Don_Bosco-Vita_del_giovanetto_Savio_Domenico


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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
VITA DEL GIOVANETTO SAVIO DOMENICO ALLIEVO
DELL'ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES
per cura del Sacerdote
BOSCO GIOVANNI
TORINO
TIP. G. B. PARAVIA E COMP
1859 {1 [151]} {2 [152]}
INDEX
Estratto di lettera pastorale di mons. Gioanni Antonio Gianotti Arcivescovo e Vescovo di
Saluzzo.........................................................................................................................................3
Giovani carissimi:........................................................................................................................3
Capo Primo. Patria - indole di questo giovine suoi primi atti di virtù.........................................4
Capo II. Morale condotta tenuta in Murialdo - Bei tratti di virtù - Frequenza della scuola di
quella borgata...............................................................................................................................5
Capo III. È ammesso alla prima comunione - Apparecchio - Raccoglimento e ricordi di quel
giorno...........................................................................................................................................6
Capo IV. Scuola di Castelnuovo d'Asti, - Episodio edificante. - Savia risposta ad un cattivo
consiglio.- ...................................................................................................................................7
Capo V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti. - Parole del suo maestro..................8
Capo VI. Scuola di Mondonio Sopporta una grave calunnia......................................................9
Capo VII. Prima conoscenza fatta di lui - Curiosi episodi in questa congiuntura.....................10
Capo VIII. Viene all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Suo primo tenore di vita ivi
cominciato..................................................................................................................................11
Capo IX. Studio di latinità. - Curiosi incidenti. - Contegno nella scuola. - Impedisce una rissa.
................................................................................................................................................... 12
Capo X. Sua deliberazione di farsi santo...................................................................................15
Capo XI. Suo zelo per la salute delle anime..............................................................................15
Capo XII. Episodii e belle maniere di conversare coi compagni...............................................16
Capo XIII. Suo spirito di preghiera. - Divozione verso la Madre di Dio. - Il mese di Maria....18
Capo XIV. Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e comunione.........................19
Capo XV. Sue penitente.............................................................................................................21
Capo XVI. La Compagnia dell Immacolata Concezione..........................................................21
Capo XVII. Sue amicizie particolari - Sue relazioni col giovane Gavio Camillo.....................24
Capo XVIII. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni.....................................................25
Capo XIX. Grazie speciali e fatti particolari.............................................................................26
Capo XX. Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente......................28
Capo XXI. Sua sollecitudine per gli ammalati - Lascia l'Oratorio- Sue parole in tale occasione.
................................................................................................................................................... 29
Capo XXII. Dà l' addio a' suoi compagni..................................................................................30
Capo XXIII. Andamento di sua malattia. - Ultima confessione, riceve il Viatico. - Fatti
edificanti....................................................................................................................................31
Capo XXIV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte...........................................................32
Capo XXV. Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco a' suoi allievi...........................34
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Capo XXVI. Emulazione per le virtù del Savio - Molti si raccomandano a lui per ottenere
celesti fàvori e ne sono esauditi - Un ricordo per tutti...............................................................36
Protestatio auctoris.....................................................................................................................38
Indice.........................................................................................................................................38
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Estratto di lettera pastorale di mons. Gioanni Antonio Gianotti
Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo
Ai venerandi paroci della sua diocesi in favore delle Letture Cattoliche.
Prima di chiudere questa nostra Lettera, non possiamo a meno di eccitare il vostro zelo per la
propagazione di un libretto periodico, la cui lettura, attese le circostanze dei tempi, crediamo
sommamente utile alle famiglie cristiane.
Voi lo sapete, Ven. Fr., che alcuni anni sono, con apposita Lettera pastorale, diretta ai
fedeli di Nostra Diocesi abbiamo loro dimostrato i {3 [153]} gravissimi danni che cagionano alla
fede ed al buon costume tanti libri e fogli empi e licenziosi, di cui sono inondate le nostre
contrade. Ora vedendo che questi danni si hanno pur troppo tuttavia a deplorare, vi suggeriamo a
voler unire la vostra alla nostra sollecitudine, e vegliare non solo per impedire che il nemico
delle anime semini di nascosto la zizzania nel campo evangelico, ma adoperarvi colla più
industriosa carità per ispargere dovunque la buona semenza della parola di Dio e delle cattoliche
dottrine. La qual cosa si potrà da voi eseguire non solo colle apposite istruzioni che farete in
Chiesa, ma ancora col disseminare nelle famiglie l'accennato libretto intitolato Letture
Cattoliche, che già altra volta vi abbiamo raccomandato. Sia per la scelta degli {4 [154]}
argomenti, sia per la chiarezza dell'esposizione e dello stile, sia finalmente per la modicità della
spesa1, ci parve il più adattato all'intelligenza, come ai bisogni del popolo. E tanto più
caldamente potrete raccomandarne la lettura, in quanto che il medesimo supremo Gerarca della
Chiesa Pio IX degnavasi d'incoraggiare i collaboratori della pia impresa a continuarvi, e di più,
per mezzo di Circolare di S. Em. il Cardinale Vicario, eccitava tutti gli Arcivescovi e Vescovi
dello Stato Pontificio a diffondere il più che fosse possibile queste Letture Cattoliche per tutte le
città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione. {5 [155]} Preghiamo, Ven. Fr., il Dio
delle misericordie, affinchè riguardi con occhio pietoso le afflizioni della sua Chiesa, e faccia
risplendere sopra la nostra cara patria giorni più sereni e tranquilli per la santa nostra cattolica
Religione, e che intanto ci accordi la pazienza, il coraggio e lo zelo di cui, come suoi fedeli
Ministri, abbisogniamo per combattere le sue guerre, trionfare de' suoi nemici, e condurre le
anime affidate alla nostra cura spirituale al sospirato porto della beata eternità.
Saluzzo il 9 ottobre 1858.
GIOANNI ARCIV. VESCOVO.
G. GARNERI Segretario. {6 [156]}
Giovani carissimi:
Voi mi avete più volte dimandato, Giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno al vostro
compagno Savio Domenico: ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro pio
desiderio. Eccovi la vita di lui descritta con quella brevità e semplicità che so tornare a voi di
gradimento.
Due difficoltà si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima è la critica
cui per lo più va soggetto chi scrive cose delle quali avvi moltitudine di testimonii viventi.
Questa difficoltà credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose che
1 Esce ogni mese un fascicolo di pag. 108 circa. Il prezzo d'associazione è di Cent. 15 ciascun mese, che formano L.
1. 80 all'anno. Il Can. Arciprete della Nostra Cattedrale s'incarica dell'associazione e dalla distribuzione mensile dei
fascicoli.
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da voi o da me {7 [157]} furono vedute, e che quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra
mano medesima.
Altro ostacolo era il dover più volte parlare di me, perciocchè essendo questo giovane
vissuto circa tre anni in questa casa mi tocca sovente riferire cose, di cui ho avuto parte. Questo
ostacolo credo pur di aver superato tenendomi al dovere dello storico, che e di scrivere la verità
dei fatti, senza badare alle persone. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con
qualche compiacenza, attribuitela al grande affetto che io portava all'amico defunto e che porto
a tutti voi; il quale affetto mi fa aprire a voi l'intimo del mio cuore, come farebbe un padre che
parla a' suoi amati figliuoli.
Taluno di voi dimanderà, perchè io abbia scritto la vita di Savio Domenico e non quella
di altri giovani che vissero tra di noi con fama di specchiata, virtù. È vero, miei cari, la {8
[158]} Divina Provvidenza si degnò di mandarci parecchi modelli di virtù; tali furono Fascio
Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni ed altri; ma le azioni di costoro non
sono state egualmente note e speciose come quelle del Savio, il cui tenor di vita fu notoriamente
maraviglioso. Però, se Dio mi darà sanità e grazia, ho in animo di raccogliere le azioni di
questi vostri virtuosi compagni, per essere in grado di appagar i vostri e i miei desiderii col
darvele a leggere e ad imitare in quello che è compatibile col vostro stato.
Intanto cominciate a trar profitto di quanto qui vi verrò descrivendo; e dite in cuor
vostro quanto diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia
età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e
modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso fare anche io lo {9 [159]}
stesso? Ricordatevi però bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venir
alle opere; quindi, trovando qualche cosa degna di ammirazione, non contentatevi di dire:
questo è bello, questo mi piace: dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle cose che, lette
di altri, mi eccitano alla maraviglia.
Dio doni a voi e a tutti i lettori di questo libretto sanità e grazia per trar profitto di
quanto ivi andranno leggendo, e la Vergine Santissima, di cui il giovane Savio era fervoroso
divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un'anima sola per amare il nostro Creatore, che
è il solo degno di essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra
vita. {10 [160]}
Capo Primo. Patria - indole di questo giovine suoi primi atti di virtù.
I genitori del giovane, di cui intraprendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e
Brigida di lui consorte, poveri, ma onesti contadini di Castelnuovo d'Asti, paese distante dieci
miglia da Torino. L'anno 1841 il Carlo Savio, trovandosi in gravi strettezze e privo di lavoro,
andò con sua moglie a dimorare in Riva, paese distante due miglia da Chieri, e si diede a fare il
fabbro-ferraio, mestiere in cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimoravano in questo
paese Dio benedisse il loro matrimonio concedendo un figliuolo che doveva essere la loro
consolazione. La nascita di lui avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad essere
rigenerato nelle acque battesimali, gl'imposero il nome {11 [161]} di Domenico, la qual cosa,
sebben per se sia indifferente, tuttavia fu soggetto di alta considerazione pel nostro fanciullo,
siccome vedremo.
Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando, per alcune convenienze di
famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritornare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in
Murialdo, borgata di Castelnuovo d'Asti.
Le sollecitudini de' buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al
loro fanciullo, che fin d' allora formava l'oggetto delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla
natura un'indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa
facilità le preghiere del mattino e della sera ed all' età di soli quattro anni già recitavate da sè.
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Anche in quell'età di naturale divagazione egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua genitrice: e
se qualche volta da lei si allontanava era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa e
fare con maggior libertà preghiere lungo il giorno.
«Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di {12
[162]} riflessione i ragazzi sono un disturbo ed un cruccio continuo per le madri; età in cui tutto
vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo
dispiacere. Non solo era ubbidiente, pronto a qualsiasi nostro comando, ma studiava di prevenire
le cose, che egli scorgeva tornar a noi di gradimento.» Erano poi curiose e nel tempo stesso
piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando il vedeva giungere a casa, dopo i suoi
ordinari lavori. Correva ad incontrarlo e presolo per mano e talor saltandogli al collo, caro papà,
gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad
altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono.
Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perchè vi si sedesse;
gli teneva compagnia e gli faceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce
conforto nelle mie fatiche, ed io era come impaziente di giungere a casa per imprimere un tenero
bacio al mio Domenico, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.
La sua divozione cresceva più dell'età, {13 [163]} ed a' soli quattro anni non occorreva
più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo,
dell'angelus; che anzi era egli che invitava gli altri di casa a recitarle qualora se ne fossero
dimenticati.
Capo II. Morale condotta tenuta in Murialdo - Bei tratti di virtù -
Frequenza della scuola di quella borgata.
Qui ci sono cose che appena si crederebbero se chi le asserisce non escludesse i nostri
dubbi. Io mi tengo alla relazione che il Cappellano di quella Borgata2 ebbe la cortesia di farmi
intorno a quel suo caro alunno.
«Nei primi giorni, egli dice, che io sono venuto a questa borgata di Murialdo, vedeva
spesse volte un ragazzino di forse cinque anni venire alla chiesa in compagnia di sua madre. La
serenità del suo {14 [164]} sembiante, la compostezza della persona, l' atteggiamento divolo
trassero sopra di lui gli sguardi miei e gli sguardi degli altri. Che se giunto alla chiesa l'avesse
trovata chiusa, allor succedeva un ameno spettacolo. Ben lungi dallo scorrazzare o schiamazzare
da se o con altri, come sogliono fare i ragazzi di tale età, egli recavasi sul limitare della porta, si
metteva in ginocchio e col capolino chinato e colle innocenti manine giunte dinanzi al petto
fervorosamente pregava finchè venisse aperta la chiesa. Si noti che talvolta il terreno era coperto
di tango, oppure cadeva neve o pioggia, ma egli a nulla badava e mettevasi colà per pregare.
Maravigliato e mosso da pia curiosità ho voluto sapere chi fosse quel fanciullo, che era divenuto
l'oggetto della mia ammirazione, e seppi essere il figliuolo del ferraio Carlo Savio.
Quando poi m'incontrava per la strada cominciava di lontano a dar segni di compiacenza,
e con un'aria veramente angelica preveniva rispettosamente il mio saluto. Cominciò egli pure a
venire alla scuola, e poichè era fornito d'ingegno ed era assai diligente nell' adempimento de' suoi
doveri {15 [165]} fece in breve tempo notevole progresso nello studio. Egli era costretto a
conversare con giovani discoli e divagali, ma non mi è mai accaduto di vederlo in contesa. Che
se fosse avvenuto qualche alterco, egli, sopportando con pazienza gl' insulti dei compagni, tosto
da loro si allontanava. Nè mi ricordo di averlo veduto a prendere parte a divertimenti pericolosi,
a dare il minimo disturbo nella scuola. Anzi molti compagni lo invitavano ad andare seco loro a
far delle burle a persone di età avanzata, a scagliar sassi, a rubar frutta altrui o a cagionar guasti
nelle campagne; ma egli destramente sapeva disapprovare la loro condotta e rifiutavasi dal
prendervi parte.
2 Cappellano di questa Borgata era allora il sac. Zucca Giovanni di Moriondo ora dimorante a Buttigliera d'Asti.
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La pietà già dimostrata pregando sul limitare della Chiesa non venne meno col crescere
degli anni. Di cinque anni egli aveva già imparato a servire la santa Messa e la serviva
divotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la sentiva, altrimenti vi si
prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovane di età e piccolo di statura, non
poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo avvicinarsi ansioso all'altare, levarsi
sulla punta dei piedi, {16 [166]} tendere quanto poteva le piccole braccia, fare ogni sforzo per
toccare il leggìo. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la cosa più cara del mondo, doveva,
non già trasportare il messale, ma solo avvicinargli il leggìo tanto che lo potesse raggiungere, ed
allora egli con gioia lo portava all'altro lato dell'altare.
Si confessava con frequenza e come fu capace di distinguere il pane celeste dal pane
terreno venne ammesso alla santa Comunione, che egli riceveva con una divozione veramente
ammirabile. Alla vista di que' belli lavori, che la grazia Divina compieva in quell' anima
innocente ho più volte detto tra me: ecco un giovanetto di ottime speranze. Dio voglia che gli si
apra una strada per condurre a maturità frutti cosi preziosi.» Fin qui il Cappellano di Murialdo.
Capo III. È ammesso alla prima comunione - Apparecchio -
Raccoglimento e ricordi di quel giorno.
Nulla mancava a Domenico per essere ammesso alla prima comunione. Sapeva a {17
[167]} memoria tutto il piccolo catechismo; aveva chiara cognizione di questo augusto
sacramento, e ardeva del desiderio di accostarvisi; soltanto l'età se gli opponeva, perciocchè ne'
villaggi ordinariamente non si ammettono fanciulli a fare la prima comunione se non agli undici
o dodici anni compiuti. Il Savio correva solo il settimo anno di sua età. Oltre la fanciullesca età
aveva un corpicciuolo che lo faceva parere ancor più giovane; sicchè il Cappellano esitava a
promuoverlo. Ne dimandò anche consiglio ad altri sacerdoti, e ponderata bene la cognizione
precoce, l'istruzione ed i vivi desiderii di Domenico, si lasciarono da parte tutte le difficoltà e fu
ammesso a partecipare per la prima volta del cibo degli Angeli.
È assai difficile esprimere gli affetti di santa gioia, di cui gli riempi il cuore un tale
annunzio. Corse a casa, lo disse con trasporto alla madre; ora pregava, ora leggeva, passava
molto tempo in chiesa prima e dopo la messa, e pareva che l'anima sua abitasse già cogli angeli
del Cielo. La vigilia del giorno fissato per la comunione chiamò la sua genitrice: mamma, le
disse, domani vo a fare la mia {18 [168]} comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi
pel passato: per l'avvenire vi prometto di essere molto più buono; sarò attento alla scuola,
ubbidiente, docile rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a
piangere. La madre che non aveva ricevuto da lui altro che consolazioni ne fu ella pure
commossa e rattenendo a stento le lagrime lo consolò dicendogli: va pure tranquillo, caro
Domenico, tutto è perdonato: prega Iddio che ti conservi sempre buono, pregalo anche per me e
per tuo padre. -
Al mattino di quel memorando giorno si levò per tempo e, vestitosi de' suoi abiti più
belli, andò alla chiesa, che trovò ancor chiusa. S'inginocchiò, come già aveva fatto altre volte, sul
limitare di quella e pregò finchè giungendo altri fanciulli ne fu aperta la porta. Tra le confessioni,
preparazione e ringraziamento della comunione la funzione durò cinque ore. Domenico entrò il
primo in chiesa e ne uscì l'ultimo. In tutto quel tempo egli non sapeva più se fosse in cielo o in
terra.
