Don Bosco - Il pontificato di S. Dionigi
Capo I. Vita eremitica - elezione di S. Dionigi.
Ripigliamo, amico lettore, la vita dei sommi pontefici. Noi abbiamo già esposte le azioni
de' venticinque primi papi; S. Dionigi ne è il ventesimo sesto. Egli era greco di nascita, ovvero
nato nella città di Turriano, che è nelle parti più meridionali d'Italia, oggidì detta Calabria. Questi
paesi anticamente appellavansi Magna Grecia, perchè alcune colonie greche ne' remoti tempi
vennero colà a stabilire la loro dimora.
Dionigi ebbe un'educazione cristiana; ma fatto grandicello fu spaventato dai pericoli che,
soprattutto per parte de' cattivi compagni, s'incontrano nel mondo. Onde egli per assicurarsi la
salvezza dell'anima volle mettere {3 [255]}in pratica il consiglio del Salvatore abbandonando
ogni cosa temporale per ritirarsi ne' deserti a far vita solitaria. Forse da alcuni di voi non si capirà
chiaramente quale fosse la vita solitaria praticata dagli antichi cristiani, perciò non vi dispiacerà
che io mi trattenga alquanto per darvene un cenno. Coloro che per seguire i consigli del
Salvatore abbandonavano padre, madre, fratelli, sorelle, casa, parenti, amici è andavano in siti
detti eremi, dicevansi eremiti: da Eremo parola greca che vuol dire solitudine o deserto; e quelli
che intraprendevano questo tenor di vita erano detti eremiti ossia solitari.
Talvolta avveniva che parecchi guidati dal medesimo pensiero si radunavano negli stessi
deserti a far vita comune; ed allora prendevano il nome di cenobiti, da altra parola greca coenos
che vuol dire comune e bios ossia vita. Di qui nacque il nome cenobio solito a darsi ai luoghi
dove si radunavano per mangiare, dormire, lavorare e pregare. Il capo chiamavasi cenobiarca
ovvero capo di quelli che facevano vita comune. Noi abbiamo ancora oggidì le parole monaco e
monaca che sono parole greche, le quali vogliono dire eziandio {4 [256]} solo; perchè coloro che
abbracciano lo stato monastico rinunciano al mondo per andare a vivere ne' loro conventi o
monasteri che sono una specie di solitudine.
Quegli antichi solitari impiegavano la loro vita nel lavoro, nello studio e nella preghiera.
Si occupavano a dissodare terreni incolti che non erano mai stati toccati dalle mani degli uomini.
Si nutrivano con radici di erbaggi e con erbe cotte ed anche crude, con frutti di piante selvatiche,
con legumi prodotti dal terreno per cura di essi coltivato. I loro liquori erano acque limpide di
fontane o di ruscelli. Più volte nel giorno e nella notte si radunavano a pregare, ad ascoltare la
parola di Dio, a leggere la Bibbia o la vita dei santi, e a farsi la disciplina, cioè a battersi
spontaneamente con flagelli, sterze o bacchette fino a bagnar talvolta il pavimento e le pareti di
sangue. Ciò facevano per secondare il Salvatore che disse a tutti: Se non farete penitenza andrete
tutti alla perdizione. Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis. Quelle austerità, da cui
sembra dover essere ognuno atterrito, avevano molti seguaci. In alcuni luoghi i solitari giunsero
a più centinaia, ed anche {5 [257]} a più migliaia. Tutti sotto ad una regola sola, formanti una
sola famiglia dipendevano dal medesimo capo.
Il capo di quelle maravigliose famiglie chiamavano abate, dalla parola ebraica abba che
vuol dire padre; perciocchè egli era realmente considerato come il padre di tutti, e i sudditi lo
ubbidivano, come altrettanti figliuoli, che perciò dicevansi frati o fratelli.
Questa vita più angelica che umana tenne più anni s. Dionigi, finchè fu richiamato a
Roma, e fu aggregato al clero pontificio, che è come dire al ceto dei cardinali. Con grande zelo
impiegò la sua vita pel bene della religione durante il pontificato di s. Stefano e di s. Sisto II.
Allora che quest'ultimo venne coronato del martirio fu unanime il pensiero di eleggere Dionigi
successore, come colui che per santità, dottrina e prudenza era da tutti ammirato.
S. Dionigi fu consacrato papa da S. Massimo vescovo di Ostia, che era una celebre città
distante circa quindici miglia da Roma, edificata alla foce del Tevere, cioè in quel luogo dove il
Tevere versa le sue acque nel mar Mediterraneo. Presentemente quella famosa città è ridotta ad
un meschino {6 [258]} villaggio; ma ancora oggidì avvi in Roma un cardinale che porta il titolo
di vescovo d'Ostia, ed è tuttora colui che fa la sacra funzione nella consacrazione dei papi. S.
Agostino nota che fin dai primi tempi i vescovi d'Ostia solevano consacrare i romani pontefici.
V. Brevicolo coll.
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