RELAZIONE DEL RETTOR MAGGIORE AL CAPITOLO GENERALE 28
D. Ángel Fernández Artime
1. TESTIMONI DELLA RADICALITÀ EVANGELICA. ALLA LUCE DEL CG27
In continuità con gli ultimi Capitoli generali, il CG27 invitava con forza tutta la Congregazione salesiana a vivere con radicalità la nostra consacrazione apostolica. L’appello richiamava la necessità e l’importanza di riscoprire l’identità salesiana, vivendo la grazia di unità e la gioia della nostra vocazione. Il Capitolo ci chiedeva di realizzare una forte esperienza spirituale, convertendoci in cercatori di Dio, capaci di costruire una autentica fraternità di vita e di azione nelle nostre comunità, per dedicarci generosamente alla missione salesiana camminando con i giovani.
Guardando al sessennio passato, come si è fatto anche nel CG27, possiamo cogliere sia le tante manifestazioni di fedeltà sia le situazioni di incoerenza e difformità che si sono evidenziate in questi ultimi anni. È ciò che intendo verificare in queste prime pagine.
1.1. Chiamati a vivere più pienamente il primato di Dio nella nostra vita e nelle nostre comunità
Il CG27 è stato uno dono, una grazia e un’opportunità che ci ha spinto ad essere più di Dio, più dei Confratelli e più dei giovani, come ho detto sia nella mia prima lettera sia nel discorso conclusivo del Capitolo. Come consacrati desideriamo dare il primato a Dio nella nostra vita. Certamente sono tantissimi i confratelli che vivono ogni giorno così, stimolati dalla chiamata alla santità vissuta da Don Bosco e da coloro che accanto a lui sono cresciuti in un’autentica scuola di santità, ma anche incoraggiati dalla sete di vita e di autenticità di tanti giovani in tutto il mondo. Sono numerosi i segni, spesso semplici, che rendono visibile il primato di Dio nella nostra quotidianità: il ricco patrimonio della spiritualità del quotidiano, caratterizzato da un bellissimo spirito di famiglia e da relazioni interpersonali positive, cordiali e sane; la disponibilità, che tante volte si manifesta, nell’accompagnare la vita dei giovani e delle loro famiglie e la paternità spirituale1; la donazione generosa, serena e gioiosa di ciascuno di noi per amore di Dio e dei fratelli...
Come è avvenuto per Don Bosco, così anche per noi è il primato di Dio che dà pienezza alla vita consacrata, facendoci evitare «il rischio di lasciarci assorbire dalle attività, dimenticando di essere essenzialmente “cercatori di Dio” e testimoni del suo amore in mezzo ai giovani e ai più poveri»2.
In questo sessennio abbiamo ricordato che questo cammino è possibile solo vivendo, sia personalmente sia comunitariamente, una conversione continua, sempre necessaria, dal momento che l’obiettivo non è mai raggiunto in modo definitivo. Abbiamo cercato di trasmettere alle comunità e alle ispettorie una visione di fede, mai di disperazione, che ci permettesse di scoprire Dio vivendo e rallegrandoci ogni giorno per gli eventi che ci parlano tanto di Lui.
Sono stati numerosi gli sforzi, i tentativi, le richieste di attenzione, gli inviti che molti di noi hanno fatto per vivere percorsi di autenticità. Ed è tanto il bene che si opera nella nostra Congregazione, nelle comunità e nei confratelli, ogni giorno, ogni singolo giorno.
→ Con umiltà dobbiamo anche riconoscere che incontriamo forme di autoreferenzialità e autosufficienza che portano qualcuno a vivere senza la coscienza di essere collaboratori di Dio.
→ Il CG27 affermava: «È progressivamente diminuita la visibilità e credibilità della nostra vita consacrata»3. In questi anni abbiamo cercato di sensibilizzare i confratelli e far prendere loro coscienza di questa situazione, insistendo, per riprendere san Paolo, «in occasioni opportune e non opportune» (Cf. 2Tm 4,2); ma non possiamo negare che spesso, purtroppo, ancora oggi la gente e i giovani ci riconoscono più per il lavoro che facciamo che non per il nostro essere Salesiani di Don Bosco, ossia religiosi consacrati, chiamati a testimoniare in modo chiaro, trasparente e senza incertezze l’essenza della loro consacrazione.
C’è ancora tanta strada da fare. Sicuramente possiamo dire che che la mancanza di visibilità è il punto dolente della vita consacrata dopo il Vaticano II. Tuttavia, il fatto che ciò accada anche agli altri consacrati, non è un motivo per sentirci sollevati da ogni preoccupazione e responsabilità.
In definitiva si tratta di vivere un’esistenza nella quale, attraverso piccoli passi, si testimonia che la conversione è possibile, e in tal modo si manifesta l’identità della nostra vita consacrata; si tratta di coltivare una sana tensione spirituale, che ci mantiene in cammino, anche se oggi sembra poco valorizzata; di compiere un percorso di trasformazione costante della mente e del cuore, che deve essere un processo desiderato, cercato e accettato personalmente. Tutto questo costituisce un processo necessario per aiutarci in vista di una sempre necessaria rigenerazione, perché la vita logora, riduce e tende a far scomparire dettagli importanti, portandoci a relativizzare ciò che non dovrebbe essere relativizzato, ecc. Ritroviamo questa prospettiva nelle parole di san Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Vita consecrata: «La vita spirituale dev’essere dunque al primo posto (...). Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni»4.
In questi sei anni abbiamo tenuto ben presenti, sia io sia il Consiglio generale, le linee programmatiche del discorso di chiusura al CG27. Evidentemente era più che un discorso. Il suo scopo era quello di tracciare un cammino concreto e comprensibile, in sintonia con lo spirito vissuto e con le riflessioni del CG27. Già allora esprimevo una convinzione: «Sarebbe veramente preoccupante che qualcuno arrivasse a pensare che la fragilità che constatiamo nel vivere il primato di Dio nella nostra vita sia un elemento proprio del nostro DNA salesiano»5, perché non fu così né per Don Bosco né per molti dei suoi figli con cui maturò il carisma. Ovviamente Don Bosco non voleva che fosse così. Ritengo pertanto che si debba continuare questo cammino, consapevoli di essere sulla strada giusta, per vivere una vita religiosa più autentica; è la via della propria, semplice santificazione, il «dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani»6. E sappiamo che non è possibile parlare di Don Bosco e della sua predilezione per i ragazzi e i giovani senza avere una predilezione e una passione ancora più affascinante nei confronti di Gesù Cristo.
1.2. Una chiamata a vivere una vita fraterna autenticamente attraente
Per noi Salesiani di Don Bosco la vita comunitaria, la fraternità evangelica vissuta in comunità, è un modo di realizzare l’esperienza di Dio. È vivere la “mistica della fraternità”, elemento essenziale della nostra consacrazione apostolica. Ci dice papa Francesco: «Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. (...) Non lasciamoci rubare la comunità!»7.
Certamente i nostri giovani sono molto sensibili, specialmente in questi tempi, ai segnali che trasmettiamo, alla testimonianza che diamo, più che alle parole. In generale essi sono alla ricerca di relazioni sane e trasparenti, almeno con noi. Molti di loro sperimentano divisioni e rotture in seno alle proprie famiglie e noi, quando viviamo in modo convincente la nostra fraternità, mostriamo loro un altro mondo, un altro modo di relazionarsi, altri valori semplici e profondi allo stesso tempo.
Sappiamo molto bene che a Valdocco, lungo il corso degli anni, non tutto fu perfetto. Ben conosciamo il dolore di Don Bosco che traspare nella Lettera da Roma. E tuttavia parliamo dello “spirito di Valdocco”, dello spirito di famiglia, di quel “sapore di casa e di famiglia” che tanto piaceva a Don Bosco, nelle relazioni tra i Salesiani e i ragazzi. Questo è l’ideale della fraternità che deve splendere nelle nostre comunità.
In questo senso durante il sessennio sono stati compiuti notevoli sforzi. Posso assicurare che in tutte le ispettorie sono sorte iniziative di vario genere per accompagnare e aiutare le comunità e i confratelli a realizzare passi concreti in questo campo. Non siamo insensibili a questo impegno. Tutt’altro. Allo stesso tempo riconosciamo che permangono fragilità e limiti personali che offuscano la luminosità e nascondono la luce che dovrebbe essere irradiata.
La tendenza di alcuni confratelli a vivere comodamente o l’iperattività di altri alimentano la convinzione che il tempo condiviso in comunità sia un tempo “rubato” allo spazio “privato” di ciascuna persona o al compito che uno può svolgere.
A volte, sotto forma di “rispetto” o di “tolleranza” si nasconde l’atteggiamento di indifferenza nei confronti dei confratelli.
«I rapporti personali in comunità possono diventare formali, frammentati e poco significativi»8. Nello studio delle ispettorie fatto nel Consiglio generale dopo le visite straordinarie si conclude, quasi in modo generalizzato, che l’individualismo, l’individualismo sempre crescente, è la grande malattia della nostra vita fraterna. Sia quando si tratta della missione e del lavoro sia quando si tratta di momenti e tempi liberi. Si sottolinea sempre più il modo di relazionarsi in maniera funzionale e il ripiegamento nella “sfera del privato” – in non poche occasioni con un utilizzo personale non sempre adeguato dei mass-media. Certamente molti confratelli camminano chiedendo, onorando gli impegni e dando il meglio di sé per vivere una autentica fraternità evangelica. Però vicino a loro incontrano atteggiamenti, già ricordati, che mutilano i loro sogni. Tutto questo fa parte, indubbiamente, della nostra fragilità e rientra in quel cammino di conversione e di crescita che ciascuno è chiamato a percorrere.
1.3. Sempre con i giovani e per i giovani
Nel CG27 abbiamo affermato che i giovani sono «il nostro roveto ardente»9. Attraverso di loro Dio ci ha sempre parlato e ci parla oggi. Mediante i ragazzi lo Spirito ha plasmato il cuore di Don Bosco. Che stupenda icona per ricordarci che stiamo toccando il mistero della vita e che per questo, come Mosè, anche noi dobbiamo toglierci i sandali per poterci stupire e contemplare in silenzio ciò che Dio sta facendo nella nostra vita, nella vita dei nostri confratelli e nella storia dei nostri ragazzi e giovani. E non dimentichiamo che possiamo vivere autenticamente il primato di Dio, nella sua più profonda espressione vocazionale come Salesiani di Don Bosco, stando tra i giovani e al servizio dei giovani, dal momento che il Signore ci aspetta in loro e ci ha sognato, in Don Bosco, per loro.
Tutto questo rende affascinante il carisma salesiano di Don Bosco e suscita tanta attrazione nei giovani, ad esempio negli oltre 435 novizi che ogni anno desiderano prepararsi a vivere come Salesiani di Don Bosco. Proprio per questa ragione non possiamo fermarci a metà; non possiamo privare delle loro aspirazioni i ragazzi e i giovani che ogni giorno incontrano i Salesiani. Non possiamo deluderli.
Papa Francesco ce l’ha chiesto direttamente e con particolare forza nella lettera che ha inviato, nella persona del Rettor Maggiore, a tutti i Salesiani in occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco, scrivendo senza mezzi termini: «Don Bosco vi aiuti a non deludere le aspirazioni profonde dei giovani: il bisogno di vita, apertura, gioia, libertà, futuro; il desiderio di collaborare alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno, allo sviluppo per tutti i popoli, alla tutela della natura e degli ambienti di vita. Sul suo esempio, li aiuterete a sperimentare che solo nella vita di grazia, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici. Avrete la gioia di accompagnarli nella ricerca di sintesi tra fede, cultura e vita, nei momenti in cui si prendono decisioni impegnative»10.
Credo sia giusto affermare che la Congregazione è sollecita e attenta alla realtà dei ragazzi e dei giovani. Non abbiamo smarrito la nostra strada. Non ci siamo allontanati dall’essenza del carisma. Abbiamo immesso energie, sforzi, impegno e determinazione per seguire e accompagnare i nostri giovani, per conoscere e incontrare coloro che oggi non sono riconosciuti. E in tutto questo molti nostri confratelli hanno perso la vita.
A onor del vero, non è sbagliato riconoscere che non poche volte tra i giovani e noi, o tra noi e i giovani si creano distanze: fisiche, ma anche mentali e culturali. Non è meno vero che per alcuni confratelli i compiti di gestione risultano più attraenti e gratificanti rispetto alla presenza in mezzo ai giovani. Non è meno vero che a volte i cortili restano vuoti perché manca la presenza di Salesiani. Non è meno vero che a volte tra l’essere servitori dei giovani e le nostre sicurezze, vince la scelta per le nostre comodità (disporre di spazi confortevoli, essere riconosciuti, avere tempo libero e privacy...). In definitiva è in gioco l’amore, la concreta realizzazione di quanto affermava Don Bosco: «Basta che siate giovani perché vi ami assai»11.
1.4. In cammino nella Chiesa e con papa Francesco
In diversi ambienti più volte ho voluto e ho dovuto ricordare che noi, fedeli all’eredità che abbiamo ricevuto da Don Bosco, siamo con il Papa: oggi Francesco, ieri Benedetto XVI, l’altro ieri Giovanni Paolo II (oggi santo). E in questa condizione di navigazione sul grande fiume che è la Chiesa abbiamo vissuto un eccezionale sessennio di Grazia.
