04 Dicembre - La fatica del discernimento e il radicalismo nella decisione


04 Dicembre - La fatica del discernimento e il radicalismo nella decisione

La fatica del discernimento e il radicalismo nella decisione





L’attenzione specifica al discernimento vocazionale o alla scelta dello stato, come allora si usava dire, ha avuto nelle opere di Don Bosco una significativa evoluzione. Il tema è entrato molto tardi nel Giovane provveduto. Nella prima edizione del 1847, infatti, non troviamo alcun accenno ad esso; nell’edizione rinnovata del 1863 venne inserita semplicemente una Preghiera alla B. Vergine per conoscer la propria vocazione; soltanto nel 1878 - quando ormai il santo aveva raggiunto la sua piena sintesi spirituale - aggiunse un capitolo dal titolo: Il giovane nella scelta dello stato1. Forse tutto questo va messo in rapporto con la progressiva maturazione della sua attenzione pastorale e con l’evoluzione della sua opera.

Un’eco di questa articolazione la si può cogliere nelle pubblicazioni di Don Bosco.

1 1. La scelta dello stato: circostanza “capitalissima”

▲back to top

La vita di Luigi Comollo edita in nuova versione nel 1854, ad esempio, che vuole fornire agli studenti un modello da imitare, riporta una lettera di Luigi ad un amico sui mezzi per conoscere la propria vocazione e perseverare in essa. Vi si afferma che il discernimento è favorito dalla preghiera, dalla frequenza sacramentale, dall’invocazione mariana e, soprattutto, dalla docile apertura di cuore con la propria guida spirituale; è molto importante curare quotidianamente la meditazione e l’esame di coscienza; ma è fondamentale non avere di mira altro che il perfetto compimento della divina volontà2.

È interessante notare che le biografie di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco non affrontano esplicitamente questo problema, anche se tutti e tre i ragazzi si orientano alla vocazione sacerdotale. In esse l’autore si limita ad accennare di passaggio alle condizioni minime per intraprendere la “carriera ecclesiastica”: sentirsene attratti, essere forniti di sufficienti doti intellettuali, morali e fisiche e di buona volontà3. Francesco Besucco, animato da ardente desiderio di diventare sacerdote, era incerto sulla autenticità della chiamata per le difficoltà causate dalla povertà. Fu invitato dal parroco «a fare frequenti visite a Gesù Sacramentato ed a Maria Santissima chiedendo istantemente quale fosse la loro volontà a suo riguardo»; un giorno, dopo aver ripetuto «le più vive promesse di voler servire Iddio per sempre e con tutto il mio cuore» ebbe la luminosa interiore certezza di essere chiamato4.

Il Cattolico provveduto, pubblicato da Don Bosco nel 1868 e compilato con l’aiuto di don Giovanni Bonetti, contiene una istruzione Sulla elezione dello stato, attinta molto probabilmente da una fonte di impronta gesuitica, perché ripropone suggerimenti tratti dagli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola5.

Credo che le indicazioni riportate nell’edizione 1878 del Giovane provveduto siano quelle che meglio rappresentano il pensiero del nostro santo su quest’oggetto. Egli vi fissa schematicamente gli elementi essenziali: la «scelta» della vocazione non è altro che il discernimento della propria identità e l’adesione al compito storico che Dio ha stabilito per ciascuno. Si tratta dunque di un momento decisivo per la vita e la felicità di ogni giovane.

Il testo è molto denso e merita di essere letto con attenzione. Riecheggiando motivi alfonsiani, il santo ricorda che «nei suoi eterni consigli Iddio ha destinato a ciascheduno una condizione di vita e le grazie relative. Come in ogni altra circostanza, il cristiano deve anche in questa, che è capitalissima, cercare la divina volontà, imitando Gesù Cristo che protestava di essere venuto a compiere i voleri dell’eterno Padre. Importa adunque moltissimo o giovane mio, accertare questo passo per non impegnarti in occupazioni, a cui il Signore non ti elesse.

