passione per cristo, |
1 passione per l’umanità |
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2 introduzione |
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2.1 |
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2.1.1 I All’inizio del XXI secolo |
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Gesù Cristo, il Signore Risorto, il Mediatore della nuova Alleanza e del Regno è nostro contemporaneo. Non appartiene al passato, così come la Vita Consacrata - la nostra forma di vita cristiana - non è cosa di altri tempi. In tanti Paesi la vita consacrata sta attraversando attualmente una fase di invecchiamento; in altri ha un’età media assai bassa. In questi ultimi anni, a forme millenarie di vita monastica e religiosa si sono unite forme nuove. Alcuni carismi, nati secoli fa, acquistano oggi tratti originali e appaiono pieni di vitalità. Dopo il Concilio Vaticano II, la vita consacrata ha ricevuto un grande impulso e ha sperimentato importanti cambiamenti. Tuttavia, il contesto socioculturale e religioso in cui ci troviamo esige molte altre decisive trasformazioni. In mezzo a tanti cambiamenti, avvertiamo, comunque, la validità e l’attualità dei grandi valori costitutivi della nostra forma di vita e l’urgenza di viverli intensamente e in modo significativo per noi e per gli altri. Noi consacrati e consacrate viviamo giorni di grazia e di prova.
La passione di Cristo per l’Umanità, manifestata in tutta la sua vita e in modo particolare sulla Croce, non è neanch’essa cosa di altri tempi. Si prolunga nell’arco della storia e in questa storia troviamo segni evidenti della sua fecondità. Oggi, all’inizio del XXI secolo, Cristo condivide le croci di milioni di persone in molte parti del mondo. Egli ci rivolge nuovamente la sua esigente e stimolante chiamata a seguirlo appassionatamente e a condividere – mossi dalla sua compassione - la sua passione per ogni essere umano.
2.1.2 II Il Congresso |
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Vogliamo essere docili alla voce di Dio, agli insegnamenti del nostro Maestro e agli impulsi dello Spirito che apre costantemente orizzonti nuovi e ci lancia verso nuove tappe di evangelizzazione. Vogliamo essere docili agli appelli della Chiesa, attenti alle necessità della società di oggi e certamente a quelle della vita consacrata. Per questo ci riuniamo in Congresso, rappresentanti della vita consacrata mondiale. Vogliamo ascoltare queste voci e guardare da una prospettiva interculturale, con la sensibilità maschile e femminile, con l’esperienza acquisita nei diversi servizi della vita consacrata: il servizio di Superiori e Superiore Generali, Presidenti delle Conferenze nazionali o continentali, teologi o teologhe, rettori di Centri di riflessione teologica, editori di riviste sulla vita consacrata. I giovani religiosi presenti apporteranno il loro contributo, grazie al loro fedele entusiasmo e alla loro maggiore sintonia con i valori dell’attuale momento culturale. Tutti desideriamo continuare la riflessione e il discernimento sviluppatisi in occasione del Sinodo della Vita Consacrata (VC 13) e scoprire anche “le cose nuove” che lo Spirito Santo sta facendo nascere tra noi (Is 43,18-19) all’inizio del terzo millennio. A partire da questo vorremmo darci degli orientamenti e delle linee guida che riaccendano in noi la speranza e ci stimolino ad andare dove lo Spirito ci conduce.
L’obiettivo centrale di questo Congresso è discernere insieme, con una consapevolezza globale, cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio, verso dove ci conduce e, di conseguenza, come rispondere alle sfide del nostro tempo e costruire così il Regno di Dio “per l’utilità comune” (1 Cor 12,7).
Questo obiettivo centrale può dividersi nei seguenti obiettivi parziali:
scoprire e discernere la validità delle cose nuove che stanno nascendo tra noi;
accogliere e promuovere questa novità come dono di Dio e impegno;
rafforzare la spiritualità e la missione condivise con il popolo di Dio, la comunione e la solidarietà tra vita consacrata femminile e maschile;
impegnarci a condividere la passione per Cristo e per l’umanità in nuovi contesti; la vita consacrata deve urgentemente coltivare e privilegiare “la passione” per Dio e per ogni essere umano (VC 84).
essere la voce della vita consacrata per la vita consacrata.
L’obiettivo del Congresso si traduce nel presente Documento di base (Instrumentum Laboris), espressione di un serio lavoro congiunto e progressivo. Per la sua elaborazione, in una prima fase, sono state inviate, assieme alla comunicazione del Congresso stesso, quattro domande alle quali rispondere, per permetterci di scoprire come stiamo, cosa sentiamo e quali sono i nostri progetti, i segni di vitalità, le sfide, le difficoltà e i sogni. Il “Visioning Group” ha analizzato le risposte pervenute e ha lavorato per centrare bene il tema del Congresso, la sua ispirazione, i suoi obiettivi e il suo programma. La “Commissione Teologica” presenta ora questo Instrumentum Laboris che – fedele ai testi ricevuti – cerca di offrire una sintesi creativa in cui si presentano le linee guida che si prevede possano essere utili per il futuro. In questa seconda fase, l’Instrumentum Laboris è inviato a tutti i partecipanti al Congresso, perché esprimano la propria opinione contribuendo alla sua rielaborazione. La terza fase sarà il Congresso stesso, durante il quale l’Instrumentum Laboris verrà approfondito a partire dalle diverse relazioni, da dibattiti e proposte.
Nella seconda fase, il documento di base – che ora presentiamo - vuole solo orientare l’elaborazione delle proposte che dovranno scaturire dal discernimento globale e condiviso durante il Congresso. Nel presente Instrumentum Laboris presentiamo, dunque, gli elementi, gli ambiti o aspetti che possono aiutare a mettere a fuoco o a guidare il lavoro.
Auspichiamo che lo “spirito” del Congresso, che ispirerà tutti i “lavori”, possa essere espresso nei seguenti verbi o atteggiamenti dinamici, che hanno ispirato anche noi nell’elaborazione di questo documento: accogliere, lasciarsi trasformare, iniziare una nuova prassi e celebrare.
Accogliere: implica vedere, scoprire, ascoltare ciò che lo Spirito ci offre e commuoversi – come reazione motivata da ragioni evangeliche.
Lasciarsi trasformare: cosa che è possibile se siamo aperti ad imparare e a discernere lo spirito che ci muove.
Iniziare una nuova prassi: ciò accade se siamo disposti ad agire con decisione e a fare proposte che aiutino a trasformare, ri-strutturare, in-novare e rilanciare la nostra prassi concreta. Queste proposte portano ad una duplice esigenza: la conversione personale e comunitaria da un lato, e la trasformazione dell’ambiente e delle strutture, dall’altro.
Celebrare: il congresso non può non avere un carattere autenticamente celebrativo. Ciò richiede la capacità di attribuire significati simbolici, contemplare, gioire, chiedere perdono, intercedere, ringraziare e lodare.
Il Congresso, che ha per tema “Passione per Cristo, Passione per l’umanità”, trova ispirazione per il suo discernimento e le sue proposte in due icone evangeliche: la Samaritana ed il Samaritano. Entrambe le icone non sono state tradizionalmente applicate alla vita consacrata, ma possono fornire l’ispirazione di cui essa ha bisogno in questo momento.
Una donna samaritana incontrò sulla sua strada Gesù. Sentì nel suo cuore il fascino della sua persona, del suo mistero e del suo messaggio. Per Lui abbandonò la sua brocca, vale a dire la sua vecchia vita, e si trasformò in testimone e seminatrice del Vangelo (Gv 4,5-42). Un uomo samaritano incontrò sulla sua strada un altro essere umano, mezzo morto, vittima di furto e violenza. Il suo cuore si mosse a commozione; per lui interruppe il viaggio. Gli si fece vicino e si prese cura di lui in modo attento e generoso (Lc 10, 29-37). La samaritana e il samaritano sono due icone del cammino lungo il quale lo Spirito conduce oggi – all’inizio del XXI secolo - la vita consacrata, e dell’amore e della compassione che suscita nel nostro cuore. Queste due immagini hanno dimostrato, nel corso della storia della spiritualità, un forte potere di ispirazione, e anche oggi riversano la loro energia trasformatrice sulla vita consacrata. La samaritana e il samaritano appartengono alla categoria di peccatori, ma, in essi la grazia e la disponibilità a fare il bene non mancano. Noi consacrati ci poniamo accanto a loro e ci sentiamo interpellati dalla loro sete, dal loro desiderio di acqua viva e dalla loro compassione per i feriti incontrati sulla via.
Stiamo vivendo un momento cruciale della nostra storia. Siamo mondo, chiesa e vita consacrata e sperimentiamo, assieme all’esuberanza della vita, terribili segni di morte. Lo Spirito ci conduce verso le fonti della vita e, al tempo stesso, verso quelle sorelle e quei fratelli che giacciono prostrati e moribondi lungo la strada.
d) La prospettiva: discernere per rifondare
Impostazione di questo documento: la Vita Consacrata è per noi un dono dello Spirito, ricevuto nella Chiesa per il mondo. La Chiesa è madre e maestra, è campo di azione e missione per i consacrati (EN 8 e 24). Nel Popolo di Dio la vita consacrata si fa servizio per il Regno che viene in un mondo concreto. Dobbiamo continuare a preoccuparci che il mondo e, in esso, la nuova cultura, abbiano un volto umano e la Chiesa sia “sacramento di umanizzazione”. Perché questo possa divenire realtà la vita consacrata ha bisogno di una radicale rivitalizzazione che le dia una nuova fisionomia. Nel presente documento, tutto orienta a intraprendere un discernimento di questo nuovo processo, che alcuni religiosi e religiose, alcune comunità e Istituti hanno già iniziato; a continuarlo nei giorni di preparazione del Congresso, approfondirlo durante il suo svolgimento e, certamente, condividerlo con tutta la vita consacrata. In esso non si prescinde dai contributi della teologia della vita consacrata, dell’ecclesiologia o dell’antropologia, ma in questa sede non si approfondiscono in modo specifico.
e) Il logo
Il messaggio di questo documento è espresso con forza e bellezza dal logo: esso fa da portico a tutto il documento. Il disegno è fatto con una serie di punti. I punti siamo noi, i tanti che formano il mondo, l’umanità, il Regno di Dio. I consacrati e le consacrate costituiscono circa un milione di quei punti. Nel disegno si può notare un movimento di onde che vanno e vengono. Vanno verso il centro, verso l’essenziale, verso l’amore che tutto avvolge. Vanno anche verso fuori, verso il mondo che rappresenta il corpo di Cristo, il popolo di Dio. Questo duplice movimento sgorga dalla croce, segno di vita e di speranza. Tutto il disegno evoca il cuore del consacrato e della consacrata in cui la passione per Cristo e la passione per l’umanità si fondono in un unico dinamismo. Il colore rosso e il blu intensi ricordano la forza della grazia di Cristo che tutto pervade di tenerezza e vigore. A questa forza vuole partecipare la vita consacrata. In questo significativo simbolo oggi non poteva mancare la chiamata allo zelo, all’intensità e la chiamata alla missione e alla conversione. La Croce gloriosa di Cristo ci attira a sé, ci trasforma e ci invia.
