MARIA, MADRE E MAESTRA
1. Introduzione
Alla fine dell’Istruzione Pontificia Ripartire da Cristo, leggiamo: “Guardiamo a Maria, Madre e Maestra per ciascuno di noi. Lei, la prima consacrata, ha vissuto la pienezza della carità. Fervente nello spirito, ha servito il Signore; lieta nella speranza, forte nella tribolazione, perseverante nella preghiera; sollecita per le necessità dei fratelli (cfr. Rom 12, 11-13). In Lei si rispecchiano e si rinnovano tutti gli aspetti del vangelo, tutti i carismi della vita consacrata” (n. 46).
Questo testo ci permette impostare la nostra riflessione. Evidentemente, non cerchiamo di fare della Madonna, in maniera del tutto anacronistica, la “prima religiosa”; ma di scoprire in Lei “tutti i carismi della vita consacrata”, non in maniera quantitativa (“tutti”), ma, per così dire, nel suo nucleo fondamentale: in quanto che ha vissuto la pienezza della carità, dell’amore. Possiamo comparare quest’idea con la maniera in cui san Tommaso d’Aquino mostra come tutte le perfezioni della Creazione si trovano, in maniera assolutamente semplice, in Dio (cfr. S. Th., I, q. 4, a. 2, Utrum in Deo sint perfectiones omnium rerum).
A questa sintesi si avvicina l’atteggiamento di santa Teresa di Lisieux, quando, a proposito delle diversità di vocazioni, si domanda:
Sento in me altre vocazioni: mi sento la vocazione di guerriero, di sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire; insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche... Sento nella mia anima il coraggio di un crociato, di uno zuavo pontificio: vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa (...) Come conciliare questi contrasti? Come realizzare i desideri della mia povera piccola anima? (...) Durante l’orazione i miei desideri mi facevano soffrire un vero e proprio martirio. Aprii le epistole di san Paolo per cercare qualche risposta (...) Lessi che non tutti possono essere apostoli, profeti, dottori, ecc.; che la Chiesa è composta da diverse membra, e che l'occhio non potrebbe essere al tempo stesso la mano... La risposta era chiara, ma non appagava i miei desideri, non mi dava la pace (...) Senza scoraggiarmi continuai la lettura e questa frase mi rincuorò: 'Cercate con ardore i doni più perfetti: ma io vi mostrerò una via ancora più eccellente.' E l'apostolo spiega come tutti i doni più perfetti non sono niente senza l'Amore (...) Finalmente avevo trovato il riposo! (...) La carità mi diede la chiave della mia vocazione (...) Capii che solo l'Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l'amore si dovesse spegnere, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue... Capii che l'Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l'amore era tutto, che l'amore abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi... Insomma che l'amore è eterno! Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: Oh Gesù mio Amore...! La mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l'Amore!
Nella nostra meditazione finale, vorrei invitarvi a ‘contemplare’ Maria, Immacolata Ausiliatrice, nostra Madre e Maestra. In particolare, vorrei che potessimo fissare il nostro sguardo filiale ad una scena trascendentale della nostra Tradizione salesiana: contempliamo Don Bosco che prega, insieme a Bartolomeo Garelli. Possiamo dire, prendendo un’immagine della fisica moderna conosciuta da tutti noi, che questa Ave Maria costituisce quell’atomo di densità infinita che, nel “big bang” del 8 dicembre 1841, ha dato origine ad una “esplosione carismatica” che ancora adesso continua nella sua espansione per il mondo, facendo presente l’Amore di Dio per i giovani, soprattutto i più poveri ed abbandonati.
