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DIREZIONE GENERALE OPERE DON BOSCO


1 Il Consigliere Generale per la Formazione

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“Lettura formativa del CG 25”


Questo testo è un sussidio indirizzato particolarmente ai Delegati ispettoriali di formazione e CIF. Può essere utilizzato per parti; può servire per conferenze o ritiri spirituali ai Direttori e alle comunità salesiane. Dà una visione sintetica delle esigenze e degli impegni formativi che derivano dal CG25 per ogni confratello e comunità. La formazione dà un contributo decisivo all’applicazione di tutto il Capitolo generale, non solo attraverso il quarto modulo. Il testo può essere considerato una sintesi dei passi e del cammino da compiere per realizzare il CG25 dal punto di vista formativo.


In questo esercizio spirituale mi sembra importante che ognuno faccia emergere le domande che sono presenti nel suo vissuto personale e rifletta sulle sfide che trova nella propria vita. Il vissuto con le sue domande e con le sue sfide può essere diverso per ognuno di noi: ci può essere interesse, progettualità, coinvolgimento oppure demotivazione, scoraggiamento, senso di solitudine. Oggi noi siamo qui con le nostre attese e le nostre incertezze, con le nostre speranze e i nostri dubbi.


La prospettiva ed il clima dell’incontro spirituale ci chiedono di mettere in gioco noi stessi, esercitando il discernimento sulla nostra vita e realizzando la condivisione del nostro vissuto. Il CG25 ci ha insegnato a non partire dall’analisi della situazione. Le resistenze e le difficoltà potrebbero farci attardare lungo la strada e le lunghe analisi potrebbero farci smarrire il traguardo. Questo è il momento per intravedere la chiamata di Dio: a che cosa Dio mi chiama “qui e ora” nel servizio quotidiano alla Congregazione, nella costruzione e animazione della comunità, nella vicinanza ai confratelli, nello slancio evangelizzatore, nell’esperienza spirituale?


In questo intervento mi soffermerò perciò ad offrire una lettura della vita, dello stile e del compito, che la comunità oggi ha davanti a sé, così come emergono dal CG25. Questa è la chiamata di Dio per noi oggi. Noi siamo chiamati a realizzare una profonda esperienza spirituale, una intensa vita fraterna ed un’audace azione pastorale. In questa meditazione vi offrirò una prospettiva prevalentemente formativa del CG25, non solo perché probabilmente non vi sarà presentata da altri; ma soprattutto perché mi sembra che questo Capitolo possa essere considerato come una “summa” della formazione permanente per la nostra Congregazione



1. ORIZZONTE ECCLESIALE


La stagione che come Congregazione stiamo vivendo ha un respiro ecclesiale, che è determinato da tre punti di riferimento essenziali per il cammino della Vita Consacrata: l’Esortazione Apostolica postsinodale “Vita consecrata” del 1995, la Lettera Apostolica postgiubilare “Novo Millennio Ineunte” del 2001 e l’Istruzione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica “Ripartire da Cristo” del 2002. Non possiamo avere una visione angusta del nostro essere oggi Salesiani di Don Bosco; noi siano nella Chiesa, siamo a servizio della Chiesa e soprattutto siamo Chiesa. Il “sentire cum Ecclesia” spalanca gli orizzonti del nostro vivere; è una caratteristica della nostra spiritualità.

L’Esortazione Apostolica “Vita Consacrata” ha saputo esprimere con chiarezza e profondità la dimensione cristologica ed ecclesiale della vita consacrata in una prospettiva trinitaria, che illumina di nuova luce la teologia della sequela e della consacrazione, della vita fraterna in comunità, della missione; ha contribuito a creare una nuova mentalità circa il suo compito nel popolo di Dio; ha aiutato le stesse persone consacrate a prendere maggiore consapevolezza della grazia della propria vocazione. È necessario che questo documento programmatico continui ad essere approfondito e attuato. Esso rimane il punto di riferimento più significativo e necessario per guidare il cammino di fedeltà e di rinnovamento degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, ed insieme rimane aperto a suscitare valide prospettive di nuove forme di vita consacrata e di vita evangelica.

Il Grande Giubileo del 2000 ha segnato profondamente la Chiesa ed anche la vita consacrata. Alla fine dell’Anno Giubilare, per varcare insieme la soglia del nuovo millennio, il Santo Padre ha voluto raccogliere l’eredità delle celebrazioni giubilari nella Lettera Apostolica “Novo millennio Ineunte”. In questo testo si ritrovano alcuni temi fondamentali, già in qualche modo anticipati nell’Esortazione postsinodale: Cristo, centro della vita di ogni cristiano; la pastorale e la pedagogia della santità, la misura alta della vita cristiana ordinaria, la diffusa esigenza di spiritualità e di preghiera, l’incidenza insostituibile della vita sacramentale; la spiritualità di comunione e la testimonianza dell’Amore che si esprime in una nuova fantasia della carità, nel dialogo ecumenico ed interreligioso.

L’Istruzione “Ripartire da Cristo”, riprendendo alcuni elementi già acquisiti dall’Esortazione Apostolica e sperimentati durante il Giubileo, di fronte al bisogno di un rinnovato impegno di santità, ha evidenziato gli interrogativi e le aspirazioni che le persone consacrate avvertono, cogliendone gli aspetti più significativi. Il suo intento non è stato quello di offrire un ulteriore documento dottrinale, quanto piuttosto di aiutare la vita consacrata ad entrare nelle grandi indicazioni pastorali del Santo Padre. Essa è un dono che va accolto con la fedeltà alla sequela di Cristo secondo i consigli evangelici e con la forza della carità vissuta quotidianamente nella comunione fraterna ed in una generosa spiritualità apostolica. L’appello più importante è quello di puntare soprattutto sulla spiritualità, ripartendo da Cristo nella sequela evangelica e vivendo in specialmente la spiritualità della comunione.

