Da "L’Armonia" (1849)
L’ORATORIO
DI S. FRANCESCO DI SALES
Nel più povero dei sobborghi di questa metropoli, abitato quasi esclusivamente da operai che campano col prodotto delle loro giornaliere fatiche, e che trovansi spesso ridotti a vera miseria in seguito ad una infermità od a mancanza di lavoro, sorge da qualche anno una di quelle opere di beneficenza di cui lo spirito cattolico è sorgente inesausta. Un zelante sacerdote ansioso del bene delle anime si è consecrato interamente al pietoso ufficio di strappare al vizio, all’ozio ed all’ignoranza quel gran numero di fanciulli, i quali abitanti in quei contorni, per le strettezze o l’incuria dei genitori, crescevano pur troppo sprovvisti di religiosa e di civile coltura. Quest’ecclesiastico, che ha nome D. Bosco, prese a pigione alcune casuccie ed un piccolo recinto, si è recato ad abitare in quel sito, e vi ha aperto un piccolo Oratorio sotto l’invocazione del gran vescovo di Ginevra, S. Francesco di Sales; egli ha cercato di attirarvi quei poveri giovani che dapprima trovavansi negletti e derelitti; nel semplice e modesto Oratorio egli distribuisce loro quella istruzione che sopra tutte le altre discipline è sola necessaria, l’istruzione religiosa; egli li accostuma a praticare i loro doveri, ad esercitare il vero culto di Dio, a convivere amichevolmente e socievolmente l’uno coll’altro. Accanto all’Oratorio si trovano scuole in cui s’insegnano a quella gioventù i primi elementi delle lettere e del calcolo, vi è pure l’accennato recinto in cui i giovanetti, nei giorni festivi e nelle ore di ricreazione, si sollevano con giuochi innocui e con innocenti trastulli, passando quel tempo nell’onesta allegria che tanto giova alla sanità del corpo e della mente, specialmente in quella tenera età. In mezzo ad essi trovasi ognora D. Bosco, il quale è costantemente ad essi maestro, compagno, esemplare ed amico.
Si vedono solitamente nei giorni festivi da quattrocento giovanetti riuniti in quel sito che, non presentando all’esteriore veruna apparenza, rimane da molti inosservato, mentre il bene che vi si fa è immenso. Tutti quei ragazzi, i più dei quali sarebbero cresciuti nell’ignavia e nel vizio, s’incamminano alla virtù ed al lavoro. Infatti il loro zelante precettore ed amico cerca per essi con tutto impegno qualche onestto artiere che consenta ad accettargli presso di sé a tirocinio dell’arte sua, e l’essere un ragazzo proposto da D. Bosco come un suo alunno presenta ai padroni di bottega una guarentigia di moralità che gli rende facili ad accoglierlo presso di loro, onde avviarlo nell’esercizio della propria professione. Così, da quel semenzaio di onesti operai escono ogni anno in buon numero adolescenti che sono in caso di provvedere ai proprii bisogni, e che conserveranno, giova sperarlo, nel lungo decorso della loro vita l’abito di quella moralità a cui i loro teneri animi furono informati.
Aggiungiamo ancora che, trovandosi spesso fra quei poveri giovani chi per la morte o la rovina dei proprii genitori cade in assoluto abbandono, parecchi di questi vengono anche ricoverati in alcune stanze esistenti in quelle povere casuccie sovraccennate, e vi ricevono pure il loro sudore possano essi medesimi mantenersi.
In questo albergo di beneficenza recavansi il giorno dell’Annunziata due membri del Comitato dell’opera del Danaro di S. Pietro, colà chiamati dal benemerito fondatore di quell’Oratorio. Trattavasi di ricevere un’oblazione che quei buoni ed esemplari giovanetti avevano disegnato di fare per l’opera medesima. Edotti essi dei luttuosi eventi di Roma, e dell’essere il padre comune dei fedeli ridotto alla condizione di esule, vollero spontanei concorrere col loro obolo ad ingrossare quel tributo di figlial venerazione, che a Torino si vuol raccogliere per deporlo ai piedi del Vicario di Cristo.
Entrati i delegati del Comitato nel modesto recinto, ove tanto bene si va compiendo, essi vennero dal direttore accolti colla più squisita cortesia; quindi non senza viva commozione del loro cuore essi si viddero accerchiati da quei ragazzi che in aria festiva loro fecero bella e lieta corona.
Due di questi tosto si avanzarono, e mentre l’uno sopra di un desco presentava i trentacinque franvchi raccolti in mezzo a loro, l’altro pronunciava un semplice, ma ben sentito discorso, di cui presenteremo uno squarcio ai nostri lettori.
Se mai le nostre voci, diceva il tenero oratore, potessero in questo momento giungere all’orecchio del Santo Padre, tutti ai piedi suoi vorremmo ad una voce parlare così: Beatissimo Padre, questo è il momento più fortunato della nostra vita. Siamo noi un ceto di giovanetti, i quali reputano a loro più grande ventura il poter dare un segno di venerazione alla Santità Vostra. Si protestano affezionatissimi figli alla medesima, e malgrado gli sforzi dei malevoli per allontanarci dall’unità cattolica noi dichiariamo di riconoscere nella Santità Vostra il successore di San Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, a cui chi non è unito va eternamente perduto. Dichiariamo essere intimamente persuasi che da voi disgiunto niuno può appartenere alla vera Chiesa, noi ci offriamo pronti a spendere ogni nostro avere, ogni sostanza e la vita medesima per mostrarci degni di un sì tenero padre.
Una soave e dolce emozione si faceva sentire nell’animo dei delegati nell’udire queste parole, pronunciate con aria intelligente e con voce esprimente l’affetto da un ragazzino, il quale porta le secchie di calcina ed i mattoni pel servizio dei muratori, ma nondimeno mostra di provare veracemente sensi così nobili e generosi. Essi riposero alcune brevi parole dichiarando a quei giovanetti che si gloriavano di averli socii in un atto che è una professione sincera di quella fede cattolica che tanto sublima l’uomo di qualunque stato e condizione egli si trovi. Richiesero quindi il giovane oratore di una copia del di lui discorso e quella copia fu in seguito consegnata al Nunzio Apostolico che ne mostrò singolar gradimento, e si protestò di volerla inviare al Cardinale Pro-Segretario di Stato del Sommo Pontefice, come testimonianza di sensi che riescono altamente commendabili se si riflette alla posizione ed agli antecedenti di coloro che li manifestarono.
Noi poi dal canto nostro abbiam creduto dovere alquanto dilungarsi nel recare alla cognizione del pubblico un fatto che ci sembra degno di essere altamente commendato.