Lasciatemi dire che se avessimo sognato un’animazione della Congregazione e della Famiglia Salesiana da parte della Chiesa per questa piccola porzione che siamo, non l’avremmo mai sognata così vicino all’essenza più pura del carisma di Don Bosco.
Le varie esortazioni apostoliche degli ultimi tempi, la celebrazione degli ultimi tre Sinodi, sulla famiglia e sui giovani, nonché la parola del Papa su di essi, ci hanno offerto una riflessione ecclesiale completa, che non solo ci incoraggia ma ci immerge nella ricchezza del pensiero della Chiesa, che illuminerà senza dubbio le riflessioni del nostro capitolo. Evidentemente non possiamo né dobbiamo svolgere un lavoro capitolare che non prenda in debita considerazione la sensibilità, la conoscenza e la ricchezza pastorale che la Chiesa e, in modo particolare, il Papa ci hanno offerto.
2. ALTRE RIFLESSIONI SULLO STATO DELLA CONGREGAZIONE
2.1. Protagonismo dei giovani, evangelizzazione e Movimento Giovanile Salesiano
Nelle pagine di questa relazione dedicate alla Pastorale Giovanile del sessennio è stata offerta una dettagliata esposizione dei tanti processi e delle iniziative realizzati in questo periodo. Riteniamo di dover sempre dire che l’evangelizzazione dei ragazzi, dei giovani e di tutti i nostri destinatari è un risultato e allo stesso tempo una sfida permanente; è una realtà di cui, anche rallegrandoci per il bene fatto, non ci sentiamo mai completamente soddisfatti, perché ci apparirà sempre insufficiente. È vero che la leadership dei giovani è in continua crescita in numerose aree della Congregazione. È vero altresì che il Movimento Giovanile Salesiano si presenta come uno dei risultati più positivi della nostra opera di evangelizzazione per il fatto che i giovani stessi sono spesso animatori ed evangelizzatori di altri giovani. Tutto questo ci rallegra profondamente. Riconosciamo poi che in alcune zone della Congregazione la realtà del volontariato è un fattore che aiuta gli stessi giovani a maturare nelle dimensioni più importanti della vita, inclusa la dimensione vocazionale e missionaria.
Ritengo importanti le seguenti sfide:
→ L’evangelizzazione è il nostro grande compito e la nostra sfida. Offrire in ogni presenza processi di educazione alla fede e proposte di crescita integrale deve essere una priorità che oserei definire di estrema urgenza. In alcune occasioni, infatti, di fronte alle difficoltà inibiamo la nostra azione evangelizzatrice ed educativa. In generale, invece, avremmo bisogno di una maggiore capacità di proposta, di un maggiore ardore apostolico. Potremmo dire che quello che facciamo non è mai abbastanza. Abbiamo bisogno di comunità educative pastorali per continuare a crescere nella convinzione e nell’impegno a favore dell’azione educativa ed evangelizzatrice come punto unificante, che coinvolge e impegna tutti noi e in un modo più esigente.
→ D’altra parte, abbiamo ripetuto fino allo sfinimento che non è sufficiente organizzare azioni ed eventi, ma bisogna dare vita a processi educativi pastorali e di evangelizzazione nei quali l’identità carismatica, pastorale e pedagogica di tutta l’azione salesiana dia risposta ai cambiamenti che si stanno vivendo in questo secolo. Spesso e in tanti contesti la realizzazione di questo impegno lascia ancora molto a desiderare e resta in sospeso.
→ L’attenzione alla formazione e ai processi di accompagnamento di tutti i giovani, in particolare dei giovani animatori, catechisti, ecc., nonché l’accompagnamento nei forum e nelle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, dei diritti dei bambini, dello sviluppo, della giustizia e pace ecc., devono diventare una priorità per il salesiano di oggi e di domani. La nostra pastorale giovanile opera in questo modo e non può rimanere isolata, quasi si trattasse di un microcosmo salesiano.
→ Nella nostra missione salesiana, la famiglia deve continuare a “conquistare” uno spazio di maggiore attenzione, poiché essa rimane essenziale per la maturazione degli adolescenti e dei giovani. In molte occasioni rappresenta un rifugio da particolari avversità ambientali. Ci sono non poche famiglie che soffrono per le conseguenze di divisioni e frammentazioni, a volte a causa di genitori non sufficientemente preparati e maturi per la paternità o la maternità. Pertanto, nelle situazioni più favorevoli o più carenti, la nostra cura pastorale deve includere come priorità la dedizione alle famiglie insieme a quella data ai giovani.
2.2. Un impegno prioritario: l’ascolto e l’accompagnamento dei giovani
Il CG27 ha espresso più volte la preoccupazione e l’impegno che come Salesiani dobbiamo avere nell’accompagnamento dei giovani12. Penso sia giusto affermare che, a poco a poco, stiamo acquisendo maggior consapevolezza dell’importanza di accompagnare i giovani nella conoscenza e nella maturazione personale e nel cammino di incontro con Gesù.
Con parole a volte diverse nel tempo, da decenni stiamo parlando di accoglienza incondizionata dei giovani, di disponibilità all’incontro personale con loro, di dialogo, di ascolto e di celebrazione della riconciliazione, di disponibilità a “parlare di una inquietudine vocazionale” o dei “miei dubbi”, come spesso loro stessi dicono.
In questo sessennio si è cercato di rivolgere un’attenzione speciale all’area dell’ascolto e dell’accompagnamento dei giovani. Ce ne eravamo occupati anche nel sessennio precedente, e in questi ultimi anni abbiamo intensificato questa animazione. La diffusione e la maggiore conoscenza del Quadro di riferimento della Pastorale giovanile salesiana in tutte le regioni della Congregazione è stato un grande aiuto. Il congresso celebrato a Madrid sul tema Pastorale giovanile e famiglia ci ha sensibilizzato ulteriormente. Speciale importanza e valore ha avuto per noi la celebrazione del Sinodo dei vescovi su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, che ci ha portato a elaborare il documento Giovani salesiani e accompagnamento: preparato insieme dai dicasteri per la Formazione e per la Pastorale giovanile, il documento è stato studiato sia dal Rettor Maggiore sia dal Consiglio generale e successivamente approvato. La sua conoscenza e applicazione saranno senz’altro molto utili e favoriranno sia il discernimento sia l’accompagnamento e la formazione iniziale dei Salesiani nelle varie fasi.
È evidente che ciò che accade nella pastorale giovanile influenza la formazione dei Salesiani e viceversa. Se nella nostra pastorale giovanile si realizza un buon accompagnamento e discernimento vocazionale, le vocazioni salesiane, che per grazia e chiamata del Signore possono germinare, avranno un’ottima disposizione nei confronti dei processi di formazione. E se nelle tappe formative si offre un buon accompagnamento, è presumibile che avremo nel futuro Salesiani ben preparati e ben disposti per il lavoro della pastorale giovanile e per l’accompagnamento dei giovani.
Vedo in questo compito già oggi e nel prossimo futuro una magnifica opportunità per la nostra Congregazione, grazie ai giovani delle nostre presenze in tutto il mondo e ai giovani confratelli, i quali saranno sempre più sensibili a percorrere un cammino che avranno già vissuto e sperimentato. Lo stesso papa Francesco, nell’ultimo numero dell’esortazione apostolica Christus vivit, esprime il desiderio che i giovani percorrano questo bellissimo sentiero e dice loro: «Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci»13.
2.3. Un sessennio ricco di animazione missionaria
La realtà missionaria della Congregazione è veramente grande e bella. I contesti e le circostanze nei quali condividiamo la vita e la missione con i diversi popoli e le diverse etnie sono molto ricchi, ma in generale, mi pare, sono poco conosciuti. Per questa ragione in questa relazione ho ritenuto molto interessante per tutti i membri dell’assemblea capitolare offrire le seguenti informazioni.
Attualmente la Congregazione è presente in 134 nazioni: 43 in Africa, 24 in America, 29 in Asia, 32 in Europa e 6 in Oceania. Per il momento è stata sospesa la presenza nello Yemen, dove il nostro confratello don Tom Uzhunnalil è stato sequestrato per 557 giorni. Sono state chiuse le presenze in due paesi: Iran e Andorra. Allo stesso tempo abbiamo fondato nuove presenze in altre due nazioni: Malesia e Gambia. E abbiamo ricevuto richieste per aprire nuove comunità in Afghanistan, Algeria, Guinea Bissau, Kazakistan, Iraq, Svezia, São Tomé e Príncipe, Somalia e Vanuatu.
A.- Contesti religiosi particolari
→ Contesto islamico:
Il fenomeno della diversità religiosa e della differenza multiculturale è ogni volta più trasversale e non solo geograficamente caratterizzato. La nostra presenza in nazioni a maggioranza musulmana, dove il carisma di Don Bosco è a servizio dei giovani come testimonianza evangelica e di dialogo interreligioso, è particolarmente concentrata nell’Ispettoria del Medio Oriente (MOR), in un contesto arabo musulmano: Siria, Palestina ed Egitto. In Libano e Israele le opere hanno caratteristiche proprie, dovute alla significativa presenza cristiana nel primo ed ebraico-musulmana nel secondo. Possiamo ricordare anche le nuove presenze in Kuwait e negli Emirati Arabi Uniti e inoltre i paesi del Maghreb, il Marocco e la Tunisia.
→ In constesto asiatico, con caratteri molto diversi, abbiamo presenze in Azerbaijan, Bangladesh, Indonesia e Malesia, Pakistan e Turchia.
→ In contesto europeo: Albania, Kosovo, Bosnia-Ergzegovina.
→ In contesto africano: Burkina Faso, Chad, Gambia, Guinea Konakry, Mali, Senegal, Sierra Leone e Sudan.
→ In contesto buddista: Cambogia, Cina, Corea, Giappone (con religioni prevalentemente buddista e shintoista), Mongolia, Myanmar, Nepal, Sri Lanka, Tailandia, Taiwan e Vietnam.
→ In contesto cristiano-ortodosso: Bielorrusia, Bulgaria, Georgia, Etiopia, Eritrea, Moldavia, Montenegro, Rumanía, Russia, Serbia e Ucraina.
B.- Contesti di mobilità umana e migrazioni
→ Rifugiati e immigrati interni (IDP - Internally Displaced People): oltre alla trasversalità del fenomeno, che interessa molte nazioni, siamo presenti in luoghi molto significativi rispetto alla drammatica realtà dei rifugiati e degli immigrati interni al proprio paese. A titolo esemplificativo: Burundi, Centro Africa, Egitto, Etiopia, India, Kenya, Libano, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Siria, Sudan, Sud Sudan, Turchia, Ucraina e Uganda.
→ Il fenomeno migratorio, enorme e differenziato, è di tale portata che, in un modo o nell’altro, la Congregazione si trova immersa in esso in larga misura. A titolo d’esempio, elenco alcune presenze più significative, sia per quanto riguarda i luoghi di partenza sia per quelli di destinazione, dove operiamo a favore dei migranti e degli sfollati: Germania, Bangladesh, Belgio, Canada, Cuba, Colombia, El Salvador, Spagna, Stati Uniti, Etiopía, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Ghana, Guatemala, Haiti, Honduras, India, Irlanda, Italia, Marocco, Messico, Myanmar, Nepal, Nigeria, Nuova Zelanda, Olanda, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Dominicana, Senegal, Ucraina, Venezuela…
C.- Contesti di gruppi etnici
Stilare una lista più o meno esaustiva di queste realtà è un compito molto complesso, per il quale al momento non disponiamo di dati sufficientemente adeguati.
Si tratta di realtà che si presentano ricche e differenziate nei vari continenti. Pensiamo ad esempio al popolo zingaro in Europa, alla grande quantità di minoranze etniche nel Nord Est dell’India, alle centinaia di etnie presenti nei 43 paesi del continente africano. In tutta l’America incontriamo popoli diversi, come quelli della zona andina (quechua, aimara, mapuche) o della zona mesoamericana (quetchi, mixes, zapoteco, chilanteco…) o dell’Amazzonia.
Nel clima dell’ultimo Sinodo dei vescovi, tenuto nell’ottobre 2019, voglio insistere maggiormente sulle nostre presenze amazzoniche. La Congregazione è presente in Amazzonia in quattro nazioni: Brasile, Ecuador, Perù e Venezuela; a queste si aggiunge il Chaco paraguagio, che è molto legato alla realtà amazzonica. In questa regione abbiamo 47 comunità salesiane con 245 confratelli. Ventidue comunità si trovano in contesto urbano e altre venticinque in contesto rurale. Siamo presenti tra le 62 popolazioni originarie dell’Amazzonia: nella Chiesa siamo la Congregazione maggiormente presente tra questi popoli. Sono 1.219 le comunità cattoliche e 2.123 gli operatori pastorali che si occupano nelle zone rurali di 612.231 persone, delle quali il 66,7% sono cattolici14.
