STELLA. I. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica


STELLA. I. Don Bosco nella storia della religiosita cattolica

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
DON BOSCO
NELLA STORIA DELLA RELIGIOSILA CATTOLICA
Ogni ordine e congreg ione avverte ad un certo punto del suo sviluppo l'esige a di
una fondazione critica della propria storia e specialmente delle proprie origini.
A tale esigenza va incontro quest'opera che utilizza, con i metodi della scienza storica,
la documentazione edita e inedita relativa al fondatore dei Salesiani.
Don Bosco viene collocato nell'ambiente italo-piemontese in cui visse, nella cultura
religiosa che lo formò, tra le persone che lo conobbero, nel generale movimento di
unità nazionale al crepuscolo del potere temporale dei Papi. Non si tratta pertanto di
croilaca minuziosa, ma di ricostruzione storica che segue una personalità eccezionale
nel suo muoversi tra gli uomini, sempre tenendo presente gli elemcnti che stimolano la
sua azione e nei quali vitalmente si inserisce, seguendo la sua vocazione di sacerdote e
di educatore.
L'analisi critica di documenti e testimonianze, che propone talvolta risultati nuovi
(come nello studio sulla temporanea risurrezione del giovane Carlo), si organizza
infine in una sintesi storiografica che tende a restituire San Giovanni Bosco nella sua
autentica dimensione umana e cristiana.
Quest'opera è un invito a maturare la storiografia su Don Bosco e le sue istituzioni.
...
...
NELLA STORIA DEIALARELHCIOSIITÀ CATTOLICA
In copertina:
~ i i e ~ anmoatita dcl pittore Giorgio Rocca del «Gruppo Artistico Don Bosco. di Bologna.

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Esiste un rapporto ineluttabile tra essere e agire, tra ciò che si pensa,
ciò che si sente, ciò che si vuole e ciò che si finisce per divenire; una circo-
larità di rapporti, un'osmosi continua dell'individuo con l'ambiente, un pro-
cesso di arricchimento o di impoverimento.
Se si dovesse optare per una priorità, nel costruire una storia del sen-
tire religioso, ci pare che questa sia da assegnare aU'essere e al suo evolversi,
piuttosto che al pensiero. Dovendo stabilire una priorità tra sentire religioso,
quale si manifesta nel divenire della vita, e quale invece è in forza di un
processo evolutivo del pensiero, ci sembra che occorra optare per il sentire
religioso nella vita, pur tenendo presente l'inserirsi in essa del pensiero come
elemento incidentale nel divenire vitale.
Seguiremo perciò la religiosità di Don Bosco ponendoci successivamente
su tre campi tra loro interferenti: quello della vita, quello della dottrina e
quello, che entrambi comprende, della religiosità cattolica di tutti i tempi,
per situarvi Don Bosco e stabiiirne il valore storico.
Questo primo libro non sarà una biografia. Per quanto infatti possa essere
oggi desiderata, una biografia non può costruirsi soddisfacentemente se non
dopo un pazienre e non breve lavoro di revisione del materiale agiografico
e biografico già noto, a cui occorrerà coordinare quello raccolto in questi
ultimi decenni aila luce anche dei più recenti studi storici.
Il nostro libro tenta soltanto di porre in luce le motivazioni religiose
di Don Bosco sacerdote educatore, iniziatore di movimenti e di istituzioni,
fissate in alcuni momenti essenziali, determinabili mediante una visione pano-
ramica di tutta la vita del Santo, senza tuttavia nascondersi la difficoltà di
rilevarne in ogni particolare la portata e i nessi.
Non tratteremo della religiosità mariana e dei fatti carismatici, riguardo
ai quali dottrina e vita ci sono apparse talmente compenetrate, che abbiamo
creduto opportuno farne un'unica indagine nel libro secondo.

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Che cosa ne era avvenuto del Piemonte?
« Chi spiegar potrà gli affettuosi trasporti delle tenere madri, che fis-
sando giulive l'appassionato sguardo nei loro figliuoli, ah siete salvi, dicevano
più coi palpiti del cuore, che con articolati accenti, siete finalmente salvi?».
I1 Signore, continua il canonico Gonetti, è stato con noi. I1 Signore
non ha permesso che l'urto degli eserciti avvenisse in Piemonte: «L'anima
nostra qual passero è stata salvata dalla rete dei cacciatori. La rete è stata
spezzata, e noi siamo liberati! I1 nostro ajuto è nel nome del Signore, che
fece il cielo e la terra ».
Fu una grazia elargita da Dio, senza che da parte del Piemonte si
potesse vantare un. qualche merito. « Cogli usi stranieri non addottammo
forse ancor noi quei vizj stranieri, che dalla più terribile delle rivoluzioni pre-
sero se non l'origine, certo l'estensione e l'incremento? Non si vide forse
ancor tra noi regnar in molti una desolante freddezza, ed indifferenza in fatto
di Religione, ed in altri una petulante smania di deridere gli augusti riti della
Chiesa, e di bestemmiar insomma tuttociò, che non comprendevano? . . . . Ah,
che purtroppo l'iniquità abbondò ancor tra noi, e se ciò non ostante sovrab-
bondò la grazia, riconoscere unicamente lo dobbiamo dall'ineffabile gratuita
misericordia di quel Dio, che in tante e sì varie, e sì maravigliose guise diede
le più evidenti prove di sua infinita bontà, e quasi direi predilezione per noi D.
Quanto esprimeva il vicario capitolare di Torino era convinzione comune
negli ambienti religiosi del Piemonte, di cui predicatori e parroci si facevano
eco dai pulpiti cittadini e di campagna: la restaurazione del trono, la rige-
nerazione d'Europa D erano (< opera sola della mano di Dio
(3).
Ma dopo i primi entusiasmi succedettero in Piemonte tempi duri: anni
di dissesti economici, di carestia, di scontento di molte classi di persone.
I1 recente passato, lungi dal venire cancellato, aveva inciso profondamente e
si era raggrumato nei moti costituzionali del marzo 1821. Soffocato, esso
fini per alimentare società segrete, aspirazioni a riforme costituzionali o addi-
rittura repubblicane.
~ n c h equesti avvenimenti sulle colline a sud di Castelnuovo d'Asti
forse venivano interpretati semplicemente secondo quanto predicavano i sa-
cerdoti nelle omelie domenicali o nelle istruzioni catechistiche pomeridiane
bella Europa convertita avevano in un teatro di micidiali guerre sanguinose? » (Cantandosi
un solenne T
Chiesa, e pel
e Deum nella chiesa
sospirato ritorno ne'
reale
suoi
di San Lorenzo pel trionfo
Stati di S.S.R.M. Vittorio
accordato
Emanuele.
d.a. ,
Dio alla
Totino,
stamp. Reale, p . 4).
Que' medesimi (se pure ve n'ha) che si sforzavano di mettere qualche dubbio
alla Divina provvidenza, sono ora costretti a riconoscerla, e confessarla altamente! »
(Per L'imminente ritorno in Piemonte di S.S.R.M. Vittouio Emanuele re di Sardegna ec. ec.
orazione di Gian Bartolomeo Orsi detta in Torino nella chiesa di S. Teresa addi 15 maggio
1814, Tortno, stamp. C. Fontana 1814, p. 21). «Quali erano eglino i nostri meriti,
perché cosi avessimo ad essere da Dio Ottimo Massimo e favoreggiati, e distinti? »
(DONAUDI.cI.,, P. 11).
o negli iivvertimenti che i confessori davano a chi si accostava al sacramento
della penitenza. Come si leggeva nei discorsi sui flagelli di Alfonso de' Liguori
(che a Torino il libraio Marietti ristampava) si diceva che le carestie, il co-
lera, le ribellioni contro la legittima autorità erano giusti castighi divini atti.
rati dai peccati del popolo (9.La preghiera, la penitenza, la frequenza e il
rispetto alle chiese, l'assiduità alla divina parola, una maggior premura nel-
l'accostarsi ai sacramenti, l'obbedienza alla Chiesa (cioè alla gerarchia eccle-
siastica) e alle autorità civili erano mezzi potenti per volgere a misericordia
il volto del Signore (').
2. I1 senso di Dio nell'infanzia di Don Bosco
Quanto e come Dio sia stato presente %i nella prima infanzia di Don Bosco
appare dai ricordi ch'egli affidò alle Memorie dell'Oratorio. Traspaiono da
esse abbastanza le radici remote affondate nella religiosità semplice dell'am-
biente rustico.
I1 primo ricordo di Giovannino è la morte del padre, avvenuta nel 1817.
L'interpretazione di essa, come <( grave sciagura » con la quale « D i o mise-
ricordioso » colpì la famiglia dei Becchi è dovuta probabilmente a mamma
Margherita e alla cerchia familiare, che deve avere anche tramandata l'esor-
tazione alla confidenza in Dio lasciata da Francesco Bosco morente(%
Un'altra reminiscenza è quella della fame sofferta il medesimo anno e
della preghiera che la mamma fece fare ai bimbi sfiniti per il troppo digiuno
e in attesa di che sfamarsit').
' Dio per Giovannino dovette essere Colui che la mamma sommamente
rispettava, anche se invisibile ( a con Dio non si burla D) ('); nel quale ella
aveva confidenza illimitata e indiscussa, perché era padre buono e provvi-
dente, che dava il pane quotidiano e tutto il necessario.
(4) Peccata vestra prohihuesunt bonnm a vohis D, predica S. Ailonso, citando G a e -
mia (Nove discorsi da farsi in occasione dei flagelli, disc. 2, Opere arcetiche, 3, Toino,
Marietti 1847, p. 623) e il gesuita Muzzarelli evoca le parole di Dio a Caterina da Siena:
«Dio le rispose: Lascia fare a questo popolo il peccato orr?hile ed atroce, che egli medita,
accioché io lo punisca secondo il merito delle sue iniquità, e lo cancelli dalla terra dei
viventi D (Delle cause dei mali presenti - e del timore de' mali futuri e suoi rimedi,
cp. 2, Pittura del secolo XVIII. Sua peggiorità. Torino; tip. e lihr. deli'Orat. di S. Franc.
di Sales 1874, p. 48, Foligno 1792').
( 5 ) Cf. Colombano CHIAVEROLTetIt,era pastorale « O ammirabile sapimza. . .o, To-
rino, 15 m ~ g i o1821 (Torino, eredi Botta 1821). I1 tema dei flagelli e della penitenza
ritorna periodicamente nelle letrere pastorali d'iniiio di Quaresima o in occasione del
C-l.i- tih.. i.l.e.o (~~1~8~ 26,. 1 8 2 9 . ..).
MO, p. 18 S.
(7) MO, p. 20. Cf. A. FOSSATI, Origine e sviluppi della carestia del 1816-17 negli
Stati Sardi di Terraferma, Torino, 1929.
(8) G. B. LEMOYNES,cene morali di famiglia esposte nello vita di Margherita Bosco. . .,

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Dalla mamma apprese come pregare in ginocchio mattina e sera insieme
agli altri familiari, per recitare le formule in uso nella diocesi di Torino
o la terza parte del Rosario Su tutto dominava l'idea d i u n Dio personale,
Signore di altissima dignità, ina anche Padre infinitamente buono; implici-
tamente si proponevano l'ordine della natura e della soprannatura, i vincoli
che legano a Dio la fragile persona umana, come creatura o figlia di adozione.
3. Le prime confessioni
Dalla pratica délla preghiera Giovannino venne condotto a quella della
confessione, che veniva iniziata, secondo la prassi di allora, quando i bam-
bini, sui sei-sette anni, mostravano capacità di discernimento, e di fatto,
quando avevano la fortuna di frequentare i primi rudimenti di scuola. Buona
sorte che a Giovannino dovette toccare sugli otto-dieci anni (l0), sotto la
cura di Don Giuseppe Lacqua, a Capriglio (l1)
Don Bosco ricorda che fu la stessa mamma a prepararlo e ad accompa-
gnarlo al confessionale, accostandosi lei per prima e raccomandandolo al con-
Torino 1889, P. 28-35. Questa seconda edizione tiene conto di postille fatte alla prima
(1886, LC)anche da D.B. «Col Signore non si burla n è la sentenza chiave del racconto di
un bestemmiatore punito: [Boscol, Episodi ameni e contemporanei ricavati da pubblici
documenti, Torino 1864 (LC), p. 5-9.
(9) Lo possiamo accettare sulla fede
di
DB
(«mi
insegnò
ella
stessa
le
preghiere.. .
ginocchioni matnno e sera, e ~ t t iinsieme recitavamo le preghiere.in comune, colla tema
parte del Rosario »: M 0 p. 21 s) che, d'altronde, coincide con quanto veniva insegnato
dalla Dottrina cristiana, oltre che da vari manuali di orazioni. Si veda ad es. il Compendio
della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Catech. ad uso degli ammessi alla
Comunione e degli Adulti, pt. 4, Instmzioni sopra le virtù principali, lez. 7. Dall'esercizio
del Cristiano da farsi ogni giorno (Torino, Binelli 182.. ., p. 164.168): « D . Che cosa dee
fare un buon Cristiano la mattina subito svegliato? -R. I1 segno della Santa Croce. . . -
D. Levato poi e vestito, che cosa deve fare un buon Cristiano? - R. Mettersi in ginoc-
chioni se può, avanti qualche divota immagine, e rinnovando col cuore l'Atto di fede della
presenza
prima di
il segno
di Dio, dire
lavorare? -R.
deli'elevazione
Ocodfnefelir'diorisvetoiiazliotarnalelva:agMVliioessaaadoDsrooio,le.nm.n.ieo-,DcD.heiQou.ca.o.nsda-oDs.ifuCdoerhieedfciaorCsea?hi.es.sia. ud.seiesefnartee
Il Rosario quotidiano è raccomandato in libretti di devaione, ad esempio da
[LEONAADDAOPORTO MAURIZIO], La via del paradiso.. ., Torino 1792, p. 176: «Ogni sera.
Se sei capo di casa unisci la Famiglia, fa un poco d'orazione in comune, recita co' tuoi di
casa il Santissimo Rosario ».
('0) Nulla di certo si. ha riguardo ali'infanzia di DB dal 1817 al 1826. Avrà frequentato
l'intero corso di elementare iriferiore (che comprendeva due anni)? avrà iniziato sugli otto
o sui nove anni? nel novembre (mese d'inizio scolastico) 1823 o 24? Sarà stato preceduto
da Antonio, che h a di propria mano gli atti di battesimo dei figli, oppure Antonio
avrà imparato da adulto, come avvenne per il padre di Domenico Savio?
("1 M 0 p. 22. Forse già allora Don Lacqua doveva avae come domestica Marianna
Occhiena, soreila di mamma Margherita. Cf. Lettera di Don Giuseppe Lacqua a Don Bosco,
Ponzano, 5 maggio 1840, AS 126.2 e MB 1, p. 483 S.
fessore; e fu lei ad aiutarlo nel ringraziamento e a curarne le confessioni
successive, finché lo « giudicò capace di fare degnamente da solo
Termini
che lasciano trasparire la preoccupazione per la santità e dignità del sacra-
mento: da rispettare, perché segno e strumento di una divina operazione;
da non profanare, sotto pena di morte spirituale.
Furono quelli, tra il 1820 e il 1825, anni in cui la condizione di orfani
non dovette gravare eccessivamente sulla formazione dei fratelli Bosco, nei
quali la presenza del adr re veniva in qualche modo beneficamente evocata
e compensata dall'assistenza degli zii, del tutore e della nonna paterna.
4. I1 sogno dei nove anni (1825)
Forse sul finire delle frazioni di scuola avuta da Don Lacqua nel 1824-25,
forse quando nel periodo della festa patronale di S. Pietro risuonava a Mo-
rialdo il pasce agfzos meos, pasce oves meas, quando Giovannino tra i nove
e dieci anni era intento ad apprestare nei giorni festivi la inessa in scena di
aoiochi d i prestigio e d i acrobazia, intramezzati da preghiere e istruzioni reli-
giose, avvenne quel fatto che gli « rimase profondamente impresso per tutta
la vita » (l3):
«Nel sonno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso, dove
stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri
giuocavano, non pochi bestemmiavano. Ali'udire quelle bestemmie mi sono subito
lanciato in mezzo di loio, adoperando pugni e parole per farli tacere. I n quel momento
apparve un uomo venerando, in virile età, nobilmente vestito. Un manto bianco gli
copriva tutta la persona; ma la sua faccia era cosi luminosa, che io non poteva rimi-
rarlo. Egli mi chiam0 per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que' fanciulli ag-
giungendo queste parole: - Non colle percosse, ma colla mansuetudine e colla carità
dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro
un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosita della virtù.
Confuso e spaventato soggiunsi che io ero un povero ed ignorante fanciullo,
incapace di parlare di religione a quei giovanetti. I n quel momento que' ragazzi
cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno
- a colui che parlava.
Ouasi senza sapere che mi dicessi - Chi siete voi, soggiunsi, che mi comandate
cosa impossibile?
.. - ADounto ~ e r c h étali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili
coll'ubbidienza e coll'acqnisto della scienza.
- Dove, con quali mezzi potrb acquistare la scienza?
- Io ti darò la maestra, sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza
cui ogni sapienza diviene stoltezza.

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- Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
- Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte
il giorno.
- Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo
permesso; perciò ditemi il vostro nome.
- I1 mio nome dimandalo a mia madre.
In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto, vestita di
un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una
fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande e risposte, mi
accennò di avvicinarmi a lei, che presomi con bontà per mano: - Guarda - mi
disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi
una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. Ecco il
tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo
momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei.
Volsi allora lo sguardo, ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti
mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando, come per fare festa
a quell'uomo e a quella signora.
A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai a voler parlare in
- modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare. Allora ella
mi pose la mano sul capo dicendomi: A suo tempo tutto comprenderai.
Ciò detto, un rumore mi svegliò; ed ogni cosa disparve D.
Questo dei nove anni non fu per Don Bosco un sogno come molti altri
che certamente avrà avuto nella sua infanzia.
A parte i problemi che sono legati ad esso, cioè alla sua rievocazione,
ai testi che ce lo tramandano; a parte l'ormai insoluhile interrogativo sul
tempo in cui effettivamente avvenne, e quelli sulle circostanze che eventual-
mente lo provocarono e immediatamente fornirono le suggestioni fantastiche;
a parte tutto questo, risulta netto che Don Bosco ne rimase vivamente col-
pito; traspare anzi che dovette sentirlo come una comunicazione divina, come
qualche cosa - dice egli stesso - che aveva l'apparenza (i segni e le garanzie)
del soprannaturale. Per lui fii come un nuovo carattere divino stampato inde-
lebilmente nella sua vita (l4).
La mamma allora espresse quel che forse già sentiva e che forse già aveva
fatto balenare al suo beniamino: « Chi sa che non abbia a diventar prete p.
La nonna invece preferì lasciare tutto in quella temperie di sospensione e d i
incertezza che la saggezza comune voleva: 4 Non bisogna badare ai sogni ».
Ricevuto la prima volta in udienza da Pio IX nel 1858, Don Bosco
venne richiesto di « minutamente raccontare tutte le cose, che avessero anche
solo apparenza di soprannaturali ». Egli allora narrò il sogno avuto « in età
(l4) M 0 p. 25. La redazione pubblicata da Don Ceria sulle M 0 è quella dehnitiva
dell'apografo di Don Berto riveduto da Don Bosco stesso tra il 1873 e il 1876. Di esso
esistono altre relazioni, sostanzialmente conformi, alcune delle quali sono indipendenti dalle
MO. Cf. DESUMAUTL,es Memorie I, p 251.
di nove in dieci anni » e Pio IX gli «comandò di scriverlo nel suo senso let-
terale, minuto, e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della Congregazione » (l5).
Possiamo aggiungere, anticipando, che il sogno dei nove anni condi-
zionò tutto il modo di vivere e di pensare di Don Bosco. E in particolare, il
modo di sentire la presenza di Dio nella vita di ciascuno e nella storia del
mondo.
Ma non fu forse anche il sogno di Giovannino a condizionare la condotta
di mamma Margherita nei mesi e negli anni che seguirono? Non fu anche per
lei la manifestazione di una volontà superiore? un chiaro segno della voca-
zione sacerdotale del figlio?
Se così fu, ci si spiegherebbe in qualche modo la sua tenacia per riuscire
a condurre Giovannino per la via che lo avrebbe fatto salire all'altare.
5. La prima comunione
Giovannino dovette riprendere con più decisione la scuola presso Don
Lacqua nel novembre 1825; o forse fu proprio il sogno che in una qualche
misura determinò i Bosco a far frequentare le scuole al più piccolo della
famiglia. D'altronde Antonio, ormai sui diciotto anni("), nella tregua inver-
nale di rado dovette aver bisogno delle braccia dei fratelli minori per i lavori
campestri e in casi eccezionali di quelle del più piccolo.
Ma nell'inverno la salute della nonna dovette declinare rapidamente e
al culmine dei rigori stagionali, l'l1 febbraio 1826, la morte la rapi. In
famiglia si venne così a creare una situazione nuova. Scomparsa la nonna
paterna, mamma Margherita istintivamente dovette rivolgersi per appoggio
agli Occhiena e il figliastro Antonio di riflesso avrà fatto sentire il peso della
sua persona, ormai di quasi maggiorenne. Per gli entusiasmi di Giovanni e
per le aspirazioni di mamma Margherita si preannunziavano tempi duri.
Giunse intanto il tempo della prima comunione. Se il calcolo di Don
Bosco è giusto, egli dovette farla proprio nell'anno in cui morì la nonna.
il giorno di Pasqua, che nel 1826 cadde il 26 marzo.
Forse la particolare condizione affettiva sua e della mamma influirono
sulla decisione del parroco, Don Sismondo, che gli concesse la comunione
(15) M 0 p. 25 S. Le circostanze del colloquio con il Papa ben si addicono a Pio IX,
particolarmente interessato a quanto nella Chiesa aveva sapore di intervento divino snaordi-
nario. Cf. R. AUBERTI,l pontificato di Pio I X , n. 372, ed. it., p. 703.
(16) E non sui ventitrè, come suppongono le MB p. 25, che fanno nascere Antonio
nel 1803 invece che nel 1808. La data delle MB è derivata dalla Vita di mamma Marghe-
rita, pubblicata da Don Lemoyne nel 1886. Probabilmente è un malaugurato errore de-
rivato da una lettera di Francesco Bosco, figlio d i Giuseppe, a Don Viglietti, del 7
giugno 1885 (AS 122). Già Francesco aveva scritto male: 3 febbraio 1803. Forse questo
sbaglio è tra quelli che più sinistramente han pesato sulla ricostruzione biograhca di Don
Lemoyne, e di quanti lo hanno seguito.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
a quasi undici anni; l'età nella quale d'altronde, secondo autorevozi scrittori,
si doveva già pensare a concedere il Sacramento (l7).
Don Bosco ricorda le attenzioni usategli dalia mamma per prepararlo,
e riporta addirittura alcuni insegnamenti che allora ricevette da lei; ricorda
la «moltitudine » di persone che gremivano la chiesa di Castelnuovo, per cui
« era impossibile evitare la dissipazione » (ls), e tuttavia lo ricorda come un
gran giorno, a cui la mamma usava richiamarlo come al momento in cui
solennemente aveva rinnovato a Dio i sentimenti di pentimento, di dona-
zione e di fedeltà.
6. I1 piccolo saltimbanco
Il sogno di nove anni, al culmine dell'infanzia, certamente giovò a dare
un nuovo significato a quelle adunanze domenicali che fino allora erano state
manifestazioni della prima educazione sensibile 6 valori religiosi e della innata
capacità che Giovanni aveva di « guadagnarsi le simpatie, l'interessamento,
la collaborazione dei coetanei, dei quali organizzava i giochi, facendo se stesso
capo, arbitro e centro di attrattiva mediante innumerevoli piccole risorse.
Don Bosco stesso, anziano, descrive con manifesta simpatia queste prove della
sua industriosità infantile e ce le presenta, non con riflessioni astratte sul
proprio temperamento o sulla prohlematica che allora poteva già avere, ma
nel suo esercizio, nella ricerca dei mezzi dai quali poteva trar profitto per
meglio attrezzarsi e meglio interessare: spiare ciarlatani e saltimbanchi, cat-
turare e vendere uccelli, cog-liere e vendere funghi ed erbe, accettare quanto
con piacere gli davano gli spettatori, perché procurasse quanto era necessario
ai loro « ambiti » passatempi (lP).
« Quando ogni cosa era preparata ed ognuno stava ansioso di ammirare novità,
allora li invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario, dopo cui si cantava una
lode sacra. Finito questo, montava sopra la sedia, faceva la predica, o meglio ripe-
teva quanto mi ricordava della spiegazione del vangelo udita al mattino in chiesa;
oppure raccontava fatti od esempi uditi o letti in qualche libro. Terminata la pre-
dica, si faceva breve preghiera, e tosto si dava principio ai trattenimenti. In quel
momento voi avreste veduto, come vi dissi, i'oratore divenire un ciarlatano di pro-
fessione. Fare la rondinella, il salto mortale, camminare sulle mani col corpo in alto,
('7)
tradotto
Charles-Fran~oisLHOMONMDt,thode pour confesser
da Domenico MORO, Il sacerdote cattolico tenuto ad
les enfmtr
ascoltare le
,copntf.es2s,ionair.t..
.
1,
e
traduzione di un opurcolo francese, Ivrea 1832, p. 141: «Bisogna ammettere il più presto
possibile li giovinetti alla prima comiinione dopo l'età di undici anni per esempio ai
tredici, sovra tutto nei coliegj. Dacch4 li giovinetti di queaa età hanno le disposizioni
essenziali non conviene differirla D.
(ls) M 0 p. 32.
(l9) M 0 p. 31.
poi cingermi la bisaccia, mangiare gli scudi per andarli a ripigliare sulla punta del
naso deli'uno o deli'altro; poi moltiplicare le palle, le uova, cangiare i'acqua in vino,
uccidere e fare in pezzi un pollo e poi farlo risuscitare e cantare meglio di prima.. .
Dopo alcune ore di questa ricreazione, quando io era ben stanco, cessava ogni tra-
stullo, facevasi breve preghiera ed ognuno se ne andava pe' fatti suoi »(W).
- « P e r ascoltare una predica oppure un catechismo soggiunge Don Bo-
sco -, bisognava fare la via di circa dieci chilometri, tra andata e ritorno,
o a Casteliiuovo o nel paese vicino di Buttigliera. Questo era il motivo per
cui si veniva volentieri ad ascoltare le prediche del saltimbanco ("). La nuova
industtia faceva apparire ai villici di Morialdo più gravoso il cammino che
avrebbero dovuto percorrere, se si fossero recati ai paesi vicini, e meno urgente
di fronte alla loro coscienza l'ohbligo che le usanze locali imponevano, di
recarsi alle funzioni religiose pomeridiane: catechismo, vespri, istruzione, bene-
dizione eucaristica; meno attraente appariva il divertimento che avrebbero
potuto trovare in paese nei ritrovi pubblici o in casa di amici
Ma anche Giovannino in quelle ore soddisfaceva a molte delle aspira-
zioni avvertite o latenti. I n quelle serate festive egli compensava l'angustia
che già allora poteva venirgli da pretese o reali necessiti di Antonio, e giungeva
a esprimere le proprie molteplici capacità, il proprio fondo religioso alimentato
dalle cure materne e dalla propria intima persuasione, ponendo tutto al ser-
vizio di una esigenza ambientale, sicch6 le proprie convinzioni e tendenze
venivano a trovarsi in sintonia con l'istanza di pietà che a quei tempi in quei
luoghi alla domenica poteva considerarsi predominante.
7. Alla cascina Nloglia (febbraio 1827 - novembre 1829)
L'estate e l'autunno del 1826, con i loro lavori, nel contesto psicologico
determinato dalla scomparsa della nonna, dovettero esaltare di più in Antonio
il senso del proprio valore nella famiglia e la volonti di piegarne l'assetto
al proprio modo di vedere. Un nuovo anno scolastico da regalare a Giovanni
dev'esserglisi presentato come impossibile. Secondo gli ordinamenti scolastici
piemontesi di allora, Giovannino dovette aver chiuso un ciclo ben definito:
~r
r. -. --
(21) M 0 p. 33.
(a)Le celebrazioni litargiche ordinarie nella chiesa campestre di S. Pietro, borgata di
Morialdo, erano soltanto alla domenica mattino.
Attorno al 1820 dovette recimisi per la celebrazione deilo messa festiva iin sacerdote
da Castelnuovo. Dai 1825 al 1829, cioh prima che vi si stabilisse Don Calosso, vi si recava
- un sacerdote da Buttigliera.
Cf. J. KLEIN E. VALENTINUI,na rettificazione cronologica delle Memorie di san
Giovanni Bosco in Salesianum 17 (1955) p. 581-610.

2.6 Page 16

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
quello della elementare inferiore. Avrebbe dovuto recarsi al capoluogo, a
Castelnuovo, o forse, in via di ripiego, avrebbe potuto continuare sotto la
responsabilità di Don Giuseppe Lacqua. A ciclo finito, Antonio pensava che
suo fratello ne avesse avuto abbastanza per essere in famiglia un letterato.
Forse considerava utopie irrealizzabili gli eventuali accenni a una carriera
ecclesiastica del suo povero fratello. Avrà richiesto di più l'aiuto di Giovanni,
avrà resa impossibile la frequenza della scuola, avrà dato motivo a tensione
e a burrasche nella casetta dei Becchi. Alla vedova Bosco la vita sarà sembrata
impossibile, avrà avuto quasi timore del figliastro che diventava maggiorenne,
ma che ancora era soggetto a lei e che sull'argomento di Giovannino non era
né docile né remissivo.
Giovanni rischiava di essere trattato brutalmente, lui dodicenne, dal
fratello che compiva diciannove anni. La situazione familiare dovette arrivare
a tal punto che, per evitare il peggio intervennero i fratelli Occhiena, Michele
abile mediatore e Francesco uomo deciso. Forse anche il clan dei Bosco era
d'accordo, e primo tra gli altri, il cognato e tutore Giovanni Zucca (parente
della nonna paterna).
Intanto il 3 ottobre 1826 era morto anche il parroco di Castelnuovo,
Don Sismondo e con lui era venuta meno anche la sua eventuale opera di
pacificazione.
I n pieno inverno Giovannino fu allontanato da casa: né scuola, né lavoro
per Antonio. Prima, presso i nonni materni e gli zii alla Serra di Buttigliera;
poi, presso conoscenti degli Occhiena: i Moglia, che abitavano un cascinale
a qualche chilometro da Moncucco. Là il ragazzo si recò da solo, preceduto
forse da qualche parola dello zio Michele. Vi giunse col cuore spezzato e
venne accolto per compassione.
L'andare in un cascinale non era la soluzione che Giovannino avrebbe
preferita. Egli probabilmente aveva il cuore altrove, a Castelnuovo, o forse
più lontano, a Chieri in pensione come studente delle scuole pubbliche, in
attesa di entrare in Seminario. Ma chissà quante volte si sarà sentito dire che
le condizioni familiari non permettevano il lusso di mantenerlo a Castelnuovo
e tanto meno a Chieri.
Le testimonianze sul periodo ch'egli trascorse ai Moglia provengono in
gran parte da Giorgio e Anna Moglia, i due bambini che allora avevano
Luigi Niccolao (1799-1882) e Dorotea (1802-1890). Anna Francesca Caterina
era nata il 22 aprile 1822; Giorgio Lorenzo Maria nacque il 2 ottobre 1825.
Egli depose al processo diocesano torinese per la beatificazione di Don Bosco,
nel 1893. I suoi ricordi personali sono perciò assai remoti, assai deboli e
molto pochi, ma vari aneddoti egli li riferisce come uditi dai genitori e da
altri familiari (=).
(a)I dati di nascita e di morte sono stati attinti dai registri parrocchiali di Mon-
cucco. La documentazione adoperata da Don Lemoyne sul periodo trascorso da Giovannino
Dalle fonti si ricava che Giovannino venne a sentirsi in un ambiente
adatto a favorire le sue intime aspirazioni e a risanare le ferite interiori che
portava dai Becchi. Ambiente di contadini benestanti, complesso familiare a
quanto sembra concorde e popoloso, giacché con la famiglia di Niccolao convi-
vevano alcuni congiunti. Le M e m o r i e Biografiche ricordano lo zio Giovanni
e le zie Teresa e Anna ( x ) .
Si lavorava la terra, cioè prati e vigneti; si accudivano buoi e mucche.
Si pregava insieme. Giovannino si fece notare come un garzoncello di buoni
sentimenti religiosi, oltre che come un ragazzo docilnez, laborioso e remissivo.
I1 prevosto di Moncucco, Don Francesco Cottino, canonico onorario deUa
cattedrale d'Ivrea, nativo di Buttiglicra, cra uno degli ecclesiastici più influenti
della zona (25). Presso di lui fece gli esercizi spirituali in preparazione al sacer-
dozio Don Giuseppe Cafasso (*).
Con molti di costoro Giovannino non fece misteri sulle proprie aspira-
zioni al sacerdozio; di conseguenza venne a crearsi una situazione che differiva
profondamente da quella che si sarebbe avuta, se Giovanni fosse stato un
qualsiasi garzone. Ci si spiega così in qualche modo come mai il canonico
Cottino ne approvò, sollecitò e incoraggiò la freque a settimanale ai sacra-
menti della confessione ed eucaristia, favorita d'altra parte, dai Moglia, che
si erano resi conto per quale ragione il garzoncello dei Becchi voleva recarsi
già alla prima messa a Moncucco nei giorni festivi (27). La signora Dorotea
lasciò a Giovannino il compito di guidare il Rosario, che la famiglia recitava
davanti a un'immagine della Vergine addolorata, e gli insegnò le litanie lau-
retane ('*).
Ci si spiega cosi come mai gli si usassero, in definitiva, tanti riguardi
con larga possibilità di leggere i suoi libri; e la cura di spiarne la vita di pre-
ghiera mentre custodiva le mucche o in una sosta durante il lavoro nella vigna.
La preghiera di Giovannino era quella che poteva fare un adolescente
che sognava il suo ideale, che lo desiderava e ne supplicava I'avveramento da
alla cascina Moglia è descritta da Don DESRAMALUeTs ,Memorie I, p. 435-439.
Gli altri figli di Luigi e Dorotea Moglia sono: Giuseppe Lorenzo n. il 3 marzo 1829;
Lorenzo Giacinto n. 1831, m. 1833; Francesco Maria n. 1834; Anna Maria n. 1837; Luigi
Giovanni Battista n. il 1" agosto 1840, m. il 3 maggio 1906. Questi ebbe come unico
padrino Giovanni Bosco, qualificato sull'Atto di battesimo «studente» « domiciliaro in
Castelnuovon (era aiiora seminarista a Chieri).
i")MB 1. o. 196.
;I' Mori 9 marzo 1840 a 72 anni. Cf. Tommaso Cn~oso,Buttigliera artigiana.
Cenni. Torinq 1875, p. 158 S.
.("1. L. NICOLISDI ROBILANTV. ita del Venerabile G i u r.e.~ v e Caiarro, 1. Torino
1912, p. 28.
(n)MB 1, p. 195. Sulle cui fonti cf. DESRAMAULeTs, Memorie I, p. 436.
('8) MB 1, p. 196. DESRAMAU1. TC,. - Quanto ail'immagine dell'Addolorata, cf.
A. AMADESIt,oria del Santuario in Maria Auriliutrice, periodico mensile del santuario ba-
silica d i Maria A. in Torino, 1 (1928) p. 9. NeUa supposizione, però, che il quadro deWAd-
dolorata esistesse alla cascina Moglia già nel 1826 e che fosse i'unico quadro sacro.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Dio, di cui forse, in alcuni momenti di maggiore suggestione sentiva la voce,
la presenza e il conforto paterno. Mamma Dorotea e il cognato Giovanni
. . . un giorno lo trovarono inginocchiato <«cheteneva un libro fra le mani: gli
occhi chiusi: la faccia. . . rivolta al cielo » e dovettero scuoterlo, tanto
era assorto nella sua riflessione (29).
D'altra parte, alla domenica ( e forse in qualche altro giorno della setti-
mana), presso il canonico Cottino s'intratteneva con altri ragazzi sul sagrato
o nella sala d'ingresso della canonica e faceva i suoi giuochi o riceveva
qualche lezione o qualche consiglio o qualche libro spirituale (M).
Furono dunque anni non inutili, non di parentesi, nei quali si radicò più
profondo in lui il senso di Dio e della contemplazione, a cui poté introdursi
nella solitudine o nel colloquio con Dio durante il lavoro dei campi. Anni
che si possono definire di attesa assorta e supplicbevole: di attesa da Dio
e dagli uomini; anni in cui forse è da collocare la fase più conteinplativa dei
suoi primi lustri di vita, quella in cui il suo spirito dovette essere più disposto
ai doni della vita mistica sgorgante dallo stato di orazione e di speranza.
. 8. Con Don Giovanni Calosso (novembre 1829 21 novembre 1830)
Ma la permanenza presso i Moglia non poteva non essere che una solu-
zione transitoria sia per Giovannino che per gli stessi padroni, i quali certa-
mente non nc avrebbero intralciate le aspirazioni. Transitoria anche per gli
stessi Bosco, sebbene presso di loro non dovevano essere del tutto risolti
gli interrogativi circa l'avvenire di Giovanni: se contadino o sacerdote (per-
plessità che ancora gravava sul ragazzo, quando s'intrattenne la prima volta
con Don Calosso).
La situazione cambiò quando a Morialdo, verso il settembre 1829, andò
(n)MB 1, p. 196.
(M) MB l, p. 202. La fonte non è del tutto rassicurante, giacché si tratta di un do-
cumento di Don Lemoyne stesso, non appoggiato a testimonianze più antiche. Cf. DESRAMAUT,
Ler Memorie I, p. 438.
I1 fatto che DB abbia omesso nelle M 0 il periodo trascorso alla cascina Moglia ha dato
motivo a varie supposizioni. Secondo Don Lemoyne DB lo avxebbe ricordato «sovente»
come «l'epoca più bella e più romantica della sua vita, nella quale tutto solo era andato
nel mondo in cerca di fortuna », « tuttavia si rifiutb di dirne davvantaggio a chi ne lo inter-
rogava» (MB 1, p. 193). DB avrà ritenuto il fatto poco onorevole per mamma Margherita
etifipcearzigolnie.a.lt.ri;suDooinfaDmEilSiRaAriM?ALU'Tipodteàsi
è minutamente discussa da Don J.
peso alle parole di Don Lemoyne
K«gLiEINri,fiUutnba..ie.t»-
(o. c., p. 123). Ma non potrebbe essere questa un'accentuazione eniatica del biografo? E
se DB omise volontariamente l'episodio, lo fece davvero, o lo fece prevalentemente, perche
non lo reputava edificante? per quale ragione omise di descrivere il giorno della sua Cre-
sima? perche nulla scrisse nelle M0 della risurrezione del giovane Carlo o dell'arrivo
all'Oratorio di Domenico Savio? A noi sembra che non si possa sostenere con tutta tran-
quillità l'ipotesi che DB abbia omesso nelle M0 la narrazione del suo soggiorno presso i
Moglia, perché lo reputava poco onorevole per mamma Margherita.
a stabilirsi coine cappellano Don Giovanni Melchiorrc Calosso, sacerdote di
Chieri sui settantaquattro anni, che aveva rinunziato alla cura parrocchiale
di Bruino e che perciò veniva carico di anni e di esperienza pastorale(").
Non è improbabile che mamma Margherita si sia sfogata col nuovo cap-
pellano, e forse suo nuovo confessore.
In novembre dunque, al solito scadere dei contratti rurali monferrini,
Giovanni venne prelevato dallo zio Michele e ricondotto ai Becchi.
L'incontro con Don Calosso non poteva avvenire con modalità più felici.
Ritornando insieme da Buttigliera il vecchio sacerdote poté studiare il ragazzo,
farsi ripetere la predica ascoltata poco prima, dimostrare la propria ammirazione
per la sua fervida memoria e il proposito di aiutarlo nel progetto che Gio-
vannino non tardò molto a svelare.
I1 ritorno ai Becchi non fu pertanto semplicemente una reintegrazione,
nel clan familiare, ma una felice integrazione dei Bosco al nuovo elemento
equilibratore, Don Calosso.
Si adottò una soluzione che poteva sembrare di compromesso: Giovan-
nino avrebbe studiato a casa del cappellano, non distante dalla cascina, sem-
pre pronto perciò ad aiutare i suoi quando sarebbe stato necessario. Questa
determinazione, raggiunta nonostante qualche opposizione, che poté aver frap-
posto Antonio o qualche altro, fu il passo che portò decisamente e definitiva-
mente Giovanni verso la carriera degli studi e verso il sacerdozio.
I1 ragazzo raggiunse cosl quell'appagamento dei suoi ideali che le circo-
stanze allora permettevano, e più ancora, ottenne ciò di cui egli, quattordi-
cenne, aveva particolarmente bisogno: confidenza paterna, fiducia, senso di
sicurezza, contemplazione dell'ideale nella vita di un degno sacerdote, il
quale - a sua volta, alla sua età - trovava in Giovanni un insperato com-
plemento affettivo, la possibilità di un lavoro sicuro su un giovane che gli
dava buone speranze di rinnovare nella Chiesa la fiamma della sua fede
sacerdotale.
« Gli feci conoscere - scrive Don Bosco - tutto me stesso. Ogni parola, ogni
pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata. Ci6 gli piacque assai, perché in
simile guisa con fondamento potevami regolare nello spirituale e nel temp~rale»(~').
(31) Almeno, con una fondata probabilità: Gli argomenti per fissare con prècisione il
tempo deil'arrivo di Don Calosso a Morialdo, non sono dei tutto perentori. - 1) Nel 1825
a Morialdo non c'era cappellano fisso e il parroco di Castelnuovo non sperava di poterne
trovare nemmeno nei 1826. - 2) La richiesta di conservare il SS. Sacramento nel natale 1829,
- ,redatta da Don Calosso. Si hanno donimenti della stessa indole per gli anni successivi,
ma non per i precedenti. 3) Incongmenze, se si accettasse l'incontro di Giovannino Bosco
con Don Calosso nell'aprile 1826 e necessità di stabilire una permanenza alla cascina
UMnoagliraetdtiificqauzaisoineduceroannonloi,gisceoc.o.n.d,ol.qc.u,elp.ch5e94r;ic6o0rd0a;ro6n0o4-6te0s6ti;mDoEniS. RCAf.MKLAEULIeNTs-,
VALENTINI,
Memorie I,
p. 128 S.
(3') M 0 p. 36.