3 Prima Parte |
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4 LA REALTÀ CHE CI INTERPELLA |
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“Qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo”(Gv 4,6).
“Quando lo vide passò oltre dall’altra parte… lo vide e ne ebbe compassione” (Lc 10, 31 e 33)
Scopriamo la volontà di Dio, l’azione innovatrice dello Spirito, la direzione che deve prendere il nostro viaggio, la presenza di Dio e il suo disegno su di noi, nei segni dei tempi e dei luoghi, come Gesù ci ha insegnato (Mt 16,13). Il contributo di coloro che hanno risposto al questionario per il Congresso ci ha aiutato a trovare le risposte ai seguenti interrogativi e a delineare il profilo della vita consacrata nel nostro tempo.
Quando guardiamo la realtà che ci circonda sono varie le domande che ci facciamo in questo particolare momento della storia, in questo mondo e in questa chiesa che rappresentiamo:
Quale vita consacrata sta suscitando lo Spirito Santo oggi?
Come identificarla, descriverla, proporla?
Come iniziarci ad essa, come formarci per essa?
Come descrivere il tipo di leadership di cui essa ha bisogno?
Come individuare ciò che ne blocca l’esistenza?
Verso quali “pozzi”, verso quali cammini porta questa vita consacrata che sta nascendo?
Quale nome dare a questo processo nel quale siamo coinvolti?
Presentiamo, qui di seguito, le sfide e le opportunità di grazia che abbiamo individuato, ma anche i blocchi che rendono impossibili o difficili i nostri sogni e più concretamente la nostra passione per Cristo e per l’umanità. Criterio importante per noi saranno le quattro grandi fedeltà che ci ricorda il documento Religiosi e promozione umana: “Fedeltà all’uomo e al nostro tempo, fedeltà a Cristo e al Vangelo, fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo, fedeltà alla vita religiosa e al carisma proprio dell’istituto” (RPU, 1980, nn. 13-31). Saremo fedeli alla realtà di oggi; la nostra fedeltà lo sarà anche verso le grandi realtà spirituali ed ecclesiali. Le due prospettive, orizzontale e verticale, si intrecceranno e si feconderannno reciprocamente. Ciascuna realtà o situazione sarà messa in correlazione con la vita consacrata, per scorgere le influenze e le sfide che derivano per noi. Il nostro obiettivo non è altro che “essere pronti a rispondere con sapienza evangelica alle domande poste oggi dall’inquietudine del cuore umano e dalle sue urgenti necessità” (VC 81).
4.1 Sfide e Opportunità |
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La vita consacrata, oggi più globale che mai, si sente sfidata da diversi fenomeni nuovi, tra i quali mettiamo in risalto i seguenti: 1) la globalizzazione con le sue ambiguità ed i suoi miti; 2) la mobilità umana con i suoi fenomeni migratori e i suoi processi accelerati; 3) il sistema economico neoliberista ingiusto e destabilizzante; 4) la cultura di morte e la lotta per la vita con tutte le sfide della biotecnologia e l’eugenetica; 5) il pluralismo e la crescente differenziazione; 6) gli aspetti della mentalità postmoderna; 7) la sete di amore e il “disordine amoroso” e affettivo; 8) la sete di sacro e il materialismo secolarizzato.
Queste sfide ci collocano in un campo di tensioni e forze contrapposte che non possiamo dimenticare né trascurare. Si rende necessario scoprire dove ci conduce lo Spirito in questo “novo millenio ineunte”: quali opportunità ci offre per crescere, innovare e rifondare; quali decisioni pratiche ci ispira per crescere e irrobustirci; verso quali processi di formazione ci lancia; quali difficoltà o ostacoli dobbiamo affrontare.
4.1.1 I Mondializzazione e globalizzazione, con le loro ambiguità |
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Viviamo anche noi in un mondo globale e planetario. L’informazione – grazie alle nuove tecnologie - circola in tutto il pianeta senza difficoltà e crea dinamismi economici, politici e strategici, fino ad ora sconosciuti e insospettati. Ci sentiamo più vicini gli uni agli altri e possiamo comprendere meglio le nostre differenze. Tuttavia, se questi dinamismi sono posti al servizio di poteri forti, di interessi particolari, dell’ideologia neoliberista, si hanno effetti molto negativi e discriminanti. Generano povertà, umiliano la dignità dei popoli che hanno poche risorse, impongono un unico modello economico neoliberista ed emarginano le culture, i popoli ed i gruppi che non servono ai loro interessi.
Anche la vita consacrata è interessata da questo processo di mondializzazione. I nostri carismi si radicano in luoghi e contesti culturali e religiosi nuovi. Le differenze trasformano i nostri istituti in comunità transnazionali che godono di una stessa identità globale. Tuttavia, vi è il pericolo che la cultura predominante nell’Istituto si imponga sulle altre, impedendo il processo di inculturazione e l’espressione del carisma nei nuovi contesti (VC 73 e 79). Questo modello universalista potrebbe cadere nella stessa tentazione di condividere il progetto neoliberista, che attenta alla vita dei poveri e degli esclusi.
Questa sfida si trasforma in opportunità di riconoscere l’unità nella diversità di questo mondo così amato da Dio. L’impegno profetico per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato sono una dimensione della missione cristiana. La Chiesa e la vita consacrata si oppongono a un modello neoliberista di globalizzazione e sostengono un modello di mondializzazione senza esclusi né impoveriti. Questa sensibilità globale ci apre alla possibilità reale dell’inculturazione e della contestualizzazione dei nostri carismi e a una più stretta collaborazione inter-congregazionale e con altre forme di vita cristiana e di promozione umana.
4.1.2 II La mobilità umana e i suoi fenomeni migratori |
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I diversi conflitti politici e sociali, la povertà, le guerre, l’instabilità politica, l’intolleranza religiosa sono la causa di flussi migratori molto vari che stanno cambiando il volto delle nostre nazioni. Grandi porzioni dell’umanità si sentono spostate, sradicate, disperse per il mondo. La lotta per la sopravvivenza in tali circostanze impedisce la trasmissione delle tradizioni, un’educazione equilibrata, un sano e degno sviluppo. Questa situazione rappresenta per noi una sfida a tal punto che nell’accogliere l’altro ci giochiamo la nostra identità cristiana e religiosa. Da qui sorgono meravigliosi atteggiamenti di ospitalità e accoglienza, ma anche atteggiamenti xenofobi, etnocentrici e razzisti che non dobbiamo accettare.
Anche nella vita consacrata sperimentiamo la mobilità propria del nostro tempo. Ci vediamo chiamati ad essere comunità e persone di esodo, che chiedono un costante atteggiamento di dialogo di vita e inculturazione, di apertura della mente e capacità di trasformazione. In un mondo ingiusto e diviso è necessario essere segno e testimoni di dialogo e fiducia, di comunione ed accoglienza fraterna. (VC 51)
La vita consacrata ha oggi l’opportunità di incontrarsi con la persona umana nella sua mobilità, di condividere con tanti uomini e donne lo sradicamento della propria identità culturale e il processo di adattamento e creazione di nuove sintesi. Deve essere samaritana, sapendo accogliere, accompagnare e prendersi cura di queste persone ferite ed emarginate. La sua missione acquista tratti imprescindibili di ospitalità, compassione e dialogo interreligioso e interculturale (VC 79). Tutto ciò comporta per la vita consacrata una profonda ristrutturazione del suo stile di vita, della mentalità e dei programmi.
4.1.3 III Il sistema economico ingiusto e le nuove forme di solidarietà |
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Un’altra delle grandi sfide è l’esclusione alla quale sono soggetti grandi settori dell’umanità a causa dell’attuale processo di globalizzazione. Un’economia non solidale genera carenze e nuovi tipi di povertà (Cf NMI 50), che portano in definitiva a un progressivo disprezzo per la vita. La liberalizzazione dell’economia mondiale non ha trovato il modo di evitare gli effetti perversi che schiacciano i popoli più deboli e meno sviluppati.
Anche noi, persone consacrate, possiamo vederci coinvolte in questa economia non solidale. Questa sfida mette alla prova la verità della nostra solidarietà nei confronti dei poveri, degli esclusi e di coloro che vedono minacciato il loro diritto alla vita e all’impegno per la loro liberazione. Riconosciamo che questa solidarietà è parte essenziale della nostra fede in Gesù, della dimensione profetica della nostra vita consacrata e della sequela. Il consiglio evangelico della povertà si deve trasformare sempre più in una pratica individuale e comunitaria di solidarietà con il povero, di generosità, di gratuità, di fiducia nella Provvidenza e di testimonianza di vita semplice (VC 82).
Questa consapevolezza ci dà anche l’opportunità di confrontare il nostro stile di vita con il Vangelo e con le necessità urgenti dei poveri; di istaurare un’economia solidale verso di loro e critica verso il sistema economico vigente; di mettere le nostre risorse e istituzioni al servizio dei poveri e della protezione della natura, partecipando attivamente alla difesa e promozione della vita, della giustizia e della pace, collaborando con altre organizzazioni religiose o civili.
4.1.4 IV La vita minacciata e difesa |
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La vita è esuberante, feconda, nella natura e nell’umanità. In molti modi si manifesta oggi la considerazione, la difesa e la passione per la vita; vi sono persone e organizzazioni che lavorano per i poveri, per i diritti umani e la pace. I grandi progressi della scienza, della biotecnologia e della medicina moderna costituiscono al tempo stesso un segno di speranza e di timore per tutta l’umanità e, in special modo, per le persone consacrate che sono impegnate nella promozione e nella difesa della vita umana.
Nel nostro mondo osserviamo anche numerosi segni di violenza e di morte: la vita del pianeta è minacciata (inquinamento e mancanza d’acqua, deforestazione, rifiuti tossici). Si disprezza la vita umana, dal suo concepimento fino alla morte: aborto, violenza contro donne e bambini, violenza sessuale, totalitarismi, terrorismo, guerre, pena di morte, eutanasia. Si manipolano le fonti della vita e della fecondità senza scrupoli né criteri etici; a volte si ha l’impressione che si cerchi solo il protagonismo scientifico. I fondamentalismi religiosi provocano una violenza che potremmo chiamare sacra, dalla quale nemmeno noi siamo esenti.
Le sfide sono numerosissime, soprattutto, per i consacrati che prestano il loro servizio nel settore della sanità:
Sfide etiche: aborto, eutanasia per i malati in fase terminale, ricorso alla clonazione terapeutica e degli embrioni per la cura di alcune patologie degenerative.
Sfide delle grandi patologie endemiche ed epidemiche, come Aids, Malaria, Ebola, Sars.