Quel giorno fu per lui sempre memorabile e si può chiamare vero principio o piuttosto
continuazione di una vita, che {19 [169]} può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano.
Parecchi anni dopo facendolo parlare della sua prima comunione gli si vedeva ancora trasparire
la più viva gioia sul volto: oh! quello, soleva dire, fu per me un bel giorno ed un gran giorno. Si
scrisse alcuni ricordi che conservava gelosamente in un libro di divozione e che spesso leggeva.
Io ho potuto averli tra le mani e li inserisco qui nella sua originale semplicità. Erano di questo
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tenore: «Ricordi fatti da me Savio Domenico l'anno 1849 quando ho fatta la prima comunione
essendo di 7 anni.-
1° Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi dà
licenza. -
2° Voglio santificare i giorni festivi. -
3° I miei amici saranno Gesù e Maria. -
4° La morte ma non peccati.» -
Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino
alla fine della vita.
Se tra quelli che leggeranno questo libretto vi fosse mai chi avesse ancora da fare la
prima comunione, io vorrei caldamente raccomandargli di farsi modello il giovane Savio. Ma
raccomando poi quanto {20 [170]} e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che
esercitano qualche autorità sulla gioventù, di dare la più granile importanza a questo atto
religioso. Siate persuasi, che la prima comunione è l'elemento di tutta la vita; e sarà cosa strana
che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quel solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita
buona e virtuosa. Al contrario si accennano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione
dei genitori e di chi si occupa di loro; ma se si va alla radice del male si conosce, che la loro
condotta cominciò ad apparire tale nella poca o nessuna preparazione alla prima comunione. È
meglio differirla, anzi è meglio non farla che farla male.
Capo IV. Scuola di Castelnuovo d'Asti, - Episodio edificante. - Savia
risposta ad un cattivo consiglio.-
Compiute le prime scuole, Domenico avrebbe già dovuto molto prima essere inviato
altrove per proseguire i suoi studi, il che non polea fare in una cappellania di campagna. Ciò
desiderava Domenico, ciò pure {21 [171]} stava molto a cuore a' genitori di lui. Ma come
effettuarlo mancando affatto i mezzi pecuniari? Iddio, padrone supremo di tutte le cose,
provvedera i mezzi necessari affinchè questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui
lo chiama.
Se io fossi un uccello, diceva talvolta Domenico, vorrei volare mattina e sera a
Castelnuovo e cosi continuare le mie scuole.
Il suo vivo desiderio di studiare gli fece superare ogni difficoltà e si risolse di recarsi alla
scuola municipale del paese, sebbene vi fosse la distanza di quasi due miglia. Ed ecco un
fanciullo appena di dieci anni intraprendere un cammino di sei miglia al dì tra andata e ritorno
dalla scuola. Talvolta vi è un vento molesto, un sole che cuoce, un fango, una pioggia che
opprimono; non importa, si tollerano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà; egli vi trova
l'ubbidienza a' suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per
fargli tollerare con piacere ogni incomodo. Una persona alquanto attempata vedendo un giorno
Domenico solo andare a scuola alle due pomeridiane, mentre sferzava un cocente sole, quasi per
sollevarlo gli si avvicinò e gli tenne questo discorso: {22 [172]}
- Caro mio, non temi di camminar tutto solo per queste strade?
- Io non sono solo, ho l'angelo custode che mi accompagra in tutti i passi.
- Almeno ti sarà penosa la strada per questo caldo dovendola fare quattro volte al giorno!
- Niente è penoso, niente è fatica quando si lavora per un padrone che paga molto bene.
- Chi è questo padrone?
- E Dio creatore, che paga un bicchier d'acqua dato per amor suo.
Quella medesima persona raccontò tale episodio ad alcuni suoi amici, e finiva sempre il
tuo discorso dicendo: un giovinetto di così tenera età che già nutrisce tali pensieri farà
certamente parlare molto di sè in quella, carriera che sara per intraprendere.
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Nell'andare e venire da scuola egli corse un grave pericolo per l'anima a motivo di alcuni
compagni.
Sogliono molti giovanetti nei caldi estivi andarsi a bagnare ora nei fossi, ora nei ruscelli,
ora negli stagni e simili. Il trovarsi più fanciulli insieme, svestiti e talvolta in luoghi pubblici a
bagnarsi, riesce cosa pericolosa {23 [173]} pel corpo, e noi pur troppo in tale stagione dobbiamo
tristamente spesse volle lamentare annegamenti di ragazzi e di altre persone che terminano la
loro vita affogati nell'acqua; ma il pericolo è assai maggiore per l' anima. Quanti giovanetti
deplorano la perdita della loro innocenza ripetendone la cagione dall'essere andati a' bagni con
que' compagni in que' luoghi malaugurati!
Parecchi condiscepoli del Savio avevano l'abitudine di andarvi; e non paghi di andarvi
eglino stessi volevano condurre secoloro anch'esso. Due dei più disinvolti e ciarlieri un giorno
gli dissero:
- Domenico, vuoi venire con noi a fare una partita?
- Che partita?
- Una partita a nuotare. -
- Oh no! io non ci vado, non sono pratico, temo di morire nell' acqua.
- Vieni, fa molto piacere. Quelli che vanno a nuotare non sentono più il caldo, hanno
molto buon appetito, ed acquistano molta sanità. -
- Ma io temo di morire nell'acqua. -
- Oibò, non temere: noi ti insegneremo quanto è necessario; comincierai a vedere, {24
[174]} come facciamo noi e poi farai tu altrettanto. Tu ci vedrai a camminare nell'acqua come
pesci, e faremo salti da gigante.
- Ma non è peccato l'andare in quei luoghi?
- Niente affatto; anzi ci vanno tutti. -
- L'andarvi tutti non dimostra che non sia peccato.
- Se non vuoi tuffarti nell' acqua, comincerai a vedere gli altri.
- Se è male andare, credo che sia anche male il vedere gli altri. - Basta; io sono
imbrogliato, e non so che dire.
- Vieni, vieni: sta sulla nostra parola; non c' è male e noi ti libereremo da ogni pericolo.
- Prima di fare quanto mi dite, voglio dimandar licenza a mia madre: se ella mi dice di si,
ci andrò; altrimenti non ci vado.
- Sta zitto, minchione, por carità non dirlo a tua madre; essa non ti lascierà certamente
venire, anzi lo dirà ai nostri genitori e saremo tutti castigati.
- Oh! se mia madre non mi lascia andare, è segno, che è cosa malfatta; perciò non ci
vado, nè statemi più a parlare {25 [175]} di nuoto, poichè se tal cosa dispiace ai vrostri genitori,
voi non dovreste più farla; perchè il Signore castiga quei figliuoli che fanno cose contrarie ai
voleri del padre e della madre. -
Così il nostro Domenico dando una savia risposta a quei cattivi consiglieri evitava pure
un gran pericolo, in cui, se si fosse precipitato, avrebbe forse perduto l'inestimabile tesoro
dell'innocenza a cui tengono dietro mille triste conseguenze.
Capo V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti. - Parole del
suo maestro.
Nel frequentare questa scuola egli cominciò ad imparare il modo di regolarsi co' suoi
compagni. Se egli vedeva un compagno attento nella scuola, docile, rispettoso, che sapesse bene
le lezioni, che facesse i suoi lavori, e che fosse lodato dal maestro, questi diveniva tosto l'amico
di Domenico. Eravi un discolo, un insolente, che trascurasse i suoi doveri, e parlasse male o
bestemmiasse? Domenico lo fuggiva come la peste. Quelli poi che erano {26 [176]} un po'
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indolenti ei li salutava, loro rendeva qualche servizio, qualora ne fosse il caso, ma non contraeva
seco loro alcuna famigliarità.
La condotta tenuta nella scuola di Castelnuovo d'Asti può servire di modello a qualsiasi
giovane studente, che desideri progredire nella scienza e nella pietà. Su tal proposito io trascrivo
la giudiciosa relazione scritta dal proprio maestro, D. Allora sac. Alessandro, tuttora maestro
comunale di questo capo luogo di mandamento. - Eccone il tenore: -
«Molto mi compiaccio di esporre il mio giudicio intorno al giovinetto Savio Domenico,
che in breve tempo seppe acquistarsi tutta la mia benevolenza, sicchè io l' ho amato colla
tenerezza di padre. Aderisco di buon grado a questo invito perchè conservo ancora viva, distinta
è piena memoria del suo studio, della sua condotta e delle sue virtù.
Non posso dire molte cose della sua condotta religiosa, perchè dimorando assai distante
dal paese era dispensato dalla congregazione, a cui se fosse intervenuto avrebbe certamente fatto
risplendere la sua pietà e divozione. {27 [177]}
Compiuti gli studi di 1a elementare in Murialdo questo buon fanciullo chiese ed ottenne
distintamente l'ammissione alla mia scuola di 2a elementare, propriamente il 21 di giugno 1852;
giorno dagli scolari dedicato a S. Luigi protettore della gioventù. Egli era di una complessione
alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto al dolce con un non so che di grande e
piacevole. Era d'indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva costantemente
tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l'occhio, il pensiero od il
parlare del maestro volgevasi a lui, vi lasciava la più bella e gioconda impressione. La qual cosa
per un maestro si può chiamare uno de' cari compensi delle dure fatiche, che spesso gli tocca di
sostenere indarno nella coltura di aridi e mal disposti animi di certi allievi. Laonde posso dire che
egli fu Savio di nome e tale pur sempre si mostrò col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà,
nel conversare co' suoi compagni ed in ogni sua azione. Dal primo giorno che entrò nella mia
scuola sino al fine di quell' anno scolastico e ne' quattro mesi dell'anno successivo ei progredì
nello studio {28 [178]} in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto di suo
periodo e le altre onorificenze della scuola e quasi sempre tutti i voti in ciascuna materia, che di
mano in mano si andava insegnando. Tal felice risultato del suo avanzamento nella scienza non è
solo da attribuirsi all'ingegno non comune, di cui egli era fornito; ma eziandio al grandissimo suo
amore allo studio ed alla sua virtù.
«E poi degna di speciale ammirazione la diligenza con cui procurava di adempiere i più
minuti doveri di scolaro-cristiano e segnatamente l' assiduità e la costanza mirabile nella
frequenza della scuola. Di modo che, debole quale egli fu sempre di salute, percorreva ogni
giorno oltre 4 chilometri di strada il che ripeteva pur quattro fiate tra l'andata ed il ritorno. E ciò
faceva con maravigliosa tranquillità d'animo e serenità di aspetto anche sotto l'intemperie della
stagione invernale, per crudo freddo, per pioggia o neve; il che non poteva a meno di essere
riconosciuto dal proprio maestro per prova ed esempio di raro merito. Ammalando frattanto sì
degno alunno nel corso dello stesso anno 1852-53 ed i parenti di {29 [179]} lui mutando
successivamente domicilio fa cagione che con mio vero rincrescimento non ho più potuto
continuare l'insegnamento ad un sì caro allievo, le cui grandi e bellissime speranze andavano
scemando col crescer de' timori, ch'io aveva che non potesse più proseguire gli studii per
mancanza di salute o di mezzi di fortuna.
Mi riusci poi di grande consolazione quando seppi che egli era stato accolto fra i giovani
dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; essendogli così aperta la via alla coltura del raro suo
ingegno e della sua luminosa pietà.»
Fin qui il mentovato suo maestro, il quale continua esprimendo il dolore grande da lui
provato quando ricevette la notizia dell'immatura sua morte.
Capo VI. Scuola di Mondonio Sopporta una grave calunnia.
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
Pare che la divina Provvidenza abbia voluto far vedere a questo giovanetto che questo
mondo è un vero esilio ove andiamo di luogo in luogo pellegrinando; o {30 [180]} meglio abbia
voluto che questo maraviglioso giovinetto andasse a farsi conoscere in diversi paesi e cosi
mostrarsi in più luoghi esimio specchio di virtù.
Sul finir dell'anno 1852 i genitori di Domenico da Murialdo andarono a fissar la loro
dimora in Mondonio che è un piccolo paese confinante con Castelnuovo. Egli continuò colà nel
tenor di vita tenuta in Murialdo ed a Castelnuovo, perciò dovrei ripetere le cose che di lui
scrissero gli antecedenti suoi maestri; giacchè il signor D. Cugliero3 che l'ebbe a scolaro, fa una
relazione quasi simile. Io trascelgo da essa solamente alcuni fatti speciali ommettendo il
rimanente per non fare ripetizioni.
«Io posso dire, egli scrive, che in venti anni da che attendo ad istruire ragazzi non ne ebbi
mai alcuno che abbia pareggiato il Savio nella pietà. Egli era giovane di età, ma assennato al pari
di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio, e l'affabilità si cattivavano l'affetto
del maestro e lo rendevano la delizia dei {31 [181]} compagni. Quando lo rimirava in chiesa, io
era compreso da alla maraviglia al vedere tanto raccoglimento in un giovanetto di cosi tenera età.
Più volte ho detto tra me stesso: ecco un'anima innocente cui si aprono le delizie del paradiso, e
che co' suoi affetti va ad abitare cogli angeli del cielo.»
Tra i fatti speciali il suo maestro annovera il seguente:
«Un giorno fu fatta una mancanza tra i miei allievi e la cosa era tale che il colpevole
meritava l'espulsione dalla scuola: I delinquenti prevengono il colpo e portandosi dal maestro si
accordano di gettare tutta la colpa sopra il buon Domenico. Io non poteva risolvermi a crederlo
capace di tale mancanza; ma gli accusatori seppero dare tale colore di verità alla calunnia, che vi
dovetti credere. Entro adunque nella scuola giustamente sdegnato pel disordine avvenuto; parlo
del colpevole in genere; poi mi volgo al Savio, e tal fallo, gli dico, bisognava che fosse
commesso da te? non meriteresti di essere sull' istante cacciato dalla scuola? Buon per te che è la
prima che mi fai di questo genere, altrimenti ... fa che sia pur {32 [182]} l'ultima.» Domenico
avrebbe potuto dire una sola parola in discolpa, e la sua innocenza sarebbe stata conosciuta. Ma
egli si tacque: chinò il capo, e a guisa di chi è con ragione rimproverato, più non alzo gli occhi.
Ma Dio protegge gli innocenti; e il dì seguente furono scoperti i veri colpevoli e così
palesata l'innocenza di Domenico. Pieno di rincrescimento pei rimproveri fatti al supposto
colpevole il presi da parte, e, Domenico, gli dissi, perchè non mi hai subito detto che tu eri
innocente? Domenico rispose: perchè quel tale essendo già colpevole di altri falli sarebbe forse
stato cacciato di scuola, dal canto mio sperava di essere perdonato essendo la prima mancanza di
cui era accusato nella scuola; d'altronde pensava anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu
ingiustamente calunniato.
Tacqui allora, ma tutti ammirarono la pazienza del Savio, che aveva saputo render bene
per male, disposto a tollerare anche un grave castigo a favore del medesimo calunniatore.» {33
[183]}
Capo VII. Prima conoscenza fatta di lui - Curiosi episodi in questa
congiuntura.
Le cose, che sono per raccontare, posso esporle con maggior corredo di circostanze,
perchè sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei e per lo più alla presenza di una moltitudine
di giovani che tutti vanno d'accordo nell' asserirle. Era l'anno 1854 quando il nominato D.
Cugliero venne a parlarmi di un suo allievo per ingegno e per pietà degno di particolare riguardo.
Qui in sua casa, egli diceva, può aver giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in
talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe
mandato a Murialdo all'occasione che sono solito di trovarmi colà coi giovani di questa casa a
3 Il Sac. Cugliero Giuseppe presentemente è Cappellano beneficiato a Barbasio, borgata di Moncucco.
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fine di far loro godere un po' di campagna e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la
solennità del Rosario di Maria Santissima.
Il primo lunedi d'ottobre di buon mattino vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si
avvicina per parlarmi. - Il {34 [184]} volto suo ilare, l'aria ridente, ma rispettosa, trassero verso
di lui i miei sguardi.
Chi sei, gli dissi, onde vieni?
Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e
veniamo da Mondonio.
Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino
allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.
Conobbi in lui un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco stupito
considerando i lavori che la Grazia divina aveva già operato in quel tenero cuore.
Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse
queste precise parole: ebbene che glie ne pare? mi condurrà a Torino per istudiare?
- Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
- A che può servire questa stoffa?
- A fare un bell'abito da regalare al Signore.
- Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un
bell'abito pel Signore.
- Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio. {35 [185]}
- Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche
per l'avvenire.
- Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?
- Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardentemente di abbracciare lo stato
ecclesiastico.
Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era
un fascicolo delle letture cattoliche), di quest'oggi studia questa pagina, domani ritornerai per
recitarmela.
