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penso come un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che,
“stanco di bussare” alle nostre porte, aspetta che andiamo a cercarlo e a
incontrarlo… O che lo lasciamo uscire, quando bussa da dentro. Conversione
che implicò (e complicò) tutta la sua vita e quella di coloro che gli stavano
attorno. Don Bosco non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare
la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare.
Scegliendo e accogliendo il mondo dei bambini e dei giovani
abbandonati, senza lavoro né formazione, ha permesso loro di sperimentare
in modo tangibile la paternità di Dio e ha fornito loro strumenti per
raccontare la loro vita e la loro storia alla luce di un amore incondizionato.
Essi, a loro volta, hanno aiutato la Chiesa a re-incontrarsi con la sua
missione: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal
118,22). Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria,
essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati
religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo
di fondazione.3 La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace
di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori
qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e
abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI:
«Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa… Ciò vuol
dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se
vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed
evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri.
Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri
destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti
dell’oratorio da realizzare.4 Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra
la sua volontà e i suoi sogni.5 Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre
case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di
dinamiche senza sentirsene il padrone. Un’unione che ci ricorda che siamo
3 Grazie all’aiuto del saggio Cafasso, Don Bosco scoprì chi era agli occhi dei giovani detenuti; e quei giovani
detenuti scoprirono un volto nuovo nello sguardo di Don Bosco. Così insieme scoprirono il sogno di Dio, che
ha bisogno di questi incontri per manifestarsi. Don Bosco non scoprì la sua missione davanti a uno specchio,
ma nel dolore di vedere dei giovani che non avevano futuro. Il salesiano del sec. XXI non scoprirà la propria
identità se non è capace di patire con «la quantità di ragazzi, sani e robusti, di ingegno sveglio che stavano in
carcere tormentati e del tutto privi di nutrimento spirituale e materiale… In loro era rappresentato l’obbrobrio
della patria, il disonore della famiglia» (Memorie dell’Oratorio di san Francesco di Sales, 48); e noi potremmo
aggiungere: della nostra stessa Chiesa.
4 Oggi vediamo come in molte regioni sono i giovani i primi a sollevarsi, organizzarsi e promuovere cause giuste.
Le vostre case salesiane, lungi dall’impedire questo risveglio, sono chiamate a diventare spazi che possano
stimolare questa coscienza di cristiani e cittadini. Ricordiamo il titolo della strenna di quest’anno del Rettor
Maggiore: “Buoni cristiani e onesti cittadini”.
5 Vi invito a tener sempre presenti tutti coloro che non partecipano di queste istanze ma che non possiamo
ignorare se non vogliamo diventare un gruppo chiuso.