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2.1. FORMAZIONE DEI FORMATORI DELLA FORMAZIONE INIZIALE
Don Francesco CEREDA
Consigliere Generale per la Formazione
Nel sessennio scorso in tutta la Congregazione è stata fatta una valutazione della consistenza quantitativa e qualitativa delle comunità formatrici. A seguito di ciò, il Rettor Maggiore con il Consiglio generale ha approvato gli “Orientamenti per la formazione iniziale” in riferimento ad ognuna delle otto Regioni. È iniziato così un processo, ancora in corso di attuazione, che sta portando tra i suoi frutti una più convinta collaborazione interispettoriale ed un più serio impegno per la costituzione di solide équipes di formatori.
Nello stesso tempo in ogni Ispettoria si è fatto uno studio della fragilità vocazionale. Ciò ha favorito una maggior attenzione alle cause ed alle espressioni di tale fenomeno; ma finora il problema continua ad essere irrisolto. La fragilità non è imputabile esclusivamente alla condizione soggettiva dei giovani che giungono oggi alla vita consacrata salesiana; essa dipende anche dalla debolezza dei cammini formativi e il suo superamento richiede formatori capaci di affrontare le sfide formative provenienti dalla postmodernità e dal relativismo.
All’inizio del nuovo sessennio occorre fare un passo ulteriore e decisivo, che ci veda più impegnati nella formazione dei formatori. Basti pensare che nell’anno 2008 la Congregazione ha avuto 515 novizi; 220 professi perpetui, di cui 20 salesiani coadiutori e 200 salesiani chierici; 222 ordinazioni presbiterali. Le cifre indicano il vasto compito dei numerosi formatori coinvolti nella formazione iniziale. Tali formatori offrono un contributo notevole alla formazione delle giovani generazioni di salesiani e prestano un servizio prezioso, di cui siamo riconoscenti.
D’altra parte ci accorgiamo che per assolvere un compito così cruciale, è quanto mai necessaria una accurata formazione dei formatori. Se pensiamo, per esempio, al fenomeno degli “abbandoni”, ci accorgiamo delle nuove e urgenti sfide formative. Nell’anno 2008 hanno lasciato la Congregazione 109 novizi, 216 professi temporanei, 19 professi perpetui chierici e coadiutori, 62 salesiani presbiteri passati al clero diocesano o dimessi o dispensati dal celibato. Allo scopo perciò di favorire una adeguata formazione dei formatori, si offrono questi orientamenti e suggerimenti.
1. CONDIZIONI PRELIMINARI
Ogni salesiano, per l’attenzione all’accompagnamento, per la cura dei processi educativi, per la capacità di creare ambienti propositivi, che egli ha acquisito operando tra i giovani, è potenzialmente un formatore. Il compito formativo quindi non gli è del tutto estraneo, in quanto esso ha un certa affinità con il lavoro apostolico. Tale compito però esige maggior impegno e competenza, perché è in questione la formazione di vocazioni consacrate salesiane. Si tratta di una grande responsabilità, che richiede idoneità e preparazione. È compito del governo ispettoriale e dei diversi “Curatoria” assicurare la scelta di formatori adatti e la costituzione di équipes solide. Queste due condizioni sono previe ad ogni formazione dei formatori che voglia essere efficace.
Scelta di formatori adatti. Molteplici sono le doti richieste da un formatore. Oggi appaiono essenziali: spirito di fede, senso pastorale, volontà di comunione, propensione alla collaborazione, maturità umana ed equilibrio psichico, capacità di ascolto e dialogo, attenzione positiva e critica alla cultura.1 Si tratta di doni di natura e di grazia, per così dire, innati; nello stesso tempo si tratta di atteggiamenti da maturare gradualmente mediante lo studio, il confronto, l’esperienza e la vita spirituale. Queste doti sono tutte necessarie, ma le sfide odierne richiedono soprattutto una capacità di comunicazione, che sappia raggiungere in profondità la persona del formando. I formatori vanno perciò scelti con attenzione in base a tali requisiti. Ogni Ispettoria dovrebbe avere il proprio gruppo di formatori; essi devono costituire quasi una “scuola di pensiero e di pratica” condivisi. Infatti solo la creazione di mentalità, di metodologie, di contenuti e di criteri formativi comuni, ossia di una cultura formativa ispettoriale, garantisce la qualità e la continuità dei processi formativi.
