Don Bosco - Vita de' sommi pontefici S. Anacleto S. Evaristo S. Alessandro I
Capo X. Preghiera di s. Alessandro - Un angelo il conduce alia casa di
Quirino - Ermete racconta la storia della sua conversione.
Quirino per assicurarsi che non gli facessero travedere le cose andò a riferire ad
Alessandro la sfida fatta ad Ermete, di poi fece mettere un numero di guardie tre volte maggiore
dell'ordinario, tanto intorno alla camera ove era Ermete, quanto intorno alla prigione dove era
Alessandro. Così aveva anche fatto Erode, allorchè fece chiudere in prigione s. Pietro.
Il Pontefice intesa tal cosa si mise tosto a pregare Iddio onde volesse manifestare la sua
gloria, e illuminare quel tribuno con un miracolo. Egli pregava cosi: Signor mio G. C., che mi
hai chiamato a sedere sopra la cattedra di s. Pietro tuo apostolo, concedimi, non già che io sia
libero dal martirio, ma che venga il tuo angelo, e di questa sera mi conduca al tuo servo Ermete,
e dimani mattina mi riconduca qua senza che alcuno se ne {49 [493]} accorga finchè io sia
ritornato. Pregava ancora, quando uno splendore illumina tutta la prigione, mentre un giovinetto
con un lume in mano gli si presenta e dice: Alessandro, seguimi.
Il Pontefice temendo che fosse un' illusione o frode diabolica, si volse al giovinetto e
disse: io non andrò teco se tu non farai prima qui orazione. Il fanciullo, che alla vista sembrava
aver l'età di cinque anni, s'inginocchiò, e stette mezz' ora in orazione; di poi si levò e recitò ad
alla voce il Pater noster. Prese poscia per mano Alessandro, il quale dal modo di pregare si
accertò essere questo un angelo mandato da Dio, siccome aveva fatto a s. Pietro in
Gerusalemme, e cominciò a seguirlo. Passò le porte, e le guardie, senza che alcuno cercasse di
fermarlo, e andato coll'angelo alla casa di Quirino, entrò nella stanza dove era Ermete. Appena i
due santi si videro insieme si abbracciarono piangendo di allegrezza e confortandosi l'un altro a
patire qualsiasi male per amore di G. G. A fine poi di ringraziarlo dei favori ricevuti si posero a
pregare.
Mentre si trattenevano io orazione, giunse {50 [494]} Quirino, il quale al vedere i due
confessori della fede inginocchiati e fare insieme orazione, circondati da raggianti splendori
rimase come incantato. Vedendolo così fuori di sè gli dissero: Ciò che dimandasti, ora l' hai
ottenuto; eccoci ambidue insieme di corpo siccome lo eravamo già prima di spirito. Ora credi.
Ma per non lasciare in te ombra di dubbio, domani ci troverai al nostro luogo di prima non sciolti
come ci vedi adesso, ma legati, con quelle stesse catene con cui ci hai fatto legare. Quirino
rispose: Quanto voi avete fatto può essere avvenuto per arte magica.
Non dir così, ripigliò Ermete perciocchè tu hai dimandato questa prova; hai triplicato le
guardie tanto alla mia camera, quanto alla pubblica prigione; nondimeno ci vedi qui insieme; e
sta sicuro che ciò non può avvenire se non per volere di Dio, alla cui potenza ogni cosa è
possibile. Egli stesso, quando era nel mondo e conversava cogli uomini, operò simili maraviglie
dando la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la loquela ai muti, e perfino la vita ai morti. Egli stesso
assicurò che i suoi seguaci avrebbero operato miracoli maggiori di quelli {51 [495]} operati da
lui. I suoi servi operano al presente le stesse maraviglie non in virtù di loro, ma in virtù del suo
Santo Nome. Quando mai tu vedesti risuscitare un morto per arte magica? Ora piacciati di
ascoltarmi, io ti racconterò quanto mi occorse con Alessandro, e cosi cesserai d'incolparmi
quasichè io sia stato troppo facile ad abbandonare gli dei, che adorarono i miei antenati per
adorare G. C. morto in croce.
Io ho un figliuolo, come sai, il quale poco tempo fa cadde ammalato. Io lo portai al
tempio dì Giove, feci sacrificio, invocai tutti i nostri Dei, ma tutto invano, poco dopo egli morì.
Teneva allora in casa una serva, che aveva allevato quel mio figliuolo, la quale di poi era
divenuta cieca. Vedendomi tutto addolorato, costei mi disse: se tu invece di portare tuo figlio a
Giove in Campidoglio l' avessi portato alla tomba di s. Pietro (ad limina, Petri) e avessi creduto
in G. C, tuo figliuolo vivrebbe ancora sano e salvo. Io la ripresi dicendole: se non può guarire te
che sei cieca, avrebbe potuto guarire mio figlio che è morto? La serva non rispose, ma subito si
{52 [496]} parti. Tre ore dopo ritornò co' suoi occhi belli, chiari e perfettamente guariti, siccome
erano prima della sua cecità. Senza profferire parola alcuna, ella prese il corpo di mio figliuolo
che non aveva ancora sepolto e lo portò via correndo. Io e molti servi l'abbiamo seguita per
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