Sfide nell’ambito della giustizia: non è moralmente ammissibile che le case farmaceutiche accumulino farmaci nei loro magazzini, quando i poveri muoiono per mancanza di medicine. Noi consacrati potremmo essere accanto ai poveri malati e i difensori dei loro diritti umani.
Questa drammatica situazione ci apre a nuove opportunità. Non possiamo vivere senza sentirci profondamente coinvolti da questa situazione, che colpisce la nostra madre terra e la nostra comunità umana. Dobbiamo restare vigili, per non essere corresponsabili di una “cultura di morte”. I nostri programmi apostolici non avranno senso se non ci stimolano a servire con maggiore dedizione coloro che vivono una vita menomata e non ci spingono a instaurare una vera “cultura della vita”.
4.1.5 V Il pluralismo e la crescente differenziazione |
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Viviamo in un mondo plurale. Siamo più sensibili di prima alle differenze etniche, culturali, religiose, generazionali e di sesso. L’accettazione della pluralità rende difficile e complesso il nostro modo di pensare ed agire. Vi sono culture che rimangono escluse. Il rispetto delle differenze e del pluralismo entra in conflitto con le reti di interessi privati. Molte volte le maggioranze prevalgono sulle minoranze, la forza sulla ragione, l’economia sulla solidarietà, la legge sulla libertà, l’esclusione di genere sull’inserimento, la dittatura sulla democrazia. La tendenza al pensiero unico e al livellamento di tutto è causa di molto malessere e di grandi tensioni.
La vita consacrata accoglie, oggi più che in ogni altro tempo, la pluralità, la diversità. Essa stessa è chiamata ad essere plurale e diversa nei suoi membri e nei carismi che lo Spirito concede. Non si sente, pertanto, a suo agio in sistemi ecclesiastici o sociali uniformi, monoculturali e non partecipativi o aperti. La sfida del dialogo, a tutti i livelli, cerca di configurare il nuovo stile di vita consacrata; tuttavia bisogna riconoscere che anche nella nostra vita si impongono spesso alcune forme culturali, alcuni modi di agire, alcuni fanatismi etnici e di casta. L’obbedienza religiosa matura, l’esercizio di ascolto attento della volontà di Dio e degli altri, di libera sottomissione, di impegno personale e comunitario integrati, aiutano a rispondere adeguatamente a tale sfida.
Questo compito diventa un’opportunità quando siamo capaci di entrare in comunione con il diverso. Allora i carismi individuali sono riconosciuti, liberati e posti al servizio di tutti. Una vita consacrata nella quale si rispettano e promuovono le differenze di genere, di età, di cultura, di riti e di sensibilità, acquista una considerevole qualità di segno nel nostro mondo. Essa stessa riesce in questo modo a cogliere meglio il pluralismo della società, a difenderlo e illuminarlo con la saggezza evangelica.
4.1.6 VI Gli aspetti della mentalità postmoderna |
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La cosiddetta “mentalità postmoderna” è un fenomeno globalizzato, che riguarda soprattutto le nuove generazioni. Queste ultime sono più sensibili alla realtà che ci arriva, più accoglienti nei confronti del pluralismo e della complessità e, per questo, sono più vulnerabili. Ciò accresce la sensazione di incertezza, insicurezza e instabilità. Da qui la tendenza narcisista a godere del presente senza responsabilità né aspettative di futuro. Non c’è da stupirsi che, come reazione, nascano movimenti fondamentalisti, reazionari, che cercano sicurezze nel ritorno al passato.
Anche nella vita consacrata, la complessità del nostro mondo e la mentalità postmoderna generano un tipo di personalità più complessa e meno definita – soprattutto nelle nuove generazioni -. Questo fenomeno interessa in modo particolare la vita e la missione delle persone consacrate. Si manifesta in atteggiamenti più tolleranti nei confronti della diversità, più centrati sul soggettivo, più restii ad accettare impegni a lungo termine o definitivi. Tutto è relativizzato a favore dell’emozione e della provvisorietà. Da qui la necessità di trovare canali per vivere il Vangelo in modo autentico e creativo in questa nuova cultura postmoderna.
Questo atteggiamento postmoderno ci offre l’opportunità di riconoscere i nostri limiti, evita i trionfalismi di altri tempi, ci rende più vulnerabili e solidali nei confronti delle nostre comunità e di tutti gli esseri umani. In esso vediamo l’occasione per recuperare la compassione per la sofferenza del nostro mondo. Il senso di provvisorietà e la difficoltà culturale della stabilità potrebbero anche portarci a studiare la possibilità di forme di vita consacrata “ad tempus” (VC 56 e Propositio 33), senza che ciò implichi diserzione o abbandono.
4.1.7 VII La sete di amore e il disordine amoroso |
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Avvertiamo nel nostro mondo una profonda sete di amore e di intimità, che si esprime in modi così diversi che a volte ci sconcertano. Si anela a un tipo di matrimonio e a una famiglia che sia focolare e comunione, sicurezza in un mondo inospitale, estraneo, vorticoso e violento. Tuttavia, constatiamo che il dialogo dell’amore risulta molto difficile e sempre più spesso viene interrotto o addirittura fallisce e sfocia nell’egocentrismo. Diversi fattori si ripercuotono su ciò: la predominanza culturale di un genere sull’altro (maschilismo o sessismo), il modello lavorativo che si impone e che non favorisce la stabilità necessaria per la famiglia e la coppia, il desiderio di autonomia e di auto-realizzazione che a volte si sente soffocato nella convivenza familiare, ecc. Il numero di divorzi è molto alto, mentre la speranza di vita delle persone aumenta. La crisi dell’istituzione matrimoniale e familiare – così come l’avevamo ereditata – è evidente: sono comparse pian piano altre possibilità di relazione tra le persone di diverso e dello stesso sesso. Tutto ciò genera un “disordine amoroso” difficile da gestire.
La Chiesa si rammarica che il suo messaggio e la sua dottrina – interpretati in chiave più integratrice ed educativa - non siano sufficientemente accolti e seguiti, non solo dalla società, ma dagli stessi fedeli. Anche la vita consacrata è stata interessata da questa situazione, sia nel vivere il celibato o la castità consacrata, che nei rapporti interpersonali e comunitari. I frequenti abbandoni della nostra forma di vita, gli scandali sessuali e l’immaturità affettiva indicano che essa risulta a non pochi insoddisfacente e non trovano i mezzi per superare ostacoli e impedimenti. Il celibato professato nella vita consacrata richiede un modo maturo, generoso, fecondo e sano di vivere l’affettività e la sessualità. Questa testimonianza si trasforma in gesto profetico in una società così fortemente erotizzata come la nostra (VC 88).
La riflessione antropologica e teologica non può limitarsi solo al tema e ai problemi relativi al celibato o alla vita di comunità. Tuttavia è vero che, parlando di celibato e di comunità, bisogna tenere conto del contributo della nuova antropologia; solo così si può rispondere alle nuove situazioni e orientare bene la formazione all’amore e al celibato, sottolineando la dimensione relazionale di spirito e corpo. L’influenza dell’antropologia deve raggiungere altri campi della vita consacrata. Fino ad ora non sempre siamo riusciti a formulare bene le sue implicazioni che si estendono in modo particolare al campo della formazione e delle vocazioni, dei molteplici rapporti interpersonali, delle forme di governo e di organizzazione, del linguaggio. Se non si presta attenzione al substrato umano che deve sostenere la vita consacrata ci si può facilmente ritrovare a costruire sulla sabbia.
4.1.8 VIII La sete di sacro ed il materialismo secolarizzato |
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Ultimo punto ma non meno importante. Se trattiamo questo tema alla fine è perché qui sta la chiave che dà senso a tutto quanto detto fin qui. Da una spiritualità sana e vigorosa nascono le migliori prospettive per un autentico rinnovamento della vita consacrata oggi e per una rivitalizzazione della sua missione. Avvertiamo nel nostro mondo una forte sete di sacro, un desiderio di spiritualità, una ricerca di senso e di trascendenza. D’altra parte, l’eccessiva fiducia in noi stessi, nel potere, nella tecnologia e nella ricchezza, ci allontana dalla realtà ultima. Nel nostro mondo si adorano nuovi idoli che impediscono l’adorazione dell’unico e vero Dio. Si globalizza – soprattutto nelle società opulente - una visione secolarizzata della realtà e ci ritroviamo in un mondo senza trascendenza, sincretista, agnostico e funzionalista, in una parola, senza anima.
Anche nella Chiesa e nella vita consacrata il secolarismo dell’ambiente circondante favorisce una deviazione idolatrica che si esprime nel culto dei mezzi, dei potenti, delle istituzioni, dell’abito, dei riti, delle leggi, che rendono sempre più difficile la conversione all’unico assoluto e necessario e alla passione per il Dio del Regno e per il Regno di Dio. La sfida di una seria esperienza di Dio e di una passione missionaria, innovatrice e profetica si manifestano oggi come conversione al Dio vivo, poiché la fame di Dio alimenta il nostro esodo e la missione dà senso e identità alla nostra vocazione cristiana di vita consacrata. Pertanto, dobbiamo accettare che le nuove esperienze e forme di spiritualità non siano solo frutto di una ricerca umana, ma vere e proprie chiamate e sfide dello Spirito per una società e un’umanità che non trova le vie della trascendenza e che cerca affannosamente il misterioso volto di Dio (VC 84).
La sete di Dio e di spiritualità propria del nostro tempo, assieme alla tendenza idolatrica e secolarista, ci offre l’opportunità di purificare la nostra visione della religione, trovare nuove vie per esprimerla, vivendo così la nostra passione per il Dio dell’Alleanza. La vita consacrata recupererà la sua identità, se apparirà e agirà come testimone di Dio, annunciatrice del suo Regno; se si impegnerà in seri processi di spiritualità, per poter ascoltare in modo intelligente ed empatico le emozioni e i sentimenti del cuore umano. Così offrirà il servizio della maternità e paternità spirituale di cui i nostri contemporanei sentono la mancanza. La testimonianza del Dio vero esige anche di essere disposti a rischiare – in casi estremi - la propria vita e giungere fino al martirio (VC 86). Questa situazione ci offre nuove opportunità per la creatività evangelizzatrice e l’annuncio di Gesù risorto.
Una spiritualità all’altezza delle sfide e delle aspettative delle donne e degli uomini del nostro tempo deve nutrirsi di un ascolto orante e quotidiano della Parola, organizzarsi in base alle esigenze del mistero pasquale che celebriamo ogni giorno, inserirsi nel cammino non sempre facile né chiaro del popolo di Dio in questo mondo, esercitare un dialogo accogliente e capace di discernere le utopie e le ferite dell’umanità di oggi. Solo a partire da questa esperienza di vita nello Spirito si può incoraggiare e animare una nuova tappa della storia della venuta del Regno di Dio e della storia della vita consacrata. Secondo i diversi contesti culturali e religiosi, la spiritualità può dare maggior enfasi ad elementi di interiorità o di impegno storico, ma non può mai mancare una continua ricerca di un equilibrio dinamico tra le due prospettive: sperimentando Dio, sperimentiamo un amore grande per l’essere umano, in particolare il più piccolo e il più debole; incontrando il povero e il ferito, il nostro cuore si commuove e i nostri occhi scorgono in questi l’immagine di Dio, anche se sfigurata e disprezzata.