Durante questi anni postconciliari la vita consacrata ha vissuto un pressante invito a rinnovarsi, rendendosi eloquente e significativa. Nel delicato processo di rinnovamento voluto dalla Chiesa, la nostra Congregazione ha dedicato tre Capitoli Generali “straordinari”, che hanno specificato l’identità salesiana. È utile richiamare il cammino percorso. Mentre il CG19, svolto durante il Concilio, «prese coscienza e preparò», il CGS20 «mise in orbita», il CG21 «rivide, rettificò, confermò ed approfondì»; il CG22 fu chiamato a «riesaminare, precisare, completare, perfezionare e concludere».1 In questo modo la nostra Congregazione si impegnò nella rilettura fondazionale del suo carisma. Dopo i Capitoli Generali “straordinari” seguirono altri tre Capitoli Generali “ordinari”, diretti ad argomenti di carattere operativo: l’educazione alla fede dei giovani, il coinvolgimento dei laici e la comunità salesiana. La rilettura carismatica della identità era conclusa, ma la traduzione concreta è ancora in atto.



2. UNA NUOVA COMUNITA’ CARISMATICA


A differenza del CG23 e del CG24, che avevano parlato della comunità salesiana come luogo strategico per l’educazione alla fede dei giovani e per il coinvolgimento dei laici, il Capitolo Generale 25 ha voluto mettere la comunità con tutte le sue caratteristiche e dinamiche al centro della riflessione. La comunità è considerata come soggetto, con la sua capacità di profezia evangelica, di comunione, di progettualità, di coinvolgimento di numerose forze ed in definitiva di evangelizzazione. Di fatto il modello di comunità che emerge dal CG25 è quello che fa riferimento alla nostra consacrazione apostolica, così come è espressa nell’articolo 3 delle Costituzioni. Si tratta di una “comunità carismatica”, chiamata a realizzare, attraverso la grazia di unità, la sintesi vitale tra la vita fraterna, il primato di Dio e la sequela radicale di Cristo, la dedizione alla missione giovanile.

A chiusura del CG 25 il Rettor Maggiore sottolineava l’importanza dei soggetti: “Rivedendo il cammino percorso dalla Congregazione in questi trent’anni, si può notare che il cambiamento non è sempre stato lineare. Penso che la resistenza più forte non si è data per il rinnovamento delle Costituzioni o delle strutture di governo o della pratica pastorale, ma per il rinnovamento spirituale, che comporta una profonda conversione interiore. In questi anni di trasformazione si è venuta configurando una nuova forma di vita religiosa salesiana. Ormai abbiamo gli “otri nuovi”: una nuova evangelizzazione, una nuova educazione, un nuovo modello pastorale, una nuova formazione. A poco a poco si è venuto anche producendo il “vino nuovo”: il nuovo evangelizzatore, il nuovo educatore, il nuovo soggetto pastorale, il nuovo salesiano” (CG25 190).

Il Capitolo ci chiede di costruire una nuova comunità; dobbiamo realizzare proprio una nuova comunità, anche se ci sembra ripetitivo o retorico parlare di novità. Dice infatti sempre il Rettor Maggiore: “A volte ci sentiamo a disagio dinanzi all’uso dell’aggettivo “nuovo” per qualificare realtà che crediamo conosciute, soprattutto per le conseguenze pratiche che ciò comporta: la necessità di rinnovarci spiritualmente, di aggiornarci professionalmente, di qualificarci pedagogicamente. La novità proviene dalle situazioni, dai contesti, dai cambiamenti della realtà, dalla visione antropologica” (CG25 190). C’è bisogno di introdurre cambiamenti profondi nella vita della comunità e questi richiedono di raggiungere le persone in profondità e di aiutarne la crescita vocazionale. Ecco perché nel CG25 è prevalente la prospettiva della formazione.

Se vogliamo far crescere la comunità come soggetto e come novità, nessuno si deve sostituire alla comunità, con la scusa che essa è debole, non ha forze sufficienti, non ha consistenza. La linea di governo è quella di responsabilizzare la comunità, incoraggiarla, aiutarla, ma non permettere che essa deleghi i suoi compiti fondamentali. Nessuno può fare il cammino al suo posto. Il direttore è colui che aiuta, facilita, incoraggia, orienta, promuove la realizzazione di una nuova comunità. Esempi di alcune “comunità nuove” in ogni Ispettoria ci faranno dire che è possibile rifondare e rinnovare la comunità.

Il nostro itinerario parte ora da qui; la nuova comunità salesiana ha un modello evangelico che la ispira e che è presente negli Atti degli Apostoli; essa è chiamata ad acquisire nuovi apprendimenti, a diventare luogo di formazione, ad assicurare alcune condizioni formative.



3. ICONA DEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI


Così scrive il Rettor Maggiore nella presentazione del testo capitolare: “Lo schema di ogni modulo operativo è identico. Si apre con un testo degli Atti degli Apostoli, che vuole essere una vera fonte di ispirazione affinché ogni comunità riproduca l’esperienza della comunità di Gerusalemme nell’accogliere lo Spirito Santo come guida della propria vita. Si dovrebbe evitare, conseguentemente, di considerare queste citazioni della Scrittura come una semplice ciliegia sopra la torta. Al contrario, si dovrebbe cominciare a realizzare, proprio da qui, la “lectio divina”, in modo da imparare a partire sempre dalla Parola. Il che comporta lo sforzo di fare davvero nostre le attitudini della Vergine davanti ad essa: ascoltarla, obbedire ad essa, farci suoi discepoli, diventare credenti” (Presentazione del RM al CG25).