Secondo il territorio delle ispettorie possiamo elencare questi popoli:
→ Brasile Campo Grande (BCG) con i popoli Xavante, Bororo, Terena, Guaraní, Kaiowá, Kinikianau, Atikum, Guató, Ofaié, Kadiwíeu, Kura Bakairi.
→ Brasile Manaus (BMA): con Tukano, Tariano, Dessano, Piratapuia, Hupda, Cubeo, Uanano, Barassano, Mirititapuia, Arapaso, Tuyuka, Carapanasso, Baré, Yanomani, Baniwa.
→ Ecuador (ECU) con i popoli Shuar, Achuar, Saraguro, Kitchwa.
→Perù (PER), con gli Achuar, Shawi, Kandozi, Wampis, Awajun, Kitchwa, Chapra, Kuca-macucamilla, Shivillo, Shipibo-Conivo, Machiguengas.
→ Venezuela (VEN), con gli Arawaco, Hiwi, Piaroa, Yanomami, Sanema, Yekauana, Wayúu, Wotuha, Eñepa, Hoti, Maco, Puinave, Yavarana, Piapoco, Baniba, Baré, Curripaco, Yeral, Warekena, Inga.
→ Paraguay (PAR) con il popolo Ayoreo, Maskoy, Ishir, Tomarajo.
È importante sottolineare che attualmente ben 18 confratelli con voti perpetui o in formazione, 8 prenovizi e 12 aspiranti sono originari dell’Amazzonia (Tuyuka, Desano, Traiano, Arapaso, Tukano, Baniwa, Bororo, Xavante, Shuar, Kitchwa).
Ciò che ho inteso presentare, cari confratelli, è una “fotografia” della bellissima realtà missionaria della nostra Congregazione. Tra coloro che oggi sostengono questa realtà e tra coloro che hanno posto il fondamento, possiamo contare più di 10.400 Salesiani missionari ad gentes, a partire dalla prima spedizione missionaria di Don Bosco nel 1875 fino all’ultima che abbiamo da poco vissuto, ossia la 150ª. Tante volte sono partite insieme a noi le nostre sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice, spesso per svolgere un’azione missionaria complementare.
Questi missionari e missionarie, con la grazia di Dio e l’azione dello Spirito, hanno seminato e piantato l’essenza del carisma salesiano di Don Bosco, che si è sviluppato nei cinque continenti.
Il Concilio Vaticano II ha chiamato con forza tutte le Congregazioni e gli Istituti per il compito apostolico ed evangelizzatore nelle terre di missione15.
Anche se nella tradizione salesiana non c’era alcun indiscutibile “carattere missionario”, abbiamo voluto rispondere ugualmente a questo appello, sapendo che Don Bosco, fin da giovane, nutriva anch’egli la speranza di diventare missionario. Tale pensiero non l’ha mai abbandonato16. Fu questo il suo grande ideale e lo realizzò attraverso i suoi figli e le sue figlie. Eravamo decisamente missionari e «i successori di Don Bosco, fedeli allo spirito del Fondatore, hanno sempre fatto uno sforzo speciale nell’azione missionaria della Congregazione»17. Posso assicurarvi che anche noi continueremo a fare così.
2.4. Con un percorso continuo, sempre in crescita, come Famiglia salesiana di Don Bosco
Il CG27 affermava che è cresciuta la consapevolezza di essere Famiglia salesiana18. Io dico lo stesso per questi sei anni trascorsi. Sicuramente il lavoro svolto dalle ispettorie e dalle comunità locali è stato spesso molto importante. Le giornate di spiritualità salesiana hanno avuto una grande accoglienza e una notevole e significativa partecipazione. La Strenna proposta ogni anno continua ad essere richiesta e apprezzata dai 32 gruppi che compongono la Famiglia salesiana nel mondo. In ogni contesto e luogo si sceglie ciò che può meglio esprimere nella cultura locale l’essenza del messaggio, che certamente è presente e si diffonde in tutto il mondo salesiano. La proposta del tema è un elemento che manifesta, ogni anno e sempre più, la nostra identità di famiglia religiosa nel mondo, il nostro essere la famiglia di Don Bosco! E la Carta di identità della Famiglia salesiana è il riferimento in cui troviamo, appunto, la nostra identità come famiglia e nella quale ciascun gruppo - noi in particolare - si riconosce come membro di questa famiglia.
La riflessione iniziata dal CGS20 sulla Famiglia salesiana è ancora oggi di massima rilevanza, poiché costituisce il fondamento del nostro essere famiglia di Don Bosco e definisce la nostra appartenenza e il nostro servizio ad essa. Affermava il Capitolo Generale Speciale: «I Salesiani non possono ripensare integralmente la loro vocazione nella Chiesa senza riferirsi a quelli che con loro sono i portatori della volontà del Fondatore. Per questo ricercano una migliore unità di tutti, pur nella autentica diversità di ciascuno»19.
Il cammino di unità e comunione percorso lungo questi anni ha condotto alla pubblicazione, in momenti diversi, di tre documenti che esprimono la nostra identità e intendono aiutare a proseguire il cammino stesso: La carta di comunione della Famiglia salesiana di Don Bosco, preparata da don Egidio Viganò nel 1995 e pubblicata nel 2000 da don Juan E. Vecchi con il titolo Carta della Missione della Famiglia salesiana; e la Carta di identità della Famiglia salesiana promulgata da don Pascual Chávez nel 2012 e che, come frutto maturo, è espressione di un’identità carismatica ben consolidata.
Nel sessennio c’è stata una ricca animazione da parte del Segretariato per la Famiglia salesiana in contatto con le ispettorie e le regioni, specialmente accompagnando i gruppi che richiedono una particolare attenzione da parte nostra come Salesiani di Don Bosco. Il nostro Capitolo opererà certamente una verifica del Segretariato per la Famiglia salesiana, come si è fatto al termine del sessennio precedente.
Ugualmente positiva è stata la riflessione condivisa e maturata in questi sei anni attorno ai seguenti nuclei:
→ La responsabilità dell’accompagnamento che come Salesiani di Don Bosco abbiamo e dobbiamo avere nei confronti della Famiglia salesiana, esplicitato nell’art. 45 della Carta di identità della Famiglia salesiana.
→ L’assimilazione della figura e del ruolo dei delegati ispettoriali e locali dei gruppi della Famiglia salesiana in ciò che si riferisce al nostro servizio di animazione.
→ La maturazione e l’attualizzazione dei criteri e delle condizioni necessari per appartenere ufficialmente alla Famiglia salesiana.
Nel prossimo sessennio sarà molto significativo quanto si potrà realizzare, in vista del coordinamento e della riflessione nell’animazione della Famiglia salesiana, insieme ai settori della Formazione e della Pastorale giovanile della nostra Congregazione. I frutti che potranno nascere da questa intesa permetteranno un salto di qualità alla nostra realtà, già di per sé positiva.
2.5. Il salesiano coadiutore (salesiano laico) nella Congregazione
«Vi sono delle cose che i preti e i chierici non possono fare, e le farete voi»20, diceva Don Bosco. Molte volte, visitando le ispettorie della Congregazione nei cinque continenti, mi è stata rivolta questa domanda: «Che cosa succede con la vocazione del salesiano coadiutore, che sembra essere in crisi?». Non ho esitato a dare una risposta che considero ponderata e meditata nel tempo. La esporrò anche qui, ma prima voglio iniziare con alcuni dati.
È certo che tra il precedente sessennio e questo il numero dei confratelli coadiutori nella Congregazione è diminuito. Secondo i dati rilevati nel 2001, prima dell’inizio del CG25, il numero era di 2.317; nel mese di dicembre del 2007 il numero era di 2.092, cioè 225 meno del sessennio precedente. Nel dicembre 2013, prima del CG27, il numero dei confratelli coadiutori in Congregazione era di 1.758: 334 meno del sessennio precedente. I dati in nostro possesso alla fine del 2018 dicono che i coadiutori sono 1.589, cioè 169 in meno, e rappresentano l’11,20% del numero totale dei confratelli della Congregazione.
Da qualche anno la Congregazione è particolarmente impegnata ad accompagnare nelle ispettorie la realtà della vocazione dei confratelli coadiutori. Tutti i Rettori Maggiori si sono fatti carico di questo compito. L’abbiamo fatto anche durante questo sessennio. Sono state costituite alcune comunità per garantire una formazione specifica per il Salesiano Coadiutore. In generale, i nostri confratelli coadiutori hanno ovunque una grande qualifica personale e svolgono servizi pastorali molto preziosi, anche nell’ambito della gestione e del governo. Fu il CG26 che, riferendosi alle due forme della vocazione consacrata salesiana, ricordò che «siamo chiamati a dare priorità e visibilità all’unità della consacrazione apostolica, pur realizzandola nelle due forme diverse (...). Consapevoli che la Congregazione metterebbe a rischio la sua identità, se non conservasse questa complementarità, siamo chiamati ad approfondire l’originalità salesiana del ministero ordinato e a promuovere maggiormente la vocazione del salesiano coadiutore»21.
Torno alla domanda iniziale: allora, che cosa succede? Anzitutto non possiamo dire che “il problema” riguarda i confratelli coadiutori. Non credo si possa affermare, con equità e alla luce di accurate analisi, che i nostri confratelli coadiutori stiano vivendo una crisi d’identità nella loro vocazione. In genere, essi non dubitano della propria vocazione. È la nostra Congregazione che porta con sé il peso di un clericalismo molto forte, tanto presente nella Chiesa quanto tra noi. Sia per ragioni legate alla cultura dei vari paesi, sia a motivo degli stessi gruppi etnici, ci sono ispettorie, in particolare nelle regioni dell’Africa, dell’Asia meridionale e dell’Oceania, dove la realtà dei coadiutori salesiani è quasi inesistente. La pressione ambientale, che condiziona tutte le vocazioni, verso il presbiterato in alcuni casi è molto accentuata e particolarmente aggressiva. Alcune di queste ispettorie corrono il rischio di non avere, in un futuro non troppo lontano, nessun salesiano coadiutore tra i propri membri. Questo fatto è grave. Non può essere ritenuto un tema di minore importanza o legato alle circostanze del momento. Il carisma in queste ispettorie non si esprime in tutta la sua ricchezza, come l’unica vocazione vissuta nelle sue due forme, se viene a mancare una di esse: «La nostra Società è composta di chierici e di laici che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità»22. In altre ispettorie, al contrario, c’è stata sempre una chiarissima opzione di governo per favorire entrambe le vocazioni. L’esempio più significativo è dato dal Vietnam: oggi quell’ispettoria conta più di 68 salesiani coadiutori, in gran parte giovani in formazione. In Vietnam è stata chiarissima la scelta a favore della missione ad gentes, compiuta prima di pensare unicamente alle esigenze del proprio territorio. Sono, infatti, più di 138 i missionari salesiani vietnamiti nel mondo.
Faccio questo esempio per mostrare che in una medesima realtà convivono insieme il “volto” e la “croce” di una vocazione; questo fatto conferma che non c’è crisi della vocazione del coadiutore, ma crisi di modelli e forte tendenza a favorire solo la vocazione al presbiterato. Già nella relazione al precedente Capitolo generale, sei anni fa, il Rettor Maggiore faceva presente il rischio che la tendenza clericalista, se non affrontata seriamente, potrebbe condurre in Congregazione allo sviluppo di «una mentalità classista e clericale»23. Condivido pienamente questa affermazione.
La vocazione salesiana vissuta dai nostri confratelli coadiutori è una vocazione di grande attualità e di grandi possibilità per il lavoro educativo pastorale nella società di oggi, in contesti nei quali non è accettata la figura del presbitero.
Sappiamo bene che la nostra unica vocazione religiosa, vissuta come chierici e laici, manifesta la fondamentale uguaglianza tra noi e una profonda unità. La dimensione secolare della vocazione del consente al salesiano coadiutore di vivere le caratteristiche della vita religiosa come consacrato laico. Egli partecipa alla vita e alla missione del Signore all’interno della Chiesa a partire dall’esercizio del suo sacerdozio battesimale, per svolgere la missione di evangelizzazione e santificazione non sacramentale come propria della sua consacrazione religiosa, e per esercitare il suo apostolato come educatore di giovani in tantissime dimensioni della vita, nel mondo del lavoro e nell’esperienza di molteplici valori umani e cristiani.
Don Ricaldone ha espresso questo senso di unità nella vita e nella missione dei Salesiani sacerdoti e laici (coadiutori) dicendo: «I figli di S. Giovanni Bosco hanno bisogno di affiancarsi, di completarsi, di procedere fraternamente uniti nell'attuazione delle identiche finalità della loro missione (...). Essi non sono elementi separati, o comecchessia divergenti, ma gli eredi, gli strumenti, gli esecutori di uno stesso divino programma»24.
Perciò il mio appello oggi diventa un grido, che chiama a prendere molto seriamente la situazione, là dove la figura del coadiutore salesiano sta diventando inesistente: questo non è un problema che altri devono risolvere, ma riguarda l’affetto per una specifica vocazione, che ciascuno di noi deve dimostrare in modo sempre più visibile.