Costituzione di équipes consistenti, stabili e motivate. L’altra condizione necessaria per avere buone comunità formatrici e qualificati centri di studio, è la costituzione di équipes consistenti, stabili e motivate di formatori e docenti2. Nella formazione iniziale vi è spesso una mentalità che attribuisce un’importanza eccessiva al colloquio personale tra il formatore e il formando. Non vi è dubbio che la guida spirituale giochi un ruolo cruciale, ma ciò non deve in alcun modo minimizzare la necessità dell’équipe dei formatori. Solamente insieme essi contribuiscono all’integrale e armonioso sviluppo della persona del formando, all’adeguatezza del progetto formativo, alla coerenza dei criteri di discernimento. Non si può ignorare inoltre che la formazione dipende anche dal clima formativo, che i formatori con il loro modo di vivere e interagire sanno creare. Conviene notare poi che nei prenoviziati e noviziati spesso non esistono vere équipes di formatori, essendo il lavoro formativo affidato a singole persone; in questi casi si corrono rischi soprattutto nel discernimento vocazionale. Occorre quindi creare équipes valide.
2. COMPITI PRIORITARI DEI FORMATORI
1. Aiutare la trasformazione della persona
Dando uno sguardo alle comunità formatrici, si nota come una buona parte del tempo e delle energie venga impiegata in conferenze, lezioni, studi, ricerche, esami. Si tratta di realtà richieste dalla formazione, che spesso però si riducono all’insegnamento o all’apprendimento di pure nozioni o di semplici informazioni. In questo modo di certo si allargano gli orizzonti della mente; si imparano cose utili; si acquista una nuova visione della realtà. Non è detto però che ciò aiuti a realizzare un cambio di mentalità nei formandi.
Infatti non è sufficiente acquisire nuove conoscenze. Occorre giungere a toccare l’interiorità della persona: il suo cuore. “La formazione dovrà raggiungere la persona in profondità”,3 aiutandola ad effettuare in lei un cambio di atteggiamenti, convinzioni, motivazioni, affetti e sentimenti. È necessario quindi che i contenuti proposti, le metodologie utilizzate e le esperienze fatte favoriscano la trasformazione del mondo interiore della persona e la sua conversione.
Si possono, per esempio, proporre delle brillanti conferenze o lezioni sulla teologia della preghiera, ma se ciò non aiuta a infondere amore per la preghiera, a favorire la partecipazione nella preghiera comunitaria, a permeare il lavoro di spirito di preghiera, a suscitare un vivo desiderio di preghiera personale, si può legittimamente dubitare dell’efficacia formativa della proposta. Non basta quindi l’informazione; occorre trovare una metodologia della trasformazione.
Ovviamente la responsabilità principale per la propria trasformazione interiore spetta al formando. Solo lui può essere consapevole delle proprie convinzioni, rileggere la propria storia, ascoltare la voce della propria coscienza, effettuare la trasformazione che vede necessaria per la propria vita. Ecco perché giustamente si può dire che solo la persona può formare se stessa. La formazione “è ultimamente un’autoformazione. Nessuno, infatti, può sostituirci nella libertà responsabile che abbiamo come singole persone”.4
In questo processo di trasformazione del formando anche i docenti, che la “Ratio” chiama “veri formatori”,5 hanno un ruolo importante. L’apprendimento richiede studio, rielaborazione, riflessione e sintesi personali. I docenti sanno che le lezioni magistrali rischiano di favorire nel formando un ascolto passivo, ma che esse hanno una funzione decisiva quando coinvolgono i partecipanti, offrono motivazioni, maturano convinzioni, smuovono gli affetti, parlano al cuore. Per questo i docenti, usando “metodi didattici attivi”,6 aiutano il formando a confrontarsi con se stesso, a valutare le proprie idee ed atteggiamenti, a maturare criteri di giudizio, ad assumere valori, ad acquisire una cultura che sia coerente con il vangelo e con la vocazione consacrata salesiana.
