01 Settembre - Senso di Dio e vita di preghiera |
Senso di Dio e vita di preghiera
Don Bosco, nella presentazione delle Memorie dell’Oratorio, ricorda di aver scritto per rispondere alle esortazioni che gli venivano da più parti, specialmente da «persona di somma autorità, cui non è permesso di porre indugio di sorta»1.
È importante tenere conto di quanto egli scrive: «Debbo anzitutto premettere che io scrivo pe’ miei carissimi figli Salesiani, con proibizione di dare pubblicità a queste cose sia prima sia dopo la mia morte.
A che dunque potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre»2. «Quando poi, o figli miei, leggerete queste memorie dopo la mia morte; ricordatevi che avete avuto un padre affezionato; il quale prima di abbandonare il mondo ha lasciate queste memorie come pegno della paterna affezione»3.
Queste espressioni sono un indicatore dell’importanza che egli attribuiva al documento. Inoltre ci offrono una chiave di lettura che spinge ad andare oltre la semplice narrazione, per tener presenti i vari livelli che si intersecano continuamente: quello immediato della memoria di eventi e persone; quello della interpretazione in chiave provvidenziale-salvifica e carismatica; quello pedagogico (espresso sia nella scelta dei fatti, sia nelle sottolineature e nei commenti, in cui don Bosco interviene per evidenziare aspetti qualificanti della sua pedagogia e del suo metodo); infine il livello “spirituale”, percepibile chiaramente in quei luoghi in cui il santo descrive momenti determinanti della propria esperienza e rivela le intenzioni, gli obiettivi, i valori e l’indirizzo ascetico che lo hanno guidato e che implicitamente propone ai membri della sua grande Famiglia.
A questa lettura di carattere “spirituale” vogliamo dedicarci, perché essa ci pare rivelare alcuni aspetti centrali dell’itinerario interiore del nostro santo.
1 1. La presenza provvidente di Dio |
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Fin dalle prime pagine, la narrazione dei fatti evidenzia una costante che accompagna Don Bosco in tutta la sua esistenza: il ruolo determinante della religiosità, della Religione, nell’ambiente in cui egli è cresciuto e nella sua mentalità.
Egli inizia il racconto forzando, in un certo modo, il dato storico, per porre sotto il patrocinio di Maria tutta la sua vicenda personale: «Il giorno consacrato a Maria Assunta in Cielo fu quello della mia nascita l’anno 1815»4.
Del padre ci dice soltanto che era povero e laborioso, ma anche «animatissimo per dare educazione cristiana alla figliuolanza», e che sul letto di morte, «munito di tutti i conforti della religione», spirò all’età di 34 anni, «raccomandando a mia madre la confidenza in Dio»5: grande e preziosa eredità, quella che farà illustre il figlioletto Giovanni e la famiglia Bosco.
È soprattutto alla figura della madre e alla sua azione educatrice che il Santo attribuisce il merito di aver radicato in lui il senso di Dio e una visione di fede della realtà e della storia. Margherita lo formò all’esercizio della presenza di Dio, lo avviò alla preghiera, gli instillò i principi della vita cristiana, assicurando una seminagione abbondante di solide virtù. Il suo fu un apporto determinate per la futura missione di educatore e di pastore.
«Eccoti senza padre», gli disse affranta la mamma di fronte al capezzale del marito appena spirato. Giovanni non aveva ancora due anni, eppure quelle parole, come scriverà, furono «il primo fatto della vita di cui tengo memoria»6.
Poi vengono i ricordi di una quotidiana povertà, di una vita dura di lavoro e di stenti, inseparabili, tuttavia, dalla memoria dell’intervento provvido e tenero del Padre celeste. In particolare i mesi drammatici della carestia del 1817, dovuta ad una «terribile siccità» che fece perdere tutti i raccolti: i morti ritrovati nei prati, «colla bocca piena d’erba, con cui avevano cercato d’acquetare la rabbiosa fame»; l’esaurimento delle scorte di casa; la ricerca affannosa, ma senza esito, sui mercati di qualcosa di cui nutrirsi. «Il terrore invase la mente di tutti ... Mia madre senza sgomentarsi andò dai vicini per farsi imprestare qualche commestibile e non trovò chi fosse in grado di venirle in aiuto. - Mio marito, prese a parlare, morendo dissemi di avere confidenza in Dio. Venite adunque, inginocchiamoci e preghiamo. - Dopo breve preghiera si alzò e disse: - Nei casi estremi si devono usare mezzi estremi. Quindi coll’aiuto [del vicino di casa] andò alla stalla, uccise un vitello e facendone cuocere una parte con tutta fretta poté con quella sfamare la sfinita famiglia. Pei giorni seguenti si poté poi provvedere con cereali, che, a carissimo prezzo, poterono farsi venire di lontani paesi»7.
