880. Con gioia
indicibile si vide giunto alla tanta desiderata meta. Gioiva di potersi ormai dire tutto del Signore,
d’aver finalmente rinunciato al mondo ed alla propria volontà, d’esser finalmente preparato a
seguire Gesù, ovunque lo a-vesse chiamato.
Quanto fosse il suo contento è più facile immaginare che spiegare. Arrivato tardi
nell’Oratorio, puf finalmente aveva potuto emettere i voti di Salesiano e conscio com’era che
l’emissione dei voti equivale ad un secondo battesimo, la sua bell’anima giunta a questo
momento di rinnovata innocenza, dovette pensare che quello sarebbe stato il momento di far
passaggio alla Eternità. Io penso che come S. Stanislao, aveva in quei giorni chiesto al Signore la
grazia di ritrovarsi in paradiso ed esser con Maria nel dì della sua assunzione, pur anche il nostro
Giuliano abbia rivolto al Signore consimil preghiera di passar da questa all’altra vita, in questi
giorni rivestito come si vedea della innocenza battesimale.
E sì che il Signore gli fece questa grazia; che quella malattia da lui non curata, mitigatasi
per qualche giorno venne ben tosto a riacerbarsi sì fattamente, che tolta ogni speranza, lo
condusse in pochi giorni agli estrèmi. Ricevuti con somma pietà i SS. {17 [21]} Sacramenti,
ringraziando il Signore di prenderlo seco in quel momento appunto che fatto Salesiano, si vedeva
ricoperto delle grazie specialissime dei voti emessi recentemente, arca per lui sicura del Paradiso,
moriva compianto sì per l’affetto che tutti gli portavano, ma anzitutto invidiato per la felice sua
morte, con cui si principiava per lui l’eterna vita.
Il chierico Giuseppe Galvagno.
In Occimiano cospicuo borgo, Comune e Capo Mandamento del Circondario di Casale
Monferrato nasceva Giuseppe Galvagno addì 16 Novembre 1858. I suoi genitori, Gioanni
Galvagno e Camilla Debernardis, di non ricca, ma onesta condizione si diedero ogni cura per
allevarlo cristianamente ed il giovane Giuseppino, affettuosamente corrispondeva alle loro
paterne sollecitudini.
Era sua prima cura fin da piccino, di accorrere per tempissimo alla Chiesa sua
Parrocchiale por servire quante Messe poteva, ed era esempio commovente il vederlo con quanto
impegno vi si adoperasse a ben compiere questo ufficio.
Dopo terminati i corsi elementari nelle scuole del Comune, i genitori si occuparono di
farlo entrare nel1’Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, e venne accolto in detto
Collegio nell’anno 1870 dodicesimo dell’età sua.
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Ascritto alla prima ginnasiale, se nei primi tempi non dimostrò queir attaccamento allo
studio che si poteva aspettare da lui, non andò molto che spinto dalla emulazione e dal desiderio
di fare esattamente il proprio dovere, diede le migliori prove di sè, sia {18 [22]} nello studio che
nella condotta. In fine dell’anno subì ottimi esami, e passato alla 3a ginnasiale con pari successo
fu quasi sempre fra quelli che più si distinsero, da passare poi fra i migliori alla scuola della
Rettorica. Anche qui non ismenti più le speranze che giustamente s’erano concepite di lui, e
superati gli esami di licenza ginnasiale con esito felice, e terminato il corso ginnasiale, si trovò al
punto della decisione più seria, quella cioè che ha rapporto alla elezione dello stato. Fin da
fanciullo aveva vagheggiato il servizio del Signore, quindi è che sostenuto e coadiuvato dai
consigli dell’amato Direttore e Padre D. Bosco, non ebbe difficoltà a decidersi per la carriera del
Sacerdozio.
Questo passo esigeva seria preparazione, ed il nostro Giuseppe vi si accinse colla più
esemplare serietà. Rafforzato dalla frequenza dei Sacramenti, dall’esatta osservanza delle regole
della Casa, e dalla quotidiana fervorosa adorazione a Gesù Sacramentato, ardeva dal desiderio di
veder presto giungere il giorno in cui vestite le divise chiericali, potesse già dirsi a-scritto ai
primi gradi di questo stato. Ciò avvenne nell’anno 1874.
