MISTICA DEL CARISMA:
DA MIHI ANIMAS
All’inizio della sua Lettera di Convocazione per il CG 26, il Rettor Maggiore scrive: “È da tempo che ho maturato la convinzione che la Congregazione oggi ha bisogno di risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione del ‘Da mihi animas’” (ACG 394, p. 6). Questo sarà il centro della nostra riflessione.
1. “Da mihi animas”: mistica e ascesi salesiane
Un po’ più avanti, nella stessa lettera, D. Pascual ci ricorda un testo rilevante della nostra Tradizione salesiana:
“Il motto di Don Bosco é la sintesi della mistica e dell’ascetica salesiana, come viene espressa nel ‘sogno dei dieci diamanti’. Qui si intersecano due prospettive complementari: quella del volto visibile del salesiano, che manifesta la sua audacia, il suo coraggio, la sua fede, la sua speranza, la sua consegna totale alla missione, e quella del suo cuore nascosto di consacrato, la cui nervatura è costituita dalle convinzioni profonde che lo portano a seguire Gesù nel suo stile di vita obbediente, povero e casto” (ACG 394, p. 7); “la ragione del suo instancabile operare per ‘la gloria di Dio e la salvezza delle anime’”( ACG 394, p. 6).
Pur distinguendo le due parti del motto, preso dalla Sacra Scrittura (Gn 14, 21; non entriamo qui in discussioni esegetiche), conviene non separarli: la mistica e l’ascesi non possono non intendersi insieme. Ricordiamo l’immagine che, a questo riguardo, presenta il documento sulla vita fraterna in comunità: “la comunità, senza mistica (comunione) non ha anima, ma senza ascesi (vita comune) non ha corpo” (n. 23). Riprenderemo poi questo rapporto tra mistica ed ascesi nella loro unione più piena, che diventa anche il loro autentico punto di partenza: l’amore.
In primo luogo, dal punto di vista formale, questo motto è una preghiera. “Proprio perché preghiera, essa fa comprendere che la missione non coincide con le iniziative e le attività pastorali. La missione é dono di Dio, più che compito apostolico; la sua realizzazione é preghiera in atto” (ACG 394, p. 6). Ricordiamo, inoltre, le espressioni di Gesù, nel discorso sul Pane della Vita: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato (...) Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio” (Jn 6, 44.65). In questo senso, é una preghiera di petizione: chiediamo a Dio che ci consegni i giovani per salvarli. Ci rendiamo conto di quello che osiamo chiedere al Signore, l’enorme responsabilità che implica il nostro motto? Niente di meno che domandare a Lui che ci affidi “questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società” (Cost. 1), i giovani… Siamo all’altezza di questa domanda?
2. “la Gloria di Dio e la Salvezza delle anime”
In fondo: cosa chiediamo a Dio, quando preghiamo: Da mihi animas? Non ci porta questa domanda a una mentalità spiritualista, dicotomica, slegata dalla realtà integrale e storica dei giovani?
Questa obiezione potrebbe aver qualcosa di legittima, ma nel nostro tempo, soprattutto alla luce del lavoro fatto dalla Congregazione nelle diverse parti del mondo, viene smentita nella pratica, diventa puramente teorica. Chiedere al Signore “le anime” è stato inteso da sempre dalla Congregazione come un’espressione metonimica per designare la persona integrale: ogni giovane, e tutti i giovani, nella loro realtà corporeo-spirituale, sono “in potenza” destinatari della nostra Missione. Perciò, il nostro lavoro è essenzialmente educativo pastorale, concretizzando la Missione, che “partecipa a quella della Chiesa che realizza il disegno salvifico di Dio, l’avvento del suo Regno, portando agli uomini il messaggio del Vangelo intimamente unito allo sviluppo dell’ordine temporale” (Cost. 31).