Ciò detto lo lasciai in libertà perchè andasse a trastullarsi con altri giovani, indi mi posi a
parlare col padre. Passarono non più di otto minuti quando ridendo si avanza Domenico e mi
dice: se vuole, recito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo
aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle
cose in essa contenute.
Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Si;
ti condurrò a Torino e fin d'ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli; comincia anche tu fin d'ora
a pregare Iddio {36 [186]} affinchè aiuti me e te a fare la sua santa volontà.
Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine mi prese
la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: l'assicuro che non avrà a lagnarsi della mia
condotta.
Capo VIII. Viene all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Suo primo
tenore di vita ivi cominciato.
Egli è proprio dell'età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a ciò
che si vuole; perciò non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un'altra; oggi una
virtù praticata in grado eminente, domani l'opposto, e qui se non avvi chi attento vigili, spesso va
a terminare con mal esito un'educazione che forse poteva riuscire delle più fortunate. Del nostro
Domenico non fu così. Tutte quelle virtù, che noi abbiamo veduto nascere e crescere ne vari
stadi di sua età, crebbero ognora maravigliosamente e crebberò insieme senza che una fosse di
nocumento all'altra. {37 [187]}
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Venuto nella casa dell' oratorio si recò in mia camera, per darsi, come egli diceva,
intieramente nelle mani de' suoi, superiori. Il suo sguardo si portò subito su di un cartello sopra
cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di Sales: da
mihi animas, caetera tolle. Fecesi a leggerle attentamente; ed io desiderava che ne capisse il
significato; perciò l'invitai, anzi l'aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime
e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: ho capito: qui non avvi
negozio di danaro, ma negozio di anime: ho capito: spero che l'anima mia farà anche parte di
questo commercio.
Il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario. Nè altro in esso ammiravasi, che
un' esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con
ardore a tutti i suoi doveri. Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la
parola di Dio è la guida dell'uomo per la strada del cielo; perciò ogni massima udita in una
predica era per lui un ricordo invariabile cui più non dimenticava. {38 [188]}
Ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica, quantunque prolungata, era sempre
per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben intesa tosto facevasi a dimandarne
la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell' esemplare tenore di vita, quel continuo
progredire di virtù in virtù, quell' esattezza nell'adempimento de' suoi doveri, oltre cui non si può
andare.
Avvicinandosi la festa dell' Immacolata Concezione di Maria il direttore diceva tutte le
sere qualche parola d'incoraggiamento ai giovani della casa, affinchè ciascuno si desse
sollecitudine a celebrarla in modo degno della gran madre di Dio, ma insistette specialmente a
voler chiedere a questa celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto
maggior bisogno. Era l'anno 1854 in cui i cristiani di tutto il mondo erano in una specie di
spirituale agitazione perchè trattatasi a Roma della definizione dogmatica dell'Immacolato
concepimento di Maria. Anche tra di noi si faceva quanto la nostra condizione comportava per
celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale de' nostri giovani. {39 [189]}
Il Savio era uno di quelli che sentivansi ardere dal desiderio di celebrarla santamente.
Scrisse egli nove fioretti ovvero nove atti di virtù da praticarsi estraendone a sorte uno per
giorno. Si preparò e fece con gran piacere dell'animo suo la confessione generale, e si accostò ai
santi sacramenti col massimo raccoglimento.
La sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le sacre funzioni di chiesa, col consiglio del
confessore, Domenico andò avanti l'altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima
comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate
che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà fatemi morir
piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.
Presa così Maria per sostegno della sua divozione, la morale di lui condotta apparve cosi
edificante e congiunta a tali atti di virtù, che ho cominciato fin d'allora a notarli per non
dimenticarmene.
Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovine Savio, io mi veggo davanti un
complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive {40 [190]} ed in chi
legge. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non secondo l'ordine dei
tempi, ma secondo l'analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione od hanno rapporto
colla medesima materia. Dividerò pertanto le cose in altrettanti capitoli cominciando dallo studio
del latino, che fu motivo principale per cui venne e fu accolto in questa casa.
Capo IX. Studio di latinità. - Curiosi incidenti. - Contegno nella scuola.
- Impedisce una rissa.
Egli aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità
nello studio e colla non ordinaria sua capacità ottenne in breve di essere classificato nella quarta
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o come dicono oggidì nella seconda gramatica latina. Fece egli questo corso presso il professore
Bonzanino Giuseppe. Io dovrei anche qui esprimere il suo contegno, e profitto e la sua
esemplarità colle stesse parole degli antecedenti suoi maestri. Laonde noterò solamente {41
[191]} alcune cose che in quest'anno di latinità e ne' due susseguenti trassero l'ammirazione di
coloro che lo conobbero. Il professore Bonzanino ebbe più volte a dire che non ricordavasi di
aver avuto alunno più attento, più docile, più rispettoso, quale era il giovane Savio. Egli
compariva modello in tutte le cose. Nel vestito e nella capigliatura non era punto ricercato; ma in
quella modestia di abiti e nella umile sua condizione egli appariva pulito, ben educato, cortese, in
guisa che i suoi compagni di civile ed anche nobile condizione, i quali in buon numero
intervenivano alla detta scuola, godevano assai di potersi trattener con Domenico non solo per la
sua scienza e pietà, ma anche per le sue civili e piacevoli maniere di trattare. Se poi fosse
avvenuto al Professore di ravvisare qualche scolaro un po' ciarliero, mettevagli Domenico a'
fianchi, ed egli con destrezza studiavasi di indurlo al silenzio, allo studio, all' adempimento de'
suoi doveri.
Egli è nel decorso di quest'anno, che la vita di Domenico ci somministra un fatto che ha
dell' eroismo, e che è appena credibile in quella giovanile sua età. Esso {42 [192]} riguarda a due
suoi compagni di scuola che vennero tra di loro ad una rissa pericolosa. Il litigio cominciò da
alcune parole dettesi scambievolmente in dispregio della loro famiglia. Dopo alcuni insulti si
dissero villanie e si sfidarono a far valere le loro ragioni a colpi di pietra. Domenico giunse a
scoprire tale discordia: ma come impedirla essendo i due rivali maggiori di forze e di età? Si
provò di persuaderli a desistere da quel progetto facendo ad ambidue osservare che la vendetta è
contraria alla ragione ed alla santa legge di Dio; scrisse lettere all'uno e all'altro; li minacciò di
riferire la cosa al Professore, ed anche ai loro parenti; ma tutto invano, i loro animi erano così
inaspriti, che tornava inutile ogni parola. Oltre il pericolo di farsi grave male nella persona
commettevasi grande offesa contro Dio. Domenico era oltremodo cruciato; desiderava di
opporsi, e non sapeva come. Dio lo inspirò di fare cosi. Li attese dopo la scuola e come potè
parlare ad ambidue da parte, disse: poichè voi persistete nel bestiale vostro divisamento, vi prego
almeno di voler accettare una condizione. L'accettiamo, risposero, purchè non impedisca la
nostra {43 [193]} sfida. Egli è un birbante, replicò tosto un di loro; ed io non sarò in pace con
lui, soggiungeva l'altro, finchè egli od io non abbiamo rotta la testa. Savio tremava a quel brutale
diverbio, tuttavia nel desiderio d'impedire maggior male si frenò e disse: la condizione che sono
per mettervi non impedisce la sfida.
Comp. Qual è questa condizione?
Sav. Vorrei soltanto dirvela al luogo dove volete misurarvi a sassate.
Comp. Tu ci minchioni o studierai di metterci qualche incaglio.
Sav. Sarò con voi, e non vi minchionerò: state tranquilli.
Comp. Forse tu vorrai andare a chiamare qualcheduno.
Sav. Dovrei farlo, ma nol farò: andiamo io sarò con voi. Mantenetemi soltanto la parola.
Glielo promisero. Andarono nei così delti prati della Cittadella fuori di Porta Susa.
Tanto era l'odio dei due contendenti che a stento il Savio potè impedire che non venissero
alle mani nel breve tratto di strada che era a farsi.
Giunti al luogo stabilito, il Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi
immaginato. {44 [194]} Lasciò che si ponessero in una tale distanza; già avevano le pietre in
mano, cinque caduno, quando Domenico parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che
adempiate la condizione accettata. Ciò dicendo trasse fuori il piccolo Crocifisso, che aveva al
collo, e tenendolo alto in una mano, voglio, disse, che ciascheduno fissi lo sguardo in questo
Crocifisso, di poi gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole: Gesù
Cristo innocente morì perdonando i suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e fare
solenne vendetta.
Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: fa
il primo colpo sopra di me; tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si aspettava
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simile proposta, comincio a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e
vorrei difenderti se qualcheduno ti volesse oltraggiare.
Domenico, ciò udito, corse dall'altro dicendo le stesse parole. Egli pure ne fu sconcertato
e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male. {45 [195]}
Allora Domenico si rizzò in piedi, e prendendo un aspetto severo e commosso: come,
loro disse, voi siete ambidue disposti ad affrontare anche un grave pericolo per difendere me, che
sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una derisione fattavi
nella scuola per salvare l'anima vostra, che costò il sangue del Salvatore, e che voi andate a
perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.
A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti. «In quel momento,
asserisce uno di loro, io fui intenerito, un freddo mi corse per le membra, e mi sentii pieno di
vergogna per aver costretto un amico si buono, come era Savio, ad usare misure estreme per
impedire l'empio nostro divisamento. Volendogli almeno dare un segno dì compiacenza perdonai
di cuore chi mi aveva offeso, e pregai Domenico di suggerirmi qualche paziente e caritatevole
Sacerdote per andarmi a confessare. Egli mi appagò ed alcuni giorni dopo andai col mio rivale a
fare la confessione. In questa guisa dopo di essermi novellamente fatto suo amico {46 [196]} fui
riconciliato col Signore che coll' odio e col desiderio di vendetta aveva di certo gravemente
offeso.»
Esempio è questo ben degno di essere imitato da ogni giovane cristiano qualora gli
avvenga di vedere il suo simile in atto di far vendetta od essere da altri in qualche maniera offeso
od ingiuriato.
Quello poi che in questo fatto onora singolarmente la condotta e la carità del Savio si è il
silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto. Ed ogni cosa sarebbe stata totalmente ignorata
se coloro stessi, che vi ebbero parte, non l'avessero ripetutamente raccontata.
L'andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che da' villaggi
vengono nelle grandi città, pel nostro Domenico fu un vero esercizio di virtù. Costante
nell'eseguire gli ordini de' suoi superiori, andava a scuola, ritornava a casa, senza neppure dare
un' occhiata o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse. Se avesse veduto
alcuno a fermarsi, correre, saltellare, tirar pietre, o andar a passare in luoghi non permessi; egli
tosto da costui si allontanava. Che anzi un giorno fu invitato ad andare a far {47 [197]} una
passeggiata senza permesso; un'altra volta venne consigliato ad ommettere la scuola per andarsi a
divertire, ma egli seppe sempre rispondere con un rifiuto. Il mio divertimento più bello, loro
rispondeva, è l'adempimento de' miei doveri: e se voi siete veri amici, dovete consigliarmi ad
adempirli con esattezza e non mai a trasgredirli. Nulladimeno ebbe la sventura di aver alcuni
compagni che lo molestarono a segno, che il Savio si trovò sul punto di cadere nei loro lacci. E
già risolvevasi di andare con loro e così per quel giorno lasciare la scuola. Ma fatto breve tratto
di cammino si accorse che seguiva un cattivo consiglio, ne provò gran rimorso, chiamò i tristi
consiglieri, e loro disse: miei cari, il dovere mi comanda di andare a scuola ed io vi voglio
andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio ed ai nostri superiori. Sono pentito di quello che ho
fatto; se mi darete altra volta simiglianti consigli, voi cesserete di essere miei amici.
Quei giovani accolsero l'avviso del loro vero amico: andarono seco lui a scuola, e per
l'avvenire non cercarono più distoglierlo da' suoi doveri. Nel fine dell'anno, {48 [198]} mediante
la sua buona condotta, e la sua costante sollecitudine allo studio, meritò di essere promòsso fra
gli ottimi alla classe superiore. Ma sul principio del terzo anno di gramatica la sanità di
Domenico apparendo alquanto deteriorata si giudicò bene di lasciargli fare il corso privato qui
nella casa dell'oratorio a fine di potergli usare i dovuti riguardi nel riposo, nello studio e nella
ricreazione,
L'anno di umanità o di 1a Retorica sembrando meglio in salute fu mandato dal signor
Professore D. Picco Matteo. Esso aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che
adornavano il Savio, sicchè di buon grado l'accolse gratuitamente nella sua scuola che passa fra
le migliori approvate in questa nostra capitale.
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Molte sono le cose edificanti o dette o fatte dal Savio nell'anno di terza grammatica e di
prima Retorica; ma noi le andremo esponendo di mano in mano che racconteremo i fatti che con
quelle sono collegati. {49 [199]}
Capo X. Sua deliberazione di farsi santo.
Dato così un cenno sullo studio fatto nelle classi di latinità, parleremo ora della grande
sua deliberazione di farsi santo.
Erano sei mesi che il Savio dimorava all'Oratorio quando fu ivi fatta una predica sul
modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che
fecero profonda impressione sull'animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci
facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa
santo. Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl' infiammò tutto il cuore d'amor
di Dio. Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicchè se ne accorsero i
compagni e me ne accorsi anch'io. Giudicando che tal cosa provenisse da novello incomodo di
sanità gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene. - Che vorresti
dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo; io non pensava {50
[200]} di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche
stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica
adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.
Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perchè nelle commozioni dell'animo
non si conosce la voce del Signore; che anzi io voleva per prima cosa una costante e moderata
allegria, e consigliandolo ad essere perseverante nell' adempimento de' suoi doveri di pietà e di
studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi
compagni.
Un giorno gli dissi di volergli fare un regalo di suo gusto; ma esser mio volere che la
scelta fosse fatta da lui. Il regalo che dimando, prontamente egli soggiunse, è che mi faccia
santo. Io mi sento un bisogno di farmi santo, e se non mi fo santo io fo niente. Iddio mi vuole
santo ed io debbo farmi tale.
In una congiuntura il direttore voleva dare un segno di speciale affetto ai giovani della
casa e fece loro facoltà di chiedere con un biglietto qualunque cosa fosse {51 [201]} a lui
possibile, promettendo che l'avrebbe concessa. Quivi può ognuno facilmente immaginarsi le
ridicole e le stravaganti dimande fatte dagli uni e dagli altri. Il Savio, preso un pezzetto di carta,
scrisse queste sole parole: Dimando che mi faccia santo.
Un giorno si andavano spiegando alcune parole secondo la etimologia. E Domenico, egli
disse, che cosa vuol dire? Fu risposto: Domenico vuol dire del Signore. Veda, tosto soggiunse, se
non ho ragione di chiedergli che mi faccia santo: fino il nome dice che io sono del Signore.
Dunque io debbo e voglio essere tutto del Signore e voglio farmi santo e sarò infelice finchè non
sarò santo.
La smania che egli dimostrava di volersi far santo non derivava dal non tenere una vita
veramente da santo, ma ciò diceva, perchè egli voleva far rigide penitenze, passar lunghe ore
nella preghiera, le quali cose erangli dal direttore proibite, perchè non compatibili colla sua età e
sanità e colle sue occupazioni. {52 [202]}
Capo XI. Suo zelo per la salute delle anime.
La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di adoprarsi per guadagnar
anime a Dio; perciocchè non avvi cosa più santa al mondo, che cooperare al bene delle anime,
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per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l'ultima goccia del prezioso suo sangue. Egli conobbe
tosto l' importanza di tale pratica, e fu più volte sentito a dire: Se io potessi guadagnare a Dio
tutti i miei compagni, quanto sarei felice! Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare
buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio.
Un giorno avvenne che un fanciullo di forse nove anni si pose ad altercare con un
compagno in vicinanza della porta della casa, e nella rissa proferi l'adoràbile nome di Gesù
Cristo. Domenico a tal parola, sebbene sentisse un giusto sdegno in cuor suo, tuttavia con animo
pacato si intromise tra i due contendenti e li acquetò; poi disse a chi aveva nominato il nome di
{53 [203]} Dio invano: vieni meco e sarai contento. I suoi bei modi indussero il fanciullo ad
accondiscendere. Lo prese per mano, lo condusse in chiesa avanti all'altare, di poi lo fece
inginocchiare vicino a lui dicendogli: dimanda al Signore perdono dell'offesa che gli hai fatta col
nominarlo invano. E poichè il ragazzo non sapeva l'atto di contrizione, lo recitò egli seco lui.
Dopo soggiunse: Di con me queste parole per riparare l'ingiuria fatta a Gesù Cristo: sia lodato
Gesù Cristo, e il suo santo e adorabile nome sia sempre lodato.
Leggeva di preferenza la vita di quei santi che avevano lavorato in modo speciale per la
salute delle anime. Parlava volentieri dei missionari che faticano tanto in lontani paesi pel bene
delle anime e non potendo mandar loro soccorsi materiali offeriva ogni giorno al Signore
qualche preghiera, e almeno una volta alla settimana faceva per loro la santa comunione.
