Come missionario ho imparato che le sofferenze
sono un segno della predilezion di Dio
Q uando avevo 8 anni, dopo averci mostrato un documentario sui bam-
bini poveri in Africa, il nostro insegnante ci ha chiesto: “Che cosa
possiamo fare per aiutare i bambini neri malnutriti che abbiamo vi-
sto?” “Beh” ho detto “possiamo raccogliere carte usate, rottami di
ferro, e vecchi vestiti per venderli, e inviare il denaro per i missionari”.
“Molto bene, Angelo!” Il mio maestro mi rispose: “ma il migliore modo per
aiutare le missioni è di andarci come missionario!” Era un ‘fulmine’, che mi colpì duro! Senza dare un secon-
do pensiero mi dissi: “Voglio essere un missionario!” Non sapevo nulla dell’essere sacerdote, né religioso.
Per me un missionario era uno che viaggia molto per entrare nella giungla, si difende contro gli animali sel-
vatici e, naturalmente, costruisce cappelle e battezza un sacco di gente.
Più tardi il mio parroco mi ha indirizzato all’aspirantato missiona-
rio salesiano ad Ivrea e a 17 anni fui inviato come missionario in Thailan-
dia, dove ho lavorato per 22 anni. Ho compiuto la sfida della mia infanzia
quando, in risposta all'appello del Rettor Maggiore per avviare il Progetto
Africa, mi sono offerto di andare nel 1981. L'anno successivo sono arriva-
to a Mekele, Etiopia. Due anni dopo, nel 1984-85, ho vissuto la grande
carestia, durante la quale 1,4 milioni di persone sono morte di fame e di
malattia. Ho lavorato con due confratelli coadiutori salesiani, il Sig. Cesa-
re Bullo e il Sig. Joseph Reza, che hanno guidato tutta l’operazione di
soccorso e di reinsediamento dopo la tragedia (immortalata dalla canzone
“We are the World, we are the children”).
Nel 1996 sono stato mandato ad avviare una nuova presenza salesiana in Eritrea, dove ora abbiamo
tre comunità salesiane. Nel 2008 sono stato espulso dall'Eritrea, insieme ad altri 22 missionari. Da allora ho
lavorato in Etiopia con i bambini di strada a Bosco Children Centre. Li incontriamo durante la notte per le
strade umide di Addis Ababa, e li accogliamo in modo che in tre anni possano andare a scuola o possano im-
parare un mestiere ed essere reintegrati nelle loro famiglie.
Anche se qui la gente qui mi chiama affettuosamente Abba Melaku, per me è una grande sfida espri-
mermi bene nella nuova lingua che ho imparato. Anche se devo accettare umilmente di “balbettare” in una
lingua che non padroneggio perfettamente, mi sono reso conto che potrei portare ancora più frutti apostolici
se la mia vita personale diventasse sempre più una testimonianza credibile di carità e di fede.
Quello che mi dà la gioia più grande nei miei 55 anni di vita missionaria non è solo essere stato in gra-
do di salvare le persone povere e indigenti, soprattutto i bambini, da morte sicura durante la carestia, ma,
ironicamente, di aver sperimentato personalmente la tremenda sofferenza quando i banditi mi hanno spara-
to, derubato e lasciato solo con una gamba rotta in mezzo al nulla. Il mio gesto istintivo iniziale di ribellione
(“Perché me, Signore, se sto lavorando per te?”) è stato trasformato in una esperienza di grande pace e una
gioia profonda attraverso la realizzazione che sono stato ‘scelto per soffrire con Cristo’. Ricordo le parole
che Madre Teresa di Calcutta mi ha scritto quando ha saputo che mi avevano sparato: “Coraggio, Don Ange-
lo! Le sofferenze sono un segno di predilezione di Dio”!
Infine, vorrei incoraggiare coloro che sentono la chiamata del Signore a essere missionari, con le pa-
role di Eli a Samuele: “se ti chiamerà, dirai: ‘Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta!’” E poi avere il
coraggio di rispondere : “Eccomi Signore, manda me!”
D. Angelo Regazzo
Italiano, missionario in Etiopia
Intenzione Missionaria Salesiana
Per il primo annuncio nella Regione Europa Centro e Nord
Perché i Salesiani nell’Europa Nord sappiano promuovere il primo annuncio
attuando i valori evangelici in un conteso secolarizzato.
In ‘Ecclesia in Europa’ n. 46, San Giovanni Paolo II scrisse: “In varie parti d'Europa c'è biso-
gno di un primo annuncio del Vangelo: cresce il numero delle persone non battezzate, sia
per la notevole presenza di immigrati appartenenti ad altre religioni, sia perché anche
figli di famiglie di tradizione cristiana non hanno ricevuto il Battesimo o a causa della do-
minazione comunista o a causa di una diffusa indifferenza religiosa. ... Anche nel
‘vecchio’ Continente vi sono estese aree sociali e culturali in cui si rende necessaria una
vera e propria missio ad gentes”.