2. Accompagnare il lavoro in profondità della persona
Per aiutare la trasformazione della persona del formando, oggi nella formazione salesiana dobbiamo privilegiare la metodologia della personalizzazione, a cui purtroppo non siamo ancora adeguatamente preparati. Il cambio di mentalità di formatori e formandi e l’assunzione di una prassi formativa coerente con tale metodologia sono appena agli inizi. La personalizzazione consiste principalmente nell’accompagnare il formando ad assumere responsabilità nella propria formazione, ad agire per convinzione personale e non per conformazione all’ambiente, a superare il formalismo e la paura, e soprattutto a lavorare in profondità sulle proprie motivazioni, atteggiamenti, affetti. Talvolta invece la formazione è ancora troppo centrata sul controllo e non sull’accompagnamento.
Assumere questa metodologia da parte di formatori e formandi risulta quanto mai necessario, data la fragilità vocazionale, la complessità delle situazioni sociali, le sfide della postmodernità. Occorre accompagnare il formando ad entrare in se stesso, a confrontarsi con il suo mondo interiore, a decifrare i propri stati d’animo e a capire da dove derivano. Il viaggio nella propria interiorità è lungo e difficile e la cultura odierna non lo incoraggia in alcun modo; eppure è il più proficuo per la formazione della persona. Con l’aiuto della grazia e dei formatori, il formando viene a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a lavorare sulle proprie debolezze e immaturità, ad irrobustire la propria coscienza, ad assumersi responsabilità, a prendere decisioni.
A tale scopo servono vari mezzi, tutti finalizzati alla “gestione” del mondo interiore: la preghiera personale, con cui il formando si apre all’azione di Dio nell’intimo del proprio cuore; l’esame di coscienza quotidiano, che favorisce la “confessio laudis, vitae et fidei”7 e prepara la celebrazione frequente del sacramento della Riconciliazione; la riflessione personale, con cui egli si appropria di motivazioni e convinzioni; la capacità di trovare momenti di silenzio nella giornata, che facilitano il raccoglimento e la concentrazione su di sé; l’autodisciplina nell’organizzazione del proprio tempo, soprattutto negli orari del risposo serale e della levata mattutina, che irrobustisce la capacità di scelte personali; la comunicazione della fede e la condivisione dell’esperienza spirituale, che lo portano a confrontare la propria dimensione interiore; il progetto personale di vita, con cui egli assume responsabilità per la propria formazione; la valutazione delle esperienze,, che lo aiuta a conoscersi meglio ed a seguire il proprio progresso; il colloquio, la direzione spirituale e la celebrazione del sacramento della Riconciliazione che richiedono che egli confronti se stesso nei diversi aspetti della propria vita; lo studio personale, vissuto anche in chiave meditativa, che arricchisce il suo vissuto spirituale e pastorale. Spetta al formatore saper indirizzare il formando a far buon uso di questi mezzi, in modo che egli ne tragga profitto per la propria crescita vocazionale.
3. Favorire il primato della vita spirituale
L’impegno personale di trasformazione interiore e il lavoro in profondità, realizzati dal formando, hanno un traguardo, un punto focale: il “rivestirsi di Gesù Cristo”.8 Infatti “la formazione consiste nel divenire sempre più un discepolo di Cristo, crescendo nell’unione con lui e nella configurazione a lui. Si tratta di assumere sempre più i sentimenti di Cristo, condividendo più profondamente la sua totale oblazione al Padre e il suo servizio fraterno alla famiglia umana”.9
È necessario perciò che il formatore sia innamorato di Gesù e che sappia comunicare questa esperienza. Egli deve suscitare nel formando il fascino per la persona di Gesù, il desiderio di identificarsi con Lui e l’impegno di assumerne i sentimenti. È il fuoco dell’amore per Gesù che inizia e sostiene tutta la trasformazione della vita del formando. La formazione umana diventa la crescita verso Gesù, uomo libero e perfetto; la formazione spirituale è la costruzione progressiva dell’unione con Gesù; la formazione intellettuale consiste in una preparazione culturale capace di contribuire efficacemente alla missione di Gesù; la formazione educativa pastorale si realizza nel diventare buon pastore dei giovani seguendo Gesù. Il centro unificatore della formazione rimane sempre Gesù; in tal modo si diventa discepoli credenti ed apostoli credibili di Cristo.