Personalmente, considero che il problema continua ad essere un altro. Detto sinteticamente, e riprendendo il carattere metonimico dell’espressione, la domanda sulla specificità della parola “anima” rimane ancora senza risposta soddisfacente.
E non si avrà mai questa risposta, se dimentichiamo che la promozione integrale, che Don Bosco ha cercato in ogni momento per i suoi giovani, ha come traguardo ultimo e definitivo la loro salvezza. Se non è questa anche la nostra mèta nel lavoro educativo e pastorale, non andremo oltre a l’essere una organizzazione più o meno efficace per lo sviluppo della gioventù, ma in questo caso non saremo più un movimento carismatico, la cui missione non è altra di quella di essere “segni e portatori dell’Amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri” (Cost. 2).
Cercando di esprimere questo in uno schema molto semplificato, direi:
Dannazione eterna
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“espressioni” della dannazione |
SITUAZIONE CONCRETA DEI GIOVANI |
Mediazioni della salvezza
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Salvezza eterna |
Il centro, come è evidente, rappresenta la realtà giovanile attuale; gli estremi corrispondono a una visione cristiana “tradizionalista” della situazione umana di fronte a Dio, come se tutto si “giocasse” soltanto nella salvezza e dannazione eterna; quei testi in corsivo, negli spazi intermedi, esprimono una visione più “attuale” di questa situazione, ma, se diventa esclusiva, rischia di diventare anche escludente, e può avere il pericolo di dimenticare le “realtà ultime”, i “novissimi”. L’insieme corrisponde a una visione integrale, quella sola che anima e fa piena giustizia al nostro lavoro salesiano.
Soltanto quando cerchiamo di “operare per la salvezza della gioventù” (cfr. Cost. 12), il nostro lavoro diventa esperienza di Dio. “La gloria di Dio e la salvezza delle anime furono la passione di Don Bosco. Promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime equivale a conformare la propria volontà a quella di Dio, che comunica Se stesso come Amore, manifestando in questo modo la sua gloria e il suo immenso amore per gli uomini, che vuole siano tutti salvi. In un frammento quasi unico della sua ‘storia dell’anima’ (1854), Don Bosco confesserà il suo segreto circa le finalità della sua azione: ‘Quando mi sono dato a questa parte del sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi aiuti di poter così continuare fino all’ultimo respiro di mia vita. Così sia’” (ACG 394, 37-38).
Conviene ricordare ancora una volta che la “salvezza” non significa, utilizzando un’immagine semplice, “arrivare, appena, in paradiso”. Per Don Bosco, l’ideale dell’educazione salesiana è la santità, la “misura alta” che ci presenta il Santo Padre Giovanni Paolo II in Novo Millennio Ineunte (nn. 30-31) come la mèta e il programma dell’azione intera di tutta la Chiesa.
Anche per i suoi ragazzi, la maggioranza dei quali non proveniva da ambienti “privilegiati” (né dal punto di vista socio-economico, né religioso), Don Bosco ha proposto ai giovani un programma di spiritualità tale che tutti potessero seguirlo concretamente nella vita quotidiana. Era convinto che tutti siamo chiamati alla santità, anche i giovani, che possono fare un cammino spirituale analogo a quello dei santi adulti. Questo cammino, orientato dalla guida spirituale, conduce all’assunzione oblativa e gioiosa di sé nel quotidiano, e trova i suoi momenti di forza nella preghiera, nei Sacramenti e nella devozione mariana. Si esprime nell’attenzione caritativa verso il prossimo, in un vissuto allegro e dinamico: “noi facciamo consistere la santità nel essere sempre lieti”.
Per questo, egli ha cercato di rendere più accessibile l’insegnamento tradizionale della Chiesa, adattandolo in modo concreto e conveniente all’età giovanile. Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco, sono testimoni della spiritualità giovanile di Don Bosco. Anche se non tutti sono arrivati alla santità dell’altare, sono, senza dubbio, tutti esempi di vita cristiana riuscita in pienezza. Il racconto della loro vita e, soprattutto, della loro morte esemplare mostra come Don Bosco li ritenga entrati nel Regno di Dio, nel Paradiso.