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Giovannino si accorse dell'incalcolabile beneficio che riceveva dalla con-
suetudine con Don Calosso: « Da quell'epoca ho cominciato a gustare che
cosa sia vita spirituale, giacché prima agiva piuttosto materialmente e come
macchina che fa una cosa senza saperne la ragione » Termini che forse
nascondono una contrapposizione, nella mente di Don Bosco, tra quel che
faceva prima e ciò a cui lo introdusse Don Calosso, ma che manifestano
sufficientemente come il nuovo stato di gusto spirituale era una fase di matu-
razione di elementi anteriori, tra i quali non sono da trascurare i momenti
e le ore di meditazione e contemplazione ch'egli poté assaporare alla cascina
Maglia.
Inoltre sotto la cura di Don Calosso anche il complesso degli esercizi
ascetici e di pietà ficevette un migliore assestamento.
«Fra le altre cose - scrive ancora Don Bosco - mi proibi tosto una penitenza,
che io era solito a fare, non adattata alla mia età e condizione. M'incoraggl a frequen-
tar la confessione e la comunione, mi ammaestrò intorno al modo di fare ogni giorno
una breve meditazione o meglio un pò di lettura spirituale. Tutto il tempo che poteva,
nei giorni festivi lo passava presso di lui. Ne' giorni feriali, per quanto poteva, andava
servirgli la messa ».« Conobbi allora che voglia dire una guida stabile, un fedele amico
dell'anima, di cui fino a quel tempo era stato privo »(M).
Attorno al settembre 1830 (forse per sottrarsi a piccole o grandi questioni
con Antonio, o anche perché erano già in atto altri progetti presso i familiari)
Giovanni andò a stabilirsi anche per la notte presso Don Calosso. Sembrava
ormai che il suo avvenire si delineasse sicuro. Ma il 21 novembre Don Calosso
settantacinquenne mori.
Per riuscire a soppesare quale « disastro » sia stata per Giovannino la
scomparsa di Don Calosso dopo queli'epoca di « indicibile prosperità » (3),
occorre tenere presente la delicatezza degli anni che attraversava. Era un
adolescente, nel cui spirito si sollevavano coi contorni vaporosi dell'emotiviti
le mete sognate. Le capacità idealizzatrici della sua età poterono avergli fatto
apparire tutto (la vita di studio e di preghiera, il servizio quotidiano della
Messa, la frequenza ai sacramenti, la comunione di vita con Don Calosso)
come infallibilmente indicativo delle porte del santuario ormai vicine. Egli
ormai quasi palpava il possesso deli'ideale. Venuto a mancare Don Calosso,
sembrò che tutto morisse. Da adolescente qual era - ci sembra lecito pen-
sarlo - si rifiutava di immaginare una vita che ripetesse i disagi (li vedeva
come brutalità?) degli anni precedenti. Eppure tutto sembrava doverlo ricon-
durre ineluttabilmente alla vita di contadino.
Non sappiamo che cosa pensasse Antonio, né riusciamo a immaginare che
cosa sia passato tra i due fratellastri e che cosa si dissero. Sappiamo soltanto
quanto Don Bosco ha voluto ricordarci. Andò a rinchiudersi nel suo sogno:
pensava a Don Calosso, vivo ormai soltanto nel suo ricordo, come una
parte di se stesso staccata improvvisamente e tuttavia sofferta come una parte
amputata.
« I o piangeva inconsolabile il benefattore defunto. Se era sveglio, pensava a lui;
se dormiva, sognava di lui; le cose andarono tanto oltre, che mia madre, temendo
di mia sanità, mandommi alcun tempo con mio nonno in Capriglio D(%).
I1 mondo dei sogni del periodo di risanamento trascorso a Capriglio,
veniva a esprimere in qualche modo quel che lievitava nel suo essere, la
volontà di ripresa, di trovare una via di uscita per seguire quella che aveva
sentita come missione divina: « I n quel tempo feci altro sogno, secondo il
quale io era acremente biasimato, perché aveva riposta la mia speranza
negli uomini e non nella bontà del Padre celeste » ("). Dio, nella coscienza
di Giovannino, acquistava il sopravvento anche nella prospettiva dei progetti,
che si accorgeva di aver fatto senza tenere conto del Preordinatore di ogni
cosa.
I n questo stato d'animo non solo i'ideale rimaneva sempre presente, ma
anche quasi diveniva un'ansia e un tormento: « E r o sempre accompagnato
- egli scrive - dal pensiero di progredire negli studi », cioè di proseguire
per i'unica via che lo avrebbe condotto al sacerdozio ("). Ma in conseguenza
al crollo delia situazione ideale che s'era per un momento concretizzata, so-
pravvenne anche un certo senso di vuoto, di inanità, di incapacità e di
isolamento, che a sua volta faceva insorgere il desiderio di una persona amica
a cui confidarsi. Istintivamente pensava ai sacerdoti, ma, vittima (si può
pensarlo?) anch'egli dei complessi dell'adolescente, è preso da improvvisa
timidezza: vorrebbe aprirsi, ma non si decide a fare lui il primo passo;
vorrebbe che altri gli leggano sul viso quanto soltanto lui conosce e soffre:
« I o vedeva - ricorda egli stesso - parecchi buoni preti che lavoravano nel
sacro ministero, ma non poteva con loro contrarre alcuna famigliarità. Mi avvenne
(36) M 0 p. 43; MB 1, p. 218.
(9)M 0 p. 43 S.
(38) Ci pare che la preoccupazione dello studio in Giovannino e in mamma Margherita
sia da connettere con quanto il ragazzo espresse nel suo primo colloquio con Don Calosso:
. «Per
qual
mquoatilvomovtiovroredsteisiadbebrerarecsctiiarsetudqiuaerset?o-staPteor?.a.bbnrac(cMiar0e
lo
p.
stato
35).
ecclesiastico. - E per
Sotto questa luce, a
nostro avviso, bisogna vedere anche quanto riferisce Don Ruffino, come udito da Don
Bosco: « I o ero senza maestro [dopo la morte di Don Calossol, si deliberò di mandarmi
a Castelnuovo da un certo teologo [lacuna sull'originalel ma mi fece scuola qualche mese,
poi anch'esso mori; andai quindi alla scuola pubblica di un certo [lacuna sull'originulel
ma anch'esso mi lasciò poiche pochi mesi dopo andò parroco, e Casteinuovo fu senza
maestro di latino. Io sentivo una smania di studiare e mia madre voleva secondarmi » (Yro-
nuca 1861 1862 1863, p. 127, AS 110 Ruffino).

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E se ne stava cosi assorto, durante le giornate estive ed autunnali tra-
scorse ai Becchi e al Sussambrino, d a dimenticare le mucche che sconfinavano
sui prati altrui ("); sempre con qualche libro in mano, simbolo, come alla
cascina Moglia, dell'ideale amato (").
- 10. Studente a Chieri (novembre 1831 agosto 1835)
A Moncucco e a Castelnuovo, oltre tutto, fu messa aUa prova la capa-
cità nativa di Giovanni a inserirsi rapidamente in nuovi ambienti. Chieri
però fu la cittadina in cui esplose in tutta la sua ricchezza la personalità di
Giovanni Bosco adolescente e giovane.
Dal 1831 al 1835 trascorse gli anni 15-20 praticamente senza frustra-
zioni; anzi nell'euforia alimentata dai trionfi scolastici, dal prestigio sui com-
pagni che vedeva gravitare attorno alla sua persona.
A Chieri egli è il ragazzo che in pochi mesi dalla sesta classe è pro-
mosso alla quinta e alla prima di la,tinità, che in un anno compie anche la
seconda e la terza con votazione brillante (almeno, rispetto ai suoi colleghi:
i quaderni superstiti ci mostrano quanto fosse ancora rozza la formazione
umanistica di Giovanni Bosco)("). Nel 1833-34 compie brillantemente il
corso di umanità e l'anno successivo quello di retorica, nonostante già alla
fine dell'anno precedente sia stato dichiarato idoneo alle classi d i filosofia ('9.
Egli è l'allievo che recita un brano del Cornelio leggendo sul Donato; che
acclamato in pubblica scuola, scansa lo scappellotto che voleva assestargli il
professore $3 l'allievo che inaugura una delle lezioni d i retorica roteando
p. 426. Anche questo è uno dei casi in cui le fonti non ci danno un sufficiente grado di
certezza.
(45) MB 1, p. 238.
(q)MB 1, p. 243.
(47) AS 132 Quaderni 1.
(e)M 0 p. 58.
(49) M 0 p. 50. I libri a cui si riferisce Don Bosco sono quasi certamente quelli in
uso nelle Regie Scuole del Piemonte. Cioè: Donato accresciuto di nuove aggiunte e diviso
in due parti approvato dall'eccellentissimo Magistrato della Riforma (pt. 2 ad uso degli
studenti di quarca classe di latinità), Torino, stamperia Reale 1824. L'altra opera è il
Cornelii Nepotis excellentium imperatorum vitae, quibus accedunt ejusdem Auctoris, necnon
Corneliae Gracchorum matris fragmenta, et Andreae Schotti imperatorum Graeciae chrono-
logia. Vita insuper Cornelii additur ex Gerardo Johanne Vossio ad usum Regiarum
Scholarum, Taurini, ex typ. Regia 1754. Domenico Savio aveva del Cornelio un'edizionc
del
1801 (Torino, Soffietti), ora
Critiche al Donato, dove i
presso i'AS 9132 Savio.
termini declinazione, caso,
coniugaxione . ..
« eran
voci
o
riboboli che nuila
La scuola normale
dsiuoPnianvearnoloo.a.g.l,i
orecchi dei fanciuili »
Pinerolo 1898, p. 7-9.
sono
rievocate
da
F.
AYMAR,
Per uno studio sulla formazione di DB non sono da trascurare (oltre ai suoi qua-
derni) i testi scolastici, come gli Elementi di geografia moderna ad uso della gioventù stu-
diosa, secondo cui i Paragoni erano di sei piedi e mezzo, e indipendenti, confinanti con la
come una clava il corpo di un compagno, per sgominarne alcuni altri che
volevano malmenare l'amico Luigi Comollo.
Tutti, come egli ricorda, gli vogliono bene o lo temono. I professori
lo favoriscono, specialmente il domenicano padre Giusiana, professore di
grammatica e Don Pietro Banaudi, professore di umanità e retorica(50).
Giovanni ebbe sempre pieni voti agli esami e pieni voti di condotta, nono-
stante tutto; e ogni anno venne dispensato dal minervale (tasse scolastiche)
di 1 2 franchi ('l):
11. Ansie gfovanili verso un più preciso orientamento della vita
I1 temperamento polivalente, la facilità alla simpatia ch'egli aveva mani-
festati nell'infanzia trovano florido, trionfale sviluppo. Egli è versatile e ser-
vizievole, aiuta chiunque: compagni di scuola, giovani ehrei che al sabato
Repubblica della Plata (ed. Torino, G. Marietti 1836 p. 249 s). O il Compendio del nuovo
metodo per apprendere agevolmente la lingua latina.. . ad uso delle Regie Scuole, ado-
perato per le classi di umanità e retorica. G un riassunto della celebre grammetica di
Port-Royal (Nuovo metodo per apprendere agevolmente la lingua latina) di Claude Lancelot
(1616-1695) adottato in Piemonte e altrove per le stesse classi di umanità e retorica e
inoltre per quelle di fuosofia. Oltre ai pregi didattici, caratteristico è il senso cristiano di
questi manuali. Nella premessa alla quarta regola generale di sintassi si legge, ad esempio,
come « Ecclesiae duo sidera Aumistinus et Hieron.ymus., haereses debeilamnt r (.Com.pendio,
Torino, stamp. Reale 1815, p. 239).
Nella Compendiaria graecae grammatices institutio.. . in usum Regiarum Scholarum
sono tolte frasi da S. Basilio e da S. Giovanni Crisostomo; ripetuti esempi sono costruiti
attorno al termine Teòs.
(s)Per tutti
Valerimo Pugnetti
DB ha suile M
(«mi usb molta
0 parole
carità..
.dmi 'liondviet.avIa1
professore di sesta fu il teologo
a casa sua» M 0 p. 48); quello
di quinta, Don
Vincenzo Cima
Placido Vaiimberti ( ecara persona » M 0 p. 48 s);
(DB per errore scrive Giuseppe: «uomo severo,
dpierqulaartad,isicl ipclhiineari.c. o.
i(n«scoolintapaaftfearbnoilitaàf»feMtto0..
p. .»
49);
M0
professore di grammatica, il domenicano Giacinto Giusiana
p. 116); professore di umanità e retorica: Don Pietro Ba-
naudi, da Briga Marittima, m. a Torino il 29 marzo 1885 a 83 anni («vero modello degli
hsegnanti. Senaa mai infliggere alcun castigo era riuscito a farsi temere ed amare da tutti
i suoi ailievi. Egli amava ,tutti quai figli, ed essi i'amavano qual tenero padre D M 0
p. 63).
Sul domenicano Giacinto dei conti Giusiana, da Cuneo (1774.18441, e sul prefetto delle
scuole di Chieri, il domenicano Pio Eusebio Sihilla, da Garessio, cf. Stefano VALLAROO., P.,
Dcl ristabilimento della Provincia Dometticana di S. Pietro Martire nel Piemonte e Liguria
dopo la soppressione francese.. ., Chieri 1929, p. 20 s; 49 S.
Di Vhcenzo Cima e deli'ex minore osservante Vincenzo Raviola, da Gooone, segnala
qualche pubblicazione il MANNOB, ibliografia, n. 17733, 17736, 17739, 17742, 17795,
177951, 17965: sono versi o discorsi di circostanza. Tra i più vicini ai tempi di Giovannino
Bosco si hanno del Raviola Ad Mariam Matrem Gratiae: Carmen saeculare, Taurini, typ.
Chino et Mina 1830, e del Cima un Inno a M. SS. Madre delle Grazie per l'annua festa
votiva celebrata dai Chieresi il di 1" di seftembre per l'anno 1838, Tonno, tip. Favale,
1838.
(5') M 0 p. 57.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
sono in angustie perché non possono eseguire i compiti scolastici; fa lo
scrivano, il sarto, il rilegatore.
Anche a Chieri le sue doti sono poste in esercizio soprattutto quando
è stimolata la sua sensibilità teligiosa: fa prodigi di acrobazia quando si
tratta di sbancare il giocoliere che disturba le funzioni di chiesa alla do-
menica.
Aiutato com'è da intelligenza e memoria fervide, approfitta dei larghi
margini di tempo libero per leggere; attratto anch'egli dalle edizioni di cul-
tura popolare che in quei tempi avevano fortunate primizie nella Biblioteca
popolare edita da Giuseppe Pomba ('9). La lettura diventò vera e propria
passione e gusto per le opere letterarie, che finivano per rubargli il sonno,
ma anche per renderlo riflessivo e introspettivo.
Probabilmente non fu un giudizio improvviso, sorto dopo la vestizione
chiericale, quello ch'egli espresse sulle Memorie come valutazione retrospet-
tiva degli anni trascorsi da studente: « Non era stato - scrive egli - uno
scellerato, ma dissipato, vanaglorioso, occupato in partite, giuochi, salti, tra-
stulli ed altre cose simili, che rallegravano momentaneamente, ma che non
appagavano il cuore » (53).
A poco a poco dovette enuclearsi in lui una situazione interiore di scon-
tento riguardo a quelle cose che fini per giudicare u dissipazioni, trastulli che
rallegravano momentaneamente e che non appagavano ». L'adolescenza infatti
passava anche per lui e con essa quell'insieme di cose che lo avevano interes-
sato e anche solleticato ponendolo al centro di un piccolo mondo. Anch'egli
fini per avvertite l'ambiente e l'avvenire nel quale avrebbe dovuto inserirsi
con una propria funzione.
Acquistò risalto e urgenza per lui il problema della scelta dello stato.
Don Bosco ricorda questa fase della sua vita con una certa angustia.
Avrebbe voluto vederci più chiaro fin dall'inizio, avrebbe voluto consigli
più concreti dal suo confessore. Questi però, ricorda Don Bosco, era « u n
buon confessore, che pensava a farmi buon cristiano, ma di vocazione non
si volle mai mischiare » ("). Eppure in altro contesto Don Bosco stesso
definisce la scelta del canonico Maloria a confessore come la sua più fortu-
nata «avventura », e ricorda con soddisfazione la bontà accogliente e gl'inco-
raggiamenti ad accostarsi alla confessione e alla comunione « colla maggior
frequenza » ("). È significativo sapere che allora Giuseppe Maria Maloria
(1833-34) era trentenne, era stato confessore del chierico Cafasso (e forse
servi a stringere i vincoli d'amicizia tra i due giovani ecclesiastici castelnuovesi),
(2)M 0 p. 77-9 e già p. 70. La Biblioteca Popolare fu uno dei successi dell'editoria
piemontese dei tempo. I cento voiumetti stampati dal 1829 al 1840 ebbero una tiratura di
diecimila copie ciascuno per un complessivo di un milione (BERTOLOTDTeIs,crizione di
Torino, Torino, G. Pomba 1840, p. 354).
(a)MO n. 87.
continuò ad esserlo di Giovanni Bosco seminarista, era laureato in teologia
ali'Università di Torino e, stando alle fonti biografiche del Cafasso, era con-
siderato il più dotto ecclesiastico di Chieri(").
Ma Giovanni Bosco, alla ricerca della sua via, lo avrebbe desiderato
più impegnato. Forse il canonico era incerto sui requisiti del suo penitente,
che conosceva certamente di pietà, ma anche giocoliere. Oppure, consultato
da Giovanni ancora studente di grammatica o di umanità, non si sarà mo-
strato entusiasta per una soluzione rapida del problema dello stato e, tanto
meno, per un ingresso del giovane, già nel 1834, nell'ordine dei Frati Minori,
che allora attraversava una paurosa crisi di vocazioni (").
I1 sogno che dissuase Giovanni dall'entrare tra i Francescani, per quanto
succintamente ricordato, svela, ci sembra, un atteggiamento di fondo im-
portante:
« Pochi giorni prima del tempo stabilito per la mia entrata [presso i Frati Mino-
ri], ho fatto un sogno dei più strani. Mi parve di vedere una moltitudine di que'
- religiosi colle vesti sdruscite indosso e correre in senso opposto l'uno dall'altro. Uno
di loro vennemi a dire: Tu cerchi la pace, e qui pace non troverai. Vedi l'atteggia-
mento de' tuoi fratelli. Altro luogo, altra messe Dio ti prepara ~ ( ~ ~ 1 .
(m) Nicous DI ROBIMNTV,ita del oen. Gius. Ca/asso, 1, Torino 1912, p. 24.
M 8 1, p. 379. Oseremmo ricordare a questo punto l'intento didascalico di DB nella com-
pilazione delle MO. Forse DB tende a far risaltare quanto sia cosa delicata la scelta dello
stato di vita e quanto sia «necessaria K la guida di un buon confessore che si impeeni con
responsabilità neil'importante «affare».Avrà voluto anche insinuare ai suoi figli di non
consigliarsi con chiunque, ma con il confessore che stimavano e amavano, cioè con Don
Bosco stesso? Tutto ciò non sembra tuttavia così forte da attenuare la persuasione che
Giovannino avrebbe voluto una guida più confortante. Sul c~rriculumdei Malosia come
canonico cf. VALIMBERSTpIu, nti storico-religiosi, p. 370.
Giuseppe Maria Maloria nacque a Chieri nel 1803, si laureà in teologia all'Universit2
di Torino il 14 mano 1825. Morl il 2 febbraio 1857. Cf. necrologi^ in « L'lstitzrtore »
5 (1857) p. 124-126.
(") Sulla domanda fatta da Giovanni Bosco xi Frati Minori di Torino si è sicuri,
percb6 risulta dalle regisiiazioni deil'epoca. Egli si presentò al Convento di S. Maria degli
Angeli il 18 aprile 1834 durante il cono di umanità e fu accettato il 28 dello stesso mese
(cf. M 0 p. 80 nota). Forse DB poté essere stato orientato da Don Vincenzo Raviola,
successo a1 padre Sibilla come prefetto degli Studi nel Collegio di Chieri (la Vita di
Comollo e le MB scrivono erroneamente Robiola, confondendo forse, per l'assonanza di
nome, con un noto teologo aurore di un dizionario italiano). Don Raviola morì a Chieri
il 6 novembre 1837 a 70 anni.
I Mhoti Osservanti del Piemonte si distinguevano allora per alcune personalità di
un certo rilievo: per i missionari in America, Terra Santa e Cina, dove ebbero vicari ape.
stolici nello Chen-sy e nello Chan-sy. Cf. Francesco MACCONLOa ,Parrocchia e il Convento
francescano di S. Tommaso in Torino, Casale Monferrato 1931. - I Minori Osservanti
che nel Settecento avevano superato i settantamila, subirono un grave crollo durante la
Rivoluzione francese; scesero a ventitremila nel 1862 e a quindicimila nel 1882, tempo in
cui avvenne il rilancio dell'istituto e del Terz'ordine. Cf. AUBERTIl, pontificuto di Pio I X ,
n. 366 nota 23, ed. ci,., p. 690.
(58) M0 p. 80.

3.2 Page 22

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Giovanni riceveva una conferma del principio religioso su cui si era
già fondato il suo primo sogno e che la mamma e tutto il mondo religioso
del tempo gi'inculcava: in realtà egli era alla ricerca di quanto Dio aveva
sapientemente preordinato e preparato per lui. I1 sogno suggeriva quanto egli,
« d o p o avere letto quakhe libro » e con la propria riflessione, aveva potuto
apprendere a proposito della elezione dello stato.
Qualunque opera egli abbia letto (gli Opuscoli relativi al!o stato veli-
gioso d i S. Alfonso, che poi adoperò per l'lntrodztzione alle Regole dei Sa-
lesiani; oppure La stuada al santuauio mostvata ai chtenci del gesuita Antonio
Foresti, ch'egli ebbe certamente tra le mani in Seminario, o la Guida Ange-
lica, che usò come fpnte per il Giovane prouz~edntn o Grrù al m o r e del
giovane di Giuseppe Zama-Mellini, che nello stesso Giovane provveduto
collocò tra i libri da preferire per lettura spirituale, o la Saggia elezione
del gesuita piemontese Carlo Gregorio Rosignoli), qualunque libro abbia letto,
offertogli dall'ambiente subalpino di allora, vi avrebbe trovata espressa
la convinzione che lo stato da eleggere è predisposto da Dio(j9). Convinzione,
questa, che saliva dalla più antica riflessione cristiana; che nel medioevo
aveva dato luogo a un modo di vedere oggettivista, secondo cui ogni scelta
umana si risolveva in adeguazione dell'individuo o della collettività al piano
divino. Convinzione che nell'età nioderna aveva assunto modalità quasi di
angoscia, perché aveva posto in rilievo i'importailia della scelta come adegua-
zione libera, come prova di fedeltà a Dio, argomento di merito e di salvezza,
o di colpa e di condanna eterna
(59) L'elezione dello stato, scrive
Predestinazione, e prima cagione della
islalpuatedreeteRrnoasi.g. n.ollia,
è il «mezzo principale della
Divina Sapienza, avendo sin'
ab eterno ri~oltodi darti l'essere, e la vita, ha insieme decretato di seminarti nel cuore
su i primi anni della tua età quella Santa Ispirazione ». Se N scegli bene, « t u se'
arrolato nel catalogo degli eletti. Hai indovinato il primo filo, e diciam così, il primo
anello di quella intrecciatissima catena della predestinazione *. I1 rifiuto della buona ele-
zione è invece «argomento di riprovazione » (La saggia elezione, cp. 1, § 2 e 3, Roma
1828, p. 14 e 17).
(m) « & chiaro - enunzia S. Alfonso - che la nostra eterna salute dipende princi-
palmente dall'elezione dello stato. I1 padre Granata chiamava l'elezione dello stato la
ruota maestra di tutra la vita. Onde, siccome negli orologi, guastata la ruota maestra, è
guastato tutto l'orologio; così nell'ordine della nostra salvazione, errato lo stato, andrà
errata tutta la vita, mme dice S. Gregorio Nazianzeno »: Opuscoli relativi allo stato religioso,
cp. 1, §
Regole o
1, in Opere
Costituzioni
adseclelatichSeo,c.4,diToSr.inoF,raMnca. rideittiS1a8le4s7.,.
p.
.,
396, ricalcato
Torino, 1877,
dalU'Inrr. alle
p. 6 : «Per
questo motivo
vita. Siccome
nielgpliadorreolGograi .n.at.a»)c.hiamava
la
elezionc
dello
stato
la
ruota
maestra
di
tutta
la
« I l negozio più importante della gioventù, se ben si avverte, è quello dell'elezione
dello stato dipendendo da queilo l'allegrezza del cuore, la pace della coscienza, i progressi
dello spiriito, e finalmente l'eterna salvezza » (Guida Angelica, ossiano pratiche istruzioni
per la gioventù. . ., Torino, stamp. Reale 1767, p. 107; cf. P. STELLA, Valori spirituali
nel « Giovane provveduto » di San Giovanni Bosco, Roma 1960, p. 77). «Chi abbraccia
la vita ecclesiastica - scrive il P. Foresti - deve farlo chiamato da Dio, e con retta
I n tale prospettiva dunque la elezione dello stato era adeguazione per
ottenere la quale era necessaria la grazia divina disponente e concomitante:
da impetrare, oltre che con la preghiera, mediante una vita intemerata, la
pratica sacramentale e la mediazione d i Gesù Cristo, di Maria SS., del12Angelo
Custode e dei Santi patroni("). Per questo anche Giovanni Bosco visse i
suoi momenti di ansia, di particolare fervore e di preghiera supplite.
Preferì temporeggiare per vederci più chiaro. Finito il corso di umanità,
intraprese quello di retorica nonostante avesse diciannove anni. Da quella
decisione dipese realmente la scelta definitiva. Fu l'anno in cui alla scuola
del professor Banaudi si aggiunse Luigi Comollo, che aveva fatto la gram-
matica a Caselle. Giovanni decise di confidarsi all'amico:
«Esso mi diede per consiglio di fare una novena, durante la quale egli avrebbe
scritto a suo zio prevosto. L'ultimo giorno della novena in compagnia dell'incompara-
bile amico ho fatto la confessione e la comunione, di poi udii una messa, e ne servii
un'aitra in duomo all'altare della Madonna delle Grazie. Andati poscia a casa tro-
vammo di fatto una lettera di D. Comollo concepita in questi termini: - Considerate
attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo compagno di soprassedere di entrare
in un convento. Vesta egli l'abito chericale, e mentre farà i suoi studi conoscerà vie-
meglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun timore di perdere la vocazione,
perciocché colla ritiratezza e colle pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli n(").
I1 prevosto di Cinzano aveva visto chiaro solo in parte: Giovanni
BOSCO aveva certamente vocazione allo stato ecclesiastico. Quanto alla vita
religiosa non vedeva le cose con la medesima nitidezza. La risposta, di riflesso,
ci manifesta l'ansia che Giovanni aveva di perdere la grazia speciale di Dio
intenzione » (La strada al Santuario mostrata ai chierici, pt. 1, cp. 1, S. Benigno Canavese
1884, p. 23, Modena 1649l).
(61) «Se voi prendete uno stato diverso da quello, nel quale vi vorrebbe Dio, avrete
le grazie, e gli aiuti speciali adattati a farvi viver bene, e a salvarvi nello stato preso?
... i buoni Teologi dicono comunemente, che è molto difficile, occorre una misericordia
straordinaria, ed insolita » (Raccolta di vari esercizi di pietà ed istrtizioni, ediz. 17 e 6 ,
torinese, Torino, Eredi Avondo, 1798 p. 440). Lo Zama.Mellini, immaginando un'esorta-
zione di Gesù al giovanetto, così si esprime: «Contempla la tua imprudenza, mentre sì
poco pensi, poco ti prepari ai tuo stato di vita, alla tua professione, al modo di ser-
virmi come a te conviene per salvarti, e quasi senza consiglio, senz'ora~ionet'incammini
per quella strada, che prima, e che più facile ti si fa incontro, come se già conoscessi
abbastanza esser dessa, che ti ho destinata, come se avessi in pugno tutte le grazie, che
all'uopo ti sono necessarie, come se non si trattasse del gran punto della tua temporale,
ed eterna felicità » (Gesù al ctrore del giooane, cp. 30, Roma 1833, p. 131). E conclude
ricordando « l'antico avviso che per non isbagliare nella vocazione, richiedesi tempo,
ovr'aajzuiotinneo,..e.
consiglio. Pregate
Riflettete spesso
dunque ogni giorno Dio,
alle vostre inclinazioni ai
Maria,
talenti
e 1'Angelo Custode onde
ricevuti: manifestate per
tempo ogni cosa al vostro direttore, che dovrete tener sempre informato del vostro interno
per aver direzione opportuna » (p. 134): ciò che appunto fece Giovanni Bosco. Consigli
analoghi si trovano in tutte le altre operette che abbiamo sopra ricordate.
(") M 0 p. 81.