Mentre da una parte il formando è il “protagonista necessario e insostituibile della sua formazione”,10 dall’altra parte è lo Spirito il formatore per eccellenza di chi si consacra a Dio. Così la formazione diventa una partecipazione del formando all’azione del Padre che, mediante lo Spirito, plasma nel suo cuore i sentimenti del Figlio.11 Ciò vuol dire che il primato nella formazione appartiene alla grazia di Dio e all’azione dello Spirito. Maria si è lasciata formare dallo Spirito, in disponibilità e obbedienza, divenendo così la madre del Figlio Gesù; in tal modello Ella è il modello di chi si lascia formare dallo Spirito con disponibilità. Proprio lo Spirito, che opera invisibilmente nei cuori come maestro interiore, si serve anche di mediazioni umane visibili: i formatori.12 Attraverso di loro Egli compie il lavoro di formare Gesù in chi è chiamato a seguirlo da vicino.
Il formatore, quindi, consapevole del suo compito “spirituale” e sensibile alle mozioni della grazia, aiuta il formando a rendersi disponibile ed a lasciarsi formare dall’azione dello Spirito. Gli indica gli ostacoli meno percepibili, gli suggerisce come superare resistenze e paure e, soprattutto, gli mostra la bellezza della sequela del Signore Gesù. Il formatore accompagna il formando, vivendo accanto a lui nella vita quotidiana come un fratello in cordiale collaborazione ed aiutandolo a verificare il cammino, discernere la propria vocazione e crescere in essa.
Per questo motivo il formatore è attento a non ostacolare i movimenti dello Spirito nella propria vita, così da poter essere suo docile strumento nel delicato compito della formazione. Ovviamente egli non è chiamato ad avere la competenza specifica di uno psicologo, ma ad essere un uomo spirituale, esperto nel cammino della ricerca di Dio, per essere in grado di accompagnare anche altri in questo itinerario. Alla luce della sapienza spirituale ed antropologica, egli però sa unire l’apporto dello psicologo e gli aiuti offerti dalle scienze umane, quando possono servire.13
4. Comunicare il carisma di Don Bosco
Per noi salesiani, il modo caratteristico di configurarci a Cristo consiste nella nostra identificazione con Don Bosco: “La nostra regola vivente è Gesù Cristo […] che noi scopriamo presente in Don Bosco”.14 Per noi sono applicabili a Don Bosco le stesse parole di Paolo: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”.15 Egli fu un buon pastore; seppe conquistare tutti con la mitezza e il dono di sé; spese tutta la sua vita per i giovani. Il carisma salesiano, “mentre opera una particolare configurazione a Cristo, comporta una peculiare sensibilità evangelica che ispira l’intera esistenza del salesiano, il suo stile di santità e la realizzazione della missione”.16 Le Costituzioni poi, che sono la presenza di Don Bosco con noi,17 tracciano il nostro modo di vivere il Vangelo e di identificarci sempre più con il Signore Gesù. Anche il nostro stile di vita e azione “trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre”.18
Il formatore dunque nutre un profondo affetto per Don Bosco; lo studia, lo stima, lo invoca. Ha una chiara percezione della propria identità salesiana e un forte senso di appartenenza alla Congregazione. Apprezza e approfondisce la ricchezza spirituale e pedagogica della tradizione salesiana. La sua è un’esperienza vissuta e gioiosa del carisma salesiano.
Egli infonde nei formandi il suo amore e entusiasmo per Don Bosco. Li porta ad assumere come proprio il motto Da mihi animas cetera tolle, eco dell’ansia di Cristo Redentore.19 Comunica in modo vitale e attraente la propria esperienza della vita salesiana, accompagnandola con l’insegnamento delle Costituzioni, della spiritualità salesiana, della prassi e storia della Congregazione. Propone esperienze salesiane che favoriscono atteggiamenti e comportamenti appropriati. Lo studio serio della salesianità in tutte le fasi della formazione iniziale richiede la qualificazione dei docenti. L’identità del salesiano coadiutore e del salesiano prete che si va formando richiede infine di essere sempre più caratterizzata dal carisma di Don Bosco.