2.6. “Capacità vocazionale”
Questa è l’espressione utilizzata da don Vecchi nel discorso di chiusura del CG24 per riferirsi a una caratteristica, quella, appunto, della capacità vocazionale, come qualità essenziale «che deve contraddistiguere ogni confratello e comunità salesiana»25.
Ecco un’altra delle grandi sfide che oggi ci interpellano e che sono permanenti: sempre e per sempre!
Non nascondiamoci che, pur avendo una media di circa 440 novizi ogni anno, continuano ancora ad esserci grandi cambiamenti e trasformazioni nella nostra “geografia vocazionale”:
In generale la percentuale di novizi che emettono la prima professione è in continuo aumento in tutte le regioni della Congregazione e la perseveranza negli anni della formazione iniziale cresce significativamente, attestandosi tra il 25 e il 32% in più rispetto agli ultimi 15 anni, nonostante il calo del numero dei novizi.
Sta però diminuendo la “risposta vocazionale” dei candidati alla vita salesiana in Europa, nella Regione Interamerica e nell’America Cono Sud. Si riduce il numero, rispetto agli anni precedenti, in tutte le ispettorie dell’India, in alcune ispettorie dell’Africa e in alcune dell’Asia Est Oceania.
Altre ispettorie in Africa e qualcuna dell’Asia Est Oceania stanno sperimentando una crescita vocazionale.
Certamente dobbiamo prestare attenzione a questi cambiamenti ed evoluzioni.
Occorre prenderne coscienza e approfondirne l’interpretazione anche alla luce dei dati statistici. La “capacità vocazionale” dovrebbe essere una caratteristica distintiva di ogni salesiano. Favorendo una vera pastorale giovanile e un’educazione alla fede autentica, essa conduce alla cultura vocazionale, dove sono possibili tutte le opzioni di vita, anche la vita consacrata.
Sappiamo che «educhiamo i giovani a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo»26. Perciò nella nostra prassi pedagogica salesiana la scelta vocazionale rappresenta il frutto maturo al quale ogni giovane dovrebbe giungere nella propria crescita umana e cristiana. Il nostro modello educativo ha elementi molto belli, che dovrebbero essere la sostanza della nostra capacità vocazionale, del nostro credere fermamente che anche questi tempi sono favorevoli per una semina di speranza. Aiutare ogni ragazzo, ragazza e giovane, incoraggiarli nella stima di sé stessi, accompagnarli nella scoperta dei tanti valori presenti nel loro cuore e nella loro vita, aiutare i giovani a scoprire che quando c’è il dono di sé ci si sente più felici, e per questa ragione ci si esercita nella generosità e nella disponibilità; essere in grado, secondo i ritmi di ogni giovane, di fare proposte esplicite per tutti i tipi di vocazioni (anche quando viene intuita la chiamata alla vita consacrata), favorendone l’accompagnamento e il discernimento: tutto questo fa parte della nostra capacità vocazionale naturale. Senza dubbio una speranza e una sfida importante per il nostro futuro immediato.
Non intendo aggiungere altro su questo argomento. Per manifestare l’urgenza di questa sfida ritengo sufficiente richiamare quanto scritto al termine del CG28: «Siamo evangelizzatori dei giovani e, come Congregazione, come comunità ispettoriali e locali concrete, dobbiamo vivere e crescere in una vera predilezione pastorale per i giovani. Sarà molto difficile riuscirvi se non diamo precedenza e urgenza all’annuncio del Signore Gesù ai giovani e, allo stesso tempo, se siamo capaci di accompagnarli nella loro realtà di vita. Dovrebbe essere un nostro punto forte: accompagnare ogni giovane nella sua situazione, ma spesso è un compito che lasciamo ad altri o che diciamo di non saper svolgere. In questo accompagnamento, è di vitale importanza iniziare alla cultura vocazionale di cui tanto ci hanno parlato. Non ci siamo ancora riusciti»27.
3. RISPONDERE AI BISOGNI DELL’ANIMAZIONE E DEL GOVERNO
3.1. Animazione del Rettor Maggiore nelle visite alla Congregazione durante il sessennio
Uno degli obiettivi che ho inteso perseguire come Rettor Maggiore, che ho condiviso con il Consiglio generale e che insieme abbiamo valutato molto positivamente, è stato quello di accompagnare, per quanto possibile, le ispettorie della Congregazione. Per questo le visite di animazione e l’aiuto al governo delle ispettorie da parte del Rettor Maggiore sono stati importanti e significativi.
Durante il sessennio ho avuto la possibilità di visitare tutte le ispettorie e tutte le visitatorie della Congregazione, così come varie delegazioni che, pur appartenendo al territorio di un’ispettoria o di una visitatoria, hanno la caratteristica di essere presenti in un particolare contesto geografico. È il caso, ad esempio, della Bielorussia, della Mongolia, del Nepal, ecc.
Evidentemente la realizzazione di queste visite ha richiesto uno sforzo notevole e un continuo esercizio di disciplina e metodo nella programmazione dell’agenda del Rettor Maggiore. In ogni caso, questo impegno è stato ben ricompensato dalla gioia di poter offrire ai confratelli l’opportunità di esprimere fortemente la comunione con il resto della Congregazione.
I paesi visitati sono stati 100.
I confratelli salesiani che ho potuto salutare e incontrare, ai quali ho potuto offrire una parola e con i quali ho celebrato l’Eucaristia e condiviso momenti conviviali, sono stati circa 13.100; approssimativamente il 92,25% della Congregazione. Senza dubbio questo è stato un degli aspetti più significativi del sessennio. In molte occasioni ho ripetuto che il fatto che il Rettor Maggiore possa incontrare personalmente i propri confratelli salesiani è molto importante e gratificante e da solo giustifica pienamente la possibilità per il Rettor Maggiore di viaggiare attraverso il mondo salesiano nei sei anni del suo mandato. Allo stesso tempo, è stato molto significativo per me poter conoscere tutte le ispettorie e raccogliere molti elementi proficui per adempiere il mio compito come Rettor Maggiore e per aiutare il Consiglio generale nell’esercizio del servizio di animazione e di governo della Congregazione.
Nelle stesse visite mi sono incontrato con i diversi gruppi della Famiglia salesiana di tutto il mondo. È stata un’esperienza molto significativa e, allo stesso tempo, eccezionale. Mi ha permesso di constatare la bella realtà che abbiamo, lo straordinario senso di appartenenza e la comunione esistente, così come la riconoscenza da parte di tutti i gruppi verso il Rettor Maggiore come padre di tutta la Famiglia salesiana, riferimento e garante della comunione carismatica nel nome di Don Bosco.
Tutte le ispettorie e le visitatorie del mondo hanno sempre preparato attentamente la visita del Rettor Maggiore, ritenendola un’opportunità straordinaria. Non sono mai mancati i seguenti incontri del Rettor Maggiore:
L’incontro con i confratelli, ripetuto in uno, due o tre luoghi, in modo che il maggior numero potesse partecipare.
L’incontro con i membri del consiglio ispettoriale, della durata di varie ore. A questi incontri spesso è stato presente il Consigliere regionale della zona.
L’incontro, in una, due o tre sedi, con la Famiglia salesiana del paese o del territorio nel quale opera un’ispettoria.
Uno o più incontri significativi con i giovani di ciascuna ispettoria.
3.2. Animazione e governo della Congregazione e delle ispettorie
Fin dall’inizio del sessennio abbiamo percepito molto chiaramente che l’animazione e il governo della Congregazione, sia a livello mondiale sia a livello delle singole ispettorie, dovevano essere una priorità. La storia ormai ultracentenaria della Congregazione insegna che un’animazione senza governo porta a uno stato di apparente tranquillità, nel quale si può ritenere legittimo fare tutto ciò che si vuole, ma che in fondo lascia una grande insoddisfazione, dal momento che non corrisponde all’essenza né della vita religiosa né della vita salesiana. D’altra parte un governo senza animazione, presenza fraterna, paternità e accompagnamento, diventerebbe gestione meramente autoritaria e danneggerebbe gravemente la Congregazione e le ispettorie.
Per questa ragione all’inizio del sessennio abbiamo scelto come priorità la vicinanza e l’accompagnamento dell’Ispettore e del suo Consiglio come aiuto all’animazione e al governo delle ispettorie. Questo impegno si è concretizzato in due iniziative che, a giudizio degli stessi ispettori che le hanno vissute, sono state di grande aiuto.
Il primo incontro con l’Ispettore e la consegna della “Carta di navigazione”
Una volta mostrata la propria disponibilità a prestare servizio come ispettore, il confratello è convocato a Roma, circa un mese dopo la nomina, per incontrarsi personalmente con il Rettor Maggiore, con il suo Vicario, con l’Economo generale e i consiglieri generali dei settori. Alla conclusione della visita, il Rettor Maggiore consegna al nuovo ispettore una lettera nella quale si ringrazia per la disponibilità, si comunica ciò che i confratelli dell’Ispettoria hanno espresso nella consultazione per il discernimento in vista della nomina (gli elementi di forza e di debolezza dell’Ispettoria) e, infine, si offrono alcune indicazioni su ciò che deve tenere in alta considerazione all’inizio del proprio servizio. Questa “carta di navigazione” è anzitutto uno strumento per l’ispettore e il suo Consiglio, che – se lo riterranno opportuno – potrà essere fatta conoscere almeno ai direttori o anche a tutti i confratelli.
Come ho detto, fino ad oggi tutti gli ispettori hanno sottolineato e apprezzato il grande aiuto fornito attraverso queste indicazioni come guida per l’inizio del loro servizio.
Settimana di spiritualità degli ispettori all’inizio del loro quarto anno.
Alla fine del terzo o all’inizio del quarto anno del loro servizio, gli ispettori – solitamente in gruppo di 10-14 – si ritrovano a Torino durante l’ultima settimana del mese di settembre, che coincide con l’incontro della consegna dei crocifissi ai confratelli missionari appartenenti alla spedizione missionaria annuale. Si tratta di una settimana di spiritualità, di tranquillità, di preghiera e salesianità sui luoghi della nostra memoria storica; gli ispettori hanno spazi abbondanti di preghiera, di riflessione, che consentono al Signore e alla santità salesiana del posto di toccare il loro cuore. A loro è data la possibilità di incontrare sia il Rettor Maggiore sia il suo Vicario, con lo scopo di rivedere il servizio dei primi tre anni, tracciandone un primo bilancio, e di progettare il tempo restante con serenità e speranza.
Fino ad oggi, tutti gli ispettori hanno descritto questo tempo come uno dei più belli e intensi della loro vita salesiana, lontano dalle urgenze e dai ritmi esigenti della loro giornata nelle proprie ispettorie.
Con queste due nuove iniziative del sessennio, che si sono aggiunte all’incontro di formazione dei nuovi ispettori e alle visite di insieme, entrambe patrimonio della nostra tradizione salesiana, si è svolto un autentico accompagnamento degli ispettori e dei loro rispettivi consigli. Questo ha permesso di aiutare e sostenere moltissimo soprattutto gli ispettori, rendendo concreta e visibile la vicinanza del Rettor Maggiore e del suo Consiglio nei confronti di ciascuno. Ha permesso anche di conoscere da vicino la vita delle ispettorie, inclusa la loro quotidianità. In questo modo il Rettor Maggiore ha potuto avere una maggiore e migliore conoscenza delle ispettorie, come anche la comprensione dei bisogni e delle difficoltà propri di ciascuna realtà della Congregazione.
Vicinanza alle ispettorie con particolari difficoltà
La vita delle ispettorie non è né omogenea né uniforme. Pur essendo unica l’identità carismatica, la storia particolare di ciascuna ispettoria, il cammino tipico, in alcuni casi anche centenario e in altri solo di recente fondazione, le differenze culturali, etniche, sociali, razziali e nazionali, hanno fatto sì che alcune di essere si trovassero a vivere particolari difficoltà nel governo, nella gestione dei beni, nella crisi politica ed economica del proprio paese, nei conflitti armati, ecc.
L’elenco delle ispettorie che hanno avuto bisogno del sostegno, non solo economico, ma di animazione e di governo è lungo. Credo di poter affermare che il Rettor Maggiore e il suo Consiglio hanno dato priorità alla vicinanza a queste ispettorie e a questi confratelli. In alcuni casi sia il Rettor Maggiore, il suo Vicario e l’Economo generale sia i consiglieri di settore si sono resi giustamente presenti per accompagnare e aiutare le ispettorie in particolari difficoltà.
3.3. L’azione di governo del Rettor Maggiore e del suo Consiglio nella nomina degli ispettori, dei consiglieri ispettoriali e dei direttori delle comunità salesiane di tutto il mondo
Potrebbe essere ovvio, ma intendo dare risalto a ciò che nel Consiglio generale abbiamo curato con particolare attenzione, in quanto argomento della massima importanza, e cioè la nomina degli ispettori. Abbiamo tenuto in altissima considerazione i risultati della consultazione, prendendoci il tempo necessario per fare un corretto discernimento. Abbiamo sempre cercato di nominare l’ispettore più idoneo per il momento dell’ispettoria, secondo le possibilità. Posso affermare che siamo contenti di come abbiamo portato avanti questo compito. E possiamo dire lo stesso in merito alla nomina dei consiglieri ispettoriali. Abbiamo dedicato molto tempo, abbiamo discusso su ciascuna persona grazie anche al fatto che alcuni o molti membri del Consiglio generale conoscevano bene i candidati.