Più volte l'ho udito esclamare: quante anime aspettano il nostro aiuto nell' Inghilterra; oh
se avessi forza e virtù vorrei andarvi sul momento, e colle prediche e col buon esempio vorrei
guadagnarle tutte al Signore. Si lagnava spesso con se medesimo, {54 [204]} e spesso ne parlava
ai compagni del poco zelo che molti hanno per istruire i fanciulli nelle verità della fede. Appena
sarò chierico, diceva, voglio andare a Mondonio, e voglio radunare tutti i ragazzi sotto di una
tettoia e voglio far loro il catechismo, raccontare tanti esempi e farli tutti santi. Quanti poveri
fanciulli forse andranno alla perdizione per mancanza di chi li istruisca nella fede! Ciò che
diceva con parole lo confermava coi fatti, poichè per quanto comportava la sua età ed istruzione
faceva con piacere il catechismo nella chiesa dell' Oratorio, e se qualcheduno avesse avuto
bisogno gli faceva scuola e lo ammaestrava nel catechismo a qualunque ora del giorno ed in
qualunque giorno della settimana, ad unico scopo di poter parlare di cose spirituali e far loro
conoscere l'importanza di salvar l'anima.
Un giorno un compagno indiscreto voleva interromperlo mentre raccontava un esempio
in tempo di ricreazione; che te ne fa di queste cose? gli disse. Che me ne fa? rispose; me ne fa
perchè l'anima de' miei compagni è redenta col sangue di Gesù Cristo; me ne fa perchè siamo
tutti fratelli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente {55 [205]} l'anima nostra; me ne fa
perchè Iddio raccomanda di aiutarci l'un altro a salvarci; me ne fa perchè se riesco a salvare
un'anima metterò anche in sicuro la salvezza della mia.
Nè questa sollecitudine pel bene delle anime in Domenico si rallentava nel breve tempo
di vacanza che passava nella casa paterna. Oltre l'esattezza nell'adempimento di ogni più minuto
suo dovere egli prendevasi cura di due fratellini, cui insegnava a leggere, scrivere, recitare il
catechismo e li assisteva nella preghiera del mattino e della sera. Li conduceva in chiesa, porgeva
loro l'acqua benedetta, mostrava loro il vero modo di far il segno della santa croce. Il medesimo
tempo che altri avrebbe passato qua e là trastullandosi egli passava raccontando esempi ai
parenti, o ad altri compagni che l'avessero voluto ascoltare. Anche in patria era solito a fare ogni
giorno una visita al Santissimo Sacramento, ed era per lui un vero guadagno quando poteva
indurre qualche compagno ad andargli a tenere compagnia. Onde si può dire che non
presentavasi a lui occassione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene
dell'anima, che egli la lasciasse sfuggire. {56 [206]}
Capo XII. Episodii e belle maniere di conversare coi compagni.
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque. In tempo libero era
l'anima della ricreazione; ma quanto diceva o faceva tendeva sempre al bene morale o di sè o
d'altri. Aveva ognor presenti que' bei principii di educazione di non interrompere gli altri quando
parlano: se però i compagni facevano silenzio egli tosto metteva fuori questioni di scuola, di
storia, di aritmetica, ed aveva sempre alla mano mille storielle, che rendevano amabile la sua
compagnia. Se mai taluno avesse rivolto il discorso intorno a cose che fossero mormorazioni o
simili, egli lo interrompeva e metteva fuori qualche facezia od anche una favola o altra cosa per
far ridere, e intanto distoglieva il discorso dalla mormorazione ed impediva l'offesa di Dio tra'
suoi compagni.
La sua aria allegra, l'indole vivace lo rendevano caro anche ai compagni meno amanti
della pietà, per modo che ognuno {57 [207]} godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano
in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva.
Un suo compagno desiderava andarsi a mascherare ed egli non voleva. Saresti contento,
gli diceva, di venir realmente quale vuoi vestirti, con due corna sulla fronte, con un naso lungo
un palmo, con un abito da ciarlatano? Mai no, rispose l'altro. Dunque, soggiunse Domenico, se
non desideri avere questo sembiante, perchè vuoi comparir tale e deturpare le belle fattezze che
Dìo ti ha donato?
Un'altra volta alcuni volevano andarsi a bagnare, la qual cosa, se è altrove pericolosa, lo è
assai più nel circondario di Torino, ove, senza parlare dei pericoli d'immoralità, trovansi spesso
de' giovani che restano vittima infelice del nuoto. Se ne accorse Domenico e cercava di
trattenersi con loro raccontando or questa or quell'altra favoletta. Ma quando li vide decisi di
volersene assolutamente andare, allora si pose a parlare risoluto: no, disse, io non voglio che
andiate.
- Noi non facciamo alcun male.
- Voi disubbidite, voi vi esponete al pericolo di dare o ricevere scandalo e di {58 [208]}
rimaner morti nell'acqua, e questo non è male?
- Ma noi abbiamo un caldo che non ne possiamo più.
- Se non potete più tollerare il caldo di questo mondo, potrete poi tollerare il caldo
terribile dell'inferno che voi vi andate a meritare?
Mossi da tali parole cangiarono divisamento e si posero secolui a fare ricreazione, e
all'ora dovuta andarono in chiesa ad assistere alle sacre funzioni.
Alcuni altri giovani dell'Oratorio amanti del bene de' loro compagni si unirono in una
specie di società per darsi alla coltura de' più discoli. Savio vi apparteneva ed era de' più zelanti:
se avesse avuto un confetto, un frutto, una croce, una medaglia, un'immagine o simili, le
riserbava per questo scopo. Chi lo vuole, chi lo vuole, andava dicendo. Io, io, andavasi da tutti
gridando e correndo verso di lui. Adagio, egli diceva, voglio darlo a chi meglio mi risponderà ad
una dimanda di catechismo. Intanto egli interrogava solo i più discoli ed appena essi davano
risposta alquanto soddisfacente faceva loro quel piccolo regalo. {59 [209]}
Altri poi erano guadagnati in altre maniere: li prendeva, li invitava a passeggiargli
insieme, li faceva discorrere, e sè occorreva giocava con loro. Fu talvolta veduto con un grosso
bastone sulle spalle, che sembrava Ercole colla clava, giuocare alla rana, volgarmente cirimella,
e mostrarsi perdutamente affezionato a quel giuoco. Ma ad un tratto sospendeva la partita e
diceva al compagno: vuoi che sabato ci andiamo a confessare? L'altro e per la distanza del tempo
e per ripigliare presto la partita e anche per compiacerlo rispondeva di si. Domenico ne aveva
abbastanza e continuava il giuoco. Ma nol perdeva più di vista: ogni giorno o per un motivo o
per l'altro gli richiamava sempre quel si alla memoria, e gli andava insinuando il modo di
confessarsi bene. Venuto il sabato, qual cacciatore che ha colto buona preda, l'accompagnava in
chiesa, lo precedeva nel confessarsi, per lo più preveniva il confessore, si tratteneva seco dopo a
fare il ringraziamento. Questi fatti, che pur erano frequenti, erano per lui della più grande
consolazione, e di grande vantaggio ai compagni, perciocchè spesso avveniva che taluno non
riportasse alcun frutto da una {60 [210]} predica udita in chiesa, e che poi arrendevasi alle pie
insinuazioni di Domenico.
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Avveniva qualche volta che alcuno il lusingava tutta la settimana e poi al sabato non
lasciavasi più vedere per l'ora di confessarsi. Come poi lo vedeva di nuovo quasi scherzandogli
dicea; eh! biricchino! me l'hai fatta. Ma vedi, diceva l'altro, non era disposto, non mi sentiva...
Poverino, soggiungeva Domenico, hai ceduto al demonio che era assai ben disposto a riceverti;
ma ora ancor più sei indisposto, anzi ti vedo tutto di mal umore. Orsù fa la prova di andarti a
confessare, fa uno sforzo e procura di confessarti bene e vedrai di quanta gioia sarà ripieno il tuo
cuore. Per lo più dopo che quel tale erasi confessato andava poi da Domenico col cuore pieno di
contentezza: è vero, diceva, sono veramente contento; per l'avvenire voglio andarmi a confessare
più sovente.
Nelle comunità di giovani sogliono esservene alcuni che o per essere alquanto rozzi,
ignoranti, meno educati, o cruciati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati da parte dai loro
compagni. Costoro soffrono il peso dell' abbandono quando avrebbero maggior bisogno del
conforto di un amico.
Questi tali erano gli amici di Domenico. {61 [211]} Loro si avvicinava, li ricreava con
qualche buon discorso, loro dava buoni consigli, e spesso è avvenuto che giovani decisi di darsi
in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornarono a buoni sentimenti.
Questo era il motivo che tutti quelli che avevano qualche incomodo di salute
dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto
esponendole a lui. In questa guisa egli aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la
carità verso il prossimo e accrescersi il merito davanti a Dio.
Capo XIII. Suo spirito di preghiera. - Divozione verso la Madre di Dio. -
Il mese di Maria.
Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fervore nella preghiera. Il suo
spirito era cosi abituato a conversare con Dio che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più
clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri e con pii affetti sollevava il cuore a Dio. {62
[212]}
Quando poi si metteva a pregare in comune pareva veramente un angioletto: immobile e
composto a divozione in tutta la persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia,
colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l'avresti detto un altro S. Luigi.
Bastava vederlo per esserne edificati. L'anno 1854 fu eletto il signor Conte Cays priore
della compagnia di S. Luigi eretta in quest'Oratorio. La prima volta che prese parte alle nostre
funzioni vide egli un giovanetto che pregava con tale atteggiamento, che ne fu pieno di stupore.
Terminate le sacre funzioni volle informarsi e sapere chi fosse quel fanciullo che era stato il
soggetto della sua ammirazione: quel fanciullo era Domenico Savio.
La stessa sua ricreazione era quasi sempre dimezzata; una parte per lo più era passata in
pia lettura o in qualche preghiera che egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in
suffragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria Santissima.
La divozione verso la Madre di Dio in Domenico era grande assai. In onore di lei faceva
ogni giorno qualche mortificazione. {63 [213]} Non rimirava mai in faccia persone di sesso
diverso: andando a scuola non alzava mai gli occhi. Talvolta passava vicino a pubblici spettacoli,
che dai compagni rimiravansi con tale ansietà da non saper più dove passassero. Interrogato il
Savio se tali spettacoli gli fossero piaciuti, rispondeva, che nulla aveva veduto. Di che quasi
indispettito un compagno lo rimproverò dicendo: che vuoi dunque fare degli occhi se non te ne
servi a rimirare tali cose? Io servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia della nostra celeste
Madre Maria, quando, se coll'aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in paradiso.
Aveva una special divozione all' immacolato cuore di Maria. Tutte le volte che portavasi
in chiesa andava avanti all'altare di lei per pregarla ad ottenergli la grazia di conservare il suo
cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. Maria, diceva, io voglio essere sempre vostro
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
figliuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un peccato contrario alla virtù della
modestia.
Ogni venerdì poi sceglieva un tempo di ricreazione, si portava in chiesa con altri
compagni e con essi recitava la corona {64 [214]} de' sette dolori di Maria o almeno le litanie di
Maria addolorata.
Non solo era egli divoto di Maria SS., ma godeva assai, quando poteva condurre un
compagno a prestarle pratiche di pietà. Un giorno di sabato aveva invitato un compagno a recarsi
con lui in chiesa per recitare il vespro della B. Vergine. Questi si arrendeva di mala voglia,
adducendo aver freddo alle mani. Domenico si levò i guanti dalle mani, e glieli diede e cosi
andarono ambidue in chiesa. Altra volta si tolse il mantelletto dalle proprie spalle per imprestarlo
ad un altro affinchè andasse volentieri con lui in chiesa a pregare. Chi non sentesi compreso
d'ammirazione a tali alti di generosa pietà?
In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra
protettrice Maria quanto nel mese di Maggio. Si accordava con altri per fare ogni giorno di tal
mese qualche pràtica particolare oltre a quanto facevasi in pubblico nella chiesa. Preparavasì una
serie d'esempi edificanti, che egli andava con gran piacere raccontando per animare altri ad
essere divoti di Maria. Ne parlava spesso in ricreazione; animava tutti a confessarsi {65 [215]} e
frequentare la santa comunione specialmente in tal mese. Egli ne dava l'esempio accostandosi
ogni giorno alla mensa eucaristica con tale raccoglimento che maggiore non si può desiderare.
Un curioso episodio fa vedere la tenerezza del suo cuore per la divozione di Maria. Gli
alunni della camera, ove egli dormiva, deliberarono di fare a spese proprie un elegante altarino,
che servisse a solennizzare la chiusa del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per
questo affare; ma venendosi alla quota che ciascuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! esclamò, sì
che stiamo bene; per questi affari ci vogliono danari, ed io non ho un quattrino in tasca. Pure
voglio fare qualche cosa a qualunque costo. Andò, prese un libro, che eragli stato donato in
premio, e chiestone il permesso dal superiore ritornò pien di gioia dicendo: compagni, eccomi in
grado di concorrere anch'io per onorar Maria: prendete questo libro, cavatene quell'utilità che
potete; questa è la mia oblazione.
Alla vista di tale atto spontaneo e così generoso s'intenerirono i compagni, e vollero essi
pure offerir libri ed altri oggetti: {66 [216]} con essi fu fatta una piccola lotteria, il cui prodotto
fu abbondante per sopperire alle spese che occorrevano.
Terminato l'altare i giovani desideravano di celebrare la loro festa colla massima
sontuosità. Ognuno se ne dava grande sollecitudine, ma non essendosi potuto totalmente
terminare l'apparato era mestieri lavorare la notte precedente alla festa. Io, disse il Savio, io
passerò volentieri la notte lavorando. Ma i suoi compagni, perchè aveva poco prima fatto una
malattia, l'obbligarono di andarsi a coricare. Non voleva arrendersi, e solo andò a letto per
ubbidienza. Almeno, disse ad uno de' compagni, appena sia tutto terminato vienmi tosto a
risvegliare, affinchè io possa essere de' primi a rimirare l'altare addobbato in onore della cara
nostra madre.
Capo XIV. Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e
comunione.
Egli è comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il
sacramento della confessione e della comunione. {67 [217]} Datemi un giovanetto, che frequenti
questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se
cosi piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l'esempio di tutti quelli che
lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti
quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla.
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due sacramenti una
volta al mese secondo l'uso delle scuole. Di poi li frequentò con assai maggior assiduità. Un
giorno udì dal pulpito questa massima: giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si
raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa
comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza
necessità. Comprese Domenico l'importanza di questi consigli. Cominciò egli a scegliersi un
confessore che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinchè questi potesse poi
formarsi un giusto giudicio di sua coscienza volle, come si disse, fare la confessione {68 [218]}
generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla
medesima frequenza. Il confessore osservando il grande profitto, che faceva nelle cose di spirito,
lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana, e nel termine di un anno gli permise la
comunione quotidiana.
Il Savio godeva di sè medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, vo dal
confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacchè Gesù Cristo ha detto che la voce
del confessore per noi è come la voce di Dio. Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere
l'Ostia santa in cui trovasi corpus quod prò nobis traditum est, cioè quello stesso corpo, sangue
anima e divinità, che Gesù Cristo offerse a Dio per noi sopra la croce. Che cosa mi manca per
essere felice? nulla in questo mondo: mi manca solo il poter godere svelato in cielo colui che ora
con occhio di fede miro e adoro sull'altare.
Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella
ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. Nè pensiamoci che egli non
comprendesse l'importanza {69 [219]} di quanto faceva e non avesse un tenor di vita cristiana,
quale si conviene a chi desidera di far la comunione quotidiana. Perciocchè la sua condotta era
per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se ne' tre anni, che dimorò fra
noi, avevano notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire; ma tutti
furono d'accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione; nè avrebbero
saputo quale virtù aggiungere in lui.
Il suo apparecchio alla comunione era il più edificante. La sera che precedeva la
comunione prima di coricarsi egli faceva una preghiera a questo scopo, e conchiudeva sempre
cosi: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino
poi faceva una sufficiente preparazione; ma il ringraziamento era senza limite. Per lo più, se non
era chiamato, dimenticava la colezione, la ricreazione, e talvolta fino la scuola, standosi in
orazione, o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli
uomini i tesori della sua infinita misericordia. {70 [220]}
Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato.
Almeno una volta al giorno andava invariabilmente a fargli visita, invitando altri a fargli
compagnia. La sua preghiera prediletta era una coroncina al sacro cuore di Gesù per compensare
le ingiurie che riceve dagli eretici, dagli infedeli e dai cattivi cristiani.
Affinchè le sue comunioni fossero più fruttuose e nel tempo stesso avessero ogni giorno
novello eccitamento a farle con fervore egli si era prefisso ogni giorno uno scopo speciale.
Ècco come distribuiva le comunioni in ciascun giorno della settimana.
Domenica. In onore della Santissima Trinità.