A qualche anima, che Dio volle favorire in modo singolare, manifestò per via straordinaria lo stato a cui la chiamava. Tu non pretendere tanto; ma consolati colla sicurezza che il Signore ti dirigerà sul retto cammino nei modi consueti della sua provvidenza, purché tu non trascuri i mezzi opportuni per una prudente determinazione».

Gli strumenti suggeriti sono essenzialmente tre: 1) «passare illibata la fanciullezza e la gioventù, o riparare con una sincera penitenza»; 2) «la preghiera umile e perseverante»; 3) la consultazione di «persone timorate del Signore e sagge, specialmente il confessore, dichiarando con piena schiettezza il caso e le tue disposizioni».

Per giungere ad una decisione limpida Don Bosco propone mezzi semplicissimi: «Allorché dovrai venire alla risoluzione, rivolgiti a Dio con più speciali e frequenti orazioni; indirizza a quest’intento la santa Messa che ascolti; applica a questo scopo qualche Comunione. Puoi anche praticare qualche novena, qualche triduo, qualche astinenza, visitare qualche insigne santuario. Ricorri anche a Maria, che è la madre del buon consiglio, a S. Giuseppe suo sposo, all’Angelo Custode e a’ tuoi santi protettori. Sarebbe ottima cosa, potendo, premettere a decisione sì rilevante gli Esercizi spirituali o qualche giorno di ritiro».

Giunti a questo punto è necessario rompere ogni indugio con una determinazione coraggiosa, fondata sull’adesione incondizionata alla divina volontà: «Proponiti di seguire i voleri di Dio checché te ne possa avvenire, e malgrado la disapprovazione di chi giudicasse secondo le viste del secolo»6.

Siamo condotti al cuore della spiritualità cristiana, che - secondo un’espressione felice più volte ricorrente nelle opere del santo - consiste essenzialmente nel «darsi a Dio» senza riserve, senza indugi e tergiversazioni.

2 2. Difficoltà e vie del discernimento

▲back to top

Nelle Memorie dell’Oratorio Don Bosco ci descrive con cura il momento in cui egli, all’età tra i diciannove e i vent’anni, dovette affrontare seriamente il problema per giungere ad una decisione che fosse frutto di discernimento e non solo di umane velleità. Il processo del suo discernimento ci appare molto più laborioso rispetto agli itinerari delineati nelle biografie dei suoi ragazzi. Quelli sono adolescenti che si affacciano alla vita; lui è ormai un giovane, più esperto e maturo, conscio delle difficoltà e delle possibili false prospettive.

Don Bosco presenta in chiara sintesi la situazione, i problemi che gli si ponevano e le strade intraprese per risolverli.

Ci limitiamo ad una lettura del testo con qualche annotazione.

Innanzitutto ci viene delineata la direzione verso la quale istintivamente egli si sentiva orientato: «Intanto si avvicinava la fine dell’anno di Retorica, epoca in cui gli studenti sogliono deliberare intorno alla loro vocazione. Il sogno di Morialdo mi stava sempre impresso; anzi, mi si era altre volte rinnovato in modo assai più chiaro, per cui, volendoci prestar fede, doveva scegliere lo stato ecclesiastico; cui appunto mi sentiva propensione».

Vengono contemporaneamente rivelate con concretezza le dimensioni interiori che vanno considerate nel discernimento, poiché l’idealizzazione o la stima per una vocazione sono importanti, ma non sufficienti per una scelta secondo Dio; anzi, a volte possono ingannare: «ma non volendo credere ai sogni, e la mia maniera di vivere, certe abitudini del mio cuore, e la mancanza assoluta delle virtù necessarie a questo stato, rendevano dubbiosa e assai difficile quella deliberazione»7.

Qui, di riflesso, Don Bosco ci elenca i criteri o le condizioni necessarie per abbracciare lo “stato ecclesiastico”, in mancanza delle quali la scelta sarebbe inconsistente: la propensione e il fascino; la concretezza che si oppone a sogni e progetti vacui; un certo stile di vita consono (il suo aveva bisogno di una riforma); un cuore purificato da umane affezioni o da narcisistici ripiegamenti, da vanità e da orgoglio; un corredo di virtù specifiche necessarie per la vocazione da abbracciare.