Le citazioni degli Atti degli Apostoli che sono poste all’inizio di ognuno dei cinque moduli operativi sono da intendere come la chiave di interpretazione della chiamata, della situazione, degli orientamenti operativi della comunità, che sta vivendo in un determinato momento ed in una particolare situazione.

Nella liturgia sinagogale, dopo la lettura di un testo biblico, seguiva la “apertura” del senso della Scrittura proclamata attraverso una spiegazione; essa serviva a collocare in un orizzonte semantico preciso ciò che si stava celebrando. La predica inaugurale di Gesù a Nazareth offre un esempio di questa spiegazione: “Gesù si recò a Nazareth, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: ‘Lo Spirito del Signore del Signore è su di me … Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: ‘Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi’” (Lc. 4, 16 - 21). Gesù legge un passo di Isaia e tutti si aspettano la spiegazione ed attualizzazione di quel testo; con il suo commento egli apre il senso della Scrittura.

Il CG25, ponendo un testo degli Atti agli inizi di ogni modulo, intende offrire una porta di accesso a ciò che segue. Il testo biblico pone nella giusta sintonia il testo capitolare e il testo capitolare aiuta ad ampliare il senso del testo biblico. Noi ci confrontiamo con le comunità degli Atti, perché impariamo a rivivere nelle nostre comunità la loro esperienza dell’accoglienza dello Spirito Santo. Il CG25 vuole aiutare la comunità a partire sempre dalle Sacre Scritture nella lettura della chiamata di Dio, della situazione, delle opzioni operative, abituandola a scegliere i testi biblici appropriati e a lasciarsi condurre da loro. Esso vuole introdurre le comunità nella pratica della “Lectio divina” come atteggiamento di ascolto e disponibilità, come lettura orante della Sacra Scrittura, come capacità di discernimento e valutazione, come obbedienza della fede e ricerca di convergenza comune. Il testo scritturistico inizia così, accompagna e conclude ogni processo di discernimento.


All’inizio del testo capitolare è la comunità apostolica che appare come modello per ogni nostra comunità; mentre alla fine è l’immagine dei discepoli di Emmaus, che dopo che il Risorto ha aperto loro il senso delle Scritture ed ha spezzato il pane con loro, tornano alla loro comunità per testimoniare l’esperienza pasquale vissuta.

Introduzione del CG25: Con lo sguardo fisso in Cristo Signore, uniti in preghiera attorno a Maria, la Madre di Gesù, noi, membri del Capitolo Generale 25°, aperti allo Spirito Santo e al dono della comunione, desideriamo costruire la nostra vita secondo il modello della prima comunità apostolica. Riconosciamo di essere radunati dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera comune, dall’Eucaristia e dalla condivisione dei beni2. Tendiamo a formare una comunità con «un cuore solo e un’anima sola», significativa tra la gente: con la vita e la parola testimoniamo il Signore risorto3, ricolmi della gioia e del dinamismo dello Spirito4.” (CG25 1).

Conclusione del CG25: Ora, come i discepoli di Emmaus, ritorniamo ai nostri luoghi di vita e di azione, sapendo di incontrare comunità di fratelli con i quali condividere questa fede. Confortati dal dono dello Spirito, risponderemo insieme all’invito del “Duc in altum!” per una missione ancor più coraggiosa, certi che il primo e fondamentale appello è quello della santità: «Cari salesiani, siate santi! È la santità il vostro compito essenziale, come lo è del resto, per tutti i cristiani!»5, e convinti che l’impegno più urgente è di vivere e comunicare una spiritualità di comunione: «fare della Chiesa la casa e la scuola di comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese del mondo»6. Santità e comunione: ecco i doni che vogliamo condividere con i giovani” (CG25 86).



4. TESTI BIBILICI DI “APERTURA”


Ogni modulo del CG25 è introdotto da un testo preso dagli Atti degli Apostoli. Il Capitolo sceglie il libro degli Atti, perché esso diventi un riferimento immediato per il cammino della comunità; il clima pasquale, la presenza dello Spirito Santo, l’azione evangelizzatrice, la corsa della Parola, le vicende delle varie comunità, il discernimento, la figura dell’apostolo sono aspetti caratteristici per la vita della comunità, che ne consigliano la meditazione.

Ricordiamo qui la suddivisione degli Atti degli Apostoli secondo cinque grandi unità letterarie: origini della Chiesa di Gerusalemme: Atti 1 – 5; da Gerusalemme ad Antiochia: Atti 6 – 12; prima missione di Paolo e Concilio di Gerusalemme: Atti 13 –15; grande missione in Grecia ed Asia: Atti 15 – 20; da Gerusalemme a Roma: Atti 21 - 28.

Sarebbe interessante illuminare il contesto delle citazioni che introducono i cinque moduli: Ascensione: Atti 1, 6 - 11; tre sommari sulla comunità di Gerusalemme: Atti 2, 42 - 47; 4, 32 - 35; 5, 12 - 16; discorso di Paolo a Mileto: Atti 20, 17 - 38. Sarebbe poi importante vedere la chiave interpretativa, il collegamento e la congruità tra i testi biblici scelti ed i moduli operativi che seguono. Sarebbe soprattutto utile dare peso teologico ad alcune parole preganti dei testi proposti. Riporto qui i testi capitolari con la sottolineatura delle parole più significative.


a. Vita fraterna: dono e profezia di comunione

«Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli

e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere…

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede

aveva un cuor solo e un’anima sola» (At 2, 42; 4, 32).


b. Testimonianza evangelica

«Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza

della resurrezione del Signore Gesù

e tutti essi godevano di grande simpatia»(At 4, 33).


c. Presenza animatrice tra i giovani

2 «Ed ora, ecco: io vi affido a Dio

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3 e alla parola che vi annuncia il suo amore.