Lunedì. Pe' miei benefattori spirituali e temporali.
Martedì. In onore di S. Domenico e del mio Angelo custode.
Mercoledì. Per la conversione dei peccatori.
Giovedì. In suffragio delle anime del purgatorio.
Venerdì. In onore della passione di Gesù Cristo. {71 [221]}
Sabato. Ad onore di Maria SS. per ottenere la sua protezione in vita ed in morte.
Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le quali riguardassero al
santissimo Sacramento. Se gli fosse capitato d'incontrare il Viatico portato a qualche infermo,
egli s'inginocchiava tosto ovunque fosse; e se il tempo glielo permetteva, l'accompagnava finchè
fosse terminata la funzione.
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
Alla festa del Corpus Domini fu vestito da cherico, e mandato alla processione della
parrochia. Egli vi andò con sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo, che maggiore
niuno gli avrebbe potuto fare.
Capo XV. Sue penitente.
La sua età, la sanità cagionevole, l'innocenza di sua vita l'avrebbero certamente
dispensato da ogni sorta di penitenza; ma egli sapeva che difficilmente un giovane può
conservare l'innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva si che la {72 [222]} via dei
patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente
le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della continua mortificazione e compostezza di tutti i suoi
sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione. Queste penitenze in lui erano
continue.
Io parto solamente delle penitenze afflittive del corpo. Nel suo fervore aveva stabilito di
digiunare ogni sabato a pane ed acqua in onore della Beata Vergine, ma il confessore glielo
proibì; voleva digiunare la quaresima, ma dopo una settimana venne tale cosa a notizia del
Direttore della casa, e tosto gli fu vietata. Voleva almeno lasciar la colezione, ed anche tal cosa
gli venne proibita. La ragione per cui non gli si permettevano tali penitenze era per impedire che
la sua cagionevole sanità non venisse rovinata intieramente. Che fare adunque? Proibito di fare
astinenza nel cibo, prese ad affliggere il corpo in altre maniere. Cominciò a mettersi scheggie di
legno e pezzi dì mattone in letto per rendersi molesto il medesimo riposo; voleva portare una
specie di cilicio; le quali cose gli vennero tutte proibite. {73 [223]} Egli si appigliò ad un novello
mezzo. In tempo di autunno e d'inverno lascio inoltrare la stagione senza accrescere coperte al
letto, sicchè eravamo a gennaio, ed egli era tuttora coperto da estate. Un mattino rimasto a letto
per qualche incomodo, il Direttore l'andò a visitare. Al vederlo tutto aggomitolato gli si avvicinò,
e si accorse che non aveva altro addosso che una sottile copertura. Perchè hai fatto questo, gli
disse? Vuoi morire di freddo? No, rispose, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di
Betlemme e quando era in croce, era meno coperto di me.
Allora gli fu assolutamente proibito d'intraprendere penitenze di qualsiasi genere, senza
prima dimandarne espressa licenza; al quale comando, sebbene con pena, si sottomise. Una volta
lo incontrai tutto afflitto, che andava esclamando: povero me, io sono veramente imbrogliato. Il
Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in paradiso; ed a me è proibito di farne; quale
adunque sarà il mio paradiso?
La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l'ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta.
{74 [224]}
- Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza?
- Si: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne
venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza,
e tutti gli incomodi di salute che a Dio piacerà di mandarti.
- Ma questo si soffre per necessità?
- Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l'anima
tua.
Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo.
Capo XVI. La Compagnia dell Immacolata Concezione.
Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divozione verso Maria
Santissima. Nè lasciava sfuggire occasione alcuna affine di tributarla qualche omaggio. L'anno
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1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma di fede l'immacolato concepimento di
Maria. Il Savio desiderava ardentemente di rendere tra di noi vivo e {75 [225]} durevole il
pensiero di questo augusto titolo dalla Chiesa dato alla regina del cielo. Io desidererei, soleva
dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il
tempo.
Guidato egli adunque dalla solita industriosa sua carità scelse alcuni de' suoi fidi
compagni, e li invitò ad unirsi insieme con lui per formare una compagnia detta dell'Immacolata
Concezione.
Lo scopo era di assicurarsi la protezione della gran Madre di Dio in vita e specialmente in
punto di morte. Due mezzi proponeva il Savio a tal fine: esercitare e promuovere pratiche di
pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente Comunione. D'accordo co' suoi più fidi amici
compilò un regolamento, e dopo molte sollecitudini nel giorno 8 di giugno 1856, nove mesi
prima di sua morte, leggevate con loro dinanzi all'altare di Maria SS. Io lo trascrivo di buon
grado nel pensiero che possa servire ad altri di norma a fare altrettanto. Eccone adunque il
tenore:
Noi Savio Domenico, ecc., (segue il nome di altri compagni) per assicurarci in vita ed in
morte il patrocinio della Beatissima Vergine Immacolata, e per dedicarci {76 [226]}
intieramente al suo santo servizio, nel giorno 8 del mese di giugno, muniti tutti dei Ss.
Sacramenti della confessione e comunione, e risoluti di professar verso la Madre nostra una
filiale e costante divozione, protestiamo davanti all' altare di Lei e col consenso del nostro
Spiritual Direttore, di voler imitare per quanto lo pernotteranno le nostre forze LUIGI
COMOLLO4. Onde ci obblighiamo
1° Di osservare rigorosamente le regole della casa:
2° Di edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente, ed eccitandoli al bene colle
parole, ma molto più col buon esempio;
3° Di occupare esattamente il tempo. A fine poi di assicurarci della perseveranza nel
tenor di vita cui intendiamo di obbligarci, sottomettiamo il seguente regolamento al nostro
Direttore. {77 [227]}
N. 1. A regola primaria adotteremo una rigorosa obbedienza ai nostri superiori cui ci
sottomettiamo con una illimitata confidenza.
N. 2. L'adempimento dei proprii doveri sia la nostra prima e speciale occupazione.
N. 3. Carità reciproca unirà i nostri animi, ci farà amare indistintamente i nostri fratelli, i
quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisse utile una correzione.
N. 4. Si sceglierà una mezz' ora nella settimana per convocarci, e dopo l'invocazione del
S. Spirito, fatta breve spiritual lettura, si tratteranno i progressi della Compagnia nella divozione
e nelle virtù.
N. 5. Separatamente però ci ammoniremo di quei difetti di cui dobbiamo emendarci.
N. 6. Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo dispiacere, sopportando con
pazienza i compagni, e le altre persone moleste.
N.7. Non è fissata alcuna preghiera, giacchè il tempo, che rimane dopo compiuto il dover
nostro, sarà consacrato a quello scopo che parrà più utile all'anima nostra.
N. 8. Ammettiamo però queste poche pratiche: {78 [228]}
§ 1° La frequenza ai Ss.mi Sacramenti, quanto più sovente ci verrà permesso.
§ 2º Ci accosteremo alla mensa Eucaristica tutte le domeniche, le feste di precetto,
tutte le novene e solennità di Maria SS. e dei Ss. Protettori dell'Oratorio.
§ 3° Nella settimana procureremo di aceostarvici al giovedì, eccetto che ne siamo
distolti da qualche grave occupazione.
N. 9. Ogni giorno, specialmente nella recita del Rosario, raccomanderemo a Maria la
nostra società, pregandola di ottenerci la grazia della perseveranza.
4 LUIGI COMOLLO nacque in Cinzano l'anno 1818 e moriva l'anno 1839 in concetto di singolar virtù nel
Seminario di Chieri in età d'anni 22. La vita di questo modello della gioventù, fu la seconda volta stampato nell'anno
IV delle Letture Cattoliche.
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N. 10. Procureremo di consacrare ogni sabato in onor di Maria qualche pratica speciale
od atto di cristiana pietà in onor dell'Immacolato suo concepimento.
N. 11. Useremo quindi un contegno vie maggiormente edificante nella preghiera, nelle
divote letture, durante i divini uffizi, nello studio e nella scuola.
N. 12. Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio, e ne rianderemo le
verità ascoltate.
N. 13. Eviteremo qualunque perdita di tempo per assicurar l'animo nostro dalle tentazioni
che sogliono fortemente assalirci nell'ozio; epperciò {79 [229]}
N. 14. Dopo aver soddisfatto agli obblighi che incombono a ciascuno di noi,
consacreremo le ore rimaste libere in utili occupazioni come in divote ed istruttive letture o nella
preghiera.
N. 15. La ricreazione è voluta o almeno permessa dopo il cibo, dopo la scuola e dopo lo
studio.
N. 16. Procureremo di manifestare ai nostri superiori qualunque cosa possa riguardare la
nostra morale condotta.
N. 17. Procureremo eziandio di fare gran risparmio di quei permessi che ci vengono
largiti dalla bontà dei nostri superiori, imperciocchè una delle nostre mire speciali è certamente
un'esatta osservanza delle regole della casa, troppo spesso offesa dall'abuso di tali permessi.
N. 18. Accetteremo dai nostri superiori quello che verrà destinato a nostro alimento senza
mai movere lagnanza intorno agli apprestamenti di tavola, e distoglieremo anche gli altri dal
farlo.
N. 19. Chi bramerà far parte di questa società, dovrà anzi tutto purgarsi la coscienza col
Sacramento della Confessione, e cibarsi alla mensa Eucaristica, dar quindi saggio di sua condotta
con una settimana {80 [230]} di prova, leggere attentamente queste regole e prometterne esatta
osservanza a Dio ed a Maria SS. Immacolata.
N. 20. Nel giorno di sua ammessione i fratelli si accosteranno alla santa comunione,
pregando Sua Divina Maestà di accordare al compagno le virtù della perseveranza,
dell'ubbidienza, il vero amore di Dio.
N. 21. La società è posta sotto gli auspizii dell' Immacolata Concezione, di cui avremo il
titolo, e porteremo una divota medaglia. Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una
tenerezza singolare verso di lei; una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo,
tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto.
Consigliamo inoltre i fratelli a scrivere i SS. nomi di Gesù e di Maria prima nel cuore e
nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che ci possono cadere sott'occhio.
Il nostro Direttore è pregato di esaminare queste regole, e di manifestarci intorno ad esse
il suo giudizio assicurandolo che noi tutti intieramente dipendiamo dalla sua volontà. Egli potrà
far subire a questo regolamento quelle modificazioni, che gli parranno convenienti. {81 [231]}
E Maria? Benedica essa i nostri sforzi, giacchè l'inspirazione di dar vita a questa pia
società fu tutta sua. Ella arrida alle nostre speranze, esaudisca i nostri voti, e noi coperti dal suo
manto, forti del suo patrocinio, sfideremo le procelle di questo mare infido, supereremo gli
assalti del nemico infernale. In simil guisa da lei confortati speriamo d'essere l'edificazione dei
compagni, la consolazione dei superiori, diletti figliuoli di Lei. E se Dio ci concederà grazia e
vita per servirlo nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo con tutte le nostre forze per farlo col
massimo zelo, e diffidando di nostre forze, illimitatamente fidando nel divino soccorso, potremo
sperare che dopo questa valle di pianto consolati dalla presenza di Maria, raggiungeremo sicuri
in quell'ultima ora quel guiderdone eterno, che Iddio tien serbato a chi lo serve in ispirito e
verità.
Il Direttore dell' Oratorio lesse di fatto il sopra esposto regolamento di vita e dopo di
averlo attentamente esaminato, lo approvò colle seguenti condizioni:
1. Le mentovate promesse non hanno forza di voto.
2. Nemmeno obbligano sotto pena di colpa alcuna. {82 [232]}
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3. Nelle conferenze si stabilisca qualche opera di carità esterna, come la nettezza della
Chiesa, l'assistenza od il catechismo di qualche fanciullo più ignorante.
4. Si dividano i giorni della settimana in modo che in ciascun giorno vi siano alcune
comunioni.
5. Non si aggiunga alcuna pratica religiosa senza speciale permesso dei superiori.
6. Si proponga per iscopo fondamentale di promuovere la divozióne verso Maria SS.
Immacolata, e verso il SS. Sacramento.
7. Prima di accettare qualcheduno, gli si faccia leggere la vita di Luigi Comollo.
Capo XVII. Sue amicizie particolari - Sue relazioni col giovane Gavio
Camillo.
Ognuno era amico con Domenico; chi non lo amava lo rispettava per le sue virtù. Egli
sapeva poi passarsela bene con tutti. Era cosi rassodato nella virtù che fu consigliato di
trattenersi anche con alcuni {83 [233]} giovani alquanto discoli per far prova di guadagnarli al
Signore. Ed egli approffittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indifferenti per
trarne vantaggio spirituale. Tuttavia aveva i suoi amici particolari, coi quali, come si è detto, si
radunava ora in conferenze spirituali, ora per compiere esercizi di cristiana pietà. Queste
conferenze tenevansi con licenza dei superiori; ma erano assistite e regolate dagli stessi giovani.
In esse trattavano del modo di celebrare le novene delle maggiori solennità, si ripartivano le
comunioni, che ciascuno avrebbe avuto cura di fare in giorni determinati della settimana, si
assegnavano a vicenda quei giovani che avevano maggior bisogno di assistenza morale e
ciascuno lo faceva suo cliente, ovvero protetto, ed adoperavano tutti i mezzi che suggerisce la
carità cristiana per avviarlo alla virtù.
Il Savio era dei più animati, e si può dire che in queste conferenze la faceva da dottore.
Si potrebbe parlare di parecchi compagni del Savio che prendevano parte a queste
conferenze, e che trattarono molto con lui, ma essendo essi ancor tra' vivi, pare {84 [234]}
prudenza non parlarne. Ne accennerò solamente due, che sono già stati da Dio chiamati alla
patria celeste. Questi sono Gavio Camillo di Tortona, e Massaglia Giovanni di Marmorito. Il
Gavio dimorò solamente due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza
di sè presso i suoi compagni. La sua luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e scultura,
avevano risolto il municipio di quella città ad aiutarlo affinchè potesse venire a Torino a
proseguire gli studii per l'arte sua. Egli aveva fatto una grave malattia in patria; e come venne
all'Oratorio sia per essere convalescente, sia per trovarsi lontano dalla patria e dai parenti, sia
anche per la compagnia di giovanetti tutti sconosciuti, se ne stava osservando gli altri a
trastullarsi, ma assorto in gravi pensieri. Lo vide il Savio, e tosto si avvicinò per confortarlo, e
tenne secolui questo preciso discorso:
Il Savio cominciò: ebbene, mio caro, non conosci ancora alcuno, non è vero?
Gavio: è vero, ma mi ricreo rimirando gli altri a trastullarsi.
- Come ti chiami?
- Gavio Camillo di Tortona. {85 [235]}
- Quanti anni hai?
- Ne ho quindici compiuti.
- Da che deriva quella malinconia che ti traspira in volto, sei forse stato ammalato?
- Si, sono veramente stato ammalato: ho fatto una malattia di palpitazione, che mi portò
sull'orlo della tomba, ed ora non ne sono ancora ben guarito.
- Desideri di guarire, non è vero?
- Non tanto; desidero di fare la volontà di Dio.
Queste ultime parole fecero conoscere il Gavio per un giovane di non ordinaria pietà, e
cagionarono nel cuore del Savio una vera consolazione; sicchè con tutta confidenza continuò
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così: chi desidera di fare la volontà di Dio, desidera di santificare se stesso; hai dunque volontà
di farti santo?
- Questa volontà in me è grande.
- Bene: accresceremo il numero dei nostri amici, e tu sarai uno di quelli che prenderai
parte a quanto facciamo noi per farci santi. Ma sappi che noi qui facciamo consistere la santità
nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che
ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, {86 [236]} di adempiere esattamente i nostri doveri, e
frequentare le cose di pietà. Comincia fin d'oggi a scriverti per ricordo: servite Domino in
laetitia, serviamo il Signore in santa allegria.
Questo discorso fu come un balsamo alle afflizioni del Gavio, che ne provò un vero
conforto. Che anzi da quel giorno in poi egli divenne fido amico del Savio, e costante seguace
delle sue virtù. Ma la malattia che lo aveva portato sull'orlo della tomba, e che non era stata
sradicata, in capo a due mesi ricomparve, e malgrado le sollecitudini dei medici e degli amici,
non le si potè più trovare rimedio. Dopo alcuni giorni di peggioramento, dopo di aver con grande
edificazione ricevuti gli ultimi sacramenti mandava l'anima al Creatore il 30 dicembre 1856.
Domenico andò più volte a visitarlo nel corso della malattia e si offeriva di passare le
notti vegliando presso di lui, sebbene non siagli stato permesso. Quando seppe, che era spirato,
volle andarlo a vedere per l'ultima volta, e mirandolo estinto, commosso gli diceva: addio, o
Gavio, tu sei volato al cielo; prepara anche un posto per me. Io ti sarò sempre amico, e finchè il
{87 [237]} Signore mi lascerà in vita, pregherò pel riposo dell'anima tua.
Dopo andò con altri compagni a recitare l'uffizio dei morti nella camera del defunto, si
fecero altre preghiere lungo il giorno; quindi invitò alcuni dei più buoni compagni a fare la santa
comunione, ed egli stesso la fece più volte in suffragio dell'anima dell'amico defunto.