Non è stata meno rilevante l’attenzione prestata ai direttori delle comunità. In alcune occasioni abbiamo dovuto sospendere l’approvazione delle nomine per chiedere chiarimenti oppure per comunicare che esse non potevano essere accettate per qualche controindicazione esistente.
Più esigente è stato il processo per identificare e nominare i direttori per le case di formazione delle regioni. Grazie a questa fatica e a questo discernimento abbiamo la certezza – per quanto umanamente nelle nostre possibilità – di aver assicurato nelle comunità buoni candidati. Varie volte abbiamo chiesto a un ispettore o a un gruppo di ispettori del curatorium di cercare un candidato con un profilo più adeguato, perchè siamo convinti che le tappe della formazione iniziale condizionano il presente e molto di più il futuro della Congregazione.
3.4. Maggiore valorizzazione del servizio del Vicario dell’Ispettore
«Il vicario è il primo collaboratore dell’ispettore in tutto ciò che riguarda il governo ordinario dell’ispettoria e nelle cose di cui abbia ricevuto speciale incarico». Con queste parole le nostre Costituzioni all’art. 168 definiscono la funzione e la figura del Vicario dell’Ispettore. Sembrerebbe che non ci sia nulla da aggiungere. Tuttavia, in questi anni abbiamo constatato come, nella maggior parte delle ispettorie, il Vicario dell’Ispettore sia stato di vitale importanza come aiuto per l’Ispettore, collaborando con lui per il mantenimento di un buono stato di salute dell’ispettoria, affrontando con lui le situazioni più difficili e assumendo in prima persona il servizio di accompagnamento per la soluzione delle situazioni irregolari, ecc.
Purtroppo c’è da segnalare che un buon numero di ispettorie non ha un Vicario a tempo pieno per lo svolgimento delle funzioni a lui assegnate. La carenza di forze porta purtroppo l’ispettore a chiedere al suo Vicario, che è anche il direttore di una casa – magari complessa e tale da occuparlo permanentemente – tante altre incombenze impedendogli, di fatto, di svolgere le proprie funzioni, al di là dei dialoghi con l’ispettore e della presenza nel Consiglio ispettoriale.
3.5. Un sessennio di “purificazione”
Se nelle relazioni dei due sessenni precedenti il Rettor Maggiore parlava di due questioni sulle quali riflettere – una delle due riguardava gli abusi sessuali – credo di poter fare una valutazione ponderata e serena affermando che abbiamo vissuto in Congregazione un sessennio di grazia e serenità sotto moltissimi aspetti e, allo stesso tempo, un sessennio che, con dolore, ci sta portando e ci porterà verso un’autentica “purificazione”, che ci renderà sempre più fedeli alla chiamata ricevuta da Dio.
All’inizio del sessennio abbiamo constatato che la Congregazione era gravata da un carico pensante. Era il peso dell’abbondante numero di situazioni conosciute come “irregolari”. Alcune più recenti e altre da molto tempo irrisolte, sia per disattenzione e dimenticanza sia per non avere trovato il modo di affrontarle, a causa della debolezza di alcuni che non sanno come accostare e risolvere situazioni dolorose. Il lavoro svolto nel Consiglio generale accostando queste situazioni, in sintonia con le rispettive ispettorie e non senza insistenza da parte nostra, ha portato a soluzione molte di queste situazioni.
Devo però sottolineare che ciò che conta non è la soluzione di una situazione irregolare in se stessa, bensì il fatto che come Congregazione ci sentiamo più liberi, più sollevati e in grado di prendere consapevolezza sempre maggiore che il percorso della fedeltà vocazionale non conosce scorciatoie. Come confratelli siamo e saremo più coscienti della fragilità intrinseca che ci riguarda e, contemporaneamente, sentiamo che, dicendo Salesiani di Don Bosco, stiamo affermando, anche ora, il desiderio di volere essere salesiani come Don Bosco ci ha sognato, per vivere la nostra vita come religiosi consacrati con la massima autenticità possibile. In tal senso questa purificazione è grazia e benedizione.
3.6. Perché «frate o non frate, io resto con Don Bosco»28.
Con il riferimento a Giovanni Cagliero, questo carissimo confratello, grande missionario e uomo di Congregazione, desidero alludere a un altro aspetto che – ve lo confesso – crea in me molta sofferenza. Mi riferisco a quei confratelli – da 20 a 25 ogni anno – che, con il consenso del Consiglio generale, presentano al Santo Padre la domanda di lasciare la Congregazione in vista della loro incardinazione secondo il diritto canonico in una diocesi, precedentemente individuata.
Il dolore non riguarda la perdita di un confratello – in generale, a meno che il Vescovo dopo un po’non li rifiuti, di solito non ritornano più nella Congregazione – né il fatto che se ne vada dopo essersi formato intellettualmente e con un buon bagaglio di esperienza. Non si tratta di questo. Ciò che mi duole è ciò che mi fa domandare: dove sta l’amore per Don Bosco che ha portato il giovane Giovanni Cagliero a pronunciare quell’espressione così pregnante?
Solitamente quei confratelli dicono di portare Don Bosco nel cuore. E non ho motivi per dubitarne. Ma non è lo stesso. Faranno bene come preti. Certamente. Ma non è lo stesso. Il cuore del salesiano, anche del salesiano prete, è un cuore che pensa e sogna, soffre e si spende nella donazione e nel servizio ai giovani. È il cuore di chi come Don Bosco afferma: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani»29. È il cuore di chi è amico, fratello e padre per quei ragazzi che non hanno né amico, né fratello né padre; e senza dubbio i giovani non troveranno tutto questo in quei confratelli, perché essi li lasceranno per vivere diversamente. È il cuore del salesiano che ama la propria Congregazione e i confratelli e per questo ha professato davanti a Dio: «in piena libertà mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai, specialmente ai giovani più poveri, a vivere nella Società salesiana in fraterna comunione di spirito e di azione»30.
Che cosa c’è dietro a questa scelta?
Gli studiosi rilevano soprattutto questi segnali di debolezza: «frequenti abbandoni della vita religiosa a favore della vita sacerdotale parrocchiale, la facile assunzione di parrocchie da parte degli Istituti e da questi considerate luogo di rifugio e riciclaggio anziché veri e propri centri di missione (...), le incertezze dei giovani che fanno fatica a comprendere, durante la formazione, l’identità specifica del religioso presbitero e sperimentano situazioni piene di ambiguità»31.
Sono molti gli elementi che coesistono in queste situazioni e le motivazioni non sempre sono le stesse né ugualmente chiare. Comunque sia, guardando al futuro, questo fenomeno ci insegna che abbiamo un deficit di identità carismatica salesiana.
Alla luce della riflessione del CG26 esiste il rischio, riferito in particolare ai salesiani presbiteri, sia di un genericismo pastorale, che rende irriconoscibile lo spirito del nostro Fondatore in ciò che si vive e nel modo in cui lo si trasmette, sia di un individualismo apostolico, che porta non poche volte ad assumere impegni pastorali e occupazioni lontane dalla logica della vita religiosa. Nel nome di questi apostolati si giunge a giustificare l’assenza dalla comunità, la non idoneità alla vita fraterna, il bisogno della gestione individuale di ciò che si fa, l’autonomia economica, compresa la trasparenza, ecc.
È finito il tempo in cui alcuni dicevano: «Basta con Don Bosco! Basta con la nostra autoreferenzialità!». Oggi, in un mondo sottoposto a rapidissimo cambiamento dei valori, io dico che abbiamo bisogno, come l’acqua per l’assetato, che i salesiani di oggi e di domani abbiano una forte identità carismatica, e che l’amore al Signore Gesù possa passare attraverso quella chiamata che ci ha fatto volgere lo sguardo a Don Bosco e ai ragazzi più poveri, insieme ai nostri confratelli salesiani. È chiaro che abbiamo bisogno di rendere evidente dove si trovano le radici delle due forme di vita dell’unica vocazione consacrata come Salesiani di Don Bosco.
3.7. Trasparenza e solidarietà economica e disponibilità dei confratelli
«La responsabilità, la trasparenza e la salvaguardia della fiducia sono principi inclusivi: non si dà responsabilità senza trasparenza, la trasparenza ingenera fiducia, la fiducia riscontra e l’una e l’altra»32.
La trasparenza è in parte un risultato raggiunto e allo stesso tempo una grande sfida sempre aperta. Vi posso assicurare che durante questo sessennio questa è stata una priorità per il Rettor Maggiore e il suo Consiglio, ed è stata proposta con insistenza a tutti gli ispettori della nostra Congregazione.
Dobbiamo vivere la trasparenza nelle molteplici dimensioni della nostra vita consacrata; e una cosa che tutti immediatamente comprendiamo, è ciò che si riferisce all’uso dei beni e alla loro amministrazione. È sempre in gioco una grande responsabilità nell’uso dei beni.
Segnalo alcuni aspetti di grande importanza:
Il principale e primo criterio di una corretta gestione non può essere quello dell’ottenimento di benefici e di vantaggi personali.
Le stesse scelte gestionali dovrebbero essere sempre motivate in modo coerente, nel rispetto della natura etica di ciò che viene fatto o deciso.
La responsabilità implica anche che si debba sempre rendere conto a qualcuno (c’è sempre una responsabilità davanti alla società civile, davanti alla Chiesa e davanti alla nostra Congregazione).
Questa trasparenza deve essere ricercata sapendo che le istanze di vigilanza e controllo «non devono essere intese come una limitazione dell’autonomia degli enti o come una mancanza di fiducia, bensì rappresentano un servizio alla comunione e alla trasparenza, e una tutela nei confronti di quanti svolgono compiti delicati di amministrazione»33.
Credo di poter dire che nella nostra Congregazione si va attuando un cammino progressivo in ordine alla trasparenza e alla responsabilità. L’azione insistente svolta nel corso degli anni sta producendo i suoi frutti. Un aiuto importante è dato anche dal cambiamento di mentalità propiziato dalle leggi civili, che richiedono sempre più legalità e correttezza, specialmente in alcuni continenti. Indubbiamente la dottrina e la riflessione sul buon utilizzo dei nostri mezzi sono sempre state molto chiare nel nostro magistero congregazionale, a partire dalle Costituzioni e Regolamenti fino ai vari Capitoli Generali. Dove orientamenti e disposizioni non hanno avuto seguito, è stato più per la fragilità umana e per la mancanza di capacità e competenze che per la carenza di guide e indicazioni adeguate.
A conferma di ciò riporto un’importante affermazione del Capitolo generale speciale: «Gli addetti alla gestione dei beni, oltre ad avere cura scrupolosa di una sana amministrazione che è garanzia alla osservanza della povertà individuale e collettiva, agiranno come depositari di beni della Chiesa e non si permetteranno alcun uso personale e arbitrario. Nel costante ricordo che quello che si amministra è frutto prezioso del lavoro dei confratelli e segno tangibile della Provvidenza che ci sostiene attraverso la generosità e i sacrifici, talora incalcolabili, di benefattori»34.
Vorrei evidenziare, come un risultato del cammino percorso in questo campo, la progressiva diminuzione di “furbizie” e del danno conseguente alle domande per ottenere l’aiuto finanziario da parte del Rettor Maggiore e, attraverso di lui, dalle procure missionarie. I dati presentati per chiedere aiuto nel campo della formazione sono oggi più realistici e autentici. Sono sempre meno i casi in cui si verifica che alcuni chiedono lo stesso contributo a più “agenzie” e beneficiano di questo inganno. Questa non è “furbizia”, tantomeno “evangelica”. Aiuta molto a superare queste storture il maggiore coordinamento tra l’Economato generale e le procure missionarie e la condivisione delle informazioni.
Un grande passo compiuto, sia per il suo significato sia per il reale aiuto economico fornito in questi anni difficili che abbiamo vissuto nella Direzione Generale Opere Don Bosco, con conflitti giudiziari (a causa del noto “caso Gerini”), è stata la decisione presa dal CG27 affinché la solidarietà delle ispettorie, in base alle loro diverse possibilità, potesse aiutare a sostenere il servizio di animazione e governo del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, nonché della comunità salesiana che lo aiuta a favore dell’intera Congregazione nel mondo.
Questo aiuto è stato molto importante. In non poche occasioni è servito per affrontare le situazioni di emergenza che abbiamo vissuto, sia nella sede centrale sia in qualche ispettoria. Desidero approfittare di questa opportunità per ringraziare per la generosità mostrata da parte di tutti. E rinnovo la richiesta di sostegno per questo scopo. Allo stesso tempo, nella dinamica di solidarietà e comunione, il Rettor Maggiore con il suo Consiglio accompagnerà sostenendo, specialmente attraverso le procure che dipendono direttamente da lui, quasi due terzi delle ispettorie della Congregazione, con qualche tipo di aiuto: per la formazione, la costruzione di strutture educative e altre necessità.
Ringrazio ancora per la generosità sempre crescente mostrata da parte di alcune ispettorie più solide sotto il profilo economico nei confronti di quelle più povere. È molto significativo e bello.
