Lectio Biblica 2011-2012, Le rinunce del pastore


marzo 2012

LE RINUNCE DEL PASTORE



  1. INVOCAZIONE ALLO SPIRITO


Vieni, Spirito santo, vieni!

Dissipa l’oscurità dalle nostre menti e apri i nostri occhi.

Rianima i nostri cuori scoraggiati;

concedici di giacere con umile speranza

ai piedi del nostro Redentore.

Ravviva la nostra fede intorpidita,

rimuovi i dubbi e le paure

e accendi nei nostri cuori la fiamma dell’amore senza fine.

Aiutaci a riconoscere il nostro peccato,

per poi portarci davanti al sangue di Gesù

e rivelare ai nostri occhi pieni di stupore

l’amore segreto che Dio nutre per noi.

Sei tu che rendi puro il nostro cuore,

tu che santifichi le anime,

tu che riversi ovunque vita nuova

e fai nuovo l’insieme di ogni cosa.

Prendi dimora, dunque, nei nostri cuori,

libera le nostre menti dalla schiavitù:

allora conosceremo, loderemo e ameremo il Padre e il Figlio assieme a te.

Joseph Hart (1712-1768)


  1. PAROLA


Filippesi 3, 7-11


Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.


  1. LETTURA


Nella comunità di Filippi si erano infiltrati alcuni giudeo-cristiani che, ostentando come titolo di vanto il loro radicamento nella più genuina tradizione giudaica, intendevano imporla ai convertiti dal paganesimo, neutralizzando, in tal modo, la predicazione di Paolo sul vangelo della libertà. L’apostolo difende la sua chiesa scatenando una polemica che prende avvio da una sfida: Se qualcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo persecutore della Chiesa, irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge (3, 4-6)


v. 7 Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Dopo aver sciorinato i titoli originali e quelli acquisiti che giustificherebbero un’eventuale confidenza nella carne, Paolo dà una brusca virata alla sua requisitoria: nulla mi manca per poter rivaleggiare con voi sullo stesso piano; ma tutto questo ormai non ha più senso per me, dopo l’incontro che ha completamente rovesciato la mia vita. A partire dall’evento di Damasco, infatti, sono diventato un uomo nuovo (3,6-11). Da notare che, mentre in analoghe pagine autobiografiche Paolo aveva sottolineato l'intervento di grazia di Dio e di Cristo nella sua conversione (cfr. Gal 1,16; 1 Cor 15,8-10; 2 Cor 4,6), ora invece accentua la sua decisione con cui ha messo in discussione tutto quello che era, per acquistare un nuovo modo di essere.


vv. 8-9 Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo. Per amore di Cristo – incalza Paolo - ho ritenuto una perdita quanto mi ero guadagnato. Anzi per amore del valore eminente della conoscenza di Cristo Gesù, mio Si­gnore, ritengo addirittura che tutto sia una perdita. Da notare l’aggettivo sublime: la conoscenza di Cristo è un bene così prezioso che tutto il resto perde valore. Qui l’apostolo utilizza un vocabolario commerciale per rappre­sentare se stesso come un uomo di affari cui l'accumulo finora fatto appare in realtà un'operazione in perdita; vero guadagno invece si rivela la nuova merce che arride al suo sguardo. Fuori metafora, ha rinunciato al suo stato di possesso di giudeo privilegiato per poter possedere Cristo. Una rinuncia dunque, la sua, dettata non da amore mistico per la privazione, bensì dalla prospetti­va di un nuovo acquisto. Sullo sfondo appare la paro­la evangelica: Quale vantaggio avrà l'uomo a gua­dagnare il mondo intero, se poi ci rimette la vita? (Mc 8,36). Ma c'è analogia anche con le due piccole parabole parallele del contadino e del commerciante di oggetti preziosi: Si può paragonare il regno dei cieli a un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo scopre, lo nasconde di nuovo e, pieno di gioia, va a vendere quanto possiede e compra quel campo. Si può ancora paragonare il regno dei cieli a un mercante che cerca perle preziose. Se gli capita di trovare una perla di grande valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra (Mt 13,4446).


v.9 per essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Immaginiamo l’obiezione degli avversari: è proprio necessaria tale rinuncia? Non si può combinare, armonicamente, il passato di giudeo (per di più fervente) con il pre­sente di credente? Paolo ribadisce che non è possibile, è necessario sce­gliere, perché gli estremi sono inconciliabili: aderire a Cristo vuol dire rinunciare a ostentare la propria autosufficienza religiosa ed etica di privi­legiati. Egli ribadisce qui l’antitesi, più volte proclamata, tra fede cristiana e legge mosaica; pensiamo alla let­tera ai Galati: privo della mia giustizia che viene dalla legge, con la giustizia invece che si ha mediante la fede in Cristo: con la giustizia che ha la sua origine in Dio e nella fede il suo fondamento (3,9). La realtà salvifica (ossia la giustizia) non può essere simultaneamente possesso creato con le proprie mani e dono di Dio mediato da Cristo. Da notare ancora che, per indicare la scelta fatta, Paolo usa una volta il perfetto ( = hègèmai) (v. 7) e due volte il presente (= hègumai) (v. 9) per dire che la decisione fa­vorevole a Cristo ed escludente la legge non resta confinata nel passato, ma qualifica il presente, non solo il suo ma anche quello dei filippesi, messi di fronte alla alternativa di affidarsi all'osservanza della legge mosaica o di fare affidamento su Cristo. La scelta di Paolo diventa così un invito accorato: fatevi insieme miei imitatori (3,17).