3.3 Page 23

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
entrando per una via che non era la sua. La risposta di Don Comollo era in un
certo senso un'applicazione delle direttive che dava ad esempio Carlo Gobinet:
«Bisogna pigliar tempo per esaminar le chiamate allo stato religioso »(63)
preferendo intanto la carriera ecclesiastica tra il clero secolare.
12. Le amicizie
La giovinezza è l'età delle amicizie profonde e della cerchia ristretta
di amici intimi. Per Giovanni Bosco ebbero un'incidenza decisiva gli elementi
religiosi, come d'altronde era inculcato certamente dai professori del Collegio,
oltre che dai viri trattatelli spirituali che allora circolavano.
Per i primi due anni Don Bosco ricorda soltanto due nomi: Guglielmo
Garigliano, e Paolo Braja, rispettivamente di tre e di quattro anni più giovani
di lui, membri della Società dell'illlegna, istituita certamente già nell'anno
scolastico 1831-32, se vi appartenne il Braja, che morì il 10 luglio 1832 i@);
« segreta », come le società dei patrioti che proprio in quegli anni cospiravano
dappertutto in Italia, ma con ben altri scopi: « Evitare cattivi discorsi, azioni
che disdicessero a un buon cristiano, compiete con esattezza i propri doveri
scolastici e religiosi, stare allegri D P ) , agire sugli altri, introducendo libri
discorsi e giochi che a ciò servissero.
Appartengono al 1833-34 due altre amicizie di rilievo: quella con l'ebreo
Giona e l'altra con Luigi Comollo.
Giona era della medesima età di Giovanni, provvisto anch'egli di doti
brillanti: « bellissimo di aspetto, cantava con una voce rara fra le più belle »,
era un buon giocatore di bigliardo (&). Tra i due c'era un'altra base comune.
Anche Giona era orfano di padre. Don Bosco ricorda quell'amicizia con espres-
sioni insolite. Giona, egli scrive, « era folle per amicizia verso di me. Ogni
momento libero egli veniva a passarlo in mia camera. Ci trattenevamo a can-
tare, a suonare il piano, a leggere, ascoltando mille storielle, che gli andava
raccontando » (67). Termini che ci manifestano la potenza di passione che
poteva suscitarsi in Giovanni Bosco a contatto del fascino giovanile.
.. (63) Cado GOBINET (1613-1690), Istruzione della Gioventù nella pietà cristiana. ,
pt. 5, cp. 10, art. 3: Che bisogna pigliar tempo per esaminare le chiamate ailo stato
religioso (Scelta bihl. economica d'opere di Relig., 23) Torino, Maspero e Serra 1831,
p. 361-363.
(M) SU Paolo Vittorio Braja ci. M 0 p. 57 nota. Guglielmo Garigliano fu poi com-
pagno di DB in Seminario e al Convitto ecclesiastico di Torino, dove dimorà dal n*
vemhre 1842 al giugno 1846. Cf. Taurineli. Positio ruper Introd. Causae di Don Cafasso,
Romae 1906, p. 94. Era nativo d i Poirino, dove fu cappellano deila Confraternita di S. Croce
e mori in patria il 2 maggio 1902. Un suo pronipote, Giov. Battista Garigilano, fu vescovo
di Biella. Cf. Basilio BWSCAGLIASa, n Giovanni Bo$co e i biellesi, Bieiia 1934, p. 60.
( a ) M 0 p. 52.
Un non meglio qualificato « disordine con rissa » gettò nella crisi il
giovane ebreo e per Giovanni Bosco fu spontaneo suggerirgli la confessione
sacramentale come unico mezzo efficace a cancellare il senso di colpevolezza
nell'amico. Giona si fece cristiano e fu battezzato solennemente nel duomo
di Chieri (").
L'amicizia con Comollo ha origini e modalità assai diverse. È Giovanni
che sotto le apparenze di fragilità fisica scopre in Luigi Comollo una grande
ricchezza spirituale. Istintivamente ne diviene protettore contro i soprusi di
ragazzi superficiali e monelli. Ma propriamente egli difende la sorgente alla
quale vuole attingere per la sua anima, divenuta improvvisamente assetata
di vita interiore; o - se si vuole - egli difende l'incarnazione di un ideale
che gli appare come il proprio, verso il quale già si muoveva, ma senza quella
tensione che improvvisamente viene fatta scattare in lui dalla scoperta delle
virtù di Comollo.
Da quando lo conobbe un eroe volle farselo amico (69). Anzi, egli scrive,
« d a quel tempo l'ebbi sempre per intimo amico, e posso dire che da lui ho
cominciato ad imparare a vivere da cristiano » ('O).
Superando l'adolescenza, Giovanni si avviava a superare la tensione tra
ideale e vita. Proteso ormai decisamente verso il Seminario, legato ad ami-
cizie congeniali, dava alla sua vita religiosa quel ritmo più intenso che sentiva
come indispensabile a chi si apprestava a salire l'altare di Dio.
( a ) Dai registri parrocchiali del Duomo e di S. Giorgio a Chieri risulta inequivo-
cahilmente che, durante gli anni trascorsi da Giovanni Bosco come studente, soltanto un
giovane ebreo venne battezzato. Eccone l'atto: « BOLMIDA - die decima augusti ego Seha-
stianus Schioppo theologus et canonicus curatus eu concessione iii.mi ac rev.dissimi Archie-
spiscopi taurinens?~solemni apparatu baptiaavi juvenem quemdam judeum Cheriensem
[Cheriensem aggiunto in soprnlinea] nomine Jacoh Levi decimum octavum annum agentem
ipsique nomen imposui Aloysius, Hyacinthus, Laurentius, Octavius Maria Bolmida susceptores
fuere D. Hyacinthus Bolmida et domina Octavia Maria Bertinetti D. Non risulta ii nome
Giona, ma non b da escludere che fosse un secondo nome o quello con il quale veniva
chiamato dai suoi coetanei. G anche chiaro che DB ricorda male il nome del padrino:
non Carlo Bertinetti, ma Giacinto Bolmida (cf. M 0 p. 69). Infine non è da insistere sul
nome di Luigi, come se fosse insinuato da Giovanni Bosco. A Chieri esistevano molti
ricordi di S. Luigi e moltissimi ne portavano il nome. Sul canonico Schioppo (m. il 25
aprile 1871) cf. VALIMBERTI, Spunti storico-religiosi, I, p. 337.
(69) M 0 p. 60.
(70) M 0 p. 60. Anche qui, ci sembra, conviene ricordare la tendenza all'iperbole che
DB manifesta apertamente nei daumenti dopo il '70 (cifre di @%N, di opere stam-
pate.. .). Più avanti, nelle M 0 (p. 70) l'immagine B per s6 evidente: «Cresceva poi la
. meraviglia ne' giuochi di prestigiatore. Il vedere uscire da un piccolo bnssolotto mille
palle più grosse di lui, da un piccolo taschetto tirar fuori mille uova. .n.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
FONTI
I. Inedite
A. Periodo dell'infanzia e della scuola a Castelnuovo.
UtiEi per uria ricostruzione socio-religiosa dell'ambiente sono le Visite pastorali di
Chieri, Castelnnovo, Buttigliera, Riva di Chieri (Torino, ACuria metropoi.), Caprigiio,
Mondonio, Montafia (Asti, ACuria vescovile), da integrare con i. documenti conservati
nelle singole parrocchie (che, oltre a rara corrispondenza epistoiare, consemano i libri
d'obhii~o: bnptizaiorum, defunctorum, confirmatorum, mutrimoniornm; registri di confrater-
nite, conteggi di messe, carte relative ai beneficio parrocchiale, alle chiese campestri, ecc.).
La vita agricola, la situazione zootecnica affiora sufficientemente anche dagli atti del Ca-
tasto (iniziato, ma non sempre organicamente, eià durante il periodo napoleonico) presso
i rispettivi uffici comubali; molto più completi sono atti notarili (per i Bosco: a Castel-
nuovo e a Villanova d'Asti). Presso PAS (112 documenti personali) si conserva l'hcarta.
mento dei patrimonio ecclesiastico costituito in occasione del suddiaconato.
B. Adolercenza e giovinezza a Chieri.
I documenti più significativi suile manifestazioni religiose della cittadina (e anche
più vicini ali'amhiente dove si stahill Giovanni Bosco), sono quelli del Duomo, delle
chiese di S. Filippo, S. Antonio e S. Domenica; ma interessano anche quelli dell'hnunziata,
di S. Giorgio e delle altre chiese, la cui controparte è a Torino AGiria metropolitana.
Per l'attività scolastica: AS 132 Quaderni 1 (brogliacci d i ogni genere, composi-
zioni latine e italiane, nelle quali tmpare l'intento religioso e morale degli insegnanti; vi
si trova anche qualche ,nota sui compagni di scuola, qualche verso, qualche invocazione
devota, una minuta di lertera ali'amico Annibale Strambio).
I l . Edite.
Le MO, i Cenni sul Comollo scritti da DB (1844, 18542, 18673, 18844), la vita di
mamma Margherita, scritta da Don Lemoyne (1886, 1889), MB 1.
BIBLIOGRAFIA
Dà hihliografia e qualche orientamento generale Danilo VENERUSOT, endenze e pro-
blemi della cultura cattolica tra il 1814 e il 1830 in Studiuni 63 (1967) p. 844.853.
Suli'amhiente, un ricco repertorio è dato dal MANNOB, ibliografia storica degli Stati
della monauchia di Savoia, 4, Torino 1892, dove si trovano le voci Castelnuouo (N. 16045-
--. 16053) e Chieri (N. 17715-18044). Interessano in oarticolare le medesime "ori <ilil C-.n."s,~,r"Ar s",
~~~~
Dizionario, a cui anche attinse Don Lemoyne perb1e MB. Per una lettura critica delle MB
1 è indispensabile F. DESRAMAUTL,es Memorie I.
Per situazioni scolastiche analoghe a quelle di Chieri sono orientativi Giacomo
MANTELLINO, La Scuola primaria e secondaria in Piemonte e particolarmente in Carma-
gnola dal sec. XIV alla fine del sec. XIX, Camagnola 1909; Francesco AYMAR, La scuola
normale di Pinerolo e il nrovimento pedagogico e scolastico in Piemonte, Pinerolo 1898;
G. B. GERINI,Gli smittori ped~gogiciitaliani del sec. XIX, Torino 1910; Nino PETTINATI,
Vincenzo Troya 11806-18831 e la riforma scolastica in Piemonte, Torino 1896.
Importante per le notizie che dà su vari canonici che ebbero uni qualche molo
... neila vita di DB è B. VALIMBERTIS,punti storico-religiosi sopra la cittd di Chieri, voi.
I , Il Duomo, Chieri 1929 (i canonici Massimo Burzio, Bagnasacco, Maloria, Od&-
nino . . . ).
CAPITOLO TI
NEL SEMINARIO D I CHIERI (1835-1841)
1. Fondazione del Seminario nel 1829 tra contrasti e speranze
I1 Seminario di Chieri ai tempi del chierico Bosco era di recente istitu-
zione, essendo stato aperto nel 1829 nell'antica casa dei Filippini. Don Cafasso
ne era stato uno dei primi alunni.
Esso era destinato a contenere cento seminaristi (l): cifra elevata, non
soltanto perché un po' dovunque, in clima di alleanza fra Trono e Altare si
era manifestato un certo rifiorire della religiosità, che aveva portato anche
l'aumento di quanti intendevano abbracciare la carriera ecclesiasticafz); ma
anche perché l'arcivescovo di Torino, il camaldolese Colombano Chiaveroti,
aspirava a dare un ambiente più raccolto, quasi claustrale, ai suoi seminaristi,
un ambiente, cioè, separato dai pericoli del secolo, per evitare i quali appunto
sotto il timore della mondanizzazione umanistica o dell'eresia protestantica, la
Riforma tridentina aveva istituito i Seminari. In particolare si desiderava
creare un ambiente che sottraesse i chierici al mondo torinese che allora non
appariva a molti del tutto adatto alla formazione di tutti i giovani leviti indi-
scriminatamente. A Torino infatti c'era un interscambio di cultura e di senti-
menti tra l'università e il Seminario, che all'Università mandava i propri do-
(1) CASALIS,Dizionario, 4, Torino 1837, 715.
(2) E mn fenomeno, a quanto sembra, diffuso. E indicativo quanto scrive per la
diocesi di Troyes J. ROSEROT DE MELIN, Le diocèse de Troyes des origine8 d nos jours,
Troyes 1957, p. 272 s: le ordinazioni sacerdotali raggiunsero le cifre - piU elevate (176)
nella decade 1830-39 e le più basse (66) in quella del 1851-60. I seminaristi delia
diocesi di Torino nel 1834 erano 180 complessivamente a Bra e a Chieri; 70 frequentavano
il Seminario metropolitano della capitale. Cf. CHIUSO, 111, p. 140. Nei 1840 i seminaristi,
interni di Torino, Chieri, Bra e Giaveno, erano 358; gli esterni, 207; D. BERTOLWTI,
Descrizione di Torino, p. 53. Suiie preompazioni per un clero più vivo e più zelante
durante l'epoca d i Pio IX cf. AUBERT,Il pontificato di Pio I X , § 361, ed. it., p. 680-683;
e soprattutto C. C. MARCILHACLYe, diocèse d'Orl6ans au milieu du XIXe siècle, Paris 1964.
Polemicamente a metà secolo si criticava i'ccclesiastico di carriera dell'epoca immediata-
mente anteriore.

3.5 Page 25

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
centi come ripetitori e i chierici, talora, nelle facoltà di teologia, diritto e
arti (3).
Ora proprio nel 1829 era giunta all'acme la tensione tra due correnti
pastorali, la benignista e l'austera: quella che contava tra i suoi fautori i
Gesuiti, gli Oblati di Maria Vergine, l'associazione dell'Amicizia Cattolica
e il Convitto ecclesiastico retto dal teologo Guala; e l'altra che aveva i suoi
centri nell'Università e nel Seminario ('). Si era giunti a manifestazioni che
non avevano certamente un influsso benefico sui chierici.
Nel marzo, tra il fermento degli allievi, era stato destituito Giovanni
Dettori, professore di teologia morale all'università, e con regio provvedimento
era stata sciolta l'Amicizia Cattolica.
La tradizione agiografica che si rifà ai Gesuiti, agli Oblati e al Convitto
dipinge Giovanni Dettori a tinte fosche, come un rigorista accanito, fomen-
tatore di giansenismo ( 5 ) . I n realtà egli fu un fervido fautore del probabi-
liorisino e del tomismo professato dall'Universiti torinese. Usava esprimersi
con termini ch'erano già stati uditi proprio in quelle stesse aule già da un
buon secolo, che d'altronde non erano più aspri di quelli che si potevano leg-
gere sulle opere di Giacinto Serry o di Daniello Concina o di qualsiasi altro
oppugnatore del molinismo e del probabilismo, senza bisogno di ricorrere alle
Provinciali di Pasca1 e senza dover pensare che chi le pronunziava fosse andato
(3) Dell'episcopato di mons. Chiavemti a Ivrea e a Torino si occupa il CHIUSO, 111,
p. 54-12?. Interessano soprattutto i paragrafi siill'educazione del clero, sulle contese teolo-
giche e la diffusionedelle dottrine alfonsiane e infallibiliste (par. 20-23), argomenti che sono
toccati anche nelle biografie del Lanteri, del Cottofengo e del Cafasso. Nella prospettiva
aifonsiana (in tono apologetico) si veda G. CACCIATORE, S. Alfonso de' Liguori e il Giax-
senistno.. ., Firenze 1944, .C incorpora documentazione precedente, specialmente del P. E.
ROSA e di P. SAVIO, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alle Santa Sede. Testo e DCLXXVII
documenti sul Giansenismo italiano ed estero, Roma 1938.
('1 La temperie religiosa nella prospetnva dell'Amicizia Cattolica & posta in luce da
A. GAMBARO, Sulle orme del Lamennais in Italia. I. Il Lamennesismo a Torino, Torino
1958, e più recentemente da C. BONA, I. M. M., Le Amicilie » società segrete e rinascita
re ligi or^ (1770-18301, Torino 1962. - Utili, per i riflessi suii'amhiente subalpino e in parti-
colare sulla cerchia del Convitto ecclesiastico torinese: P. PIRRI, P. Giovanni Roothan XXI
Geaerale della Compagnia di Gesù (1785-1853),Isola del Liri 1930 (fu per qualche tempo a
Torino) e I. RINIERII,l Padre Francesco Pellico e i suoi tempi. I. La Restnurazione e
l'opera della Compagnia di Gesù, Pavia 1934.
(9Gli echi degli agiografi risuonano ancora nel fervido tono antigiansenista del
P. E. ROSA, Il Giansenismo in Piemonte e la Regia Uniuersità di Torino, in La
Ciu. Catt. 78 (1927) 1, p. 428-442, controbattuto con ugual fervore dall'antico alunno
dell'università di Torino, che si ribella alla taccia» di Giansenismo, canonico G. PIOVANO,
La Facoltà teologica, il Clero di Torino e il Giansenismo in Atti della R. Accgd. delle
Scienze di Torino 64 (1929) p. 123-140, e in altri scritti che sono passati in rassegna da
G. USSEGLIO11, teologo Guala e il Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1948 (= Sale-
sianum 10,
P. STELLA,
1948, p. 487-4901, Una
Il Giansenismo in Italia.
sintesi sul
Collezione
dmi odvoicmuemnctontig.i.an.,sen1i1s1ta
in Piemonte in
Piemonte, Ziirich
1966, P. 15-30. Sul contegno dei chierici allorché venne dimesso Giov. Dettori cf. SAVIO,
Devozione di mgr. A. Turchi, p. 655; 658; 660.
ad attingere alla letteratura giansenista e si proponesse di 'divulgarla. I1 Det-
tori aveva tuttavia il torto di non comprendere che i tempi erano mutati e
che perciò il suo insegnamento e la sua terminologia non potevano essere
quelli vivavi e mordaci del Concina, contenutisticamente rispondenti ad altre
situazioni (6).
L'Amicizia Cattolica era per sé una società per la diffusione di buoni
libri tra il popolo; ma le opere distribuite erano in prevalenza benigniste e
alcuni dei suoi maggiori esponenti, legati ai Gesuiti, occupavano posti impor-
tanti nella politica e nell'amministrazione piemontese. Un groviglio d i motivi
politici, di gelosie personali, di istanze religiose intervennero nella soppressione
dell'Amicizia. Tra l'altro si temeva che una nuova offensiva probabilista e
benignista portasse un nuovo periodo di rilassamento nei costumi, un nuovo
stimolo all'irreligione, che veniva additata come principale responsabile della
Rivoluzione francese e degli sconvolgimenti che ne erano derivati. Non ul-
timi, i sussulti rivoluzionari del 1821 ('). Dall'altra parte si era persuasi
ch'era stata invece la lega tra giansenisti (ribelli alle autorità ecclesiastiche)
e giacobini (sovvertitori di troni) ad essere responsabili dei nuovi cataclismi (').
Si temevano per l'avvenire mali cb'erano stati del passato. E non si
badava che per molti invece quello stato d'irrequiet~idine era il clima che
(6) Giacomo Giacinto Serry (1659-1738), domenicano, teologo e polemista, fu pro-
fessore di teologia all'Università di Padova; un suo nipote domenicano, esde dalla Fran-
cia perché opposto alla bolla Unigenitus che condamava le 101 proposizioni di Quesnel,
Giacinto Drouin (1682-1741),si rifugiò a lungo in Piemonte e mori a Ivsea. Danieilo Concina
fu battagliero antibenignista. Sulle loro parti nelle polemiche del tempo e nelle ansie reli-
giose di allora cf. A. JEMOLO, Il Giansenismo in Italia prima della Riuoluzione, Bari 1928;
A. VECCHI, Correnti religiose nel Sei-Settecento ueneto, Venezia-Roma 1962.
(7) Era la mentalità degli uomtni legati all'ancien régime. Tra d i altri, mons. Chiave
roti implorava una maggior severità nella censura della stampa che vedeva troppo spesso
pernioiosissima alla religione non meno che d a civile società. Si rivolge al Sovrano onde
alla Rdigione ed al Trono più non si tendano secrete insidie3 (Pastorale O ammirabile
sapienza.. . n, Torino, 15 maggio 1821).
(8) E la nota tesi del gesuita piemontese Rocco BONOLAnell'anonima opera La lega della
teologia moderna colla filosofia, S. l. [17891) ripubblicata a Novara nel 1823 con il visto
del padre Taparelli d'Azeglio. Sulle prime formulazinni antigianseniste deUa presunta lega
tra giacobini e giansenisti c f . M. AQUARONGEia,nsenismo italiano e Riuoluzione francese
prima del triennio giacobino, in « Rassepna storica del Risorg. » 49 (1962) p. 559.624.
Pio Brunone Lanteri proprio sul finire del 1821 scriveva a mons. Francesco Bigex, vescovo
di Pinerolo, sulla necessità di «cercare subito ogni mezzo per tentar d'impedire per quanto
sarà possibile, che si adocti dal Sovrano qudche specie di Costituzione ». Nei moai del marzo
1821 - egli soggiunge - avrebbero preso parte, secondo «persone sensate » soltanto spi-
riti oziosi, inquieti, imbevuPi di cattivi principi conero il Governo e contro la Chiesa, in
una parola senza religione. La ragione poi di questa mia proposizione - egli af.rma ,-
si è che non può adottarsi veruna costituzione senza che si adotti espressamente o implicita-
mfueonstoefii,ldperiinGciipaniosedneilsluai,siovqraunailtià..d.ell'epsotepnodloo,nochefièn
il principio favorito dei protestanti, dei
suhla Chiesa D (BONAL,e «Amicizie D,
p. 337). In poche battute il Lanteri enunziava così le motivazioni del dissidio tra tendenze
liberali e religiositi cattolica conservatrice.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
alimentava il sentimento di dignità, di libertà della patria, di unità dei fra-
telli di una stessa nazione, i cui confuii, la cui storia con mentalità romantica
si pensavano segnati da Dio
Nel 1829 non era facile fare la diagnosi dei fatti che causavano inquie-
tudini tra i cittadini, tensione in tutti i livelli sociali, contrasti tra le varie
correnti dello stesso clero, tumulti tra gli studenti, timori sulla formazione
dei chierici. Forse tra le cose che maggiormente si temevano c'era il professio-
nalismo, l'abbracciare la «carriera » ecclesiastica non per profondo spirito
religioso, ma per ragioni umane, per assicurarsi un avvenire. Poteva essere
un indizio di questa deficienza qualche atteggiamento dei chierici, come il can-
tare in versi metastasiani o leopardiani l'amore profano piuttosto che in
termini di preghierà, come aveva fatto Alfonso de' Liguori, quello verso Dio
e verso le anime da salvare. Si intuiva quale grande male fosse per il sacerdozio
l'inanità interiore, la superficialità di senso religioso.
I1 trasferimento perciò di molti seminaristi, lontano dalla città e dalle
sue distrazioni, rispondeva alla intima istanza dei superiori ecclesiastici. Era
pertanto nella logica dei fatti che verso Chieri si fissassero sempre più le
attenzioni e le predilezioni dei pastori diocesani.
Più tardi la piaga che si temette nel Seminario di Torino fu il patriot-
tismo, il quale d'altronde, se era purissima fiamma di amor patrio in molti,
allora era davvero anche qualcosa che veniva a colmare l'inanità interiore di
vari chierici (l0).
Le speranze riposte sul Seminario di Chieri dovettero avere un qualche
ruolo nella chiusura di quello di Torino, decretata da mons. Fransoni nel feh-
hraio 1848, dopo che i chierici con la coccarda tricolore avevano preso parte
a pubbliche manifestazioni patriottiche e politiche(").
È da pensare, comunque, che anche a Chieri si sia fatto sentire l'influsso
della metropoli e che anche abbiano avuto ripercussioni i moti liberali
del 1831; tanto più che anche a Chieri, oltre agli interni, vi erano - come
a Torino - chierici esterni, che frequentavano il Seminario soltanto per le
lezioni scolastiche e che si univano agli interni, ordinariamente, per le funzioni
liturgiche e le altre pratiche di pietà collettiva. Gli esterni, facilmente, venivano
La prospettiva romantica e liberale in Piemonte è posta in luce da A. ANZILOTTI,
Giobcrti, Firenze 1922; E. PASSERIWNENTROYESLa, giovinezza di Cesare Bdbo, Firenze
1940; A. COLOMBO, La vita di Santorre di Santarosa, Roma 1978 (con accenti quasi mistici
dell'ideale costituzionale); A. OMODEO,La cultura francese nell'etd della Restaurazione,
M-i.la.no~-1.9.4,6-.
~
(l0) Quanto a luci e ombre nel clero italiano a metà Ottocento 6.G. MARTINSA. ,J.
in appendice a AUBERT, Il pontificato di Pio I X , p. 760-765. Documentazione da non tra-
scurare, oltre &e lettere pastorali o agli interventi dei vescovi in semina& le isttuuioni
al dero, ad esempio di Don Cafasso o del vicario generale di Saluzzo Stanislao DONAUDI
(1761-1850). CAFASSOIst,ruzioni per esercizi spirituali al Clero. Torino 1893 (fuga del
mondo, p. 68-87); DONAUDI, Raccolta d'istyuzioni ed esortazioni dioote agli ecclesiatici e
specialmente ai chierici, Saluzzo 1848 (sullo scandalo, p. 272-291; sulle vacanze, p. 292-320).
(") CHIUSO, 111, P. 223 S. e specialmente CASALIDSi,zionario, 21, p. 466.468,
considerati con una certa insogerenza dai Superiori come fatale pericolo di
mondanizzazione (l2).
In tale contesto acquista più senso il gesto di Don Bosco, che preferisce
«chiudersi » in Seminario, piuttosto che rimanere ancora come pensionante
in città, dove aveva tanti amici. Anzi egli vuole romperla con le vecchie con-
suetudini, in quel che gli è possibile, per darsi pienamente a Dio. Siano o no
le espressioni pronunziate nell'atto della vestizione quelle riferite sulle Memorie
dell'Oratovio, con molta probabilità esse esprimono i sentimenti ch'egli allora
dovette avere: «Tanta roba vecchia da togliere, uomo nuovo da rivestire, in
modo che non fossero più partite, giuochi, salti, trastulli a rallegrarlo, ma la
giustizia e la santità, in modo da salvarsi l'anima, con l'aiuto anche di Maria
santissima » (I3).
2. L'ingresso In Seminario
È indicativo per scoprire lo stato d'animo di Giovanni Bosco neo-semiua-
rista, ciò che egli riferisce di un colloquio avuto nei primissimi giorni, durante
il triduo introduttivo di esercizi spirituali, col teologo Ternavasio, che sarebbe
stato suo professore di Filosofia: «Gli chiesi qualche norma di vita con cui
soddisfare a' miei doveri ed acquistarmi la benevolenza de' miei superiori » (l4).
Espressioni che, prese neUa loro materialità appaiono quasi fluite dal
linguaggio di Don Bosco educatore sperimentato. Più volte infatti egli pose
un quesito equivalente ai suoi ragazzi: «Voi domanderete che cosa dovrete
fare per far piacere a Don Bosco, e io vi rispondo: aiutatelo a salvarvi
l'anima » (l5); ma si riconosce facilmente che questa cura a volersi cattivare la
benevolenza degli altri, questo voler stabilire un'atmosfera di reciproco «pia-
cere », di sintonia e simpatia ben esprime il temperamento di Don Bosco, il
quale forse, mentre parlava al teologo Ternavasio, aveva presente quanto
aveva fatto con Don Calosso e forse anche con Don Pietro Banaudi. Coi supe-
riori del Seminario quindi avrebbe voluto continuare quel clima di familiarità
che aveva avuto con altri sacerdoti. E tuttavia dovette anche avvertire quanto
(12) La tendenza a eliminare i seminaristi esterni si fece sempre più forte; ma il
riordinamento dei seminari rorinesi secondo la fisionomia poi conservata per oltre u n tin-
quantennio si deve a mons. Gastddi. Tutravia ancora nei 1882 su 136 chierici del Seminario
. di Torino, studenti di teologia, 32 erano esterni; su
mano esterni. Cf. Calendarium liturgicum archidioecesis
8t6ausrtiunednesnitsi..di
filosofia a
scrf!andum
Chieri, 12
anno.1882:
Augustae Taurinorum, P. Marieoti 1881, p. 92. Elenchi di semuiaristi di Chieri ne& anni
in cui fu alunno Don Bosco, appartenenti già al teol. G . B. Appendini, sono ora all'AS 123.
(13) M0 p. 86 S. E sulla ritiraterza esigita dalla sua coscienza di chierico si ricordi
l'episodio della caccia: MO, p. 101.
(l4) M 0 p. 90.
('5) MB 15, p. 683. Si veda inoltre la voce Anima; Indice MB p. 14 S.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
di diverso vi era nel nuovo ambiente, che esigeva una disciplina e imponeva
« doveri » da soddisfare (l6).
I1 teologo gli rispose che avrebbe soddisfatto ai suoi impegni e si sa-
rebbe cattivata la benevolenza dei superiori mediante una sola cosa: « l'esatto
adempimento » dei suoi doveri. Diede cioè una risposta analoga a quella che
più tardi Don Bosco avrebbe dato a Domenico Savio (l7). Ma probabilmente
allora il chierico Bosco non pose l'adempimento del dovere quotidiano in rap-
porto alla «santità », divenuta bisogno impellente di Domenico, e avrà inteso
semplicemente che per diventare buoni sacerdoti occorreva compiere esatta-
mente i doveri del seminarista; non avrà badato, cioè, a certe deduzioni peda-
gogiche e spirituali, che probabilmente furono una conquista successiva della
sua esperienza di e'ducatore.
3. I superiori e i chierici
Don Bosco peraltro al suo professore non chiedeva soltanto come fare per
avere un'approvazione dei superiori sul compimento esterno e formale dei
propri doveri o anche sulla sincerità del suo impegno; chiedeva di più, chie-
deva la benevolenza, cioè la risposta all'affetto ch'egli nutriva per loro; chie-
deva l'appagamento a quell'istanza di amore che in parte gli era mancato nel-
l'infanzia, che aveva potuto soddisfare negli anni trascorsi da studente a C l e r i
stessa e a cui aveva dovuto rinunziare. Don Bosco, consapevolmente o no, po-
neva avanti la sua nativa capacità di simpatia, nel contesto del sacerdote ideale
ch'era venuto formandosi: il sacerdote cioè socievole e affettuoso.
« I o - scrive Don Bosco - amavo molto i miei superiori, ed essi mi
hanno sempre usato molta bontà, ma il mio cuore non era soddisfatto » (ls).
Nutriva cioè verso di loro un amore il cui fondamento più saldo era la consi-
derazione di essi come sacerdoti e come superiori.
Ma la realtà a Chieri sarebbe stata, almeno secondo il ricordo che ce ne
lascia Don Bosco, assai diversa dall'ideale:
« I1 rettore e gii altri superiori solevano visitarsi all'arrivo dalle vacanze e quando
si partiva per le medesime. Niuno andava a parlare con loro, se non nei casi di
ricevere qualche striiiata. Uno dei superiori veniva per turno a prestar assistenza
ogni settimana in refettorio e nelle passeggiate, e poi tutto era finito. Quante volte
('6) Sono i termini di DB. Ma non oseremmo, soltanto in base ad essi, stabiire h o
a che punto DB, forse per «combattere » il suo temperamento insistesse suhia morale dei
doveri, con sfumature che possono essere suggerite, ad esempio dal parroco lombardo An-
tonio RICCARDI(1788-1844), Dei doveri e dello spirito degli ecclesiastici, Brescia 1825;
o dell'arcivescovo di Bari, Michele Basilio CLARY (m. 1858), Lo spirito e i principali doveri
del sacerdozio cristiano esposti agli ecclesiastici in dieci omelie.. ., Todno, G. Marietti 1833.
(l7) BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenica, cp. 10, Torino, Paravia 1858 (LC),p. 51.
(l8) M 0 p. 91.
avrei voluto parlare, chiedere loro consiglio o scioglimento di dubbi, e ciò non poteva;
anzi accadendo che qualche superiore passasse in mezzo ai seminaristi, senza saperne
la cagione ognuno fuggiva precipitoso a destra e a sinistra, come da una bestia nera.
Ciò accendeva sempre di più il mio cuore di essere presto prete per trattenermi in
mezzo ai giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni occorrenia »(l9).
Colpiscono questi giudizi se si pensa che tutti i superiori erano tra i
trentacinque e i quarantacinque anni e vari di essi riinasero a lungo nel loro
ufficio ('O). D'altronde bisogna dire che il giudizio di Don Bosco è generico. Alla
sua mente forse si affacciava la figura di qualche superiore in particolare, o
forse della maggior parte; ma fuori dell'oriizonte rimase ad esempio quella
del teologo Appendini, suo professore negli ultimi anni di teologia, a cui rimase
profondamente affezionato e dal quale ricevette non pochi aiuti e prove di
amicizia ('l).
Anche della comunità dei chierici Don Bosco ci lascia un giudizio di
fondo negativo, perché la trovò diversa da quella che le sue idealizzazioni gli
avevano presentato:
«Debbo dire - egli scrive - per regola di chi frequenta il seminario,
che in quello vi sono molti chierici di specchiata virtù, ma ve ne sono anche
dei pericolosi. Non pochi giovani, senza badare alla loro vocazione, vanno in
seminario senza avere né spirito, né volontà del buon seminarista. Anzi io
mi ricordo di aver udito cattivissimi discorsi da compagni. Ed una volta, fatta
('9) M 0 p. 91.
(a)I superiori. del Seminario, non meno che i professori del Collegio di Cbieri, sono
lasciati sistematicamente nell'ombra dalle biografie su DB. Su di loro mancano assoluta-
mente indagini. Ai loro nomi sappiamo perciò soltanto aggiungere gli estremi anagrafici,
ricavati dali'elenco dei defunti cdito in appendice al Calendarium liturgicum annuale del-
i'arcbidiocesi i' Torino.
I1 rettore, teologo Sebastiano Mottura, nacque a Villafrancn nel 1795, fu canonico
dell'insigne collegiata di Giaveno, dove morl il 30 novembre 1876. I1 direttore spirituale,
Giuseppe Mottura, n. a Villafranca nel 1798; anch'egli fu canonico dell'insigne collegiata
di Giaveno, dove morl il 21 mano 1876. Economo fu il teologo Aiessandro Pogolotti, n. a
Giaveno, canonico dell'insigne collegiata di Chieri e, a sua voita, rettore del seminario;
m. a Chieri 1'8 marzo 1878 a 64 anni. Il teologo Ternavasio, professore & filosofia, n. a
Bra, era dottore in filosofia, cavaliere dolhrdine dei SS. Maurizio e Lazzaro, m. a Bra il
14 novembre 1886 a 80 anni. I1 teologo Lorenzo Prialis, professore di teologia, n. a Virle,
m. vicecurato a VSgone il 5 febbraio 1868 a 65 anni. Il teologo Innocenza Arduino,
canonico preposito dell'insigne collegiata di Giaveno, vicario foraneo, commendatore del-
l'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, m. a Giaveno il 15 gennaio 1880 a 74 anni. I1
teologo Giov. Battista Appendini da ViUastellone, beneficiato, m. in patria il 3 luglio 1892
a 8~5.anni. Sul curriculum dei Mottura e del Porolotti come canonici a Cbieri, cf. VALIM-
~
BERTI, Spunti storico-religiosi, 1, p. 326s.
(21) Si conservano sue carte riguardanti il Seminario di Chieri in AS 123; lettere
scrittegli da DB in AS 131.01. Dai suoi incartamenti, ceduti ai Salesiani, provengono
circolari di DB antcrioni al 1853 che sarebbero state altrimenti introvabili, ora all'AS 131.04.
Su di lui si veda ancora Indice MB p. 505.

3.8 Page 28

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
rso vi era nel nuovo ambiente, che esigeva una disciplina e imponeva
« doveri » da soddisfare (lb).
I1 teologo gli rispose che avrebbe soddisfatto ai suoi impegni e si sa-
rebbe cattivata la benevolenza dei superiori mediante una sola cosa: « l'esatto
adempimento » dei suoi doveri. Diede cioè una risposta analoga a quella che
più tardi Don Bosco avrebbe dato a Domenico Savio(I7). Ma probabilmente
allora il chierico Bosco non pose l'adempimento del dovere quotidiano in rap.
porto alla «santità », divenuta bisogno impellente di Domenico, e avrà inteso
semplicemente che per diventare buoni sacerdoti occorreva compiere esatta-
mente i doveri del seminarista; non avrà badato, cioè, a certe deduzioni peda-
gogiche e spirituali, che probabilmente furono una conquista successiva della
sua er?perienza di educatore.
3. I superiori e i chierici
Don Bosco peraltro al suo professore non chiedeva soltanto come fate per
avere un'approvazione dei superiori sul compimento esterno e formale dei
propri doveri o anche sulla sincerità del suo impegno; chiedeva di più, chie-
deva la beneuolenza, cioè la risposta all'affetto ch'egli nutriva per loro; chie- l
deva l'appagamento a quell'istanza di amore che in parte gli era mancato nel-
l'infanzia, che aveva potuto soddisfare negli anni trascorsi da studente a Chieri
stessa e a cui aveva dovuto rinunziare. Don Bosco, consapevolmente o no, po-
neva avanti la sua nativa capacità di simpatia, nel contesto del sacerdote ideale
- - ch'era venuto formandosi: il sacerdote cioè socievole e ..a..ff.e.t-r.~..i.o-s.o
~
« 10 scrive Don BOSCO amavo molto i miei superiori, ed essi mi
hanno sempre usato molta bontà, ma il mio cuore non era soddisfatto » (18).
Nutriva cioè verso di loro un amore il cui fondamento più saldo era la consi.
derazione di essi come sacerdoti e come superiori.
Ma la realtà a Chieri sarebbe stata, almeno secondo il ricordo che ce ne
lascia Don Bosco, assai diversa dall'ideale:
« 11 rettore e gli altri superiori solevano visitarsi all'arrivo dalle vacanze e quando
si partiva per le medesime. Niuno andava a parlare con loro, se
nei casi di
ticevere qualche strillata. Uno dei superiori veniva per turno a prestar assistenza
ogni settimana in refettorio e nelle passeggiate, e poi tutto era finito. Q~~~~~volte
(16) Sono i termini di DB. Ma non oseremmo, soltanto in base ad essi, stabilire h o
a che pnnto DB, forse per « combattereu il suo temperamento insistesse sulla morale dei
doveri, con sfumature che possono essere suggerite, ad esempio dal parrom lombardo An-
tonio RICCARDI(1788-1844), Dei doveri e dello spirito degli ecclesiastici, Brescia 1825;
. o deli'arcivescovo di Bari, Michele
del sacerdozio cristiano esposti agli
Basiiio CLARY
ecclesiastici in
(dmie.ci1o85m8e1l,ieLo..s,pTiroitmoneo,iGp.rMincairpiaeltitid1o8u3e3ri.
(17) Bosco, Vita del giouanetto Savio Domenico, cp.10, Torino, Paravia 1858 (LC),p. 51.
(l8) M 0 p. 91.
avrei voluto parlare, chiedere loro consiglio o scioglimento di dubbi, e ciò non poteva;
anzi accadendo che qualche superiore passasse in mezzo ai seminaristi, senza saperne
la cagione ognuno fuggiva precipitoso a destra e a sinistra, come da una bestia nera.
Ciò accendeva sempre di più il mio cuore di essere presto prete per trattenermi in
mezzo ai giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni occorrenza »(l9).
Colpiscono questi giudizi se si persa che tutti i superiori erano tra i
trentacinque e i quarantacinque anni e vari di essi rimasero a lungo nel loro
ufficio ('O). D'altronde bisogna dire che il giudizio di Don Bosco è generico. Alla
sua mente forse si affacciava la figura di qualche superiore in particolare, o
iorse della maggior parte; ma fuori deli'orizzonte rimase ad esempio quella
del teologo Appendini, suo professore negli ultimi anni di teologia, a cui rimase
profondamente affezionato e dal quale ricevette non pochi aiuti e prove di
amicizia (2L).
Anche della comunità dei chierici Don Bosco ci lascia un giudizio di
fondo negativo, perché la trovò diversa da quella che le sue idealizzazioni gli
avevano presentato:
«Debbo dire - egli scrive - per regola di chi frequenta i1 seminario,
che in quello vi sono molti chierici di specchiata virtù, ma ve ne sono anche
dei pericolosi. Non pochi giovani, senza badare alla loro vocazione, vanno in
seminario senza avere spirito, né volontà del buon seminarista. Anzi io
mi ricordo di aver udito cattivissimi discorsi da compagni. Ed una volta, fatta
(19) M 0 P. 91.
lascia(tias)isItematicamdeenltenSeelml'oinmabriroa,
non meno che
daile biografie
i professori del
su DB. Su di
Collegio di Chieri, sono
loro mancano assoluta-
indagini. & lolo nomi sappiamo percià soltanto aggiungere d i estremi anagrafici,
ricava,j dalyelenco dei defunti edito in appendice al Calendarium liturgicum annuale del-
l'archidiocesi di Torino.
11 rettore, teologo Sebastiano Mottura, nacque a Villafranca ne1 1795, fu canonico
delrinsignecollegiatadi Giaveno, dove mori il 30 novembre 1876. 11 direttore spirituale,
~i~~~~~ ~ ~ t at V.~tllafr~anca~nel ,1798; anch'egli fu canonico dell'insiye cokiata
di ~
i dove ~ il 21~marzo 1~876. Eco~nomo fu~ il teolo,go Alessandro Pogolotti, n. a
~
i canoni~co dell'ins~igne col~iegiata d~i Chieri~e, a su,a vol'ta, rettore del Wninario;
m. a chieri 1'8 marzo 1878 a 64 anni. teologo Ternavasio, professore di filosofia, n. a
B ~er~a d,ottore in filosofia, cavaliere deil'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, m. a Bra il
. 14 novembre 1886 a 80 anni. I1 teologo Lorenzo Prialis, professore di teologia, n. a Viri'=,
m. vicecuratoa V,&one il 5 febbraio 1868 a 65 anni. Il teologo In~ocenzoArduin,o,
canonico prcposito dell'insigne collegiata di Giaveno, vicario foranw, commendatore del-
l'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, m. a Giaveno il 15 gennaio 1880 a 74 anni. I1
teologo Giuv. Battista Appenàini da Vaasteilone, beneliciato, m. in patria il 3 luglio 1892
a 85 anni. Sul curriculum dei Mottura e del Pogolotti come canonici a Chieri, cf. VALIM-
BERTI, Spunti storico-religiosi, 1, p. 326 S.
(21) Si conservano sue carte riguardanti il Seminario di Chieri in AS 123; lettere
scrittegli da DB in AS 131.01. Dai suoi incartamenti, ceduti ai Salesiani, provengono
r i r r o l a r i d-i.n-R- nnte~rio-ai- a~l 1~853~ c-he sarebberostate altrimenti introvabili, ora all'AS 131.04.
Su di lui si veda ancora 1udice MB p. 505.

3.9 Page 29

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
e ad alcuni allievi, furono trovati libri empi ed osceni di ogni
Giudizi, questi, che troverebbero la conferma nelle raccomandazioni la-
sciategli da Luigi ComoUo morente. Segno dunque che effettivamente anche
a Chieri si era manifestata la piaga del seminarista privo di seria vocazione
ecclesiastica, che si constatava nel medesimo tempo altrove(z3).
Sembrerebbe cosi che in Don Bosco durante gli anni di Seminario sia
stato talora operante un sentimento di sofferenza, se non proprio di diffidenza,
verso la cerchia dei compagni e dei superiori, che tuttavia amava e rispettava;
dovette manifestarsi talvolta in lui un qualche scompenso affettivo, sia pure
non in forma drammatica; una mancan~adi risposta pienamente appagante
ad alcune istanze del suo spirito, quale il bisogno di iin'amicizia e confidenza
completa: uno sbalzo avvertito forse più acutamente iiel passaggio dal libero
ambiente studentesco al chiuso, regolamentato e non del tutto ideale ambiente
seminaristico. I1 periodo del seminario. perciò, dovette essere in una qualche
misura (non facilmente precisabile!), tempo di inibizione affettiva, che si rifletté
suUe sue condizioni fisiche e che, per reazione, lo spinse sulla via dell'auto-
controllo; suUa via dell'impegno ascetico accentuato, che servisse di garanzia
e di barriera contro i pericoli di qualche frivolezza ambientale che lo aveva
impressionato; su quella del lavoro di sfrondamento, di potatura di tutto quanto
poteva apparire condiscendenza al mondo, che d'altra parte I'ascetica sacer-
dotale del tempo gl'imponeva di fuggire e interiormente condannare (24). Via
- sulla quale - per poco che si rifletta tra le cose che non dovevano mancare,
e che mancavano, vi era anche l'opera di un direttore spirituale che aiutasse
a ben regolarsi. E invece in foro esterno il direttore spirituale in seminario era
poco più che un maestro di cerimonie e per il foro interno Don Bosco era ancora
affidato al canonico Maloria, il quale, molto probabilmente non era messo al
(a)M 0 p. 91.
(a)Sono affermazioni che
si
leggono già
in
AS
133
Comoilo:
Infermità.. .
riportate
cttiorvanit,triia.tl.otn.cicphnaiorlnnoondsoesgnoolistasctnaeztstisiaivliic,soummiapCagneonnninicmhsiteoorlriticocii,,becupoa.nn5ic,h, eapl.tste6im3pison:iar«issAotin;vovaelvcreutirnaifmindeainlmteesesnbituesooncnoion. .cc.ah»t-i.
(24) Estremo contrasto si constata tra le pagine che DB dedica nelle M 0 alla propria
vita di studente e la testimonianza di
Seminario: « Ii povero Bosco.. . uso
mons. Teodoro
sempre a far
Dalfi, lauarista,
due passi so di
suuonacompipaangenlola.d. .i
Nessuno lo vide correre mai, n6 ricordo che mischiasse carte o t*rrocchi, o Leggesse ro-
manzi, o libri di poesie » (MB l , p. 408). Due casi sono possibili: o che DB abbia al-
quanto accentuato d i elementi deUa sua «conversione» in Seminario; oppure che mons.
Dalfi abbia idealizzato I'esemplarità di DB seminarista. Congetture, queste, che non è lecito
forzare e che manifestano, nel nostro caso, le difficoltà di una ricosemiione in chiave
psicologica.
Qui è da ricordare anche ciò che Don Giacomelli depose al processo di heatificazivne
(ad 11"') su
1837) «mi
DB
vidi
seminarista.
avanti un
cPhrieesroicpoo..s.topnaelllildaos,alma adgirostuedisoempberravlaa
prima volta
sofferente.
(novembre
Si sarebbe
detto che con difiicoltà avrebbe resistito agli studi fino alla fine dell'anno ». Cf. MB 1, p. 404.
58
corrente di tutto, e perciò non poteva svolgere pienamente il ruolo di equili-
bratore ed eventuale risanatore.
Don Bosco s'interdisse i giochi di movimento, si ridusse a camminare
posatamente, smise i giochi da tavolo; raramente s'incontrò nei giorni d i par-
latorio con i suoi antichi compagni di vita studentesca, i quali d'altronde erano
entrati quasi tutti in Seminario (z). E qui, nonostante le relazioni con l'am-
biente che gli venivano offerte da pubbliche adunanze accademiche o, negli
ultimi anni, dall'ufficio di prefetto, Don Bosco rimase appartato, come sacre-
stano e con una cerchia ristrettissima di intimi amici: il poirinese Guglielmo
Garigliauo, fartosi seminarista il medesimo anno e due altri, giunti l'anno suc-
cessivo: l'aviglianese Giovanni Giacomelli (26),che sarebbe stato poi il suo con-
fessore a Toririo dopo la morte del te01 Golzio, e Luigi Comollo. Si comprende
dunque per quale complesso di ragioni questi tre per Giovanni Bosco, assetato di
amicizie e di stimoli a una religiosità intensa, siano stati un vero « tesoro >>(n).
4. L'insegnamento seminaristico e i suoi riflessi religiosi
Anche sull'insegnamento delle materie ecclesiastiche ricevuto in Semi-
nario Don Bosco esprime un giudizio complessivo d'insoddisfazione. Là, egli
dice, s'insegnava « l a dommatica, la speculativa », quasi intendendo dire che
s'insegnava qualcosa di puramente teorico, di astratto; s'insegnavano
deUa morale « soltanto le proposizioni controverse D. Al Convitto ecclesiastico,
invece, s'imparò « ad essere preti » (28):l'insegnamento cioè, al Convitto, servì
realmente alla vita pastorale.
1\\ 23,) Stando a auanto riferisce DB. dei venticinq-ue suoi colle.& di retorica VenNnO
abbracciarono io sta; ecclesiastico. Cf. MO p. 82.
In linea con la condotta riservata ch'egli assunse sono i considi che asserisce d'aver
avuto dal teologo Borel: «Colla ritiratezza e coWa frequente comunione si perfeziona e si
conserva la vocazione e si forma un vero ecclesiastico » (M0 p. 109); «Colla ritiratezza
e colla frequente comunione si conserva e si perfeziona la vocazione » (M0 p. 114). Un
anno prima ch'egli scrivesse le
molto pensiero per la scelta
M 0 diede
dello stato
seugf agebriemneen..ti.
analoghi a una signora: «
La preghiera, la frequente
Ella si
Comu-
nione, la ritiratezza ne sono le basi n (A N.N., Torino, 24 marzo 1872, orig. presso la casa
sdesiana di Chiari - Brescia).
(26) Indice MB p. 553. Don Giacomeili n. ad Avigliana, fu a Torino cappellano dei-
YOspedaletto di S. Filomena, confessore di DB dopo la morte del teologo Felice Golzio
(m. 27 marzo 1573 a 65 anni); m. 8 28 luglio 1901. Venne commemorato dal Bollettino
salesiano, 25 (1901) p. 295 S. Lo si Crova talora nominato come Convittore nella Positio
e nella biografia di Don Cafasso. Come Guglitlmo Garigliano, stando al ricordo dedi
- anziani. non era una oersonalità s~iccata.
( n )M 0 p. 92.
(29) M 0 p. 121:
«Ne' nostri
seminari si
studia soltanto
la
dommatica . . .
Qui
(al
Convitto) si impara ad essere preti ». L'allusione al seminario di Chieri è sol: kplicit?.
Per usare una qualche delicatezza verso il proprio Seminario DB chiama in causa 11
sistema d'insegnamento allora vigente nei seminari.

3.10 Page 30

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Forse negli anni di Chieri Don Bosco non ebbe così netta la contrappo-
sizione che rilevò sulle Memorie dell'Oratorio, ponendo il Seminario in
controluce rispetto al Convitto; ma già allora chierico a Chieri poteva ben
avere quel senso di scontento, a cui poi diede la motivazione che abbiamo
sentito, in seguito alla scuola del Convitto, e perciò in seguito alle critiche
che probabilmente udì muovere contro gli ordinamenti seminaristici.
Non erano infatti né peregrine, né nuove nell'ambiente torinese le ac-
cuse di astrattezza all'insegnamento scolastico e seminaristico, salite fino ai
tempi di Don Bosco da quelli di Montaigne, di Cartesio, degli Illuministi,
degli stessi filosofi e teologi cattolici che rimproveravano alla filosofia e teo-
logia scolastica lo stato di decadenza in cui si era ridotta; fissatasi al sillogizzare
per sillogizzare, preoccupata di allenare i giovani alunni a giostrare l'un contro
l'altro armato nelle tornate accademiche, con sottili e pungenti sillogismi, per
imparare a usarli con fortezza e maestria allorché si sarebbe dovuto giostrare
seriamente per le vie della vita contro scaltriti avversari, eretici o incredulitn).
Alla teologia qualche scrittore, non del tutto oscuro e anelante al rinnova-
mento della Chiesa, rimproverava di avere tradotto il Cristianesimo - realtà
che impegnava - in formule astruse, non rispondenti al linguaggio e al sen-
timento dei tempi. La vita di grazia, la vita della Chiesa, il mistero di Dio e
della salvezza, tutto era stato tradotto in linguaggio di scuola; e la formazione
dei giovani teologi consisteva nel seminario e nelle Università, nella deforma-
zione del loro modo di pensare; in modo che, quando avrebbero dovuto par-
lare ai fedeli, se erano pastori zelanti, avrebbero dovuto disimparare quel modo
di esprimersi (che nessuno comprendeva), se non si voleva rendere inutile il
sangue di Cristo, la missione salvifica della Chiesa, l'opera dei sacri ministri.
Ciò che gli ecclesiastici di Torino potevano leggere sull'edizione torinese
del Theologus Christianus di Giovanni Opstraet (%) e sulla Storia ecclesiastica
( 8 )L'immagine dei sillogizianti che giostrano si trova in una inedita critica dei
teologo Giuseppe Ponte, bibliotecario del Seminario di Asti, attorno al 1740. Cf. Asti,
Bibl. del Seminario MisccU. non catdogata.
(3)Giovanni OPSTRAET (1651-1720),Theologus Christianus, siue ratio stndii, et oitae
insrituerida a theologo, qui re ad ordines sacros, atque ad directionem animarum disponit,
Taurini, ex typ. Regia 1769 (specialmente pt. 2, cp. 3 s, dedicati alla scolastica e d a ca-
sistica).
Dell'Opstraet citiamo solo un testo significativo: « Testantur Pastores, qui aliquando
cum laude in academia disputarunt, parum sibi in regimine animarum prodesse tot quae-
stiones, et terminos scholasticos, non tam theologicos, quam philosophicos, quihus olim
incalescebant, dolentque vehementer se tempora tam multa, tamque pretiosa dedisse uni
scholasticae, quam postea dehuerunt dediscere, cum aiit nihil, aut parum dederint scientiae
Sanctonim, quam unam discere dehuerant, ut aiios possent docere 3, (Theologus Chrirtianus,
pt. 2, monitum, ed. cit., p. 160).
Espressioni analoghe si trovano in Rosmini (Delle cinque piaghe della santa Chiesa),
che cita frequentemente un'opera che DB conosceva: la Storia ecclesiastica del Fleury, in
Gioberti (Il gesuitn moderno), in Manmni (Osservazioni sulla morale cattolica, cp. 4 ) che,
a sua volta si fonda sul Fleury, Les moeurs des israélites et dcs chréticnr, pt. 2, § 65,
del Eleury, era in qualche modo ripetuto dal Rosmini, che denunziava come
prima piaga della Chiesa il fatto che i ministri di questa e i fedeli non si inten-
devano neinmeno nel culto, perché erano rari i laici che, senza speciale cul-
tura e grazia di Dio, potevano introdursi a capire il latino e il linguaggio sim-
bolico della liturgia (").
Eppure, nonostante tutto, la teologia dogmatica di allora, che poneva
ogni cosa sotto la luce della predestinazione o della libera corrispondenza alla
grazia, sotto la luce del conto da rendere al giudice divino, nell'attesa della
vita o della morte eterna, finiva per abituare a considerare ogni cosa nel
valore che aveva per l'eternità, tutto come ragione di premio o di condanna.
E In teologia morale, con le sue poleiniche sul probabilismo e il probabilio-
rismo, incentrando ogni cosa nel rapporto tra legge divina e libertà, educava
a considerare il proprio agire come responsabile adeguazione alla legge divina.
E così dommatica e morale, a loro modo, servivano a rendere presente e assi-
duo il senso di Dio e la consapevolezza del proprio rapporto con lui.
Oggi quasi nulla abbiamo che ci aiuti a ricostruire in ogni particolare
le fasi della formazione filosofica e teologica di Don Bosco al seminario di
Chieri. Abbiamo soltanto alcune pagine autografe (piene di incertezze orto-
grafiche e di piemantesismi!) di introduzione alla Filosofia. Vi si parla di Dio:
« il solo . . . veramente sapiente », mentre gli uomini « sono studiosi piuttosto
della Sapienza, che Sapienti ». Vi si discorre dell'uomo, che « cerca la verità
ed ama l'onestà », si definisce i'umana sapienza <( una sincera affessione ( s i c )
dell'animo, colla quale le nostre facoltà col lume della ragione sono animate
al cercamento della verità, ed a culto della virtù, accioché possiamo essere
felici »,si pone così l'accento su elementi platonici, non dimenticando di dare
un posto agli elementi affettivi; si tiene conto dell'istanza morale ed eudemo-
nistica ribadita dalla filosofia settecentesca e si giunge a definire la filosofia:
« Scienza del vero, e del boizo, derivata dalla retta ragione [ e ] procacciata
Multitude des docteurs.
Neil'ambito delle conoscenze di DB è da ricordare l'istmuione pastorale di mons.
Chiaveroti, del 9 dicembre 1820, ristampata poi nel 1835. L'arcivescovo deplora la frattura
tra swaci ddla morale severa e seguaci dehla benigna, tra le scuole rigide e le benigne.
Invita piuttosto a ispirarsi al Nuovo Testamento e ai Padri della Chiesa, a in quibus major
sontentiaium consensio, quam in posterioris aevi scriptoribus invenitur » (Cf. CHIUSOL,a
Chiesa in Piemonte, 3, Torino 1889, p. 101-103).
Alla scolastica dunque facilmente si attribuiva, oltre che l'astrattismo il raziocinio
esagerato e la critica, la decadenza dei costumi e la crisi den'unità tra i pastori. Facilmente
daile Provinciali di Pnscal in avanti i temini di Scolastica e Casistica, divenuti dominio
puhhlico deUa media cultura sacra e profana, evocavano un senso di disagio, se non di
disapprovazione assoluta.
Non ci semhra comunque del tutto infondato il supporre una qualcbe ripercussione
di questi sentimenti anche in un Seminario quale era quello di Chieri ai tempi di DB.
(31) E la e piaga della mano sinistra della santa Chiesa, che è la divisione del Popolo
dal Clero nel pubblico culto». AUe ripercussioni pastorali si bada anche nel discorso
sulla piaga della mano destra e che è la insufficiente educazione del Clero D.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I

4.2 Page 32

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
diando il trattato de praedestinatione - riferisce Don Francesia -, provò e
sentì paura della propria salute, ne parlò nella scuola, ne parlò anche privata-
mente coi professori, ebbe qualche conferenza anche in privato col rettore,
ma nulla lo poteva tranquillizzare n (").
Le parole di Don Francesia ricevono una conferma e, a loro volta, danno
luce a una testimonianza, senza dubbio di solido fondamento documentario,
che si trova sulla Cronaca di Don Ruffino (16 gennaio 1861):
'
« D. Bosco fu interrogato del suo parere intorno ai sistemi dell'efficacia
della grazia e rispose: Io studiai molto queste questioni, ma il mio sistema è
quello che ridonda a maggior gloria di Dio. Che m'importa di avere un sistema
stretto e che poi mandi un'anima all'inferno, o che abbia un sistema largo
purché mandi anime al paradiso?» (38).Stando a quel che scrive Don Ruffino,
Don Bosco non sarebbe sceso ai particolari riferiti da Don Francesia, non
avrebbe manifestato crisi interiori sofferte per quel motivo in Seminario o
altrove. Tuttavia ci sembra legittimo il riconoscervi compendiata quella che,
forse già in seminario, dovette essere più che un'accademica ricerca di una solu-
zione teoretica valida al problema di libertà e grazia, il travaglio interiore di
chi si sente personalmente toccato dall'interrogativo della salvezza eterna.
« Dopo di avere molto tempo sofferto sotto a questa impressione e caduto
ainmalato, - continua Don Francesia -, fu visitato dal confessore, che gli
disse: « Bosco, che cosa sta scritto nel Vangelo?». Molte cose si leggono nel
Vangelo. « Voglio dire, che cosa domanda il Signore per la vita eterna? non
è scritto si vis ad vitarn ingredi, intendi si vis? La sua grazia non ti manca,
basta che ci sia la tua corrispondenza n. Queste parole gli ridonarono la pace,
e tutto confidando nel Signore, continuò nei suoi studi. Questi suoi timori mi
furono confidati da Don Bosco stesso » (lg).
I n questa tormenta interiore motivata dall'insegnamento scolastico è da
vedere anche una delle ragioni dell'atteggiamento critico di Don Bosco: si
insegnava « la speculativa »; e non si badava sufficientemente al fatto che una
dottrina discussa e discutibile, presentata come la vera o « la più vera », era
talvolta causa di mortali lacerazioni interiori.
Bisogna aggiungere che 1s letteratura spirituale del tempo, l'oratoria sacra
per i seminaristi e i sacerdoti, contribuiva ad alimentare lo stato di angoscia
che poteva germinare in anime religiosamente sensibilissiine, come S. Fran-
cesco di Sales (o come Lutero) (").
anche a noi - è difficile distinguere dove arrivi la realtà oggettiva, la idealizzazione o
la ricostruzione Rmmaginosa. Don Desramaut (o.c., p. 197 e nota) sottolinea l'episodio
che stiamo evocando come una singolarità nelle testimonianze di Don Francesia. Occorre,
evidentemente, riesaminare con attenzione i ricordi, sempre interessanti, affidati da Don
Francesia soprattutto alle Memorie di Saleriani defunti pubblicate a S. Benigno e a Torino
sui
finire
del
secolo
scorso
e
aii'iniaio del
~
n~o~s~t~ro-~.
("1 Poritio ruper introduct. canrae, interrog. ad 12m, Cf. AS 161. 1 Francesia.
AS 110 RufKno 9, p. 43, MB 6, p. 832.
("1 Interrog. ad 12m. AS 161. 1 Francesia.
("1 Sui quali si vedano ad esempio E.-M. LAJEUNISEa,ivt Fran~oir de Sales, Paris
Don Bosco poteva benissimo essere persuaso che quella allo stato eccle-
siastico era la sua vocazione; poteva anche essere convinto che l'averla seguita
era per lui già garanzia di salvezza; credere che i sogni gli annunziavano in
maniera straordinaria quale sarebbe stato il bene che avrebbe dovuto compiere.
Ma presto avrà avuto modo di scoprire anche l'illusione che poteva nascondersi
nella persuasione di trovarsi per ciò stesso sulla via che lo avrebbe condotto a
salvamento.
I n realtà egli poteva soltanto dire che si era incamminato sulia via che
per volere di Dio avrebbe dovuto percorrere. Ma a ben guardare, non avrebbe
tardato a scoprire che non era per nulla un arco trionfale, ma un pergolato di
rose che occultava dolorosissime spine.
«Pochissimi sacerdoti si salveranno »: questo era il titolo di una consi-
derazione che Giamhattista Compaing faceva fare ai sacri ministri in un'opera
stampata a Bergamo nel 1824 (41).
«Purtroppo è certo - predicava Don Cafasso - che qualcuno tra i
Sacerdoti andrà a perdersi; 2': ognuno di noi può correre questo pericolo se
non stiamo bene in guardia » (").
Si accentuasse o no la dottrina del piccolo numero degli eletti; si accen-
tuasse o no quella della via stretta; tutti, rigoristi e benignisti, predicando a
sacerdoti, si ponevano nella prospettiva della salvezza eterna; argomentavano
dalla dignità e santità richiesta dal sacerdozio; dalle grandi e difficili obbliga-
zioni ch'esso imponeva (più grandi e più ardue che non quelle dei semplici
fedeli); dai doveri verso Dio, verso se stessi e verso il prossimo; dai pericoli
grandissimi che provenivano dal ministero sacro (pericoli di mondo, di donne,
di dissipazioni di ogni genere); dall'uso frequente con le cose sacre, che avrebbe
logorato l'antico fervore e che avrebbe portato - come denunziava S. Alfonso -
a « strapazzare » il terribile sacrificio della Messa e il divino ufficio ("); si
argomentava dalle durissime e frequentissime tentazioni con le quali il demo-
nio avrebbe insidiato i sacerdoti a preferenza dei secolari ("); dal conto rigoroso
che il divino sovrano avrebbe chiesto ai suoi ministri("); si constatava che
anche i sacerdoti potevano essere fichi sterili, servi infedeli e inutili, nuvole
1966 e J. LORTZDi,e Rejormation in Deutschland, Freiburg 1941.
amo (41) 1.-B. COMPAIN(1G652-1718),Della santità e dei doveri de' sacerdoti.. ., pt. I ,
cp. 18,
1824, p. 154.161.
(42) G. CAEASSOM,editazioni per esercizi spiriiuali al Clero. Med. 7. I1 Sacerdote
oWInferno, Torino 1923, p. 162.
(4) La Messa e I'Officio strapazzati è il titolo di una nota operetta di S. Alfonso,