4.2 Blocchi |
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A volte è difficile o impossibile camminare nella direzione che lo Spirito ci indica. La vita consacrata è in ritardo, frenata e bloccata da diversi ostacoli e impedimenti. Alcuni provengono da noi stessi e altri dalla Chiesa e dal mondo in cui viviamo.
4.2.1 I Da parte nostra |
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I nostri Istituti sono bloccati, in primo luogo, dai limiti delle persone che li compongono. Il progressivo invecchiamento delle persone e delle istituzioni in alcuni Paesi, la provenienza delle nuove vocazioni, a volte vittime di traumi familiari o sociali, e inadeguatamente accolte e accompagnate nei nostri processi formativi, il sovraccarico di lavoro di alcuni, la superficialità nel discernimento o la mancanza di una formazione iniziale e di una formazione permanente serie, limitano molto la nostra capacità di risposta alle sfide dei nostri tempi. Tutto ciò riduce o può portare a far sparire la passione per Cristo e per l’umanità. Pertanto, molte volte la visione programmatica espressa nei nostri documenti va al di là delle nostre possibilità reali ed è all’origine di un’utopia irreale. Ciò genera in noi un senso di ansia e di frustrazione. I solenni proclami teorici e il linguaggio poco vicino alla vita rivelano più una astuzia mondana che saggezza evangelica.
Un altro ostacolo proviene dalla nostra infedeltà o da una mancata risposta al dono vocazionale. L’imborghesimento, – generato da un eccessivo interesse per il confort e i beni strumentali – così come la mancanza di semplicità evangelica – nata dal nostro eccessivo attaccamento ai beni materiali – soffocano la nostra disponibilità e il nostro spirito missionario; offuscano il nostro sguardo contemplativo, ci rendono insensibili nei confronti dei poveri e degli esclusi ed impediscono un’autentica vita in comunione.
Il coinvolgimento diretto o indiretto in scandali a sfondo sessuale ed economici o in abusi di potere ci toglie credibilità, autorità morale ed evangelica e paralizza la realizzazione dei nostri progetti. È un dato di fatto che non possiamo chiudere un occhio su questi fatti gravi. Le loro conseguenze sono difficili da calcolare, ma non vi è dubbio che tutto ciò mette in discussione il senso della radicalità evangelica della vita consacrata laddove dovrebbe brillare con particolare intensità.
L’azione dello Spirito in noi si blocca quando ci lasciamo trasportare dalla paura del rischio, delle decisioni opportune, dal timore di spiacere al sistema che si impone. La paura paralizza, riduce la nostra capacità di rischiare e ci porta a cercare posizioni sicure; diventiamo tradizionalisti, conservatori, chiusi al rinnovamento e all’innovazione.
Quando i superiori si lasciano prendere dalla paura, nasce una leadership debole, compiacente con tutto e con tutti e, pertanto, indecisa, o troppo sottomessa alle rispettive autorità superiori. In una parola, una leadership più disposta a compiacere che ad agire. In questo modo diventa difficile sia l’esercizio evangelico dell’autorità che quello dell’obbedienza. Mancano attualmente uomini e donne con la sufficiente autorità morale per guidare le comunità in fedeltà creativa al carisma.
I gruppi conservatori, che ancora cercano di impedire il rinnovamento conciliare, impongono le loro leggi riguardo a certi aspetti della vita e a certi luoghi; fanno sì che il carisma collettivo diventi abitudinario e decadente. In questi casi le persone creative e innovatrici sono guardate con sospetto e controllate; il massimo che si permette loro sono certi adattamenti superficiali che non attentino allo status quo. In questo modo il “vino nuovo” è versato in “otri vecchi” (Mt 9,17).
La paura ci fa cercare sicurezze che ci portano a chiuderci nel nostro mondo - religioso o ecclesiastico, provinciale o nazionale –, ad attaccarci in modo smisurato alla nostra lingua o alla nostra cultura e ad isolarci nella nostra tradizione carismatica o religiosa. Allora diventiamo ciechi e incapaci di scoprire i segni dello Spirito e uccidiamo ogni iniziativa e creatività per rispondere alle grandi urgenze del nostro tempo. Vi è un’incalzante necessità di un nuovo soffio del Concilio Vaticano II che ci dia audacia e lucidità per essere fedeli al Vangelo.
4.2.2 II Dalla Chiesa e dalla società |
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La Chiesa è il Corpo di Cristo in perenne crescita (MR11). In essa la vita consacrata trova uno spazio di vita, di espansione e crescita. Tuttavia, si sente bloccata lì dove vige un sistema ecclesiastico chiuso, che diffida e sospetta della libertà evangelica che tante volte anima la vita consacrata– sia a livello di chiesa universale che di chiese particolari -. In tali circostanze essa si sente messa in disparte rispetto ad altri gruppi più docili e di fatto poco apprezzata; in alcuni posti le sue iniziative e le sue opere sono ostacolate e discriminate. Se sceglie di uniformarsi a questa situazione, perde la sua parte più profetica; se sceglie di esercitare il suo profetismo, si vede esclusa. La dimensione profetica, così essenziale per la vita consacrata, deve essere curata e promossa (VC 84-85).
Le società in cui viviamo ci influenzano fortemente, cosicché i loro ostacoli sono i nostri ostacoli, come anche le loro virtù sono le nostre virtù. Basti citare gli ostacoli provenienti dai regimi dittatoriali, da quelle società così chiuse nel “loro mondo” da non aprirsi alla realtà globale, o da società molto materialistiche e secolarizzate. Inoltre, numerosi sono i gruppi, le correnti o tendenze culturali che ci bloccano: la mancanza di credibilità delle grandi agenzie (partiti, sindacati, progetti sociali, organismi religiosi), il crollo delle grandi utopie che rende più difficile la lotta per un futuro migliore, il terrore e la violenza. Tutto ciò ci fa essere ogni giorno più insicuri e impauriti dovunque.
4.2.3 III Gli ostacoli non spengono la nostra speranza |
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Questa realtà che pur ci mette in discussione, non spegne la nostra speranza. Il nostro tempo è il tempo del Dio dell’Alleanza, del Dio “sempre più grande”, che con i suoi doni supera i nostri desideri.
Come consacrati viviamo momenti cruciali, nell’umanità e nella Chiesa. Dobbiamo prendere decisioni di grande importanza per l’immediato futuro. Ci troviamo di fronte a scelte decisive: possiamo incoraggiare la vita o ostacolarla, crescere nella comunione o creare ulteriori distanze tra noi, lasciarci vincere dalle difficoltà o combatterle. Non abbiamo tempo da perdere. Le nuove realtà richiedono nuove risposte. Dio ci parla attraverso queste nuove situazioni e sfide. Le risposte devono essere ben radicate nella vita reale, ma anche devono nascere ed essere alimentate dal contatto con la sapienza di Dio, con la Parola che da Lui ci giunge e che illumina, provoca, educa, purifica, guida ed offre nuove ispirazioni. È il momento di ascoltare la sua voce. Il momento che sta vivendo la vita consacrata non è il miglior momento della sua storia, ma neanche il peggiore. È il nostro momento: quello che ci è dato da vivere e da affrontare con una fede che agisce grazie alla carità e rende possibile la speranza.
Non possiamo muoverci secondo un ideale di vita consacrata che sia troppo distante dalla realtà, né dimenticare quest’ultima per parlare del futuro, prescindendo dal contesto reale; né tanto meno possiamo organizzare il futuro prima ancora che lo stesso diventi presente, seguendo un paradigma ormai superato. Sarà bene recuperare la capacità di reale rivitalizzazione dei modelli che si propongono, accettando di procedere con soluzioni fragili e provvisorie, senza voler tutto stabilire.
5 Seconda Parte |
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6 ILLUMINAZIONE: L’ICONA |
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“Quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa.” (Gv 4,25)
“Che cosa sta scritto… Che cosa vi leggi?” (Lc 10,26)
Dinanzi alla realtà che ci sfida e agli ostacoli che ci paralizzano, cerchiamo la luce e la forza nella Parola di Dio. Così hanno fatto i nostri Fondatori e le nostre Fondatrici. “Dalla frequentazione della Parola di Dio essi hanno tratto la luce necessaria per quel discernimento individuale e comunitario che li ha aiutati a cercare nei segni dei tempi le vie del Signore” (VC 94). La Parola ci aiuta a discernere la volontà di Dio – ciò che è a lui gradito e perfetto (Rm 12,2) – e le sue vie nei segni dei tempi e ad agire con fedeltà e saggezza.
Desideriamo lasciarci illuminare nel nostro discernimento, come abbiamo già detto, da due icone bibliche: il racconto dell’incontro della Samaritana con Gesù al pozzo di Giacobbe (Gv 4,1-42) e la parabola del Samaritano (Lc 10,29-37). La prima icona è stata già usata dalle consacrate nel loro contributo al Sinodo del 1994. Qui viene utilizzata per affermare l’appassionata ricerca spirituale dell’acqua viva, “la passione contemplativa” che tutti – religiosi e religiose – sentiamo nel cuore e che solo Gesù può soddisfare. La seconda icona è proposta come esempio di compassione attiva e diligente verso ogni persona, ferita nel corpo o nello spirito. Entrambe le icone possono ispirare anche oggi, all’inizio di questo nuovo secolo, il nostro discernimento e darci nuove prospettive e orientamenti sapienziali. Ci aprono orizzonti nuovi ed inediti che possono orientarci nell’attuale contesto in cui viviamo.
6.1 Samaritana e Samaritano |
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Contro il pregiudizio – diffuso a quei tempi – secondo il quale non ci si sarebbe aspettato da un samaritano o da una samaritana una condotta conforme alla volontà di Dio, i due protagonisti sono coinvolti in un processo di trasformazione, che si esprime in gesti e reazioni particolari, che possono ispirare la nostra vita. In entrambe le icone la vita consacrata, quella femminile come quella maschile, vede riflessa la propria avventura spirituale di passione per Dio e di compassione per l’essere umano.