Nelle Memorie dell’Oratorio Don Bosco dà risalto a questo fatto, per sottolineare il ruolo della madre, il suo coraggio, la sua sapienza pratica (come andrà illustrando nelle pagine successive), ma soprattutto per mettere in primo piano la presenza provvidente di Dio, che la fiduciosa confidenza della madre gli insegna a percepire come attiva e operante nel vissuto quotidiano.
Dalla fede della madre Giovanni fanciullo acquista la certezza dell’esistenza di un Dio misericordioso e grande nell’amore. Percepisce la realtà di un nesso inscindibile tra la nostra povera fragile umanità e il suo Amore tenero. Impara, esistenzialmente, che la fiducia in Dio non è mai vana, anche nei momenti più disperati. Qui si radica quella sua fede incrollabile, capace di “spostare montagne”, e quella sua robusta speranza che lo spinge a guardare oltre ogni umana prospettiva, a progettare e ad osare coraggiosamente quanto altri non avrebbero neppure lontanamente sognato. E tutto ciò egli lo evidenzia e lo indica a noi suoi lettori.
Ci pare quasi di percepire il suo invito a rileggere - come lui stesso sta facendo - la nostra vita, fin dai primordi, nella stessa prospettiva: la viva presenza e la cura affettuosa del Signore nei nostri confronti, i suoi interventi piccoli e grandi che hanno accompagnato, sostenuto, guidato e corretto (forse anche “ricostruito” e “rigenerato”) la nostra storia personale. Tutto è grazia, tutto è disegno di amore. Dio prepara, coltiva, sostiene, indirizza ogni vocazione da lontano, in mille modi, perché si compia la sua economia di salvezza.
2 2. Mamma Margherita, maestra di fede e di preghiera |
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Poi le Memorie dell’Oratorio fanno convergere la nostra attenzione su Margherita educatrice e formatrice, prima (quasi unica) evangelizzatrice dei suoi figli. La prosa di Don Bosco, per quanto sintetica, è efficacissima: «Sua massima cura fu di istruire i suoi figli nella religione, avviarli all’ubbidienza ed occuparli in cose compatibili a quella età. Finché era piccolino mi insegnò Ella stessa le preghiere; appena divenuto capace di associarmi co’ miei fratelli, mi faceva mettere con loro ginocchioni mattino e sera e tutti insieme recitavamo le preghiere in comune colla terza parte del Rosario»8.
Don Lemoyne, nel suo profilo biografico di mamma Margherita9, scende a molti particolari per illustrare il ruolo di questa mamma nell’educare i figli al senso di Dio. Egli commenta: «L’amore di Dio, l’orrore al peccato, il timore dei castighi eterni, la speranza del paradiso non s’impara così bene né si scolpisce così profondamente nel cuore come dalle labbra materne ... L’istruzione religiosa, che impartisce una madre ..., fa sì che la religione diventa natura, e il peccato si aborrisce per istinto, come per istinto si ama il bene. L’essere buono diventa un’abitudine e la virtù non costa gran sforzo ... Margherita conosceva la forza di simile educazione cristiana»10.
Ma nell’azione educatrice di Margherita c’è qualcosa di più di una formazione religiosa. Il sesto capitolo del libretto di Don Lemoyne ci presenta la mamma di Don Bosco come colei che insegna ai figli il senso di Dio e li introduce alla preghiera diffusa e contemplativa.
«Dio era in cima a tutti i suoi pensieri, e quindi era sempre sulle sue labbra ... Dio ti vede: era il gran motto col quale rammentava ad essi come fossero sempre sotto gli occhi di quel gran Dio che un giorno li avrebbe giudicati. Se loro permetteva di andare a sollazzarsi nei prati vicini, li congedava dicendo: Ricordatevi che Dio vi vede. Se talora li scorgeva pensierosi e temeva che avessero nell’animo qualche piccolo rancore, sussurrava all’improvviso al loro orecchio: Ricordatevi che Dio vi vede, e vede anche i vostri più nascosti pensieri ...
Cogli spettacoli della natura ravvivava pure in essi continuamente la memoria del loro Creatore. In una bella notte stellata uscendo all’aperto mostrava loro il cielo e diceva: È Dio che ha creato il mondo e ha messe lassù tante stelle. Se è così bello il firmamento, che cosa sarà del paradiso? Al sopravvenire della bella stagione, innanzi ad una vaga campagna, o ad un prato tutto sparso di fiori, al sorgere di un’aurora serena, ovvero allo spettacolo di un raro tramonto di sole esclamava: Quante belle cose ha fatto il Signore per noi!»11.