edita anche in Piemonte. Cf. M. DE MEULEMEESTEBRi,bliogr. générale des écriuains Ré-
demptoristes, 1, La Haye-Louvain 1933, p. 113; 187 S. S. ALEONSO,Opere ascetiche, 3,
Torino, Matietti 1847, p. 832-864.
(W) S. ALEONSSOel,va di materie predicabili, pt. 1, ap. 4, n. 15: Attenti, sacerdoti
miei, perché i demonj tentano più un sacerdote che cento secolari; poiché un sacerdote
che si danna ne vorta molti seco all'inferno~(Opere ascetiche, 3, Torino, Marietti 1847,
p. 16).
(4s) S. ALEONSOSe,loa di materie predicabili, pt. 1, cp. 2, n. 8, ed. cit., p. 16.
65

4.3 Page 33

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
senz'acqua (*); e si finiva per contemplare con doloroso stupore il sacerdote,
cibo - come diceva S. Girolamo - prcferito dai demoni (47),precipitato dal
Santuario nella voragine("); sacerdote in eterno, ma « miserabile, fatto vero
figlio di perdizione! sacerdote, ma senza Dio; sacerdote, ma senza altare; sa-
cerdote, ma senza sacrificio che lo salvi; sacerdote che non ha più che il nome
ed il marchio a sua eterna infamia, a eterno suo tormento!» (49).
I1 chierico che rifletteva seriamente su queste cose finiva per persuadersi
che il sacerdozio era qualche cosa di grande e di terribile, che poteva essere
argomento di maggior premio o di maggior condanna; che la sua condizione
di ecclesiastico non solo non risolveva, ma aggravava il problema della sal-
vezza personale. L'aver scoperto che il Signore chiamava, l'aver riposto al
primo appello poteva essere una consolazione; ma rimaneva aperto con i suoi
terribili interrogativi e carico di incertezze il problema della perseveranza
finale.
5. Le letture in Seminario
Nelle Memorie dell'Oratorio Don Bosco ci confida che un altro motivo
di crisi interiore fu per lui la scelta delle letture (accentuando forse i termini
del contrasto nella preoccupazione di ammaestrare i suoi figli):
«Abituato alla lettura dei classici in tutto il corso secondario, assuefatto
alle figure enfatiche della mitologia e deile favole dei pagani, non trovava
gusto per le cose asceiiche » ('O).
Egli, studente laico, si sarebbe accostato ai classici latini, greci e italiani
delle edizioni popolari Pomha ('I) con uno spirito aperto ed entusiasta analogo
a quello degli umanisti del Quattrocento, ma, spinto dal sentimento religioso,
avrebbe sofferto dentro di sé nella persuasione « che la buona lingua e la elo-
quenza non si potesse conciliare colla reli;oione n.
« Le stesse opere dei santi Padri mi sembravano parto di ingegni assai
(a)Nicole BELON (1690-17621, gesuita, Trattato della perfezione dello stato ecclesia-
stico, pt. 2, cp. 1, Venezia 1768, p. 293.
(47) CAFASSMO,editazioni, p. 159.
(") Stanislao DONAUDNI,ove conferenze agli ecclesiastici, Saluzzo 1847, p. 148.
(49) CAEASSMOe,ditazioni p. 152. Idee analoghe si possono ttovare nella letteratura
che il Piemonte allora poteva offrire ai sacerdoti: Claude ARVISENEMTem, oriale vitae sacer-
mdoatraulmi~.,.T.a,uTrianui,rinFir,anJoc.s.
Prato 1795; Cado Andrea BASSO,Vita sacerdotis et curatoris ani-
Rameletti 1773; Carlo Emanuele PALLAVIC(I1N71I9-1785), Lettera
al Sacerdote novello sul grande mezzo di santificarsi nel suo stato.. ., Pinerolo 1781 (se
ne fecero varie edizioni: cf. C. SOMMERVOGEL, Biblioth. de la Compagnie de J é s ~ sB, ruxel-
les-Paris, 6 , 1895, ci. 112-114); Giuseppe RICHETTI,Il mese di Maria ossia il mese di mag-
. 8" consacrato a Maria Santissima proposto agli ecclesiastici, Torino, Marietti 1838; Sinone
SALAMO-MelchiorrGe ELABERT, Regula Cleri ex sac~isliteris . ., Taurini, typ. Regia 1762.
(m) M 0 p. 109.
Cf. cp. prec nota 52
limitati, eccettuati i principii religiosi, che essi esponevano con forza e chia-
rezza » (").
Negli anni di Seminario sarebbe ristagnata nel suo spirito questa contrap-
posizione tra arte e religiosità: uno dei tanti contrasti ch'erano venuti esplo-
dendo nell'età moderna, che veniva contrapponendo fede e scienza, religione
naturale e religioni positive; umano e divirio. Come Diderot fuggiva le pro-
cessioni religiose con un senso di tedio e di rivolta, così (ci si perdonerà il
paragone?) Giovannino Bosco si era intimamente persuaso che arte e religione
non si potevano conciliare.
Ora che era in Seminario, doveva decidersi a scegliere tra due valori che
vedeva ( o in qualche modo sentiva) contrastanti, per un processo mentale ch'era
più vicino a quello dell'età dei lumi che non a quello del Romanticismo. E
come ecclesiastico non poteva non scegliere la letteratura religiosa, di cui perciò
in qualche modo si costrinse a vedere le bellezze e la superiorità su quella
profana.
Egli ci riferisce che fu risolto alla scelta definitiva dal De imitatione Christi,
che lesse all'inizio del secondo anno di filosofia (novembre 1836). Si obbligò
a badare non ai valori estetici, ma a quelli etici, rinunziando così a quanto
prima aveva apprezzato, ma che ora gli appariva come qualcosa di « mondano »,
e quasi un nonvalore sul piano religioso. Leggendo il D e imitatione Christi
- egli continua - «non tardai ad accorgermi, che un solo versicolo di essa
conteneva tanta dottrina e moralità, quanto non avrei trovato nei grossi volumi
dei classici antichi. È a questo libro - soggiunge - cui son debitore di aver
cessato dalla lettura profana » ('9. Una decisione e un trapasso, che avvenne
forse senza grandi drammi, senza sofferte crisi e fu forse solo il superamento
di un certo disagio davanti al tipo di letture che ormai gli offriva il Seminario.
Egli stesso ci ricorda quale fu (approssimativamente)' la successione delle
opere che da allora lesse:
« Datomi pertanto alla lettura dei Calmet, Storia dell'Antico e NUOVO
Testamento, [passai poi] a quella di Giuseppe Flavio, Delle Antichità giu-
daiche, Della Guerra giudaica; di poi di Monsig. Marchetti, Ragionamento
sulla Religione, di poi Frayssinous, Balmes, Zucconi, e molti altri scrittori reli-
giosi, gustai pure la lettura del Flenry, Storia Ecclesiastica, che ignorava essere
libro da evitarsi. Con maggior frutto ancora ho letto le Opere del Cavalca, del
Passavanti, del Segneri e tutta la Storia della Chiesa del12Henrion»(%).
(52) M 0 p. 109 S. Con cautela forse sono da accettate qumte motivazioni, che DB
attribuisce a se stesso seminarista. I1 suo forse, torniamo a ripetere, fu un sentimento e un
gusto, più o meno avvertito. Le motivazioni qui riferite potrebbero essere una trasposizione
di quelle addotte in una nota polemica sui dassici latini avvenuta tra mons. Gaume e
Duoaniou~non molti anni prima che DB scrivesse le MO.
A (53) M 0 p. 110.
(54) M 0 p. 10S. «Del Balmes - scrive Don Ceria ( M 0 p. 110 nota) - Don Bosco
avrsì letto Protestantesimo comparato col Cattolicismo n. Ma l'edizione originale di quest'o-
pera uscì nel 1842-44, quando-cioè DB era gia sacerdote.
L'unica opera del filosofo spagnuolo uscita mentre DB era seminarista era sul matri-

4.4 Page 34

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
8 un elenco che permette di individuare persino qualcuna delle edizioni
che poté avere in mano. Frayssinoiis, Cavalca e la Storia ecclesiastica del Ber-
castel, che - ci informa altrove Don Bosco - si leggeva durante la mensa
comune, apparvero nella « Scelta biblioteca economica d'opere di religione »
edita a quei tempi a Torino (").
Questa « Scelta biblioteca » ha una sua storia. Alla diffusione di libri
benignisti, promossa da Pio Brunone Lanteri, dagli Oblati di Maria Vergine,
dai Gesuiti e dall'Amicizia Cattolica, veniva contrapposta, durante la Restau-
razione, dalla risorta scuola tomista dell'università e dalla corrente probabi-
liotista una letteratura ad alto livello e qualche più rara opera di livello popo-
lare. Allora mancaya un piano organizzato. Ln « Scelta biblioteca » rispondeva
a questa istanza. Essa iniziò ad apparire nel 1829, l'anno stesso in cui venne
soppressa l'Amicizia Cattolica, con l'esplicita approvazione dell'arcivescovo
mons. Chiaveroti: era naturale perciò che rispondesse ai suoi orientamenti e
venisse introdotta nei suoi Seminari. Direttore ne fu il sacerdote saluzzese
Goffredo Casalis, alla cui morte un suo collaboratore e confidente scrisse che
« poté divenire profondo teologo, formandosi tale coll'assidua meditazione degli
autori della celebre società di Porto-Reale in Parigi, di cui professò sempre la
severa morale, senza però cadere nell'eccessiva loro rigidezza » ("). Attorno al
1829 il Casalis fu tra i « dettnriani », del gruppo d i coloro che divennero
neo-guelfi e, tra i giobertiani, di coloro che rimasero nella persuasione che
occorreva lottare per liberare la Chiesa dal probabilisino, dal molinismo e dalla
Compagnia di Gesù.
Ci si spiega cosi in qualche modo la presenza nella Collezione dello Spec-
chio di vera penitenza del Passavanti, opera austera, che impone, ad esempio,
di reiterare l'accusa dei peccati, se si scopre che è stata fatta a un sacerdote non
sufficientemente abile a distinguere tra peccati gravi e veniali o che non seppe
monio (1839): non ne conosciamo traduzioni italiane apparse in quel tempo ed è improba.
bile che DB l'abbia letta sull'originale spagnolo. Si ha il sospetto che si tratti di un Iqpsus
di DB; forse egli ha in mente un opuscolo per giovani che deve aver letto su una edizione
torinese: BALMESL,a religione dimostrata alla intelligenza della gioventù (Collez. di buoni
libri, 1) Torino, Botta 1849, ripubblicata a Sampierdarena, Cbr. Salesiana 1878. Ma non ì.
escluso che si riferisca all'opera indicata da Don Ceria, edita a Carmagnola nel 1852 in
2 voll. (Biblioteca ecciesiastica, vol. 5 e 6).
(55) Sul Bercastel letto in Seminanio a mensa cf. M0 p. 92. La Scelta Biblioteca ebbe
la vistosa tiratura di 360.000 volumi. cf. Elenco delle opere stampate a maggior numero
di copie in Torino dal 1830 al 1840 in D. BERTOLOTDTeIs,crizione di Torino, Torino
1840, p. 354. Inseriti in quella collezione apparvero anche NIEREMBERBiGla,ncia del tempo,
Torino 1832; C. GOBINET, Istruzione della gioventù, opere consigliate ai Salesiani, vivente
DB: cf. Deliberarioni del secondo capitolo generale.. ., Torino, Tip. Salesiana 1882, p.
68 S. (che però del Gobinet fa soltanto 4 nome); vi furono accolti anche i Regionamenti
sulla vita di Cristo e sui Fatti degli Apostoli di A. CESARIc,he DB avrebbe letto in Se-
nninario nel tempo disponibile dopo la levata comune: cf. MB 1, p. 380.
Paolo CAMOSSVOit,a di Goffredo Casalis, Torino 1857, p. 11. Sui rapporti del
Casalis con il giansenismo cf anche STELLA, Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, p. 73 S.
imporre una congrua penitenza ("). E se si esaminano anche le altre opere della
collezione, si nota come l'ispirazione di esse è costantemente reticente in
materia di gallicanesimo (ritenuto questione disputata), avversa apertamente
al giansenismo dommatico, ma reticente sull'etica di Port-Royal, incline a
promuovere un Cristianesimo austero.
Anche l'opera del Frayssinous, la Difesa del Cristiarzesinzo, vi ha il suo
significato sia come fortunata serie di conferenze apologetiche che tentano di
battere in breccia dal pulpito quel tipo di apostasia dalla fede e di indifferenza
religiosa settecentesca contro cui da molti si reagiva in clima di romanticismo,
sia anche perché fondata su una concezione societaria da Ancien régime, di
alleanza fra Trono e Altare e su un'ecclesiologia che dà risalto alle strutture
gerarchiche e accentua le autonomie nazionali e diocesane(").
Don Bosco lesse queste opere senza lasciarcene una critica. I1 suo risen-
timento invece si concentra sulla Storia ecclesiastica del Fle~irye implicita-
mente su coloro che non gliene impedirono la lettura (completando cosi il
quadro della sua critica all'ambiente seminaristico) ("). Eppure le tendenze
teologiche e storiografiche del Fleury sono analoghe a quelle di altre opere
che Don Bosco lesse e in parte assimilò: quelle del Bercastel e dell'Henrion.
Mette conto di esaminare la Storia del Cristianesimo dell'ex-gesuita Berault-
Bercastel a cui Don Bosco attinse più tardi per la sua Storia ecclesiastica.
Il suo disegno è ambizioso e maestoso come quello del Discorso sulla
rtoria universale di Bossuet t"):
« Ecco quale si è il mio divisamento: far conoscere in tutto il corso
dell'opera, la protezione immanchevole del Signore sopra il suo popolo, la
santità non meno che la infallibilità della Chiesa, la sua bellezza parimente, e
il suo splendore fino nei tempi delle maggiori tenebre, e malgrado le macchie
che si frequente hanno sfigurato una porzione delle sue membra » ( & l ) .
In altre parole il Bercastel intende presentare la storia come opera di Dio
(57) Specchio di ocra penitenza, distinz. 5, cp. 6, Torino 1831, p. 129.
(58) Difesa del Cristianesimo, Torino 1829. L'importanza ch'ebbero le conferenze del
Frayssinous attorno al 1807 a Patigi, che raccolsero migliaia di giovani uditori è sottoli-
neata da A. GARNIEEFr,ayssinous et la jeunesse, Paris 1932. La partecipazione era anche
motivata da reazione antinapoleonica. Quando più tardi il Frayssinous esponente, del con-
servatorismo legittimista i giovani nuovi si orientarono vesso Lamennais, Lacordatre . . . I1
paternalismo che, in chiave religiosa, portava a vedere la Chiesa come madre a cui bi-
sogna ubbidire, tema caro a scrittori e predicatori della Restaurazione, & sottolineato da
Y.M. CONGALR'e,cclésiologie de la Réuolution francaire au Concile du Vatican, in Ecclésio-
logie catholique dans le X I X e siècle, Paris 1962, p. 101 nota.
(59) Del Fleury probabilmente DB lesse la traduzione italiana fatta da Gaspare Gozzi,
Venezia 1767.1771 ovvero Genova 1769.1773, 27 vol. Usci anche una Giustificazione dei
dirrnvri .e d..e.ll~a storia ecclesiastica delltabbate Fleuri contro le accuse e le calunnie di
. ~
~
~
alcuni religiosi fiamminghi, tradotta dal francese . ., Venaia 1772.
(W)Il Discorso sopra la storia universale compar'i7e in traduz. ital. a Venezia 1712 ed
.e.h.h.e varie edizioni a Venezia e a Napoli. Esso è uno dei punti chiave della atoriografia e
~~
delia dimlgazione storica successiva, Ala qunle si collega anche DB.
(6') BERCASTEStLor,ia del Cristianerimo, 1, Torino 1831, p. 30 (Prefazione).

4.5 Page 35

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
e opera umana, opera di santità e di peccato; la storia della Chiesa come storia
di un organismo vivo, perché
«Niente vi poteva essere di più acconcio a nutrire, a rianimare la fede, e dare ad
essa quel grado di vivacità e di robustezza, senza cui questo dono sempre ubertoso, o per
natura sua di frutti di benedizione e di salute, o per difetto nostro di frutti di morte
e di perdizione, ad altro non si ridurrebbe che a servire di argomento ad una più
rigorosa condanna! »(62).
I n sostanza spesso è teologia, spesso agiografia e più d'una volta racconto
leggendario. Non è per studiosi: lo stesso autore lo dichiara; ma è una divul-
gazione destinata soprattutto agli ecclesiastici; meno attenta che quella del
Fleury e del Tillemont, per nulla resa criticamente avvertita dalle opere dei
Maurini o dei Bollandisti, del Petavio o del Muratori, di critici cattolici o pro-
testanti del Sei-Settecento. La sua lettura però raramente è stagnante e si
comprende come mai sia stata adottata per la mensa dei seminaristi di Chieri.
Come storia del Cristianesimo, è storia della salvezza; perciò, storia del
peccato e della redenzione dell'umanità, storia « antica quanto il genere umano »,
perché « l a religione di Gesù Cristo, considerata nella sua ampiezza, comincia
dalla caduta del primo uomo, o dalla promessa che Dio gli ha fatto di un
liberatore
Ma dopo la trattazione dei primi secoli dopo Cristo essa pro-
priamente si riduce a storia del Cristianesimo occidentale e dopo la rivolta
protestante a storia del Cattolicesimo romano, con predilezione per i fasti e
nefasti della GaUia Cristiana.
Una storia dei trionfi della Chiesa non era concepibile per il Bercastel,
cosi come per il Fleury, intimamente persuasi che il demonio e il peccato
avevano la loro forza sinistra su tutti i Cristiani, fossero semplici fedeli o
romani pontefici: soggetti tutti all'errore e al peccato, senza che per questo
la Chiesa cessasse di essere una santa cattolica e apostolica; e la mentalità
settecentesca portava Fleury e Bercastel a considerare soprattutto il medioevo
come la notte dei tempi per la Cristianità, la brinata terribile sui rami dell'albero
di vita che era la Chiesa(M).
(a)BERCASTEStLor,ia del Cristianesimo, I.c., p. 30.
(63) BERCASTEL, Storia del Cristianesimo, lib. 1, l. c., p. 35. I1 Cristianesimo antico
quanto la creazione è la tesi notissima del deista inglese Matthew Tyndal (m. 1733), la cui
opera Chrisfianity as old as the Creation: or tbe Gospel a Republication of the Religion
of Nature (London 1730) era considerata la «Bibbia » del deismo: cf. Encyclopedia britan-
nica, 22, London 1960, p. 237. Contro di essa acuirono i loto strali & apologisti cattolici
del Settecento. Ma mentre il Tyndal suppone la natura umana biiona e mai vulnerata da
una caduta originaria dovuta a colpa di un capostipite, il Bercastd suppone una caduta
dei protoparenti e un liberatore. Sul Tyndal e suU'apologetica cf. P. HMARDL,a nise
de la conscience europ4enne (1680-17151, Paris 1934 e La pensée europée~neau XVllIe
siècle de Montesquieu d Lessing, Paris 19632.
(M) La letteratura dei «trio& » della Chiesa è molto antica e si ridaccia a temi
bibiici (Saimi, Maccabei.. .). Nei secoli XVI e XVII erano esaltati i trionfi sul protestan-
tesimo; nei sec. XVIII vi furono aggiunti quelli sui deisti e sugli atei. Varie opere s'inti-
tolano Trionfo, Triomphes... 6. ad esempio quelle anonime elencate d a A. BARBIER,
70
Inconcepibile era anche per loro una storia dei trionfi del papato, sul
tipo di quella del Rohrbacher o del Salzano, intenti a porre in evidenza i
momenti che portarono all'affermazione del primato di Pietro, della superiorità
della sede di Roma sulle altre, del Papa sul Concilio, come supremo gerarca
e maestro infallibile della Chiesa universale indipendentemente dal collegio
episcopale ("). Perché per il Bercastel non valeva la pena distrarsi a seguire
questioni che apparivano secondarie: l'infallibilità del Papa e la sua supe-
riorità sul concilio ecumenico non erano dottrine di fede, e tanto meno potevano
essere presentate come tali, giacché sarebbe stato « un arrogarsi il potere di
P). formare degli articoli di fede che la Chiesa non conosce » Che anzi l'una
e l'altra questione erano dispute senza senso e senza oggetto, perché l'infalli-
bilità dottrinale « non f u con certezza assegnata né al capo della chiesa in
ispezieltà, né a' suoi membri separati dal loro capo, ma alla chiesa intera,
cioè ai voti riuniti del capo e dei membri » (").
Dictionnaire der ouurages anonymes et pseudonymes, 4, Paris 1879, p. 829-839. La lette-
ratura ultramontana usa cantare i trionfi del papato: M. CAPPELLARIlI,trionfo della S.
Sede e della Chiesa contro gli assalti dei Novatori, Torino 1857 ( = Roma 1799); G.
MARGOTTI, Le vittorie della Chiesa nel primo decentzio del pontificato di Pio Nono, To-
rino 1857. L. GUANELI.ADa, Adamo a Pio IX, o quadro delle lotte e dei trionfi della
Chiesa uniuersale, Milano 1885.
(65) Della storia ecclesiastica del Salzano DB avrebbe detto che «se fosse stata alle
stampe quando era in Seminario, ne avrebbe baciate una ad una le pagine, appunto per-
ché questo storica italiano mostra grande venerazione pei Sommi Pontefici »: MB,1, p. 444 S.
Per quanto riguarda il modo di sentire la storia dehla Chiesa, si hanno indizi per
ritenere che DB si discosti dal Fleury e dal Bercastel, consapevohnente o no, e fa suo
il modo di vedere di Mauro Cappellaci, del Rohrbacher, dei Salzano, del Margotti. Più
che la Chiesa santa, nonostante i flagelli e le malattie che i'hanno piagata e debilitata egli
si orienta verso ,la visione della Chiesa che trionfa, che esce vittopiosa dal iavacro deiie
L'attenzione si polarizza specialmente sul papa. Durante gli anni di Seminario
il papa martire nella riflessione religiosa popolare è Pio VII: il pontdce che, diversa-
mente da sovrani e governanti terreni, seppe resistere al tiranno. Illuminante è il sonetto
sulla «Costanza di Pio VI1 » nei codice sopra ricordato, autografo di Don Bosco e da iui
sortoscritto:
Sconvolti i troni e le città dismunte
e i grandi imperi lacerati, e cinti
tosto piegar al Gaiio umil la fronte
i Duci, i Regi sbiggotiti (sic) e vinti
Altri la pace addurre, leggi e pronte
segnar sul campo fra i guerrieri estinti
altri fuggir fra mille scorni ed onte
costretti furo di pallor dipinti.
Ma Pio, che giusto il Ciel governa e regge
daranni oppresso e da crude1 arresto
forte rigetta al vincitor fa legge,
EprieingnaanetiviancCe ris.t.o.
genuflesso e mesto
tal che decanta il
gregge
fra' bei trionfi e il gran trionfo è questo.
(66) BERCASTEL, Storia del Cristianesimo, lib. 80, N. 189; 22, Torino 1833, p. 140.
(67) BERCASTEStLor,ia del Cristianesimo, lib. 80, N. 188, 1. c., p. 140.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Ciò che Don Bosco poteva leggere sul Bercastel nel 1835-40 rispecchiava
in parte la posizione dottrinale dell'Università di Torino, la quale non voleva
impigliarsi in simili questioni e nel 1825 aveva bandito dai gradi accademici
un teologo che aveva osato sostenere in pubblico esame l'infallibilità pon-
tificia (").
La Storia delllmtico e nuovo testamento e degli Ebrei del benedettino
Agostino Calmet (1672-1757) venne pubblicata a Torino dal libraio Pomba
nella collana « Biblioteca popolare morale e religiosa », divisa in diciassette
tometti tascabili apparsi negli anni 1830-31. Don Bosco qualche lustro dopo
adottò di quest'opera la Cronologia biblica (69). Ed è una constatazione che
potrebbe angustiare. Ancora a metà Ottocento si osava sostenere come vera
e scientifica la crohologia della Bibbia; affermare che il mondo era stato
creato dal nulla appena quattromila anni prima della venuta di Cristo in otto
giorni, quando già da un secolo erano state accumulate obiezioni e difficoltà
che facevano pensare: si era notato che cronologie egiziane e cinesi ponevano
faraoni e imperatori quando ancora nulla esisteva secondo il racconto biblico,
e questi avevano avuto figli e figlie proprio quando, secondo la Bibbia, unico
superstite dal diluvio sarebbe stato Noé con i suoi figlioli; si erano studiati
reperti fossili che apparivano anteriori di sei settemila anni avanti a Cristo (").
Ma nulla era valso a scuotere la letteratura devota ed ecclesiastica. Questi
nuovi critici veniva considerati come miscredenti o favorevoli al Protestan-
tesimo. I1 naturalista Buffon, per non ripetere il caso Galileo, aveva ritrattato
le sue ipotesi sui fossili, perché questo gli imponeva la Sorbona. Opere erudite
si accumulavano per dimostrare la validità della cronologia biblica e la falsità
di quelle egiziane e cinesi; per assodare come Mosé, che aveva scritto sulle
origini del mondo, era il più antico scrittore di storie che abbia avuto i'umanità;
per garantire la verità della sua narrazione sulle origini che risaliva a fonti
freschissime, per il fatto che pochissime generazioni intercorsero tra lui e
Noé, tra Noé e Matusalemme, il quale era giovane capace d'intendimento
quando Adamo era sui settecento anni.
La sacra ermeneutica cattolica ancora a metà Ottocento era riluttante a
mettersi sulla strada intrapresa da Richard Simou per studiare meglio il
genere letterario dei sacri testi, la loro compilazione e trasmissione, il valore
e le modalità della ispirazione divina; e piuttosto si struggeva ad assegnare
alla Bibbia valori che questa non aveva, e temeva che negandoli poneva a
repentaglio quelli che ne erano realmente le strutture portanti.
La Difesa del Cristianesimo del Frnyssinous dava larga parte anche alla
(m) Sul caso del teologo Giambattista Ferreto (ow. Ferreri) 6.E. ROSAI,l Gian-
senismo in Piemonte e la R. Univ. di Torino, in La Civ. Caft. 78 (1927) 1, p. 437s.;
. . P. SAVIO, Devozione di mgr. A. Turchi, p. 679-681.
(69) BOSCO, Storia Sacra. , Torino, Speirani 1847, p. 7: Per quanto appartiene
alla cronologia io mi attenni a quella del P. CALMETe,ccettuate alcune piccole variazioni,
le quali da alcuni moderni critici sono richieste ».
(7O) Si vedano a tal proposito le pagine che P. Hazard dedica a Echard Simon, a
Pierre Bayle e al preilluminismo nelle due opere sopra citate, nota 63.
difesa dei valori veri e falsi che si attribuivano alla Bibbia. E il Marchetti
nell'opera letta da Don Bosco si affaticava a difendere con grande impalcatura
di dati e di ragionamenti, di sottigliezze, di ironie e di solismi, i veri e presunti
fondamenti della religione cristiana.
Ma le opere di questi avevano in parte un'ispirazione e una tematica
diversa e opposta a quella del Frayssinous, del Bercastel e del Calmet. L'edizione
torinese dei suoi Ragionanzenti era stata curata dall'Amicizia Cattolica nel
1823. Sostenitore delle prerogative del Papa, il Marchetti si distingueva perché
autore di opere polemiche contro Scipione de' Ricci, contro il Giansenismo
italiano e la Storia ecclesiastica del Fleury (7').
Del medesimo settore gradito ai membri dell'Amicizia Cattolica sono
le altre opere ricordate da Don Bosco: quelle dei gesuiti Segoeri e Zucconi,
alle quali bisogna aggiungere La Strada al santuario mostrata ai chierici, del
padre Antonio Foresti, edita poi nel 1884 dalla Libreria salesiaua e di cui
Don Bosco attorno al 1860 ricordò una sentenza che disse di avere letta in
Seminario (79.
I1 padre Foresti scrisse al tramonto del Seicento, in tempi in cui i Seminari
erano lontani dall'essere hene organizzati e nei quali la mondanità, la rozzezza,
l'ignoranza e altri vizi del tempo, nonostante gli sforzi post-tridentini, gli esempi
di Carlo Borromeo o di Gregorio Barbarigo, apparivano ancora troppo
radicati nel Santuario. Si comprende dunque il tono del gesuita e il suo
risentimento verso persone e atteggiamenti che richiamavano usi riprovevoli
della civiltà barocca.
La veste chiericale, ammonisce il padre Foresti, non rende invulnerabili;
sono dunque da fuggirsi, secondo la massima degli antichi:
Otia, segnities, sonzizus, caro, faemiiza, uiizunz
Prosperitas, ludtls, carmina, forma, puer ( l 3 ) .
Fuggire « non solo il commercio, ma fin la vista delle femmine; perché il
mettersi a mirarle e ardere, egli è tutt'uno » (conseguentemente, ci ricorda
Don Bosco, additandolo ad esempio, Luigi Comollo non osò mai mirare in
volto alcune cugine che andavano a visitarlo in Seminario e le distingueva
(11) G. MARCMET(1T75I3-1829), Tratteniinenti di famiglia su la storia della religione
con le sue prove letti a' miei figliuoli, e consegnati a' medesimi per loro preservativo.. .,
. . Torino, tip. Bianco 1823, 2 vol. Come edizione deil'Amicizia Cattolica è segnalata da C.
BONA, Le « Amicizie n, p. 367; 388. DB ne fece proprio il sottotitolo: «Trattenimenti. »
e citò l'opera nel suo Cattolico istruito, tratt. 14, Torino 1853, p. 59. Contro Scipione de'
Ricci i'opera più nota del Marchetti, è: Annotazioni pocime di un parroco cattolico a
monr. vescovo di Pistoia e Prato sopra la sua lettera pastorale de' i ottobue 1787. . ., In
Ztalia 1788. Contro $1 Fleury: Critica della storia ecclesiastica e de' discorsi dell'abate
Claudio Fleury . . . , Milano 1836. E hene notare che il Fleuty non era *no spirito settario;
era un uomo di studio e non di polemica: ci. A. DIDONS., v,, in D. Sp., 5, cl. 412-419.
(") Abstrahe ligna foco, si vis extinguere flanzmam. Cf. MB 7 , p. 82 e A. FORESTI
(1625-1692), La strada al salztuario . . ., pt. 1, cp. 8, Torino, Libr. Sales. 1884, p. 95.
(73) FORESTlI.,C,, p. 92.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
dalia voce o dalla lunghezza dell'ombra che proiettavano sulla parete) (").
Fuggire - continua il padre Foresti - i'accidia e la tristezza che, non tro-
vando diletto negli esercizi virtuosi, piegano verso i « trattenimenti sensuali »
(conseguentemente Giovanni Bosco e Luigi Comollo s'impegnano a seguire
per quanto è possibile nel Seminario l'intento della Società deli'Allegria:
Servite Domino in laetitia).
Fuggire il soverchio bere e mangiare: la stanza propria della sapienza,
diceva Eraclito, sono le anime asciutte e purgate da crassi umori: Anima
sicca sapientirrima; diffidare del gusto dei cibi, quasi che sia in tutto e per
tutto una conseguenza del peccato; angustiarsi se bisogna mangiare, come se
Dio ci abbia « condarirati a mangiare, e per vivere, e per durarla nel suo
servigio » ('7.
I1 Foresti racconta inoltre che il beato Jacopoue « p e r ovviare ad ogni
inganno de i'amor proprio, invece di sale spargeva polvere d'assenzio sulle
vivande D; « col quale artificio arrivò a segno, che nel pigliare il cibo, altro
sapore non provava che il dar gusto a Dio » (76). COSIil chierico Bosco spargeva
cenere e terra sulle pietanze o le adacquava affermando che cosi le rendeva
più gustose (n).
I1 padre Segneri manteneva altissima la sua autorevolezza di oratore.
I1 suo Quaresimale rimaneva ancora nell'ottocento ammirato, esaltato, imitato
e saccheggiato nella predicazione cattolica, che per nulla aveva abbandonato
le sue predilezioni per le prediche moralistiche, nonostante i nuovi orienta-
menti verso le prediche e conferenze alla Frayssinous o alla Lac~rdaire('~).
A Torino si ebbero edizioni separate del Quaresimale e, ai tempi di Don Bosco
chierico, i'edizione delle opere complete a cura della Società tipografico-libraria
del Pomha (j9). I1 Capitolo generale I1 dei Salesiani (1880) consigliò del Se-
gneri il Cristiano istiuito, fortunatissima opera d'istruzione catechistica, il cui
titolo fu applicato da Don Bosco ai suoi catechistici e antiprotestantici Tratte-
('4) Bosco, Cenni storici, Torino 1844, p. 34s. DB chiamato a far da padrino per
l'ultimo figlio dei Mogiia Luigi Giov. Battista, nato il 1" agosto 1840 fece in modo di
non avere al fianco come madrina se non la Madonna e la Chiesa, quando i genitori
avevano designato la primogenita Anna, che allora aveva diciotto anni (AS 161 Moglilia
ad 12m e MB 1, p. 484s).
(75) FORESTLIa, strada al santuario, cp. 9, ed. cit., p. 107.
(76) FORESTLII, strada al santuario, l. C,, p. 108.
("1 Sulla temperanza di DB seminarista: MB 1, p. 381, LEMOYNE, Vita, pt. 5, cp.
2, 2, Torino 1943, p. 198. Srrl Comollo cf. Bosco, Cenni storici, p. 36: «Talvolta lasciava
la pietanza, e vino, contentandosi d i mangiare pane inzuppato neli'acqua sotto lo specioso
pretesto che gli tornava meglio per la corporal sanita ».
(78)E. SANTINI,L'eloquenza italiana dal Concilio tridentino ai nostri giorni. Gli ora-
tori sacri, Milano 1923.
(") Delle opere del padre Paolo Segneri (1624-1694).. ., Torino, 'Soc. tipografico-
libraria 1832.1833, 12 voi.
nimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli, apparsi nel 1853 come prima
opera delle « Letture Cattoliche » ('O).
Ferdinando Zucconi (1647-1732) è autore di Lezioni sacre sopra la divina
scrittura, apparse la prima volta a Roma nel 1729, che non sono propriamente
lezioni esegetiche, ma pie letture o istruzioni, che dal testo biblico sono pronte
a scendere in applicazioni morali o apologetiche; analoghe perciò ai Ragiona-
menti di Antonio Cesari sulla vita di Cristo e i fatti degli Apostoli, da cui
Don Bosco prese in parte la sua Vita di S. Pietro ('l).
Anche presso lo Zucconi si riscontravano gli elementi più generali della
mentalità religiosa di Don Bosco: la persuasione che il mondo, la Scrittura,
l a vita umana siano, in modalità diverse, una teofznia, e l'uomo in particolare
debba ritornare a Dio per le vie esteriori da lui stabilite pur vivendo già, in
questo stato di pellegrino, in unione con Dio (regnzcm Dei intva vos est) e alla
sua presenza (").
Colpisce, tra tutte, l'analisi del T u es Petrus, ai cui termini è assai
vicina quella che si legge sul Cattolico istuutto di Don Bosco
6. Note sulla spiritualità di Don Bosco seminarista: tensione ascetica
verso il sacerdozio
Da quanto abbiamo esposto sembra ormai possibile delineare l'itinerario
interiore di Don Bosco seminarista, sia pure a larghe linee e soltanto per alcuni
aspetti, e valutare la documentazione che abbiamo seguito.
Si ha l'impressione che il trapasso dal gusto « profano » a quello intran-
sigentemente religioso sia avvenuto (stando a quanto Don Bosco stesso rife-
risce) durante gli anni di filosofia e che abbia avuto il momento culminante
ali'inizio del 1837 con la lettura del De imitatione Chuisti.
Ma è possibile indicare alcune dominanti. Sempre più dovette radicarsi
in lui la coscienza di essere chiamato da Dio al sacerdozio, e, insieme, il senso
della santità ~~ecialissimamentreichiesta per ascendere all'altare, l'impellente
anelito a staccarsi da abitudini e atteggiamenti che gli apparivano incompatibili
con lo stato sacerdotale. E tutto, in clima di tensione e di continuo controllo
e inibizione; in continuo sforzo ascetico che lo spingeva sulla via dei digiuni,
delle astinenze e delle collere con se stesso allorché si sorprendeva talvolta
(m) Deliberazioni del secondo capitolo generale della Pia Società Salesiana tenuto i n
L ~ n z otorinese nel settembre 1880, Torino, tip. Salesiana 1882, p. 68.
(82) Cf. sopra nota 55. Ma per la Vita di S. Pietro DB deve aver usata i'ediaione ap-
parsa nella Collezione di buoni libri, 3 (Torino 15 ott. e P nov. 1851).
(82) Ii. ZUCCONI, Lezioni sacre, corso 2, la. 2, t . 4, Venezia 1762, p. 5-9.
(a)ZUCCONLIe,zioni sacre, corso 1, t. 3 del Nuovo Testam., L a . 13, Venezia 1762,
p. 67 s e Bosco, Cattolico irtrrrito, pt. 2, tratten. 3, Torino 1853, p. 88-90. Ma non si
hanno argomenti perentori per affermare categoricamente una dipendenza immediata. Coin-
cidenze più evidenti si riscontrano tra il medesimo brano di Don Bosco e le note esplica-
tive nella Bibbia tradotta da Antonio Mattini.
75

4.8 Page 38

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
indulgente con le antiche sue abilità secolaresche, come l'esibirsi in virtuosismi
I
di agilità o nel suonare il violino: tensione ascetica che contribuì a portare il
suo amico Comollo alla morte e Don Bosco stesso all'estremo limite di forze.
Colpiscono sentenze scritte di suo pugno sui vecchi brogliacci di studente
di teologia:
« Sapientia huius mundi stultitia est apud Deum.
Deus ipsa peccata sic ordinat, ut quae fuerunt delectameuta homini pec-
catori, sint instrumenta Domino punienti.
Vi sono tre sorta di beni dati [dal Dio. Beni senza i quali non si può
ben vivere: le virtù; beni senza i quali si può ben vivere: le ricchezze; beni
senza i quali non si saprebbe ben vivere: le facoltà dell'anima della [quale]
è padrona il libero arbitrio. S. Aug. De lib. arb.
O homo qui vis semper tibi dimitti, dimitte semper.
L'Anticristo deve nascere da una Donna Ebrea scelerata della tribù di
Dan I...]. I1 mondo finirà in fiamme, si oscurerà il sole col dilatarsi (szc)
di quelle grandi 40 macchie che in esso si scorgono, si oscurerà la luna [.. .l
indi si rompe la terra, e dalle spalancate sue voragini esalerà immensi vortici
di fuoco, il calorico che si trova nelle regioni eteree, e nelle molecole de'
corpi si addenserà, ed in simil guisa si formerà l'incendio del finimondo » (*).
Sembrerebbe che Don Bosco, nonostante le apparenze, in Seminario non
sia stato sempre quieto, né del tutto contento o con momenti di crisi e d'in-
siciirezza. Forse anche perché non si estinse in lui il desiderio della vita
religiosa.
A che cosa più propriamente aspirasse non è dato saperlo: se alla fuga
del mondo e alla consacrazione a Dio nella vita conventuale o all'apostolato
specifico di qualche istituto religioso.
Durante la filosofia egli vide se stesso in sogno in una bottega' da sarto
che rappezzava calze logore, già prete e vestito da prete. Non svelò il sogno
avuto, se non dopo aver raggiunto il sacerdozio, a Don Cafasso, allorché si
trattò di portargli dati che lo illuminassero sulla scelta da fare (9.
In Seminario la sua allegria e la sua capacità di simpatia vennero argi-
nate nello schema della dolcezza salesiana: Giovanni Bosco di Castelnuovo,
fu per sua stessa volontà Bosch d' sales, cioè un flessibile legno di salice; diverso
da Giacomo Bosco, che era Bosch d' pocio, cioè legno nodoso di nespolo. Cosi
Don Bosco finì per essere ricordato come il bravo cliierico, bonario, che
prometteva bene ( 8 6 ) .
Molti problemi rimanevano per lui insoluti, ma il filo della Provvidenza
lo legava a Don Cafasso, siio compaesano, e ai colleghi nel sacerdozio Don
(8') Le espressioni sono tutte tolte dal De Censuri5 (AS 132 Quaderni). Fanno
pensare ali'opera La fine del mondo. Ragionamento teologico filosofico del prop. Antonio
Riccardi, aggiuntavi in ultimo la profezia dena di Orval, Torino, presso Pompeo Ma-
"nn~ ash"i. 1840~
(") ~ ~ 1 R1uffin0o (apr. 1861), p. 48s, a cui attinge MB 1, p. 381 s
(9MB I, p. 406; cf. DESRAMAUo.TC,,, p. 452.
Giovanni Battista Giacomelli e Don Grigliemo Garigliano. Loro tre, inse-
parabili compagni in Seminario, si sarebbero ritrovati al Convitto ecclesiastico
torinese per addestrarsi al ministero sacerdotale.
Eppure dev'essersi affezionato al Seminario, non smentendo il nativo
temperamento; ed espresse i propri sentimenti in una pagina che sembra
contraddire con un nuovo giudizio globale tutte le affermazioni che abbiamo
colto dalla stessa penna di Don Bosco. Si tratta perciò di una pagina che mette
conto trascrivere per intero:
d Al Suzentes del 1841 ricevetti il Diaconato, alle tempora estive doveva essere
ordinato sacerdote Ma un giorno di vera costernazione era quello in cui doveva
uscire definitivamente dal Seminario. I superiori mi amavano, e iiii diedero continui
segni di benevolenza. I compagni mi erano affezionatissimi Si può dire che io viveva
per loro, essi vivevano per me. Chi avesse avuto bisogno di farsi radere la barba o
la cherica, ricorreva a Bosco. Chi avesse abbisognato di berretta da prete, di cucire,
rappezzare qualche abito, faceva capo a Bosco. Perciò mi tornò dolorosissima quella
separazione, separazione da un luogo dove era vissuto per sei anni, dove ebbi educa-
zione, scienza, spirito ecclesiastico e tutti i segni di bontà e di affetto che si possano
desiderare »(m).
Si direbbe che alla mente di Don Bosco si siano ripresentati i giudizi
negativi espressi precedentemente sui compagni, sul sistema educativo dei
superiori, e abbia voluto correggere, precisare, quasi capovolgere. Si direbbe
che abbia scritto in momenti diversi, sotto la spinta di diversi stati d'animo.
Preoccupato, nel 1873-74, dei suoi chierici, che dall'oratorio andavano al
Seminario di Torino, dove erano voluti come interni e come chiaramente inse-
riti nel clero diocesano. A loro avrà posto innanzi, istintivamente o consape-
volmente, aspetti negativi della vita seminaristica chierese, isolandoli e offrendo
il destro a induzioni e generalizzazioni. Cosicché oggi ci troviamo ad avere
un testo, in cui le affermazioni di Don Bosco stesso, nel giro di poche pagine,
appaiono giustapposte e per certi aspetti, contrastanti. molto aiutano per
sfumare o completare le Cronacbette di Don Ruffino, di Don Bonetti, di
Don Barberis, o altre testimonianze confluite o no nei processi di beatifica-
zione e canonizzazione, dipendenti o no dalla parola viva o dagli scritti di
Don Bosco.
E si fa insistente l'impressione che i documenti che dipendono da Don
Bosco siano più o meno profondamente impregnati da esperienze successive,
che i ricordi sul Seminario siano stati selezionati e siano stati presentati al
vaglio delle persuasioni formate nel tempo del Convitto o sotto la spinta di
preoccupazioni che egli aveva come edricatore di giovani e fondatore di
una Congregazione religiosa.
Nonostante queste cautele però, a ben vedere, non ci sembra ci sia una
sostanziale opposizione tra le affermazioni di Don Bosco. I l fatto che i supe-
(8') M0 p. 114, da integrare con MB 1, p. 516s.
77

4.9 Page 39

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
l
!
riori gli dessero segni continui di benevolenza e tutto l'affetto che si poteva
desiderare, non vuol dire che Don Bosco chierico non avvertisse disagio per
il loro sistema educativo. Egli in Seminario poté considerarsi un privilegiato;
non avrebbe potuto desiderare di più, dato che vigeva come sistema l'isola-
mento dei chierici dai superiori.
I1 fatto che riconosca come i compagni gli erano affezionatissimi, non
vuol dire cb'egli non provasse disagio per la presenza tra le mura del santuario
di chierici che riteneva indegni.
Dunque è possibile interpretare le sue affermazioni come complementari.
Che anzi, per quanto si debba o si desideri far leva su quest'ultimo testo per
precisare il contenni? di altre affermazioni e per presentare in miglior luce
il periodo del Seminario, non è possibile e non è lecito attenuare il contenuto
degli altri testi sopra addotti, fino al punto da vanificarli e negarne un qualche
senso proprio e un contenuto storico, fondato su fatti avvenuti a Chieri.
Ciò che Don Bosco ci riferisce sulle sue letture, ciò che accenna, sia pure
fugacemente sull'insegnamento seminaristico, ciò che osa scrivere generica-
mente sui superiori e sui chierici, ciò ch'egli lascia capire di se stesso e di
Comollo, avvalorato da quanto aggiungono Giacomelli, Dalfi e altri testi che
abbiamo qua e evocato, offrono tali elementi in convergenza, da lasciare suffi-
cientemente fondate le idee o le impressioni che abbiamo sopra espresso.
I ricordi relativi al commiato dal Seminario lasciano anzi emergere in
tutta la sua forza (e perciò con tutta garanzia di verisimiglianza) la grande
carica di simpatia e di affetto di cui era capace Don Bosco. Sicché oggi ci sve-
lano avvenuto anche in lui uno di quei prodigi, di cui la vita ci dà tanti docu-
menti: la profonda costernazione per il distacco da un ambiente nel quale,
nonostante tutto, si era radicato ed aveva prosperato il reciproco affetto.
11 ricordo del sogno dei nove anni non si era poi per nulla attenuato.
Rifacendo la narrazione dei primi giorni di sacerdozio Don Bosco scrive:
<< Quando fui vicino a casa e mirai il luogo del sogno fatto all'età di circa
nove anni, non potei frenare le lagrime e dire: - Quanto mai sono maravi-
gliosi i disegni della Divina Provvidenza! Dio ha veramente tolto dalla terra
un povero fanciullo per collocarlo coi primari del suo popolo >>ta).
Giovanni in quel momento, forse solo per un impulso non riflesso, espri-
meva la sua fede nel valore straordinario di quel primo sogno: veramente allora
il Signore gli aveva preannunziata l'ascesa al sacerdozio, ed era venuto il tempo
in cui ne aveva ricevuta la controprova.
Bosco in Seminario. Essi apparvero anonimi nel 1844. Nei primi due capitoli
1
sono inseriti brani di lettere inviate da conoscenti, tra i quali si distinguono
!
Don Francesco Calosso, direttore spirituale nel Collegio di Chieri e il teologo
Giovanni Bosco, chierese, professore di retorica nel 1835-36, poi di sacra
eloquenza all'università di Torino (8g). I rimanenti cinque capitoli si rifanno
quasi per intero alla testimonianza dell'innominato amico che è Don Bosco.
Il libretto è trasparentissimamente edificante, indirizzato appunto. con
tale scopo ai seminaristi di Chieri. A differenza di altre analoghe operette esso
segue la successione cronologica dei fatti daUa nascita alla morte e non offre
capitoli destinati a raccogliere atti buoni sotto l'etichetta di determinate virtù.
!
Tuttavia il contenuto biografico è assai esile; il metodo è aneddotico; le preoccu-
pazioni edificanti sono troppo evidenti, così come l'influsso di scritti agiografici
letti da Don Bosco.
Palese è la preoccupazione di mettere in evidenza quanto è atto ad acco-
stare Luigi Comollo a Luigi Gonzaga. Come il Gonzaga, anche il Comollo
pianse nell'atto della sua prima confessione, quasi riconoscendosi grandissimo
peccatore; anch'egli trasaliva di grande dolcezza tutte le volte che si accostava
alla mensa eucaristica
Don Bosco giunge al punto di adoperare quasi le stesse espressioni che
l
si leggono su biografie di Luigi Gonzaga:
<< Qualora avessimo veduto Luigi venir . . .tosto l'un l'altro awertiva: <<zitto
tra loro, mutavano di presente il parlare, che c'è Luigi che sente D sopraggiungen-
e si componevano, a gravità; mettendo do egli ogni discorso men buono era in-
mano a' ragionamenti, che più sapeano terrotto » (92).
dovergli piacere » (g').
Ma la poca ricchezza di mezzi letterari e l'influsso agiografico non deve
talmente impressionare il lettore da non fargli constatare la solidità dei pochi
episodi descritti senza troppe efflorescenze retoriche e senza quella minutezza
di particolari che potrebbero denotare uno sforzo ricostruttivo. Anche le sen-
tenze attribuite al Comollo sono brevissime, poche e tali da potere essere
ricordate con facilità, e il ritrovarle più avanti in scritti di Don Bosco o attribuite
alla sua parola viva in prediche e sermoucini serali non sembra debba indurre
nel sospetto che Don Bosco abbia applicato al Comollo il suo modo di pensare.
La lettura persuade piuttosto del contrario; cioè del fatto che dalla comunione
di vita stabilitasi tra i due ne sia venuta una certa osmosi di idee e di espres-
sioni e un maggior radicarsi di esse nella mente e nel linguaggio di Don Bosco.
7. Comollo seminarista e Giovanni Bosco
I Cenni sul Comollo sono insieme alle Memorie dell'Oratorio, come dice-
vamo, il documento più importante per indagare sugli anni trascorsi da Don
(89) I nomi del Calosso e del Bosco, taciuti neli'ediz. 1844, furono aggiunti in quella
dei 1854, p. 20 e 24.
(m) Bosco, Cenni storici, Tonino 1844, p. 9: profluvio di lagrime 1% alla prima con-
fessione; t>. 10: comunione sacramentale e spirituale; lettura prediletta: S. Monso, Visite
ai SS. ~ a k e n t o .
(91) A. CESAR(I1760-1828), Vita breve di San Luigi.. ., pt. 1, cp. 7, Piacenza
1829, p. 53.
(92) Bosco, Cenni storici, p. 6.

4.10 Page 40

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
I1 motto « Servite Domino in laetitia », che Don Bosco asserisce essere
stato abituale del Comollo (93), poté essere una sentenza che lo stesso Luigi
Comollo poté apprendere ad esempio nelle riunioni della Società dell'Allegria;
ma altre espressioni si presentano più consone alla sua mentalità, anche se
poi si riscontrano abituali nel modo di esprimersi di Don Bosco.
Le raccomandazioni, ad esempio, che Comollo fece sul letto di morte
all'ainico si leggono già sugli appunti che Don Bosco prese attorno al 1839
ed appaiono avere la garanzia della genuinità. Tra di esse si trova quella
(a cui abbiamo accennato) sui compagni di Seminario: alcuni di essi sono
cattivi; altri né buoni né cattivi; altri, buoni (g4). Distinzione che ritroviamo
proposta da Don Bosco ai ragazzi sul Giovane provveduto e riespressa nella
V i t a di Domenico Savio e nel discorso sul Sistema preuentiuo ("1.
Ma nella vita di Comollo ha un contesto suo proprio e una sinistra
modalità, in quanto è una distinzione applicata a coloro che vivevano nel
Seminario. Comollo del resto appare alquanto disincantato nei riguardi del
clero considerato nel suo complesso, allorché con amarezza dichiara all'amico
ciò che era già stato oggetto di comune riflessione: « Alle volte avviene che
un uomo della plebe, una vi1 donnicciuola stia colle più sante disposizioni
[in chiesa], mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza riflettere
che si trova nella casa del Dio vivente » ("1.
Quel che colpisce maggiormente è il complesso di giudizi di valore che
Comollo manifesta sull'ambiente, riguardo al quale tradisce un certo senso
di disagio e la tendenza ad evaderne. Lui, timido studente a Chieri (e certa-
mente anche altrove), spesso sottoposto a soprusi ai quali non voleva e forse
non sapeva sottrarsi, considera la terra un <( mondo di lacrime »; il corpo: il
« miserabile corpo »; se stesso « un miserabile guardiano di buoi » ("1 e
perciò stesso indegno del Sacerdozio; lascia la responsabilità dei suoi passi
ad altri, considerandone le decisioni come manifestazione della divina volontà.
Angustiato del mondo e di se stesso, ha il suo rifugio e il suo compenso
nelle pratiche religiose che non lo impegnano socialmente: nella preghiera
prolungata e affettuosa, ammancata di gesti e sospiri che Giovanni Bosco non
riusciva ad approvare pienamente; nella recita - solo con l'amico Bosco -
dei Salmi penitenziali, dell'ufficio dei defunti o della Beata Vergine rivolto
P3)BOSCO, Cenni storici, p. 21 S.
(*) Bosco, G n n i storici, p. 63.
("1 Il giovane provueduto. Cose da fuggirsi massimamente dnila gioventù, art. 2.
gFnuig.a.
de' cattivi compagni, Torino,
.D. Vita del giovanetto Savio
Paravia 1847
Domenica, cp.
p.
5,
21 s: «Ci sono
Torino 1859, p.
tre sorta di compa.
20s. IL siriem pre-
ventivo nella educazione della gioventù, 5 5. Altre racconiandazioni, art. 4 (il § 5 non si
trova nelle prime redazioni, edite in Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza a
Mare, Torino, tip. Saies. 1877 e Regolam. per le Case della Societh di San Francesco di
Sales, Torino, Tip. Sales., 1877). P, un'aggiunta fatta su ms. di DB.
(9Bosco, Cenni storici, p. 62.
P7) Bosco, Cenni storici, p. 25.
al mondo delle anime del Purgatorio, mentre gli altri compagni sono in
ricreazione.
La sua devozione eucaristica è alimentata dalle Visite al SS. Sacvamento
e a Maria S S . di S. Alfonso, santo ormai popolare anche in Piemonte, come
dappertutto allora, di cui lesse la vita e sul cui esempio si fece obbligo di
non perdere mai tempo (98).
La sua vita in Seminario appare un esame di coscienza continuo su tutti
i propri atti, su pensieri parole ed opere, sotto l'occhio di Dio giudice. Come
ricorda Don Bosco, l'ultimo anno di vita meditò sull'opera del gesuita Pina-
moi~tiL'inferno aperto n1 cristiano perché non v'entri (*). Anche a tali continue
riflessioni - ci sembra - è da attribuire la piega assunta dalla sua religiosità
negli ultimi tempi, riella prospettiva quasi ossessionante di Cristo giudice, del
giudizio, della sentenza irrevocabile. Durante l'ultima malattia, ricorda Don
Bosco, nella notte del 30 marzo tornato alquanto in sé, e guardando fisso gli
astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio. Quindi cominciò a dibat-
tersi con forze tali, che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo
trattenere in letto (lw).
In sogno ebbe l'impressione di essere spinto da mostri spaventevoli negli
abissi infernali. Liberato in buon punto dalla Vergine Maria, che gli fece da
guida nel salire una scala infestata da serpenti, poté giungere in un giardino
deliziosissimo ('O').
Gli elementi di questo sogno riecheggiano chiarissimamente le immagini
e i concetti del Padre Pinamonti, il quale fa pregare Maria SS. perché liberi
dall'abisso dei peccati e dalla dannazione giustamente meritata, liberi dal
fuoco, daiia morte eterna, e interceda lei, che è madre, che è avvocata, che è
gran Signora, perché si possa scampare dalla tremenda sentenza, per i meriti
di Gesù, per le sue piaghe, per il suo sangue; per goderlo in eterno con tutti
i Santi in Cielo (l").
Comollo, si direbbe, sta tra Luigi Gonzaga, Alfonso de' Liguori e Don
Bosco. Angelico come Luigi, nauseato e diffidente del mondo come Luigio
come S. Alfonso; e, come Don Bosco, umile pastore110 trasformato in studente
e aspirante al Sacerdozio.
Ma Comollo forse non sarebbe mai stato come Don Bosco un educatore
di turbe giovanili. I1 Servite Domino in lrietitia ha per lui più il senso di un
appello verso la pace interiore da raggiungere e tutelare nella consapevolezza
di essere in grazia di Dio, che non il valore di motto delle chiassose radu-
nanze giovanili.
Come già durante la vita studentesca al Collegio di Chieri, Giovanni
Bosco dovette ammirate in Comollo chierico soprattutto la ricchezza dell'inte-
(98) BOSCO, Cenni storici, p. 27.
(9)Giovaiini Pietro PINAMON(T16I32-17031, O ~ e r e .Venezia 1742. D. 372-392.
(lw) BOSCO, Cenni storici, p. 53.
(lo1) BOSCO,Cenni storici, p. 54-56.
(lm) PINAMONOTpIe,re, p. 392.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
riore colloquio con Dio, con Maria, con i Santi, più c h e la tormentata ricerca
di regolarità esteriore. D o n Bosco dovette tenerselo sempre vicino e caro,
perché lo
l'esterno.
sentiva
come
una
forza
equilibratrice
alla
sua
tendenza
.
3
,
ve?: vr..s,,.o'.,;
Sarebbe esagerato dire che D o n Bosco debba al Comollo la saldezia
della sua vita interiore, m a certissimamente la comunione di vita d i entrambi
f u per Giovanni u n a salvaguardia e un mezzo di arricchimento.
Le non istraordinarie, m a compiute virtù (lm) c h e D o n Bosco ammirò
nell'amico, contengono già i n germe l'affermazione che proprio in esse consiste
la santità dei giovani. Luigi Comollo f u u n o degli esemplari a i quali Don Bosco
a m ò fare appello e i Cenni s u di lui furono u n o dei testi di lettura spirituale
dell'oratorio (lM). M i forse anche all'influsso d i Comollo Don Bosco deve
quella spinta u n po' eccessiva verso I'ascetismo in Seminario e la tendenza a
certi rigidismi ascetici e a certe diffidenze, ch'erano suggerite dai libri del
t e m p o e ch'egli vedeva in pratica nel s u o redivivo, ammirato ed emulato
Luigi Gonzaga.
I. FONTI
1. Inedite.
A. AS 132 Quaderni 2: Bosco Gioanni - Cadice contenente sonetm ed altre poesie
. varie li 17 maggio 1835 D, 1 f., 61 p,, 1 p. h. Contiene a p. 61 ss. appunti di filosofia:
« Introduzione. L'uomo cerca la verità ed ama l'onestà.. D. Presurnibilmente sono il
dettato del prof. Ternavaiio. Troppo pochi elementi si hanno per stah2lire la fisionomia
delle lezioni (lievi tendenze sensiste?) e la loro derivazione. Sarà stato nelia tradizione di
.. . Giusappe PAVESIO,Elementa logices ad Subalpinos, Taurini 1793; methaphisices ad
. Subalpinos, Taurini 1794 . . ; philosophiae morali8 ad Subalpinos, Taurini 1795, dalle
venature sensiste e agostiniane? oppure avrà seguito più recenti trattazioni sotto l'in-
... flusso di giohertiani o rosminiani? - I i codice contiene anche l'inno a S. Ginlio del
Metastasio: a Giulio splendor de' martiri speme e sostegno, amor - de' Noi divoti D
(p. 44), trasformato poi nelle Sei domeniche in onore di S. Luigi pubblicate da Don
. . . Bosco (1846) in «Luigi o n o r de' vergini dolce speranza, amor - de' tuoi divoti r.
. .. 132 Quaderni 4: Quaderni di teologia. Gaso di morale: « Titius m u s D 2 f. -
Appunti sul De locis theologicis » « die 11 junii 1839 » 1 i.; De Censuris » 2 f. stamp.
con annotaz. autogr. di Don Bosco, 15 f. - «Analysis quaestionum, quae juxta Alasiae
ordi'nem in l", P,P et 4" Decalogi praecepto continentur, a D. Cafasso contratta 1840. -
Codex primus 1842-43», ms forse in parte autogr. d i Don Bosco, 18. f.
B. AS 113 Comollo 1: e Infermità e morte del giovane chierico Luigi Comollo scritta
dal suo collega C. Gi3 Bosco. Nozione sulla nostra amicizia, e sulla sua vita » 1839, autogr.
di Don Bosco, 12 f. 2: «Cenni storici sul ch. Luigi ComoUo seminarista di Chieri De-
dicati al giovane Larissé conte ereditario», autogr. di Don Bosco, 1 8 4 . . ., 34 f. -
L'incartamento contiene i'ediz. interiol. 1867 preparata da Don Bosco per l'ediz. succes-
siva « 1883 quinta ».
(lo3) Bosco, Cenni storici, p. 27.
(lM) Ne è un indice il numero deUe edizioni facte. Si legge inoltre suiia Vita Lii
Domenico Savio, cp. 16, Torino 1859, p. 83: «Prima di accertare qualcheduno n d a
compagnia dell'Immacolata gli si faccia leggere la vita di Luigi Comoiuo ».
C. Varie cronache (AS 110) e tesoimonianze brevi (AS 123) segnalate in buona parte
da DESRAMAUTO,. C,, p. 20-23. Attestati delle sacre ordinazioni (AS 112 Documenti
personali).
D. Processo di heatificazione e canonizzazione di D. Bosco e d i Don Cafasso, la cui
documentazione è parte a Torino: ACuria e AConvitto; parte a Roma: ACongr. Rel.; per
l'interpretazione e da storia delle MB è bene ricordare che per la compilazione Don Lemoyne
ha utilizzato una copia del processo informativo diocesano per la heatificazione di Don
Bosco, conservata in AS 161.
E. Verona-Saval, Bihl. Salesiani: De Matrimonio autogr. di Don Bosco 1 quaderno.
F. Torino, ACuria. Oltre agii atti dei processi sopra ricordati (D), Lettere pastorali
(vari aspetti della vita religiosa diocesana), Corrispondenza (in parte interessa la vita del
clero e in particolare il Seminario), Provisioni semplici (decreti e prowidenze attinenti
.. persone, chiese, confratemite .).
G . Rivoli (Torino), ASeminario: conserva registri di Chieri; tra i'altro è notata la
frequenza ai Sacramenti. Quella di DB rispecchia la pratica normale dei seminaristi ben
quotati. I1 Seminario ha incotporato anche l'antica biblioteca del Seminario d i Chieri.
Stando alle registrazioni, nel primo anno di seminario non tutte le domeniche DB
s-i-
accostò
~~~~~~~
alla
comunione
eucaristica.
Si
accostò
aUa
confessione
quindicinalmente,
ma
. . cambiò confessore otto o nove volte. Nel secondo anno sceke come confessore il cano-
nico Maloria. Cf. Il prof. don Giovanni Maria Rolando. Ricordo della vita . , Chieri
1968, p. 160 S.
H. Chieri, Chiesa di S. Filippo. Conserva registri di Confraternite. Tra queste, erano
erette a S. Filippo l'Associazione di S. Francesco di Sales e la Compagnia di S. Luigi
Gonzaga; entrambe per adulti.
2. Edite.
. Interessano soprattutto di DB i Cenni storici sulla vifa del chierico Luigi Comollo
morto nel seminario di Chieri.. , Torino 1844; 1854* (LC); 18673; 18844 (LC). Per
la vicinanza ai fatti narrati interessa specialmente l'ed. 1844; le altre, per le aggiunte e
alcune varianti che riflettono il nuovo pubblico a cui i Cenni sono indirizzati.
. F. GIORDANO,hlato di M. V,, Cenni istruttivi di perfezione proposti a' giovani desi-
derosi della medesima nella vita edificante di Giuseppe Burzio . . , Torino, Artisti Tipografi
1846. Contiene a frammenti una relazione di DB. Nel complesso è un documento non
privo d'interesse anche come ideaiiizzazione agiografica dell'amhiente seminaristico e del
hiografato.
11. BIBLIOGRAFIA
. Oirre alle biografie del Cafasso e di DB: A. Bos~o,Memorie storico religiose e di
belle arti del duomo e delle altre chiese di Chieri. . Torino 1878 (interessanti pagine su
alcune feste religiose popolari); E. DEEVIEWXD, ue secoli del seminario metropolitano di
Torino, Chieri 1927.
Come documenti sulla mentalità ecclesiastica torinese tra il 1830 e il 1840 sono
fondamentali i carteggi giohertiani: Ricordi biografici e carteggio di Vincenzo Gioberti a
. cura di Giuseppe Massari, Torino 1860.1862, 2 vol.; D. BERTI, Di Vincenzo G. riformatore
politico e ministro con sue lettere inedite. . , Firenze 1881; V. G., Epistolario, edizione
nazionale a cura di G. Gentile e G. Balsamo-Crivelli, Firenze 1929-30, 5 vol.; Carteggi di
Vincenzo Gioberti, Roma, 1935-36, 3 voi.