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Egli ha il potere di farvi crescere nella fede

e di dare tutto quello che ha promesso

a quelli che gli appartengono» (At 20, 32)


d. Comunità salesiana: luogo di formazione e animazione

«Avrete forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi

e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria,

e fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8).

«Vegliate quindi su voi stessi e su tutto il gregge,

sul quale lo Spirito Santo vi ha costituiti...» (At 20, 28).


e. Condizioni per vivere e lavorare insieme

3.1

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3.1.1 «Gli Apostoli facevano molti prodigi e miracoli in mezzo alla gente.

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3.1.2 I credenti, di solito, si riunivano sotto il portico di Salomone. […]

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3.1.3 La comunità cresceva sempre di più, perché aumentava il numero

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di uomini e di donne che credevano nel Signore» (At 5, 12.14)



5. NUOVI APPRENDIMENTI DELLA COMUNITA’

Per il rinnovamento della vita delle nostre comunità il CG25 ci propone alcune realtà nuove da acquisire o alcuni impegni nuovi da assumere. Si tratta primariamente di apprendimenti spirituali e relazionali, in cui occorre curare le motivazioni, gli affetti, gli atteggiamenti, le abilità. Solamente in questo modo si può raggiungere la persona in profondità; solo così si garantisce un rinnovamento radicale e non solo superficiale delle comunità.


5.1. Discernimento comunitario

Ci sono testi del CG25 che parlano esplicitamente del discernimento comunitario come pratica da promuovere nella comunità, alla luce della Parola di Dio e delle Costituzioni. Il discernimento può essere evangelico, spirituale, pastorale; può essere personale o comunitario. Numerosi sono i passi che fanno riferimento alla pratica del discernimento comunitario. Siamo però consapevoli che senza l’esercizio del discernimento personale, non si può realizzare il discernimento comunitario:

  • ci si domanda quali processi attivare per apprendere ed per esercitare il discernimento in comunità (CG25 13);

  • si chiede alla comunità di promuovere atteggiamenti che favoriscano l’esercizio del discernimento, in particolare l’apertura alla realtà in spirito di fede, la disponibilità al dialogo fraterno, la ricerca paziente della convergenza (CG25 15);

  • si sollecita la comunità a praticare il discernimento evangelico per aiutare il confratello a superare dispersione, frammentazione, individualismo (CG25 32);

  • ci si interroga su come possa la comunità attivare processi di discernimento e conversione pastorale e passare così da una pastorale di attività ed urgenze ad una pastorale di processi (CG25 44);

  • si propone alla comunità di abilitarsi ad operare secondo una mentalità progettuale, promovendo momenti di dialogo e di discernimento della volontà di Dio (CG25 73);

  • si indica alla comunità di favorire il suo rapporto con la CEP anche attraverso il discernimento dei segni dei tempi (CG25 81).

E’ soprattutto però attraverso il testo capitolare con i suoi cinque moduli operativi che il CG25 propone alla comunità salesiana una particolare metodologia di discernimento. La comunità salesiana è il soggetto principale di questi moduli; assumendo il Capitolo, la comunità è aiutata a praticare il discernimento in comunità nelle sue tre fondamentali tappe. Dice il Rettor Maggiore nel discorso di chiusura del CG25 a questo riguardo:

  • “La comunità “è invitata ad accogliere la chiamata che Dio le rivolge attraverso gli avvenimenti storici ed ecclesiali, le indicazioni della Parola di Dio e della nostra Regola di vita, gli appelli dei giovani, le necessità dei laici e della Famiglia Salesiana.

  • La comunità approfondisce poi la lettura della propria situazione, scoprendo le disponibilità e le resistenze, le risorse e le mancanze, le possibilità e i limiti. Essa impara inoltre a riconoscere le sfide fondamentali e ad affrontarle con coraggio e speranza; sa anche interrogarsi con domande appropriate, cui dare risposta.

  • Infine, la comunità si confronta con gli orientamenti operativi proposti e determina le condizioni per tradurli in pratica” (CG25 184).

Il discernimento, sia personale che comunitario, ha una solida base nelle nostre Costituzioni agli articoli 66, 44, 119, 69, 40; a riguardo di questo tema si può confrontare l’abbondante indice delle nostre Costituzioni. Solo però con il CG25 questa pratica viene proposta con forza; essa richiederà una riflessione organica ed una esperienza di esercizio.


5.2. “Lectio divina”

La comunità e il confratello sono invitati dal CG25 a dare un posto centrale alla Parola di Dio, mediante la “lectio divina”, la meditazione quotidiana, la celebrazione Eucaristica quotidiana, la Liturgia delle ore, le celebrazioni della Parola, la preparazione in comunità dell’Eucaristia domenicale (CG25 31). Si evidenzia anche il bisogno che i confratelli hanno di un confronto personale con la Parola di Dio e il loro desiderio di condividerne i frutti in comunità (CG25 11, 14).

In particolare è proposta la lettura orante della Sacra Scrittura o più specificatamente la “lectio divina”: essa, in forma personale e comunitaria, “sia favorita come strumento di crescita della vita della comunità e ‘scuola di preghiera’ per i confratelli, i laici e i giovani, specialmente nei tempi forti dell’anno liturgico” (CG25 61, 47, 73). Tale lettura orante non è ancora diffusa nella vita spirituale delle nostre comunità e neppure nella nostra pratica pastorale. Il primo passo per apprendere il discernimento personale e comunitario è quello di iniziare a fare la “lectio divina”.