Infine, voglio sottolineare una forma di solidarietà ancora più importante di quella ricordata finora. Mi riferisco alla solidarietà legata allo scambio di confratelli tra le diverse ispettorie. Non c’è bisogno di dire molto di più di ciò che tutti conosciamo. Tutti professiamo come Salesiani di Don Bosco nella Congregazione salesiana. La professione religiosa davanti a Dio non si fa né per un’ispettoria né per una nazione. Per questo motivo, cari confratelli, il prossimo sessennio, dopo un timido inizio in quello passato, dovrà distinguersi ancora di più per questo scambio reciproco, donazione, disponibilità da parte dei confratelli delle ispettorie che hanno la grazia di un maggior numero di vocazioni – e che di solito sono le più povere – a favore della missione pastorale e giovanile che la Congregazione è chiamata a svolgere in ogni parte del mondo. Ci stanno chiamando da tante nazioni per aprire nuove presenze e non possiamo rifiutare di rispondere per mancanza di disponibilità. Indubbiamente dovremo fare passi significativi in questa direzione. Non sembrerebbe molto giusto che le ispettorie che hanno più vocazioni e crescono maggiormente continuino ad accettare volentieri aiuti di ogni tipo dal resto della Congregazione, ma non siano disposte a offrire la ricchezza che possiedono. Una ricchezza che, come negli Atti degli Apostoli, non è fatta né d’oro né d’argento, ma è lo stesso Gesù Cristo Signore nella persona dei confratelli salesiani disposti a servire generosamente ovunque siano richiesti dalle necessità.
3.8. Provvidenza e grazia: dal caso Gerini al Sacro Cuore (Roma)
Mentre scrivo questa relazione per il Capitolo generale, si sta facendo un tentativo finale per risolvere la lunga disputa del “caso Gerini”, se possibile, con un accordo che avrebbe vantaggi non solo per i nostri avversari ma anche per noi. Nella precedente relazione al CG27 il Rettor Maggiore riferiva di questo “caso”, il cui conflitto si era ulteriormente accentuato a partire dal 2007, quando una transazione con le controparti fu firmata nel giugno di quell’anno coinvolgendo come garante la Direzione Generale (cioè la Congregazione, noi salesiani) e non la Fondazione Gerini, che è il vero oggetto della contesa35. La situazione si è notevolmente aggravata all’esito di un “arbitrato legale” che ha valutato in modo errato ed esagerato il valore del patrimonio della Fondazione e conseguentemente ha messo la Direzione Generale nella situazione di dover corrispondere importi economici esorbitanti, mai posseduti e impossibili da avere. Tutto ciò ha giustificato anche la nostra resistenza, attraverso mezzi legali e giudiziari per cercare di impedire agli avversari di conseguire questo iniquo e sproporzionato vantaggio economico. Da allora (2007) ci sono stati dodici anni di contenziosi faticosi e costosi nelle aule dei tribunali.
In questi sei anni è stato pure firmato un accordo con la Fondazione Gerini che si impegna, attraverso la vendita dei suoi beni, a restituire alla Congregazione quanto la Direzione Generale ha anticipato per assolvere gli obblighi come garante della transazione del 2007.
In questo sessennio, precisamente nel mese di giugno 2017, i nostri avversari sono diventati proprietari, grazie all’ordine esecutivo firmato dal giudice, della nostra Casa generalizia nota come La Pisana. La loro intenzione era quella di esercitare la massima pressione al fine di ottenere il denaro come controvalore della Pisana. In cambio essi avrebbero restituito la proprietà della casa nella quale vivevamo.
Posso assicurare al Capitolo generale e a tutta la Congregazione che il momento era molto delicato. Tuttavia, era chiarissima per me e per il Consiglio generale una convinzione: non fare mai nulla che potesse lasciare ai futuri Rettori Maggiori un grande debito per molti anni! Altre soluzioni si sarebbero potute trovare, ma non questa. Allo stesso tempo non avevamo dimenticato il suggerimento ascoltato durante il CG27 sulla nostra permanenza nella sede della Pisana. Alla luce di tutto ciò, abbiamo compiuto un sereno discernimento nella fede prendendo la decisione – penso coraggiosa – di lasciare la Casa generalizia della Pisana. Dunque non di “perderla” ma di “lasciarla” ai nostri avversari secondo il valore stabilito dal giudice. In questo modo il debito nei loro confronti si sarebbe abbassato, come di fatto è avvenuto.
Non avevamo nessun altro posto dove andare. E avremmo dovuto lasciare libera una casa così significativa, con 50 anni di storia, con realtà uniche come, ad esempio, l’archivio storico centrale salesiano, in tre mesi. Ma la decisione è stata ferma e chiara.
La disponibilità dei confratelli della comunità della casa generalizia è stata esemplare. In tre mesi ci siamo trasferiti al Sacro Cuore di Roma, una casa appartenente all’Ispettoria ICC. Questi confratelli ci hanno accolto con grande generosità, mettendoci a disposizione tutti gli spazi necessari.
In quel momento ho informato l’intera Congregazione. La decisione presa è stata accolta molto bene in ogni parte del mondo, sia da parte dei confratelli salesiani sia da parte dei membri appartenenti ai gruppi della Famiglia Salesiana.
Papa Francesco stesso mi disse, in un’udienza provata, che aveva pregato molto per noi e che era felice della decisione presa per ciò che significava e testimoniava.
Per queste ragioni ritengo di poter affermare che abbiamo vissuto un tempo di vera Provvidenza e grazia del Signore.
Dopo un anno e mezzo, condividendo gli spazi della casa con l’Ispettore ICC e il suo Consiglio e con la comunità del Sacro Cuore, attraverso dialoghi e contatti frequenti, siamo arrivati alla decisione di rendere definitivamente il Sacro Cuore, presenza emblematica voluta dallo stesso Don Bosco e che costò a lui tante fatiche, Sede centrale del Rettor Maggiore e del suo Consiglio e della comunità che con loro collabora nei vari servizi alla Congregazione e alla Famiglia salesiana nel mondo. L’Ispettoria ICC ha individuato una sede idonea per trasferirvi i propri uffici e comunità; e lo stesso ha fatto il Centro Nazionale di Pastorale Giovanile delle ispettorie italiane (CISI). Le spese per la ristrutturazione degli spazi per l’accoglienza delle due nuove comunità e dei loro rispettivi servizi è stato sostenuto dal Rettor Maggiore e dal suo Consiglio. Inoltre, l’Ispettoria ICC sarà rimborsata per il valore economico della casa del Sacro Cuore (ad eccezione della Basilica).
4. GUARDANDO AL FUTURO CON FEDE E SPERANZA
4.1. Una speranza fondata in «colui nel quale ho posto la mia fede» (2 Tm 1,12)
Nella Lettera apostolica inviata a tutti i consacrati in occasione dell’Anno dedicato alla Vita consacrata, papa Francesco ha indicato tre obiettivi molto precisi: guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione e abbracciare il futuro con speranza36.
Ritengo che ciò che il Santo Padre propone per tutta la vita religiosa sia applicabile senza alcun dubbio alla nostra Congregazione e possa diventare un programma per il nostro CG28. Anche noi abbiamo un grande passato da contemplare con autentica gratitudine, ringraziando lo Spirito Santo per il grande dono che il nostro amato padre Don Bosco è stato per la Chiesa e la Famiglia salesiana.
Non c’è dubbio che il presente sia vissuto da molti confratelli con autentica passione educativa ed evangelizzatrice, come fu per Don Bosco; con la stessa passione per la salvezza dei giovani che animò Don Bosco, vero evangelizzatore e catechista, grande educatore nella fede, con una forte e tenera devozione per la Vergine Maria, Immacolata e Ausiliatrice.
Però questa chiamata all’autenticità passa oggi attraverso un futuro abbracciato con speranza. Non ci nascondiamo le difficoltà che la vita consacrata vive, e noi in essa. Sono le difficoltà di cui parla lo stesso Papa37: calo delle vocazioni, invecchiamento soprattutto nel mondo occidentale, problemi economici, sfida dell’internazionalità e della globalizzazione, insidie del relativismo, marginalizzazione, irrilevanza sociale, ecc.
Senza dubbio ci riconosciamo nella realtà di cui parla il Papa; ma è in queste difficoltà, che condividiamo con tanti religiosi e religiose del mondo, che dobbiamo realizzare la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia, che ci accompagna ripetendo: «Non aver paura ... perché sono con te»38.
Sebbene moderatamente, anche la nostra Congregazione ha subito una diminuzione numerica durante il sessennio. Ma la speranza di cui parliamo non si basa né sui numeri né sulle opere; e neppure possiamo cedere alla tentazione di rifugiarci nella ricerca dell’efficienza, confidando solo nelle nostre forze. È necessaria un’altra visione. Si tratta della speranza che si fonda in Colui nel quale abbiamo riposto la nostra fiducia e che ci sostiene39. Solo una forte esperienza di Dio può sostenere e dare solido fondamento alla nostra vita religiosa, diventando sua sorgente e sua principale missione, in grado di farci testimoniare Dio con la nostra vita. In caso contrario, corriamo il rischio di non comunicare nulla di prezioso e di non comprendere il nostro compito specifico come religiosi e salesiani nel mondo di oggi.
Il nostro CG28 dovrà avere un sguardo profetico non tanto per indicare le vie mediante le quali la Congregazione possa semplicemente “sopravvivere” per alcuni decenni, quanto piuttosto per offrire la freschezza di un carisma che cerchiamo di incarnare, pur con i nostri limiti, con il grande desiderio di essere Don Bosco oggi, nel XXI secolo e nel futuro. Personalmente considero un “peccato” carismatico preoccuparsi solo della “sopravvivenza”. La nostra Congregazione non può cadere per nessuna ragione in questa tentazione. Penso che non abbiamo ceduto alla tentazione, ma dobbiamo stare sempre attenti ed essere molto vigilanti in questo. Solo rimanendo “cercatori di Dio” ci libereremo dall’immobilismo, dalla tentazione dello sconforto e dalla stagnazione, e potremo vivere per la missione, ricevuta come una chiamata di Dio in Don Bosco.
Il futuro della nostra Congregazione dovrà essere attraversato dalla speranza nella quale «come per Don Bosco, così per noi il primato di Dio è il fulcro che dà ragione della nostra esistenza nella Chiesa e nel mondo. Tale primato dà senso alla nostra vita consacrata, ci fa evitare il rischio di lasciarci assorbire dalle attività, dimenticando di essere essenzialmente “cercatori di Dio” e testimoni del suo amore in mezzo ai giovani e ai più poveri. Siamo, dunque, chiamati a ricondurre il nostro cuore, la nostra mente e tutte le energie al “principio” e alle “origini”»40 del nostro carisma e della chiamata vocazionale per ciascuno di noi. Con questa chiarezza faremo la scelta decisa per ciò che era essenziale per Don Bosco: condurre i ragazzi all’incontro con Gesù!
4.2. Dio continua a benedirci. La sfida di una formazione attenta, coraggiosa e responsabile
Sicuramente ricordiamo che nel sessennio precedente vocazione e formazione è stato uno dei temi che ha occupato il Rettor Maggiore e il suo Consiglio41. Ebbene, posso assicurare l’Assemblea capitolare e l’intera Congregazione, da voi rappresentata, che anche durante questo sessennio la formazione iniziale e permanente nella Congregazione sono state una vera priorità. Si è lavorato molto intensamente, con maggiori successi nella formazione iniziale in tutte le sue fasi, nella riconfigurazione delle case di formazione della Congregazione, nella preparazione dei formatori e nella costituzione di buone équipes formative in grado di accompagnare le diverse tappe.
Le mancanze maggiori si riscontrano nella formazione permanente, questione non ancora risolta in modo soddisfacente, nonostante le tante e ripetute iniziative e le proposte formative già consolidate.
Negli ultimi tre sessenni la Congregazione ha fatto passi significativi in ciò che si riferisce all’identità salesiana come consacrati e all’impegno per un migliore accompagnamento nella formazione permanente e iniziale. Penso di poter affermare che in questi ultimi sei anni si è svolto un lavoro importante nel conseguire un migliore coordinamento e un’efficace collaborazione tra i vari dicasteri o settori.
In stretta continuità con il sessennio precedente, dal 2014 al 2020 si è cercato di favorire una migliore comprensione della vocazione consacrata salesiana nelle sue due forme specifiche. È stato fatto un buon cammino, tuttavia abbiamo il compito di aiutare ciascun confratello e ciascuna comunità a vivere con profondità e convinzione sempre maggiori la nostra identità di consacrati. Il CG28 potrà dire la propria parola, ma molto probabilmente vedremo chiaramente che i Salesiani dei quali ha bisogno la gioventù di oggi devono essere persone che vivono la loro vocazione come persone consacrate, coadiutori o presbiteri, con un profondo senso di Dio, una profonda convinzione, una totale trasparenza di vita e grande gioia interiore ed esteriore.
Anche se il numero di candidati alla vita salesiana è molto diverso secondo le regioni. Come Congregazione consideriamo una benedizione del Signore il numero di novizi che ogni anno iniziano la vita salesiana. Senza dubbio il Signore si aspetta che il nostro lavoro nella pastorale giovanile e nell’accompagnamento continui dando molto frutto.