In questo modo l’apporto del formatore assicura che “ogni salesiano, chiamato ad identificarsi con Cristo come fece Don Bosco, coltivi il rapporto con il Fondatore, assuma le Costituzioni come ‘libro di vita’, si mantenga in sintonia con la coscienza carismatica della Congregazione, conosca ed assuma i suoi orientamenti in particolare quelli dei Capitoli Generali, del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, e consolidi il senso di appartenenza alla sua Ispettoria.”20
5. Lavorare in comunione e in corresponsabilità come équipe
Da ciò che è stato detto finora e da una visione comprensiva della formazione, è quanto mai palese che il campo della formazione è vasto e complesso e che nessun formatore, per quanto dotato e preparato, può pretendere di essere in grado di gestire da solo e con competenza tutti gli aspetti formativi. È quindi veramente necessario che i formatori di una comunità formatrice, ispirati da una “mentalità e spiritualità di comunione”,21 dimostrino uno spirito di coesione e collaborazione. Essi agiscono come équipe, cooperando con ruoli e contributi complementari e “assicurando insieme un’impostazione integrale e unitaria al servizio della comune esperienza formativa”.22
Le figure dei formatori all’interno dell’équipe ed i loro ruoli sono per lo più collegati con le dimensioni dell’esperienza formativa: dimensione umana e fraterna, spirituale, intellettuale, educativa pastorale. Risultano perciò importanti le figure dell’animatore - incaricato della vita comunitaria e fraterna, della vita liturgica e spirituale, degli studi, delle esercitazioni pastorali e naturalmente dell’economo. Questi incaricati esercitano la loro responsabilità svolgendo un lavoro di équipe, cioè nella corresponsabilità delle decisioni e nella condivisione dei criteri sotto la guida del Direttore.
Elementi importanti del lavoro di équipe sono la progettazione formativa, l’attivazione di processi ed itinerari formativi, la riflessione sulle esperienze, la valutazione formativa attraverso gli scrutini, il discernimento e le ammissioni. Oggi uno degli aspetti più deboli del lavoro di équipe consiste nella scarsa attenzione o capacità nel preparare gli itinerari formativi, in particolare quelli riguardanti la vita affettiva, la preghiera, la vita di povertà e lo stile di vita semplice, i “personal media”. Come pure un altro aspetto trascurato nel lavoro di équipe è la pratica del discernimento; abbiamo ottimi “Criteri e norme”, ma non sempre sono conosciuti e non sempre diventano riferimento per un serio discernimento vocazionale.
3. NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE DEI FORMATORI
Alla luce dei compiti prioritari del formatore delineati sopra, si constata che oggi nella Congregazione la maggior parte dei formatori non ha ricevuto, e attualmente non riceve, nessuna o scarsa preparazione specifica per la formazione. Spesso le Ispettorie preparano i formatori, facendo conseguire loro un titolo accademico in un campo particolare di studio; tale qualificazione è necessaria per la cultura del formatore e per la sua abilitazione all’insegnamento, ma non è sufficiente per il suo compito formativo. Nella maggioranza dei casi, dopo gli studi tali confratelli vengono subito inseriti nelle équipes dei formatori senza una preparazione adeguata.
La mancanza di personale preparato si avverte soprattutto nella fase del prenoviziato, che continua ad essere la fase più delicata e più difficile per le sfide che deve affrontare. Capita in non pochi casi che coloro che vengono nominati direttori o incaricati del prenoviziato non hanno ricevuto la dovuta preparazione. Non c’è dubbio che la vita è maestra; s’impara molto infatti dalla esperienza vissuta di ogni giorno. Rimane però il fatto che la qualità della formazione potrebbe essere molto superiore, se ci fosse stata un’adeguata preparazione. Un’analoga carenza si riscontra nella preparazione dei formatori come guide spirituali. Scarsa attenzione poi si riscontra alla formazione dei formatori del tirocinio, che per questo è la fase formativa più trascurata.
Da diversi anni si sta sperimentando in Congregazione un calo nella fedeltà vocazionale; numerosi sono gli abbandoni dei confratelli dopo la professione perpetua e l’ordinazione presbiterale. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse; esse chiamano in causa anche il processo di discernimento vocazionale e di formazione iniziale. Le sfide formative odierne sono indubbiamente nuove ed inedite, ma è anche vero che parecchi formatori si trovano spesso impreparati e incapaci di farvi fronte, specialmente quando si tratta di aiutare i formandi a gestire il loro mondo interiore delle emozioni e paure, degli atteggiamenti e motivazioni, e a costruirsi una maturità psicologica, un equilibrio affettivo, una fede robusta.