Se c’è bisogno di una ulteriore motivazione per l’impegno di assumere tale pratica, oltre a ricordare la Costituzione apostolica “Dei Verbum” al numero 25, si può andare a confrontare l’Esortazione apostolica “Vita consacrata” al numero 94, l’Esortazione apostolica “Novo millennio ineunte” al numero 39 e l’ultimo testo della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata “Ripartire da Cristo” al numero 24.

Il Rettor Maggiore nel discorso di chiusura del CG25, mentre ci invita a “Prendere il largo”, ci propone una lettura orante, spirituale e pastorale della Sacra Scrittura. Egli dice: “L’episodio evangelico della pesca prodigiosa, presentato dalla “Novo Millennio Ineunte” e ripreso dall’ultima Strenna di don Vecchi, diventa un simbolo della ripresa del nostro cammino a conclusione del Capitolo Generale 25.

Possiamo aver sperimentato anche noi, talvolta, la fatica inutile del nostro lavoro. Il Signore Gesù ancora oggi ci invita a “prendere il largo”, a rinnovare il nostro impegno di gettare la rete, a tentare nuovamente anche se abbiamo più volte sperimentato l’inefficacia. È questa l’ora del coraggio! Bisogna spingersi in mare aperto, affrontando le sfide di oggi, ed occorre andare verso le acque profonde, coltivando un’intensa esperienza spirituale e favorendo la qualità della nostra azione.

Ciò che ci sollecita a tentare nuovamente è la fiducia nel Signore Gesù: sulla sua parola getteremo ancora la nostra rete. È questa l’ora della speranza! Il tempo che stiamo vivendo è proiettato verso le grandi responsabilità che ci attendono, verso l’avventura gioiosa di calare ancora le reti per la pesca e di sperimentare la potenza della Parola di Dio. Siamo certi che il Signore Gesù saprà ancora stupirci con la sua fedeltà e le sue sorprese.

Dove ci sono grandi sfide, occorre il coraggio e la speranza della comunità. Le vie nuove e i compiti ardui dell’evangelizzazione potranno essere affrontati da comunità, che intraprendono una radicale conversione pastorale e vivono una profonda esperienza spirituale. Coraggio e speranza sono le espressioni più eloquenti della profezia delle nostre comunità.

Non ci sfugga il fatto che nell’episodio evangelico il gesto gratuito della pesca sorprendente non ha altra finalità, se non quella di suscitare la fede e di provocare alla sequela. Di fronte al gesto sovrabbondante di Gesù e dopo l’invito: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini», i primi discepoli, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono (cf. Lc. 5, 1-11).

Essi saranno così coinvolti nella stessa missione e nello stesso destino di Gesù: la chiamata definitiva di tutti ad accogliere il Regno. I gesti sorprendenti e sovrabbondanti di coraggio e di speranza delle nostre comunità provocano la risposta vocazionale dei giovani; la testimonianza profetica della comunità ancora oggi sarà capace di suscitare giovani disponibili a condividere il progetto di vita di don Bosco: “Da mihi animas; coetera tolle” (CG25 197).


5.3. Condivisione della vita e del vissuto

Secondo il CG25 nella vita fraterna delle nostre comunità si rileva una crescita nel rispetto della persona del confratello, nella stima vicendevole e nella qualità dei rapporti interpersonali; si ha una comunicazione più profonda; la condivisione della vita e del vissuto è più sentita e ricercata. C’è il desiderio di condividere il confronto con la Parola di Dio (CG25 11).

Si riscontrano però anche difficoltà nella comunicazione interpersonale; ci sono talvolta modelli relazionali inadeguati, che indeboliscono il senso di appartenenza alla comunità e compromettono il clima fraterno; si sente il bisogno di migliorare la comunicazione e di qualificare i rapporti personali (CG25 13).

Sono indicate infine alcune strade da percorrere per creare l’apertura all’altro e la disponibilità alla condivisione: “manifestare la ricchezza dei sentimenti del proprio vissuto interiore; condividere preoccupazioni e problemi, progetti ed attività educative pastorali; praticare l’ascolto, il dialogo, l’accettazione delle differenze e la correzione fraterna” (CG25 15). Si può giungere così allo scambio delle proprie esperienze di fede, alla comunicazione spirituale, alla revisione di vita sulle Costituzioni, al discernimento spirituale e pastorale, al superamento dell’inerzia di relazioni formali o funzionali, alla comunicazione semplice e fraterna (CG25 15 e 61).

Anche questa, come il discernimento e la “lectio divina”, è una strada nuova da percorrere, che ci domanda di tener conto del vissuto esperienziale soggettivo di ogni confratello e che ci propone di facilitare la comunicazione comunitaria proprio a partire da esso.


5.4. Altri apprendimenti spirituali e pastorali

Oltre a queste realtà da far crescere, ci sono ulteriori ambiti di formazione. Secondo il CG 25 ci sono infatti altri apprendimenti spirituali da acquisire; si tratta di imparare a:

  • dare il primato a Dio nella nostra vita personale e nella vita della comunità (CG25 31);

  • vivere personalmente la grazia di unità e tradurla anche nella vita della comunità (CG25 32);

  • esprimere con stili di vita più trasparenti la sequela radicale di Cristo attraverso i consigli evangelici e testimoniarne la portata antropologica (CG25 33-36).