Lo stesso metodo userà Don Bosco. All’inizio del suo manuale di preghiera, il Giovane provveduto, elencando le Cose necessarie ad un giovane per diventar virtuoso, egli parte dalla Conoscenza di Dio: «Alzate gli occhi al cielo, o figliuoli miei, ed osservate quanto esiste nel cielo e nella terra. Il sole, la luna, le stelle, l’aria, l’acqua, il fuoco son tutte cose che un tempo non esistevano ... È Dio che colla sua onnipotenza le trasse dal niente creandole»12.
Educato a saper contemplare Dio nella natura e negli eventi, Don Bosco formava i suoi ragazzi a questo “semplice sguardo” rivelatore dell’amore di Dio. E i suoi ragazzi imparavano. Di Michele Magone, durante una vacanza ai Becchi, il santo racconta: «Una sera mentre i nostri giovani erano già tutti a riposo, odo uno a piangere e a sospirare. Mi metto pian piano alla finestra e veggo Magone in un angolo dell’aia che mirava la luna e lagrimando sospirava. Che hai, Magone, ti senti male? gli dissi. Egli che pensava di essere solo, né essere da alcuno veduto, ne fu turbato, e non sapeva che rispondere; ma replicando io la domanda, rispose con queste precise parole: - Io piango nel rimirare la luna che da tanti secoli comparisce con regolarità a rischiarare le tenebre della notte, senza mai disobbedire agli ordini del Creatore, mentre io che sono tanto giovane, io che sono ragionevole, che avrei dovuto essere fedelissimo alle leggi del mio Dio, l’ho disobbedito tante volte, e l’ho in mille modi offeso -. Ciò detto si mise di nuovo a piangere. Io lo consolai con qualche parola, onde egli dando calma alla commozione andò di nuovo a continuare il suo riposo»13.
Don Bosco commenta con ammirazione questa capacità di Michele di «ravvisare in ogni cosa la mano del Signore e il dovere di tutte le creature di obbedire a lui»14.
Ma tutto questo si colloca perfettamente sulla linea della spiritualità insegnata da san Francesco di Sales, il quale, nella seconda parte della Filotea (dove vengono elencati “alcuni consigli per l’elevazione dell’anima a Dio”), dopo la presentazione dell’orazione mentale, suggerisce altre cinque forme di preghiera breve, «che sono come prolungamenti della grande orazione»: le preghiere del mattino, quelle della sera, l’esame di coscienza, il raccoglimento spirituale e le aspirazioni a Dio. È a quest’ultimo tipo di preghiera, fatto di «slanci del cuore brevi, ma ardenti» verso Dio, che Francesco invita il devoto: «canta la sua bellezza, invoca il suo aiuto, gettati in spirito ai piedi della croce, adora la sua bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte al giorno la tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua dolcezza, tendigli la mano come fa un bambino con il papà, perché ti guidi; mettilo sul petto come un profumato mazzolino di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo»15.
Questo tipo di aspirazione a Dio è paragonato dal Santo al pensiero degli amanti, «costantemente rivolto alla persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la bocca non fa che tesserne le lodi ... Allo stesso modo coloro che amano Dio non possono passare un momento senza pensare a Lui, respirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e vorrebbero, se fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo nome di Gesù»16.
Tale era la fede ardente che mamma Margherita cercava di inculcare nel cuore dei suoi figli. «Tutte le creature ti invitano a questo - scrive ancora san Francesco di Sales -. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Amato ...; tutte le cose ti incitano a buoni pensieri, da cui vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche esempio ...»17. Gli esempi portati dal santo sono tratti dall’agiografia e dalla vita quotidiana o da spettacoli della natura. «Un’anima devota, vedendo il cielo stellato, che si specchia nell’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio Dio, queste stelle le avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue tende ... Un altro, vedendo gli alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io sono senza fiori nel giardino della Chiesa? Un altro, osservando dei pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci sotto la protezione delle tue ali»18.
Così insegna san Francesco di Sales, e così, appunto, Giovannino veniva guidato e istruito sulle vie della fede e della contemplazione, ed acquisiva quel senso profondo del Dio presente, che lo accompagnerà per tutta la vita. Sappiamo - sempre da san Francesco di Sales - che in questo esercizio semplice di contemplazione e di raccoglimento spirituale, che sfocia in brevi aspirazioni, in buoni pensieri e in giaculatorie spontanee, «si trova la radice profonda della devozione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di orazione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare. Senza questo esercizio non è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva»19.