Meditiamo, dunque, quello che ogni giorno diciamo alla Madre di Dio e Madre di tutti gli uomini, nell’Ave Maria…
2. “Piena di Grazia”
Il saluto dell’arcangelo Gabriele a Maria ha una straordinaria densità: nessuna traduzione può esaurire la ricchezza delle parole originali: … Cercando di approfondire teologicamente quest’espressione, possiamo sottolineare, in primo luogo, il suo carattere di gratuità. “Piena di grazia”, in questo primo senso, vuol dire “gratuità” nella sua massima espressione. Qui si manifesta in maniera insuperabile il carattere non-dovuto dell’Amore di Dio, che precede qualsiasi azione o atteggiamento umano, proprio perché questi sono sempre risposta di fronte all’iniziativa di Dio. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi” (1 Gv 4, 10): questo possiamo applicarlo non soltanto ad ognuno di noi, ma anche, e in primo luogo, a Maria.
La tradizione unanime della Chiesa, e la sua interpretazione guidata lungo tutti i secoli dallo Spirito Santo, trova a questo riguardo il suo compimento nella dichiarazione dogmatica del beato Pio IX nel 1854, proclamando la sua Immacolata Concezione. Purtroppo, molte volte si fraintende questo dogma mariano, correndo il rischio di dimenticare che in esso non si parla, in primo luogo, di qualcosa che abbia fatto Maria, ma di quello che Dio fa in Lei, anche in nostro favore. Persino le nostre Costituzioni possono essere capite inadeguatamente, se non sottolineiamo quest’iniziativa dell’amore di Dio, fin dal primo istante della sua esistenza: “Maria Immacolata e Ausiliatrice ci educa alla pienezza della donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio dei fratelli” (Cost. 92). È vero, ma sempre come risposta all’Amore di Dio. Non dimentichiamo che la consacrazione, come tale, è opera esclusiva di Dio, non dell’essere umano; così che, contemplando Maria Immacolata, possiamo contemplare il frutto più perfetto e “riuscito” del sistema preventivo di Dio.
In questo senso, l’insistenza della teologia, che si manifesta anche nella liturgia, sottolineando la “pre-destinazione” della Madre di Dio, utilizzando anche, in senso allegorico, brani dell’AT come Prov 8, 22-36; Sir 24, 3-22; ecc., è valida e accettabile, solo se non la si stacchi dal resto dell’umanità. Infatti, tutti noi uomini siamo stati pre-destinati da Dio “prima della creazione del mondo, per trovarci, al suo cospetto, santi e immacolati nell’amore. Ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1, 4-5). Maria è la predestinata per eccellenza, non per esclusività, e meno ancora per esclusione.
3. “Il Signore é con te”
Questa piccolissima frase del saluto angelico è la sintesi più breve e densa dell’Alleanza, ed è quello che il Signore promette, come garanzia, a tutti quelli che chiama al suo servizio (ricordiamo, tra molti altri, soprattutto il caso di Geremia). “Piena di Grazia” vuol dire, nel suo senso più profondo: “piena di DIO”. La Grazia, infatti, non è “qualcosa”, ma “Qualcuno”: Dio stesso, nella sua Vita trinitaria, Amore perfetto, che si dona gratuitamente a noi, in maniera definitiva e irreversibile (escatologica) in Cristo. Conviene far notare che in alcuni testi dell’AT, questa presenza di Dio in mezzo al suo popolo o a una persona eletta provoca, anzitutto, la gioia. Purtroppo, si è perso, in quasi tutte le lingue, questa sfumatura importante del testo biblico lucano: , Rallegrati! Tra molti testi, ricordiamo quello di Sofonia:
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele,
e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
“Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente.
Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa”
(Sof 3, 14-18).
Questa presenza unica di Dio in Lei è il principio fondamentale del suo essere-consacrata, proprio perché non si realizza attraverso qualche creatura o realtà creata, ma consiste, fondamentalmente, in questo “porre Dio la sua dimora in Lei”. Qui si trova la differenza radicale del concetto di santità di fronte alle altre culture e religioni, nelle quali il Sacro consiste in una Realtà staccata, intoccabile, inaccessibile, “tabù”. Qui, invece, il Dio tre volte Santo fa partecipe della sua Santità, attraverso la sua vicinanza nell’amore, che in Maria si fa così piena, mediante l’Incarnazione, che diventa anche una presenza fisica. Per questo, possiamo proclamarla, anche in questo senso, la “Consacrata” per antonomasia; senza dimenticare che questo non la allontana da noi, ma, al contrario, ci invita a seguire il suo esempio.