Egli aggiunge poi un aspetto che ritiene determinante per il discernimento e che qualifica la sua proposta educativa e il suo modello pastorale (lo comprendiamo sia dai punti esclamativi posti nel testo, sia dalla sua esperienza personale): «Oh se allora avessi avuto una guida che si fosse presa cura della mia vocazione! Sarebbe stato per me un gran tesoro, ma questo tesoro mi mancava! Aveva un buon confessore, che pensava a farmi buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare»8.

La formazione del “buon cristiano e dell’onesto cittadino”, nell’orizzonte del progetto formativo donboschiano, è incompleta se manca del suo coronamento: la ricerca e l’adesione alla chiamata ad uno specifico stato di vita condotta sotto la guida di un fedele amico dell’anima, in un singolarissimo rapporto educativo di affettuosa intimità, capace di proiettare verso orizzonti superiori.

A partire dall’incertezza derivante dalla coscienza della situazione personale, alla quale probabilmente non era estranea la considerazione di altri fattori, come quelli economici, Giovanni tenta una prima ipotesi di soluzione, che risulterà fallimentare: quella di fare da sé. «Consigliatomi con me stesso, dopo avere letto qualche libro che trattava della scelta dello stato, mi sono deciso di entrare nell’Ordine Francescano».

I motivi ispiratori per questo passo sono tratti dalla letteratura ascetica del tempo: «Se io mi fo chierico nel secolo, diceva tra me, la mia vocazione corre gran pericolo di naufragio. Abbraccerò lo stato ecclesiastico [la vita religiosa], rinuncerò al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla meditazione, e così nella solitudine potrò combattere le passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore aveva messe profonde radici»9. Possiamo anche ipotizzare quali fossero stati i libri da lui letti. Gli Opuscoli relativi alla scelta dello stato di sant’Alfonso propongono motivi analoghi, a partire dalla preoccupazione, talvolta angosciata, di evitare l’eterna dannazione: bisogna eleggere quello stato che più sicuramente può garantirci la salvezza; la vita consacrata è il luogo più sicuro per servire Dio, liberarsi da preoccupazioni dissipanti, sottrarsi a pericoli e tentazioni e soprattutto raggiungere quella pace interiore «che Dio fa godere a’ buoni religiosi»10.

L’esperienza successiva dimostrerà l’inconsistenza di tali motivazioni, dissonanti con le sue naturali predisposizioni, estranee sia alla personalità del giovane Bosco che - ed è ciò che più conta - ai disegni di Dio su di lui. Infatti, nonostante l’accoglienza della domanda da parte dei frati Minori del convento della Pace di Chieri e l’esito positivo dell’esame, la deliberazione si dimostra inattuabile. Una serie di circostanze, solo vagamente accennate («succedette un caso, che mi pose nella impossibilità di effettuare il mio progetto») gli fa capire come si trattasse appunto di un “suo” progetto, diverso da quello divino. L’errore di prospettiva gli è segnalato anche ad un altro livello, che apre un piccolo spiraglio sul tormento interiore del giovane Bosco desideroso di pace interiore: «Pochi giorni prima della mia entrata ho fatto un sogno dei più strani. Mi parve di vedere una moltitudine di que’ religiosi colle vesti sdruscite indosso e correre in senso opposto l’uno dall’altro. Uno di loro vennemi a dire: Tu cerchi la pace e qui pace non troverai ... Altro luogo, altra messe Dio ti prepara»11.

Si è messo su una strada senza sbocco. Così è costretto o meglio condotto dalla Provvidenza, a porre in atto una seconda ipotesi di soluzione, più umile e prudente, basata - come leggiamo nel Giovane provveduto del 1878 - sulla richiesta di consiglio a «persone timorate del Signore e sagge ..., dichiarando con piena schiettezza il caso e le [interiori] disposizioni»12. In quel momento il confidente di fiducia è uno solo: «Siccome gli ostacoli erano molti e duraturi, così io ho deliberato di esporre tutto all’amico Comollo».