Ci sono altri segni che, umanamente, ci parlano della speranza e del cammino deciso che dovremo seguire nei prossimi anni:
La riduzione numerica di questo sessennio, considerate le situazioni irregolari affrontate e risolte, è stata significativamente minore che in passato. Nel mese di dicembre 2013 l’Annuario della Congregazione elencava 14.371 salesiani e 122 vescovi. Oggi i salesiani sono in totale 14.184.
La differenza si comprende meglio e si riconosce la tendenza positiva se si tiene conto del fatto che in questi cinque anni sono state risolte 583 situazioni irregolari: si trattava soprattutto di confratelli che apparivano formalmente ancora salesiani e che da anni avevano lasciato la Congregazione. Il vero calo numerico in questi cinque anni è stato quindi di circa 100 fratelli. Questo “contenimento” può infondere molta speranza per il futuro a patto che ci si prenda cura costante della vocazione dei confratelli, prima di tutto di noi stessi e della comunità locale e ispettoriale di cui siamo parte.
Anche la percentuale degli abbandoni nelle tappe formative è calato leggermente, riducendo il numero delle uscite in questo sessennio.
L’esercizio di ascolto realizzato con lo studio e l’inchiesta, rivolta a più di 3.000 confratelli in formazione e ai loro formatori, ha evidenziato alcuni punti deboli della formazione iniziale. Essere consapevoli di questo è un aiuto per crescere.
Il discernimento vocazionale nella pastorale giovanile e negli aspirantati e prenoviziati aiuterà, come è avvenuto negli ultimi 15 anni, a conseguire una maggiore perseveranza sia nel noviziato sia nel periodo della professione temporanea.
Crediamo inoltre che processi adeguati di discernimento e di accompagnamento nell’animazione vocazionale porteranno a un significativo miglioramento nella formazione e a una diminuzione del fenomeno della fragilità vocazionale, specialmente in alcune regioni della Congregazione.
La preparazione sempre più attenta dei formatori rappresenta un’altra grande opportunità; in questa direzione dobbiamo continuare la linea potenziata nel sessennio. È stato compiuto uno sforzo importante per la formazione dei formatori e delle équipes di formazione nelle varie fasi. Sono stati fatti dei passi. Tuttavia, ci sono situazioni nella Congregazione segnate ancora da notevoli fragilità. Cimentarsi nella formazione dei formatori, in vista di fornire loro le competenze necessarie al proprio compito, è un percorso lungo e impegnativo. In ogni caso, siamo fiduciosi per i frutti che esso porterà nella formazione.
La nostra formazione non può essere qualcosa di astratto. La missione del salesiano per i giovani di oggi condiziona la formazione del salesiano. È importante aiutare i giovani salesiani a scoprire vitalmente che la missione oggi è una missione condivisa con i laici e, a volte, con altri consacrati. Fin dall’inizio della Congregazione ci siamo formati nella missione e dalla missione. Ciò che si è vissuto a Valdocco con Don Bosco continua ad essere modello per noi oggi.
Nella formazione del salesiano di oggi l’ascolto e il dialogo, il rispetto e l’accoglienza dei ritmi personali di crescita e maturazione devono caratterizzare i prossimi anni. Formare non significa “formattare” e il “camminare con” deve portare a processi di autentica crescita e trasformazione personale. Questo impegno richiede ai formatori una chiara visione e la flessibilità necessaria per accettare di essere sempre in cammino. In questo senso si parla di formatori capaci di vivere in continuo “esodo”.
La speranza della quale parliamo sarà veramente rafforzata dalle azioni che faremo e che daranno autentica continuità alle diverse fasi della formazione.
Infine, dobbiamo crescere nella convinzione che la formazione dura tutta la vita e, per questo, si devono accompagnare tutte le fasi della vita, anche la fase della maturità salesiana e dell’anzianità.
Questa visione che la Congregazione ha oggi raggiunto, in seguito al cammino percorso negli ultimi decenni, è certamente da approfondire da parte di questo Capitolo Generale.
4.3. Abbiamo bisogno di te tra noi: il grido dei giovani al CG28!
Leggiamo nella lettera da Roma: «Osservai e vidi che ben pochi Preti e Chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l’anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi: altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani (...). Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell’antico oratorio. I giorni dell’amore e della confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spirito di accondiscenza e sopportazione per amor di Gesù Cristo degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti»42.
Cari confratelli, posso assicurarvi, già all’inizio del nostro CG28, che la voce dei giovani di tutto il mondo è un grido che ci chiede di stare in mezzo a loro, con loro e per loro.
In tutte le ispettorie e nazioni dove siamo presenti, quando abbiamo domandato ai giovani che cosa si aspettano da noi e che cosa vogliono da noi, il loro grido è stato proprio questo.
Senza dubbio questa riflessione ci occuperà nei prossimi giorni e probabilmente sarà una delle grandi linee programmatiche per il futuro. Perché la vita del carisma della nostra Congregazione passa attraverso un autentico e sempre permanente ritorno a Don Bosco per sostituire, dove è necessario, la gestione con la presenza, l’amministrazione con la priorità di ciascun giovane, l’autorità come potere con il servizio, fino a far diventare realtà per ciascuno di noi e ogni giorno le parole del nostro Padre: «Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità»43.
Il Magistero della nostra Congregazione è pieno di bellissime pagine ed espressioni che ci ricordano che loro, i giovani, sono la nostra priorità; siamo noi stessi, Salesiani di Don Bosco, che lo diciamo. In questo CG28 sono gli stessi giovani che ce lo gridano, ci supplicano. Di tanti brani che ho letto e sui quali ho riflettuto, ne offo uno all’Assemblea capitolare. Si tratta di alcune righe del messaggio del CG25 ai giovani, nel quale abbiamo detto loro:
Riuniti a Roma,
provenienti da tutti i Continenti,
noi, Salesiani di don Bosco,
scriviamo a voi Giovani,
perché siete la ragione della nostra vita.
(...)
Vogliamo essere con voi e per voi
nelle situazioni di povertà,
nei drammi della guerra,
nei conflitti che dividono
e ovunque la vita viene minacciata
e la crescita impedita.
Siamo con voi
nella ricerca dell’Amore,
che dà senso pieno alla vita e dona felicità.
(...)
Vogliamo dirvi che
le porte dei nostri cuori e delle nostre case
sono sempre aperte per voi44.
Continuare a realizzare queste promesse è garanzia di fedeltà a Don Bosco e, in lui, al Signore.
4.4. Una Congregazione salesiana nel secolo XXI con la priorità per i più poveri
Nel CG27 abbiamo detto: «vogliamo essere una Congregazione di poveri per i poveri. Come Don Bosco riteniamo che questo sia il nostro modo di vivere con radicalità il Vangelo, così da essere più disponibili e pronti ad aderire alle esigenze dei giovani, operando nella nostra vita un autentico esodo verso i più bisognosi. Gli immigrati, i profughi e i giovani disoccupati ci interpellano come salesiani in tutte le parti del mondo»45.
Don Bosco ha concentrato tutta la sua vita sui giovani e ha saputo adattarsi a loro, alla loro realtà e al loro ambiente. Anche noi, con lo stesso amore e la stessa volontà educativa ed evangelizzatrice, dovremo continuare a scoprire i tesori che ciascuno di loro porta nel cuore.
La nostra priorità assoluta rimangono i giovani e, tra questi, i «poveri, gli abbandonati e i pericolanti». È Don Bosco che usa frequentemente questa espressione, sin dal primo articolo delle Costituzioni da lui scritto. È quindi una «priorità all’interno della priorità: l’aiuto per i bisognosi»46. E gli ultimi capitoli generali, in un modo o in un altro, in un contesto o in un altro, hanno posto l’attenzione sempre sulla missione a favore dei giovani più poveri e bisognosi.
Il timore di non essere del tutto fedeli a questa priorità è sempre esistito. Già Don Ricceri nel CGS20 ha avvertito questo pericolo e ha invitato a correggere «certe ipertrofie di opere orientate in un senso che non testimonia chiaramente il carisma salesiano (per i poveri) e una atrofia propria di quelle opere congeniali e caratterizzanti del carisma salesiano»47.
Io stesso nel discorso di chiusura del CG27 dicevo: «oso chiedere che con il “coraggio, maturità e molta preghiera” che ci mandano ai giovani più esclusi, vediamo in ogni Ispettoria di rivedere dove dobbiamo rimanere, dove dobbiamo andare e da dove possiamo andarcene... Col loro clamore e il loro grido di dolore i giovani più bisognosi ci interpellano»48.
Credo di poter dire con onestà che in questi sei anni la Congregazione è stata attenta e vigilante rispetto a questa priorità. Ho ripetuto in tutto il mondo che quando si deve prendere una decisione, fare una scelta pastorale, di qualunque tipo, non si deve trascurare la priorità dei giovani e dei ragazzi più bisognosi. E credo che non abbiamo deviato lungo il cammino. Però allo stesso tempo devo ricordare che è molto forte la tendenza, in alcuni paesi e ispettorie, specialmente negli ambienti scolastici, di mettere al primo posto coloro che “possono pagare” dimenticando i più poveri. È una tentazione che facilmente si giustifica “a priori” con il bisogno di sostenere le opere, con la necessità di garantire la loro sostenibilità, senza cercare sufficientemente, fino alla fine, quei mezzi alternativi che garantiscano la sostenibilità delle opere e senza mai – dico mai – trasformare le nostre presenze in spazi elitari o riservati solo a coloro che hanno molte opportunità. Di fatto tra i confratelli e nelle ispettorie esiste il reale pericolo di pensare solo o soprattutto al proprio benessere e alla propria comodità, e di non essere disponibili a recarsi nelle zone più povere dell’ispettoria o lasciare le città per presenze più remote e umili. È particolarmente preoccupante che in qualche situazione alcuni giovani salesiani non abbiano nei loro cuori il desiderio della radicale consegna e donazione di se stessi, qualunque sia il prezzo da pagare o lo sforzo che devono fare.
Mentre scrivo questa riflessione, convinto dell’esistenza di tante scelte a favore dei poveri presenti nella nostra Congregazione ma anche del grande pericolo di rimanere a metà strada, rivolgo lo sguardo e penso a ciò che Madre Teresa di Calcutta (oggi Santa) ha raccomandato quando è intervenuta al CG22, il 17 aprile 1984: «Non lasciate che nessuno e niente separi il vostro amore per Cristo dall’amore per i poveri»49.
In questo CG28, guardare al futuro con speranza deve significare, anche in questo caso, ritornare a Don Bosco e proporre alla Congregazione autentiche sfide di vita che riempiano il cuore di ogni salesiano, per essere come Don Bosco oggi e per i giovani di oggi.
4.5. In una Congregazione che crede veramente nella missione condivisa con i laici
Facendo una rapida ricognizione dei nostri Capitoli generali, dal CGS20 al CG27, ho cercato, con una certa curiosità, tutti i numeri che direttamente, concretamente e ampiamente si riferiscono ai laici, alla loro formazione e al loro impegno, alla loro collaborazione, alla missione svolta condivisa... Tutte queste espressioni sono apparse in 82 numeri, più l’intero CG24 dedicato al tema “Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco”.
Questo dato ci parla, confratelli, di una sensibilità, nella nostra riflessione e nel nostro magistero, che viene da lontano. In alcune zone della Congregazione è stato fatto un buon cammino; ma in generale la realtà ci conferma oggi che assumere questa strada, accettarla, integrarla nella vita delle ispettorie e dei confratelli non è così evidente e facile. Anche questo tema dovrà essere affrontato dal nostro CG28.
Don Bosco fu sempre l’uomo del buon tratto, del dialogo, dell’amicizia, sempre alla ricerca di collaboratori. Già nel 1972 il nostro CGS20 diceva che «anche noi dobbiamo essere generosamente aperti nel rendere corresponsabili del nostro lavoro pastorale i laici che hanno una parte propria e assolutamente indispensabile nella missione della Chiesa»50. E nello stesso Capitolo, 47 anni fa, già si prospettava che «i laici dovrebbero assumersi funzioni amministrative attualmente esercitate da noi»51, così come si invitava a «cercare la consulenza e la collaborazione dei laici nella amministrazione delle opere, costituendo eventualmente dei consigli di amministrazione in cui essi siano attivamente presenti»52. La riflessione odierna ci fa comprendere che la missione condivisa è molto più di una delega di funzioni amministrative. Questo è certo, ma capita spesso che proprio nei confronti della cessione di funzioni amministrative qualche confratello opponga più resistenza. Di fatto proprio lì si richiede che siano svolti compiti e programmi «in comunione con i laici corresponsabili nel lavoro pastorale»53.