Fra le altre cose egli disse a' suoi amici: miei cari, non dimentichiamo l'anima del nostro
amico, tutto quello che ora facciamo per lui, Dio disporrà che altri lo faccia un giorno per noi.
Capo XVIII. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni.
Più lunghe e più intime furono le relazioni del Savio con Massaglia di Marmorito, paese
poco distante da Mondonio.
Vennero ambidue contemporaneamente nella casa dell'Oratorio, erano confinanti di
patria; avevano ambidue la stessa volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico, con vero desiderio
di farsi santi. {88 [238]}
- Non basta, un giorno Domenico diceva al suo amico, non basta il dire che vogliamo
farci ecclesiastici, ma bisogna che ci adoperiamo per acquistare le virtù che a tale stato sono
necessarie.
- È vero, rispondeva l'amico, ma, se facciamo quello che possiamo dal canto nostro, Dio
non mancherà di darci grazia e forza per meritarci un favore così grande quale si è diventar
ministri di Gesù Cristo.
Venuto il tempo pasquale fecero cogli altri giovani gli spirituali esercizi con molta
esemplarità. Terminati gli esercizi, Domenico disse al compagno: voglio che noi siamo veri
amici; veri amici per le cose dell'anima, perciò vorrei che d'ora in avanti fossimo l'uno monitore
dell'altro in tutto ciò che può contribuire al bene spirituale. Quindi se tu scorgerai in me qualche
difetto, dimmelo tosto, affinchè me ne possa emendare, oppure se vedrai qualche cosa di bene
che io possa fare, non mancare di suggerirmelo.
- Lo farò volentieri per te, sebbene non ne abbisogni; ma tu lo devi fare assai più verso di
me, che, come ben sai, per la mia età mi trovo esposto a maggiori pericoli. {89 [239]}
- Lasciamo i complimenti da parte ed aiutiamoci vicendevolmente a farci del bene per
l'anima.
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Da quel tempo il Savio, ed il Massaglia divennero veri amici, e la loro amicizia fu
durevole, perchè fondata sulla virtù; giacchè andavano a gara coll'esempio e coi consigli per
aiutarsi a fuggire il male, e praticare il bene.
Alla fine dell'anno scolastico subiti gli esami fu a ciascun giovane della casa data licenza
di andar a passare le vacanze o coi genitori o con qualche altro parente.
Alcuni preferirono rimanere all'oratorio, e tra questi furono Savio e Massaglia. Sapendo
io quanto fossero ansiosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di
ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambidue: perchè non andate a passar qualche giorno in
vacanza? Essi invece di rispondere si misero a ridere. - Che cosa volete dirmi con questo ridere?
Domenico rispose: noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere; noi pure li
amiamo e ci andremmo volentieri; ma sappiamo che l'uccello finchè trovasi in gabbia non gode
libertà, è vero, {90 [240]} però è sicuro dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove
vuole, ma da un momento all'altro può cadere negli artigli di quell'uccello di rapina. La nostra
gabbia è l'Oratorio; qui stiamo sicuri; se usciamo di qui temiamo di cadere negli artigli del
falcone infernale.
Io però ho giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa pel bene della loro sanità, e si
arresero alla mia volontà soltanto per ubbidienza, restandovi quei soli giorni che erano stati
strettamente loro comandati.
Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte
le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finchè visse. Egli godeva buona salute, e dava
ottima speranza di sè nella carriera degli studii. Compiuto il corso di Retorica subì con esito
felice l'esame per la vestizione chericale. Ma questo abito da lui tanto amato e tanto rispettato,
potè soltanto portarlo alcuni mesi. Colpito da una costipazione, che aveva aspetto di semplice
raffreddore, non voleva nemmeno interrompere i suoi studii. Pel desiderio di fargli fare una cura
radicale, e per toglierlo dall'occasione di studiare i {91 [241]} genitori lo condussero a casa. La
malattia sembrava leggiera; più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde, finchè quasi
inaspettatamente venne all'estremo della vita.
«Egli ebbe tempo, scrive il suo paroco, di ricevere colla massima esemplarità tutti i
conforti di nostra santa religione; moriva della morte del giusto che lascia il mondo per volare al
cielo.»
Alla perdita di tale amico il Savio fu profondamente addolorato, e sebbene rassegnato ai
divini voleri lo pianse per più giorni, e questa è la prima volta che vidi quel volto angelico a
rattristarsi e piangere di dolore. L'unico conforto fu di pregare e far pregare per l'amico defunto.
Fu udito talvolta ad esclamare: caro Massaglia, tu sei morto, e spero che sarai gia in compagnia
di Gavio in paradiso, ed io quando andrò a raggiungervi nell'immensa felicità del cielo?
Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico l'ebbe ognor presente nelle
pratiche di pietà, e soleva dire, che non poteva andar ad ascoltar la santa messa, od assistere a
qualche esercizio divoto senza raccomandare a Dio l'anima di {92 [242]} colui che in vita erasi
cotanto adoperato pel suo bene. Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuore di Domenico, e
la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata.
Capo XIX. Grazie speciali e fatti particolari.
Finora ho raccontato cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo
chiamare straordinaria una condotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando
coll'innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll’esercizio della pietà. Potrebbesi pur
chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza e l'infiammata sua
carità e la perseveranza nel bene fino all' ultimo respiro. Qui però io voglio esporre grazie
speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa
io stimo bene di avvisarne il lettore, che quanto ivi riferisco, ha piena somiglianza con fatti
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registrati nella Bibbia e nella vita dei santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei,
assicuro {93 [243]} che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi però interamente ai
riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.
Avvenne più volte, che andando in chiesa, specialmente nel giorno che Domenico faceva
la santa comunione, oppure vi era esposto il santissimo Sacramento egli restava come rapito dai
sensi, sicchè lasciava passare tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per compiere i suoi
ordinarii doveri. Accadde un giorno che mancò dalla colezione, dalla scuola, e dal medesimo
pranzo, e niuno sapeva dove fosse; nello studio non c'era, a letto nemmeno. Riferita al Direttore
tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre
volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e io vede là fermo come un sasso. Egli teneva un
piede sull'altro, una mano appoggiata sul leggìo dell'antifonario, l'altra sul petto colla faccia fissa
e rivolta verso il tabernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e
allora gli volge lo sguardo, e dice: oh è già finita la messa? Vedi, soggiunse il Direttore
mostrandogli l'orologio, sono le due. Egli dimandò {94 [244]} umile perdono della trasgressione
delle regole di casa, ed il direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: se taluno ti dirà: onde vieni?
Risponderai che vieni dall'eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le dimande
inopportune, che forse i compagni gli avrebbero fatte.
Un altro giorno terminato l'ordinario ringraziamento della messa io era per uscire dalla
sacrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e
trovo il Savio che parlava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose
intesi chiaramente queste parole: Sì, mio Dio, ve l'ho già detto e ve lo dico di nuovo, io vi amo e
vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì,
prima la morte, ma non peccare.
Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità
rispondeva: povero me, mi salta una distrazione, e in quel momento perdo il filo delle mie
preghiere, e parmi di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.
Un giorno entrò nella mia camera dicendo: {95 [245]} presto, venga con me, c'è una
bell'opera da fere. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io
esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l'importanza di tali inviti,
accondiscesi. Lo seguo. Esce di casa, passa una contrada poi un'altra, ed un'altra ancora, ma non
si arresta nè fa parola; prende infine un' altra contrada, io lo accompagno di porta in porta, finchè
si ferma, sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. E qua, che deve
entrare, egli dice, e tosto se ne parte.
Mi si apre; oh presto, mi vien detto, presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe
la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da
buon cattolico.
Io mi recai tosto al letto di quell'infermo, che mostrava viva ansietà di dar sesto alle cose
della sua coscienza. Aggiustate colla massima prestezza le cose di quell'anima, giunge il Curato,
che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il sacramento dell'Olio
Santo con una sola unzione, che l'ammalato era già cadavere. {96 [246]}
Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un
ammalato, ed egli mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatto
ulteriore dimanda.
L'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la
mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio. Talvolta
sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo.
Interrogato perchè lasciasse cosi i compagni, rispondeva: mi assalgono le solite distrazioni, e mi
pare che il paradiso mi si apra sopra del capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir
loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo. Tal cosa gli succedeva nello studio, nell'andata
e ritorno da scuola, e nella scuola medesima.
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Parlava assai volentieri del Romano Pontefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di
poterlo vedere prima di morire, asserendo ripetutamente che aveva cosa di grande importanza da
dirgli.
Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che
avrebbe voluto dire al Papa. {97 [247]}
- Se potessi parlare al Papa, vorrei dirgli che si occupi assai dell'Inghilterra; Dio prepara
un gran trionfo al cattolicismo in quel Regno.
- Sopra quali cose appoggi tu queste tue parole?
- Lo dico, ma non vorrei che ne facesse parola con altri, per non espormi forse allo burle.
Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un mattino mentre faceva il
ringraziamento della comunione, fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di vedere una
vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Camminavano, ma come uomini, che
smarrita la via non vedono più ove mettano il piede. Questo paese, mi disse uno che mi era
vicino, è l'Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il sommo Pontefice Pio IX, tale
quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una
luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella immensa turba di gente. Di mano in
mano che si avvicinava, al chiarore di questa fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini
restavano nella luce come di mezzogiorno. Quella fiaccola, mi {98 [248]} disse l'amico, è la
religione cattolica che deve illuminare gl'Inglesi.
L'anno scorso (1858) essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo
Pontefice, che la sentì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio
proposito di lavorare energicamente a favore dell' Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più
grandi sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi' è come un consiglio di un'anima buona.
Ommetto molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, lasciando che altri li pubblichi,
quando si giudicherà che possano tornare a maggior gloria di Dio.
Capo XX. Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir
santamente.
Chi ha letto quanto abbiamo fin' ora scritto intorno al giovane Savio Domenico,
conoscerà di leggieri che la vita di lui fu una continua preparazione alla morte. Ma egli reputava
la compagnia dell'Immacolata Concezione come un mezzo efficace per assicurarsi la protezione
di Maria in punto {99 [249]} di morte, che ognuno presagiva non essergli lontana.
Malgrado tutti i riguardi che gli si usavano per moderarlo nelle cose di studio e di pietà;
tuttavia e per la naturale sua gracilità, e per alcuni incomodi personali ed anche per la continua
tensione di spirito, gli si andavano ogni giorno diminuendo le forze. Egli stesso se ne accorgeva,
e talvolta andava dicendo: bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada.
Volendo dire che gli restava poco tempo di vita, e che doveva essere sollecito in fare opere
buone prima che giungesse la morte.
Avvi l'uso in questa casa che i nostri giovani facciano l'esercizio della buona morte una
volta al mese. Consiste questo esercizio nel prepararci a fare una confessione e comunione come
se fosse l'ultima della vita. Il regnante Pio IX nella sua grande bontà arricchì questo esercizio di
pietà di varie indulgenze. Domenico lo faceva con un raccoglimento che non si può dire
maggiore. In fine della sacra funzione si suole recitare un Pater ed Ave per colui che tra gli
astanti sarà il primo a morire. Un giorno scherzando egli disse: in luogo di dire per {100 [250]}
colui che sarà il primo a morire dica così: un Pater ed Ave per Savio Domenico che di noi sarà il
primo a morire. Questo disse più volte.
Sul finire di aprile del 1856, egli si presentò al Direttore e gli dimandò come avrebbe
dovuto fare per celebrare santamente il mese di Maria.
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- Lo celebrerai, rispose, coll'esalto adempimento de' tuoi doveri. raccontando ogni dì un
esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno la
santa comunione.
- Ciò procurerò di fare puntualmente; ma qual grazia dovrò dimandare?
- Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e grazia, per farti santo.
- Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi
momenti di mia vita mi assista e mi conduca al cielo.
Per usare tutti i mezzi atti a fargli riacquistare la sanità, ho fatto fare un consulto di
medici. Tutti ammirarono la giovialità, la prontezza di spirito, e l'assennatezza delle risposte di
Domenico. Il dottor Vallauri, di felice memoria, che era uno {101 [251]} dei benemeriti
consulenti, pieno di ammirazione: che perla preziosa, disse, è mai questo giovinetto!
- Qual è l'origine del malore che gli fa diminuire la sanità ogni giorno più, gli dimandai?
- La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono
come lime che gli rodono insensibilmente le forze vitali.
- Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente utile?
- Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare al paradiso, per cui mi pare assai preparato.
L'unica cosa che potrebbe protrargli la vita, si è l'allontanarlo intieramente qualche tempo dallo
studio e trattenerlo in occupazioni materiali adattate alle sue forze.
Capo XXI. Sua sollecitudine per gli ammalati - Lascia l'Oratorio- Sue
parole in tale occasione.
Lo sfinimento di forze in cui si trovava non era tale da tenerlo a letto continuamente;
{102 [252]} perciò talvolta andava a scuola, allo studio; oppure si occupava in cose di casa. Fra
le cose in cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi qualora ve ne
fossero stati nella casa.
Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell'assistere o visitare gli infermi perchè lo
fo con troppo gusto; anzi mi è un caro divertimento.
Mentre poi loro faceva de' servizi temporali, era accortissimo nel suggerire sempre
qualche cosa di spirituale. Questa carcassa, diceva ad un compagno incomodato, non vuol
durare in eterno, non è vero? Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finchè vada alla
tomba; ma allora, caro mio, l'anima nostra sciolta dagli impacci del corpo volerà gloriosa al cielo
e godrà una sanità ed una felicità interminabile.
Avvenne che un compagno rifiutavasi di bere una medicina perchè amara. Caro mio,
dicevagli Domenico, noi dobbiamo prendere qualsiasi rimedio, perchè cosi, facendo obbediamo
a Dio, che ha stabilito medici e medicine, perchè sono necessarii a riacquistare la perduta sanità:
che se proviamo qualche ripugnanza pel gusto, sarà un mezzo per guadagnare maggior merito
{103 [253]} per l'anima. Del resto credi che questa tua bevanda sia tanto amara ed aspra quanto
era amaro il fiele misto con aceto di cui fu abbeverato l'innocentissimo Gesù sopra la croce?
Queste parole dette colla maravigliosa sua schiettezza facevano si che niuno osava più opporre
difficoltà.
Sebbene la sanità del Savio fosse divenuta assai cagionevole, tuttavia l'andare a casa era
cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli rincresceva interrompere gli studii e le solite sue
pratiche di pietà. Alcuni mesi prima io ve l'aveva già mandato, ed egli vi dimorò solo pochi
giorni e tosto mel vidi ricomparire all'Oratorio. Io debbo dirlo; il rincrescimento era reciproco: io
l'avrei tenuto in questa casa a qualunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso
di un figliuolo il più degno di sua affezione. Pure il consiglio de' medici era tale ed io voleva
eseguirlo; tanto più che da alcuni giorni erasi in lui manifestata una ostinata tosse.
Si previene adunque il padre, e si stabilisce la partenza pel primo di marzo 1857.
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Si arrese Domenico a tale deliberazione, ma solo per farne un sacrifizio a Dio. Perchè, gli
si domandò, vai a casa cosi di {104 [254]} mal animo; mentre dovresti andarvi con gioia per
godervi la compagnia de' tuoi amati genitori? Perchè, rispose, desidero di terminare i miei giorni
all'Oratorio.
- Andrai a casa, e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute, ritornerai.
- Oh! questo poi no, no, io ci vo e non ritornerò più.
La sera precedente alla partenza non poteva levarmelo d'attorno, sempre aveva cose da
dimandare. Fra le altre diceva: Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar
merito davanti a Dio?
- Offerire spesso a Dio quanto soffre.
- Quale altra cosa potrebbe ancor fare?
- Offrire la sua vita al Signore.
- Posso essere certo che i miei peccati mi siano stati perdonati?
- Ti assicuro a nome di Dio che i tuoi peccati ti sono stati tutti perdonati.
- Posso essere certo di essere salvo?
- Sì, mediante la divina misericordia, la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti.
- Se il demonio venisse a tentarmi, che cosa gli dovrei rispondere?
- Gli risponderai che hai venduta l'anima {105 [255]} a Gesù Cristo, e che egli l'ha
comperata col prezzo del suo sangue; se il demonio ti facesse ancora altra difficoltà gli chiederai
qual cosa abbia egli fatto per l'anima tua. Al contrario Gesù Cristo ha sparso tutto il suo sangue
per liberarla dall'inferno e condurla seco lui al paradiso.
- Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell'Oratorio, ed i miei genitori?
- Si dal paradiso vedrai tutte le vicende dell' Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li
riguardano, ed altre cose mille volte più belle.
- Potrò venire a far loro qualche visita?
- Potrai venire purchè tal cosa torni a maggior gloria di Dio.
Queste e moltissime dimande andava facendo e sembrava una persona che avesse già un
piede sulle porte del paradiso, e che prima di entrarvi volesse bene informarsi delle cose che
entro vi erano.