Proprio quel ragazzo di cui meno si poteva immaginare questo ideale di santità, Michele Magone, costituisce un esempio di vita virtuosa e santa, e Don Bosco scrive: “Noi avremmo certamente desiderato che quel modello di virtù fosse rimasto nel mondo sino alla più tarda vecchiaia, e sia nello stato sacerdotale, cui mostravasi inclinato, sia nello stato laicale, avrebbe fatto molto bene alla patria ed alla religione”. Troviamo qui, con piena chiarezza, l’ideale umano e cristiano del giovane, secondo Don Bosco.
3. La passione dell’uomo, di Cristo, di Dio
È molto interessante e significativo, nella presentazione che il Rettor Maggiore fa del motto di Don Bosco, trovare la parola “passione”. Indubbiamente, è un términe che si è introdotto in maniera progressiva nel linguaggio del nostro tempo: non saprei dire se è così anche nel pensiero. Ancora pochi anni fa, aveva soltanto un significato positivo riferito alla “passione di Cristo”, e in questo caso, soltanto perché si considerava equivalente della sua sofferenza e morte in croce (cfr., per esempio, il film di Mel Gibson). Alla domanda: Quando comincia la passione di Cristo?, la risposta era unanime e immediata: “il giorno prima della sua morte”.
A questo riguardo, uno scrittore russo, D. Merezhkovsky, dice: “È molto strano che la Chiesa, che considera ‘le passioni’ come qualcosa di cattivo, e la loro assenza come segno di santità, abbia avuto il valore di chiamare ‘passione’ il suo Mistero più grande” 1.
Possiamo approfondire progressivamente nell’analisi della passione attraverso tre momenti: antropologico, cristologico e teo-logico.
1.- Nel senso antropologico, la passione (e le passioni) era qualcosa considerato negativo, legato al peccato o, in ogni caso, all’imperfezione della concupiscenza; molte volte, il modello di uomo consisteva nell’assenza assoluta delle passioni o, almeno, nell’equilibrio e controllo di esse, cercando il “giusto medio” (aurea mediocritas), anche se la parola che esprimeva, letteralmente, questo ideale non era molto gradevole: la apatia. Di fronte a questa mentalità, vale la pena ricordare le belle parole, intenzionalmente provocatorie, di S. Kierkegaard: “Perde meno chi si perde nella sua passione, di chi perde la sua passione”.
In particolare, vorrei fare il riferimento alla tematica legata all’amore umano e, concretamente, all’eros. Come sottolinea Josef Pieper nel suo straordinario libro Sull’Amore, l’eros è stato oggetto di una campagna di diffamazione e di calunnia, inteso come sinonimo della sessualità, e alle volte persino di un’espressione morbosa della stessa. Forse adesso non è più così: ma, in ogni caso, questa rivendicazione dell’eros è troppo legata, ancor oggi, alla valorizzazione della sessualità: essendo, in fondo, due realtà completamente diverse. Mi sembra che neanche la straordinaria Enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas Est, e il Messaggio di Quaresima 2007, ancora più “spinto”, hanno penetrato in maniera sufficiente nel pensiero cristiano.
È indispensabile che, come educatori-pastori, possiamo essere capaci di formare persone appassionate, che sappiano amare ed essere amati/e. Ricordiamo che una delle priorità della nostra educazione umana e cristiana, nel discernimento fatto nel Capitolo Generale 23, nel 1990, fu proprio questa: l’educazione all’amore e nell’amore. Penso che continua ad essere più attuale di mai questa preoccupazione.
2.- In prospettiva cristiana, parlare oggi della “passione” di Gesù Cristo, nel linguaggio teologico e spirituale2, si riferisce sempre di più al suo Amore, come ragione ultima della donazione della sua vita per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per coloro che uno ama” (Gv 15, 13).