Inoltre si ha l’impressione che, dopo tanti anni di formazione iniziale, il risultato finale del processo formativo non sia all’altezza delle aspettative e delle energie profuse, specialmente in termini di solidità culturale, di profondità spirituale, di maturità umana, di passione apostolica. È significativo, per esempio, che nelle comunità formatrici il progetto personale sia una pratica comune; mentre invece nel tirocinio, e soprattutto dopo la professione perpetua e l’ordinazione presbiterale, esso sia abbandonato da un buon numero di confratelli. Non basta il completamento del corso di studi o il passaggio alla fase formativa successiva per assicurare una buona formazione; occorre da parte dei formatori un’appropriata metodologia per una formazione personalizzata, tale da formare convinzioni durature e da aiutare i formandi ad assumere la responsabilità formativa.
La formazione iniziale è la fondamentale risorsa per il futuro della Congregazione, ma perché sia efficace, è urgente l’investimento nella formazione dei formatori. Occorre apprendere l’arte della formazione e abilitarsi al compito formativo; ma è soprattutto la persona del formatore che ha bisogno di essere curata. Egli deve conoscere se stesso, identificare le aree fragili della propria personalità, essere consapevole delle proprie vulnerabilità, saper colmare, per quanto possibile, le sue carenze. In caso contrario egli rischia di proiettare sul formando le sue debolezze e di non essere in grado di aiutarlo ad affrontare le sue inconsistenze. Egli è chiamato ad essere testimone di quella maturità che raccomanda al formando.
La formazione dei formatori presenta quindi una duplice e fondamentale finalità: curare la persona del formatore e nello stesso tempo abilitarla al suo compito formativo, superando una visione solo essenzialista o solo funzionalista della sua figura. Si tratta di assicurare una coerente circolarità ed una mutua influenza tra l’essere e l’agire del formatore; se è vero che l’agire deriva dall’essere, è altrettanto vero l’agire manifesta il suo essere.
4. MOMENTI DI FORMAZIONE
Vi sono diversi momenti che concorrono a realizzare la formazione dei formatori. Tali momenti si raccomandano ad ogni formatore, comunità formatrice, ispettoria e regione. Mentre occorre attenzione a formare il singolo formatore, non deve essere trascurata la formazione dei formatori come équipe; ciò richiede l’acquisizione di una cultura formativa comunitaria, ispettoriale, regionale e congregazionale. Sono momenti diversi e specifici da coordinare, per non avere sovrapposizioni o ripetizioni inutili, ma sono tutti momenti necessari.
1. Autoformazione del formatore
La formazione dei formatori richiede anzitutto che i formatori siano motivati ad intraprendere la propria formazione continua e a prepararsi meglio per il proprio compito. Non si parla qui dell’aggiornamento nell’insegnamento, che è comunque un dovere da assolvere. Senza motivazione però nessuna iniziativa per la formazione dei formatori ha possibilità di successo. È necessario quindi che i formatori entrino in se stessi, valutino i propri atteggiamenti formativi e si interroghino sulla propria formazione continua. Si nota che spesso i formatori hanno svariati impegni; anche durante il tempo di vacanza accolgono con generosità i molteplici servizi apostolici che vengono loro chiesti. Se però sono convinti della necessità della propria autoformazione o di una migliore preparazione per il loro compito di formatore, devono sapere creare per se stessi alcuni spazi, magari nelle vacanze, per frequentare qualche corso o programma che possa essere d’aiuto per la loro formazione. Non bisogna dimenticare che senza la loro testimonianza, diventa poi alquanto difficile motivare i formandi all’autoformazione.