Dopo due anni di chiericato passati nell’Oratorio di Torino, venne destinato alla Casa di
San Pier d’Arena a farla da insegnante e da sorvegliante, come poteva richiederlo il bisogno là
ove il personale era appena sufficiente. Pronto a tutto ei soddisfece con alacrità e zelo ai diversi
compiti che gli venivano assegnati, e se era esigente affinchè i giovani che gli erano affidati nulla
negligentassero di ciò che spetta allo studio cui essi erano tenuti, era poi anche l’anima delle
ricreazioni, mettendosi fra di essi il primo, a correre saltare e sollazzarsi quando ne era il tempo.
{19 [23]} Nell’autunno dell’anno scolastico 1878-79 venne traslocato ad Alassio in qualità di
maestro di 3a ginnasiale in quel nostro Collegio.
Fin qui nessuno o quasi nessun contrasto aveva avuto in riguardo della sua vocazione
religiosa. Deciso di ascriversi alla Congregazione Salesiana, si era sobbarcato senza difficoltà ai
diversi impegni che gli erano stati affidati, e tutti aveva adempiuti con soddisfazione e sua, e de'
Superiori. Però il tempo della prova doveva anche giungere per lui.
L’implacabile nemico della nostra salute si accinse a tentarlo dalla parte del cuore, e
facendogli vedere quanto i parenti suoi potessero aver bisogno di lui, e quanto ei potesse loro
arrecar sollievo, ed importante vantaggio col ritornare fra di essi, gli veniva astutamente
suggerendo che questo dovere figliale d’assistere ai bisogni dei parenti dovesse prendere il passo
a quello del novizio in Religione, e lo stato Sacerdotale cui non voleva disdire, potersi conciliare
col rimanersi nella casa paterna.
Questa tentazione del demonio era specialmente diretta a distorlo dall’emettere i voti di
rimanersene nella Congregazione. Per qualche tempo il povero Giuseppe ebbe a soffrirne assai.
Raddoppiate le preghiere, le visite a Gesù ed alla Madre Sua Maria SS., tenute conferenze più
frequenti col suo Direttore, venne finalmente a capo di vincere ogni ripugnanza, e nel giorno 26
di Settembre del 1879 fece nelle mani del suo Superiore in San Pier d’Arena i voti triennali,
risoluto a compier l’intiera dedica di se stesso al Signore, non appena fosse giunto il tempo di
poterlo fare coll’emettere al più presto i voti perpetui.
Ma il Signore avea altrimenti disposto.
Verso la primavera del 1880 incominciò a sentirsi {20 [24]} leggera indisposizione di
stomaco, per cui provava difficoltà nella digestione. Sul finire di quella stagione s’aggiunse la
tosse, ed a questa successe più sentita debolezza, talchè gli fu necessario d’appigliarsi ai consigli
dei medici, ed adattarsi ad una cura più decisa del suo malore. Sgraziatamente i rimedii non
producevano quell’effetto che si sarebbe potuto sperare, ed i medici stessi non parevano presagir
troppo bene di una malattia cosi restia.
Che se ne fosse accorto il buon Giuseppe, o che fosse effetto delle tendenze della sua
anima pia, o meglio ancora ispirazione misericordiosa del Signore che voleva prepararlo al gran
passaggio, egli è a constatare che cresciuta in lui la divozione a Gesù ed a Maria, di nulla più
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volentieri si intratteneva che di pie letture, d’atti di divozione, e di quanto poteva più distaccarlo
dalla terra e sollevarlo al desiderio del cielo.
Egli nutriva una speciale divozione per le anime sante del purgatorio, ed
immedesimandosi nell’ansie, che quelle provano di presto uscire da quel carcere temporario per
unirsi al loro Signore mondate da ogni macchia, ne sentiva grandissima compassione, e tutto si
adoperava per affrettarne la liberazione. Negli ultimi tempi che passò in Alassio, le sue
passeggiate si erano raccorciate; ben di rado però mancava di portarsi a passare dinanzi al
Campo Santo, e sempre fu visto fermarsi a recitare qualche preghiera in loro suffragio. Fatta la
preghiera ei soleva dire ai compagni; chi sa che non siavi al Purgatorio qualche anima a cui non
manchi che questo suffragio per salire al Cielo, e chi sa che quest’anima non sia già lassù a
godere della vista di Dio, e ad intercedere per noi? {21 [25]} Col suo pensiero al Paradiso egli ri
si avvicinava più presto che niuno se lo aspettasse.