Analogamente nel CG25 si possono rilevare alcuni apprendimenti pastorali che toccano l’azione evangelizzatrice della comunità. Anche in questo caso si tratta di imparare a:

  • superare una pastorale di attività o di urgenze e realizzare una pastorale di progetti e di processi (CG25 47);

  • costruire ambienti di forte impatto evangelico e di grande carica spirituale per i giovani (CG25 47);

  • accompagnare personalmente ogni giovane ed aiutarlo nella scoperta della propria vocazione (CG25 48).



6. COMUNITA’ COME LUOGO DI FORMAZIONE

La comunità è il luogo della crescita umana e vocazionale di ogni confratello, che impara insieme ai fratelli a raggiungere la maturità umana, ad accogliere in pienezza il dono della vocazione, a vivere le esigenze sempre nuove che la vocazione presenta (CG25 13, 15, 49). Per questo la comunità diventa il luogo privilegiato della formazione permanente dei confratelli e della loro santificazione. La vita comunitaria diventa in se stessa formativa; come anche la vita della CEP, che ci spinge in dialogo con i giovani ed i laici ad aggiornare ed approfondire il nostro impegno vocazionale (CG25 49 e 50). “Ogni confratello educa le proprie capacità di relazione, convinto della stretta connessione che esiste tra maturazione del singolo e della comunità. Ci sentiamo, perciò, tutti impegnati a non trascurare quanto facilita i processi di crescita individuale e comunitaria” (CG25 10). Per questo si privilegiano in particolare alcune vie.


6.1. Qualità della vita quotidiana

La comunità “cura i momenti specifici della sua vita: la preghiera comune, le assemblee, i ritiri, la revisione di vita, gli scrutini, i consigli, i tempi di distensione, la giornata della comunità” (CG25 15). “Siano valorizzati la giornata della comunità e i vari raduni comunitari. Queste occasioni siano adeguatamente preparate e programmate, in modo che diventino una opportunità efficace di crescita spirituale e di condivisione delle proprie esperienze personali” (CG25 61).

Secondo il CG25 il vissuto quotidiano viene valorizzato nei seguenti modi:

  • “animando la comunità ad una spiritualità di comunione, prerequisito di ogni collaborazione e condivisione;

  • coinvolgendo tutte le risorse della comunità in vista della missione comune;

  • favorendo la crescita dell’identità religiosa attraverso i momenti comunitari, e in particolare gli incontri di programmazione e di verifica, le assemblee comunitarie, la giornata della comunità;

  • aiutando i confratelli a trovare tempi e ritmi giusti per superare l’attivismo e la superficialità e programmando con cura momenti per lo studio, la lettura personale, la riflessione comunitaria, la condivisione, la preghiera, la ricreazione e il riposo” (CG25 58).

La “Ratio” afferma che Don Bosco attribuiva grande valore educativo agli impegni di ogni giorno, nel cortile e nella scuola, nella comunità e nella chiesa, alla maniera di vedere e di leggere gli avvenimenti, di rispondere alla situazione dei giovani, della Chiesa e della società. In particolare essa dice che hanno grande rilevanza formativa: la presenza tra i giovani, il lavorare insieme, la comunicazione, i rapporti interpersonali, il contesto socio culturale (Cfr. FSDB 251 - 257).


6.2. Responsabilità personale

Si sente l’esigenza di abilitare ogni confratello alla responsabilità personale nella propria formazione. Nella formazione permanente oggi la prima risorsa è l’autoformazione. Il Capitolo dice che occorre “migliorare l’impegno di tutta la comunità nella formazione:

  • abilitando i confratelli in formazione iniziale ad acquisire le convinzioni e gli atteggiamenti necessari per la formazione permanente;

  • coinvolgendo tutti i confratelli in quei processi che promuovono il confronto, il dialogo, la ricerca: programmazione comunitaria, verifica sistematica della vita e dell’azione della comunità;

  • incoraggiando e accompagnando ogni confratello nell’impegno per la propria formazione mediante il progetto personale di vita” (CG25 56).

Si tratta poi di “privilegiare alcuni ambiti di formazione:

  • la maturazione umana, specialmente quella affettiva;

  • l’identità vocazionale cristiana e salesiana;

  • la comprensione e l’apprezzamento del Sistema Preventivo come via di santità salesiana;

  • l’abilitazione a lavorare in équipe, anche con i laici, ed a formulare progetti e individuare processi;

  • la conoscenza del contesto culturale e della realtà giovanile, per la inculturazione dei valori evangelici e del carisma salesiano” (CG25 57).

Si propongono alcuni mezzi di formazione personale, tra cui il Progetto personale di vita.

  • “Il confratello dia la priorità ai tempi di preghiera, di riflessione personale e di ritiro, alla giornata settimanale della comunità e ai raduni per la programmazione e la verifica.

  • Valorizzi la direzione spirituale, sia personale che comunitaria.

  • Sviluppi, anche con l’aiuto delle scienze umane, le capacità e gli atteggiamenti di autoconoscenza e di autostima.

  • Il progetto personale di vita può diventare argomento del colloquio col direttore” (CG25 62).


6.3. Animazione della comunità e ruolo del direttore

Nel rinnovamento e nell’animazione della comunità salesiana il ruolo del direttore risulta centrale; egli, “padre, maestro, fratello ed amico, è riconosciuto e sostenuto dai confratelli come il punto di riferimento nel vissuto quotidiano, e animatore della loro fedeltà e crescita vocazionale. Egli unisce, guida ed incoraggia tutta la comunità a vivere in profondità la propria vocazione alla santità nello spirito di Don Bosco” (CG25 52).