6.1.1 I L’icona della Samaritana: la sete e il dialogo di liberazione |
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L’episodio del dialogo con la samaritana in Giovanni si colloca nel contesto delle prime reazioni di fronte a Gesù: quella del giudeo Nicodemo che vuole sapere con chiarezza ma fa resistenza, in parte a motivo del suo scetticismo (Gv 3,1-21); quella della donna samaritana che si lascia affascinare e guidare dalla novità (Gv 4,1-42) e quella del funzionario pagano che si converte assieme a tutta la sua famiglia (Gv 4, 46-54). Nella tradizione, il capitolo quarto del vangelo di Giovanni è considerato una grande catechesi battesimale. Lungo il cammino della sua vita la donna samaritana incontra Gesù (Gv 4,1-42). Gesù, stanco del viaggio, è seduto presso il pozzo di Giacobbe; mosso dall’amore mendicante di Dio Padre, sfidando i pregiudizi e i tabù del suo tempo (Gv 4,27), dà inizio alla conversazione con la donna e le chiede da bere. Di fronte all’iniziale resistenza di questa, Gesù non si altera; la conversazione si sviluppa attraverso sette risposte che la donna dà e sette frasi di Gesù. Il dialogo tocca il cuore di entrambi. Gesù stesso si coinvolge profondamente, le chiede di credergli e le parla del vero culto in spirito e verità (Gv 4,23-24). Arriva fino a confidarle il segreto più intimo della sua persona e le annuncia che lui è “il Messia che deve venire” (Gv 4,26). La donna avverte immediatamente la forza delle sue parole e la profonda attrazione della sua persona. Scopre progressivamente il mistero di quell’uomo che le offre l’Acqua viva e la possibilità di un nuovo rapporto con Dio, ben oltre il culto istituzionalizzato e praticato sulla montagna o nel tempio.
Questa donna porta nel cuore una storia di relazioni ferite. Forse va al pozzo in un’ora insolita per non essere vista. Conosce certamente alcuni elementi delle pratiche religiose, ma ha bisogno di qualcosa di nuovo e di più profondo. Quando lo trova diventa un’altra persona. Il vuoto della sua vita è ben simbolizzato dalla brocca. Gesù avverte il malessere interiore che le causa il suo passato avventuroso. Gesù si rivela mentre man mano svela le inquietudini della donna. Questa si trasforma, passando dall’ironia alla seduzione che la disarma, dal vuoto alla pienezza che la entusiasma. Diventa meditativa e fiduciosa, perché il misterioso maestro non la condanna, ma le parla con parole nuove che vanno dirette al suo cuore assetato di rapporti intensi. L’incontro con Gesù la trasforma in messaggera: corre in città e chiama i suoi concittadini annunciando loro un “Messia” che conosce senza condannare e che orienta la sete verso quell’acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,39). La brocca, simbolo della sete umana e di affetti che non l’avevano mai saziata, diventa ora inutile. La lascia (Gv 4,28). Nel frattempo Gesù annuncia ai suoi discepoli che la messe è già pronta ed è il tempo della mietitura (Gv 4,35-38). La donna suscita nella città la fede in Gesù e conduce a Lui i suoi concittadini (Gv 4,39).
In questo racconto biblico scopriamo l’icona della nostra vocazione, come esperienza di incontro con Gesù e impegno nell’annuncio del Vangelo. Nel luogo dell’incontro - totalmente privo di segni sacri -, il dialogo apre il cuore alla verità; rivela e cura. Dio si mostra fragile e assetato in Gesù. La sete di Dio si incontra con la sete della donna, con la nostra sete. Chi chiede da bere è pronto ad offrire un’acqua nuova ed eterna che rigenera e trasforma la vita. La relazione diventa gioco e sguardo, fiducia e rinascita. Gesù non teme l’umanità inquieta. La sua tranquillità e libertà interiore permettono che quest’ultima, rappresentata dalla donna, si senta protagonista, che danzi al ritmo della sua propria inquietudine fino a trovare l’acqua viva che zampilla per la vita eterna. La sete di Gesù e la sete della donna sono il filo conduttore di un dialogo liberatore che risana ferite interiori, incurabili fino a quel momento e che i pregiudizi razziali e religiosi hanno reso più penose. L’amore “indigente” di Dio in Gesù chiede a noi – umanità inquieta - di bere e ci offre gratuitamente l’acqua della vita.
Ci vediamo riflessi nella donna, molte volte, infatti, anche noi siamo feriti nei nostri rapporti reciproci, assetati di verità ed autenticità. Scopriamo che siamo incapaci di comprendere i nostri affetti, dietro ai quali si nasconde il nostro cuore smarrito. Meditando questo testo possiamo illuminare la nostra vita con la parola. A Gesù piacciono le circostanze semplici e ordinarie della vita, quelle che si trasformano in momenti speciali, di grazia e di rivelazione. La capacità di convocazione di questa donna che ha una storia sordida ci sorprende; al tempo stesso ci insegna ad avere fiducia nelle piccole cose e nelle risorse limitate. I pregiudizi con i quali i discepoli osservavano la scena (Gv 4,26-27) rivelano una mentalità maschilista che è presente ancora ai nostri giorni. La stessa serenità di Gesù, nata dalla chiara consapevolezza della sua missione, gli permette di aspettare pazientemente la domanda giusta e il momento della totale confidenza. In città tornano i discepoli per comprare da mangiare; in città torna la donna da sola, ma farà sì che molti samaritani seguano il cammino della fede nel “salvatore del mondo” (Gv 4,39-42).
6.1.2 II L’icona del samaritano |
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Lungo il cammino della sua vita un samaritano – come dice la parabola - incontra ogni uomo o donna incappati nei briganti che li hanno lasciati mezzi morti; ne ha compassione e si prende cura di loro (Lc 10,25-37). Interrogato con malizia da un dottore della legge su cosa fare per entrare nella vita eterna e su chi è il prossimo, Gesù rimanda in primo luogo alla lettura della Legge – al comandamento principale - e, d’altra parte, per chiarire il concetto di prossimo, ricorre a una storia esemplare, attraverso la quale rigira la questione: non è importante sapere chi è il mio prossimo per amarlo, ma avere quella disposizione del cuore che mi fa commuovere e mi permette di farmi prossimo a chi ha bisogno di me. Ecco il passaggio dal prossimo, inteso come oggetto di attenzione, che coinvolge alcuni ed esclude altri, al soggetto che vive la prossimità amando, perché solo la compassione vissuta ci rende prossimi.
Possiamo distinguere tra il samaritano del momento tragico – quello che soccorre la vittima dei briganti, lì dove si trova, immediatamente e con efficacia per impedire che muoia -, ed il samaritano del giorno dopo, che organizza la convalescenza del ferito secondo le esigenze del tempo e dell’economia, chiedendo la collaborazione di altri.
La tradizione teologica e pastorale ha letto in questo testo un riflesso dell’umanità ferita e abbandonata a se stessa, e della compassione di Dio che, attraverso il Figlio, si china per curarla. Questa interpretazione si basa su un verbo – “ebbe compassione” kai esplanchnisthè – che compare qui, così come nel racconto della vedova di Nain (Lc 7,13) ed è il motivo per il quale il padre del figliol prodigo gli corre incontro (Lc 15,20). Questa interpretazione, così bella e così suggestiva, continua ad essere valida e insegna a vivere gli stessi sentimenti di Cristo e ad inginocchiarsi, come lui, dinanzi all’umanità ferita e violentata e a soccorrere con ogni mezzo i feriti e abbandonati che giacciono “mezzi morti” nelle periferie della nostra società.
In questa parabola vediamo che Gesù emargina, nella sua valutazione, coloro che sono segno del potere religioso, quando non si lasciano muovere a compassione, dando, invece, un ruolo di protagonismo a un uomo commosso che compie gesti umili, semplici, con l’olio, il vino, le bende, il giumento e la locanda. L’aiuto immediato viene offerto nel modo migliore, ma il samaritano chiede inoltre all’albergatore di “aver cura di lui” e – per questo – gli garantisca attenzione, aiuto, rispetto e fiducia e lo faccia in modo prolungato nel tempo. Per il samaritano, quell’uomo bisognoso continua ad essere presente nei suoi pensieri e si preoccupa tanto da prevedere di ripassare per controllare che abbia ricevuto il giusto trattamento e per saldare il conto. Non scarica su altri la sua preoccupazione, ma si fa stimolo di solidarietà attiva. L’esortazione finale di Gesù, quel “anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37), orienta verso una coerenza pratica e non a principi teorici.
La strada del Samaritano è oggi uno spazio immenso, dove si affollano uomini e donne, bambini ed anziani, che, “mezzi morti”, portano le ferite che ogni tipo di violenza ha inferto loro, nel corpo e nello spirito. Sono innumerevoli i volti sfigurati dalla violenza e dall’ingiustizia: volti di immigrati e di rifugiati in cerca di una patria, di donne e giovani sfruttati, di anziani e malati abbandonati a se stessi; volti umiliati dai pregiudizi razziali o religiosi, volti di bambini traumatizzati nel corpo e nello spirito, volti sfigurati dalla fame e dalla tortura. Questi sono i flagellati della terra, che giacciono al margine della nostra storia e domandano una compassione creativa che trasformi le tradizionali istituzioni caritative in risposta alle nuove urgenze e in nuova testimonianza di cosa vuol dire farsi prossimo. Essere prossimo vuol dire, infatti, guardare le situazioni dalla prospettiva del povero che è l’ultimo (éschaton) della società e, in base al criterio determinante nel giudizio finale (Mt 25,31-45), a partire dalle sue esigenze e dal suo processo di guarigione e liberazione. La principale sfida oggi consiste nel cambiare le priorità per promuovere dinamiche di vicinanza compassionevole.
La sfida più importante è quella di entrare in azione, dando la priorità al bisognoso, alle persone e non agli affari, ai percorsi terapeutici e non alle norme sacre che ci spogliano della compassione, come accadde al sacerdote e al levita. Gli uomini delle istituzioni non hanno saputo liberare l’immaginazione della carità. Hanno proseguito il loro viaggio per mantenersi puri nel senso legale e cultuale. Tuttavia, colui che viveva la religiosità e il culto in un modo non corretto e persino disprezzato dai capi religiosi ufficiali, si è rivelato l’unico capace di esercitare la carità. Libero da schemi sacri esterni, ha avuto animo e cuore misericordiosi. Quando ci si commuove profondamente, anche le scarse risorse come un po’ d’olio, del vino, delle bende si trasformano in segni di grandi e profondi valori. È necessario, però, scendere dalla cavalcatura che ci rende esseri privilegiati e ci separa da tanti viandanti che non hanno dignità, né casa, né meta. È necessario versare sulle loro ferite l’olio della nostra contemplazione, perché non sia una mera ricerca egoistica e solitaria, ed il vino della tenerezza e della gratitudine perché torni la speranza e la voglia di vivere.
La comunità samaritana si costituisce attorno a Gesù. È la comunità di coloro che stanno con Lui e condividono la sua compassione per l’umanità e sono inviati, come Lui, a predicare, con il potere di scacciare i demoni (Mc 3,15) e guarire gli infermi ungendoli di olio (Mc 6,13). Così si forma la vera fraternità di Gesù in un mondo violento e ingiusto.