Non ostante la stanchezza che aumentava e la tosse che lo opprimeva egli non voleva
lasciare le occupazioni che gli erano state affidate. Per non inquietarlo, quasi a fargli credere che
il suo male fosse troppo aggravato coll’ordinargli quel riposo che gli era indispensabile, si prese
il mezzo termine di traslocarlo a Torino, ove rimasto senza impiego fisso potesse meglio curare
la sua salute. L’idea di rivedere D. Bosco, e gli antichi suoi Superiori della Casa madre gli
sorrise, e lasciato Alassio si recò a Torino verso la fine del mese di Luglio.
Questo riposo non gli giovò gran cosa, che aggravandosi la debolezza si pensò che l’aria
nativa gli avrebbe giovato assai più; gli si permise quindi che si recasse ad Occimiano per
ristabilirsi in mezzo ai suoi. Ma qui, sia perchè non poteva frequentare i Sacramenti, come nelle
nostre Case, sia che temesse il ritorno di quelle tentazioni che l’avevano tanto combattuto, cioè
un eccessivo attacco alla propria famiglia, o fosse per altra cagione che solo Iddio conosce, non
volle rimaner gran fatto, e trovò meglio di ritirarsi nel Collegio di S. Martino poco lontano da
Occimiano, ove potendo approfittare della medesima aria, avrebbe avuto il vantaggio di trovarsi
con i suoi Confratelli Salesiani.
Buon per lui che per tale distacco potè negli ultimi momenti aver accanto al letto di morte
un Sacerdote amico, che al certo non avrebbe potuto avere nella casa de' suoi, stante la rapidità
dell’accesso che lo privò della vita.
Il nostro Giuseppe nella sera del 6 di Settembre 1880 erasi posto a letto non aggravato di
più del {22 [26]} consueto e tranquillo accennava a dormire. Tutto era in calma, quando un
attacco improvviso lo sorprese, ed in breve fu ridotto a fin di vita.
E fu fortuna che si trovasse in mezzo de' suoi confratelli; che un Sacerdote accorso in
fretta fu in tempo a parlargli di Gesù e di Maria, e sebben soltanto a segni, potè ancora riceverne
la Confessione, e colla Sacramentale assoluzione dargli quell’estremo conforto che arrecano al
moribondo le ultime parole del ministro di Dio.
Quest’ultima consolazione in un caso di morte così repentina non è forse dovuto al
distacco che il Galvagno s’aveva imposto dalla famiglia sua? Il Signore misericordioso che è
padrone della vita e della morte ha forse appunto così disposto per ammaestramento nostro.
Negl’imperscrutabili suoi giudizi, egli aveva stabilito di chiamarlo a sè con quella repentina
morte, che fortunatamente succedette a giorni di frequenza di Sacramenti, come s’usa di fare
nelle nostre Case; avvenne improvvisa, ma non impreveduta, successe subitanea, ma non tanto
da privare il moribondo dell’assistenza d’un fedele amico rivestito delle facoltà d’assolvere e di
aprire le porte del Cielo.
Buon per il nostro Giuseppe che preferito il Collegio alla casa paterna potè approfittare di
quest’ultima grazia che certamente gli sarebbe mancata fra le braccia de' suoi. {23 [27]}
Il chierico Giovanni Fabrici.
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Il chierico Giovanni Fabrici, nato in Clanzetto (provincia di Udine) il 23 Novembre 1861
da Giovanni Fabrici e Maria Concina, aveva sortito dalla natura una mente svegliata ed un’indole
veramente buona. I suoi genitori, persone agiate e d’ottimi costumi, gli instillarono per tempo
l’amore alla virtù, e Dio benedisse alle loro sollecitudini facendolo crescere docile, rispettoso,
dedito allo studio, alla fatica e ben portato per la pietà. La mamma nel vederselo venir su
obbediente ed affezionato fin dai primi anni, ne concepì care speranze, quindi pose ogni studio
nel tenerlo lontano dà quanto potesse guastargli la mente ed il cuore; cosicchè il nostro
Giovannino era nella casa paterna il gioiello più caro della famiglia.
Compiute le classi inferiori nelle scuole del paese, venne dai suoi inviato al nostro
Collegio d’Alassio. Datosi ben tosto alle opere di pietà ebbe a guadagnare assai sia negli studii,
sia nella condotta.
I maestri e superiori ne erano soddisfattissimi. Durante il corso ginnasiale non ebbe mai a
metterli in angustie, e se una qualche volta gli venne di trascorrere in alcuna mancanza, ciò fu
piuttosto effetto di giovanile leggerezza, che di male tendenze, e dotato com’era di carattere
docile si rimetteva facilmente sulla buona via ascoltando con sommessione gli avvisi che gli
venivan dati.