Capo XXII. Dà l' addio a' suoi compagni.
Il mattino di sua partenza fece co' suoi compagni l'esercizio della buona morte con tale
trasporto di divozione nel confessarsi {106 [256]} e nel comunicarsi, che io che ne fui
testimonio, non so come esprimerlo. Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio
perchè spero che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Che se mi accadesse di
morire per la strada sono già comunicato. Il rimanente della mattinata lo impiegò tutto per
mettere in sesto le cose sue. Aggiustò il baule mettendo ogni oggetto come se non dovesse
toccarlo mai più. Dopo andava visitando un per uno i suoi compagni, a chi dava un consiglio,
avvisava questo ad emendarsi di un difetto, incoraggiva quell' altro a perseverare nel bene. Ad
uno cui doveva rimettere due soldi, il chiamò e gli disse: Vien qua, aggiustiamo i nostri conti,
altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell' aggiustamento de' conti col Signore. Parlò ai
confratelli della società dell' Immacolata Concezione e colle più animate espressioni li
incoraggiva ad essere costanti nell'osservanza delle promesse fatte a Maria SS., ed a riporre in lei
la più viva confidenza. Al momento di partire mi chiamò e dissemi queste precise parole: Ella
adunque non vuole questa mia carcassa (carcame ovvero scheletro) ed io sono costretto a
portarlo a Mondonio. {107 [257]} Il disturbo sarebbe di pochi giorni ... poi sarebbe tutto finito,
tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma, si ricordi della commissione dell'Inghilterra
presso il Papa, preghi affinchè io possa fare una buona morte e a rivederci in paradiso. Addio,
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amati compagni, loro disse, addio tutti: pregate per me e a rivederci colà dove saremo sempre col
Signore. Era già sulla porta del cortile quando lo vedo tornare indietro per dirmi:
- Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria.
- Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull'istante. Vuoi un libro?
- No: qualche cosa di meglio.
- Vuoi danaro pel viaggio?
- Si appunto: danaro pel viaggio dell'eternità; ella ha detto che ha ottenuto dal Papa
alcune indulgenze plenarie in articolo di morte, metta anche me nel numero di quelli che ne
possono partecipare.
- Si, mio figlio, tu puoi ancora essere compreso in quel numero e vo subito a scrivere il
tuo nome in quella carta.
Dopo di che egli lasciava l'Oratorio dove era stato circa tre anni con tanto piacere {108
[258]} per sè, con tanta edificazione de' suoi compagni e de' medesimi suoi superiori e lo
lasciava per non ritornarvi mai più.
Noi eravamo tutti maravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sapevamo che egli pativa molti
incomodi di salute, ma poichè si teneva quasi sempre fuori di letto non facevamo gran caso della
sua malattia. Di più avendo un'aria costantemente allegra, niuno dal volto poteva scorgere, che
egli patisse malori di corpo o di spirito. Onde sebbene quegli insoliti saluti ci avessero posti in
afflizione, avevamo però speranza di vederlo presto a ritornare fra noi. Ma non era così, egli era
maturo pel cielo; nel breve corso di vita erasì già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse
vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a se per
liberarlo da' pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone. {109 [259]}
Capo XXIII. Andamento di sua malattia. - Ultima confessione, riceve il
Viatico. - Fatti edificanti.
Partiva il nostro Domenico da Torino il primo di marzo alle due pomeridiane in
compagnia di suo padre, e il suo viaggio fu buono, anzi pareva che la vettura, la varietà de' paesi,
la compagnia de' parenti gli avessero fatto del bene. Onde giunto a casa per quattro giorni non si
pose a letto. Ma veduto che gli si diminuivano le forze e l'appetito, e che la tosse si mostrava
ognor più forte fu giudicato bene di mandarlo a farsi visitare dal medico. Questi trovò il male
assai più grave che non appariva. Comandò che andasse a casa e si mettesse tosto a letto e
giudicando che fosse malattia d'infiammazione fece uso dei salassi.
È proprio dell' età giovanile il provar grande apprensione pei salassi. Perciò il chirurgo
nell'atto di cominciare l'operazione esortava Domenico alla pazienza ed al coraggio. Egli si pose
a ridere e disse: {110 [260]} che è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle
mani e nei piedi dell'innocentissimo nostro Salvatore? Quindi con tutta pacatezza d'animo
faceziando e senza dar segno del minimo turbamento mirava il sangue ad uscire dalle vene in
tutto il tempo dell' operazione. Fatti alcuni salassi, la malattia sembrava volgere in meglio, cosi
assicuravi il medico, cosi credevano i parenti: ma Domenico giudicava altrimenti. Guidate dal
pensiero che e meglio prevenire i sacramenti, che perdere i sacramenti, chiamò suo padre: papà!
gli disse, è bene che facciamo un consulto col Medico Celeste. Io desidero di confessarmi e di
ricevere la santa comunione.
I genitori che eziandio giudicavano la malattia in istato di miglioramento sentirono con
pena tale proposta, e solo per compiacerlo fu mandato a chiamare il Prevosto, che lo venisse a
confessare. Venne questi prontamente per la confessione, poscia, sempre per compiacerlo, gli
portò il Santo Viatico. Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento siasi
comunicato. Tutte le volte che nel corso della vita si accostava ai santi sacramenti {111 [261]}
sembrava sempre un S. Luigi. Ora che egli giudicava essere realmente quella l'ultima comunione
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della sua vita, chi potrebbe esprimere il fervore, gli slanci di teneri affetti che da quell'innocente
cuore uscirono verso l'amato suo Gesù!
Richiamò allora alla memoria le promesse fatte nella prima comunione. Disse più volte:
si, sì, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell'anima mia. Ripeto e lo dico mille
volle: morire, ma non peccati. Terminato il ringraziamento, tutto tranquillo disse: Ora sono
contento, è vero che debbo fare il lungo viaggio dell' eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho
nulla a temere. Oh! dite pur sempre, ditelo a tutti: chi ha Gesù per suo amico e compagno non
teme più alcun male, nemmeno la morte.
La sua pazienza fu esemplare in tutti gl'incomodi sofferti nel corso della vita; ma in
questa ultima malattia egli apparve un vero modello di santità.
Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinarii bisogni. Finchè potrò, diceva, voglio
diminuire il disturbo a' miei cari genitori; essi hanno già tollerati tanti incomodi e tante fatiche
per me, potessi almeno in {112 [262]} qualche modo ricompensarli! Prendeva con indifferenza i
rimedi anche i più disgustosi; si sottomise a dieci salassi senza dimostrare il minimo
risentimento.
Dopo quattro giorni di malattia il medico si rallegrò coll'infermo, e disse ai parenti:
ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto, il male è vinto, abbiamo soltanto
bisogno di fare una giudiziosa convalescenza. Godevano di tali parole i buoni genitori.
Domenico però si pose a ridere e soggiunse: il mondo e vinto, ho soltanto bisogno di fare una
giudiziosa comparsa davanti a Dio. Partito il medico, senza lusingarsi di quanto eragli stato
detto, chiese che gli fosse amministrato il sacramento dell'Olio Santo. Anche quivi i parenti
accondiscesero per compiacerlo, perciocchè nè essi nè il prevosto scorgevano in lui alcun
pericolo prossimo di morte, anzi la serenità del sembiante e la giovialità delle parole il facevano
realmente giudicare in istato di miglioramento. Ma egli o fosse mosso da sentimenti di
devozione, oppure fosse così inspirato da voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che
contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell' aritmetica, {113 [263]}
ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinanzi a Dio. Prima di ricevere
l'Olio Santo fece questa preghiera: Oh Signore, perdonate i miei peccati, io vi amo, vi voglio
amare in eterno. Questo sacramento, che nella vostra infinita misericordia permettete che io
riceva, scancelli dall'anima mia tutti i peccati commessi coll'udito, colla vista, colla bocca, colle
mani o co' piedi, sia il mio corpo e l'anima mia santificata dai meriti della vostra passione: cosi
sia.
Egli rispondeva a ciascuna occorrenza, ma con tale chiarezza di voce e giustezza di
concetti, che noi 1' avremmo detto in perfetto stato di salute.
Eravamo al 9 di marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati
praticati dieci salassi con altri rimedii e le sue forze erano intieramente prostrate, perciò gli fu
data la benedizione papale. Disse egli stesso il confìteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote.
Quando senti a dirsi che con quell'alto religioso il Papa gli compartiva la benedizione apostolica
coll'indulgenza plenaria, provò la più grande consolazione. Deo gratias andava dicendo, et
semper Deo gratias. Quindi si volse al {114 [264]} crocifisso e recitò questi versi che gli erano
molto famigliari nel corso della vita.
Signor, la libertà tutta vi dono,
Ecco le mie potenze, il corpo mio,
Tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio;
E nel vostro voler io m' abbandono.
Capo XXIV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte.
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È verità di fede che l'uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue. Quae
seminaverit homo, haec et metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in
quegli ultimi momenti frutti di consolazione; se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà
desolazione sopra desolazione. Avviene però talvolta che anime buone dopo una santa vita
provino terrore e spavento all'avvicinarsi l'ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili
decreti di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno contratto in
vita e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo. Del nostro Savio non fu
così. Io credo che {115 [265]} Iddio abbia voluto dargli tutto quel centuplo che alle anime dei
giusti egli fa precedere alla gloria del paradiso. Difatto l'innocenza conservata fino all' ultimo
momento di vita, la sua viva fede, le continue preghiere, le lunghe sue penitenze e la vita tutta
seminata di tribolazioni gli meritarono certamente tal conforto in punto di morte.
Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità dell'anima innocente, anzi
sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili
dagli sforzi che naturalmente l'anima deve fare nel rompere i legami del corpo. Insomma la
morte del Savio si può chiamare piuttosto riposo, che morte.
Era la sera del nove marzo, egli aveva già ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica
religione. Chi l'udiva soltanto a parlare e mirava la serenità del volto avrebbe in lui ravvisato chi
giace a letto per riposo. L'aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso,
erano cose che facevano tutti maravigliare e ninno fuori di lui poteva persuadersi che egli si
trovasse in punto di morte.
Un'ora e mezzo prima che tramandasse {116 [266]} l'ultimo respiro il prevosto l'andò a
visitare, e al vederne la tranquillità lo stava con istupore ascoltando a raccomandarsi l'anima.
Egli faceva frequenti e prolungate giaculatorie, che tendevano tutte a manifestare il vivo di lui
desiderio di andare presto al cielo. Quale cosa suggerire per raccomandar l'anima ad agonizzanti
di questa fatta? Dopo aver recitato con lui alcune preghiere il parroco era per uscire, quando
Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto, prima di partire mi lasci qualche ricordo. - Per me,
rispose, non saprei più che ricordo lasciarti. - Qualche ricordo, che mi conforti. - Non saprei dirti
altro se non che ti ricordi della passione del Signore. Deogratias, rispose, la passione di nostro
Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe
e Maria assistetemi in questa ultima agonìa; Gesù Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima
mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz' ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno
sguardo a' suoi parenti: papà, disse, ci siamo.
- Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?
- Mio caro papà, è tempo; prendete {117 [267]} il mio Giovine provveduto5 e leggetemi
le preghiere della buona morte.
A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla camera dell'infermo. Al
padre pure scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano le parole; tuttavia si fece
coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni
parola, ma in fine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di
me. Giunto alle parole: Quando finalmente l'anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la
prima volta lo splendore immortale della vostra maestà; non la rigettate dal vostro cospetto; ma
degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinchè io canti eternamente
le vostre lodi. Ebbene, soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare
eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo {118 [268]} un po' di sonno a
guisa di chi riflette profondamente a cosa di grande importanza. Di li a poco si risvegliò e con
voce chiara e ridente: addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non
posso più ricordarmi ... Oh! che bella cosa io vedo mai ... Così dicendo e ridendo con aria di
paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo
movimento. Va pure, anima fedele al tuo Creatore. Il cielo ti è aperto, gli angioli ed i santi ti
5 Con questo nome indicava un libro totalmente diretto alla gioventù che ha per titolo: Il Giovine Provveduto per la
pratica de' suoi doveri, degli esercizi di cristiana pietà, per la recita dell'uffizio della B. Vergine e de' vespri di tutto
l'anno, ecc.
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hanno preparata una gran festa; quel Gesù che tanto amasti t' invita e ti chiama dicendo: Vieni,
servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni al possesso di un
gaudio che non ti mancherà mai più: intra in gaudium Domini tui.
Capo XXV. Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco a' suoi
allievi.
Quando il padre di Domenico il vide proferir parole nel modo che abbiamo riferito, e poi
piegare il capo come per riposare, {119 [269]} pensavasi realmente che avesse di nuovo preso
sonno. Lo lasciò alcuni istanti in quella posizione, ma testo volle chiamarlo, e si accorse ch'egli
era già fatto cadavere. Lascio ad ognuno immaginare la desolazione de' genitori per la perdita di
un figliuolo sì caro, di un figliuolo che alla innocenza, alla pietà univa i modi più graziosi e più
atti a farsi amare!
Noi pure quivi nella casa dell'Oratorio eravamo ansiosi di avere notizie di questo
venerato amico e compagno, quando ricevo dal padre di lui una lettera che incominciava così:
Colle lacrime agli occhi le annunzio la più trista novella: il mio caro figliuolo Domenico, di lei
discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga, rese l'anima al Signore ieri sera 9 del
corrente mese di marzo dopo di aver nel modo più consolante ricevuto i santi sacramenti e la
benedizione papale.
Tal notizia pose in costernazione i suoi compagni. Chi piangeva in lui la perdita di un
amico, di un consigliere fedele; chi sospirava d'aver perduto un modello di vera pietà. Alcuni si
radunarono a pregare pel riposo dell'anima di lui. Ma il maggior numero andavano dicendo: egli
era {120 [270]} santo, ora è già in paradiso. Altri cominciarono a raccomandarsi a lui come ad
un protettore presso Dio. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse
appartenuto a lui.
Recata tale notizia al prof. D. Picco, ne fu profondamente addolorato. Come furono
radunati i suoi alunni tutto commosso partecipava loro tale tristo annunzio con queste parole:
«Non è molto tempo, o giovani carissimi, che parlandovi a caso della caducità della vita
umana, vi faceva osservare come la morte non risparmia talvolta anche la vostra florida età, e per
esempio vi adduceva, come or sono due anni, in questi medesimi giorni frequentava questa
medesima scuola, sedeva qui presente ad ascoltarmi un giovane pieno di vita e di vigore, il quale
dopo l'assenza di pochi giorni passava da questa vita dai parenti e dagli amici compianto6.
Quando tal deplorabile caso io vi rammentava era ben lungi dal pensare che il presente anno
{121 [271]} avesse ad essere funestato da un somigliante duolo, e che tale esempio si avesse a
rinnovare si presto in uno di quelli stessi che mi ascoltavano. Sì, miei cari; io debbo
amareggiarvi con una dolorosa nuova. La falce della morte mieteva ieri l' altro la vita di uno tra i
più virtuosi vostri compagni, del buon giovinetto Domenico Savio. Voi forse vi ricorderete,
come negli ultimi giorni, in cui frequentò la scuola, si mostrasse tormentato da una tosse
maligna, che già mi faceva presagire una seria malattia, onde nessuno di noi si stupì quando
udimmo, che era stato da quella obbligato ad assentarsi dalla scuola. Per meglio curare il suo
morbo, e già prevedendo, come replicatamente disse ad alcuni, il suo prossimo fine, egli secondò
il consiglio de' medici e de' suoi superiori e andò in seno della famiglia. Quivi la violenza del
male si sviluppò oltremodo e dopo soli quattro giorni di malattia reso l'innocente suo spirito al
Creatore.
Io lessi ieri la lettera, con cui il desolato genitore dava la dolorosa nuova, e questa nella
sua semplicità faceva tale pittura della santa morte di quell' angolo, che mi commosse fino alle
lacrime. Egli {122 [272]} non trova espressioni più acconcie a lodare l'amato suo figliuolo che
col chiamarlo un altro S. Luigi Gonzaga, sì nella santità della vita come nella beata
rassegnazione della morte. Io vi assicuro che assai mi duole, che egli abbia frequentato si poco la
6 Leone Cocchis studente di 2a Retorica, giovanetto di belle speranze morto il 25 marzo 1855 in età di 15 anni.
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mia scuola, e che in questo breve tempo la sua poca sanità non mi abbia permesso di conoscerlo
e praticarlo più che si può fare in una scuola alquanto numerosa. Perciò io lascio a' suoi superiori
il dirvi quale fosse la santità dei suoi sentimenti, quale il suo fervore nella divozione e nella
pietà, lascio a' suoi compagni ed amici, che quotidianamente lo avevano seco e con lui
domesticamente conversavano, il dirvi la modestia de' suoi costumi e di ogni suo portamento, la
severità de' suoi discorsi; lascio a' suoi parenti il dirvi quale fosse la sua obbedienza, il suo
rispetto, la sua docilità. E che potrò io ricordarvi che a tutti voi non sia già noto? Io altro non dirò
se non che sempre si rese commendevole pel suo contegno e per la sua tranquillità nella scuola,
per la sua diligenza ed esattezza nell'adempimento di ogni suo dovere, e per la sua continua
attenzione a' miei insegnamenti, che io sarei {123 [273]} beato se ognuno di voi si proponesse di
seguirne il santo esempio.