6.2 Una vita consacrata “samaritana” |
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6.2.1 I Chiavi di lettura |
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Queste icone – contemplate insieme – ci mostrano che la vita consacrata nasce da un’esperienza vocazionale che ha luogo nell’incontro e nel dialogo di vita con Gesù che ci chiama e con gli esseri umani più bisognosi. La samaritana e il samaritano ci spingono a metter fuori i rapporti feriti della nostra vita consacrata perché siano accolti con compassione, curati gratuitamente e diligentemente, versandovi sopra l’olio della contemplazione e il vino della tenerezza e della gratuità. Entrambe le immagini ci portano a sederci vicino a tanti “pozzi” dove cuori inquieti e bisognosi di una nuova speranza liberatrice sazieranno la loro sete, o ad andare per le strade in cui i poveri hanno bisogno del nostro aiuto; a dialogare con calma e senza pregiudizi, senza calcolare il tempo né il prestigio; a condividere la passione per l’acqua che disseta veramente, vivifica e trasforma; a scendere dai nostri “giumenti” (Lc 10,14) – privilegi, strutture rigide, pregiudizi sacri - per unirci al destino dei crocifissi della terra e lottare contro ogni violenza e ingiustizia, dando inizio così a una nuova tappa di guarigione e solidarietà.
6.2.2 II Il “nuovo modello” |
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Sotto l’impulso dello Spirito che ci guida nel cammino verso la verità tutta intera (Gv 16,13), sta emergendo una vita consacrata con nuove caratteristiche. Avvertiamo sempre più forte la necessità di una intensa esperienza contemplativa, vissuta tra le angustie e le speranze del popolo, in particolare dei più deboli e piccoli. Si sta definendo un nuovo modello di vita consacrata – nato dalla compassione per i feriti e i flagellati della terra - attorno a nuove priorità, nuovi modelli di organizzazione e di collaborazione aperta e flessibile con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Gli elementi che hanno caratterizzato questa vocazione cristiana nella storia e che esprimono la sua grande e ricca tradizione vengono recuperati in una nuova sintesi. Ciò permette di riprendere il Vangelo come prima norma, il comandamento principale dell’Alleanza, elemento centrale, e la fraternità come proposta e profezia in una società divisa e ingiusta, vivendo la passione per l’umanità con una grande carica di immaginazione e di creatività. L’esperienza dello stare in mezzo ai più poveri e agli esclusi ha dato nuova configurazione alla vita consacrata come vita samaritana che annuncia il Vangelo con nuove espressioni: “Quante [persone consacrate] si sono chinate, e continuano a chinarsi, come buoni samaritani sulle innumerevoli ferite dei fratelli e delle sorelle che incontrano sulla loro strada!” (VC 108).
Sta così nascendo – sebbene in mezzo a tanta fragilità - un volto nuovo di Chiesa pasquale, serva, arricchita dalla testimonianza di martiri. Si stanno diffondendo esempi ed esperienze di comunità fraterne e solidali, oranti e audaci, costanti nel bene e vigilanti nella compassione, coraggiose nelle iniziative e allegre nella speranza. “Questo nostro mondo non ha bisogno anche di uomini e donne che, con la loro vita e la loro azione, sappiano gettare semi di pace e di fraternità?” (VC 108).
7 Terza Parte |
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8 VERSO L’AZIONE |
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“Dammi da bere!”(Gv 4,7)
“Fa’ questo e vivrai. (…) Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10, 28.37)
Le insistenti parole di Gesù al dottore della legge, oggi sono rivolte a noi: “Fate questo e vivrete!”. Le due icone sono per la vita consacrata stimolo e programma di vita e di impegno. A noi il compito ermeneutico di interpretare in ogni luogo e tempo il modo di trasformarli in realtà. Nella vita consacrata abbiamo dato per certe molte cose e, a volte, solo per il semplice fatto di conoscerle e di dirle. Tuttavia, non dobbiamo dare per certo più di quanto viviamo. Si tratta di fare questo per vivere.
Riconosciamo, in primo luogo, che non si cerca uno sforzo volontaristico. Dio sta già agendo in noi e con noi. Vi sono segni di novità, precursori del dono che ci viene offerto e che dobbiamo già conoscere. Vi sono, però, anche ambiti o campi in cui dobbiamo dimostrare la nostra disponibilità a collaborare con la grazia e a dimostrare la forza creativa e immaginativa della nostra libertà e della “fantasia della carità” (NMI 50).
8.1 Segni di Novità: dove ci porta lo Spirito? |
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Lo Spirito Santo continua ad agire nel mondo, nella Chiesa e in noi. Segni di vita e di speranza appaiono dappertutto. Coloro che sono sensibili allo spirito e alla verità «conoscono il dono di Dio» (Gv 4,10) e sanno cosa si deve fare per vivere e dare vita. Vi sono segnali di tutto questo nella vita consacrata che bisogna saper leggere e a volte interpretare. Soprattutto bisogna saper entrare nei processi che permettono di portare a buon fine ciò che si sta iniziando.
8.1.1 I La forza delle sorgenti: da lì zampilla l’acqua viva |
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Dal Concilio Vaticano II ad oggi, la vita consacrata ha fatto grandi sforzi per tornare alle sorgenti, per incontrarsi con il dono di Dio. Ha cercato di re-incontrarsi con la Parola, con l’ispirazione prima e con la sua identità.
La Parola di Dio è stata messa al centro della vita e ne anima tutti gli aspetti. La ascoltiamo con tutto il popolo di Dio, nel contesto del nostro tempo. La vita consacrata “ha rincontrato la Parola” (VC 81 e 94). In essa troviamo la forza per vivere, l’orientamento per camminare e lo stimolo per i nostri progetti. Su di essa si fonda una spiritualità incarnata e inculturata. Essa nutre tutti gli aspetti della nostra vita: preghiera, comunità e missione. Ciò si è ottenuto, in modo particolare, attraverso la scoperta e la diffusione dell’antica tradizione della “lectio divina”; così la Parola si fa sapienza “viva che interpella, orienta e plasma l’esistenza” (NMI 39). Così, nutriti con la Parola, diventiamo tutti “servi della Parola nell’impegno dell’evangelizzazione” (NMI 40).
In alcuni Istituti religiosi si è vissuto, inoltre, il ritorno all’ispirazione originaria dei Fondatori e delle Fondatrici, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II (PC 2). Quando ciò è accaduto si è riusciti:
a) ad avvertire la freschezza permanente del carisma e la sua forza aggregante, trasformante e profetica (VC 84-85). Il ritorno alle origini dell’Istituto ci fa “sentire in famiglia”;
b) a comprendere che il carisma ereditato è un dono per tutta la Chiesa e che, pertanto, può e deve essere condiviso con altre persone (VC 54-56);
c) a scoprire una nuova realtà espressa in un nuovo linguaggio: “carisma condiviso”, “spiritualità condivisa”, “missione condivisa”, “comunità condivisa” (RdC 30-31);
d) a modificare la nostra comprensione dell’Istituto fino a sentirci “famiglia”, a ravvivare il nostro senso di Chiesa e di vita consacrata condivisa;
e) a rinascere all’entusiasmo e recuperare la fantasia creativa delle origini in nuovi contesti e rispondendo a nuove necessità (VC 37);
f) a ridefinire la nostra identità, non solo a partire da “elementi essenziali”, ma dalla correlazione con tutte le forme di vita cristiana, dal servizio umile nei confronti di tutti e dall’atteggiamento di condivisione (CfL 55);
g) a rispondere alla richiesta di laici e ministri ordinati che chiedono di condividere la nostra ispirazione spirituale.
8.1.2 II Gli incontri che trasformano: siamo andati a bere allo stesso pozzo |
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Lo Spirito di Dio continua a creare novità, continua a parlarci attraverso i profeti, chiamandoci ad una fedeltà ricca di amore e di audacia apostolica (VC 82). Oggi, nella vita consacrata vi sono le tracce della sua presenza rinnovatrice. In questa vita consacrata si realizzano “incontri” nuovi che la trasformano e vivificano e le pongono nuove domande e nuove sfide (VC 73). Incontro è la creazione, l’incarnazione e la redenzione. Gli incontri perché siano fecondi, devono avvenire “nella tenda dell’incontro”, come per Mosè (Es 33,7). Nel processo di rifondazione, avviato dalla vita consacrata, si è passati pian piano dall’isolamento e dalla distanza al dialogo, alla condivisione, alla comunicazione, alla presenza e all’interazione. Così si sono moltiplicati i nuovi modi di relazione.
Tra gli incontri più significativi e con maggiori conseguenze per i religiosi bisogna segnalare i seguenti: Incontri tra uomini e donne e tra religiosi e secolari. Nell’uno come nell’altro caso si sta imparando, poco a poco, a bere dallo stesso pozzo e ad andare per le vie della Chiesa e della società camminando con entrambi i piedi, ascoltando con entrambe le orecchie e guardando con entrambi gli occhi. Si stanno moltiplicando gli incontri tra le diverse culture e i diversi gruppi generazionali; stiamo imparando a vivere uniti nelle diversità di cultura e di età e a concepirle come una grande ricchezza. Incontro tra religiosi e poveri: le esperienze di inserimento, solidarietà e vita condivisa con i poveri, quando ci sono state, sono state molto feconde (VC 82). Incontro tra credenti e non credenti, tra membri di alcune religioni ed altre, tra membri di alcune Chiese e di altre. Stiamo lavorando per spezzare molti tipi di barriere e divisioni, per creare ponti e crescere in comunione. Stiamo scoprendo anche la ricchezza delle forme di vita religiosa esistenti in altre tradizioni religiose, attraverso il dialogo e lo scambio reciproco. Una grande ricchezza è l’incontro con la madre terra. La dimensione ecologica può avere importanti conseguenze per la nostra missione e la nostra spiritualità (VC 103; NMI 56). L’incontro con altre congregazioni, che va dalla semplice collaborazione fino alla confederazione, la federazione e la fusione (52 e 53), ci permette di sottolineare l’essenziale, le cose in comune della vita consacrata, senza perdere di vista lo specifico di ciascun gruppo. Questo aiuto contribuirà a realizzare il nuovo paradigma che, in un modo o nell’altro, tutti stiamo cercando.