5.2 Page 42

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
CAPITOLO 111
IL CONVITTO ECCLESIASTICO E LE PRIME ESPERIENZE
CATECI-IISTICHE DI DON BOSCO A TORINO (1841-1844)
1. L'antirigorismo: tendenze pastorali in Piemonte dopo la Restau-
razione
I1 Convitto ecclesiastico torinese, scrive Don Bosco, fu « quel maravi-
glioso semenzaio, da cui provenne molto bene alla Chiesa, specialmente a
sbarbare alcune radici di Giansenismo, che tuttora si conservava tra noi N(').
Non era, la sua, un'affermazione singolare, ma la persuasione di molti che
apprezzavano quella scuola-pensionato dove si addestravano una cinquantina
di giovani sacerdoti al ministero pastorale (9)E.che il Convitto avesse avuto
il merito di liberare il Piemonte «dalla tabe del Giansenismo » venne anche
affermato da antichi alunni al processo di beatificazione di Don Cafasso (3).
Eppure non tutti erano persuasi che in Piemonte esistesse Giansenismo
(seppure mai era attecchita i'eresia delle cinque proposizioni condannate) e
molti reagivano vivacemente all'insinuazione o anche addirittura ali'accusa, di
cui ancora si faceva uso e abuso(". In realtà ormai si era di molto evoluto il
senso del termine. Quasi mai, usandolo, s'intendevano i sostenitori della
dottrina pluricondannata del Giansenismo o i difensori dell'ortodossia di Gian-
senio o fautori di una riforma ecclesiastica che s'ispirasse agli ideali attribuiti
agli scrittori di Port-Royal. Ormai si chiamavano, talora, giansenisti i sacerdoti
che non concedevano facilmente l'asso1uzione o la frequente comunione; e
il più delle volte, in tono bonario: tanto, nella vita pratica, si era lontani
(l) M 0 p. 121.
(') 11 Convitto nei 1839-40 contava 45 allievi. C f . BERTOLOTTD~e, scrizione di Torino,
p. 54.
(3) NICOLISDI R O B I L ~ TV,ita del Ven. Gius. Cafasso, 1, p. XIV.
(4) Cf. le polemiche tra Girdlamo Vincenzo Spanzotti (1741-1812) e Gaetano Donaudi
(Cma.vo1u8?2.9.).,rifFeirrietenzdea
F. RUFFINI, I
1942; o quelle
giansenisti
tra Pietro
piemontesi e la conversione della
En~ietti(1754.1844) e Giuseppe
madre di
Antonio
Aiasia (1731.1812) in P. STELLA, Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, Torino
1959, p. 55.61.