Finalmente, possiamo sottolineare ancora un terzo senso nel saluto: “Piena di Grazia”: cioè, l’effetto che in Lei produce questa presenza piena di Dio, diventando così la “Aggraziata” (in spagnolo: “Agraciada”) per eccellenza, la Tota Pulchra, Quella che dirà, nel cantico del Magnificat: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata: grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo Nome” (Lc 1, 48-49) 1.
4. “si faccia in Me secondo la tua Parola”
La sottolineatura dell’iniziativa libera e gratuita di Dio e la consacrazione in quanto opera divina non devono farci dimenticare assolutamente il fatto che Lui ha voluto aver bisogno della risposta umana. Lo possiamo vedere nei modelli biblici dell’AT e del NT, e non poteva essere altrimenti nel caso più eccellente della collaborazione umana con Dio: la Maternità divina di Maria, che, come dice sant’Agostino, “ha concepito il Figlio di Dio nel suo cuore, mediante la sua libera obbedienza, prima di concepirlo nel suo seno verginale”.
Nonostante ciò, qui può sorgere un dubbio: possiamo veramente e sul serio parlare della libertà di Maria, di fronte a tutto questo che è stato detto? Che senso avrebbe parlare dell’Immacolata Concezione, della pienezza di Grazia, ecc., se tutto dipendesse da un sì umano, posteriore a tutto questo? D’altra parte, se negassimo il carattere libero dell’accettazione da parte della giovane di Nazareth, oltre a staccarla totalmente dal resto dell’umanità, arriveremo a un’affermazione assurda: cioè, che la collaborazione umana, nella sua espressione più piena, non è stata veramente umana, vuol dire: non è stata realizzata con coscienza e libertà.
Mi sembra che possiamo trovare una risposta veramente meravigliosa approfondendo un elemento tipico del nostro Carisma. Quando Don Bosco chiedeva di porre i ragazzi “nell’impossibilità morale di peccare”, non si riferiva in assoluto a limitare o, peggio, togliere la loro libertà (che, d’altra parte, sarebbe stato impossibile), ma a cercare di irrobustire le loro motivazione di fede e di amore al Signore Gesù, appellando non soltanto alla loro intelligenza razionale e logica (come lo fa, anche, il sistema repressivo), ma soprattutto al loro cuore: perché l’educazione, a livello umano e anche l’educazione alla fede e nella fede, “è affare del cuore”.
Detto altrimenti: Don Bosco era convinto (ed è una convinzione che tocca proprio il midollo dell’antropologia e della morale cristiana) che, più sperimentiamo l’Amore di Dio come Fonte massima (ed unica) dell’autentica felicità, più difficile diventa (“moralmente impossibile”) volerci allontanare da Lui, conservando, nonostante ciò, integra la nostra libertà. Questo rafforzamento, oltre ad implicare il contatto personale, trovava il suo luogo privilegiato nell’ottimizzazione dell’ambiente, ricco di valori umani e cristiani, e nell’assistenza tipicamente salesiana: che non è, per niente, quella di un carabiniere che “garantisce l’ordine”, ma di una mediazione visibile dell’amore di Dio. Questa “ecologia formativa” (come piace dire al nostro Rettor Maggiore) è uno degli elementi fondamentali dell’Oratorio come criterio salesiano: “Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera” (Cost. 40).