Prima ancora che l'età e gli stadi gli permettessero di frequentare la nostra scuola,
essendo egli da tre anni annoverato tra quelli che hanno ricetto ed istruzione presso l'Oratorio di
S. Francesco di Sales, io ne aveva più volte udito a fare parola dal direttore di quell'Oratorio, e lo
aveva udito ad encomiare come uno tra i più studiosi e virtuosi giovani di quella casa; tale era il
suo ardore nello studio, tale il rapido progresso che aveva fatto nelle primo scuole di latinità;
onde sommo era il mio desiderio di porlo nel numero de' miei allievi e grande era l'aspettazione
che io aveva della felicità del suo ingegno. E prima di averlo in iscuola già l'aveva annunziato ad
alcuno de' miei allievi come un emulo con cui bello sarebbe il gareggiare non meno nello studio
che nella virtù. E nelle frequenti mie visite all'Oratorio scorgendo in lui una fisonomia sì dolce,
quale voi sapete essere stata la sua, scorgendo quel suo sguardo sì innocenta, mai nol vedeva che
non mi sentissi tratto ad amarlo e ad ammirarlo. Alle belle speranze, che io ne aveva concepite,
certamente egli non {124 [274]} venne meno allorchè nel presente anno scolastico prese a
frequentare la mia scuola. A voi mi appello, giovani dilettissimi, che siete stati testimonii del suo
raccoglimento e della sua applicazione non solamente nel tempo che il dovere lo chiamava ad
ascoltarmi, ma in quello eziandio, il quale per lo più non si fanno scrupolo di perdere molti
giovanetti che non sono privi di docilità e diligenza. A voi mi appello, che gli eravate compagni
non solo nella scuola, ma pur anche negli usi domestici della vita, se mai lo avete veduto a far
cosa che lo mostrasse dimentico di alcuno de' suoi doveri.
Parmi ancora di vederlo, quando con quella modestia, che era tutta sua propria, entrava
nella scuola, prendeva il suo luogo e in tutto il tempo dell'ingresso lungi dal vano cicaleccio
consueto dei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si
tratteneva in qualche utile lettura; e quindi cominciata la scuola con quale applicazione io vedeva
quel suo angelico volto pendere dalle mie parole! Eppercio non fa maraviglia se non ostante la
sua tenera età e la sua poca salute fosse grandissimo il profitto {125 [275]} che col suo ingegno
dagli studi ricavava. E prova ne sia che in un considerevole numero di giovani, la maggior parte
di più che mediocre ingegno, benchè già covasse in seno la malattia, che alfine lo trasse alla
tomba, e fosse perciò obbligato a frequenti assenze, tuttavia egli tenne quasi sempre i primi posti
della sua classe. Ma una cosa destava in modo affatto particolare la mia attenzione, e traeva a sè
la mia ammirazione, ed era il vedere, come quella giovanetta sua mente si mostrasse unita con
Dio, ed affettuosa e fervida nelle preghiere. Ella è cosa consueta anche nei giovani meno
dissipati, che tratti dalla naturale vivacità e dalle distrazioni, a cui va soggetta questa fervida
vostra età, pochissima riflessione facciano al senso delle orazioni, cui sono invitati a recitare e
quasi con nessuno affetto del cuore li accompagnino. Onde avviene che in gran parte di essi
niente altro vi ha che le labbra e la voce. Ora se così abituale è la distrazione della gioventù
anche nelle preghiere che indirizzano al Signore nel silenzio e nella tranquillità delle chiese,
oppure nella solitudine delle proprie celle, nelle quotidiane orazioni, voi, o giovani, {126 [276]}
lo sapete quanto questo avvenga più facilmente in quelle brevissime preghiere che sogliono dirsi
prima e dopo le lezioni della scuola. Ed è appunto in queste che mi fu dato di ammirare il fervore
del nostro Domenico alla pietà, e 1' unione dell' anima sua con Dio. Quante volte io l'osservai
con quel suo sguardo rivolto al cielo, al cielo che sì presto doveva essere la sua dimora,
raccogliere tutti i suoi sentimenti, e con quell'atto offrirli al Signore ed alla Beatissima sua
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madre, con quella pienezza di affetti, che appunto richiedono le recitate preghiere! E questi
sentimenti, o amatissimi giovani, erano poi quelli, che animavano i suoi pensieri nel compiere
ogni suo dovere, erano quelli, che ogni suo atto, ogni sua parola santificavano, che tutta la sua
vita interamente dirigevano alla gloria di Dio. O beati quei giovani che a tali concetti s'inspirano!
Faranno la loro felicità in questa vita e nell'altra, e beati renderanno i parenti, che li educano, i
maestri, che li istruiscono, tutte le persone che si occupano del loro bene.
Dilettissimi giovani, la vita è un dono preziosissimo, che Iddio ci fece, per darci il mezzo
di acquistarci dei meriti pel cielo, {127 [277]} e cosi sarà se tutto quello che noi facciamo è tale,
che offerirsi possa a quel supremo Donatore, come appunto faceva il nostro Domenico. Ma che
direm noi di quel giovane, che passa tutta intera la vita dimentico affatto del fine a cui Dio lo ha
destinato, che mai non trova un momento, in cui pensi a dedicare i suoi affetti al Creatore, che
pel suo cuore non dà mai luogo ad alcuna aspirazione che lo sollevi verso il suo Dio? Inoltre che
diremo di quel giovane che fa quanto sta in lui per tenere da sè lontani simili sentimenti, o per
combatterli e soffocarli, se li sente vicini a penetrare nel suo cuore? Deh riflettete alquanto sulla
santa vita e sul santo fine del carissimo vostro compagno sulla invidiabile sorte, di cui possiamo
avere fiducia che egli goda; e quindi ritornando col pensiero su di voi stessi esaminate che cosa
ancora vi manchi per somigliargli e quali voi essere vorreste, se al par di lui vi trovaste sul punto
di dovervi presentare a quel tribunale ove Dio chiederà a tutti stretto conto di ogni più leggiero
mancamento. Quindi se a tale confronto voi ritrovate che grande sia la differenza, proponetevelo
per esempio, imitatene le cristiane virtù, disponete l'anima vostra ad essere come {128 [278]} la
sua, pura e monda agli occhi di Dio, acciocchè all'improvvisa chiamata, la quale
immancabilmente o tosto o tardi dovrà udirsi da tutti noi, le possiamo rispondere coll'ilarità sul
volto, col sorriso sulle labbra, come fece l'angelico vostro condiscepolo. Ascoltate ancora un mio
voto, con cui io conchiudo queste mie parole. Se io mi accorgerò che i miei allievi diano luogo
nella loro condotta ad un notevole miglioramento, se li vedrò d'or innanzi più esalti nei loro
doveri, e più compresi dell'importanza di una vera pietà, lo crederò effetto del santo esempio del
nostro Domenico e lo riguarderò quale grazia di lassù impetrata dalle sue preghiere in premio di
essergli stati per breve tempo voi compagni ed io maestro.»
Così il professore D. Picco esponeva ai suoi allievi la profonda e dolorosa sensazione
provata all'annunzio della morte del caro suo alunno Savio Domenico. {129 [279]}
Capo XXVI. Emulazione per le virtù del Savio - Molti si raccomandano
a lui per ottenere celesti fàvori e ne sono esauditi - Un ricordo per
tutti.
Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto intorno al giovinetto Savio Domenico, non
si maraviglierà che Dio siasi degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di
lui in molte guise. Mentre egli ancora viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i
consigli, gli esempì ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla
santità della vita, dall'innocenza de' suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si
raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli
era ancora nella vita mortale. Ma dopo morte crebbe assai verso di lui la confidenza e la
venerazione.
Appena giunse tra di noi la notizia di sua morte, parecchi suoi compagni lo andavano
proclamando per santo. Si radunarono {130 [280]} essi per recitare le Litanie per un defunto; ma
invece di rispondere ora prò eo, cioè Santa Maria, pregate pel riposo dell'anima di lui, non
pochi rispondeano: ora pro nobis: Santa Maria, pregate per noi. Perchè, dicevano, a quest'ora
Savio gode già la gloria del Paradiso, e non ha più bisogno delle nostre preghiere.
Altri poi soggiungevano; se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio che
tenne una vita così pura e cosi santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare? Laonde fin d'allora
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diversi amici e compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo modello nel
bene operare e cominciarono a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.
Quivi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l'anima. Io ho
veduto un giovane che pativa un mal di dente che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo
compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull'istante, e finora non andò più soggetto a
questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono
esauditi. Io fui testimonio di uno che istantaneamente ottenne la grazia di essere {131 [281]}
liberato di gagliarda febbre7. Ho sott'occhio molte relazioni di persone che espongono celesti
favori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbene il carattere e l'autorità delle
persone che depongono tali fatti siano per ogni lato {132 [282]} degne di fede, tuttavia essendo
esse ancora viventi, stimo meglio di ommetterli per ora e contentarmi di riferire, una grazia
speciale ottenuta pochi giorni sono da uno studente di filosofia, compagno di scuola di
Domenico. L'anno passato questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu
così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, soggettarsi a molte cure, e in fine
dell'anno non gli fu più possibile di subire l'esame. Stavagli molto a cuore di potersi almeno
preparare per l'esame di Tutti i Santi, perciocchè in tal guisa avrebbe impedito la perdita di un
anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano ognor più
scemande. Andò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora {133 [283]} con amici
in campagna, e già parevagli di avere alquanto migliorato nella sanità. Ma giunto in Torino e
postosi per poco tempo a studiare egli ricadde peggio di prima. «Io era vicino agli esami, egli
depone, e la mia salute trovavasi in deplorabile stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano
ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza.
Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch'io a lui
raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che
mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna
mi fosti condiscepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per primeggiare nella
nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Impetrami adunque, ti prego,
dal Signore un po' di salute, affinchè io mi possa preparare.
Non era ancora compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a
fare così notevole e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare e con insolita
facilità imparare le materie {134 [284]} prescritte e prendere benissimo il desiderato esame. La
grazia poi non fu di un momento: imperciocchè attualmente io mi trovo in uno stato regolare di
salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per
intercessione di questo mio compagno, mio familiare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode
la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazie fu ottenuta, e la mia sanità continua ad
essere la medesima con grande mia consolazione e vantaggio.»
Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare
altri fatti quando il tempo farà conoscere che possano tornare a maggior gloria di Dio e
7 Tale venerazione e confidenza nel giovane Savio crebbe grandemente da che fu ivi fatto un curioso racconto dal
genitore di Domenico, che è pronto a confermare la sua asserzione in qualunque luogo e in presenza di qualunque
persona. Egli espose la cosa così:
«La perdita di quel mio figliuolo, egli dice, mi fu causa di profondissima afflizione che si andava
fomentando dal desiderio di sapere che fosse avvenuto di lui nell'altra vita. Dio mi ha voluto consolare. Circa un
mese dopo la sua morte, una notte, dopo essere stato lungo tempo senza poter prendere sonno, mi parve di vedere a
spalancarsi il soffitto della camera in cui dormiva, ed ecco in mezzo ad una gran luce comparirmi Domenico con
volto ridente e giulivo, ma con un aspetto maestoso ed imponente. A tale sorprendente spettacolo io sono rimasto
fuori di me. O Domenico! mi posi ad esclamare: Domenico mio! come va? Dove sei? Sei già in Paradiso? Sì padre,
rispose, io sono veramente al Paradiso. Deh! io replicai, se Iddio ti ha fatto tanto favore di poter andar a godere la
felicità del cielo, prega pe' tuoi fratelli e sorelle, affinchè possano un giorno venir con te. Sì, sì, padre, rispose,
pregherò Dio per loro affinchè possano un giorno venir con me a godere l'immensa felicità del Cielo. Prega anche
per me, replicai, prega per tua madre, affinchè possiamo tutti salvarci e trovarci un giorno insieme in Paradiso. Sì, sì,
pregherò. Ciò detto disparve, e la camera tornò nell'oscurità come prima.»
Il padre assicura, che depone semplicemente la verità, e dice che nè prima nè dopo, nè vegliando nè
dormendo, ebbe ad essere consolato di simigliante apparizione.
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
vantaggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacchè fosti benevolo di leggero quanto fu scritto di
questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera
utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci
adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili
col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed
innocente, cui fu {135 [285]} corona una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo
non dubbia caparra di essergli simile nella preziosa morte.
Ma non manchiamo d'imitare il Savio nella frequenza del Sacramento della confessione
che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un
termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e colle dovute disposizioni a questo
bagno di salute nel corso della vita; ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non
manchiamo di volger un pensiero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben
fatte, e se ne scorgiam il bisogno, rimediamo ai difetti che per avventura ci fossero occorsi. A me
sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della
vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E
allora colla ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro al nostro Signore Gesù Cristo,
che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci siccome
spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità per lodarlo e
benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia. {136 [286]}
Protestatio auctoris.
Cum SS. D. N. Urbanus VIII. l'ontifex die 13 martii 1625 decretum ediderit, illudque die
15 julii 1634 confirmaverit, quo prohibuit imprimi libros hominum, qui sanctitatis vel martyrii
fama celebres e vita migraverint, gesta, miracula, revelationes, seu quæumque beneficia,
tanquam eorum intercessionibus a Deo accepia continentes, sine recognitione atque
approbatione Ordinarii, et quae hactenus sine ea impressa sunt, nullo modo vult censeri
approbata; et cum idem SS. D. N. Urbanus Papa VIII {137 [287]} die 5 junii anno 1641 ila
explicaverit, ut nimirum non admittantur elogia Sancti, vel Beati absolute, et quæ ad viros
spectant tantummodo; sed ea, quæ ad mores et opiniones spectant cum protestatione, iis nullam
adesse auctoritatem ab Ecclesia Romana; sed fidem tantum esse penes Auctorem: huic decreto,
eiusque confìrmationi et declarationi observantia ed reverentia, qua par est, insistendo,
profiteor me haud alio sensu, quidquid in hoc parvo volumine refero, accipere aut accipi ab ullo
velle, quam quo ea solent, quæ humana dumtaxat auctoritate, non autem divina catholicæ
Romana; Ecclesiæ, aut Sanctæ Sedis Apostolicæ nituntur. {138 [288]}
Indice
Estratto di lettera Pastorale di Mons. Giovanni Antonio Gianotti Arciv.
e Vescovo di Saluzzo, ai venerandi Paroci della sua Diocesi in favore
delle Letture Cattoliche
Introduzione
Capo I Patria - indole di questo giovane - suoi primi atti di virtù
Capo II. Morale condotta tenuta in Murialdo - Bei tratti di virtù -
Frequenza della scuola di quella borgata
Capo III. E ammesso alla prima comunione - Apparecchio -
Racoglimento e ricordi di quel giorno
Capo IV. Scuola di Castelnuovo d'Asti - Episodio edificante - Saggia
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Don Bosco - Vita del giovanetto Savio Domenico
risposta ad un cattivo consiglio Pag.
Capo V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti - Parole del
suo maestro
Capo VI. Scuola di Mondonio - Sopporta una grave ingiuria
Capo VII. Prima conoscenza fatta di lui - Curiosi episodi in questa
congiuntura
Capo VIII. Viene all'Oratorio di San Francesco di Sales - Suo primo
tenor di vita ivi cominciato
Capo IX. Studio di latinità - Curiosi incidenti - Contegno nella scuola -
Impedisce una rissa
Capo X. Sua deliberazione di farsi santo
Capo XI. Suo zelo per la salute delle anime
Capo XII. Episodii e belle maniere di conversare coi compagni
CAPO XIII. Suo spirito di preghiera - Divozione verso la Madre di Dio
- Il mese di Maria.
Capo XIV. Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e
comunione
Capo XV. Sue penitenze
Capo XVI. La Compagnia dell'Immacolata Concezione
Capo XVII. Sue amicizie particolari - Sue relazioni col giovane Gavio
Camillo
Capo XVIII. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni
Capo XIX. Grazie speciali e fatti particolari
Capo XX. Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir
santamente
Capo XXI. Sua sollecitudine per gli ammalati - Lascia l'Oratorio - Sue
parole in tale occasione
CAPO XXII. Dà l'addio ai suoi compagni
Capo XXIII. Andamento di sua malattia - Ultima confessione, riceve il
Viatico - Fatti edificanti
Capo XXIV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte
Capo XXV. Annunzio di sua morte - Parole del prof. D. Picco ai suoi
allievi
Capo XXVI. Emulazione per le virtù del Savio - Molti si raccomandano
a lui per ottenere celesti favori e ne sono esauditi – Un ricordo per tutti
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