vv 10-11 perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Ricorre anche in questo versetto il riferimento a ‘conoscenza’, ‘conoscere’. E’ risaputo che, nel­la tradizione biblica di cui Paolo è erede, la cono­scenza non si riduce a percezione teorica; conosce­re una persona vuol dire entrare in profonda comu­nione di vita. L'apostolo confessa di aver rinunciato a un'esistenza incentrata su se stesso per vivere in un rapporto impegnativo con Gesù, rico­nosciuto come proprio Signore. In concreto, il suo esodo è consistito nel passaggio dall'osservanza al­l'obbedienza: obbedienza intesa non in senso morali­stico di adeguazione volontaria alle sue prescrizioni, ma come accettazione integrale dell’azione sal­vifica donata da Cristo Signore. Ed insiste: mi propongo di conoscerlo, ossia di condividere tutto di Lui, partecipando alla sua passione per rendermi conforme alla sua morte e giungere così alla risurrezione. Paolo ha scelto di unire il suo destino a quello di Gesù morto e risorto. La sua esistenza di apostolo, esposto e perseguitato, gli appare nella luce di una profonda comunione con la passione di Gesù e di una trasformante conformazione alla sua morte. E in tutto questo vede all'opera la potenza del Risorto. Il traguardo ultimo sarà la risurrezione. Non ci deve sor­prendere l'incertezza con cui vi guarda: il limitativo nella speranza è giustificato dal fatto che ne parla come sbocco di un cammino duro, esigitivo di fe­deltà e costanza d'impegno ed esposto alla possibilità di venir meno.


(breve pausa di silenzio per rileggere personalmente il testo)


  1. COSTITUZIONI


Art. 60 Con la professione religiosa intendiamo vivere la grazia battesimale con maggior pienezza e radicalità. Seguiamo Gesù il quale “casto e povero redense e santificò il mondo con la sua obbedienza” e partecipiamo più strettamente al mistero della sua Pasqua, al suo annientamento e alla sua vita nello Spirito. Aderendo in modo totale a Dio, amato sopra ogni cosa, ci impegniamo in una forma di vita che si fonda interamente sui valori del Vangelo.


I voti che professiamo, con gli impegni che propongono e le rinunce che richiedono, non hanno senso se non a partire da Gesù Cristo. Ve­nendo in questo mondo per portare la salvezza, Egli scelse per sé un certo tipo di vita, un modo concreto di realizzarsi anche umanamente; inaugurò uno stile proprio ed originale di vivere, che è l'affermazione più piena e totale dei valori del Regno. Obbedienza, povertà e verginità in Cristo non furono soltanto degli esempi edificanti, ma tre dimensioni fonda­mentali della sua esistenza terrena, espressione della sua autodona­zione al Padre e agli uomini. La vita religiosa si propone di rivivere e ripresentare, in forma socialmente riconoscibile, questo modo di vivere di Cristo, per diventare segno ai fratelli. Ma è ovvio che la sequela di Cristo comporta la partecipazione alla sua pasqua: siamo invitati a conformarci al Cristo crocifisso e risorto; e questa è la norma costante e suprema della nostra vita poiché la croce rivela la totalità dell'a­more di Dio. E’ alla luce di questa scelta di fondo che acquistano valore anche le rinunce, vissute non più in chiave negativa (autoamputazione) ma in quella positiva: scelta di un Bene maggiore che basta, da solo, a colmare la vita.


Possiamo allora comprendere in profondità, ed accogliere con cordialità, le espressioni scritte da Don Bosco in una circolare del 1867 circa le di­sposizioni per entrare nella Società: «Chi entrasse per godere una vita tranquilla, aver comodità e proseguir gli studi, liberarsi dai comandi dei genitori, od esimersi dall'obbedienza di qualche supe­riore, egli avrebbe un fine storto e non sarebbe più quel Sequere me del Salvatore, giacché seguirebbe la propria utilità temporale e non il bene dell'anima. Gli Apostoli furono lodati dal Salvatore e venne loro pro­messo un regno eterno, non perché abbandonarono il mondo, ma per­ché abbandonandolo si professavano pronti a seguirlo nelle tribola­zioni, come avvenne di fatto, consumando la loro vita nelle fatiche, nella penitenza e nei patimenti, sostenendo in fine il martirio per la fede».


  1. SPUNTI PER LA MEDITAZIONE


  • Vivo la mia consacrazione come scelta radicale di Cristo? Permane viva, in me, questa tensione? Mi lascio lavorare dalla Grazia perché mi configuri sempre più a Cristo o pretendo di “farmi” da solo cadendo nella maledizione della Legge più volte pronunciata da Paolo?

  • Il mio stile di vita testimonia ai giovani questa scelta radicale?

  • Accetto serenamente le rinunce che m’impone la fedele osservanza dei voti e le vivo come opportunità di liberare la mia libertà per un più grande amore?


(pausa di prolungato silenzio per la meditazione personale)



  1. CONDIVISIONE FRATERNA



  1. PREGHIERA


O Padre, noi Ti ringraziamo

per averci chiamati fin dal giorno del nostro Battesimo

ad essere Tuoi figli

e collaboratori della Tua opera di salvezza.

Mediante la professione religiosa

Tu hai voluto accrescere in noi la grazia del Battesimo,

chiamandoci a seguire da vicino il tuo Figlio

nella via dei consigli evangelici.

Noi Ti preghiamo, o Padre:

donaci con abbondanza il Tuo Spirito,

che ci conformi pienamente a Cristo Gesù

nella partecipazione incessante alla Sua Pasqua.

Fa' che aderiamo totalmente a Te,

amandoti e servendoti sopra ogni cosa,

così da diventare una profezia vivente

della Tua presenza salvatrice in mezzo agli uomini,

specialmente in mezzo ai giovani.


Te lo chiediamo per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.


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