La relazione del Rettor Maggiore al CG21 offriva un’importante affermazione al riguardo: «Riconosciamo che, oggi specialmente, non solo e non primariamente per uno stato di necessità, ma per ovvi motivi di ecclesiologia e di pedagogia, abbiamo bisogno di laici che siano coscienti e capaci nostri collaboratori per integrare efficacemente la nostra opera educativa, pastorale, evangelizzatrice»54. Confratelli, ci troviamo in questo cammino. La nostra Congregazione nei prossimi anni deve compiere passi decisi in questa direzione. Anche dove c’è più abbondanza di vocazioni? Certamente. Soprattutto perché questo ci renderà istituzionalmente molto più liberi e ci offrirà tante opportunità personali per concentrare direttamente molte energie sulla missione evangelizzatrice, catechistica e pastorale.
Scrivo questo consapevole che si tratta di un punto “sensibile e scomodo”. Sensibile e scomodo come tutto ciò che è stato detto in precedenza, sia da parte mia sia, a suo tempo, da parte di don Pascual Chávez, in merito alla questione del clericalismo. In ogni caso, l’impopolarità di alcune questioni non può toglierci il coraggio di metterle in evidenza. È un compito associato a questo servizio. Su questo argomento invito tutta l’assemblea a essere coraggiosa.
«I laici hanno il diritto al ruolo di collaborazione e di corresponsabilità; e a questo fine vanno preparati»55, è stato scritto nel CG21. Ho già fatto notare alcune ragioni per le quali la Congregazione è molto chiara: «Quando i collaboratori laici sono cristiani convinti, la loro presenza rilette i giovani di fronte a una gamma più completa di modelli di vita cristiana, dà maggior possibilità ai Salesiani di spendersi nel loro campo specifico di animatori, e permette un dialogo più vasto e aggiornato con i problemi della famiglia e della professione»56.
La decisione è nelle nostre mani. La vita ci mostra che è la strada giusta. Sarà necessario solo superare la nostra resistenza a favore di una missione in grado di stabilire stili nuovi, positivi e contagiosi nella missione condivisa tra Salesiani e laici. Desidero sottolineare che la formazione iniziale delle nuove generazioni di Salesiani deve affrontare direttamente questa realtà.
4.6. Capaci di intercettare e accompagnare il nuovo cambio del paradigma comunicativo
Ci troviamo alle porte di un’era totalmente nuova nel campo delle comunicazioni sociali57. Già nel 1971 l’Istruzione pastorale Communio et Progressio evidenziava l’esistenza di questa realtà totalmente nuova. Oggi, contemplando il mondo nel quale viviamo e l’ambito delle comunicazioni sociali, ci ritroviamo esattamente in ciò che 48 anni fa era semplicemente abbozzato.
Ovunque sentiamo affermare che stiamo vivendo un cambiamento di “paradigma”. In poco tempo, le tecnologie, le abitudini e le mentalità umane si sono trasformate. Nel prossimo decennio, dal 2020, si prevedono grandi mutazioni su scala globale. Molti paesi sono già immersi nel mondo delle “intelligenze artificiali”, della comunicazione con la tecnologia 5G, nei “Big Data”, nelle biotecnologie, nell’utilizzo delle nano tecnologie, ecc.
È evidente che ci troviamo in un’epoca di profondi cambiamenti che influenzano non solo il nostro modo di pensare e di agire, ma anche la nostra vita religiosa e il modo di esprimere la nostra consacrazione e la nostra fede. Come educatori osserviamo ogni giorno adolescenti e giovani cambiare rapidissimamente abitudini, modi di guardare, pensare e comprendere il mondo, le relazioni personali e di gruppo, i valori fondamentali dell’esistenza, del mondo e di Dio (manifestando fede o indifferenza).
Nel mondo si constata lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, l’aumento delle piattaforme di comunicazione online i cui contenuti sono generati dagli stessi utenti. Rientrano in questa categoria i blogs, i forum online, i diversi mezzi online che permettono di creare e condividere tantissimi contenuti. Tra le piattaforme più importanti incontriamo i principali Social-network (oggi Face-book, Twitter, Instagram... e domani altri) definiti come “piattaforme digitali di comunicazione globale che mettono in contatto un gran numero di utenti”. Tali social-network e il loro canale privilegiato “Internet” sono diventati strumenti fondamentali di uso “intensivo” ed “imprescindibile” nella socializzazione giovanile, con il dilemma di ciò che è virtuale, di ciò che è reale o di come il virtuale è sempre “reale” perché fa parte della vita.
I luoghi dove vivono i giovani non sono solamente spazi fisici, ma “luoghi digitali”, che si convertono in luoghi reali perché giovani e anche molti adulti lì si incontrano, in ciascun istante, in ogni momento. Lì fanno senntire la loro voce e la loro presenza. Questo universo virtuale cresce esponenzialmente in uno scambio comunicativo che riduce le distanze tra i macrogruppi di “amici sconosciuti” che si connettono e comunicano tra loro.
Si intravede un nuovo mondo di relazioni con un semplice processo chiamato “interazione”. Un feed-back continuo che si alimenta tra i giovani che abitano l’universo delle tre “www”. E in questa interazione si scambiano un numero infinito di messaggi, fotografie, video, con i loro contenuti che fanno crescere questa gioventù immersa nel mondo degli schermi, in quello che potrebbe essere il futuro di oggi: catturati negli moderni “smartphone”, i giovani sono “prosumatori”: allo stesso tempo consumatori e produttori di informazioni e persino di conoscenza.
Si potrebbe descrivere ulteriormente questa realtà e approfondirla maggiormente. È più che evidente per noi, educatori dei giovani, che avere un atteggiamento apocalittico, negativo e indifferente davanti alla realtà che stiamo descrivendo non può essere la nostra prospettiva educativa né la nostra prassi. Al contrario, da parte nostra ci dovrà essere un atteggiamento “intelligente” e “attivo”, che implica una comprensione approfondita e integrale delle possibilità e dei limiti che tali mezzi offrono, cercando di generare una conoscenza dei nuovi linguaggi, di farli nostri per conoscerli, capirli, dialogare con loro in modo critico, impegnandoci ad accompagnare i nostri giovani.
Don Bosco, riferendosi alla buona stampa, i mezzi di comunicazione del suo tempo, scriveva: «Ti prego di non trascurare questo aspetto molto importante della nostra missione»58; e nella lettera circolare ai salesiani del 19 marzo 1885 diceva: «La stampa è stata una delle principali imprese che mi sono state affidate dalla Divina Provvidenza. Non esito a chiamare questo mezzo divino, poiché Dio stesso lo ha usato per la rigenerazione dell’uomo»59. E a colui che sarebbe diventato il futuro Papa Pio XI, giunse a dire: «In questo (campo) Don Bosco vuole essere sempre all’avanguardia del progresso»60.
→ Mi chiedo se come educatori dei giovani la nostra Congregazione e i salesiani di oggi e di domani saranno capaci di prepararsi sempre più e sempre meglio per questo nuovo contesto digitale nel quale vivono i giovani.
→ Mi chiedo se come educatori dei giovani conosciamo, riflettiamo, ci collochiamo e approfondiamo la realtà dei social-network fino al punto da diventare competeneti per interagire con i giovani che incontriamo.
→ Rimane in sospeso una sfida per noi educatori. Chiediamoci se gli spazi educativi formali che offriamo nelle scuole, nelle parrocchie e negli oratori, nelle IUS, saranno abbastanza “sensibili” e “permeabili” da entrare in sintonia con i giovani e il “loro mondo digitale”.
Questa è una dimensione di tale importanza che non possiamo trascurare, come se non fosse qualcosa di vitale, fondamentale nell’evangelizzazione e nell’educazione dei giovani. E poiché è così vitale e fondamentale, deve essere presa in seria considerazione nella formazione delle nuove generazioni di salesiani, dal momento che si tratta di un campo in cui essi, “nativi digitali”, sono chiamati a essere, come noi, educatori ed evangelizzatori dei giovani in una Congregazione, la nostra, dove educhiamo ed evangelizziamo «in particolare con la comunicazione sociale»61.
CONCLUSIONE: ESORCIZZARE LA TENTAZIONE DELLO SCORAGGIAMENTO E AFFERMARE LA SPERANZA CHE CI VIENE DAL SIGNORE
Concludo questa relazione. L’ho preparata con passione e convinzione e avrei molto altro da condividere. Forse potremo farlo nel dialogo dei prossimi giorni, grazie alle vostre domande.
Voglio terminare facendo mia un’espressione di don Egidio Viganò nel suo discorso alla chiusura del CG23. Diceva: «Non c’è bisogno che io ripeta qui quanto è già affermato autorevolmente dal Capitolo. Semplicemente vorrei esorcizzare la tentazione di scoraggiamento: tutto bello quanto si propone nel documento, ma con quali confratelli lo possiamo fare, per esempio, in questa casa? Senz’altro ci sono delle concrete difficoltà da affrontare.
Bisogna reagire incominciando da se stessi; essere convinti che in ogni casa ci sono molte più possibilità di quanto a volte si crede; e, soprattutto, bisogna accrescere la fiducia nella vera e attiva presenza dello Spirito, nell’energia della risurrezione portata da Cristo nei sacramenti, nell’aiuto materno e costante di Maria, nell’intercessione di Don Bosco, dei nostri Santi e di tutta la Chiesa celeste»62.
In definitiva la differenza tra ottimismo e speranza sta proprio nella fede. In alcune occasioni possiamo essere ottimisti se i dati che gestiamo ci danno risultati favorevoli, ma questo atteggiamento è fragile ed effimero. Giorno per giorno, dobbiamo iniziare il viaggio non tanto con ottimismo quanto con speranza, quella speranza che ha le sue radici, precisamente, nella fede e nella presenza dello Spirito. Una speranza che sa cosa vuol dire avere una Madre Ausiliatrice che continua a fare tutto mentre accompagna la famiglia di Don Bosco; e un Padre, Don Bosco, che continua a guidare, anche con povere mediazioni umane, quest’opera che non è nemmeno sua ma frutto dello Spirito. Possa questo stesso Spirito Santo guidarci nel compito del Capitolo che l’intera Congregazione ci ha affidato.
Un abbraccio fraterno dal vostro fratello
Don Ángel Fernández Artime SDB
Rettor Maggiore
1 Cf. CG27, 3.
2 CG27, 32.
3 CG27, 28
4 VC, 93.
5 CG27, p.121.
6 Cost. 25.
7 EG, 92.
8 CG27, 42.
9 CG27, 52.
10 Francesco, Come Don Bosco, con i giovani e per i giovani. Lettera di Papa Francesco al Rettor Maggiore dei Salesiani, LEV, p. 9.
11 G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri degli esercizi di cristiana pietà, in ISS, Fonti Salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, p. 614.
12 I numeri che fanno riferimento all’accompagnamento nel CG27 sono: 1, 18, 27, 38, 59, 74.2, 75.1.
13 ChV, 299.
14 Cf. M. Lasarte-D. Medeiros (Coords), Amazonia Salesiana. El Sinodo nos interpela, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 2019, 19.
15 Ad gentes, 40.
16 Cf. MB II, 203-204.
17 E. Ceria, Annali, II-IV passim; ACS, Indices ad vocem Missio.
18 Cf. CG27, 19.
19 CG20, 151.
20 MB XVI, 313.
21 CG26, 55.
22 Cost. 4.
23 CG27, Relazione del Rettor Maggiore al Capitolo, Roma 2014, p. 331.
24 ACS 93 (1939), p.180.
25 CG24, 252.
26 Cost. 37.
27 CG27, Discorso del Rettor Maggiore alla chiusura del Capitolo, pp. 128-129.
28 Cf. MB VI, 334-335.
29 MB XVIII, 258.
30 Cost. 24.
31 A. Montan, Il religioso presbitero nella Chiesa oggi: attualità, contenuti, prospettiva di un qualificato seminario della CISM, in CISM, Il religioso presbitero nella Chiesa oggi. Atti del Seminario di studio (Roma, 31 marzo 2005), a cura di A. Montan, Il Calamo, Roma, 2005, 7-17, 7.
32 CIVCSVA, Economia al servizio del carisma e della missione. Orientamenti, LEV, Città del Vaticano 2018, n. 41.
33 Ibid.
34 CGS20, 726.
35 Cf. Relazione del Rettor Maggiore al CG27, Roma, 2014, p. 334.
36 Cf. Francesco, Lettera Apostolico a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, LEV, Città del Vaticano 2014, 10-15.
37 Cf. o.c., 15-16.
38 Ger 1,8.
39 Cf. 2 Tim 1,12.
40 CG27, 32.
41 Cf. CG27, Relazione del Rettor Maggiore, o.c. p. 328.
42 G. Bosco, Lettera da Roma alla comunità salesiana dell’Oratorio di Torino-Valdocco, in ISS, Fonti Salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, pp. 446-447, 451.
43 Cost. 19 e MB XIV, 662.
44 CG25, 139.
45 CG27, 55.
46 CGS20, 48.
47 CGS20, 181.
48 CG27, p. 128.
49 CG22, p. 109.
50 CGS20, 428.
51 CGS20, 393.
52 CGS20, 620.
53 CGS20, 439.
54 CG21, 66.
55 CG21, 76.
56 CG21, 77.
57 Cf. Communio et Progressio 181, 187, citato in CGS20, 442.
58 Epistolario IV, 321.
59 Epistolario IV, 318-319.
60 MB XIX, 322.
61 Cost. 6.
62 CG23, 352.