Don Bosco - Brevi biografie dei confratelli salesiani chiamati da Dio alla vita eterna [1876]
Francesco di Sales. Notizia più consolante non poteva giungere al suo cuore; e parevagli che
tardasse mill'anni il momento di prendere le mosse alla volta di Torino. Quando partì di casa,
mostravasi contento come se andasse al luogo di sua vera felicità. Giuntovi e conosciuto come
egli avrebbe ivi' potuto attendere con tutta comodità alla salvezza dell'anima, diceva: So i
superiori mi lascieranno studiare, ne avrò piacere; so crederanno meglio darmi altre occupazioni,
io sarò parimenti contento, perchè veggo che in questo luogo vi è la pace del Signore. {26 [192]}
Dopo alcun tempo i suoi superiori conobbero che il giovane Para possedeva eziandio non
mediocre attitudine allo studio, oltre all'essere ornato di rare virtù. Quindi gli venne concesso di
attendere allo studio e nel settembre 18733 fu accettato come ascritto nella Congregazione
Salesiana. Diligente, esatto nei suoi doveri, fervoroso nelle pratiche di pietà, di una obbedienza a
tutta prova, era il modello non solo dei novizi, ma degli stessi professi. Desideroso di consacrarsi
tutto al Signore coi voti religiosi egli nell'anno di prova 1873-74, trovandosi coi confratelli ai
santi Esercizi nel nostro Collegio di Lanzo, domandò al superiore che gli permettesse di farvi
professione. Questi, osservata la condotta irreprensibile, che ci teneva, glielo concesse,
quantunque agli studenti ciò per lo più non si permetta, se non dopo compiuto il corso di latinità.
Fu questo un tratto di singolare bontà del suo superiore, affinchè il caro nostro confratello, che
doveva sì presto terminare sua mortale carriera, potesse morire consacrato a Dio, come
ardentemente bramava. Il buon giovane ebbe sempre questa per una grazia segnalata e sul letto
di morte un'ora prima di rendere l'anima a Dio, parlandone col Direttore della casa, lo pregò che,
dando al suo Superiore l’ annunzio di sua morte, lo ringraziasse del favore che fatto gli aveva
coll'avergli concesso di far professione pochi mesi prima, preferendolo a tanti suoi compagni.
Alla gratitudine unendo poscia i sentimenti della più grande umiltà, u io penso, soggiunse, che il
nostro Superiore conoscesse che io doveva tra poco morire; del resto non avrebbe fatto a me una
grazia così segnalata, che n'era immeritevole. Ad ogni {27 [193]} modo lo ringrazi tanto, e gli
dica che io pregherò molto per lui, pel gran bene che mi ha fatto. »
Sul principio dell'anno scolastico 1874-75 nel Collegio di Borgo a. Martino
abbisognandosi di un buon portinaio, vi fu destinato il nostro Giacomo. II buon confratello,
benché gli tornasse doloroso il distaccarsi dai fianchi del padre dell'anima sua, pure ricevuto il
suo ordine se ne partì senza far parola in contrario. Nel nuovo collegio egli fece risplendere le
stesse virtù che nell'Oratorio di o. Francesco, e vi lasciò un documento imperituro di una
pazienza, e di una esattezza nei propri doveri inarrivabile. Ma egli era ormai maturo pel cielo, e a
lui già potevansi applicare le parole dello Spirito Santo, cioè, che in breve tempo egli aveva
accumulati tesori sì grandi di meriti, che altri giungerebbero appena ad acquistare in lunghi anni
di vita, brevi vivens tempore eaplevit tempora multa.
Erano circa tre mesi dacchè Para compiva l'uffizio suo da portiere attendendo in pari
tempo allo studio di quarta ginnasiale, sotto un maestro speciale, quando la sua salute prese a
deteriorare. Solito a soffrire incommodi e disagi di ogni sorta senza mai farne parola ad alcuno,
egli benchè si sentisse crescere viepiù il male, e fosse tormentato dalla febbre giorno e notte,
tuttavia nel cuor dell'inverno continuò sempre a levarsi alle ore cinque del mattino per assistere
al suo impiego di portinaio, come se fosse sanissimo. Con questo maschio coraggio, che sa dell'
eroico, ci seppe nascondere, per molti giorni la sua indisposizione: poiché sebbene fosse riputato
per giovane di grande {28 [194]} virtù, nondimeno niuno de'suoi confratelli avrebbe giammai
sospettato, che questa fosse di sì alta perfezione, da sopportare in piedi e al proprio posto ora gli
ardori, ora i brividi di una febbre ostinata. Finalmente il Superiore accortosi del suo mal essere,
gli ordinò di mettersi a letto. Ubbidì, ma con rara umiltà rispose: Non è giù pel male che io sono
così, bensì porchè non sono capace a sopportar niente per amor di Dio. Rimase a letto quel
giorno: ma credendo che l'ordine del direttore non dovesse estendersi più oltre, ecco che nel
mattino seguente all'ora solita-egli si alzò come i giorni precedenti. L'infermiere, che pel primo
lo vide, «e perchè ti sei levato, gli disse, con tanto male in corpo?» ed egli, «temeva, rispose, che
non ci fosse alcuno al mio posto, e non voleva che per cagion mia accadessero disordini.» Gli fu
imposto di ricoricarsi e di attendere il medico.
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