In questa direzione, possiamo dire, senza cadere in una tautologia, che la passione di Gesù porta alla sua passione. Si è fatta molta strada cercando di togliere da Gesù, Figlio di Dio fatto Uomo, una “apatia” che durante molti secoli impedì una comprensione piena della sua Umanità, e difese un monofisismo larvato. Come dice il Rettor Maggiore, “il programma di Don Bosco riecheggia l’espressione ‘ho sete’, che Gesù pronuncia sulla croce mentre sta consegnando la propria vita per realizzare il disegno del Padre (Gv 19, 28). Chi fa propria questa invocazione di Gesù, impara a condividere la Sua passione apostolica ‘fino alla fine’” (ACG 394, p. 7).
Presupponendo tutto questo, non possiamo, però, fermarci qui: sarebbe rimanere a metà strada: poiché sembrerebbe che la “passione” di Gesù sarebbe soltanto conseguenza dell’Incarnazione, del suo “amare con cuore di uomo”, come dice in maniera molto bella il Concilio Vaticano II (GS 22): ma, in fondo, non ci direbbe nulla di come è Dio, in Se stesso. In questo caso, non sarebbe la rivelazione di Dio, ma il suo nascondimento.
3.- Il senso più profondo di questa passione è il teo-logico: come dice in maniera sintetica J. Moltmann, “la passione di Cristo ci rivela la passione di un Dio appassionato”.
In fondo, l’ideale umano dell’apatia era un riflesso dell’anelito di “diventare Dio”, di essere simili, il più possibile, a Lui. Questo desiderio non è, in assoluto, negativo o peccaminoso: siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza! Come dice, in maniera straordinaria, san Tommaso d’Aquino, “prius intelligitur deiformis quam homo”! (Dobbiamo intendere l’essere umano anzitutto non come uomo, ma come deiforme). Lo sbaglio fondamentale si trova nell’immagine non giusta di Dio, credendo che Lui è più in là dei sentimenti e delle passioni; che si tratta, in fin dei conti, di un “Dio apatico” e questo sarebbe il senso della sua Onnipotenza: “Dio là, nel suo Cielo, godendo di felicità piena; io vorrei essere simile a questo Dio, qui sulla terra”.
A questo riguardo, lo stesso Moltmann afferma: “L’uomo sviluppa la propria umanità sempre in rapporto alla divinità del suo Dio. Sperimenta il proprio essere in rapporto a ciò che gli appare come l’essere supremo. Indirizza la propria vita verso il Valore ultimo. Si decide, fondamentalmente, per ciò che lo riguarda in modo assoluto (…) La teologia e l’antropologia si trovano in un rapporto di mutuo scambio (…) Il Cristianesimo primitivo non fu assolutamente in grado di opporsi al concetto di apátheia che il mondo antico proponeva come assioma metafisico e ideale etico. In esso si condensavano la venerazione per la divinità di Dio e l’aspirazione alla salvezza dell’uomo” 3.
Il Rettor Maggiore si riferisce ugualmente a questa radice della nostra passione apostolica quando, parlando della formazione, indica: “Occorre formare persone appassionate. Dio nutre una grande passione per il suo popolo; a questo Dio appassionato la vita consacrata guarda con attenzione. Essa deve quindi formare persone appassionate per Dio e come Dio” (ACG 394, p. 28). Nel suo Messaggio della Quaresima 2007, Benedetto XVI afferma: “Ezechiele (...) parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cf. Ez 16, 1-22). Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa”.
4. La Passione apostolica di Don Bosco
Cercheremo di concretizzare, nella prospettiva salesiana, questa “nuova immagine di Dio”: certamente, sarà un arricchimento straordinario, anche dal punto di vista teologico; ma soprattutto, nella prassi concreta della nostra Missione.