Questi incontri vissuti come evento, come processo e come grazia delineano gli elementi indispensabili dei nuovi modi di vita consacrata che sono già realtà e che hanno bisogno della creatività e della lucidità di tanti per prender forma nell’attuale cammino della Chiesa e della società. Tutti questi incontri sono esigenti e spesso hanno inizio, ma poi non proseguono. Tuttavia, in essi e con essi stanno nascendo forme di vita evangelica semplici, radicali, ecumeniche, in mezzo al popolo, dalle strutture flessibili, accoglienti, attente al linguaggio simbolico, agli attuali riti della vita e alle esigenze della comunione profonda con Dio e con le persone (VC 12 e 62)
8.1.3 III Il linguaggio dell’acqua: zampilla e scorre |
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Questi segni di vitalità che lo Spirito sta suscitando nella vita consacrata hanno provocato in noi la necessità di esprimere in modo nuovo il nuovo, con un linguaggio nuovo e la creazione di originali schemi simbolici. Per questo parliamo di “nuovo paradigma”, “nuovo modello”, “nuove forme”, “rifondazione” e “fedeltà creativa”. La forma di vita modifica e configura il linguaggio e il linguaggio modifica e configura la forma di vita. Non c’è da stupirsi che i nuovi modi di vivere la vita consacrata modifichino le nostre forme di espressione e di organizzazione e che queste nuove parole modifichino, inoltre, il nostro modo di vivere. La vita religiosa è sempre stata un laboratorio di nuovi modelli culturali ed organizzativi, esprimendo così autentici valori evangelici nei diversi contesti e condizioni culturali e religiose. In essa vi è stata una forte tendenza all’inculturazione che è giunta fino ai nostri giorni, e che oggi dobbiamo riaggiornare (VC 6 e 98).
In primo luogo, scopriamo la necessità di nuove espressioni e di nuovi metodi per annunciare Gesù Cristo e il Vangelo del Regno al nostro tempo. La vita consacrata che sa di essere chiamata a condividere il grande progetto della “nuova evangelizzazione”, è consapevole che ciò esige un “nuovo ardore” o un nuovo linguaggio spirituale, che unisca missione e spiritualità, comunità e individualità, corpo e spirito. Sa, infine, che l’opzione per i poveri e gli esclusi è l’espressione imprescindibile per questa nuova evangelizzazione (NMI 49).
Alcuni simboli e linguaggi simbolici del passato perdono forza e sono sostituiti da altre forme di comunicazione più adatte alla cultura contemporanea. Il contatto con la realtà socioculturale ed ecclesiale ci umanizza, rinnova ed adatta. Una diversa sensibilità sta nascendo tra noi e lo Spirito Santo ci sta portando verso nuove forme di missione e di vita. Tutto ciò ci richiede un serio impegno nel coltivare questo dono che Dio ci concede.
8.1.4 IV Nuovi rapporti in una Chiesa di comunione: frutto fecondo della terra ben irrigata |
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Il progressivo sviluppo dell’ecclesiologia di comunione, dalla quale partì il concilio Vaticano II, ha man mano invitato tutti i membri del Popolo di Dio a percorrere insieme vie di santità, di evangelizzazione e di solidarietà. La confessione del Mistero Trinitario e il riconoscimento del protagonismo dello Spirito Santo nella Chiesa, come espressione di fecondità, di comunione e di dinamismo missionario, mentre ha rivelato la ricchezza delle diverse vocazioni e delle forme di vita nella Chiesa, ha sottolineato la correlazione e reciprocità tra di esse (CfL 55). Tutto ciò sta estendendo i rapporti e, al tempo stesso, li sta qualificando, cosicché sia possibile vivere in profondità la filiazione, la fraternità e la missione inerenti a tutte le vocazioni cristiane. Incoraggiando la spiritualità della comunione propugnata da Giovanni Paolo II (VC 46, NMI 43, PG 22), la Chiesa si rende visibile come comunità di credenti e apostoli, si ampliano gli orizzonti missionari, si rende fecondo il dialogo in tutte le direzioni e con i diversi interlocutori, aumentano le vie della solidarietà, o, in altre parole, si vive lo spirito “samaritano” (Ecclesia in Asia 31,34 e 44).
In questi ultimi anni, i rapporti dei consacrati si sono estesi, moltiplicati e qualificati. Non sono solo oggetto di attenzione i rapporti con i Vescovi, ma anche quelli con i laici e, in modo particolare, con coloro che condividono il carisma e la missione; con i presbiteri secolari che fanno da mediatori in molti altri rapporti all’interno delle comunità cristiane che presiedono; inoltre con quanti, spinti dalla loro buona volontà, collaborano alla trasformazione del mondo. Noi consacrati cerchiamo di entrare nella rete della solidarietà, alternativa alla globalizzazione impersonale; siamo consapevoli che ciò comporta problemi ed implica conflitti. Pensiamo che sia nostro dovere prevenire gli effetti nefasti della globalizzazione e sostenere le iniziative degli organismi che lavorano per creare questa consapevolezza e alimentare una profonda ansia di comunione, ma a volte non riescono a viverla bene e altre volte questo impegno non è ben accolto.
8.2 La Risposta al Dono: Forza immaginativa e creativa |
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Il Maestro esorta: “fa’ questo e vivrai!” (Lc 10,28). Dobbiamo passare all’azione. Il Congresso invita la vita consacrata a dare inizio e continuare una nuova pratica, a compiere passi decisi e seri. Facendo ciò, ci diamo un duplice obiettivo e rispondiamo ad una duplice necessità della vita consacrata. Essa ha bisogno di intensità, zelo, in una parola, passione per il Signore e per l’umanità. Ha bisogno anche di focalizzare la sua azione, avere obiettivi chiari. In questo capitolo desideriamo guardare e fare nostro il futuro che il Signore vuole per noi, descrivendo nel miglior modo possibile la risposta che dobbiamo dare alla proposta che Dio ci fa.
Non è facile riuscire ad indicare ciò che è opportuno fare perché la vita religiosa sia significativa nella società e nella Chiesa. Da un punto di vista pedagogico è molto importante indicare, come fece la Chiesa prima del concilio Vaticano II, ciò che non va, ciò che sta terminando, ciò che non ha presente né futuro. Questo aiuta a concentrare le nostre forze in ciò che è più necessario.
Proponiamo qui di seguito alcune riflessioni e alcune domande per orientare il discernimento in questo nostro Congresso. Le domande sono frutto della consultazione effettuata.
8.2.1 I Testimoni della trascendenza |
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In tempi in cui l’esperienza del mistero di Dio è più sfumata e in molti casi totalmente spenta, o, in altri ancora, interferita da un pluralismo religioso molto difforme, sentiamo la chiamata a sottolineare e rivelare l’intrinseco valore religioso di tutti gli aspetti della vita.
L’esperienza religiosa che ci è stata concessa e che coltiviamo è quella del Dio Creatore, che ha agito da redentore della storia e si è fatto Emanuele, incarnandosi in Gesù di Nazaret. Grazie allo Spirito che ci è stato dato, noi che apparteniamo alla vita consacrata, cerchiamo di essere memoria dello stile di vita e della capacità liminale di Gesù di Nazaret. Vogliamo essere suoi testimoni fino ai confini della terra e manifestazione della passione per Cristo e della compassione per gli esseri umani, promovendo in tutte le sue forme la religiosità della vita, ricchezza fondamentale alla quale tutti serviamo e della quale anche tutti partecipiamo.
Per noi, annunciare Gesù con la nostra vita, i nostri gesti, le nostre azioni, è la quintessenza della nostra vocazione evangelica. Pertanto, ci chiediamo: quali sono i cambiamenti che si rendono necessari nel nostro sistema religioso, istituzionale e comunitario, per rendere più evangelica la nostra vita?
8.2.2 II Inculturazione |
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Se la vita consacrata non si incultura nei diversi luoghi e contesti in cui si trova, non potrà sopravvivere, né compiere la sua missione. Portare avanti il processo di inculturazione “fatto di discernimento e di audacia, di dialogo e di provocazione evangelica” (VC 80) è una questione di vitale importanza per la vita consacrata e una prova della sua autenticità guardando al futuro.
Lo Spirito la spinge a diversificarsi, incarnarsi e rivitalizzarsi. Questi processi di inculturazione sono impegnativi; tuttavia, se portati avanti bene, evidenziano gli elementi originali del carisma fondazionale. Quali proposte faremmo perché ciò possa essere una realtà? Quali ostacoli derivano dai tradizionali modelli organizzativi, formativi, spirituali o antropologici?
Il volto della vita consacrata sta cambiando. In essa si rende sempre più necessaria una comunione pluricentrica e interculturale. Dobbiamo imparare la nuova arte dell’ecclesiologia di comunione. Adesso ci chiediamo: quali conseguenze ha questa prospettiva nelle nostre nuove strutture di governo, di formazione, di esperienza pastorale, di linguaggio culturale e spirituale?
8.2.3 III Vita comunitaria, affettività e sessualità |
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La vita fraterna in comunità è una realtà molto originale della vita consacrata (VC 42,45 e 51). Viverla bene costa. La “nuova vita consacrata” richiede “comunità nuove”. Quali linee dobbiamo seguire per rifondare psicologicamente ed evangelicamente le nostre comunità in questo nuovo tempo?
Nel “disordine amoroso” proprio della nostra epoca, la nostra vita comunitaria può diventare un elemento di stabilità affettiva e di convivenza, ispirato dalla fede e aperto ad una piena realizzazione. I rapporti sono meno rigidi e impersonali rispetto al passato. Sono ammesse appropriate manifestazioni di affetto e di tenerezza e si presta una maggiore attenzione e cura alle condizioni fisiche ed emotive. Tuttavia, la mentalità ed il contesto eccessivamente erotizzato può essere un rischio per noi. Riconosciamo che con l’aiuto della grazia possiamo parlare della nostra vita come un richiamo vivente del progetto primordiale di Dio sull’umanità: “da principio non fu così” (Mt 19,8). Da questa prospettiva nasce un nuovo modo di intendere il celibato, come conseguenza evidente del rapporto tra i generi e una visione più integrale della sessualità. Cosa dovremmo dire e fare al riguardo?
8.2.4 IV Spiritualità |
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Facciamo parte di un’umanità assetata di spiritualità. Il clamore per la vita nello Spirito si esprime in molteplici forme, che è necessario individuare. Anche i nostri fratelli e sorelle si aspettano da noi, persone consacrate, un particolare contributo spirituale, che abbia effetti sul nostro linguaggio e la nostra esperienza di vita e missione (VC 103). Lo Spirito ci chiama ad esercitare il ministero della maternità e paternità spirituale in un modo nuovo, aperto al futuro, ad entrare nel dialogo inter-spirituale non solo per dare ed insegnare, ma anche per ascoltare, accogliere e ricevere (NMI 56 e GS 92). Questa è la nostra sfida.
Le cose nuove che stanno nascendo appaiono e si affermano laddove si coltiva una buona spiritualità. Si tratta in fondo di curare la fede e l’esperienza orante della nostra vita. Come farlo? Cosa fare per far sì che la vita consacrata – per vocazione e carisma - sia un laboratorio di spiritualità, uno spazio per coltivare lo spirito e la parte spirituale che si nasconde in ogni cosa? (VC 6)
8.2.5 V Condividere con i membri del popolo di Dio e con i nostri Pastori |
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La consapevolezza della reciprocità, propria dell’ecclesiologia di comunione, ci porta a sentirci interdipendenti da tutte le forme di vita cristiana. In modo particolare i laici stanno diventando, per questa vita consacrata che lo Spirito sta suscitando, ispirazione, sostegno e compagnia per andare avanti in modo rinnovato e fecondo (VC 54-56; RdC 30-31).
