Da Don Bosco Educatore|La scelta "politica" dell'educazione della gioventù

 La scelta "politica" dell'educazione della gioventù

L’ONOMASTICO DEL PADRE

E I FIGLI A MENSA CON LUI.

   Abbiamo fatto sperare che saremmo ritornati sull’onomastico di D. Bosco, accennato appena nel numero precedente; e qui manteniamo la promessa sia per ricordare almeno per sommi capi le preziose parole dette da lui in quell’occasione, sia per dire brevemente dell’agape, che come conseguenza di quell’onomastico medesimo ebbe luogo nell’Oratorio il 15 e il 19 dello scorso luglio.

   Anzitutto ricordiamo l’affettuosa dimostrazione, che nel mattino del 24 Giugno, festa appunto di S. Giovanni Battista, diedero a D. Bosco i suoi antichi allievi, che dal 1841 sino a questi ultimi anni ricevettero da lui nell’Oratorio di S. Francesco di Sales la cristiana e civile educazione. Un numero considerevole di essi residenti in città o nelle sue vicinanze, a nome proprio e a nome di più centinaia di loro compagni sparsi in ogni paese, si presentarono a lui accompagnati dal suono della banda musicale. Raccolti in apposita sala gli offersero i doni, procurati colle spontanee obblazioni di ognuno di loro, il principale dei quali consistente nella magnifica corona dorata, di cui abbiamo fatto parola nella relazione della novena e nella festa di Maria Ausiliatrice; indi passarono ai componimenti. A nome di tutti lesse un affettuosissimo discorso il Sac. D. Onorato Colletti, Prevosto di Faule; il quale, dopo la proclamazione dei nomi presenti e degli assenti, che o per lettera o per altro mezzo avevano manifestato desiderio di partecipare alla detta dimostrazione di riconoscenza e di gratitudine, declamò ancora una poesia, che fu meritatamente applaudita.

   In fine D. Bosco, visibilmente commosso, prese la parola. Esternò la viva gioia, che provava in quel momento nel rivedere tanti suoi amatissimi figliuoli; assicurò che egli sempre li amava, e con essi amava pur quelli, che non erano colà presenti col corpo, ma ben lo erano coll’affetto; li ringraziò della figliale dimostrazione, che gli ripetevano sempre più numerosi; lodò il pio pensiero di offrirgli un dono, che faceva sì bella figura nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, ed ebbe soprattutto parole improntate di grande affetto pel Prevosto di Faule. — È vero, disse D. Bosco, che l’oratore e poeta, parlando di D. Bosco, uscì in pie esagerazioni e fece uso della figura rettorica chiamata l’iperbole; ma è questa una licenza perdonabile ai figliuoli, i quali nell’esprimere i sentimenti dell’animo stanno più ai dettami del cuore, che non a quelli della mente. Ricordate però sempre che D. Bosco non fu e non è altro che un misero strumento nelle mani di un artista abilissimo, anzi di un artista sapientissimo ed onnipotente, che è Dio; a Dio pertanto si tributi ogni lode, onore e gloria — Del resto, soggiunse D. Bosco, ha detto bene il nostro D. Colletti, che l’Oratorio ha fatto finora delle grandi cose; e io vi aggiungo che coll’aiuto di Dio e colla protezione di Maria Ausiliatrice ne compirà delle altre più grandi ancora. Oltre l’aiuto del Cielo, quello che ci facilitò e ci faciliterà di fare del bene è la stessa natura dell’opera nostra. Lo scopo al quale noi miriamo torna beneviso a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi, che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi ha qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce, oppure che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata, o pericolante, per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonosre, e forse anche alla prigione, ecco a che mira l’operanostra. Or qual uomo assennato, quale autorità civile potrebbe impedircela? Ultimamente, come sapete, io fui a Parigi, e tenni discorso in varie Chiese, per perorare la causa delle opere nostre, e, diciamo francamente, per ricavare quattrini, onde provvedere pane e minestra ai nostri giovani, i quali non perdono mai l’appetito. Or bene, tra gli uditori ve n’erano di quelli, che vi si recavano unicamente per conoscere le idee politiche di D. Bosco; imperocchè taluni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti ad un partito, e via dicendo; onde vi furono delle benevole persone, che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole cessarono tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e D. Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all’altro della Francia. No davvero, coll’opera nostra noi non facciamo della politica; noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù, e salvare delle anime. Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo.

   La politica si definisce la scienza e l’arte di ben governare lo Stato. Ora l’opera dell’Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell’America, in tutti i paesi, dove già si è stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa, tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero de’ piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidi alle pubbliche Autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace. Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire. Ed è appunto questo metodo, che ha permesso a D. Bosco di fare del bene da prima a voi, e in appresso a tanti altri giovani di ogni età e paese. E poi a che pro entrare in politica? Con tutti i nostri sforzi che cosa potremmo noi ottenere? Nient’altro che il renderci forse impossibile di proseguire l’opera nostra di carità. Le cose polticihe di oggidì possono riguardarsi come una macchina a vapore, che corre veloce sulla via ferrata, trascinandosi dietro un convoglio fors’anche al precipizio ed alla rovina. Volete voi mettervi in mezzo ai binari per fermarma? Ne sareste schiacciati. Volete gridare per atterrirla? Ma non sente, e vi squarcereste inutilmente la gola. Che fare adunque? Schierarsi di qua e di là, lasciarla passare, finché o si fermi di per se stessa, o la fermi Iddio colla sua mano onnipotente. Certamente nel mondo vi devono pur essere di quelli, i quali s’interessino delle cose politiche, ora per dare consigli, ora per segnalare pericoli e simili; ma questo cômpito non è per noi poveretti. A noi la religione e la prudenza dicono invece: Vivete da buoni cristiani, occupatevi della morale educazione della vostra figliuolanza, istruite bene nel catechismo i fanciulli dei vostri collegi e delle vostre parrocchie, ecco tutto. Questa, ripeto, è la condotta di D. Bosco, il quale è si poco politico, che legge nemmeno un giornale; questa sia pure la condotta vostra, o miei carri figliuoli, e ne avrete voi pure quel gran bene che vi desidero, voglio dire, la concordia e la pace nelle vostre famiglie, la prosperità nei vostri negozii temporali, una lunga vita scevra di gravi affanni e tribolazioni, e specialmente il bene di tutti i beni, che è la perseveranza nella grazia di Dio e la felicità del paradiso, dove io spero che pei meriti di nostro Signor Gesù Cristo e per la intercessione di Maria SS. ci ritroveremo un giorno tutti riuniti a cantare le sue eterne glorie.

   Queste parole di D. Bosco furono ascoltate colla più viva attenzione. Ma siccome egli aveva chiamate pie esagerazioni e figure rettoriche le lodi attribuitegli poc’anzi, così sorse il prof. Germano Candido a difendere le espressioni dell’Oratore, rifornendo la testimonianza non sospetta di un giornale di Milano, che in quei giorni ripeteva pressochè le stesse lodi — Possibile che buoni e cattivi, osservò il professore, si accordino insieme nell’esagerare piamente ed iperboleggiare intorno a D. Bosco? No; ma è la verità, ma sono gli splendidi fatti, che fanno parlare. Viva dunque D. Bosco, viva nel nostro cuore, viva nel cuore di tutti.