Il Ferrero era stato accolto nellOoratorio od Ospizio di San Francesco
di Sales di Torino in principio di novembre del 1877, ma non tardò a
dar a divedere che era bello sano dall'aver volontà seria di divenir
Salesiano e Missionario. La sua condotta affatto irregolare, la sua
trascuranza delle più essenziali pratiche di pietà, le sue continue
relazioni con esterni, non permisero mai di ammetterlo al noviziato, né
di considerarlo come terziario, la quale categoria presso i Salesiani non
esiste punto. Tuttavia in vista della necessità e delle strettezze in cui
egli sarebbesi trovato in mezzo al mondo, si continua a tenerlo in un
laboratorio fotografico, alquanto appartato dall'Ospizio,
provvedendolo di quanto occorreva. Se non che nel 1880 vedendo
bazzicare nella sua camera e nel suo laboratorio persone sospette
introdotte senza alcuna licenza dei Superiori, si venne a temere di
qualche disordine, e tosto ne fu ripreso seriamente. Egli manifestò che
trattava di accasarsi. Fu allora che gli si disse chiaramente che facesse
pure le pratiche necessarie osservando le debite convenienze, e noi non
avremmo disapprovato il suo divisamento; ma ciò che non avrebbe
potuto tollerarsi sarebbe di fare tali pratiche, e trattare tale negozio
rimanendo nelle nostre case: uscisse e poi provvedesse a suo talento.
Per facilitargli il modo di impiegarsi gli si lasciò un certificato in cui
tacendo della sua condotta irregolare si diceva quanto si poteva di bene
sulla sua fedeltà ed abilità.
Egli chiese qualche mese di tempo: gli fu accordato, purché stesse alle
regole della casa, e rompesse per intanto le relazioni suddette.
Promise, ma non ne fu nulla, che anzi fu peggio di prima.
Frattanto delle tre figlie, una si fece realmente suora, mentre le due
altre dimostrarono di non essere chiamate a tale stato, l'una per
mancanza di salute, l'altra per mancanza di volontà stantechè
domandava che suo padre andasse a ritirarla. In vista delle circostanze
particolari di quella famiglia, anche le Suore di Maria Ausiliatrice
tollerarono quanto era possibile ritenendone una in una casa
dell'Istituto nel paese di Mornese, ed inviandone l'altra fra le giovani
educande del Collegio di Nizza Monferrato, mentre esortavano il padre
a collocarle in qualche istituto o famiglia, od a metter su nuovamente
casa per ritirarle presso di sé. E ben lungi dal metterle sulla strada
come egli ci accusa, le si ritennero finché non furono entrambe allocate
nell'Ospizio Cerrato nella città di Asti.
Dal canto suo il Ferrero proseguiva a menare una condotta sempre più
irregolare. In vista di ciò nel 1881 gli si fissava nuovamente per uscire
dal nostro Ospizio un termine di qualche mese, accordandoci con lui
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sul tempo che paresse necessario per trovar un impiego.
Dovendosi poi il Capitolo Superiore dei Salesiani radunare, il Ferrero
sotto la data del 22 agosto scrisse una lunga lettera in cui domandava
la somma di L. 16.500,00, oltre qualche altra somma per indennizzo e
compenso delle sue fatiche: e ciò a dispetto della citata dichiarazione
in cui si obbligava, nel caso di dover uscire dallo stabilimento, a
ritirarsi senza aver diritto a nulla né in danaro, né in altro, e
minacciava con altre lettere di ricorrere ai tribunali, ed anche ai
giornali se non riceveva favorevole risposta. Tale domanda e tali
minacce non produssero altro effetto che far intendere essere desso
veramente indegno di rimanere in casa nostra, mentre, trattato con
tanti riguardi, corrispondeva con tanta ingratitudine. Vedendo che alla
scadenza della dilazione accordatagli non si decideva di partire,
scorgendo ancora che nulla più si occupava dei lavori affidatigli,
abbandonava i suoi allievi delle ore, delle mezze giornate, e talora delle
giornate intere, e andava mormorando contro i Superiori, gli si intimò
di uscire di casa nostra.
Visto come i Superiori erano risoluti di venire ad una conclusione, egli
(che a parole ora mostrasi così alieno dai tribunali civili) ricorse tosto
al tribunale, ed alli 6 dicembre 1881 ci fece intimare una citazione dalla
Pretura di Torino, sezione Borgo Dora per far pronunziare la pronta
reintegrazione nel possesso dei locali di sua abitazione (quasi ne fosse
egli il padrone) l'esercizio del laboratorio ecc. Usando verso di lui tutta
la possibile longanimità, gli si fece intendere che come interno non si
poteva più tollerare: però se ancora gli abbisognava di qualche tempo
per trovarsi un conveniente impiego, noi l'avremmo ammesso come
operaio esterno, fissandogli un onorario mensile, poiché non si voleva,
sebbene lo meritasse, metterlo sul lastrico senza mezzo di sussistenza.
Gli si fece pertanto qualche anticipazione di danaro, gli si lasciò ritirare
tutti i mobili ed arnesi che avea portati nella sua entrata, ad eccezione
degli utensili di fotografia, a cui doveva ancora attendere, e così rimise
la sua casa in piedi, e ritirando la sua citazione cominciò venire a
lavorare tra noi come esterno.
Mancava però sovente, ed anche venendo ben più si occupava di cose
strane che del suo lavoro, facendo perdere il tempo ai suoi allievi, e
cagionandoci gravi danni, perché non disimpegnava puntualmente le
commissioni ed i lavori che gli venivano affidati. Si dovette pertanto
cambiargli lo stipendio, invece di mensile fissarlo a tanto ogni ora che
avrebbe passata al lavoro, nel qual modo la durò sino al maggio del
1883 quando, avendo finalmente trovato un impiego, cessò di venire