Tutto questo nasce anche dall’identità dell’amore, ancora a livello umano: a fortiori, parlando dell’Amore di Dio, l’essere amati non ci toglie per niente la libertà, ma neanche la lascia “neutrale”. Al contrario, la rinvigorisce, per poter corrispondere a questo amore ricevuto e percepito come tale, con la propria risposta libera (più che mai!) di amore. Soltanto così possiamo comprendere il senso profondo della nostra obbedienza, la quale “conduce alla maturità facendo crescere la libertà dei figli di Dio” (Cost. 67).
In questa prospettiva, la stessa domanda di Maria: “Come sarà questo, dato che io non conosco uomo?” (Lc 1, 34) non esprime dubbio, né pone delle condizioni: ma è la domanda di chi, da una fede incondizionata e totale, vuol collaborare nella maniera più cosciente e libera possibile. E questo si vede ancor più chiaro nelle parole successive dell’angelo, che non costituiscono nessuna risposta: in fondo, quello che dice Gabriele è: “Si tratta di Dio, e del suo Piano… ti affidi a Lui? Anche la “prova” che Maria riceve, cioè la gravidanza di Elisabetta, che in quel momento Maria non può “verificare”, costituisce piuttosto una motivazione per andare da lei e servirla, come dice immediatamente il testo di Luca. Non è, dunque, una prova “teorica”, che serve a soddisfare la curiosità di Maria, o semplicemente a illuminare la sua conoscenza, ma è una “prova prassica” che la mette in movimento, per accompagnare e servire la sua parente.
La fede di Maria, finalmente, si traduce in obbedienza incondizionata: Lei accetta, detto paradossalmente, con piena libertà, diventare la schiava del Signore: “Si faccia in me secondo la tua Parola”.
5. “Benedetta sei Tu fra tutte le donne”
Questa pienezza di consacrazione di Maria conduce a una missione: anzitutto, quella di essere la Madre del Figlio di Dio fatto Uomo; ma, inseparabilmente, anche quella di donarlo per la salvezza del mondo, imitando umanamente, per dire così, l’azione del Padre: “Dio ha amato tanto il mondo, da dare il suo Figlio unico…” (Gv 3, 16): e tutto questo, “per opera dello Spirito Santo”. Questo portare Dio verso quelli a cui Dio stesso ci invia è la concretizzazione della nostra consacrazione, a immagine di Maria: Lei “ci educa alla pienezza della donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio dei fratelli” (Cost. 92).
Per questo, non si può staccare dall’Annunciazione la visita di Maria: “Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda” (Lc 1, 39). La presenza di Maria, portando con sé il Salvatore, è fonte di gioia traboccante: quella stessa gioia con la quale l’Angelo la saluta; che si manifesta persino nel bambino Giovanni, ancora nel seno della sua madre! Elisabetta ribadisce a Maria questa promessa di felicità, sottolineando, inoltre, la sua radice: la fede. “Beata colei che ha creduto, perché avranno compimento le parole del Signore” (Lc 1, 45).
È molto interessante scoprire che qui siamo di fronte alla prima “beatitudine” evangelica; e l’ultima beatitudine, che forma con questa una meravigliosa inclusione, ha lo stesso contenuto: la fede. “…Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!” (Gv 20, 29). Senza la prospettiva della fede, non possiamo né capire né accettare le altre “beatitudini” che Gesù presenta (Mt 5, 3-12; Lc 6, 20-23). Ma possiamo ancora dire una parola a questo riguardo: Maria, di fronte all’annuncio della Risurrezione di Gesù, suo Figlio, si trova tra quelli che “pur non avendo visto, hanno creduto”: non esiste nessun testo neotestamentario che ci racconti un’apparizione di Gesù risorto alla Madonna; e considero che, invece di inventare apparizioni, o andare a cercare testi apocrifi del passato (o del presente, che anche ci sono), è molto più arricchente costatare questa consolante assenza, che colloca Maria insieme con noi, invitandoci ad essere, anche noi, “felici perché abbiamo creduto”.