Racconta un suo maestro che avendolo egli richiamato a segno un dì che l’aveva visto un
po' dissipato, s’accorse che due lagrime erano spuntate sul ciglio {24 [28]} del Fabrici, e finita la
lezione il buon giovane corse tosto a chièdere il perdono della mostrata dissipazione.
Assai circospetto nella scelta dei compagni, trattenevasi di preferenza coi più virtuosi,
non affratellandosi però mai con troppa confidenza con alcuno. D’umore allegro, affabile con
tutti, pronto ad ogni dovere, venne al termine degli studi ginnasiali.
Si fu a questo punto ch’egli incominciò a pensare seriamente a quanto Iddio poteva
desiderare da lui.
Parevagli che il secolo fosse troppo pieno di pericoli pel suo avvenire, ed una voce
interiore sembrava chiamarlo a dedicarsi più davvicino al servizio del Signore.
Avendone più volte conferito col suo direttore spirituale si decise pur finalmente ad
abbracciare questo stato, e coll’approvazione del Superiore otteneva d’indossare l’abito
chiericale nel giorno 17 del mese di Settembre 1877 in Lanzo Torinese.
Compreso dalla dignità del sacro Ministero, non gli pareva vero d’averne già rivestite le
divise, e stimandosene pur sempre indegno, ne volgeva vivissima riconoscenza alla Vergine
Santissima, da cui solo ripeteva cotanto favore. Innamorato di questa Madre carissima, ne
parlava co' suoi compagni con affetto tenerissimo, e compreso da uno stesso sentimento pel divin
Figlio di Maria, spasimava per l’uno e per l’altra di un intenso sentimento d’amore e di
gratitudine.
Ma questo non gli bastava, che più in là ci spingeva i suoi desiderii, e bramando di più
efficacemente cooperare al precipuo scopo di tale stato, cioè alla salute delle anime, chiese il
favore d’arruolarsi eziandio alla nostra cara Congregazione, incominciando il suo noviziato. {25
[29]} In questo stadio di prova si distinse in modo speciale nell’osservanza delle più minute
prescrizioni del Regolamento. La frequenza ai ss. Sacramenti, la meditazione divota, l’attenta
lettura spirituale, e la pronta obbedienza ad ogni cenno dei superiori, persuasero facilmente ai
maestri dei novizii che il Fabrizi fosse destinato dal Signore a fermarsi definitivamente nella
Congregazione.
Umile, cordiale, affabile e sincero si era guadagnato la stima de' suoi superiori, e l’affetto
di tutti a tal che trovandosi nella Congregazione come nel suo naturale elemento, venne senza
gran fatica ad acquistare quel distacco dal secolo e dalla famiglia che è lo scoglio ove pur troppo
s’infrangono molte vocazioni. Ad ottenere sì fatto risultato contribuì in massima parte il forte
proposito da lui concepito di voler ad ogni costo salvarsi l’anima, memore del detto del Salvator
nostro Gesù, che chi vuol essere suo discepolo, deve lasciare padre, madre, fratelli e congiunti, e
preferire il distacco dai suoi, agli agi e delizie della famiglia. Quindi è che non chiese mai di
recarsi nella casa paterna, e se vi si dovette recare si fu quando vi fu costretto dai superiori, per
ivi ristabilirsi in salute, come più innanzi si dirà.
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Avvicinandosi il termine del noviziato i superiori trovandolo sì ben disposto alla vita di
religione gli concessero di fare la sua professione, ed egli vi si preparò con tutto lo slancio di cui
era capace l’anima sua. Raddoppiando le preghiere per avere da Dio lume e coraggio, con
maggiore accuratezza e fervore si lavava nelle acque di penitenza, e si nutriva del pane dei forti,
cosicchè condotto dalla grazia del Signore e rinvigorito dal consiglio del suo Direttore (cui tutta
aveva aperta l’anima sua) nel giorno 13 Settembre {26 [30]} 1878 ebbe la consolazione di
emettere i voti perpetui, che lo avvinsero alla cara Congregazione dei Salesiani.
All’ombra del Santuario di Maria Ausiliatrice non è a dire quanto si stimasse fortunato
della definitiva sua scelta. Lo riconosceva qual beneficio segnalatissimo della cara sua Madre, e
ne la ringraziava colla più tenera riconoscenza.