2. Formazione dei formatori nella comunità formatrice
È anche importante per i formatori di una comunità formatrice radunarsi periodicamente, sotto la guida del Direttore, per la riflessione e la condivisione circa il proprio essere e agire come formatori, i contenuti e le metodologie formative, i processi formativi. È consigliabile avere una programmazione annuale di tali incontri, con date e tematiche stabilite. Essi sono diversi da quei momenti richiesti dal lavoro formativo, quali la progettazione e la valutazione dei processi formativi, la programmazione annuale, gli scrutini o le ammissioni; si tratta di veri momenti di formazione. Essi servono ai formatori per approfondire il loro compito e per trarre profitto dalle esperienze altrui; soprattutto servono a creare e rafforzare il senso di comunità di vita e di équipe formatrice. I formatori imparano ad operare “in sintonia con la ‘mens’ e la prassi formativa della Congregazione e dell’Ispettoria, come essa viene descritta nella ‘Ratio’ e nel progetto ispettoriale; fanno propria una visione d’insieme di tutta la formazione come processo graduale, continuo, organico e unitario”;23 unificano i criteri di formazione e di discernimento.
3. Formazione dei formatori nella comunità ispettoriale
L’incontro annuale, della durata di almeno due giorni, per l’interscambio e l’aggiornamento di tutti i formatori dell’Ispettoria è altrettanto proficuo. Animato dal Delegato ispettoriale per la formazione, questo raduno può diventare per i formatori “una vera scuola di formazione permanente”.24 È infatti un’ottima opportunità per poter approfondire temi formativi, riflettere sui pregi e sulle debolezze del processo formativo, conoscere la “Ratio” e “Criteri e Norme”, promuovere l’unità dei criteri di discernimento vocazionale e di ammissione nell’Ispettoria, favorire la continuità di metodologia e di accompagnamento tra le diverse fasi di formazione. Questo incontro può assumere talvolta carattere interispettoriale, là dove esistono collaborazioni formative.
4. Formazione dei formatori a livello di Regione
Anche la formazione a livello regionale ha la sua importanza, perché offre uno spazio prezioso per l’interscambio tra i formatori di diverse Ispettorie circa le problematiche in campo formativo e le varie esperienze. Essa è richiesta ad ogni Regione dal Progetto del Rettor Maggiore e del Consiglio generale per questo sessennio. Essa è utile per l’appoggio e il mutuo aiuto nell’approfondimento di temi formativi, nella preparazione di iniziative e sussidi, nell’elaborazione di criteri comuni. La riuscita di questi incontri dipende da una buona preparazione e da una programmazione sistematica di temi che interessano i formatori. Si sente il bisogno di avere questi incontri annualmente. In alcune Ispettorie la maggior parte dei formatori possono partecipare; in altre Ispettorie invece le distanze consigliano incontri limitati ai responsabili e ai formatori di due o tre fasi contigue. È consigliabile che tali incontri assumano la forma di laboratori. Essi sono condotti sotto la responsabilità delle Regioni e del Dicastero per la formazione.
5. Formazione dei formatori a livello di Congregazione
Abbiamo visto che è necessario prestare attenzione all’identità salesiana della formazione; per questo è importante formare i formatori là dove questa identità è garantita ed approfondita. In particolare l’Università Pontificia Salesiana, proprio per l’accompagnamento del Rettor Maggiore e la vicinanza del Consigliere per la formazione, cerca di assicurare l’identità carismatica nelle sue proposte di formazione. Essa offre regolarmente due corsi specifici per la formazione dei formatori.
Il primo è un corso di aggiornamento; esso si svolge ogni anno dalla metà di febbraio fino alla fine di maggio; intitolato “Corso di formazione permanente per formatori”, esso mira a rendere pedagogicamente e spiritualmente idonei coloro che sono già formatori e vogliono aggiornare la loro preparazione. L’altro corso di “formazione dei formatori”, della durata di due anni, è attuato in collaborazione tra le Facoltà di Teologia e di Scienze dell’Educazione, con il conseguimento della licenza in Teologia Spirituale o in Scienze dell’Educazione; esso offre le conoscenze teoriche e metodologiche approfondite, ma anche tirocini pratici, per svolgere compiti di orientamento, discernimento, formazione, ‘counselling’ e accompagnamento vocazionale; esso si avvale delle competenze della teologia spirituale e morale, della metodologia pedagogica e della psicologia. Questi due corsi sono segno della volontà e dell’impegno della Congregazione nel preparare i propri formatori. Spetta alle Ispettorie prendere coscienza della necessità di garantire un personale adeguatamente preparato per le comunità formatrici e quindi di approfittare di questi due corsi.