Finalmente, Elisabetta “esclamò a gran voce: ‘Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!’” (Lc 1, 42). Come intendere questa doppia benedizione, se non soltanto dalla fede? Anche perché dobbiamo riconoscere che, umanamente parlando, l’elezione-vocazione-missione di Maria non ha reso più facile la sua vita, o la realizzazione dei suoi piani personali: tutto il contrario… Accettare la Volontà del Signore nella nostra vita non significa che, in maniera automatica, questa sarà più facile o più tollerabile. Il Signore ci garantisce, come vediamo nella vita di Abramo, Mosè, Geremia e anche di Maria, una cosa sola: “Io sarò con te”. “Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore” (Rom 8, 39).
Questa scena meravigliosa culmina col Magnificat: Maria loda Dio per quello che ha fatto nella sua vita, “perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 48), e colloca quest’elezione di Dio nella prospettiva della fedeltà divina e, in conseguenza, come compimento delle sue promesse (cfr. Lc 1, 54-55): è un Dio Santo, che accoglie e innalza gli umili, poveri e affamati, e niente può fare di fronte all’autosufficienza dei ricchi, i potenti e i superbi! In fondo, possiamo trovare qui, in una meravigliosa sintesi, quello che costituisce il midollo dei consigli evangelici: il primato assoluto di Dio, e il desiderio dell’unione con Lui realizzando pienamente la sua Volontà (obbedienza), come espressione dell’amore (castità), nello spogliamento totale di sé stessa (povertà). È, veramente, la prima consacrata!
6. Maria Immacolata Ausiliatrice nel Carisma Salesiano
È indubbiamente un tema centrale nel nostro Carisma, ma allo stesso tempo impossibile da abbracciare in tutte le sue dimensioni. Mi limiterò a sottolineare i testi delle nostre Costituzioni dove viene esplicitamente menzionata.
Sappiamo che ci sono due articoli totalmente dedicati a Lei: l’articolo 8 (nuovo nella redazione definitiva del 1984) e il 92. Si trovano in contesti molto diversi: il primo, entro la descrizione della nostra identità carismatica, e ciò fa più rilevante il suo contenuto; e il secondo, nella sezione sulla nostra vita di preghiera, che viene caratterizzata come “in dialogo con il Signore”.
Nell’articolo 8, viene sottolineata l’azione di Maria nella vita del nostro Padre e Fondatore con tre verbi: “ha indicato, guidato, sostenuto, specialmente nella fondazione della nostra Società”. Tutto questo, evidentemente, viene collocato nel Piano di Dio, come dice l’articolo primo della nostra Regola di Vita: “Lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco” (Cost. 1).
In maniera simile, anche noi “crediamo che Maria è presente tra noi e continua la sua ‘missione di Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani’”. Pienamente convinti di questo, forse la domanda che dobbiamo porre davanti ai nostri occhi e al nostro cuore è: anche noi lasciamo che Maria Santissima ci indichi il nostro campo di azione, ci guidi e ci sostenga?
Nel contesto della Missione salesiana, Maria ci educa con il triplice atteggiamento teologale: con un riferimento al Magnificat, “ci affidiamo a Lei, umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose, per diventare, tra i giovani, testimoni dell’Amore inesauribile del suo Figlio” (Cost. 8); “la facciamo conoscere e amare come Colei che ha creduto, aiuta e infonde speranza” (Cost. 34).
L’articolo 92, invece, nel contesto della preghiera, ci presenta Maria anzitutto come Modello da contemplare e imitare; in particolare nella donazione, unica e incondizionata, a Dio e ai giovani: “Maria Immacolata e Ausiliatrice ci educa alla pienezza della donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio dei fratelli”.
Finalmente, nel contesto della vita del salesiano intesa come “esperienza permanente” di formazione, e in conseguenza come un processo che mai finisce, troviamo un titolo semplice, ma di una densità straordinaria: Maria, Madre e Maestra (cfr. Cost. 98). Il sottofondo di questo articolo ci invita a sentirci “figli nel Figlio”, a lasciar che anche a ognuno di noi Maria dia un corpo e un cuore come quello di Cristo, in particolare perché, come dicevamo prima, ci insegni ad amare, come ha insegnato a Don Bosco (cfr. Cost. 84); anzi come ha insegnato a Gesù e lo ha educato.