5.3 Page 43

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
(7. dall'antica tensione dominale Ma non mancarono ancora spiriti fervoro-
samente accesi contro il Giansenismo, come Pio Brunone Lanteri, che aveva
conosciuto nella sua giovinezza autentici filogiansenisti all'università di Torino
e fuori, prima della Rivoluzione francese (6). E la polemica forse avveniva quasi
solo in sede scolastica, agitata da chi vedeva le cose dall'alto e denunziava
sotterranei nessi tra la pastorale rigorista dell'ottocento e il Giansenismo.
Poteva cosi awenire che, anche fuori delle roccaforti scolastiche dei benignisti,
si temessero presenti e immediati pericoli che potevano essere di tempi ormai
tramontati. E per i fervidi henignisti il pensare ai pastori della non frequente
comunione poteva essere ancbe stimolo a supporre che questi si erano alimentati
(o inconsciamente imbevuti) di pessimi principi letti sul trattato De la fréquente
communion, di Antoiiie Arnauld << impastato - si diceva - d'ogni più sottile
malizia per aliontanare le anime dal pascolo di vita »('); oppure avevano
assimilato l'esiziale veleno dalle Istruzioni sopra gli obblighi sì generali, che
particolari d'ogni cristiano, che viva nel secolo, dell'appellante Treuvé, stam-
pate a Torino nel 1765 e dedicate al vescovo d'Ivrea (poi arcivescovo di Torino)
mons. Rorà; nelle quali - ricorda il maggior biografo di Don Cafasso -
fra l'altro s'insegna che è sfacciata presunzione sperare due volte il perdono
di Dio » ('); oppure avevano attinto ai Trattenimenti su Gesù Cvisto nel
SS. Sacramento di Gabriel Gerberon, ordinati a provare che se il mondo si
preparò quattromila anni per ricevere il Signore, il cristiano dovrebhe prepa-
rarvisi per tutta la vita astenendosi dalla c ~ m u n i o n e ( ~ ) .
Effettivamente allarmanti richiami alla tremenda santità del Sacramento
potevano trovarsi in libri stampati in Piemonte all'inizio dell0ttocento e
persino in lettere pastorali di vescovi.
( 5 ) Cosi almeno ritiene G. PIOVANO, Il Conuitto ecclesiastico di Torino, in Il Corriere,
Torino, 17 siugno 1926. - Non sono però da esdudere malumori a carico del Convitto,
anche a mocivo della «lotta antigiansenista » di cui il Guala si era fatto fautore. Signifi-
cativo è quanto dei Gioberti riferisce il CASALISD,izionario, 21, p. 477: « I1 danno che
questa congrega Idel Convitto] ha fatto alla religione non solo in Torino, ma in tutto il
Piamonte, è discile a calcolare; e io sentii più volte affermarlo da vecchi paroci savi e
sperimentati D.
(9BONA, Le «Amicizie », p. 46; 77 S.
(7) NICOLISDI ROBILANT, o. c., P. XIX. I1 gesuita Nicoiao de Diesshach (1732-1798),
che operò a lungo in P.iemonte, riportava una sentenza attribuita a S. Vincenzo de' Paoli:
il signor Arnaldo potrebbe egli mostrare con più chiarezza non essere il suo libro stato
composto, che con disegno di rovinare la messa, e la comunione a ( I l zelo meditotiuo di un
pio solitario cristiano e cattdico. .., Torino, stamp. G. F. Fontana 1774, p. 89).
NICOLIS DI ROBILANT, O. c., P. XIX. L'opera di Michel-Simon T~euvé(1651-1730)
venne pubblicata dalla stamperia Reale. Invano vi abbiamo cercato l'affermazione rimpro-
veratagli dal di Robilant. I1 Treuvé però insiste fortemente sull'impossibilità di rialzarsi
dal peccato con le proprie forze (p. 91-96).
( 9 ) Così interpreta NICOLIS DI RQBILANOT. ,C,, p. XIX. - Nd 1762 richiese dalla
Francia una copia degli Entretiens uuec J~SUS-Chripster il ministro per gli &ari esteri
dei Piemonte, Giuseppe Ossorio, il pro-vicario generale del card. Delle Lanze, Gaspare
Nizzia. Cf. STELLA, Giunsenismo in Italia, 111, p. 395. Nel 1795 l'opera fu pubblicata
a Torino nell'originale francese (Turin, cha Guibert @re et fils).
Ma con l'insistere su questi aspetti i henignisti finivano per crearsi una
visione parziale delle cose, storicamente inesatta e teoricamente tendenziosa;
finivano per immaginare se stessi nei principi pratici e nella pratica pastorale
quotidiana, più distanti dai loro avversari, di quanto poi effettivamente erano.
S. Alfonso, non meno di Antoine Arnauld, dimostra di avere un altissimo
senso della santità del Sacramento e con più calore di lui raccomanda di non
profanarlo sacrilegamente. Ma questo, a S. Alfonso i benignisti non lo rimpro-
veravano. Anche Don Bosco, pur deprecando il rigorismo giansenista afferma
che non bisogna concedere la comunione frequente a chi ricade più volte nel
medesimo peccato grave durante la settimana: precisamente come voleva il
T r e ~ v é ( ' ~ )E. Don Bosco non si rifà al Treuvé, ma alla morale del Convitto
e all'insegnamento di S. Alfonso e di S. Francesco di Sales; cioè, in altri termini:
Don Bosco non era giansenista, ma, nei principi pratici e nella prassi, giansenisti
e antigiansenisti non poche volte finivano per concordare e agire secondo
una mentalità comune.
Si accusavano i giansenisti di allontanare i fedeli dai sacramenti. Ma proprio
negli anni in cui Don Bosco frequentò il Convitto mori un parroco in fama
di giansenista, a cui però si attribuiva il merito di avere ottenuta nella sua
parrocchia una frequenza sacramentale maggiore di quella delle parrocchie cir-
convicine. Dunque era infondata la qualifica di giansenista? oppure era senza
fondamento la persuasione che quelli che si consideravano (ed erano consi-
derati) seguaci di Port-Royal allontanavano dai sacramenti? (l').
Comunque sia, in Convitto si reagiva contro la prassi sactamentaria guar-
dinga nel concedere la comunione, ch'era stata comune specialmente nella
seconda metà del Settecento, ma che era considerata come un frutto della tabe
giansenista.
In quest'ordine di idee la scuola del Guala e del Cafasso non era meno
polemica di quella del Seminario di Chieri, soprattutto contro /'Alasia, il testo
obbiigato dalla rinomanza che godeva tra il clero, ma annotato e criticato, con
a fianco il pungolo della dottrina alfonsiana; presentato come rigido, lui che
all'inizio deU'Ottocento era stato denunziato di lassismo tu).
È possibile individuare alcuni motivi che portarono all'abhandono del-
l'antica prassi sacramentale, accusata a torto o a ragione di eccessivo rigorismo.
Che cosa ne era stato - ci si chiedeva - del popolo fedele dopo tanti
(lo) Così, aimeno, si esprimeva paolando ai Salesiani nel 1879 (MB 14, p. 46). Rivol-
gendosi ai giovani, specialmente all'inizio dell'anno scolastico, usava insistere quasi senza
limiti per una massima frequenza sacramentale; cf. per es. quanto disse nel novembre 1876,
MB 12, p. 566. Le Istruzioni del Treuv4 si occupano deUe disposizioni ricbiate per la
frequente comunione nei cp. 19 e 20, ed. c., p. 107-128.
sua
(11) Giovanni Pietro
patria, dove morl 1'8
Enrictti
gennaio
fu canonico del duomo
1843. Di lui fu scritto
d'Ivrea
che,
qeupaanrtruoncoqudei..Q. ufionscseineotptoi-,
nione che avesse sentore di giansenista, tuttavia la frequenze ai Santi Sacramenti, e la
pietà che fiorivano nella sua reggenza parrocchiale sarebbero tali a far ricredere molti in
contrario ». Cf. STELLA, Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, p. 71.
(l2)Cf. sopra, cp. 2, nota 33.