Affezionatissimo alla Congregazione ed ai suoi superiori procurò di rendersene degno
coll’applicarsi intensamente all’esercizio de' suoi doveri ed a quelli studii che più lo potessero
render utile al caro abbracciato Istituto. Egli fece il corso di filosofìa con lode non solo per
l’ingegno che dimostrava, ma molto più per l’applicazione allo studio; il che lo pose in grado di
presentarsi ancora agli esami per la patente elementare di grado superiore, superandoli con
onore. Per tale riuscita, i superiori avendo concepito di lui ottime speranze, avrebbero bramato di
fargli continuare gli studi alla Università e gli mostrarono il desiderio che aspirasse all’esame di
licenza liceale. Senonchè vedendo che la sua salute s’era alquanto alterata, s’astennero dal
fargliene un comando. Anzi per rinforzargliela si credette vantaggioso di fargli provare un clima
più mite, perciò venne destinato alla casa nostra d’Alassio.
Il nostro Fabrici gioì nel vedersi di nuovo in compagnia di coloro che lo avevano guidato
nel corso ginnasiale, ed in poco tempo si rimise in forze tanto da poter ripigliare i suoi lavori. Gli
furono affidate nuove occupazioni che tutte disimpegnò con affetto ed esattezza da parte sua, e
con soddisfazione dei superiori.
Nel frattempo non aveva dimenticato il desiderio {27 [31]} che superiori gli avevano
lasciato travedere, di abilitarsi a subire gli esami di licenza liceale. Vi si applicò colla massima
tenacità, da durarla per ore ed ore immobile sol suo trattato.
Coll’avvicinarsi del Luglio 1880, si appressava l’epoca degli esami, ed il nostro Fabrici
raddoppiava gli sforzi per veder coronato il suo intento di buon successo. Già aveva subito
lodevolmente i primi esami per iscritto, non che quelli del primo gruppo dei verbali, quando
affranto dagli eccessivi calori e dal riacerbarsi della prima sua malattia venne sorpreso da altro
improvviso malore, con acuti spasimi alle viscere, che l’obbligarono a cedere e porsi in letto nel
nostro Ospizio di S. Pier d’Arena.
Le pronte cure lo riebbero ben tosto, ed in breve terminata la crisi e scomparsi i sintomi
pericolosi fu creduto già quasi ristabilito.
A meglio riaversi fu consiglio dei medici di fargli respirare arie più fresche e più salubri,
per cui lasciato S. Pier d’Arena si portò al nostro Collegio di Lanzo, ai piedi delle Alpi.
Ma qui non acquistando gran fatto si pensò che miglior rimedio sarebbe per lui il respirar
per qualche tempo l’aria nativa. Quindi è che partito da Lanzo si diresse verso Clanzetto.
E qui il Signore lo attendeva per chiamarlo a se. Quando nessuno se lo aspettava, anzi
quando appunto il nostro chierico faceva calcoli sul giorno di far ritorno nella nostra casa non
sembrandogli vero di dovere si a lungo star lontano dai suoi superiori e compagni, nella notte fra
l’otto ed il nove Settembre, essendosi ripetuto l’attacco che lo aveva improvvisamente assalito a
S. Pier d’Arena con atroci spasimi alle viscere, accompagnato da violenti vomiti, quasi
repentinamente {28 [32]} spirava la bella anima sua fra le braccia dei suoi genitori.
Fu segnalato favore per lui che al primo attacco avuto in S. Pier d’Arena gli si erano
amministrati i ss. Sacramenti, e solito com’era ad accostarvisi ogni otto giorni, non era gran
tempo che ne aveva ricevuto la grazia; e che colla sua vita esemplare si trovasse da lungo tempo
preparato ad incontrare la morte con animo tranquillo.
Tutto fa sperare che il Signore lo abbia già accolto fra le sue braccia in cielo, e mentre la
sua vita esemplare ci può servire da modello, la sua morte troppo repentina, ci ha da ricordare,
ch’essa non la perdona a età, e che nessuno è dispensato dal mettere in pratica il grande avviso
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che ci lasciò nel Vangelo lo stesso nostro Redentore: Estote parati, quia qua hora non putatis
filius hominis veniet. {29 [33]}
Indice
Il sac Alfonso Scaravelli
Il sac Francesco Bodrato
Il chierico Antonio Giuliano
Il chierico Giuseppe Galvagno
Il chierico Giovanni Fabrici
pag 3
9
10
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Torino. 1881 - Tipografia Salesiana {31 [35]} {32 [36]}
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