Vorrei finire concretizzando ancor di più la presenza della Madonna nel nostro Carisma, partendo da una constatazione che è implicita in questo che abbiamo detto.
È fuori dubbio che la Madre di Dio ha, nel nostro Carisma, una rilevanza singolare; basta ricordare la frase di Don Bosco: “Tutto ha fatto Lei”. Questa rilevanza, anzi, oserei dire questa centralità, appartiene soltanto all’esperienza personale di Don Bosco, legata alla sua situazione e al suo tempo, o è parte integrante della nostra identità salesiana?
Io credo che tutti noi siamo convinti che non si tratta soltanto di un elemento aleatorio, semplice vestigio della devozione personale del nostro Padre. Tra altri elementi possibili di risposta e arricchimento, vorrei sottolinearne soltanto uno, che sgorga proprio dalla fonte stessa del nostro Carisma. Pensiamo soprattutto ai destinatari prioritari della nostra Missione: i ragazzi e giovani più poveri, abbandonati e in pericolo. In altre parole: persone che, umanamente parlando, “valgono” poco, o nulla; ma, proprio per questo, sono i prediletti di Dio, perché l’Amore divino - come abbiamo riflettuto in questi giorni - è incondizionato, e ha sempre l’iniziativa: non ci ama perché siamo amabili, ma siamo amabili, cioè degni di essere amati, perché Lui ci ama. “Quia amasti me, Domine, fecisti me amabilem”, dice in maniera geniale sant’Agostino.
Orbene: non è l’incondizionalità un elemento tipicamente femminile-materno dell’amore, così come l’esigenza (ben intesa) è il corrispondente maschile-paterno? Non capirebbe niente, e non potrebbe condividere la situazione dei destinatari prioritari della nostra Missione chi, anche amandoli veramente, non cominciasse per amarli incondizionatamente; ancor di più: maternamente. Non prendere sul serio questo, non è forse un segno di pericolosa dimenticanza della nostra predilezione carismatica? È vero, ci sono dei giovani con i quali non è necessario cominciare con l’atteggiamento materno dell’incondizionalità, nel nostro amore e nel nostro lavoro educativo-pastorale; ma proprio per questo, sono i nostri destinatari prioritari? È con questi “ultimi”, soprattutto, con chi dobbiamo essere, ineludibilmente, “padri maternali”.
Penso che qui possiamo ubicare in maniera rilevante la significatività teologica di Maria, Immacolata Ausiliatrice, nel nostro Carisma: come “il volto materno dell’Amore di Dio”.
Il Rettor Maggiore, alla fine della sua Lettera: “Sei Tu il mio Dio, fuori di Te non ho altro bene”, ci invita a pregare così Maria: “A Lei chiediamo che ci insegni ad aprirci all’azione trasformante e santificatrice dello Spirito. A Lei affidiamo la nostra vocazione salesiana perché ci renda ‘segni e portatori dell’Amore di Dio ai giovani’” (ACG 382, p. 28).
In questo momento trascendentale della Congregazione, affidiamo a Lei il nostro Capitolo Generale, perché a tutti noi, e a tutti i nostri fratelli nella Congregazione sparsa nel mondo intero, ottenga la grazia da Dio nostro Padre di un profondo rinnovamento nella nostra identità carismatica e nella nostra passione apostolica, per la salvezza dei nostri cari giovani!
1 Questi due sensi: il secondo e il terzo, che qui diamo al saluto angelico corrispondono, più o meno, a quello che la teologia classica, con una grande ricchezza ma con espressioni troppo inadeguate, chiama “Grazia Increata” e “Grazia Creata” (senza voler fare esegesi del testo lucano o della teologia angelica).