Egli realizza una triplice concentrazione carismatica: spirituale, fraterna e pastorale; egli mette in esercizio nella comunità il suo ministero presbiterale: “Profondamente segnato dal carattere sacerdotale, lo traduce quotidianamente nel ministero della parola, della santificazione e dell’animazione” (CG25 64).

Il suo primo compito è l’animazione della comunità, coinvolgendo in questo i confratelli. Egli è una figura centrale nell’unità della comunità e della presenza salesiana; difficile è armonizzare i suoi compiti. Non bisogna ritenere impossibile la realizzazione del suo ruolo, ma occorre cercarne le condizioni di possibilità. “Il primo compito del direttore è di animare la comunità nella carità, facendo attenzione ai confratelli, particolarmente i più fragili e quelli in formazione iniziale. L’esercizio del suo ministero, nella situazione odierna, richiede che egli tenga conto della scala gerarchica dei suoi compiti: servitore dell’unità e dell’identità salesiana, maestro e guida pastorale, orientatore degli impegni di educazione, gestore dell’opera” (CG25 64).

Più volte si sottolinea l’attenzione al singolo confratello, favorendo la ripresa del colloquio: “Il direttore, sensibile alle necessità dei confratelli e in dialogo con loro, s’impegna a favorire e promuovere il modo più consono di fare il “colloquio”, pronto a fare il primo passo” (CG25 65).



7. CONDIZIONI FORMATIVE DELLA COMUNITA’

Affinché la comunità possa realizzare nuovi apprendimenti e possa essere luogo di crescita vocazionale e di formazione, occorre assicurare alcune condizioni.


7.1. Consistenza quantitativa e qualitativa

“La consistenza qualitativa e quantitativa della comunità salesiana è condizione fondamentale affinché ogni comunità renda possibile l’esperienza di vita fraterna, di testimonianza evangelica, di presenza animatrice tra i giovani, di formazione permanente, e realizzi in modo significativo il suo compito animatore nella CEP, secondo il modello operativo descritto dal CG24” (CG25 75).

Il CG25 ai numeri 76 e 77 offre alcune indicazioni per affrontare concretamente questo problema; in particolare chiede all’Ispettore di:

  • curare l’equilibrio tra le nuove frontiere e il consolidamento o ridimensionamento delle presenze attuali;

  • promuovere la coscienza della missione comune attraverso la formazione permanente ed il funzionamento degli organismi della comunità;

  • avere un piano ispettoriale che permetta di giungere in tempi ragionevoli ad una vita comunitaria significativa, alla luce degli articoli 20 e 150 dei nostri Regolamenti;

  • avere già una garanzia di una adeguata consistenza quantitativa e qualitativa nell’iniziare nuove comunità.

Il Rettor Maggiore nel discorso di chiusura ha posto questo aspetto come uno dei cinque punti strategici: “La qualità della vita di comunione e l’azione educativa e pastorale richiedono una consistenza quantitativa e qualitativa della comunità salesiana. Tutte le proposte per rendere formativo il quotidiano e migliorare la qualità della metodologia, dei contenuti e delle attività si scontrano con le possibilità reali della comunità. Per noi la vita fraterna in comunità è un elemento della nostra consacrazione apostolica e quindi della professione religiosa (cf. Cost. 3 e 24), insieme alla sequela di Cristo obbediente, povero e casto e alla missione. Essa è anche l’ambito in cui siamo chiamati a vivere l’esperienza spirituale, la missione e i consigli evangelici. Non possiamo perciò continuare con la pretesa di voler risolvere tutti i problemi, a scapito del carisma e della vita della comunità” (CG25 192).


7.2. Scelta, preparazione e accompagnamento del direttore

In una Ispettoria che non presenti una dispersione dei confratelli in piccole comunità, ma che abbia comunità consistenti, è più facile avere dei candidati direttori e quindi operare delle scelte. Talvolta ci si trova nell’impossibilità di avere buoni direttori e si hanno soluzioni di ripiego. Il CG25 insiste sulla scelta, sulla preparazione , sull’aiuto e sull’accompagnamento del Direttore.

  • “Dinanzi alla molteplicità e alla delicatezza dei compiti del direttore, è di fondamentale importanza garantirgli una buona preparazione previa e continua, con contenuti e metodologie utili al suo servizio” (CG25 64).

  • “L’Ispettore assicura riunioni regolari dei direttori per la formazione, lo scambio di informazioni e l’intesa sulle attività e l’animazione ispettoriali” (CG25 65).

  • “A livello interispettoriale o regionale vengono organizzati corsi di preparazione e di aggiornamento per i direttori” (CG25 65).

  • “Il direttore, con l’aiuto dell’Ispettore, cerca di assicurarsi una adeguata preparazione, anche con l’utilizzo delle scienze umane” (CG25 65).

  • “Il direttore, oltre ad avere l’appoggio dell’Ispettore, sia coadiuvato e sostenuto da una valida figura di vicario e dalla cooperazione costante del suo Consiglio” (CG25 65).


7.3. Progetto della comunità salesiana

Un modo concreto per aiutare la comunità a convergere è la realizzazione del Progetto della Comunità stessa: “La comunità, con il coordinamento del direttore, all’inizio dell’anno elabora il progetto comunitario annuale, dove direttore e confratelli esprimono le proprie aspettative, condividono obiettivi e criteri di azione e programmano i momenti comunitari” (CG25 65). Una delle parti del Progetto della comunità salesiana riguarda la formazione nella comunità.