È necessario dire che, ovviamente, non è soltanto questione di parole: corriamo il rischio di versare vino nuovo (e ottimo!) negli otri vecchi. Ma, d’altra parte, dobbiamo anche dire che i cristiani autentici –in primo luogo, i santi e le sante- hanno “intuito” questo, forse senza avere le categorie concettuali e linguistiche più adatte per esprimerlo: l’esperienza autentica del Dio di Gesù Cristo non si esaurisce nelle idee o nelle parole!
Possiamo caratterizzare Don Bosco in modo azzeccato come un uomo appassionato, pieno della passione dell’Amore: che, in fondo, vuol dire cristianamente = pieno di Dio. Ma, più in là di questa bella espressione, perché non rimanga puramente retorica, vogliamo domandarci: Quali sono gli elementi che questa nuova visione può offrire, per un rinnovamento, anche teologico, della passione di Don Bosco?
* In primo luogo, possiamo dire che il nostro Padre condivide la passione di Dio per la salvezza dell’umanità, concretamente, dei giovani: in particolare i più poveri, abbandonati e pericolanti (cf. Cost. 26). Questo sarebbe il senso più profondo della “compassione con Dio”. Non prendere questo sul serio ci porta di nuovo verso l’apatia teologica, o soltanto verso una preoccupazione intramondana per la promozione umana dei giovani. Come dicevamo prima: chiedere a Dio che ci conceda i giovani, è prendere molto sul serio che vogliamo collaborare con Lui, sentire con Lui, soffrire con Lui, per causa loro…
* In secondo luogo, Don Bosco è particolarmente sensibile alla manifestazione dell’Amore di Dio: il “non basta amare…”, più in là di essere una espressione meravigliosa del suo immenso cuore, e anche un elemento formidabile nell’educazione, possiede una straordinaria densità teologica. In fondo, tutto il piano di salvezza di Dio si può sintetizzare in una sola parola: epifania. Consiste, non soltanto nell’amarci, ma nel manifestarci il suo Amore in Cristo (cfr. Rom 8, 39). A questo tema dedicheremo una delle seguenti riflessioni.
* La passione educativo pastorale di Don Bosco sottolinea, in maniera assoluta, la gratuità del suo amore, come espressione della Grazia di Dio, che non è “qualcosa”, ma è Dio stesso, donandosi a noi pienamente nella sua Realtà trinitaria, senza nessun merito dalla nostra parte. Questo sarà ugualmente oggetto del nostro approfondimento ulteriore.
* D’altra parte, nella vita e nel sistema educativo di Don Bosco occupa un posto fondamentale la risposta del giovane. Anzi: il “non basta amare…” porta in questa direzione: “Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani” (Lettera da Roma, nelle Costituzioni p. 250). Riecheggia nel nostro cuore il detto “studia di farti amare”. Forse qui possiamo porre la domanda: questa risposta non minaccia l’assoluta gratuità del nostro amore e della nostra donazione totale?
Lo stesso Benedetto XVI, a questo riguardo (oltre il testo prima citato) approfondisce questo tratto fondamentale dell’amore, parlando di Dio stesso: “Per riconquistare l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio (...) Sulla croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi (...) In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti” (Messaggio della Quaresima 2007).
Alla base di questa maniera di pensare si trova l’idea che l’amore è più “puro” se, alla sua totale gratuità, non si trova nessuna corrispondenza, perché, in questo caso, sembrerebbe un amore “interessato”. Cercheremo di rispondere a questa obiezione, nell’analisi più accurata dell’esperienza dell’amore in quanto agape-eros; per adesso, soltanto vorrei sottolineare, prendendo lo spunto dalla bellissima frase di san Paolo: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole” (Rom 13, 8), che nell’amore autentico e pieno, la gratuità non sparisce, ma tutto il contrario: troviamo, per così dire, “l’incontro di due gratuità”.