5.4 Page 44

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
anni di predominio rigorista? I1 rigorismo - scriveva Antoine Favre, un
fervido alfonsiano savoiardo, di cui le « Letture Cattoliche >> divulgarono qual-
che scritto - « a perdu en partie la religion en Savoie et en France en
éloignant les fidèles des sacrements » (l3).
Col rigore e con l'austerità si sarebbe voluto condurre ad una vita cri-
stiana più pura. Ma chiedevano i benignisti: quale ne era stato il risultato?
Non solo erano rimasti senza sacramenti quanti ormai si erano allontanati
dalla Chiesa, ma anche le anime che avrebbero voluto restare vitalmente unite
ad essa:
«Si è fatta osservazione - scriveva un propugnatore di una maggior frequenza
sacramentale - che nel secolo antecedente al passato, allorché la corruzione de'
costumi fece nascere un si gran numero di eresie, che inondarono poco meno che
tutto ii mondo Cattolico, la frequenza de' Sagramenti della Penitenza, e della Co-
munione erasi del tutto perduta; e che dal punto, da cui incominciò a rimettersi,
mediante la sollecitudine di molti santi Personaggi, che Dio suscito poco tempo
dopo; si vide rifiorire dappertutto la pietà, e fermato il corso agli errori in que'
luoghi stessi, ne' quali facevano più rovina! Ma a che cercare si da lungi esempi di
una verità, della quale noi siamo convinti dalla nostra propria esperienza? Sentesi
dire talvolta, che vi è inganno nel comunicare ogni mese, ogni quindici giorni, ogni
otto giorni, che si ricaverebbe più di frutto se si facesse più di raro. Un tal discorso
persuaderà senza dubbio coloro, che non si comunicano se non due o tre volte l'anno.
Ma quale impressione potrebbe fare in quelle persone, le quali sanno benissimo da
il vantaggio, che vi è in comunicarsi sovente? » (14).
In questi termini si equivocava non poco. Si portava quasi a pensare che
fosse dovuto solo aUa frequenza dei Sacramenti un d e t t o che, eventualmente,
aveva cause molto più complesse; si poneva avanti un'affermazione, che con
tutta probabilità era stata isolata dal contesto che la precisava e giustificava
è un inganno comunicare. . . ogni otto giorni - senza portarvi le dovute di-
sposizioni! »). Ma esprimendosi in tal modo i benignisti ponevano per lo meno
in risalto il valore e l'efficacia che i Sacramenti hanno per sé. La Penitenza
per sua natura - secondo la teologia cattolica - era capace di comunicare la
grazia. L'Eucaristia era lo stesso Autore della vita soprannaturale, che riem-
piva d'amor di Dio, alimentava, irrobustiva, cementava alla Chiesa i fedeli.
Supponendo che in passato si erano allontanati indiscriminatamente, e
per principio, i fedeli dalla comunione frequente, si concludeva che effetto di
ciò era poi stato l'indebolimento della pietà, della morale e della fede.
Dunque, se non si voleva perdere il popolo ancora fedele, se si volevano
riconquistare i perduti bisognava percorrere quella via che appariva essere
stata battuta da coloro che arginarono il protestantesimo e la «corruzione dei
('3) PERUOULDe, Jans4nisme en Savoie, p. 94. Particolari sul rifiuto dei Sacramenti,
cpeoialmeute in Maurienne: p. 100 S.
(M) Dmenico BIGIOGERLO'a,more
considerazioni pratiche per la frequenza
degli
della
SSa.mmoariCGomesuùniConries.t.o. ,neTlloarinSoS,.mSatamEpu.caRriesatilea
1794, p. 141 S.
costumi » nel Seicento; bisognava ridare al popolo quelle cose delle quali gli
si era fatto patire maggiormente il digiuno: la devozione eucaristica, quella
a Maria Santissima e ai Santi.
Nell'Ottocento divoto subalpino - come altrove - si dilatarono rapi-
damente devozioni già represse nel secolo precedente, del cui antidevozionismo
era stata espressione l'opera Della uegolata devozzone di Ludovico Antonio Mu-
ratori(Is). Con la comunione eucaristica vennero promosse la Visita al SS. Sa-
cramento, la Benedizione eucaristica, il culto al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore
Immacolato di Maria; si moltiplicarono le associazioni parrocchiali delle Figlie
di Maria, si diffuse la pratica del mese di maggio in onore della Santissima
Vergine, che fini per attirare in chiesa tanta gente quanta ne accorreva per i
quaresimali, e più ancora, quando questi andarono in declino; si diffuse la
Via
Cuacis
specialmente
nei
venerdi
di
quaresima
6
(l ).
I manuali di pietà pcr il popolo non omettevano devozioni particolari e
pii esercizi, sicché talvolta si presentavano come antologie prodigiosamente
ricche di orazioni a svariatissimi santi per svariatissimi bisogni dell'anima e
del corpo (l7).
Non doveva essere un caso singolare quello della marchesa Barolo, la
quale - secondo quanto riferisce il suo maggior biografo - aveva una specia-
lissima devozione alla SS. Trinità, al Sacro Cuore di Gesù, al SS. Sacramento,
alle Tre Ore dell'Agonia, alla Vergine Consolata e Addolorata, agli Angeli
Custodi, alle Anime del Purgatorio; e nella sua carta celeste aveva segnati
come astri fulgidissimi, cari e propiziatori S. Giuseppe, S. Teresa, S. Giulia,
S. Anna, S. Maria Maddalena, i santi Cosma e Damiano. Fondò l'istituto delle
Suore di S. Anna e della Prowidenza, l'ospedaletto di S. Filomena, l'opera
delle Suore di S. Maria Maddalena Penitente. Onorava la SS. Trinità con
tre Glovia Patri ogni volta che ascoltava qualche sua protetta, usava pratiche
divote speciali in marzo in onore di S. Giuseppe, in maggio in onore di Maria SS.,
in giugno in onore del Sacro Cuore, in ottobre in onore degli Angeli Custodi
e aveva intenzione di fondare una congregazione di sacerdoti sotto il patro-
cinio di S. Francesco di Sales (l8).
Si temeva di perdere il popolo e si desiderava mantenerlo legato alla
Chiesa. Sembrerebbe strano, ma partendo da altri presupposti erano bruciati
della medesima ansia molti antichi eredi del rigorismo universitario, quegli
uomini cioè che attorno al 1820-30 erano stati chiamati dettoriani, alasiani,
(l3) Sul cui significato nel Settecento cf. JEMOLOIl ,Giansenismo in Italia prima della
Riuolur.ione. n. 229.236; e sulla vivace reazione: J. STRICHELRe, voeu du raflg en faueur
~~~
de l'lmma~u&e~ o n c e ~ t i o n1, Roma 1959.
(16) STELLA, I tempi e gli scritti che prepararono il «Mese di Maggio » di Don
Bosco in Salesianum 20 (1958) p. 648-694.
. 1\\ 17,)
T..n.ii.e~ ne -e~fo~ rtu-nato
~
~~~
~~~~
arsenale
di
devaione
h,
ad
esempio,
il
Manuale
dz
Filotea
del
sacerdote milanese Giuseppe RIVA, Milano 1831; 186516..
(1s) G. LANZALa, marchesa Giulia Falletti di B~rolonata Colbert, Torino, G. Spcirani

5.5 Page 45

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
rigoristi (come il canonico Pietro Riberi, fervido promotore dell'Opera per
la propagazione della fede, amicissimo di Gioberti) e che nel decennio 1840-1850
vedevano il popolo italiano nettamente proteso verso l'unità nazionale e i'in-
dipendenza dailo straniero (l9).
Erano i preti patrioti, i quali a metà Ottocento (nella mente di quanti
erano portati a voler mantenere lo statu qua, a rispettare tutti i sovrani nella
religiosa persuasione che ogni potere è da Dio) venivano qualificati, più o
meno fondatamente, come preti liberali, e cioè preti rivoluzionari, iscritti
forse anche alla massoneria e d a carboneria e ad altre sette condannate dai
Sommi Pontefici; eredi dei giansenisti, che all'inizio del nuovo secolo avevano
dato prova di collaborare con i giacobini per la rovina dei troni e dell'altare (m).
Molti preti patriòti effettivamente al binomio trono e altare avevano sosti-
tuito, come Lamennais e Montalembert, l'altro: Dio e popolo; o religione e
popolo, che evocava in loro l'anelito a salvare per la religione il popolo, a
cui i sovrani e i fautori del conservatorismo non volevano riconoscere i diritti
e la dignità(2').
Negli ultimi anni di Gregorio XVI e nei primi di Pio IX si era creata
una tensione che non è facile evocare in tutti i suoi elementi; una carica di
entusiasmo compressa (in molti), perché non si riusciva a vedere per quale
via si poteva ottenere l'unità nazionale senza toccare il diritto del Papa sul
territorio degli stati pontifici.
I sacerdoti patrioti prevedevano che il popolo, se non fosse stato secon-
dato neli'aspirazione ali'unità nazionale, avrebbe ugualmente raggiunto il suo
intento, nonostante tutto, nonostante anche le scomuniche. E se l'Italia si
fosse fatta in quel modo, si sarebbe fatta con astio e rancore contro la
Chiesa.
Secondo Goffredo Casalis, che scrisse nel 1851, dopo la frattura tra causa
risorgimentale e clero intransigente, il decadere della vita religiosa aveva
come responsabile l'atteggiamento del clero, che dal popolo veniva giudicato
avverso alle libertà civili:
« D i qui ebbero principio le invettive, e le accuse, onde ai nostri giorni è ber-
sagliato il clero. I1 che costituisce un fatto doloroso, perché qualunque siane la causa,
e di chiunque siane il torto, il danno che viene alla società è grande, mentre caduto
il clero daUa pubblica stima, esercita senza frutto il suo ministero, come quello che
non eccedendo le semplici esortazioni e la morale influenza, rimane privo del neces-
. ('9) D. BERTI, Di Vincenzo Gioberti riformatore politico e ministro con le sue lettere
inedite. . , Firenze 1881.
(m) Sono significative in tal senso le relazioni a tinte fosche inviate a Roma da
Ambrogio Campodonico, incaricato d'affari della S. Sede a Torino. Cf. P. SAVIO, Fedeltà
. . di mgr. A. Turchi, p. 1049 (indice).
(21) Ad evocarlo. utile è A. GAMBARO. Sulle orme del Lamennais in Italia. , To-
rino 1'9%; ma per il decennio che interesa,'dopo il 1840, sono da consdtare i carteggi di
Vincenzo Gioberti, le Letture di Famiglia del Valerio o gli opuscoli di Flaviano Bens prete
deii'oratorio di Torino o del prete valdostano Orsitres.
sario suo fondamento. I popoli perdendo il rispetto ai ministri del santuario, più
P). non pongono mente a quanto essi predicano, né si eccitano all'acquisto della virtù »
I preti, si lamentava, fuggono il popolo che loro si sono alienati, e a
loro volta sono fuggiti « quali misantropi scrupolosi che non conoscono il
mondo né i tempi in cui vivono » ( U ) e contro il quale vanno « trombeggiando
in fanatico squillo che la Religione è in decadenza, in pericolo, che è minac-
ciata daii'incredulità » (").
Avviene cosi che, partendo da presupposti diversi di carattere religioso-
politico, ma con uguale sensibilità sociale, sacerdoti di diverse correnti si tro-
vano uno a fianco ali'altro suilo stesso campo di battaglia in una guerra senza
trincee, uno contro l'altro sul campo dei principii, ma insieme protesi verso
il popolo per conservarlo alla Chiesa. Non ci si meraviglia perciò di trovare
d'accordo sul piano pratico Don Cafasso, il teologo Guala e mons. Losana
vescovo di Biella, nipote di un parroco che recava le « cicatrici di Port-Royal » (=)
considerato liberaleggiante, ma preoccupato dei giovani biellesi emigrati a
P). Torino, in grazia dei quali aiuta generosamente anche Don Bosco E mons.
Moreno, vescovo d'Ivrea, anch'egli ritenuto liberaleggiante, sostiene insieme
a mons. Losana la fondazione e diffusione delle « Letture Cattoliche » nono-
stante queste siano reticenti riguardo alle idee nazionalistiche (n). E ci si spiega
come mai Don Bosco abbia collaborato con il teologo Carpano, con Don Trivero
e Don Cocchi, fino a quando, nel '48, parve che bisognava scegliere tra la
fedeltà incondizionata a Pio I X e l'adesione alla causa nazionale (28).
(D)CASALISD,izionario, 21, p. 465 S.
(73) Michele Flaviano BENS (m. 1879). I1 ~esuitismoalla berlina per cura di madama
~ilomenaBechinselva, Tonino, spkirani e ~ e r r e r i1850, p. 106.
( x ) Il vero curato dell'abate Orsières tradotto da Nicolò
Eustochio
Cattaneo . . .,
Torino, up. Economica 1852, p. 55.
1,73.) Matteo Losana (1758.1833)....oarzoco di Lombriasco. sui suale cf. P. STELLA. Gian-
senisti piemontesi nell'Ottocento, ,p. 77-81.
(x)Cf. N. MENNA, I vescovi italiani unti-infallibilisti n1 Concilio Vaticano, Napoli
1958, p. 20-25, di cui però Il tono negativo nei riguardi della persona di mons. Losana è
dovuto a una conoscenza lacunosa delle fonti. Come per DB, anche per lui t stato scritto
. che
Cf.
aveva i'« animo aperto a comprendere
B. BUSCAGLSIAan. Giovanni Bosco e i
l'biniedlolleesi..e.
le necessita dei
Bielia 1934. D.
tempi
43.
moderni ».
(n) ~ranceschFAVER(O1827.1905), Elogio funebre di mons. ~ u & iMoreno, Torino,
rip. S. Giuseppe 1878; Giovanni SAROGLIA, Memorie storiche sulla Chiesa d'lurea. Cenni
biografici, Iwea 1881; CHIUSO, La Chiesa in Piemonte, 4, p. 4. Neii'estimazionc locale
mons. Moreno fu uno dei più grandi vescovi di quell'epocaD: cosl si esprime il suo
successore, mons. Paolo Restagno. Cf. A. VA~DAGNOSTuoTrI,Clarac, Torino 1954, p. 301.
(28) E, REEFOD, on Cocchi e i ruoi Artigianelli, Torino 1957 (= 1896l); ID., Cenni
biografici del canonico Berirzi, Torino, tip. S. Giuseppe 1874; ID., Vita del Servo di Dio
Leonardo Murialdo, Roma 1956 (1905l); A. MARENGOC,oittributi per uno studio su Leo-
nardo Murialdo educatore, Roma 1964 (ricco di doaimeniazione edita e inedita). A. CA-
STELLANIIl, beato Leonardo Murialdo, Vol. I . Tappe della formazione, prima attioitd
apostolica (1828-1866), Roma 1966 (la più documentata biogratia sul Murialdo, ut21i'ssima
per completare la documentazione sull'opera degli Oratori a Torino). - Don Giovanni Coc-

5.6 Page 46

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
2. Superamento del sistemismo intransigente e polemiico
La teologia del Seminario - già lo sottolineammo - era stata, secondo
Don Bosco, troppo astratta, polemica e poco pastorale; al Convitto invece si
preparavano concretamente i giovani sacerdoti al ministero (9.Non è azzar-
chi nacque a Druent nel 1813, fu ordinato sacerdote il 25 marzo 1836, fondò I'Oratorio
deU'Ange10 Custode in Vanchigiia, parrocchia dell'Annunziata, nel 1840; nel 1849-50 fu
tra gli animatori della Società di carità a pro dei giovani poveri ed abbandonati; e più
tardi, d d Collegio degli.Artigianelli, dell'Oratorio S. Martino, deila Colonia agricola di
Moncucco e di altre iniziative a favore dei giovani o di classi. disagiate. Mori il 25 dicembre
1895, commemorato brevemente anche dal Bollettino Salesiano 20 (1896) p. 49.
I1 canonico Giacinto Carpano n. a Torino il 9 aprile 1821, da una agiata e stimata
famiglia di Biogiio (Biella); fu ordinato sacerdote nel 1844; mori a Torino il 26 gennaio
1894. Si interessò molto dei giovani disadattati che uscivano dal carcere dei minorenni
(la Generala) e si meritò larghi riconoscimenti per la coraggiosa assistenza prestata ai co-
lerosi nel 1854, tempo in cui era cappellano del cimitero di S. Pietro in Vincoli. Anch'egU
fu ricordato dai Bollettino Salesiano 18 (1894) p. 84. Ne tessé I'elogio funebre Don
FRANCESIIAl ,canonico Giacinto G. Carpano. Elogio funebre, Torino Tip. Salesiana 1894.
Don Giuseppe Trivero nacque a Pettinengo, paese confinante con Biogiio, e probabil-
mente amico di Don Carpano. I suoi parenti erano impiegati. a Torino nella Casa Reale,
così Don Trivero poté entrme tra il clero palatino; fu custode della cappella dalla SS.
Sindone; mori a Torino il 6 aprile 1894 a 78 anni. Cf. BUSCAGLISAa,n Giovanni Bosco
e i biellesi, p. 24.
Il Casalis, che parteggia per i preti liberali, ma rispetta chiunque collabori ali'edu-
cazione del popolo e dei giovani, pone i'accento sulle benemerenze di Don Cocchi «il quale
una vera gemma del clero subabino, cui egli incoraggisce potentemente col suo esempio
ad esercitare una carità operosa, scuotendo dall'ineruia in cui lasciano giacere i superiori
ecclesiastici, senza
festasi di opinioni
olcibcuepraalris.en. .e
benché menomamente, tranne però del perseguitarlo se mani-
[Don Cocchi1 coi suoi cortesi modi sappe, e sa trovare sa-
cerdoti fatti secondo il suo cuore, che generosamente occupansi di tali uffizii, quantunque
egli, n6 essi abbiano ottenuto giammai dai superiori il minimo incoraggiamento» (Dizio-
nario, 21, p. 713). Ci si spiega invece come mai altri appoggiavano e spingevano ad agire
Don Bosco, che usciva dal Convitto, cioè dalla scuola del Guala, riguardo al quale «da
tutti sapevasi che egLi era l'oracolo dell'arcivescovo Fransoni, presso cui tornava a grande
merito il solo frequentare quella conferenza, considerandola come prova di adesione alle
dottine che vi s'insegnavano D (Dizionario, I. C,, p. 474). Del canonico Carpano Don Fran-
cesia scrive delicatamente ch'era *liberale solamente del suo, con d'intenzione di non
pensar ad altro che alle anime, divideva, anzi dava tutto ciò che aveva dalla famiglia a
benefizio di queU'altra che aveva adottata sui vasti campi di Valdocco » (Elogio funebre,
D- . 15.).
(29) Goffredo Casalis si faceva invece portavoce delle critiche che aiii'insegnamenio
seminaristico muoveva la cerchia universitaria: a L'insegnamento di questa m o l a riducevasi
allo studio della parte meno filosofica della teologia, cioè quella della dogmatica, e della
morale; perciocché la speculativa che & la più necessazia per confutar gli errori dei nostri
tempi in fatto di religione, considerandosi come oggetto di lusso, toccavasi appena. Da
questa gretta istruzione proviene che quando uno sa sciogliere materialmente gl'imbrogii della
casistica, si crede un grand'uomo, e più s'occupa di altro studio; anzi tale t l'educazione
che si dà ai chierici non laureandi, che una può divenire non solo sacerdote e confessore,
ma anche paroco per mezzo di concorso, senza neppur sapere che cosa sia la Sacra Bibbia! n.
(Dizionario, 21, p. 467). Motivi analoghi svolge Rosmini - attingendo spesso al Fleury,
dato dire che sia stato il desiderio di rinnovare la pastorale che portò prima
il Guala e poi Don Cafasso a trovare un modo per superare l'antinomia plu-
risecolare tra probabilismo e probabiliorismo.
Commentando il testo dell'Alasia egli provava quasi gusto a sottolineare
come certe opinioni, che questi giudicava semplicemente probabili o anche
meno probabili, da probabilioristi come il Billuart o il Patuzzi, o dal probabi-
lista Sporer erano quotate come più probabili ('O). Senza forse avvedersene il
Cafasso adoperava la medesima arma che due secoli prima aveva usata Blaise
Pascal contro i casisti, col rilevare come quasi nulla di assoluto vi è nella casi-
stica, ma moltissimo varia col mutare di punti di vista, di tempi, di ambienti
e di condizionamenti vari. Ma gli intenti di Don Cafasso erano diversi o forse
opposti a quelli di Pascal. Mentre infatti l'autore delle Lettere provzncialz si
serviva deli'ironia per gettare nel discredito gli arsenali della casistica, Don
Cafasso tendeva a restituire loro la fiducia che meritavano, allorché propone-
vano un'opinione fondata e probabile.
Appunto questa conclusione desiderava preparare Don Cafasso. Per quanto
in teoria fosse assertore del probabilismo puro che allora, a torto o a ragione,
veniva attribuito a S. Alfonso, a lui premeva porre in luce come neUe conclu-
sioni talora probabilisti e probabilioristi finivano per trovarsi concordi, nono-
stante partissero da premesse contrarie.
Dunque, a che pro battagliare tanto per difendere questo o quel sistema,
fomentando divisioni e scandali? Si badasse piuttosto al valore che hanno le
sentenze quando sono applicate alla pratica.
« L e varie opinioni di teologi hanno per noi la funzione che hanno davanti ad
un operaio i vari strumenti di lavoro posti nella sua officina. L'operaio, quando ne
abbisogna pel suo lavoro, si appiglia ora a questo ora a quello, prende quello che è
più atto al lavoro che intende. Cosi dobbiamo fare noi in quella grande officina
delle anime, che è il ministero delle Confessioni.. .
Noi andiamo dentro per salvarle e dinanzi a noi sta una serie di opinioni
teologiche, come tanti strumenti da essere adoperati in questo grande lavoro. Nello
scegliere non guardiamo già l'autore che la insegna, o quella che a noi piaccia mag.
giormente: miriamo e scegliamo piuttosto quella che nelle circostanze della persona
crediamo più adatta per salvarla. Noi ascoltiamo le confessioni per impedire il pec-
cato: ebbene fissiamo l'occhio su qnell'opinione, che nel caso pratico ci può mag-
giormente assicuraie della perseveranza del nostro penitente nei propositi. Questa
a proposito a della piaga della mano diritta della santa Chiesa, che è la insufficiente educa-
zione del Clero» (Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, cp. 2, n. 22-44). I1 Casalis osa
aggiungere che « monsignor Fransoni, quando gii si offeriva il destro, quasi sempre osteg-
aiava i sacerdoti laureati. dicendo sovente ch'esli era diventato arcivescovo di Torino senza
aver preso la laurea » (i~irionario,21, p. 4663.
('O) A. GRAZIOLIL,a pratica dei confessorj nello spirito del Beaio C a f m o , Colle Don
Bosco 1944. D. 40s. Sull'attereiamento di Don Cafasso verso il ri"rorismo cf. NICOLISDI
ROBILANTo.,;., lib. 2, cp. 3, 1, p. 15-111.

5.7 Page 47

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
è la vera maniera di fare gli interessi del nostro padrone e di usare la maggiore
carità che sia possibile alle anime dei nostri prossimi D (31).
'B appunto la mentalità che dimostrò Don Bosco allorché asseri che non
gl'importava tanto il sistema stretto o largo, quanto piuttosto adottare un
sistema che mandasse le anime in paradiso (").
E la preoccupazione delle anime, finisce per evocare in lui il senso di Dio,
piuttosto che quella del sistema teoretico che eventualmente adotta per la
pratica: << Sua norma - ricorda Don Ruffino, cronista attorno al 1860 -
è sempre se vi è la maggiore gloria di Dio; quando vi è questo, egli non
giiarda né a fatica né, a spesa D(").
3. Superamento del rigorismo
Ma nella pratica penitenziale né Don Cafasso né Don Bosco furono
confessori minimisti e lassisti. E la ragione è che al confessionale entrambi si
accostavano con un vivissimo senso del peccato e della vita di grazia; non
soltanto come giudici, ma anche e specialmente come padri e pastori, non
attenti unicamente a quanto bastava per assolvere validamente, ma desiderosi
di stabilire e incrementare nei loro penitenti la vita di grazia.
Inoltre l'uno e l'altro avevano preseutissimo e quasi sperimentale il senso
di Dio nelle conversioni repentine, che attribuivano più che alle proprie risorse,
alla potenza della grazia concessa da Dio infinitamente buono e misericordioso.
Don Cafasso nelle conferenze morali che teneva al Convitto portava
l'esperienza di confessore di sacerdoti, popolani, nobili, artigiani, malviventi,
condannati a inorte. Spesso, negli Esercizi spirituali a ecclesiastici, poneva
l'accento sulla misericordia, di cui Dio aveva lasciato insigni documenti nel-
l'Incarnazione, nella Passione e Morte; nel mistero di grazia verso l'umanità
(31) NICOLIS DI ROBILANT, O. C,, 1, .p. 101S. In Piemonte la minimizzazione dei sistemi
morali sul piano pastorale aveva già avuto un fautore nel gesuita Carlo Emanuele Palla-
vicini (1719-1785),di cui cf. Il sacerdote santifcuto nella retta amministrazione del sana-
mento della penitenza. . . , Torino, G. Marietti 1826: si seguisse o no 8 probabilismo o il
probabiliorismo, al confessore occorreva discrezione e saggezza in modo da adeyarsi al bene
del penitente; all'atto pratico «ambedue, il probabiliorista ed il probabilista, possono asere
saggi, ed utili maestri di Morale» (,lettera 2, n. 19, p. 246 s; n. 43, p. 283). Ma sia per il
Pdavicini che per Don Cafasso il probabiiismo era più utile al penitente (NICOLISDI
ROBILANT, O. C,, 1, p. 104).
(32) AS 110 RufFuio 9, p. 43. Giuseppe Frassinetti manifesta preoccupazioni analoghe:
se il &e è la salveiza propria e l'altrui, buon ariterio per un confessore è seguire le opi-
nioni dei Santi canoninati. Saranno in qualche punto tra loro in disaccordo? «Seguiremo
. quelle opinioni che ci sembreranno più opportune e se non ci salveremo a cagion d'esempio
con S. Tommaso ci salveremo con S. Bonaventura n IOsservazioni sonra pii studi eccieriastici
proposte ai chierici, cp. 3, n. 4, Roma 1912, p. 24; 1839l).
(33) AS 110 Ruffino,l. C.
adombrato da parabole come quella del figliuol prodigo, o testimoniato in gesti
significativi come la benevolenza usata con l'adultera (").
Al Convitto, possiamo concludere, si delineò netta la posizione di Don
Bosco nei riguardi del rigorismo. Don Bosco si consolidò nella persuasione che
non col rigore, ma con la bontà avrebbe portato le anime a Dio. Può essere
significativo il fatto che due anni dopo aver lasciato il Convitto Don Bosco
abbia compilato per la Barolo (allora penitente di Don Cafasso) l'Esercizio
d i divozione alla Misericoudia di Dio ('l).
I1 catechismo che Don Bosco fece a Bartolomeo Garelli nel dicembre
1841 (36),non molte settimane dopo il suo arrivo a Torino, fu decisivo per lui
giovane sacerdote, ma non fu il primo tenuto al Convitto ecclesiastico torinese.
Infatti, a quanto pare, l'insegnamento della Dottrina ai giovani entrava nel
programma di formazione pastorale dei sacerdoti convittori. « Non ci è dato
fissare l'anno preciso dell'inizio di questi catechismi - scrive il di Robilant -,
ma numerose deposizioni, congiunte a quelle testé riferite dal fondatore della
Pia Società dei Salesiani, ci permettono d'affermare con assoluta certezza ch'essi
cominciarono assai prima del 1841 D ("). La documentazione addotta dal di
Rohilant, desunta dalle testimonianze al Processo di beatificazione di Don Ca-
fasso e da quanto egli stesso conosceva dalla sua esperienza di prete degli
oratori torinesi, sembra legittimare solidamente la sua affeima~ione(~'8).
Coi catechismi era anche in uso l'assistenza dei giovani bisognosi. I1
di Robilant accenna in particolare agli spazzacamini vaidostani ch'erano assi-
stiti dai tre sacerdoti, già ricordati, con i quali Don Bosco collaborò qualche
(3)Si veda il cp. sulla confidenza in F. ACCORNELRaOd, ottrina spirituale di S. Giu-
seppe Cafasso, Torino 1958, p. 107-130.
(35)
Torino. ti,n. Eredi Botta
(AS l32 %stamenti; M
B111804,7p1..
Anonimo.
1333). 11
ma di cui DB stesso si attribuisce la
manoscritto venne approvato dal teo-
logo Calvi il 5 gennaio 1847 (Torino, ACuria metropol., Registro approvaz. ecclesiastica
dei libri).
1~ 36,) M 0 Ds~. 124--12.7~
(37) NICOLIS DI ROBILANoT. C,-, 2, p. 8.
(") Luigi Nicoiis di Robilant n. a Torino l'l1 agosto 1870, fu ordinato sacerdote, nel
1893, ma gizì da chierico aiutava d'Oratorio del S. Cuore alla barriera di Nizza; morì il
12 febbraio 1904 a 33 anni; era nipote del canonico Stanislao GazeVi e fu in ottime re-
lazioni con il can. Allmano e Don Pietro Ponte, amico del PeUico, cappellano della mar-
chesa Barolo. delle Suore di S. Anna. collaboratore di Don Bosco. nativo di Pancalieri.
m. a Torino'il 2 ottobre 1892. Sul ~ihilantcf. E. DERVIEUIX,mLi trovanti.. ., orino
1940, #p.39.65 e la prefazione all'opera dei Robiiant, Vita del venerabile Giuseppe Ca-
fasso. .., 1, p. I-XL. Su. Stanislao Gazelli di Rossana (1817-18991, ipauizio torinese,
. benefico con tutti, ammiratore di DB cf. L. NICOLIS DI ROBILANUTn, prete di ieri. Il ca-
nonico Slanislao Garelli di Rossana e S. Sebastiano.. , Torino 1901. Don Pietro Ponte
è spesso nominato neUe biografie deUa Bado o in qude deila seconda superiora generale
delle Suore di S. Anna, Maria Enrichetta Dominici (1829-1896).

5.8 Page 48

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
tempo: il teologo Giacinto Carpano (1821-1894), Don Pietro Ponte (1821-
1892) e Don Giuseppe Trivero (1816-1894), i quali, dopo il catechismo fatto
in chiesa, conducevano i giovani nel cortile interno del Convitto e distribuivano
pane e talvolta anche fette di salame ("). Ma la loro attività dovette avere dei
predecessori al Convitto, se è vero che il gruppo degli spazzacamini fu il primo
(O tra i primi?) ad avere l'assistenza religiosa dei convittori, giacché i tre
sacerdoti, più giovani di Don Bosco, furono suoi colleghi o di qualche anno
più giovani al Convitto stesso.
Certo è che alcune espressioni di Don Bosco sulle origini dell'oratorio
(O delI'Opera degli Oratori) sono da prendere in senso alquanto più ristretto
di quello che i termini ovviamente potrebbero suggerire: 1'8 dicembre 1841
non fu l'origine digli Oratori e dei Catechismi per giovani a Torino; ma sol-
tanto quella delle opere ch'ebhero lui come fondatore, o, per lo meno, come
principale continuatore (*).
Finito il triennio del Convitto, Don Cafasso propose a Don Bosco di
rimanere come ripetitore, oppure di andare cappellano all'ospedaletto di
S. Fiomena, istituito dalla marchesa Barolo. Don Bosco forse avrebbe voluto
continuare al Convitto la sua permanenza e l'opera dei Catechismi; impian-
tare magari un Oratorio; ma secondo quanto c'informa Don Berto (che asse-
risce di averne avuto confidenza da Don Bosco), Don Cafasso non voleva
affatto("), forse perché, anche con Don Bosco, si oppose alla tendenza a
trasformare il cortile e qualche locale del Convitto in chiassoso ritrovo di
giovani con non poco disturbo agli studi e al raccoglimento. Don Cafasso poté
aver messo Don Bosco nell'alternativa: o fare il ripetitore al Convitto rinun-
ziando all'oratorio (troppo distraente, se occupazione principale), oppure an-
dare altrove, dedicandosi totalmente ai giovani. Cosi Don Cafasso, prima
ancora della marchesa Barolo, avrebbe messo al bivio Don Bosco, ma forse non
in termini così drastici e perentori, e certamente dopo che il suo pupillo ebbe
la certezza di una sistemazione. Se è vera la testimonianza di Don Berto, può
essere interessante notare che Don Bosco amò sottacere la cosa, forse nella
persuasione che il renderla palese avrebbe offiiscata la figura tutta splendore
che aveva fatta conoscere di Don Cafasso. E invece il fatto metterebbe in luce
le doti di prudenza e preveggenza che si riconoscevano al Cafasso.
Don Bosco scelse ciò per cui si sentiva più propenso e per cui certamente
(39) NICOLIDSI ROBILANVTit,a del venerabile Giuseppe Cafusso, p. 10.
(4)Può indurre in errore, ad esempio, quanto DB fa dire in un dialogo il 27 aprile
1865:
netti..
.<<I1GplriOimraotoOriranteolrliao
loro origine (1841)
è quello ove noi ci
non erano
troviamo,
altro
detto
che [adunanze
di S. Francesco
di
di
giova-
Sales.
Dopo questo se ne apri un altro a Porta Nuova; quindi un altro più tardi a Vanchiglia, e
pochi anni sono quello
di Dio invocuta sotto il
di S.
titolo
Giuseppe
di Maria
aAuSs.iliSaatrlvicaeri.o.».,(TGo.rBinoosc1o8,68Me(rLaCvi)g,lpie.
della
163;
Mudre
MB 8,
p. 1037). l?. invece esatto quanto DB scrisse neile più antiche redazioni delle Regole della
Società di S . Francesco
Bosco Gioanni si univa
di
ad
Salatlreis.ecOcrliegsiinaesticdii..q.u»es(tAa SSo0c2i2età1:,
«Fin
p. 3;
dali'anno 1841 il
MB 5, p. 931).
Sac.
('l) Scrittura autogr. in AS 123 Cafasso.
aveva più affetto dopo il triennio di esperienza positiva tra la gioventù di
Torino. Nella scelta emerse ancora una volta il clima religioso che lo condi-
zionò. Don Bosco fu persuaso che nel consiglio di Don Cafasso gli veniva ma-
nifestata la volontà di Dio; anche se, confessa Don Bosco:
« A prima vista sembrava che tale consiglio contrariasse le mie inclinazioni,
perciocche la direzione di un Ospedale, il predicare e confessare in un istituto di
oltre a quattrocento giovanette mi avrebbero tolto il tempo ad ogni altra occupazione.
Pure erano questi i voleri del cielo, come ne fui in appresso assicurato »(q2).
Anche Don Cafasso, da parte sua, avrebbe manifestato la medesima per-
suasione: <( Andate col T. Borrelli . . . lavorerete . . . Intanto Dio vi mrtterà
tra mano quanto dovrete fare per la gioventù » ("1.
Un sogno (o più sogni) fatti nell'emozione del distacco rinnovarono le
immagini e i messaggi del sogno dei nove anni, cui si aggiungevano alcuni
nuovi particolari. Non solo sognò di vedersi « in mezzo a una moltitudine di
lupi, di capre e capretti, di agnelli, di pecore, montoni, cani ed uccelli », che
poi si cambiavano in agnelli; ma vide anche «agnelli [che] cangiavansi in
pastorelli » e «una stupenda e alta chiesa »: era ciò di cui forse ormai sentiva
il bisogno: collaboratori e possibilità di disporre di un locale sacro tutto per
sé e per i suoi giovani(").
5. Le prediche
L'orientamento assunto dall'attività sacerdotalc di Don Bosco nel Con-
vitto verso una pastorale valida e verso i giovani si rifletté anche sulla sua
attività di predicatore.
Si potrebbe pensare che il materiale predicabile sia, tra i documenti che
si posseggono di un sacerdote, il meno importante e il meno personale. Spesso
infatti l'urgenza del lavoro, la consapevolezza che il proprio materiale non è
destinato alle stampe, la fiducia nelle proprie risorse invitano alla compilazione
più modesta e alla trascrizione meccanica di quanto si ha sottomano. Ma bisogna
aggiungere d ~ qeualsiasi sacerdote impegnato nel proprio ministero raramente
è di facile contentatura. Difficilmente si sofferma su testi che non sente in
(0)M0 p. 133.
(43) M0 p, 133. Nel 1835-36 il teologo Borel era, insieme al canonico Carl'Antonio
Bossareiii di Rifreddo, direttore spirituale delle kuole di S. Francesco di Paola (Annuario
stalistico-amminist~utivodella Divisione di Torino per l'anno 1836, Torino, tip. Gius. Fo.
dratti, p. 97). Nel 1844 risulta cappellano (o forse già rettore spirituale) deila casa reli-
giosa di S. Maria Maddalena; morì il 9 settembre 1873 a 72 anni, commemorato atfettuosa.
lmieetnot,eusmulileMuedseoatdfeetltlueoMsoiscsihoinami Cavaattnolloic.h.e.
16 (1873) p. 620
sorridendo. . . il
s; «semplice, popolare,
padre piccolo D.
modesto,
("1 M0 p. 134-136.

5.9 Page 49

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
consonanza con il proprio mondo interiore e quasi sempre trasfigura con
l'accento personale quanto ha eventualmente trascritto. Può avvenire che egli
abbia preso in prestito parole, periodi, pagine intere. Ma bisogna andar cauti
prima di affermare che abbia fatto ciò, perché spinto da pigrizia o da superfi-
cialità. Questo, per lo meno, non è lecito affermarlo del curato d'Ars, il cui
l
materiale predicabile è quasi interamente di seconda mano, e che però, espresso
da lui toccava gli spiriti e trascinava alla conversione ("). E possiamo dire
l
che ciò non fu pigrizia o superficialità in Don Bosco, la cui predicazione, sap-
piamo, fu spesso modesta nella forma e nel contenuto e, ciononostante, capace
d i legare alla sua persona giovani e adulti, e portarli a una più intensa pra-
tica religiosa.
Le prediche che di lui possediamo sono in gran parte compilate nei
primi anni di sacerdozio, cioè negli anni ch'egli trascorse al C ~ n v i t t o ( ~ ) .
I
I temi che vi sono svolti sono effettivamente quelli comuni dei predicabili del
Sette-Ottocento, trasparentissimamente legati agli schemi degli Esercizi spiri-
tuali di S. Ignazio, alla produzione letteraria del Segneri e di S. Alfonso, che
Don Bosco ricalca direttamente o da seguaci, come il gesuita piemontese del-
l'inizio Settecento Rosignoli e il sacerdote ligure di inizio Ottocento Antonio
Francesco Biamonti (").
Tra i documenti legati all'attività giovanile merita particolare attenzione
il panegirico in onore di S. Luigi che Don Bosco compilò nel 1844 o forse
prima("). Fonte, a quanto pare unica, è la V i t a breve di san Luigi Gonzaga
scritta da Antonio Cesari, citata poi da Don Bosco nei Cenni su S. Luigi
premessi alle Sei Domeniche in onore del santo, edite nel 1846 (4').
La trascrizione del testo è talora quasi letterale e a rilevarlo può bastare
un semplice raffronto:
(45) J. GENETL, 'énigme des sermons du Curé d'Ars, Paris 1960.
(M) AS 132 Prediche-Conferenze-Discorsi. Ne ricordiamo, a titolo di esempio, dcune,
dei primi due anni di sacerdozio: AS 132 Prediche A/1: Fine dell'uomo (3 dic. 1841);
A/3 e Introduzione n (2 aprile 1842); Al4 Peccato mortale (17 aprile 1842); DI11 Visita-
zione di Maria SS.: « La divozione di Maria è segno di predestinazione . . . », f. 2v:
« Visi~azionedi Maria il 13 giugno 1842. Nel ritiro delle orfanelle»; A/5 Morte del
peccatore (1" luglio 1842); A/6 Con la morte finisce il tempo e comincia l'eternità (17
luglio 1842); A/9 Istituzione dell'Eucaristia (12 agosto 1842); Al11 Felicità del Paradiso
(30 giugno 1843). Cf. MB 4, p. 177 e 16, 9.594-613.
(47) Carlo Gregorio ROSIGNOLVeI,rità eterne esposte in letiioni, Milano 1688; A. F.
BIAMONTSIe,rie di meditazioni prediche ed istruzioni ad uso delle sacre missioni e de'
santi zpirituali esercizj, Milano 18402, 6 vol. (= Genova 18401).
(48) AS 132 Prediche.. . F/7. Incipit: Minuisti eum paulo minus ah angelis.. . D,
minuta autogr. di DB e copia allogr. (edito in MB 16, p. 605-613). Accanto alla data di
nascita, 9 mano 1568, DB scrisse in margine « 276 anni fa n.
(49) [G. Bosco], Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga con un cenno
sulla uita del Santo, Torino tip.
ms. in parte autogr. di DB, è in
Speirani
AS 133
e Ferrero 1846
Sei domeniche);
1(u8n5i4co(LeCse)m. .p.lare,
insieme
a
un
Don Bosco:
Cesari:
Ordinò seco un digiuno
che il meno s'estendeva a tre
giorni per settimana;
il venerdì in pane ed acqua;
[...l
quelli che gli fornivano il pranzo erano
tutto stupore,
che di sì poco potesse regger la
vita,
e lo reputavano ad un miracolo
grande cui merce voleva Iddio
mostrare quanto l'uomo possa
Ordinò seco un digiuno,
il men di tre giorni per
settimana,
e '1 venerdì in pane ed acqua
[...l
que' medesimi che lo fornivano
del pranzo 1.. .l erano trasecolati,
che di si poco potesse regger
la vita;
r 1' reputavano ad un cotal miracolo,
col quale volea Dio
mostrare, quanto uom possa. (n)
I1 motto del panegirico, Minutsti r u m paulo mtnus a b angelrs, ,annunzia
chiaramente il tema ( e la persuasione) di Don Bosco: in Luigi tutto fa ua-
sparire l'opera assolutamente gratuita di Dio, a cui però il giovane collaborò
con piena dedizione, sicché Dio gli concesse la vita eterna e, prima ancora,
la lieta morte del giusto. Luigi era un esemplare dato dalla divina bontà alla
gioventù.
I1 panegirico, che preso in sé è senz'altro di assai modesta fattura, ha
un qualche valore, se posto nella prospettiva della vita e degli scritti di Don
Bosco, in quanto appare già carico di alcuni temi che saranno caratteristici del
santo. La vocazione dei giovani alla santità, che nel panegirico è presentata in
forma dimessa, diverrà uno dei temi dominanti della biografia di Domenica
Savio. La morte del giusto sarà quasi sempre presentata da Don Bosco in
termini avvincenti, in contrasto con quella del peccatore, secondo una tematica
idealizzatrice che è quasi più sotto I'inRusso della letteratura su S. Luigi
(alimentata da considerazioni del Vecchio Testamento e della predicazione
popolare), che non sotto quello del dramma di Cristo Crocifisso.
Un'analisi più particolareggiata delle prediche giovanili di Don Bosco,
metterebbe in luce molti altri temi che diventarono tipici del suo modo di
pensare e di esprimersi. Tra l'altro da esse appare già che Don Bosco non si
prepara ad essere il conferenziere come Frayssinous, o il classico quaresimalista
(a)A. CESARVI,ita breve di san Luigi Gonzaga scritta nouellamente, p;., l , cp. 5, Pia-
cmia 1829, p. 39; MB 16, p. 607 S. Ii testo di DB non deriva dal Cepari, che sembra
smiaandair.e.t.taMmaentpeerricoarldciantaoriodalmaCnegsiaatvia:
«Per
tanto
ordinario digiunava almeno tre della setti-
poco, che stupite alcune persone della Corte,
come potesse vivere, risolvettero un giorno, senza ch'egli lo sapesse, di pesare ii cibo, ch'era
solito di prendere in pasto, le quali hanno
che fra pane, e companatico non arriva al
dpeespoosdto'unconongciiaurapmerenvtoo,ltach.e..f»att(oCEilPAbiPla&nVciitoa,
dell'angelico giovane S. Luigi Gonzaga. . . , pt 1, cp. 7, Torino, presso Gius. Rameletti
1787, p. 65 s).

5.10 Page 50

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
come il Segneri, o il nuovo predicatore apologista dell'etl romantica che pre-
dica le bellezze della fede come Gioachino Ventura o il genio della civiltà
cristiana alla Chateaubriand o alla Balmes; egli sarà di preferenza il catechista
che dilucida i principi del Catechismo in forma popolare, sia che parli a ragazzi,
che a gente di campagna o agli accademici dell'Arcadia.
Giustamente la predicazione di Don Bosco sarà accostata a quella di Antonio
Rosmini per questa tendenza didascalica, che in Don Bosco è propriamente
frutto dell'esperienza catechistica ('l).
6. Gli anni del Convitto, tempo di risanamenlo interiore e di matura-
zione relig2osa
Da quanto ricorda Don Bosco si ricava i'impressione che le carenze sofferte
in Seminario siano state largamente compensate nel Convitto. Nel Seminario
aveva desiderato l'affetto e la familiarità dei Superiori e dei compagni. Al
Convitto poté trovarla nel Guala, di cui parla con la più grande venerazione,
nel Cafasso, suo compaesano e benefattore, e in colleghi come il teologo Felice
Golzio, « miniera d'oro », dal 1867 al 1873 Rettore del Convitto e dalla morte
del Cafasso (1860) prescelto da Don Bosco a proprio confessore(").
Come aveva fatto con Don Calosso, a Don Cafasso Don Bosco aperse
totalmente il proprio animo.
«Don Cafasso - egli scrive -, che da sei anni era mia guida, fu eziandio mio
direttore spirituale, e se ho fatto qualche cosa di Lene, lo debbo a questo degno
ecclesiastico nelle cui mani riposi ogni mia deliberazione, ogni studio, ogni azione
della mia vita » (%).
Per la prima volta Don Bosco, rievocando la propria vita, parla di diret-
tore spirituale, e lo fa in un contesto in cui certamente è da intendere come
colui al quale egli manifestava la propria coscienza in ordine ali'orientamento
da dare alla propria vita religiosa, ma anche come colui che ascoltava le
confessioni sacramentali e che faceva da autorevole consigliere in ogni delibe-
razione importante.
Altri elementi che condizionarono beneficamente Don Bosco furono la
possibilità di studio e di letture: egli lo sottolinea (forse perché ricorda di
scrivere ai Salesiani), anche se poi in concreto, diversamente che per gli anni
di Seminario, non ricorda in particolare nessun titolo di libri che certamente
lesse in Convitto.
(51) E. SANTINIL,'eloquenza italiana dal Concilio tridentino ai nostri giorni. Gli
oratori. sacri, Miiano 1923, p. 327 S.
(s)M 0 p. 122.
(") M0 p. 123.
Congeniale a lui era il fatto che l e conferenze morali o le lezioni di elo-
quenza, ponendogli davanti casi pratici, gli insegnavano non un sistema teo-
logico o la teoria dell'apostolato, ma l'arte della cura d'anime, presentata in
situazioni scelte dali'esperienza quotidiana e messa poi alla prova nei cate-
chismi, nella predicazione e in altre attività sacerdotali.
Dovette riuscirgli benefica più di ogni altra cosa l'attività tra i giovani,
come amico, aiuto, maestro e confessore.
Se poi è lecito congetturare sui moventi della sua pastorale di giovane
sacerdote, sembrerebbe che punto illuminante sia il motto ch'egli scelse per
il suo sacerdozio: da mzhi animas caetera tolle, che nel contesto della letteratura
cattolica del tempo (e in particolare, in quello alfonsiano) assume una parti-
colare modalità posto accanto all'altro: animam salvasti, animam tuam prae-
destinasti, usitatissimo motto assimilato anche da Don Bosco ("). Nel tema
della vocazione e della scelta dello stato l'opera pastorale s'inseriva come
risposta aiia vocazione data da Dio e come garanzia di salvezza.
Ancor più rende manifesta la situazione di Dio nella vita di Don Bosco
giovane sacerdote quanto egli ricorda sul catechismo fatto a Bartolomeo Ga-
relli. Iniziò col segno della Croce e con il «fargli conoscere Dio Creatore e
il fine per cui ci ha creati » (") ( e prima ancora, inginocchiato davanti al
Tabernacolo recitò con fervore un'Ave Maria)(%). Iniziò cioè nel modo pre-
diletto da vari Catechismi, la cui catechesi si muoveva da una base di pratica
cristiana (").
L'inizio nel nome del Signore e di Maria ci pone in rilievo due elementi
assai comuni della religiosità cattolica che costituisce il tessuto generico di
Don Bosco. E inoltre, l'inizio nel nome del Signore, Creatore e fine, denunzia
anche uno schema mentale che, nel momento sistematore di tutto il proprio
modo di vedere la realtà, pone Dio come inizio del discorso e come ragione
logica e ontologica della realtà.
FONTI
Sul Guala, sul Convitto e sul Cafasso esiste molto materiale non dei tutto esplorato
ali'hchivio del Convitto ecdesiastico torinese, che conserva, sebbene manomessa, la bi-
blioteca. Assai utile inoltre & la Poritio per la beatificazione e canonizzazione di Don Ca.
fesso (Torino e Roma). Una descrizione dei predicabili del Cafasso e di altri scritti spiri-
tuali è data da F. ACCORNERLOa ,dottrina spirituale di S. Giuseppe C,, Torino 1958,
p. 165-177. Pochi inediti sono conservati in AS 123 Cafasso.
L'attività di DB ai Convitto è documentata daUe sue composizioni di saua oratoria
AS 132 Prediche-Conferenze-Discorsi;dalle gih citate M0 (AS 132 Oratorio), e dai discorsi
funebri su Don Cafasso (AS 133 Cafasso, ms.).
(N) Cf. le voci Anime, Apostolato, Zelo in Indice MB, p. 14 s; 18; 497 s
(") M0 p. 127, cf. anche MB 17, p. 150.
(9MB 17, p. 510.
( 9 )In tal modo, ad esempio, iniziava la Dottrina del Bellamino.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
BIBLIOGRAFIA
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Torino, G. B. Paravia
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ID., Biografis
, Torino 1860
del sacerdote Giuseppe Ca.fasso esposta
(LC); G. COLOMBERO, Vita del Seruo di
i n due ragionamenti fune-
Dio Don Giuseppe Cafasso
con cenni storici del Conuitto ecclesiastico di Torino, Torino 1895; G. USSEGLIOIl , teo-
logo Guala e il Convitto ecclesiastico di Torino, giA citato; A. P. FRUTAZC,onuitto eccle-
scrieiannsotteicneoarliteoorisdnueeelsleao,piepnraerErdoC'ca,crh4tie,a..4..9..3,,;
E. OLIVEROLa, chiesa di S.
Chieri 1935; La chiesa della
Tonno 1934; G. PIOVANO,
Francesco di Assisi in TO-
SS. Annmxiata. Nel primo
Il Convitto ecclesia~tico di
Torino,
CHETTI,
in Il Corriere 17 giugno
Alcune memori< intorno
1926; CASALISD,izionario,
a monsignor Gio. Battista
21,
Bert
P.
ag
n4~.7. .4,-47T7o;riDno.
FRAN-
1916.
CAPITOLO IV
DALL'ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES ALLA CASA
ANNESSA (1845-1863)
1. Problemi posti dallo sviluppo demografico di Tonno
L'opera dei Catechismi e le preoccupazioni pastorali del Convitto rice-
vono un loro contesto più adeguato, se si tiene conto delle ansietà che ave-
vano alla ,radice il notevole sviluppo demografico ch'era in corso a Torino
sotto la spinta deli'espansione industriale che attirava dalle province e anche
dalia Lombardia famiglie intere e di conseguenza incrementava l'edilizia
cittadina.
Gli abitanti, che secondo il censimento del 1838 erano 117.072, nel 1848
salirono a 136.849; le case cittadine da 2.615 passarono a 3.289; le famiglie
erano nel 1838 26.351 (10,08 per casa), nel 1848 erano 33.040 (10,05 per
casa); ogni famiglia aveva nel 1838 4,44 individui in media; ne contava
4,14 nel 1848.
Complessivamente la popolazione era aumentata in dieci anni di 19.777
ahitanti, pari al 16,89 per cento(').
Gli analfabeti al disotto dei venti anni erano 29.364, cioè 14.006 uomini
e 15.358 donne; quelli al di sopra dei venti anni erano 25.812, cioè 8.851
uomini e 17.761 donne, e formavano complessivamente la percentuale del 40,32
per cento degli ahitanti (uomini: 31,46; donne: 49,32 per cento)(l).
Oltre alla popolazione stabile, gravitava su Torino un complesso di po-
polazione instabile, non considerata nelle statistiche riportate sopra: militari
(1.521); studenti (4.787), operai occasionali e carcerati (7.
I1 movimento d'immigrazione ebbe punte ancora più elevate nei decenni
successivi.
Accanto alle cifre assume concretezza quanto la tradizione riferisce sui
(l) G. MELANOLa, popolazione di Torino e del Piemonte nel secolo X I X . . .,
Torino 1961, p. 73.
(2) MELANOO. ,c., p. 75 S.
(3) MELANOO. ,C,, p. 73.

6.2 Page 52

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
ragazzi che occupavano le strade, le piazze e i prati, figli di famiglie disagiate,
di genitori spesso disoccupati, senza un mestiere, senza la speranza di averne;
oppure che si procuravano un qualsiasi impiego pur di vivere, pur di sollevare
le proprie condizioni di vita.
a La parte vicina a Porta Palazzo - scriveva Don Lemoyne - brulicava di
merciai ambulanti, di venditori di zolfanelli, di lustrascarpe, di spazzacamini, di
mozzi di stalla, di spacciatori di foglietti, di fasservizi ai negozianti sul mercato, tutti
poveri fanciulli che vivacchiavano alla giornata sul loro magro negozio » ( 4 ) .
A parte l'enfasi che può far immaginare chissà quanti spazzacamini e
mozzi di stalla « brulicare » per quella cli'era già allora piazza del mercato, si
ha un'idea abbastanza adeguata delle categorie di ragazzi che potevano tro-
varsi in giro o altrove, occupati o sbandati. Don Bosco a sua volta ricorda
che attorno al 1843-44 l'oratorio era composto « di scalpellini, muratori, stuc-
(7. catori, selciatori, quadratori e di altri, che venivano di lontani paesi »
2. La qualifisazionc civica degli studenti e degli operai
Questa massa di giovani di diversa età e di diverse condizioni sociali
poneva i propri problemi nel quadro di una vasta opera di educazione popo-
lare, auspicata e promossa da quanti, liberali o no, erano sensibili ai valori
della persona e alla dignità del popolo entro più modesti schemi regionalistici