Così Margherita coltivava il cuore dei suoi figli, insegnando a loro Dio, il Creatore, il Provvidente, il Redentore, il tenero Padre.
3 3. Confessione e comunione per crescere nell’amor di Dio |
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Le Memorie dell’Oratorio presentano con cura particolare la preparazione alla prima confessione e comunione, gestita direttamente dalla mamma. Non possiamo dimenticare, nel leggere queste pagine, quanto Don Bosco aveva già scritto e teorizzato nelle biografie dei suoi giovani e in altre operette sui sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, pilastri della vita spirituale dei giovani, «i più validi sostegni della gioventù»20.
Sull’avviamento alla confessione, Don Bosco scrive: «Mi ricordo che ella stessa mi preparò alla prima confessione, mi accompagnò in chiesa; cominciò a confessarsi ella stessa, mi raccomandò al confessore, dopo mi aiutò a fare il ringraziamento. Ella continuò a prestarmi tale assistenza fino a tanto che mi giudicò capace di fare degnamente da solo la confessione»21.
Ci pare di vederla, quasi, e di sentirla questa mamma, mentre forma la coscienza del figlio, lo aiuta a discernere il bene dal male, lo porta dal senso psicologico di colpa (la vergogna) a quello cristiano di dolore (il dispiacere di aver offeso Dio) e lo guida ad accostarsi bene al sacramento e a farne frutto.
Ma il vertice di questa saggezza educativa, di questa pedagogia spirituale, mi sembra di coglierlo in quelle pagine in cui Don Bosco presenta la sua prima Comunione, fatta all’età di undici anni. «Si adoperò ella stessa a prepararmi come meglio poteva e sapeva. Lungo la quaresima mi inviò ogni giorno al catechismo, di poi fui esaminato, promosso e si era fissato il giorno in cui tutti i fanciulli dovevano fare Pasqua.
In mezzo alla moltitudine era impossibile di evitare la dissipazione. Mia madre studiò di assistermi più giorni; mi aveva condotto tre volte a confessarmi lungo la quaresima. Giovanni mio, disse ripetutamente, Dio ti prepara un gran dono; ma procura prepararti bene, di confessarti, di non tacer alcuna cosa in confessione. Confessa tutto, sii pentito di tutto, e prometti a Dio di farti più buono in avvenire. Tutto promisi; se poi sia stato fedele, Dio lo sa. A casa mi faceva pregare, leggere un buon libro, dandomi que’ consigli che una madre industriosa sa trovare opportuni pe’ suoi figliuoli.
Quel mattino non mi lasciò parlare con nissuno, mi accompagnò alla sacra mensa e fece meco la preparazione ed il ringraziamento ... Fra le molte cose mia madre mi ripeté più volte queste parole: O caro figlio, fu questo per te un gran giorno. Sono persuasa che Dio abbia veramente preso possesso del tuo cuore. Ora promettigli di fare quanto puoi per conservarti buono sino alla fine della vita. Per l’avvenire va sovente a comunicarti, ma guardati bene dal fare sacrilegi ... Ritenni e procurai di praticare gli avvisi della pia genitrice; e mi pare che da quel giorno vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita, specialmente nella ubbidienza e nella sottomissione agli altri, al che provava prima grande ripugnanza, volendo sempre fare i miei fanciulleschi riflessi a chi mi comandava o mi dava buoni consigli»22.
L’enfasi di Don Bosco non è casuale o dovuta alla tenerezza di un lontano ricordo caro. Egli è convinto dell’importanza decisiva nella vita interiore di un ragazzo della prima comunione ben preparata. Lo scrive, ad esempio, nelle biografie di Domenico Savio23 e di Francesco Besucco.
Forse siamo tentati di ritenere superate queste convinzioni, frutto di una prassi pastorale obsoleta, di un concetto troppo tremendo o sacrale dell’Eucaristia. Ma l’educatore esperto, sa quanto è grande la recettività interiore di un fanciullo, a quale ardore può giungere la sua anima, di quali atti di fede e di virtù è capace.
Don Bosco, presentando la prima comunione di Domenico, illustra le condizioni di efficacia spirituale che vanno unite ad una prima comunione ben fatta, capace di fondare un’intera vita di pietà: «gli affetti di santa gioia»; la preparazione remota («ora pregava, ora leggeva; passava molto tempo in chiesa prima e dopo la messa, e pareva che l’anima sua abitasse già cogli angeli del Cielo»); la preparazione prossima con la solenne promessa alla madre («Mamma, le disse, domani vo a fare la mia comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi pel passato: per l’avvenire vi prometto di essere molto più buono; sarò attento alla scuola, ubbidiente, docile, rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a piangere»)24.