È un tema che, nella fenomenologia dell’amore, è veramente affascinante. Da una parte, riprendendo una acuta osservazione di E. Jüngel, dobbiamo distinguere tra l’‘ut’ finale (amo per essere amato) e il raggiante ‘ut’ consecutivum (dove l’essere-amato è conseguenza, e non finalità, del mio amore) 4. San Bernardo lo aveva ormai detto, in maniera magnifica: “Ogni vero amore è senza calcolo e, ciononostante, ha ugualmente la sua ricompensa; esso, addirittura, può ricevere la sua ricompensa solo se è senza calcolo… Colui che nell’amore ricerca come ricompensa solo la gioia dell’amore, riceve la gioia dell’amore. Colui invece che ricerca nell’amore qualcosa di diverso dall’amore, perde l’amore e, al tempo stesso, la gioia dell’amore ” 5. Possiamo applicare all’amore quello che Gesù dice sul Regno di Dio: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Invece, chi anzitutto aspetta “tutte le altre cose” cercando il Regno, finisce senza il Regno, senza la sua giustizia, e anche senza tutte le altre cose…
In fin dei conti, dobbiamo andare alla Fonte ultima della teologia (e anche della nostra vita umana), alla riflessione teo-logica per eccellenza, che non è, per niente, ‘astrazione di terzo grado’: la contemplazione del Dio Trinitario. La perichoresi ci garantisce che, in Dio, ugualmente “divino” è l’amare e l’essere-amato. A questo Dio siamo simili, siamo stati creati alla sua Immagine. Quello che Dio ha unito, l’uomo non deve dividerlo...
Di fronte a tutto questo, possiamo fare una domanda decisiva, ma anche pericolosa, se non viene adeguatamente intesa: possiamo parlare dell’amore erotico di Don Bosco? Fin d’adesso possiamo anticipare la risposta: Sì, evidentemente; trattandosi di un amore a immagine dell’amore stesso di Dio; anzi: dell’Amore stesso che è Dio. Questo richiederà anche una riflessione più accurata e approfondita.
* Per finire: credo che l’espressione tradizionale su Don Bosco: Padre e Maestro dei Giovani, ha ancora moltissimo da offrirci. In particolare, vorrei sottolineare la paternità, che è una delle espressioni più profonde dell’essere-uomo, e Don Bosco l’ha vissuto in pienezza. Per non rimanere, anche qui, nella retorica dell’espressione, indico soltanto due aspetti tipici della paternità (e anche della maternità, evidentemente, anche se con sfumature diverse):
- l’amore paterno - materno è l’espressione più piena e radicale dell’incondizionalità dell’Amore di Dio: ogni altro amore umano, infatti, presuppone la conoscenza della persona amata, tranne questo: i genitori amano il/la figlio/a, ancora prima che abbia un volto e un nome, persino un genere…
- l’amore paterno - materno, non essendo in assoluto indifferente alla risposta filiale, non dipende da questa: così è riflesso dell’Amore divino, che è buono anche con i cattivi e gli ingrati… (cfr. Mt 5, 44-45).
Concludiamo con una citazione delle nostre Costituzioni, fatta preghiera a Maria Immacolata Ausiliatrice:
Maria, insegnaci e aiutaci ad amare come Don Bosco amava!
(Cfr. Cost. 84).
1 Citato da J. MOLTMANN, Trinidad y Reino de Dios, Salamanca, Ed. Sígueme, 1983, p. 37.
2 Possiamo ricordare il recente Congresso sulla Vita Consacrata: “Passione per Cristo, passione per l’umanità”.
3 J. MOLTMANN, Il Dio Crocifisso, Brescia, Queriniana, 1977, p. 313-314.
4 Cfr. EBERHARD JÜNGEL, Dio Mistero del Mondo, Brescia, Queriniana, p. 420.
5 Citato da J. PIEPER, Amor, en: Las Virtudes Fundamentales, p. 514.