I suggerimenti di Luigi sono analoghi a quelli che possiamo leggere nel fortunato manuale del 1878: «Mi diede consiglio di fare una novena, durante la quale egli avrebbe scritto al suo zio prevosto. L’ultimo giorno della novena in compagnia dell’incomparabile amico ho fatto la confessione e la comunione, di poi udii la messa, e ne servii un’altra in duomo all’altare della Madonna delle Grazie. Andati poscia a casa trovammo di fatto una lettera di D. Comollo concepita in questi termini: Considerate attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo compagno di soprassedere di entrare in convento. Vesta egli l’abito chiericale, e mentre farà i suoi studi conoscerà viemeglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun timore di perdere la vocazione, perciocché colla ritiratezza, e colle pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli»13.

La risposta del prevosto di Cinzano rivela molta saggezza pratica. È evidente, per il vecchio e sperimentato sacerdote, che il tipo di vita religiosa scelto e le motivazioni addotte sono contrarie all’indole di Giovanni, dunque non possono venire da Dio. Pare chiara, tuttavia, una vocazione speciale. È necessario dunque che egli faccia un passo concreto, che si collochi in una situazione nuova, di frattura con l’ambiente nel quale sta vivendo, per garantirsi condizioni spirituali e ambientali idonee ad un progressivo chiarimento della volontà del Signore.

Il giovane Bosco abbandona i progetti personali, obbedisce e si determina: «Ho seguito quel savio suggerimento, mi sono seriamente applicato in cose che potessero giovare a prepararmi alla vestizione chiericale». Si impegna così su tre fronti: lo studio in preparazione all’esame di vestizione; la riforma di vita («cessai di fare il ciarlatano e mi diedi alle buone letture, che, debbo dirlo a mia vergogna, fino allora aveva trascurato»); l’impegno apostolico e educativo, come elemento caratteristico della missione verso la quale Dio lo orienta («Ho però continuato ad occuparmi dei giovanetti, trattenendoli in racconti, in piacevole ricreazione, in canti di laudi sacre» e insegnando loro «le preghiere quotidiane ed altre cose più importanti in quell’età»)14.

Conviene notare la distinzione tra “fare il ciarlatano” e i piacevoli trattenimenti coi giovanetti: è la differenza che passa tra fine e mezzo, tra l’esibizionistica ricerca dell’ammirazione altrui unita al compiacimento per la propria perizia e l’impegno pastorale-educativo.

Si attua così un passaggio determinante nella vita di Giovanni. Nel nuovo orientamento, in cui tutto sfuma in secondo piano di fronte alla priorità della divina volontà decisamente abbracciata nell’umile consegna, gli è possibile finalmente configurare atteggiamenti e linee di condotta quotidiane ben definite e concrete. Mettendo da parte tentennamenti, timori e ragionamenti troppo immanenti, egli fa un atto di fede obbediente come se avesse la certezza della vocazione e si colloca nella prospettiva interiore di chi è chiamato alla vita sacerdotale.

L’itinerario è iniziato. A distanza di qualche mese si prospetta il momento importante, interiore e pubblico, della vestizione chiericale, illustrato con ricchezza di particolari e tale intensità di sottolineature da configurarsi, nelle intenzioni di Don Bosco, come una scelta totalizzante, una sorta di consacrazione solenne.

