“Essere missionario è regalo del cielo”
S ono nato a Madrid nel 1930, in una fervente famiglia cristiana. Nella
quaresima del 1945 ho trovato un libro intitolato "Volontari". Erano
racconti missionari e alcune pagine di spiegazione sulla vocazione. Ho
iniziato a leggere il libro per curiosità e subito ne sono rimasto affascinato.
Mi si aprirono orizzonti insospettati, pieni di fascino, e ho scoperto il valore
della vita offerta per seguire Gesù e diffondere il suo Vangelo. Dopo ciò,
frequentando la cappella della scuola e in ginocchio vicino al Tabernacolo,
pensavo a quando Gesù disse agli apostoli: "Vieni e seguimi", e anche a
quando san Francesco Saverio morì, all'età di 43 anni, dopo aver predicato il Vangelo.
Nel noviziato ho scritto la mia domanda per andare in missione. Il giorno dopo la mia
Pro-
fessione Religiosa, l'Ispettore ha letto i nomi di quelli inviati alle Missioni. Dei 63 neo-professi, 32
andarono in Sud America. Il mio nome non era tra questi. Ero triste, ma l'Ispettore ha detto: "E quest'anno,
quattro dei neo-professi andranno in Giappone" e lesse i nomi. Il terzo nome era il mio. Ero stordito. Quando
lasciai la sala da pranzo, andai dritto in cappella e iniziai a piangere d’emozione.
Sono arrivato in Giappone nel gennaio 1950. L'obbedienza mi ha poi mandato in Corea, dove sono arrivato il
venerdì 30 marzo 1962 per aiutare come vice-parroco nella periferia di Seoul, nella parrocchia di San Giovanni
Bosco. Quel pomeriggio i cristiani fecero la Via Crucis. Uomini in ginocchio sul pavimento di legno a destra, don-
ne a sinistra, lasciando un corridoio nel centro della chiesa. Dopo la Via Crucis, molte persone sono rimaste in
chiesa per le preghiere della notte. La mattina successiva, dopo la messa, molte persone hanno continuato a
pregare e abbiamo meditato con loro, seduti sul pavimento.
I primi giorni furono difficili, ma pian piano mi resi conto che tutto era stato un regalo dal Cielo. I cristiani ci
davano un esempio di preghiera nella chiesa, stando seduti sul pavimento vicino al tabernacolo. E ci hanno anche
aiutato a vivere condividendo nella povertà, con pazienza, speranza e gioia. Loro ci hanno amato molto. Una
delle grandi sfide che ho incontrato è stata la lingua. Avevo già imparato il giapponese e ora dovevo iniziare con
il coreano, che era più complesso. Un'altra sfida è che al momento i cattolici sono solo il 10% della popolazione.
Inoltre, fa male vedere, ancora, la Corea divisa in due nazioni separate.
Le più grandi gioie che ho sperimentato sono state i battesimi dei catecumeni e le professioni religiose dei novizi.
Altro motivo di gioia è vedere che la Corea era una nazione molto povera, e ora, grazie al lavoro e all'organizza-
zione che i coreani hanno nella loro cultura, è, invece, una nazione dove regna l'ordine, il progresso e uno stan-
dard di vita dignitoso, e ognuno ha la mentalità di condividere le ricchezze aiutando le altre nazioni più povere.
Ai giovani che desiderano offrire se stessi per essere missionari, ricordo loro che alla base della nostra vita di
preghiera personale, della vita gioiosa in Comunità e di tutte le nostre attività, è l'Amore di Gesù, veramente
presente nella Santissima Eucaristia. Dobbiamo visitare il Santissimo Sacramento ogni giorno. Inoltre, con
gratitudine, coltiviamo la devozione alla Vergine e preghiamo il Rosario, come ci insegna Don Bosco.
Cerchiamo di vivere con cuore aperto sempre ai buoni esempi e alle lezioni degli altri, in particolare dei poveri.
Una volta un povero, che si chiamava Matteo ed era un vecchio cristiano, mi chiese su come avrei fatto per
riassumere il Vangelo in poche parole. Ho subito iniziato a spiegare, riassumendo alcuni elementi essenziali. Il
buon Matteo mi ascoltò con pazienza finché alla fine disse: "Non ti pare che sei stato un po’ 'lungo? E io gli
dissi: "Bene, allora, come lo spieghi in meno parole? E Matteo disse: "Per me il Vangelo è questo: "Se qualcuno ti
schiaffeggia sulla guancia destra, presentagli la sinistra ".
José María Blanco,
missionario spagnolo in Corea
Testimonianza di santità missionaria salesiana
Don Pierluigi Cameroni SDB, Postulatore Generale per le Cause dei Santi
Il Beato Zeffirino Namuncurà (1886-1905) incarnò in sé le sofferenze, le angosce e le
aspirazioni della sua gente Mapuce, quella stessa gente che nell’arco degli anni della sua
adolescenza ha incontrato il Vangelo e si è aperta al dono della fede sotto la guida di saggi
educatori salesiani. C’è un’espressione che raccoglie tutto il suo programma di vita:
“Voglio studiare per essere utile al mio popolo”. Infatti Zeffirino voleva studiare, essere
sacerdote e ritornare alla sua gente per contribuire alla crescita culturale e spirituale del
suo popolo, come aveva visto fare dai primi missionari salesiani.
Affinché le reti sociali favoriscano
la solidarietà e il rispetto
dell’altro nella sua differenza.
Intenzione Missionaria Salesiana
Perché le presenze salesiane siano “case” dove ognuno si senta accolto e
rispettato nella sua originalità e dove si possa scoprire la gioia della
Buona Nuova.
Ogni volta di più le nostre presenze si trovano in contesti plurali dal ponto di vista
sociale, culturale e religioso. La nostra missione ci spinge, anche mediante le Tecniche
delle Informazioni (TI) e le Reti Sociali, a una rispettosa accoglienza a una gioiosa
testimonianza e annuncio della Buona Nuova.