In questo sessennio ci siamo anche proposti di concretizzare una scuola per la formazione delle guide spirituali, che nel realizzare l’accompagnamento sviluppi i contenuti ed i metodi propri della nostra tradizione salesiana, aggiornata secondo le esigenze odierne. Si fa presente poi l’urgenza di preparare psicologi salesiani, che affianchino il lavoro dei formatori ed aiutino i formandi nella loro crescita; anche in questo l’UPS offre dei validi curricoli accademici di preparazione di psicologi professionali.
* * *
Nella lettera del Prefetto per la Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Card. Franc Rodé, inviata al Rettor Maggiore dopo il CG26, così si dice a riguardo della formazione nella nostra Congregazione: “È positivo notare come siano in atto l’accoglienza delle nuove sfide formative e soprattutto la conoscenza e l’applicazione più fedele della ‘Ratio formationis’ salesiana, affinché nelle comunità formatrici non si sviluppi una pluralità di criteri che non giova alla correttezza e convergenza dei giudizi al momento delle ammissioni (Cfr. Relazione del RM al CG26, p. 36)”.
Inoltre in tale lettera si afferma: “La sfida più complessa che la Congregazione deve affrontare richiede una seria ricerca per una metodologia formativa mirata ed efficace, in specie nelle fasi iniziali della formazione. Il Magistero della Chiesa costantemente indica l’impegno per la formazione come prioritario di ogni Istituto, raccomandando che ‘la formazione dovrà raggiungere in profondità la persona umana così che ogni suo atteggiamento o gesto, nei momenti importanti o nelle circostanze ordinarie della vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio’ (Vita consecrata 65). La composita presenza di culture nella Società salesiana rende, senza dubbio, più complessa la ricerca e più esigente il discernimento”.25
Anche queste indicazioni ci offrono una chiara visione dei problemi principali che dobbiamo affrontare nella formazione iniziale e nello stesso tempo incoraggiano e stimolano il nostro impegno per la formazione dei formatori. Ne siamo consapevoli e per questo ne assumiamo la responsabilità.
1 Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, Roma 1993, 12-20.
2 Cfr. FSDB 239. Conviene osservare che non tutti i formatori sono docenti, ma che invece tutti i docenti sono formatori; il Collegio dei docenti quindi deve assumere maggior importanza nella formazione dei suoi membri. È anche utile segnalare che non è necessario e talvolta neppure opportuno che tutti i docenti di un centro di studio appartengano alla comunità formatrice; pur dovendo avere tempo per lo studio, essi possono anche vivere e lavorare in altre comunità.
3 Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 65.
4 Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 69.
5 FSDB 240.
6 FSDB 241. Cfr. anche FSDB 133, che parla di “un metodo di insegnamento […] che stimola l’interiorizzazione”.
7 Cfr. P. Chávez, “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Parola di Dio e vita salesiana, in ACG 386, Roma 13 giugno 2004, pp. 40-42.
8 Cfr. Rm 13, 14; Gal 3, 27; Ef 4, 24.
9 CIVCSVA, Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla Vita Religiosa, 45.
10 Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 69.
11 Cfr. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 66. Un’espressione simile si trova nella Esortazione Pastores dabo vobis 69, dove si dice che il candidato “per primo deve crescere nella consapevolezza che il protagonista per antonomasia della sua formazione è lo Spirito Santo che, con il dono del cuore nuovo, configura e assimila a Gesù Cristo buon Pastore.”
12 L’articolo 104 delle nostre Costituzioni chiama i formatori “mediatori dell'azione del Signore”.
13 Cfr. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 66. Cfr. anche Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, Roma 29 giugno 2008.
14 Costituzioni 196.
15 1 Cor. 11,1.
16 FSDB 28.
17 Cfr. Proemio alle Costituzioni.
18 Costituzioni 11.
19 Cfr. FSDB 30.
20 FSDB 47.
21 Cfr. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 50.
22 FSDB 234.
23 FSDB 235.
24 FSDB 239.
25 F. Rodé, Lettera al Rettor Maggiore dei Salesiani dopo il CG26 sulla situazione della Congregazione, Roma, 22 dicembre 2008.