3 3. Consegna totale

▲back to top

Il testo, a cui il santo ha dedicato particolare cura compositiva e una successiva ripresa e calibratura di espressioni, apre il secondo quaderno manoscritto delle Memorie. «Presa la deliberazione di abbracciare lo stato ecclesiastico e subitone il prescritto esame andavami preparando a quel giorno di massima importanza, perciocché era persuaso che dalla scelta dello stato ordinariamente dipende l’eterna salvezza o l’eterna perdizione. Mi sono raccomandato a vari amici di pregare per me; ho fatto una novena, e nel giorno di S. Michele mi sono accostato ai santi sacramenti, di poi il teologo Cinzano prevosto e vicario foraneo di mia patria, mi benedisse l’abito e mi vestì da chierico prima della messa solenne. Quando mi comandò di levarmi gli abiti secolareschi con quelle parole: Exuat te Dominus veterem hominem cum actibus suis, dissi in cuor mio: Oh quanta roba vecchia c’è da togliere! Mio Dio, distruggete in me tutte le mie cattive abitudini. Quando poi nel darmi il collare aggiunse: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis! mi sentii tutto commosso e aggiunsi tra me: Sì, o mio Dio, fate che in questo momento io vesta un uomo nuovo, cioè che da questo momento io incominci una vita nuova, tutta secondo i divini voleri, e che la giustizia e la santità siano l’oggetto costante de’ miei pensieri, delle mie parole e delle opere. Così sia. O Maria, siate voi la salvezza mia.

Compiuta la funzione di chiesa il mio prevosto volle farne un’altra tutta profana: condurmi alla festa di S. Michele, che si celebrava a Bardella borgata di Castelnuovo. Egli con questo festino intendeva usarmi un atto di benevolenza, ma non era cosa opportuna per me. Io figurava un burattino vestito di nuovo, che si presentava al pubblico per essere veduto. Inoltre dopo più settimane di preparazione a quella sospirata giornata, trovarmi di poi ad un pranzo in mezzo a gente di ogni condizione, di ogni sesso, colà radunata per ridere, chiacchierare, mangiare, bere e divertirsi; gente che per lo più andava in cerca di giuochi, balli e di partite di tutti i generi; quella gente quale società poteva mai formare con uno che al mattino dello stesso giorno aveva vestito l’abito di santità, per darsi tutto al Signore? ...

Dopo quella giornata io doveva occuparmi di me stesso. La vita fino allora tenuta doveva essere radicalmente riformata. Negli anni addietro non era stato uno scellerato, ma dissipato, vanaglorioso, occupato in partite, giuochi, salti, trastulli ed altre cose simili, che rallegravano momentaneamente, ma che non appagavano il cuore.

Per farmi un tenore di vita stabile da non dimenticarsi, ho scritto le seguenti risoluzioni ...»15.



Fermiamoci su una serie di puntualizzazioni.

Il collegamento tra la scelta dello stato e l’eterna salvezza, ci riporta al continuo e lucido riferimento al fine ultimo che caratterizzò ogni momento dell’esistenza di Don Bosco, ogni progetto ed ogni attività pratica: tutto si svolgeva per lui consapevolmente nello scenario luminoso delle cose ultime. Questa prospettiva seria la ricordava continuamente ai giovani, al popolo e ai suoi salesiani, come dimostrano molti interventi scritti e orali.

La chiarezza di orientamento a Dio e l’assolutezza di affidamento a Lui, di distacco deciso dal passato, che emerge dal testo, ci interpella e ci scuote. Due sono i movimenti di questo evento: spogliarsi e rivestirsi; la purificazione del cuore e della mente («Quanta roba vecchia c’è da togliere!») per un mutamento radicale di prospettiva («Vestire un uomo nuovo, incominciare una vita nuova, tutta secondo i divini voleri»). Si tratta di una vera riforma, non solo di carattere etico, ma spirituale di piena conformazione alla volontà divina, di unione e immersione in Lui, al fine di permanere nella prospettiva di Dio, sottraendo ogni più piccolo spazio all’uomo vecchio: «Che la giustizia e la santità siano l’oggetto costante» di pensieri, parole ed opere.

Il «Così sia» e l’invocazione a Maria riecheggiano l’Amen biblico e liturgico, il Fiat mihi secundum verbum tuum, che contrassegna paradigmaticamente il cuore e il vertice della fede cristiana.