7.4. Rapporto tra comunità e opera

Ogni comunità, in base alla sua consistenza quantitativa e qualitativa, deve definire il suo rapporto con l’opera, in modo che esso gli permetta “di vivere e lavorare insieme ed essere punto di riferimento carismatico nel nucleo animatore della CEP” (CG25 78). L’applicazione ulteriore del CG 24 aiuta la comunità a mantenere la sua identità carismatica, a vivere come comunità religiosa, a rendere visibile la sua testimonianza. In particolare la comunità salesiana

  • sviluppa la convinzione che essa anima la CEP non da sola, ma insieme ai laici; essa quindi continua ad approfondire le forme pratiche del loro coinvolgimento nelle responsabilità e negli organismi di partecipazione e di decisione (CG 25 79);

  • approfondisce il suo compito di essere riferimento per lo sviluppo dell’identità carismatica nell’animazione della CEP (CG 25 80);

  • favorisce rapporti formali e informali con le varie componenti della CEP (CG 25 81)


7.5. Delegato ispettoriale di formazione

Il Delegato ispettoriale di formazione insieme alla Commissione di formazione ha un compito importante di aiuto nei confronti dell’Ispettore con il suo Consiglio e nei confronti delle comunità. Un primo compito del Delegato riguarda il Progetto della comunità salesiana ed il Progetto personale di vita: “L’Ispettore e il suo Consiglio, attraverso la Commissione ispettoriale per la formazione (CIF), suggeriscono modalità ed offrono sussidi per elaborare il “Progetto personale di vita salesiana” e il “Progetto di vita comunitaria salesiana”(CG25 16).

Nel CG25 al numero 60 si afferma inoltre:

  • La Commissione ispettoriale per la formazione elabora il programma annuale per la formazione permanente, con attenzione speciale all’area affettiva e alla capacità di rapporti interpersonali.

  • Il delegato per la formazione coordina programmi specifici per rispondere ai bisogni di vari gruppi di confratelli, non trascurando gli ammalati e gli anziani, per aiutarli a vivere con serenità e spirito di fede la loro situazione.

  • L’Ispettore con il suo Consiglio cura l’elaborazione del progetto ispettoriale per la qualificazione del personale, d’intesa con la commissione della formazione ed in dialogo con i confratelli. Si preoccupa di dare il peso dovuto agli studi filosofici, pedagogici, teologici, salesiani, professionali e accademici”.

Se pensiamo poi all’aiuto che il Delegato ispettoriale di formazione deve offrire alla Ispettoria nell’applicazione della “Ratio” i suoi compiti aumentano. Ne risulta una figura che deve essere irrobustita e che necessariamente deve far parte del Consiglio Ispettoriale. Per questi motivi in varie Ispettoria al Vicario ispettoriale viene affidato il compito di Delegato ispettoriale di formazione.


7.6. Progetto Organico Ispettoriale

Se l’Ispettoria avrà una migliore capacità di progettazione, allora il lavoro delle singole comunità sarà meglio mirato, orientato e ponderato. Se la comunità ispettoriale ha chiara la sua visione e progettazione, allora la comunità locale sarà attrezzata ad affrontare con equilibrio i suoi compiti e le sue sfide, avendo sufficiente consistenza, compiti proporzionati, responsabilità condivise con i laici, personale salesiano qualificato, identità significativa, risorse adeguate. L’apporto specifico della formazione al POI riguarda le opzioni fondamentali circa “la consistenza quantitativa e qualitativa di ogni comunità salesiana”, “la ridefinizione del rapporto tra comunità e opera” e “ le linee generali per la preparazione delle persone, sia SDB che laici collaboratori” (ACG 381 38-39)




Don Francesco Cereda




Roma, 29 ottobre 2003

Memoria del beato Michele Rua


CONCLUSIONE:

CREDO DELLA COMUNITA’ - CREDO LA COMUNITA’


Crediamo che la nostra comunità

nasce dalla gratuita iniziativa del Padre,

affonda le sue radici nella Pasqua del Signore,

è un dono sempre nuovo dello Spirito Santo.

Crediamo di essere chiamati a vivere in comunità

al seguito di Gesù obbediente povero e casto

secondo il carisma di Don Bosco,

al servizio dei giovani, specialmente i più poveri,

per camminare insieme verso la piena maturità di Cristo.

Crediamo che la comunità salesiana,

guidata e sostenuta dalla materna presenza di Maria Ausiliatrice,

si costruisce attorno alla Parola, al Pane e al Perdono,

e che, attraverso l’esercizio della carità e della correzione fraterna,

diventa luogo di misericordia e di riconciliazione.

Crediamo che la pratica del Sistema Preventivo,

quale ispirazione e metodo per vivere e lavorare insieme,

rafforza le nostre relazioni con Dio,

matura i nostri rapporti fraterni

e unisce in un’unica esperienza salesiani, giovani e laici

in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo.

Crediamo che la missione salesiana è affidata alla comunità,

per cui tutti ne siamo partecipi e corresponsabili,

con la ricchezza dei doni personali,

nella complementarità delle vocazioni laicale e presbiterale,

nella valorizzazione di competenze, ruoli e servizi.

Crediamo che ogni nostra comunità,

vivendo lo spirito di famiglia,

facendosi attenta alle necessità del territorio,

in unione con tutta la Famiglia Salesiana,

diventa per i giovani e per i fratelli

esempio di vita piena di umanità e di grazia,

segno luminoso di amore,

scuola di spiritualità,

proposta vocazionale

e profezia di comunione” (CG25 85).

1 Cf. ACS 305, p. 9.

2 Cf. At 2, 42. 46 – 47

3 Cf. At 4, 32 – 33

4 Cf. At 13, 52

5Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Capitolo Generale, in “L’Osservatore Romano” 13-04-2002, pag. 5

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