Qui ci viene spontaneo pensare alla solenne Promessa per imprimere nell’anima il proposito di servire Dio, che san Francesco di Sales colloca a conclusione del processo di purificazione, alla fine della prima parte della Filotea. In essa si esprime il dolore vivo del peccato e la decisione di conversione: «desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i suoi sensi»25.
È appunto questa risolutezza e totalità di consegna che, come insegnano i maestri spirituali, pone le basi di un’autentica vita spirituale. I propositi di Giovannino («tutto promisi»), così come quelli di Domenico, così fondati e preparati, «furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita»26.
Nel capitolo dodicesimo della vita di Francesco Besucco si fa risalire all’ardore della prima comunione desiderata, ben preparata e fatta con solido trasporto interiore, la fonte di una sostanziosa spiritualità che ha nell’Eucaristia il suo vertice unitivo: «Egli è a questo fuoco, che il nostro Francesco tanto s’infiammò d’amor di Dio che nulla più desiderava in questo mondo se non fare la santa divina volontà. Io resto fuor di me, diceva, al considerare come al giorno della comunione mi senta così vivo desiderio di pregare. Parmi di parlare personalmente col mio stesso Gesù; e ben poteva dirgli: Loquere, Domine, quia audit servus tuus [Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta]. Il suo cuore era vuoto delle cose del mondo, e Iddio lo riempiva delle sue grazie. Il giorno della Comunione era da lui passato unicamente in casa ed in chiesa, ove invitava anche altri amici a recarvisi la sera per terminar bene quella solenne giornata»27.
Fondati su questa solida base religiosa (insostituibile per Don Bosco), gli altri “ingredienti” della pedagogia spicciola di mamma Margherita risultano efficaci per la costruzione di quell’eccezionale personalità di Giovanni: il senso del lavoro, la vita spartana (sobria, essenziale), il senso del dovere, la generosità verso il prossimo e la carità operativa, la lealtà e la sincerità, l’obbedienza, il giusto equilibrio tra gioco e impegno... Troviamo il Sistema preventivo tradotto in concretezza operativa, in esempio vissuto: ragione, religione e amorevolezza. Ma soprattutto la presenza attiva, l’assistenza vigile e stimolante, la promozione delle energie migliori della persona, la proposta di una vocazione umana da scoprire e da costruire nel discernimento della divina volontà e nel cogliere e ricercare ogni occasione di crescita e di sviluppo personale.
? G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione e note a cura di A. Da Silva Ferreira, Roma 1992, I,9-10.
? Ivi, I,13-21.
? Ivi, I,31-34.
? Ivi, I,37.
? Ivi, I,48 e 53.
? Ivi, I,55-60.
? Ivi, I,72-88.
? Ivi, I,104-109.
? G.B. Lemoyne, Scene morali di famiglia esposte nella vita di Margherita Bosco racconto ameno ed edificante, Torino 1886.
? Ivi, pp. 17-18.
? Ivi, pp. 28-30.
? G. Bosco, Il Giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri..., Torino 1847, p. 9.
? G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in [A. Caviglia,] Opere e scritti editi e inediti di don Bosco nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, vol. V, Torino 1965, pp. 228-229.
? Ivi, p. 229.
? Francesco Di Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, a cura di Ruggero Balboni, Milano 1984, p. 92.
? Ivi, p. 93.
? Ivi, pp. 93ss.
? Ivi, p. 96.
? Ivi, p. 97.
? G. Bosco, Vita del giovinetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francesco di Sales, Torino p. 217.
? G. Bosco, Memorie dell’Oratorio, I,109-113.
? Ivi, I,292-321.
?«Mi raccomando quanto so e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che esercitano qualche autorità sulla gioventù, di dare la più grande importanza a questo atto religioso. Siate persuasi che la prima comunione ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita; ... È meglio differirla, anzi è meglio non farla, che farla male» (G. Bosco, Vita del giovinetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francecso di Sales, in [A. Caviglia,] Opere e scritti, vol. IV, Torino 1942-43, p. 12).
? Ivi, p. 11.
? Francesco di Sales, Filotea, pp. 61-63.
? G. Bosco, Vita del giovinetto Savio Domenico, p. 12.
? G. Bosco, Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d’Argentera, in [A. Caviglia,] Opere e scritti..., vol. VI, Torino 1965, p. 45.