Don Bosco vuole farci intendere quanto drastico sia stato per lui il gesto compiuto, evidenziando, col racconto di un fatto, lo stridente contrasto da lui percepito tra le esigenze della nuova situazione abbracciata e lo stile di vita “mondano” che ora gli appariva in tutta la sua insignificanza e vuotezza: «Quella gente quale società poteva mai formare con uno, che al mattino dello stesso giorno aveva vestito l’abito di santità per darsi tutto al Signore?». Era la sua gente, i parenti e gli amici tra i quali fino a quel giorno prima era vissuto come allegro animatore e rumoroso compagno di giochi e di feste. Eppure quel mondo aveva perso ogni attrattiva di fronte all’ardente scenario nel quale si sentiva proiettato.

Va notato che il narratore qui non è il giovane chierico di un tempo, ma il Don Bosco maestro di spirito sperimentato che, rammentando un momento autobiografico di grande intensità, coglie l’occasione per rimarcare l’esigenza di un deciso distacco del cuore, senza ambiguità e compromessi, da parte di chi voglia «darsi tutto al Signore» e rivestire «l’abito di santità». I maestri di spiritualità, particolarmente Ignazio, Francesco di Sales e Alfonso de’ Liguori, sono unanimi in questo insegnamento: non ci può essere alcun progresso spirituale senza determinazione radicale, senza una frattura netta e impietosa.

Qui il santo inserisce la sua regola di vita, le determinazioni prese per tradurre in atteggiamenti operativi la consegna al Signore operata con la vestizione. Si tratta evidentemente di un testo ripensato da Don Bosco, sulla base degli antichi propositi, nella fase di stesura delle Memorie, in considerazione dei suoi giovani confratelli. Ci pare di poterlo affermare constatandone la diversità rispetto al linguaggio più arcaico e ai contenuti meno organici dei proponimenti presi in occasione dell’ordinazione sacerdotale16.

«Per farmi un tenore di vita stabile da non dimenticarsi, ho scritto le seguenti risoluzioni:

1° Per l’avvenire non prenderò mai più parte a pubblici spettacoli sulle fiere, sui mercati; né andrò a vedere balli o teatri. E per quanto mi sarà possibile non interverrò ai pranzi, che soglionsi dare in tali circostanze.

2° Non farò mai più i giuochi de’ bussolotti, di prestigiatore, di saltimbanco, di destrezza, di corda; non suonerò più il violino, non andrò più alla caccia. Queste cose le reputo tutte contrarie alla gravità e allo spirito ecclesiastico.

3° Amerò e praticherò la ritiratezza, la temperanza nel mangiare e nel bere; e di riposo non prenderò se non le ore strettamente necessarie per la sanità.

4° Siccome pel passato ho servito al mondo con letture profane, così per l’avvenire procurerò di servire a Dio dandomi alla lettura di cose religiose.

5° Combatterò con tutte le mie forze ogni cosa, ogni lettura, pensiero, discorsi, parole ed opere contrarie alla virtù della castità. All’opposto praticherò tutte quelle cose anche piccolissime, che possano contribuire a conservare questa virtù.

6° Oltre alle pratiche ordinarie di pietà, non ometterò mai di fare ogni giorno un poco di meditazione e un po’ di lettura spirituale.

7° Ogni giorno racconterò qualche esempio o qualche massima vantaggiosa alle anime altrui. Ciò farò coi compagni, cogli amici, coi parenti e quando non posso con altri, il farò con mia madre»17.

Le risoluzioni vertono su quegli atteggiamenti ascetici da lui giudicati irrinunciabili per una effettiva totalità di consacrazione: fuga dalle occasioni di dispersione, dalla dissipazione e dalla vanagloria; “ritiratezza” praticata e amata; temperanza e sobrietà; impegno per acquisire una cultura religiosa in contrapposizione a quella mondana come modo per “servire” il Signore; salvaguardia della virtù della castità «con tutte le forze» («combatterò» «praticherò»); spirito di preghiera; esercizio quotidiano della comunicazione pastorale per l’edificazione e l’evangelizzazione, come uno dei compiti primari della missione.

