Da "Il Conciliatore Torinese" (1849)
L’ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES
IN TORINO
Se all’uscire di questa città per la porta di Susa, nasca vaghezza
a taluno di ricrearsi sotto il viale, che gli sta a destra, e costeggiando i quartieri militari e le cinte degli spedali di san Luigi e de’ Pazzarelli, scendere per l’ameno declive sino al bel palazzo, che gli si porge innanzi; quindi volgendo a manca, proseguire il delizioso cammino pel viottolo che rasenta i muri dei vari edificii quivi attigui, a breve distanza gli si presenta un cancello di legno, per cui entrasi in un recinto d’una certa ampiezza. Al fabbricato lungo sì, e piuttosto decente, ma assai basso, e di aspetto più rustico che civile, il quale sorgendo verso mezzanotte, divide quel recinto in due parti, l’una assai più ampia e lavorata a mo’ di orto, l’altra più stretta e lasciata incolta, egli di leggieri estima, questa sia la dimora di alcuni ortolani, di cui infatti abbondano que’ dintorni: ma portando l’occhio attento su quell’umile edificio, alle varie religiose iscrizioni, che vi si leggono, al campaniluzzo, che sormontato da una croce si eleva sul tetto, all’avviso: quest’è la casa del Signore, che sta sopra l’uscio verso ponente; egli benchè non senza meraviglia, non può tardare ad avvedersi che qui è un sacro Oratorio. Ma quanto più crescerà il suo stupore, ove chiegga da chi e per qual fine siasi consacrato alle pratiche della religione quel luogo sì modesto; e gli sarà risposto, che un umile prete fornito di nessun’altra ricchezza che d’una immensa carità, già da più anni vi raccoglie ogni dì festivo da cinque a seicento giovinetti per ammaestrarli nelle virtù cristiane, e renderli a un tempo figliuoli di Dio, e ottimi cittadini? Questo egregio sacerdote, pieno di quella filantropia, la quale non deriva da altra fonte, che dalla fede cattolica, era altamente accuorato al vedere ne’ dì sacri al Signore, centinaia e centinaia di fanciulli, che abbandonati a se stessi, invece di portarsi alla Chiesa per attignervi lezioni di santità, si disperdevano nelle piazze, nei viali, nelle campagne che cingono la città, a sciupare tutto il giorno in sollazzi pericolosi, e quindi ritornavano alle case loro ognora più dissipati e irreligiosi e indocili.
La vista di tanti garzoncelli, che per la trascuranza oltre ogni modo biasimevole dei genitori, e dei padroni, crescevano nella più crassa ignoranza di ciò che più importa all’uomo, esposti a tutte le corruttele che nascono dall’ozio e da pessime compagnie, e da’ pravi esempli, il punse così vivamente nel cuore, che deliberò di porvi quel rimedio ch’ei sapesse migliore. Che fece egli adunque il nuovo discepolo di Filippo Neri? Consigliatosi col suo zelo, armatosi d’una pazienza a tutte prove, vestitosi di tutta la dolcezza e umiltà, che ben conosceva richiedersi all’alta sua impresa, diedesi a girare ne’ dì festivi pei dintorni di Torino, e quanti vedesse crocchi di giovani intenti a’ trastulli, avvicinarli, pregandoli che l’ammettessero a parte di loro giuochi, poscia dopo essersi affratellato alquanto con essi, invitarli a continuare il giuoco in un luogo che egli teneva a ciò assai più atto al sollazzarsi, che quello non fosse. Egli è facile il pensare con quanti scherni sarà stato assai delle volte ricevuto il suo invito, e quante ripulse avrà dovuto soffrire: ma la sua costanza e la sua dolcezza a poco a poco trionfarono in un modo prodigioso: ed i fanciulli più riottosi, i giovanetti più scapestrati, vinti da tanta umiltà e da tanta mitezza di modi, si lasciarono condurre all’umile recinto, che vi ho descritto, dove convertita una parte dell’edificio in modesta sì, ma assai divota cappella, si vanno alternando le ore del giorno festivo tra gli uffizi della religione ed innocenti sollazzi. I primi giovinetti che vi furon chiamati, assaporate le dolcezze della pietà, provato l’ineffabile piacere d’un’anima, che sentesi o cavata dall’abisso della corruzione, o sollevata alla più ferma speranza d’un eterno premio, divennero altrettanti piccoli apostoli presso i loro compagni e colleghi nel vizio, o nella dissipazione, promettendo a questi dei sollazzi assai più cari presso il signor don Bosco (che tal’è il nome di questo esimio ecclesiastico), di quelli con cui si ricreavano per lo innanzi: e così di bocca in bocca divolgatasi la notiziadel nuovo oratorio, fra breve vi accorse una turba sterminata di giovani, con quanto pro dell’anima ognuno il pensi.