La vita consacrata condivide i suoi carismi con altre forme di vita cristiana, soprattutto con il laicato, e partecipa con i suoi carismi ai servizi e ministeri che altri svolgono. Posta nella rete vitale del corpo di Cristo, che è la Chiesa, la vita consacrata – soprattutto quella femminile e laicale - può contribuire a generare nuovi modelli di identità ecclesiale, che chiedono di essere riconosciuti, stimolati e integrati. Ci chiediamo, a partire dall’esperienza che stiamo già accumulando, quali orientamenti dobbiamo seguire in questa linea di correlazione e reciproca identificazione nella forma di vita e nella missione?
La comunione reciproca tra pastori, laici e religiosi, si fa sentire sempre con maggior forza, come esigenza intrinseca di docilità allo Spirito, che garantisce le relazioni tra gli organi ecclesiali. Gli interessi istituzionali e le pretese di pragmatismo vengono man mano rimandati o posposti. Le dinamiche di informazione, dialogo e partecipazione si svolgono all’interno dell’organicità ecclesiale, nella quale i ministeri e i carismi occupano posti e funzioni precise. Si condivide sempre di più la spiritualità e la preoccupazione per l’annuncio del Regno, che è, in definitiva, la posta in gioco. Come pensare, sentire e agire insieme secondo il Vangelo?
8.2.6 VI Capacità simbolica a partire dall’autenticità della nostra vita |
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Con il passare del tempo abbiamo perso la nostra capacità simbolica. Il mondo dei simboli nel quale viviamo, ci chiede un serio adattamento nell’ambito della significatività. La mancanza di immaginazione o la paura ci trasformano in meri conservatori di segni ormai insignificanti o di un mero valore museale e folcloristico. Mancano appropriate espressioni degli autentici valori incarnati e vissuti nella vita consacrata. Come ci ricordava l’Instrumentum Laboris del Sinodo sulla vita consacrata, “la nostra vita svolge all’interno della società una funzione critica, simbolica e trasformante” (IL 9). Questa funzione richiede molti cambiamenti se la si vuole realizzare in modo eloquente ed efficace. Ci interroghiamo sulla nostra significatività e ci chiediamo: quale linguaggio usare? come presentarsi? cosa trasmettere? come vivere per arrivare ad essere significativi?
8.2.7 VII La povertà e la sofferenza umana |
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Una vita consacrata che voglia avere garanzie di fecondità, deve leggersi in chiave di servizio, compagnia e solidarietà nei confronti delle persone che sono nel dolore o nella miseria; deve trovare le vie per essere come la samaritana che cerca, assieme a tutti gli assetati, l’acqua viva, attorno alle fonti, ai pozzi della memoria e della felicità; per curare i volti feriti senza dimenticarsi di lottare contro i sistemi violenti ed ingiusti che vi sono alla base. Come fare? Cosa dire in merito a questa sfida?
Il ritorno alla vita povera, solidale e compassionevole è stata sempre un elemento chiave dei processi di rifondazione nella storia della vita consacrata (VC 75 e 82). Sono tante le persone che nella società di oggi vivono di cose superflue, con le quali si deteriora irresponsabilmente la nostra madre terra. Il Signore, attraverso il nostro voto di povertà, chiama noi religiosi a vivere del necessario e, se possibile, con l’indispensabile. Questa scelta ci permette di essere generosi nel condividere e nel dare, liberi di ricevere ed esigere. Come può la vita consacrata aiutare a passare dal vivere in funzione del superfluo al vivere in funzione del necessario?
8.2.8 VIII Campo del dialogo ecumenico e interreligioso |
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Possiamo intendere la missione come movimento dei popoli – mossi dallo Spirito – verso il Regno di Dio, a cui la vita consacrata offre uno speciale contributo. Essa vuole testimoniare dinanzi all’umanità il piano salvifico del Dio dell’Alleanza e diventare per gli altri simbolo di risposta fedele a tale patto. Il comandamento principale dell’amore, della solidarietà, genera i rapporti dell’Alleanza tra tutti gli esseri umani e si esprime attraverso l’impegno reale per la giustizia, la pace e la cura del creato. In questo particolare momento storico, il dialogo di vita, comunitario, interculturale, religioso, ecumenico, è il nome della missione; è una questione di vita o di morte per tutta l’attività evangelizzatrice e missionaria della Chiesa. Nei nostri Istituti abbiamo intuito questo da tempo, e stiamo cercando nuovi modelli di inserimento missionario e di proposta evangelica.
La presenza e l’azione dei religiosi nell’ambito del dialogo aiutano la vita consacrata ad allargare “lo spazio della sua tenda”(Is 54,2), a rivitalizzarsi e stabilire reti vitali. Rafforzare queste presenze è riaffermare la vita consacrata che lo Spirito suscita nel nostro tempo. Quali iniziative dobbiamo intraprendere per dare alla nostra missione il carattere di autentico dialogo?
8.3 Un processo da seguire |
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Il Congresso è una pietra miliare nella storia della vita consacrata; riuscirà ad essere un momento significativo all’interno della stessa? In occasione di questo evento vogliamo prendere atto di ciò che lo Spirito Santo fa nascere nella vita consacrata oggi, agli inizi di un nuovo millennio, e ringraziare il nostro Dio. Non vi è dubbio che inizia un processo che si unisce ai tanti vissuti nei 16 secoli del suo percorso.
La fedeltà a quello che lo Spirito sta suscitando tra noi ci porta a dare consistenza, continuità e garanzia al processo iniziato. Pertanto, vogliamo discernere, descrivere e proporre come dovrebbe essere la formazione che garantisca continuità a questa vita consacrata nuova e come dovrebbe essere il governo che deve animare questa nuova tappa del cammino della vita consacrata.
8.3.1 I Un governo per una trasformazione strutturale |
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La vita consacrata ha strutture, organizzazione ed esercizio di governo che rispondono alla sua gloriosa storia. È il futuro, però, che dobbiamo costruire. Ciò richiede un cambiamento di mentalità istituzionale profondo, che renda possibile l’urgenza di nuove istituzioni e forme di governo, nelle quali la vita nascente non si veda soffocata. La vita consacrata in tutte le sue forme appare nella Chiesa come una serie di energie non sempre sfruttate, a volte sprecate, e altre volte usate in modo ripetitivo. La riorganizzazione interna, non solo dei singoli istituti, ma di tutti gli istituti, il dialogo intercongregazionale e i ponti di collaborazione e integrazione, sono le iniziative chiare verso le quali lo Spirito ci conduce. Una cosa sì l’abbiamo chiara: le strutture devono essere leggere ed essere guidate dal dialogo, dalla corresponsabilità e dal Vangelo. Cosa proporremmo su questa linea di rifondazione delle istituzioni? Cosa devono fare i governi religiosi per mettere le loro istituzioni ed opere al servizio della missione?
La vita consacrata dipende in gran misura dalle sue strutture economiche. Dal denaro dipendono in gran parte le sue opere missionarie, i suoi processi formativi, la sua globalizzazione, ma anche la sua contro-testimonianza. Sebbene l’asse portante della vita consacrata non sia l’economia, tuttavia la sua influenza è stata sempre grande; tutte le riforme o nuove forme di vita consacrata hanno sempre dato particolare rilievo al tema della povertà e dell’economia. La complessità dell’economia mondiale, il sistema economico squilibrato e ingiusto, incide notevolmente sulle economie degli Istituti. Cosa possiamo dire al riguardo? Come pensare a un’economia solidale? Come organizzare un’economia al servizio della missione?
8.3.2 II Una formazione per una nuova forma di vita consacrata |
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Vogliamo configurare una vita consacrata autenticamente “samaritana”, vale a dire, con sete di Dio e costantemente mossa dalla compassione. La nostra responsabilità dinanzi a quel che lo Spirito sta facendo nascere tra noi, esige un discernimento in comunione operativa (VC 74) e un serio impegno nell’elaborazione e realizzazione di percorsi formativo-spirituali che ne rendano sostenibile lo sviluppo e il consolidamento. In questa formazione si deve seguire con fedeltà il criterio dell’esortazione post-sinodale Vita Consecrata: “La formazione è un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere e, nello stesso tempo, impara l’arte di cercare i segni di Dio nelle realtà del mondo” (VC 68).
L’ecclesiologia di comunione si ripercuote sui processi formativi da diverse prospettive. Emerge un modello di formazione congiunta nel Popolo di Dio, dinanzi al quale non possiamo rimanere indifferenti. D’altra parte, in momenti fondanti, la formazione cerca di “andare all’essenziale”, al cuore, alla fonte della vita. Viviamo in un tempo in cui l’ecclesiologia di comunione ci chiede di imparare tutti insieme – tutte le forme di vita – cosa significa essere “christifideles”. Solo a partire da ciò potremo comprenderci in correlazione carismatica. Quali ripercussioni hanno queste prospettive sull’elaborazione dei processi formativi?
8.4 Conclusione |
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Sentiamo che le nostre forme di vita consacrata stanno attraversando un momento di transizione, ma il nostro cuore arde, continua ad avere sete e noi continuiamo a cercare l’acqua viva. Ciò accade quando siamo capaci di ascoltare Lui che ci parla lungo il cammino. Allora sperimentiamo un amore appassionato per Gesù e una compassione amorosa verso i nostri fratelli e sorelle. Allora siamo capaci di incontrarlo e di riconoscerlo pubblicamente come il “salvatore del mondo” (Gv 4,42). Sappiamo bene che questo fuoco può intensificarsi o affievolirsi, estendersi o ridursi, contagiare o isolarsi. Si può anche spegnere.
Non vogliamo restare in un “passato glorioso”. Vogliamo “guardare al futuro, nel quale lo Spirito ci proietta per fare con noi ancora cose grandi” (VC 110). Pertanto, non ci interessa difendere presunti diritti acquisiti, ma servire di più e meglio, fedeli alla nostra vocazione. In questo modo ci purifichiamo e acquistiamo nuova fecondità. Così diventiamo credibili in una Chiesa che rinasce in questo “novo millenio ineunte”. È un impegno serio e urgente.
Possiamo contare sulla promessa dello Spirito, che fa nuove tutte le cose e “intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,27). Siamo certi della presenza compassionevole e vivificante di Maria, simbolo di fecondità, madre di ogni vita che nasce. La vita consacrata, quando ha voluto intraprendere una nuova tappa del suo cammino nel corso della storia, ha invocato e guardato a Maria. Attraverso di lei e con lei ha vissuto i suoi giorni di nuova Pentecoste. Sotto la sua protezione tutti i consacrati chiedono allo Spirito “il coraggio di affrontare le sfide del nostro tempo e la grazia di portare agli uomini la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Gesù Cristo (cf. Tt 3,4)” (VC 111).