La conclusione del racconto richiama la Promessa per imprimere nell’anima il proposito di servire Dio che Francesco di Sales pone al vertice del cammino di purificazione per suggellare la scelta di servire a Dio solo: «Affinché [le deliberazioni] mi rimanessero bene impresse - ricorda Don Bosco - sono andato avanti ad un’immagine della Beata Vergine, le ho lette, e dopo una preghiera ho fatto formale promessa a quella Celeste Benefattrice di osservarle a costo di qualunque sacrifizio»18.

Il santo savoiardo configurava la conversione alla “vita devota” come una personale assunzione e rinnovazione «della promessa di fedeltà fatta in mio nome a Dio, in occasione del battesimo». Il racconto dell’itinerario interiore che abbiamo analizzato ci permette di intuire che, per il nostro padre, la conversione sincera a Dio coincide con la disponibilità a seguire la sua chiamata ad una vocazione specifica e a compiere perfettamente la sua santa volontà.

Con Francesco di Sales anche noi, riconfermando la decisione di consegna totale, preghiamo:

«Voglio convertirmi a Dio buono e pietoso; desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i suoi sensi; protesto di non volere più in alcun modo abusare di nessuna parte del mio essere contro la sua divina volontà e la sua Maestà sovrana; a lei mi sacrifico e mi immolo in spirito, per essere per sempre nei suoi confronti, una creatura leale, obbediente e fedele, senza più volermi ricredere o pentire ... O Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio del mio spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità. Viva Gesù!»19.



1 G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri negli esercizi di cristiana pietà... Nuova edizione accresciuta, Torino 1878, p. 75-77.

2 [G. Bosco,] Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo, in [A. Caviglia,] Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e manoscritti superstiti, vol. V, Torino 1965, pp. 79-80.

3 Cfr G. Bosco, Vita del giovinetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in [A. Caviglia,] Opere e scritti, vol. IV, Torino 1942-1943, p. 19; Id., Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in [A. Caviglia,] Opere e scritti, vol. V, p. 206, dove Don Bosco semplifica così: «Quanto poi al farti prete o altro, ciò dipenderà dal tuo progresso nello studio, dalla tua condotta morale, e dai segni che darai di essere chiamato allo stato ecclesiastico».

4 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d’Argentera, in [A. Caviglia,] Opere e scritti, vol. VI, Torino 1965, p. 48.

5 [G. Bosco,] Il cattolico provveduto per le pratiche di pietà con analoghe istruzioni secondo il bisogno dei tempi, Torino 1868, pp. 585-587; la dipendenza dagli Ignazio di Loyola è evidente (cfr. Eserci spirituali, nn. 169-187, 318-319).

6 G. Bosco, Il giovane provveduto (ed. 1878), p. 76.

7 G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Introduzione e note a cura di A. da Silva Ferreira, Roma 1992, I,1233-1240.

8 Ivi, I,1241-1244.

9 Ivi, I,1245-1251.

10 Cfr Alfonso de’ Liguori, Opuscoli relativi allo stato religioso, in Opere ascetiche, vol. IV, Torino 1867, pp. 396-452; specialmente gli Avvisi spettanti alla vocazione religiosa (ivi, pp. 396-412), le Considerazioni per coloro che sono chiamati allo stato religioso (ivi, pp. 419-429) e la Risposta ad un giovane che dimanda consiglio circa lo stato di vita che deve eleggere (ivi, pp. 447-450).

11 G. Bosco, Memorie dell’Oratorio, I,1253-1258.

12 G. Bosco, Il giovane provveduto (ed. 1878), p. 76.

13 G. Bosco, Memorie dell’Oratorio, I,1264-1275.

14 Ivi, I,1276-1278.1290-1296.

15 Ivi, II,5-32.48-81.

16Cfr [G. Bosco,] Memorie dal 1841, in «Ricerche Storiche Salesiane» 4 (1985) pp. 88-89.

17 Ivi, II,53-76.

18 Ivi, II,78-81.

19 Francesco di Sales, Filotea, pp. 62-63.