Un alveare intorno a cui s’aggiri ronzando uno sciame di api, mentre una gran parte di queste dentro vi sta lavorando tranquillamente il miele, ti presenta una vera immagine di quel sacro recinto ne’ dì festivi. Per le vie, che vi conducono, tu incontri ad ogni passo frotte di giovinetti, i quali cantarellando vi si portano con più allegrezza, che non andrebbero a un festino: dentro, per ogni parte tu vedi fanciulli a trastullarsi divisi in piccole brigate, ed altri saltellare, altri giuocare alla palla, altri alle boccie, chi fare all’altalena, chi dei capitomboli, e chi la quercia: mentre nella chiesetta altri imparano il catechismo, altri si preparano a’ sagramenti, e nelle attigue stanze ad altri s’insegna il leggere e lo scrivere, ad altri l’aritmetica e la calligrafia, ad altri il canto. Varii sacerdoti vegliano quella turba composta di sì diversi elementi, agitata da sì disparate inclinazioni, adoperandosi a tutt’uomo per rivolgerne i pensieri, gli affetti, gli atti verso la religione, e vegliando, perchè nell’ore destinate alla preghiera e all’istruzione comune, tutti cessino dai trastalli e si raccolgano nell’oratorio. Ed egli è senza dubbio un piacere indicibile lo scorgere la docilità con cui tutti quei giovani, un di sì male avviati, or obbediscono a quegli ecclesiastici; la gioia che loro sta dipinta sul volto, la divozione con che assistono ai divini uffizi, usano ai Sacramenti, frequentano le istruzioni religiose, che anche lungo la settimana si porgono a chi ne abbisogna, intervengono a’ spirituali esercizi che ogni anno si rinnovano pel corso di parecchi giorni. Ella è una meraviglia il vedere l’affetto e la riconoscenza tenerissima che quei fanciulli nutrono in cuore verso il loro benefattore, il signor don Bosco.
Nessun padre riceve più carezze dai suoi figliuoli, tutti gli sono a’ panni, tutti vogliono parlargli, tutti baciargli la mano: se lo veggono per la città, escono incontanente dalle botteghe per riverirlo. La sua parola ha una virtù prodigiosa sul cuore di quelle anime ancor tene-
re, per ammaestrarle, correggerle, piegarle al bene, educarle alla virtù, innamorarle anche della perfezione. La sua umile abitazione è un asilo sempre aperto in ogni ora a qualunque sia giovanetto che ricorra a lui per campare dai pericoli del mondo corrotto, per liberarsi dagli artigli della colpa, avere dei consigli, ottenere aiuto in qualche onesto intento. Non potendo capire in questo oratorio tutti i fanciulli che vengono a lui, egli già da alcuni mesi, ne aperse un altro fuori porta Nuova, cui affidò alle cure di vari sacerdoti già formati anch’essi alla scuola della sua carità, e che speriamo, sarà per apportare frutti non meno copiosi di civiltà cristiana. Salve perciò, o nuovo Filippo, salve o sacerdote egregio: il tuo esempio deh! trovi molti imitatori in ogni città: sorgano per ogni parte de’ sacerdoti, a premere le tue orme: aprano ai giovani de’ sacri recinti, dove la pietà si circondi di onesti sollazzi; chè solo in tal modo si potrà guarire una delle piaghe più profonde della società civile e della Chiesa, che è la corruzione dei giovani.
GASTALDI
Da "Il Conciliatore Torinese"
IL SISTEMA METRICO DECIMALE
RIDOTTO A SEMPLICITÀ
ad uso degli artigiani e della gente di campagna
L’egregio sacerdote Giovanni Bosco, intento ognora al bene della classe del popolo, non cessa d’adoperarsi a vantaggio di essa con tutti quei mezzi che ei sa i migliori. Pieno della vera filantropia, di quella che s’intitola carità cristiana, non si tien pago di parole, ma viene ai fatti, e di questi può già mostrarne sì a dovizia da meritarsi l’affetto e la riconoscenza dei suoi concittadini. Coloro a cui sta veramente a cuore il progresso morale e civile del popolo, che cercano d’istruirlo colla luce della verità, e formarlo alla virtù, non già corromperlo, demoralizzarlo, accendere le passioni e rapirgli l’unico bene che abbia, sì la semplicità di mente e di cuore e l’affetto alla religione, questi vogliono essere invitati a calcare le orme del sig. D. Bosco. Egli ha aperto, siccome accennò questo giornale il 6 dello scorso aprile, una scuola di religione, d’istruzione elementare, di moralità cristiana ed anche civile. Spendendovi tutto il suo tempo e tutte le sue forze senza riservare nulla per sè, egli non vuole altro compenso che il profitto de’ suoi cari allievi e la consolazione di lavorare alla gloria di Dio, e benchè tutto il giorno egli consumi in mille diverse imprese a pro dei giovani che per qualunque sia ragione, han bisogno di lui catechizzandoli, amministrando loro i sagramenti, applicandoli a qualche mestiere e cercando loro un padrone presso cui allogarli, riconciliandoli ai loro genitori, nullameno trova ancora qualche ora da scrivere libriccini in loro servizio. E siccome si avvicina il 1850, in cui deve eseguirsi il R. decreto che ordina l’uso universale del sistema metrico, così egli veggendo la somma importanza che il popolo conosca quanto prima questo sistema, pensò di agevolargliene la cognizione col libretto qui sopra annunziato. L’operetta pare a noi ben ordinata e tale da ottenere il suo scopo. Il metodo adoperato è facile, chiaro, popolare: la materia sembra esaurita: tutte le misure e tutti i pesi dell’antico sistema sono ridotti al nuovo, sicchè con pochissima fatica può anche una persona poco istrutta avvezzarsi a tal riduzione. Noi raccomandiamo perciò caldamente quell’opuscolo sia per la bontà intrinseca del medesimo, sia ad onor dell’autore.