o in quelli più ambiziosi della nazione italica ( 6 ) .
Il flusso dalla provincia verso la capitale come centro d'istruzione era
ormai più frutto delle aspirazioni che provenivano dal basso, dal popolo e
dalla borghesia, che non un movimento preordinato e validamente controllato.
A ciò infatti non erano più rispondenti, o non esistevano più le strutture
organizzate da Vittorio Amedeo I1 e Carlo Emanuele I11 nel secolo prece-
dente('). Erano d'altronde venute nuove impostazioni pedagogiche. Ormai
(4) MB 3, p. 44. In mancanza di dati per il 1844-48 possiamo assumere come termini
orientativi di confronto quelli del 1861, quando la popolazione di Torino si agg?rava at.
torno ai duecentornila abitanti. In tutta la città gli spazzacamini e& 77; studenti e
scolari maschi 10.078; senza professione poveri (maschi) 885, non poveri 13.603; lavoratori
d a giornata senza mestiere determinato: 1.222: CF. MELANOO. ,c., p. 155-160; non risultano
lustrascarpe, n6 si hanno dati specifici sulle altre categorie elencate da Don Lemoyne. Sul
verbo «brulicare » cf. avanti nota 28 e testo corrispondente.
( 5 ) M 0 p. 129. Nel 1861 risultano: 61 selciatori e lastricatori, 1.481 muratori, 81
intonacatori e imbiancatori, 38 mattonai e tegolai, 23 d2pintori di edifizi: C£. MBLANO,
o. C,, p. 156 S.
Le ansie per la elevazione del popolo durante l'eta alhertina sono efficace-
mente rievocate da N. RODOLICCOar,lo Alberto negli anni 1843.1849, Firenze 1743, p. 21-26.
(') Si veda T. VALLAURStIo,ria delle Università degli studi del Piemonte, Torino
1856 (sulle scuole in Piemonte spec. nel '700); A. GAMBARLOa ,pedagogia italiana nell'etd
del Risorgimento in Questioni di storia della pedagogia, Brescia 1763, p. 451-455 (sul
Piemonte durante la Restaurazione) e p. 651 s (hihliografia relativa).
all'istruzione elementare si provvedeva moltiplicando le scuole che, con me-
todo « lancasteriano » accoglievano ceniinaia e centinaia di alunni sotto il
medesimo insegnante. Per chi varcava il livello elementare si organizzavano
scuole di apprendimento professionale e si moltiplicavano quelle d'insegna-
mento umanistico, amministrate dal Municipio o anche tenute da professori
privati (8).
Già prima del '48 le scuole umanisticlie vedevano a fianco di nobili e
di borghesi benestanti anche membri di classi meno abbienti. Si formava
ormai una gioventù « c h e non sapeva più se nasceva nobile o plebea, ma che
voleva un'esistenza civile e l'avrebbe avuta » (').
Problema grave e sentito era quello degli artigiani. Nel 1845 vennero
aperte due scuole, una di meccanica tenuta da Cailo Ignazio Giulio e un'altra
di chimica applicata ail'industria, tenuia da Ascanio Sobrero. I1 numero di
lavoratori che si presentarono ai Fratelli delle Scuole Cristiane per essere
ammessi a lezioni, patrocinate dall'opera di Mendicità istruita, nel 1847
superò i seicento, di cui la totalità, esclusi 70 qualificati operai, erano « dilet-
tanti » (l0).
L'ansia di apprendimento era superiore, allora, alle aspettative e alle
possibiiità:
Alle sciiole serali degl'ignorantelli - scriveva lo stesso Giulio nel 1847 -
l'anno scorso eransi presentati 700 operai adulti, oltre i 22 anni, per partecipare
all'insegnamento. Non avendosi luogo che per 150 si rimandarono gli eccedenti.
Intanto nella state facevansi sale capaci di 800. Ma la previsione era ancora insuffi-
ciente; chè oltre 1500 operai adulti si andavano ad iscrivere, e si dovevano riman-
dare in parte per difetto di luogo finche non sieno fatte ancora altre scuole, che
avrei voluto trovare nelle 24 ore, se fossi stato ai luogo di coloro cui apparteneva
provvedere » (l1).
I n questo quadro di problemi e di preoccupazioni, talora diverse e com-
plementari, molti intervengono per portare un qualche aiuto, nell'inadegna-
tezza della piibblica provvidenza, ispirandosi alla filantropia, o alla carità eser-
citata in nome e nella persona di Cristo (l2).
. (8) C. VERRI, I Fratelli delle Scuole Cristiane e la storia della scuola in Piemonte. . ,
Como 1757; GAMBARoO. c,., p. 453; 652-654; D. BERTONJOI VINE, Stopia della scuola po-
polare in Italia, Torino 1954; ID., Breve storia della scuola italiana, Roma 1761.
(9) Giacinto Provana di Collegno a Gino Capponi, 5 luglio 1846, riferita da ROD~LICO,
o. C,, p. 12.
('0) Lettera di Ilarione Petitti di Roreto del 3 febbr. 1847 in A. CODIGNOLDAag,li
albori della libertd al proclama di Moncalieri. Carteggio Petitti-Erede (Bibl. di stor. ital., 13),
Torino 1731. o. 266.
('1) ~ e k r adi Petitti di Roreto citata.
(12) R. M, BORSARELLI,La marchesa di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte
nel Risoreimento: C. CARRERBAr.evi cenni sulla R. Opera Mendicitd Istruita dalla sua
origine alpanrio 1878, T o r i n ~ ~ o m18a78; A. Cnenusx~r',~ o ~ r i en emetodi assistenziali del
1749-1848. Italia, Francia e Inghilterra, Milano 1758; S . SOLEROSt,oria dell'ospedale mag-
giore di San Giovanni Battista della città di Torino, Torino 1757. Elementi analoghi e sug-

6.3 Page 53

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
3. Gli Oratori per la gioventù abbandonata
La nuova situazione sociale col suo fluire di popolazione, specialmente
giovanile, aveva creato anche problemi di assistenza religiosa ai quali non
poteva più adeguatamente sopperire la vetusta organizzazione delle quattordici
parrocchie cittadine e delle due dei sobborghi("). Quanti giovani, infatti, si
spostavano dal paese di origine o dali'ancestrale ambiente di campagna con
una commendatizia dei parroci di origine ai loro colleghi cittadini? Quanti
parroci della provincia si ponevano già tale problema? E quanti della città
si sentivano incoraggiati a mutare le strutture e le attrezzature tradizionali,
che si esplicavano attraverso i'amministrazione dei sacramenti e la celebrazione
della Messa? (l4)).
Sarebbe stato necessario che, oltre ai vice-curati che si occupavano di
funerali e battesimi ce ne fossero stati altri destinati specialmente a un apo-
stolato ambulante tra botteghe, officine, mercati. Sarebbe stato necessario che
curati e vice-curati non stessero più ad attendere i loro giovani fedeli in
sacrestia o in chiesa per il catechismo vespertino e per quello domenicale e
quaresimale. Quel controllo che i parroci esercitavano nei paesi di provincia
e nelle campagne mediante gli adulti sui quali avevano prestigio, in città
cominciava a essere impossibile, perché i curati perdevano il contatto con le
famiglie di nuova importazione.
Era, questo, un problema che a Milano non esisteva in proporzioni così
angustianti, quando ecclesiastici torinesi tra il 1840 e il 1850 andarono a
visitarvi oratori parrocchiali e interparr~cchiali('~)A. Torino infatti bisognava
quasi cominciare dal nulla, perché le Congregazioni degli studenti non erano
propriamente opere trasformabili in oratori per masse di giovani, specialmente
artigiani o vagabondi, così come il momento richiedeva: oratori popolari, ana-
loghi quasi al tipo di scuola collettiva propugnata dal Lancaster.
Questo fu il problema che si posero molti preti « liberi », quali erano
gestioni per possihiii indagini suii'ambiente torinese sono date da G. C. BASCAPÈL,'assi-
stenza e la beneficenza fino al fermine delle dominazioni straniere, in Storia di Milano, 14,
Milano 1960, p. 802.834. Ricchi di dati sono N. PETTINATI, Torino benefica, in Torino,
Torino 18802, p. 837-882 e L. E. Rossi, Milano benefica e previdente, Milano 1906.
('3) BERTOLOTTDI,escrizione di Torino, Torino 1840, p. 53.
(14) La questione è rievocata sulle M 0 p. 152-154, dal punto di vista di DB. La
conclusione è che n I #parroci deila città di Torino [nei 18461, raccolti nelle solite loro
conferenze, trattarono sulla convenienza degli oratorii. Ponderati i t h i e le speranze da
una parte e dali'altra, non potendo ciascun parroco provvedere un Oratorio nella rispettiva
parrocchia, incoraggiscono il Sac. Bosco a continuare finche non sia presa altra deiihera-
zione ». Ma ciò valeva anche per Don Cocchi. Cf. anche MD 3, 190-197.
('5) Verso il 1850 a Miiano gli oratori per giovani erano quindici (6.Milano sacro,
annuario ecclesiastico della diocesi), alcuni dei quali avevano più di un secolo di esistenza.
DB, invitato da Don Serafino Alliwi, predicò ali'Oratorio S. Luigi presso la chiesa di
S. Simpliciano, nel 1850 (MB 4, p. 170; 175-180). Forse allora DB ottenne una copia dei
Regolamento di S. Luigi Gonzaga (AS 025 Regolamuito deii'Oratorio e delle Case;
AS 029 Regole e regolamenti di altri Istituti).
quelli del Convitto ecclesiastico, o altri che finirono per conoscersi e orien-
tarsi all'opera degli oratori: sacerdoti che corrispondevano alla nuova classe
di giovani a cui si dirigevano; in un certo senso, nuova classe di sacerdoti, che
finivano per dimenticare se provenivano dalla nobiltà o dalla campagna,
perché affratellati dal comune lavoro di educazione popolare negli oratori o
nelle opere congiunte, come l'assistenza durante il lavoro nelle malattie o
nelle carceri (l6).
Se si rispetta la storia, non è lecito affermare che Don Bosco sia stato il
primo a comprendere a Torino il problema della gioventù povera e abban-
donata o che sia stato il primo a fondare un Oratorio per i giovani artigiani
sbandati.
I1 primo oratorio che si conosca, sul tipo di quello che poi Don Bosco
apri sotto il patrocinio di S. Francesco di Sales, fu quello fondato da Don
Giovanni Cocchi, intitolato all'Angelo Custode, un rione miserrimo e malfa-
mato, al Moschino, parrocchia deli'Annunziata, quartiere di Vanchiglia.
Come Don Bosco, Don Cocchi veniva dalla provincia, essendo nato a
Druent nel 1813. Era già sacerdote nel 1836, quando cioè Don Bosco frequen-
tava al Seminario di Chieri il primo anno di filosofia.
Don Cocchi ebbe il genio dell'iniziatore, ma non la costanza del realiz-
zatore e il senso deli'organizzazione. L'Oratorio dell'Ange10 Custode dopo al-
terne vicende passò sotto la responsabilità di Don Bosco. Ma la sua rinomanza,
a quanto pare, rimase alta più che quella dell'Oratorio di S. Francesco di Sales,
ancora fino al 1850. E ciò fa sospettare il sapere che all'Angelo Custode e
non a S. Francesco di Sales era intitolata la Congregazione ( o pia unione) di
ecclesiastici e laici che a Torino aveva lo scopo d'istruire « nella religione e
nella pietà la gioventù abbandonata » e ottenne, per mezzo di Don Bosco,
favori spirituali dalla Santa Sede(I7).
La qualifica data ai giovani che frequentavano gli oratori era quelia di
gioventù abbandonata, o anche di gioventù povera e abbandonata, cosi come
si trova documentato nelle opere analoghe istituite a Brescia e altrove dal
sacerdote Ludovico Pavoni e, prima ancora, a Marsiglia e in altre città della
Francia per iniziativa del sacerdote Jean-Joseph Allemand (l8). Ma al termine
(16) Cf, sopra cp. 3 nota 28 S.
('7) Cf. avanti. nota 29. Brevi cenni sucli oratori torinesi sono dati nell'onuscolo
Della ' ~ o t t r i n acristiana e dei Catechismi. Lettera pastorale di S. E. Rev.ma moisignor
D. Alessandro Ottaviano Riccardi dei conti di Netro arcivescovo di Torino seguita da
un'appendice sugli oratorii e sulle compagnie delle Figlie di Maria, Torino, P. Marietti
1873, p. 34-37.
('8) GADUEL,Le
Jean-Joseph Allemand
directeur de la jeunesse
11772-18361, prgtre du
ou la vie et
diocèse de
l'esprit d
Marseille .
u. .,serMviatersuerilldee
Dieu
1885;
193@. Tra i continuatori e teorizzatori della Oouvre de la Jeunesse si distinse Timon-David. -
E. GIBON,J:J. A,, in DHDE, 2, Paris 1914, ci. 594s; M. VILLER, s.v., in DSp., 1, Paris
1937, CI. 314; R. H ~ M E LS., v., in Catholicisme, 1, Paris 1948, ci. 331; H. ARNALIDL,a vie
étonnante de J. Joseph Allemand (1772-1836) apdtre
R. BERTOLDIL,odouico Pavoni educatore E1784-18491..
d. e,
la jeunesse,
Miilano 1949
Marseille 1966. -
(con hibliografia).

6.4 Page 54

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
si davano tutte le sfumature che poteva contenere; molti giovani infatti erano
in realtà economicamente poveri e miseri nati in clima di malavita, molti
però vivevano del proprio lavoro e non dovevano mancare studenti e altri
frequentatori della classe media o addirittura giovani (sebbene rari) di famiglie
dell'alta borghesia e della nobiltà che aiutavano a fare i Catechismi.
Molti potevano essere considerati abbandonati soltanto perché lo erano
socialmente e religiosamente.
Sul termine evidentemente si poteva discutere e anche equivocare; tut-
tavia esprimeva in misura che non può considerarsi impropria, la categoria dei
giovani, ai quali l'opera propriamente si indirizzava, in un ambiente in cui
prevaleva l'attività di massa popolare, quale era appunto la zona del Moschino
che gravitava, come &ella di Valdocco, verso il mercato di Porta Palazzo.
4. L'Oratorio di' Don Bosco
Trasferendosi nel 1844 all'ospedaletto e al Rifugio come collaboratore
del teologo Borel, Don Bosco attrasse a se il gruppo di giovani che già al
Convitto gravitavano attorno alla sua persona. Non li indirizzò altrove; ma li
stesso dove abitava diede inizio all'Oratorio che intitolò a S. Francesco di
Sales. Se lo fece a ragion veduta, fu questo uno dei passi più accorti e decisivi
da lui compiuti allora. All'Ospedaletto infatti si garantiva l'autonomia, proba-
bilmente poggiando sulla fiducia cb'egli godeva presso Don Cafasso e su
quella che il Cafasso e il teologo Borel avevano presso l'arcivescovo e gran
parte del clero cittadino.
Decisiva fu anche la scelta del patrono, su cui si orientò per circostanze
che sembrerebbero casuali. L'immagine di S. Francesco di Sales, riferisce
Don Bosco stesso, era stata fatta dipingere dalla marchesa Barolo sull'ingresso
dei locali destinati ai preti che prestavano la loro opera al Rifugio, perché la
marchesa « aveva in animo di fondare una Congregazione di preti sotto questo
titolo » (l9). Quello di Don Bosco poteva essere un gesto accorto anche per
cattivarsi la benevolenza della Barolo, ina senza dubbio il fatto d'imbattersi
in un'immagine di S. Francesco di Sales dovette apparirgli provvidenziale e
certamente la scelta di lui a patrono corrispondeva alle intime aspirazioni, che
egli si preoccupò di manifestare e motivare Sul più antico regolan~entodel-
l'Oratorio che conosciamo (da collocare negli anni 1851-52), si legge che l'Ora-
torio è posto « sotto la protezione di S. Francesco di Sales, perché coloro che
intendono dedicarsi a questo genere di occupazione devono proporsi questo
Santo per modello nella carità, nelle buone maniere, che sono le fonti da cui
derivano i frutti che si sperano dalllOpera degli Oratorii »(m).
Scelse S. Francesco di Sales, scrisse più tardi sulle Memorie dell'Oratorio:
(19) MO, p. 141.
(m) AS 025 Regolam. dell'orat. di S. Franc. di Sales ms., edito poi nel 1877: Rego-
lamento dell'Oratorio di S. Francesco di Soles .ner eli esterni, ~ t 1. . sco~odi auest'o~irra.
Torino, tip. Salesiana, p. 4; cf. anche M13 3, p. 91.
« lo Perché la Marchesa Barolo aveva in animo di fondare una Congregazione
di preti sotto a questo titolo, e con questa intenzione aveva fatto eseguire il di-
pinto di questo Santo che tuttora si rimira ali'entrata del medesimo locale; 2 O perché
l a parte di quel nostro ministero esigendo grande calma e mansuetudine, ci era.
vamo messi sotto alla protezione di questo Santo, afKnch4 ci ottenesse da Dio la
grazia di poterlo imitare nella sua straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle
anime. Altra ragione era quella di mettersi sotto alla protezione di questo santo,
affinché ci aiutasse dai cielo ad imitarlo nel combattere gli errori contro alla
religione, specialmente il protestantesimo, che cominciava insidioso ad insinuarsi
nei nostri paesi e segnatamente nella città di Torino »(*l)
I1 nuovo oratorio, tuttavia, per quanto autonomo, cresceva sotto l'intiusso
ideale di quello già esistente, di cui Don Bosco assunse le caratteristiche essen-
ziali (catechismi, possibilità di giochi) modificate dalle sue qualità personali,
di prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all'occorrenza atleta e
giocoliere, ma già allora noto anche come prete straordinario che ardiva fare
profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di
venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore,
che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti
e portava a sentire i problemi dell'anima e della salvezza eterna.
Indiretto, ma reale, fu l'influsso degli oratori milanesi; e forse, solo ideale
- attraverso la lettura della Vita di S. Filippo Neri - fu la dipendenza dagli
Oratori filippini, che però Don Cocchi dovette avvicinare nel suo breve sog-
giorno romano("). Non sono infine da escludere altri influssi e suggestioni,
sia di provenienza lombarda (da Brescia, ad esempio, dove fioriva l'oratorio
di Ludovico Pavoni), sia dalla Francia, dove si era diffusa l'Oeuvre de la
jeunesse istituita dallJAllemand, o ispirata a lui.
5. Autonomia e prevalere deli'oratorio di Don Bosco
Momento d'importanza capitale per il maturare delle istituzioni di Don
Bosco fu la ventata patriottica del 1848-1849. Anni decisivi anche per la
causa dell'unità nazionale; anni d'insuccessi che portavano in germe il buon
esito definitivo; anni di sogni, di entusiasmi e di immancabili scossoni e
sbandamenti.
I n quel momento specialmente i preti patrioti sentirono imprescindibile
per il successo della religione, seguire il popolo nelle sue aspirazioni unitarie.
Si comprende dunque come potessero sentirsi impegnati, quasi fino allo spa-
simo, per riuscire a convogliare tutto il clero e tutte le forze cattoliche nella
causa dell'Italia e far gridare a tutti: « fuori lo straniero, viva Pio IX! ». Nel
'48 quasi tutti i vescovi degli Stati sardi emanarono lettere pastorali patriot-
(21) MO, p. 141.
(") A MARENGO, Contr~butzper uno studio su Leonardo Murialdo educatore, p. 4.
109

6.5 Page 55

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
tiche e religiose. Ma non mancarono i riluttanti, fossero o no favorevoli al-
l'Austria (").
Anche Don Bosco attorno al '48 deve avere preso parte alle comuni
speranze d'Italia, nella forma neo-guelfa, che appariva rispettosa per il Papa
e per le antiche dinastie governanti ("). Ma non dovette essere un sentimento
di lunga durata, e presto dovette venire l'urto con i preti patrioti, e si sarebbe
scavato irrimediabilmente un solco tra lui, Don Cocchi, Don Trivero e
Don Ponte.
Prima del '48 Don Bosco aveva difeso l'autonomia del suo Oratorio e
quando si erano fatte adunanze per unificare la direzione degli oratori torinesi,
egli aveva rinunziato una fusione con altri, sostenendo, a quanto pare, la
collaborazione tra i vari preti degli oratori e oratori stessi, e forse anche
offrendo i propri servizi, ma rifiutando di sottoporsi a una formale dipendenza
da altri di cui non condivideva tutte le idee.
Lo stesso tentativo venne rinnovato nel '49 con l'interessamento di Don
Cafasso, amico di molti e influente su tutti i giovani sacerdoti dediti all'assi-
stenza della gioventù. Ma non si giunse a un accordo
Intanto nel marzo 1849 Don Cocchi condusse una squadra di giovanotti
dell'oratorio di Vanchiglia per prendere parte alla battaglia di Novara("). Fu
una disfatta per l'idea nazionale e per l'opera deli'intraprendente prete di
Druent. L'Oratorio fu chiuso e, poco dopo, certamente con l'appoggio di
Don Cafasso e la fiducia di mons. Fransoni ormai irrigiditosi nella reazione
antiliberale e antinazionale, riaperto sotto la direzione di Don Bosco, nono-
stante gl'inevitabili rancori, le rappresaglie di giovinastri e ragazzacci (n).
Nell'ottobre 1849 in un avviso a stampa Don Cocchi annunziava pubbli-
camente l'istituzione di una Società di sacerdoti e «giovani secolari », che si
sarebbero interessati di curare l'educazione di « tanti ragazzi, orfani princi-
palmente, abbandonati che bullicavano per Torino.. . onde avviarli a qualche
professione, a qualche mestiere »; poneva così le basi, con altri ecclesiastici,
all'Istituto per gli Artigianelli (2s).
(W)Ricco di dati sull'atteggiamento degli ecclesiastici è C~ruso,La Chiesa in Pie-
monte, 3, Torino 1889, p. 201-306.
(24) Si ricordi « il gran Gioberti » della Storia ecclesiastica per uso delle scuole,
apparso nel 18482 (#p.182) e poi soppresso. Cf. anche MB 3, p. 422425.
(25) «Si pretendeva adunque - scrive Don Lemoyne, - e a tutti i costi, che Don
Bosco formasse ona sola società anche con Don Cocchis» (MB 3, #p.452). Quanto detto
dalle MB è da porre in relazione con l'Avviso pubblicato da Don Cacchi in data 15
ottobre 1849 per la fondazione di una società «principalmente di sacerdoti e giovani se-
colari » per l'assistenza e l'educazione della gioventù abbandonata (AS 123 Cocchi, stmp.
orig.; MARENGoO.c.,, #p.5).
(x)Vi accenna DB: MO, p. 214s. Più particolareggiato è E. Remo, D. Giovanni
Cocchi e i suoi Artigianelli, Torino 1896, p. 11, tenuto presente da MB 3, p. 58.60.
- (n)Fonte importante, anche per le MB 3, p. 388-571, sono i ricordi di Giuseppe
Brosio. il « bersadiere » (AS 123 Brasio).
Cf. sopra, nota 25 e MARENGO, o C , p. 5-7
Don Bosco l'anno dopo chiedeva a Pio I X favori spirituali per tre
« Congregazioni » legittimamente erette a Torino delle quali era Direttore
e che non avevano « altro scopo che quello d'istruire nella religione e nella
pietà la gioventù abbandonata » (m).
Nel 1851 Don Cocchi dopo la cacciata di mons. Fransoni dal Piemonte ("),
aprì l'Oratorio di S. Martino in Borgo Dora, sempre attorno a Porta Palazzo,
a cinquecento metri da quello di Don Bosco. Poteva apparire un contraltare
o una prova di forza tra i due gruppi di preti degli oratori 0').
Con decreto emanato da inons. Fransoni il 3 1 marzo 1852 da Lione
Don Bosco venne nominato « Direttore Capo spirituale » dell'Oratorio di
S. Francesco di Sales e superiore di quelli di S. Luigi Gonzaga (aperto nel 1847
a Porta Nuova) e dell'Angelo Custode in Vanchiglia, che 1'arcivescovo decretò
formalmente « uniti e dipendenti » da quello di S. Francesco di Sales, sotto
la cura perciò della «Congregazione dei poveri giovani », anch'essa esplici-
tamente menzionata nel decreto arcivescovile (32).
È difficile riconoscere quali siano stati i maggiori precedenti di questo
importante documento di mons. Fransoni. Le Memorie Biografiche, la cui
composizione è tardiva rispetto ai fatti, appaiono, più che volutamente reti-
centi, incolpevolmente lacunose. Non molto è possibile aggiungere in base
alla documentazione relativa a Don Cocchi, ai cugini Murialdo, agli Artigia-
nelli, all'oratorio di S. Martino, conservata dai Giuseppini e, ancora meno,
dalla documentazione della Curia arcivescovile (").
Dovendo dare una qualche coesione all'opera degli Oratori e dovendo
scegliere tra i leaderr, l'arcivescovo non dovette avere esitazioni nel preferire
Don Bosco a Don Cocchi, ma non dovette sentirsi in animo di comprimere
le iniziative di quest'ultimo, assoggettandole a quelle del primo.
(lq)Cf. AS 13401 Pio IX, e MB IV, p. 93 S. Nell'AS si conservano i due rescritti
relativi aile pie unioni (o congregazioni), poste rispettivamente sotto il titolo e la prote-
zione dell'Ange10 Custode e di S. Francesco di Sales. I due atti, identici nella forma e
n d a scrittura, sono del 28 sett. 1850. i3 da presumere che esistesse il documento relativo
alla congregazione di S. Luigi Gonzaga.
(30) I1 decreto di espulsione fu emanato il 25 settembre 1850; il 28 l'arcivescovo era
alla frontiera e il 5 ottobre a Lione. Cf. Cniuso, La Chiesa in Piemonte, 3, p. 386.389.
(31) MARENGOO. C,,, p. 355; MB 4, p. 372-374, di cui fonte principale è Brosio.
(32) AS 110 Documenti personali di DB copia autentica del 12 mapgio 1868, conforme
ali'originale del 31 marzo 1852; questo si trova all'ACuria metropolitana di Torino, Pro-
visioni semplici; MB 4, 378 S.
(33) Quanto riferiscono il Marengo e il Castellani sullOratorio S. Martino è quasi
tutto posteriore al 1866. Utili invece sono i dati suli'Oratorio S. Luigi, affidato inizialmente
(dicembre 1847) al teologo Carpano e a don Trivero (CASALISD,izionario, 21, p. 21); poi,
nel 1849, al segretario debla Baro10 don Pietro Ponte, coadiuvato daabate Carlo Morozzo,
dal teologo Paolo Rossi (m. 1856) divenutone direttore sotto DB, daii'avvocato Gaetano
Beilingeri e da altri ~CASALII.Sc.),, tra i quali, il teologo Roberto Murialdo (m. 1883),
nobile di sangue e di apirito, amico, col cugino Leonardo, di DB e di Don Cocchi
(MARENGoO. C,,, p. 358; CASTELLAINl I,beato Leonardo Murialdo, I , p. 399.451).

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Si ha, comunque, l'impressione che non ci siano stati veri e propri
arroccamenti, anche sc non dovettero mancare momenti di tensione grave
soprattutto tra i preti di prima linea nell'opera della gioventù: Don Cocchi
e Don Ponte da una parte, e Don Bosco dall'altra. Ma tra tutti doveva
esserci grande schiettezza e cameratismo, oltre che ribollire di energie, e vivo
senso del momento delicato che attraversava la Chiesa torinese. Vi furono
preti e laici che cominciarono ad aiutare Don Cocchi e Don Ponte; passarono
poi con Don Bosco, forse in vista della sua indigenza, tra il '48 e il '56; tor-
narono quindi nella cerchia di Don Cocchi, senza sospendere l'amicizia e la
collaborazione con Don Bosco stesso.
E non mancarono gli stimoli alla coesione, come la Santa Lega tra il
giovane clero, istituita nel 1850, la Soczetd dei Sacerdotz di S Francesco di
Sales fra il Clero Subalpino, la Società dt Mutuo Soccorso e di Previdenza
per gli Ecclesigstzci, in cui, come elementi unificatori o promotori, erano pre-
senti - o esercitavano il loro prestigio - Don Cafasso, il P. Marcantonio
Durando superiore dei Lazzaristi, il canonico Luigi Anglesio successore del
Cottolengo come rettore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, l'abate
Amedeo Peyron orientalista e Giovanni Antonio Rayneri pedagogista, en-
trambi professori all'universiti, il canonico Aiessandro Vogliotti rettore del
Seminario, il teologo Pietro Baricco, a lungo vice-sindaco della citti.
Dai fatti che si conoscono si ricava, inoltre, che l'Oratorio di S. Francesco
di Sales divenne il più importante fra i tre nominati nel decreto del 31 marzo
1852, ma non incorporò quello di S. Martino ai Molassi. E nemmeno incor-
porò altri oratori che esistettero per qualche tempo, diretti e curati dai sa-
cerdoti dei Molassi e da quelli dell'opera degli Artigianelli, che si consolidava
con vicende non sempre propizie, parallelamente all'oratorio di S. Francesco
di Sales.
Don Bosco si assicurò non soltanto l'autonomia, ma una quasi indipen-
denza e una rispettabile preminenza nell'opera degli oratori. L'approvazione
dell'arcivescovo giungeva a sanzionare solennemente un'opera assistenziale che
non rientrava, in tutto il complesso deila sua attività, nella struttura delle
parrocchie. Inoltre viene a chiarirsi la sua posizione personale. Egli non è più
solo colui che ha istituito e « stabilito », come dice il decreto arcivescovile,
la Congregazione per la gioventù, ma ne è il Direttore Capo spirituale; non è
più un prete affiancato al teologo Borel, ma il superiore di una istituzione, e
in questa non C più considerato quasi in sott'ordine rispetto al teologo Diret-
tore spirituale del Rifugio. D'ora in avanti sarà più raro il caso in cui i con-
tratti riguardanti l'acquisto o la vendita di terreni, o la malleveria in contratti
di apprendizzaggio, abbiano prima il nome del Borel o del Cafasso e poi quello
di Don Bosco. Con i Rosminiani, con le autorità civili e religiose egli giunge
a trattare in prima persona, come principale, o infine, come unico responsabile
dell'oratorio di S. Francesco di Sales e degli altri da esso dipendenti. Sempre
più di rado dovrà ricorrere a preti autonomi per il necessario funzionamento
degli Oratori, perché dal 1853 in poi sempre più fitto si farà il numero dei
chierici, preti e laici che si voteranno alle sile dipendenze.
6. La casa annessa atl'Qratcario (1853-1863)
Chiunque si ponga a contatto con la povertà e con la miseria per redi-
merla, se non viene a compromessi, si trova irresistibilmente portato a dare
tutto: la propria opera, il proprio tempo, le proprie cose, la vita intera.
Postosi ad assistere i bisognosi, era inevitabile per Don Bosco rinnovare le
esperienze del Calasanzio, di Filippo Neri, di Giovanni Battista de la Salle,
di Vincenzo de' Paoli; o, badando all'ambiente più prossiino: del Cottolengo,
della Barolo, di Don Pietro Merla, del teologo Gaspare Saccarelli, del dome-
nicano Befnardo Sappelli; e ancora più vicino all'esperienza di Don Bosco:
di Don Cocchi e dei suoi collaboratori. Anche il teologo Berizzi e il teologo
Carpano si trovarono costretti dalle intime convinzioni e dalle circostanze a
rendersi responsabili di giovani senza alcun tetto e senz'altro padre che il
sacerdote che li aveva beneficati per un momento ("). Don Bosco stesso narra
come nel 1847 cominciò a ospitare nelle modestissiine stanze della casa Pinardi,
alla periferia della città, tra gli orti, l'abbaiare notturno dei cani o le grida
che provenivano dal poco raccomandabile ostello della casa Bellezza(3s).
È dunque il richiamo della gioventù bisognosa che, ancora una volta
orienta Don Bosco e lo determina a gettare il germe, i cui futuri sviluppi lui
stesso allora non immaginava. Più tardi, elaborando le Regole per la Congrega-
zione Salesiana, dari la ragion d'essere della Casa annessa all'oratorio e delle
altre consimili che programmava alla nuova Società: « Se ne incontrano poi di
quelli che sono talmente abbandonati che per loro riesce inutile ogni cura se
non sono ricoverati; onde per quanto sarà possibile si apriranno case di ricovero,
ove coi mezzi che la Divina Provvidenza porrà fra le mani, sarà loro sommini-
strato alloggio, vitto e vestito. Mentre poi verranno istruiti nelle verità della
fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere. . . » (9.Termini,
questi, enunziati già nel 1850 da Don Cocchi e dai suoi amici nel regolamento
fondamentale della Soczetd di caritd a pro dei giovani poveri ed abbandonati (37).
(M)Sul teologo Pier Giuseppe Berizzi (1824-1873) nativo di Occhieppo Superiore cf.
BUSCAGLI!., San Giouanni Bosco e i biellesi, p. 24-27; MAUENGO.OC,,, p. 35-37. E sul
Carpano: FRANCESIIlAc,anonico Giacinto G. C. Elogio funebre, p. 22s.
(3)M0 p. 199-201.
(s)AS 02211.
("1 «Questa
vagabondi le vie..
.soocriefatanih, aodpearbbisaconpdoondaitis..o.ccsoirrpemrepotannetipgeirocviòandi iproivcoerviercahree
passeggiano
i medesimi
in apposita casa, di somministrar loro per tutto quel tempo, in mi ne avranno maggior
bisogno, alloggio, vitto, vestito, e
presso qualche onesto padrone in
cristiana educazione;
qualiti? d'apprendizi,
ed
o di
intanto
garzoni
.c.e.rc»h:e&cf.
d'dogarli
CASALIS,
Dizionario, 21, p. 710s, che irascrive dal Regolamento della Societd di cmifd a pro dei
giouani poveri ed abbandonati in Torino, art. 2, Torino, Marietti 1850, p. 1. Esso venne
redatto dal teol. Roberto Murialdo - DB poté averlo da questi o dal libraio amico Marietti.
Non è nemmeno escluso che abbia potuto leggere il testo sul Casalis.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Conseguentemente Don Bosco con l'appoggio economico di Don Cafasso
o con l'elemosina di persone benevole, si affatica per costruire, ora rappez-
zando la casa Pinardi, ora demolendo e ricostruendo, ora accostando nuovi
edifici a quelli già esistenti. Negli anni 1851-1853 fu realizzata la costru-
zione della chiesa di S. Francesco di Sales e di un nuovo edificio per abitazione,
che negli anni successivi con nuovi adattamenti e nuove costruzioni, prese
la fisionomia di un edificio per collegio ("1. Attorno al 1853, tra giovani arti-
giani (gli « artisti »), studenti e chierici, gli ospiti erano una ventina. Nel 1854
Don Bosco poteva accogliere circa ottanta ragazzi; tra i quali, alcuni orfani o
privi di sostentamento a causa del colera che aveva infierito in Piemonte e
specialmente a Torino nei quartieri di periferia (39).
Al pensionato per giovanotti e chierici gradualmente venne sostituita una
scuola per adolescenti artigiani e studenti del ginnasio. L'età media dei giovani
da 18-20 anni scese ai 12-15. Agli studenti rimasero affiancati i chierici, molti
dei quali provenivano dal medesimo ginnasio, frequentavano le lezioni dei
professori autorizzati dalla Curia metropolitana sotto la responsabilità di
Don Bosco; alcuni facevano scuola ai ragazzi di Valdocco o degli Oratori di
S. Luigi e dell'Angelo Custode. Di questi, molti nel 1859 s'impegnarono con
Don Bosco nella Congregazione Salesiana, che si avviava ormai a essere una
congregazione religiosa e non soltanto una pia unione per la cura degli oratori.
A Valdocco, i pensionati prima e gl'interni dopo facevano una vita di
famiglia alla buona, quasi rusticana, senza pretese, nella persuasione di non
potere esigere di più né da Don Bosco, né da altri("). Da tutti si faceva il
possibile per andare avanti alla meglio, anche se il vitto era grossolano e
appena sufficiente, preparato da cuochi improvvisati o per nulla abili. Si
sapeva che si viveva di carità. La pensione che veniva pagata da congiunti o
da benefattori non era sufficiente e Don Bosco faceva il possibile per tirare
a ~ a n t i ( ~ ' I) . giovani sapevano che Don Bosco spesso andava in giro per la
città a chiedere sussidi. D'inverno si gelava in chiesa e altrove, esclusa una
o due stanze, in cui si teneva accesa una stufa a legna. I1 materasso di lana
o di crine era un lusso di pochi. La maggior parte aveva saccone di foglie
(38) F. GIRAUDLI',Oratorio di Don Bosco.. ., Torino 19352 (fatto in parte sulle MB,
in parte sulla conoscenza diretta dei luoghi e del materiale archiviscico conservato aWEcono-
mato generale dei Salesiani; ma da integrare con altra dmmentazione non consultata, ad
esempio queila che segnaliamo alla nota seguente).
(39) I1 numero esatto dei giovani, il movimento deila popolazione dellOratorio, i
cespiti finanziari risultano dall'importante documentazione della Prefemra deWOratorio:
Anagrafe dei giovani, registri di contabilità, di voti scolastici, di cresima, ecc. ora presso
1'AS; e inoltre da AS 110 Fatture; 132 Quaderni ( o taccuini di DB); 38 Torino S. Francesco
di Sales (serie di documentazione relativa allOratorio).
(") La documentazkone è abbondante e concorde. Le rievocazioni più suggestive
sono forse quelle di Brosio l' « bersadiere» (AS 123), di Pietro Enria (AS 110 e AS
161.1) e di G. BALLESIOV, ita intima di Don Giovanni Bosco, Torino, tip. Salesiana 1888
(discorso funebre).
(4') Ci6 risulta dai registri di Contabilità: ci. sopra nota 39.
secche e di paglia (in uso anche altrove, ad esempio, al Convitto ecclesiastico).
A buon diritto la casa dell'oratorio poteva considerarsi un ospizio che viveva
di beneficenza e del non lauto guadagno che poteva provenire dalla tipografia.
Don Bosco affidava inizialmente i suoi pochi soldi a Giuseppe Buzzetti,
il quale in cuor suo stupiva per la fiducia che gli usava il padre comune(").
Mamma Margherita aveva raggiunto il figlio sacerdote nel 1846 e rimase
a Valdocco iino alla morte, lavorando senza sosta ora in cucina, ora a rat-
toppare il vestiario, che studenti e artigiani sdrucivano o strappavano e alla
sera depositavano ai piedi del proprio letto. Mamma Margherita rammendava
alla sera, spesso con l'aiuto di Don Bosco, e i giovani, risvegliandosi, trova-
vano i loro indumenti riparati.
Quando Don Bosco si assentava per scrivere libri al Convitto ecclesiastico
o in casa di Brosio il hersagliere o altrove, o quando andava fuori per predicare
o questuare, l'assistente dei giovani, piccoli e grandi, era mamma Margherita,
aiutata poi anche dalla sorella (che i giovani chiamavano la magna, cioè la zia)
Marianna, morta anch'ella all'Oratorio nel 1857.
Altre mamme vissero ali'oratorio, dando sempre l'impronta familiare
che necessariamente proveniva dalla loro natura e dalla loro esperienza. Morta
mamma Margherita, si stab'i all'oratorio la mamma di Don Rua, ch'era coa-
diuvata dalla mamma del chierico Bellia, da quella del canonico Gastaldi e
da altre. Visse all'oratorio anche Marianna Magone, mamma del noto alunno
di Don Bosco; lavorava alacremente ed era sempre presente alla prima messa
che quotidianamente si celebrava in casa, « pregava volentieri e temeva il
peccato come un serpente ».
Si spense all'Oratorio il 20 gennaio 1872 « con tutti i conforti della
religione - annotò Don Rua nel necrologio della casa -, pienamente rasse-
gnata, ed invocando Gesù, Maria, Giuseppe ed il suo Michele, a cui dimandava
che la prendesse con lui in Paradiso » ("). Poi la tradizione delle mamme si
perdette. Erano tempi in cui ormai il Collegio era bene organizzato, la vita
religiosa della Congregazione non comportava più la presenza di donne in
casa e Don Bosco pensava già alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Particolari piccoli, questi, se si vuole, ma che conveniva ricordare perché
senza dubbio ebbero il loro peso su molti aspetti della vita di Don Bosco e
dei giovani, e ci aiutano a vedere nella sua concretezza la « famiglia » del-
l'oratorio, le cui componenti non erano tutte prese solo da idealizzazioni
pedagogiche e teologiche, ma anche dal quotidiano della vita rusticana pie-
montese.
Per questo clima di solidarietà familiare e quasi popolana, per questo
clima di tensione solidale di Padre e figli verso i valori religiosi e la salvezza
eterna, verso un avvenire migliore di ciascuno nella società, verso - i&e -
(42) G. B. FRANCESMIAem, orie biografiche di Giuseppe Buzzetti coudiutore ralesia?o,
S. Benigno Canavese 1898.
(4)AS 276 Defunti, Oratorio di S. Francesco di Sales.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
una maggiore espansione deiie opere educative, caritative e devozionali che
facevano capo a Valdocco, Don Bosco può considerarsi uno dei più notevoli
rinnovatori del Collegio cattolico nella seconda metà dell'ottocento (").
7. Gli sviluppi dell'Oratorio e la spiritualiti di Don Bosco
I fatti evocati, per quanto pochi, ci sembrano sufficientemente indicativi
per rendersi conto di quello che fu l'alveo in cui si mossero le vicende del-
l'oratorio, ma anche per comprendere quanto sia stato turbinoso il loro corso.
Don Bosco non ;i trovò più nella cerchia abbastanza chiusa e quieta dei
colli nativi o di Chieri, e nemmeno in quella per lui troppo ristretta, del
Seminario; non più era sotto la responsabilità e sotto l'occhio di Don Cafasso
come alunno al Convitto.
Dal 1845 fu tormentato dal problema del domicilio personale e della siste-
mazione definitiva dell'oratorio. La presa di possesso di Casa Pinardi non
coincise con l'acquisto in proprietà. Egli fu sempre perciò nell'angustia di
trovare come sopravvivere a Torino, nonostante la povertà di mezzi, fidando
in Dio, in Don Cafasso e nella cerchia delle sue amicizie.
Si trovb in contrasto con i medesimi colleghi nell'apostolato sacerdotale
come mai aveva potuto provare prima, vittima di incomprensioni, di colpi
dettati, più che da calcolata malvagità, dalla passione del momento: dal fatto
che anche gli altri sentivano (e per molti aspetti non a torto) la propria causa
come questione di vita o di morte per sé e per l'opera degli Oratori; in
contrasto anche con i parroci, specialmente con quelli che maggiormente
sentivano attraverso il loro territorio la forza attrattiva di Don Bosco, che
sottraeva dalle loro strade, sotto i loro occhi, ragazzi e giovanotti per riunirli
a Valdocco o negli altri due Oratori da lui diretti.
Talvolta si isolò paurosamente; si ridusse a prove estreme che lo fecero
sanguinare nel fisico e nel morale pur di non abbandonare ad altri l'Oratorio
(si ricordi la malattia gravissima del 1846) e tanto meno deflettere dalla linea
che in quel momento vedeva come quella da seguire. Si attaccò, rabbiosamente,
si direbbe, caparbiamente, alla sua vocazione di sacerdote per la gioventù
povera e abbandonata di Torino. I sogni gli indicavano che la gloria di Dio
e di Maria, per mezzo suo, doveva espandersi da Valdocco; e si collocò, si
barricò; resistette; sopportò le brinate del '48.
A Valdocco Don Bosco si sagomò sempre più; in molte cose giunse alla
sua maturità: come sacerdote lottatore; anche audace, capace, quando l'avesse
("1 In questo senso è accettabile I'inniizione che sta in fondo a certe affermazioni
paradossali di OLindo DEL DONNOD,on BOSCO. Il demolitore dei Collegi, Iontipedagogista
di convinzione, l'educatore di vocazione, Bologna 1963. L'autore non manifesta il più pic-
colo confronto documentato tra i Collegi esistenti in Torino e altrove e quelli sorti dal.
l'esperienza di Don Bosco. Cf. specialmente il cp. XV, intitolato appunto Il demolitore dei
collegi, p. 266.279,
..
ritenuto necessario, di ripetere il gesto di Paolo con Barnaba, sia pure dimo-
strando la propria pena e facendo apparire il passo come ineluttabile. '. . '
Tra vari altri elementi dei quali è possibile intrawedere e segnalare la
nuova fase di maturazione in :+est0 periodo è bene sottolineare qualcosa che
non fu di suo esclusivo e .specifico: la chiarificazione del sentimento d i devo:
zione alla Chiesa e al Papa: Viva il Papa, piuttosto che Viva Pio IX! ("1.
Dopo il 1848 come motivo di preoccupazioni e di ansie pastorali si ag-
giunse per lui quello della propaganda protestante, specialmente valdese, che
cercava di trarre i maggiori profitti dalla concessa libertà di culto, di organiz-
zazione e di proselitismo. La:presenza protestante nella zona di Porta Nuova
e altrove lo spinse ad aumentare il volume delle sue attività e a mettersi
decisamente sulla via della stampa popolare periodica.
I1 decennio 1853-1863 è quello ,in cui si hanno in germe, o portate a
completa maturazione, la maggior parte delle sue iniziative: esiste già anche
il primo nucleo della Congregazione Salesiana.
È il periodo in cui egliscrive li maggior parte delle opere di un certo
polso, nelle quali anche è visibile la sua opera personale di compositore, com.
piiatore e correttore.
È il periodo aureo della sua attività diretta di educatore. Anche se mai
s'impegnò in scuola elementare o media sktematica lui personalmente, tuttavia
fu sempre a contatto dei giovani in cortile, negli incontri a tu per tu, al
confessionale, nei sermoncini serali, nei quali quasi mai mancava un qualche
colloquio di Don Bosco con il pubblico presente.
È: il decennio che Domenico Savio, Magone, Bes'iicco e mo1titi.a i
validi collaboratori di Don Bosco: Cagliero, Bonetti, Barberis, Berto, Cerruti . . .
& il periodo anche dei sogni audaci che contengono predizioni riguardanti
le autorità civili ed ecclesiastiche, le vicende future della Chiesa e degli Stati,
rese pubbliche specialmente dopo il '58 sull'almanacco delle Letture Cattoliche;
il Galantuomo.
..
In questi anni Don, Bosco non ha scrupoli a pubblicare grazie straordinarie
non solo in opere agiografiche, come la Vita di S. Pancrazio e di S. Martino,
ma anche quellc ;attribuite all'iniercessiotre di Domenico Savio in a,ppen. dice
alla. biografia e altrove ("1.
Ormai cominciava a essere risaputo, accettato o discusso il fatto che
l'oratorio era oggetto di particolari favori 'divini. Se ne parlava anche fuori del
Piemonte e per polemica anche su foglianticlericali.
E di questo è corresponsabile Don Bosco, perché era un fatto di cui egli
era anche intimamente persuaso.
Questo complesso di avvenimenti suscitò a Valdocco, nei primi collaba-
. ....
..
(4s) MB 3, p. 241 S.
(a)Ad esempio, in appendice a L'uomo propone e Dio dispone.. ., Torino 1863
(LC), p. 86-95; 11 cercatore della fortuna, Torino 1864 (LC), p. 68 S.

6.9 Page 59

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
ratori di Don Bosco I'impegno a non lasciare cadere nell'oblio le cose mira-
biii di cui erano testimoni.
Niente è più eloquente per evocare lo stato d'animo di coloro che s'impe-
gnarono a redigere gli annali di Don Bosco, che trascrivere l'esordio del ver-
bale relativo aUa prima adunanza, tenuta sul finire del marzo 1861:
« L e doti grandi e luminose che risplendono in D. Bosco, i fatti straordinari
che avvennero di lui e che tutti ammiriamo, il suo modo singolare di condurre la
gioventù per le vie ardue della virtù, i grandi disegni che egli mostra di ravvolgere
in capo intorno ali'awenire, ci rivelano in lui qualche cosa di sovrannaturale, e
ci fanno presagire giorni più gloriosi per lui e per l'oratorio. Questo impone a
noi uno stretto dovere d i gratitudine, un obbligo di impedire che nulla di quel
che si appartiene a D,' Bosco cada in oblio, e di fare quanto è in nostro potere
per conservarne memoria, aftinché risplendano un dì quali luminose faci ad illu-
minare il mondo a pro della gioventù »(e).
Sono i preludi di una sacra epopea scritti con l'emozione di chi vi si sente
per divina benevolenza coinvolto.
FONTI
A. 026 Regolamenti 02611.9 sono redazioni ms. dal 118541 al 1877, autogr. di DB
o diogr. con sue postille, da m i è derivato i'edi:to Regolamento dell'oratorio di S. Francesco
di Sdes per gli esterni, [Torino, tip. Salesiana 18771.
B. AS 026120-33: Regolamento della Casa annessa ail'oratorio di S. Franc. di Sales
ms. in parte di DB in parte allogr. AS 026134 Piano di Regolamento pel Collegio Convitto
di San Fiiippo Neri in Lanzo (dipendente dai precedenti e che diede origine ai successivi).
C. AS 026140.46 Regolamento per le Case, ms. di Don Giulio Barberis, di Don Rua
ecc. con postille e aggiunte di DB. - AS 026160: regolamenti vari (capo di camerata, di-
rettore delle scuole, direttori delle case, dormitorio, infermeria, laboratori, maestri di
scuola, piccolo clero, refettorio, scuola commerciale e di musica, studenti, teatro, tipografia,
vice rettore) utilizzati quas? tutti nello stampato Regolamento per le Case della Societd di
S. Francesco di Sales, Torino, tip. Saleriana, 1877.
D. AS 04 Capitoli generali (6.capo VI Fonti w p p o D).
E. AS 110 Cronache (Berto, Barberis, Bonetti, Eniria, Rufiino, ecc.).
F. AS 112 Fatture; Programmi (di collegi non salesiani tenuti in considerazione. da
DB).
G. AS 115 Lettere di auyrio, omaggi vari per l'onomastico e per altri festeggiamenti
in onore di DB (,la maggior parte, degli alunni di Valdocco).
& AS 123 Testimonke su DB (Bmsio, ecc.).
I. AS 126 e 131: Settere a DB e lettere di DB. Le serie che .particolarmente inte-
ressano lOratorio sono le voci Autoritd (Sindaco di Torino, ecc.) e Governo (Esteri, Guerra,
Interni, ecc.).
L. AS 132. Questa serie comprende prevalentemente scritture che DB non destinò alle
stampe. Interessano le voci: Fioretti, Oratorio (registri di condotta morale del 1853.55,
autogr. di DB), Quaderni, Prediche.
("1 AS 110 Ruffino, 1, p. l S.
M. AS 133 Breve ragguaglio della festa fattasi nePdistribuire il regalo di Pio IX
ai giovani degli Oratori di Torino, Torino, ti?. Eredi Botta 1850, stamp. con postille
di DB.
torio
N. AS
festivo
38 Torino S. Franc. di
e l'internato, le feste, le
Suaslaensze(,coilrricsaptoanstdoe,nlzea.aisnscoacritaazmioennit.i.
riguardanti l'Ora-
.); AS 38 Torino
S. Giov. Evangelista ( e Oratorio S. Luigi).
BIBLIOGRAFIA
Oltre al CASALISD,izionario, 21, Torino 1851 e al C~ruso,La Chiesa in Piemonte,
spec. voU. 3-5, sono da ricordare G. TORRICELLA, Torino e le sue vie illustrate con cenni
storici, Torino 1868 (sull'Orntorio p. 93 s); P. BARICCO, Torino descritta, Torino 1869
(descrive a lungo ,le opere assistenziali); G. BRAGAGNOLO - E. BETTAZZIT,orino nella
storia del Piemonte e d'Italia, Torino 1915-1919, 2 voll.; F. COGNASSSOto,ria di Torino,
Milano 1959; Particolari aspetti della vita sociale piemontese nell'800. Conversazioni inedite,
Torino 1961. Notizie di costume: A. V I ~ L I OT,orino e i torinesi, Torino 1931, 2 vol.
Aspetti sociali del trapasso ddi'artigianato all'industrializzazione: P. SPRIANOSo, cialismo e
clusse operaia a Torino dal 1892 al 1913, Tori. 1958.
Interessano in 'generale le opere agiogafiche o biografiche su piemontesi, che in gran
parte gravitarono su Torino e furono, direttamente o indirettamente in relazione con DB.
Fa 'una cassegna di santi o di personaggi di cui c'è il processo di beatificazione e cane
nizzazione E. VALENTINI, La santità in Piemonte nell'Ottocento e nel primo Novecento, in
Riv. di pedagogia e scienze religiose 4 (1966) p. 297-373. Sono inoltre da ricordare ve-
scovi come mons. Pietro Giuseppe De Gaudenzi ( L .M., Vita di mons. P.G.D.Gv.esc. di
Vigevano, TromeUo 1923); Luigi Fransoni (M. F. MEI.LANOI,l caso Fransoni e la politica
ecclesiastica piemontese (1848-1850), Roma 1964); Eugenio Galletti (F. ALLARIAD, ella
vita e delle o p m pustordi di mons. E. G. vescovo di Alba, Alba 1880); Tomaso Ghilardi
(P. A. RULLA, Una gloria dell'episcopato italiano mons. G. T . G., Alba 1942); Andrea
Gharvaz (J. E. BORRELV,ie de Mgr. A.C., Chambéry 1909).
Quanto alle preoccupazioni educative: P. BARICCOL',istruzione
popolare in Torino. ..,
Torino 1865; L. PCGLIANIL,e' scuole comunali di Torino. Origine e incremento, Torino
1925.
Dei periodici che si occupano di DB ricordiamo, oltre a La Ciuiltd Catt. (1850ss),
alouni fogli torinesi. A) Cattolici: L'R-monia (1848-1866); LZTnitd cattolica (1863-1888); La
buona settimana (1856 ss); La Campana, poi divenuta Il Campanile e Il Campanone (1850-
1862); il Museo delle Missioni cattoliche (1857 ss); Il cuor di Maria (1866ss); L'Atene0
religioso (1869 ss); L'Apologista (1877 ss).
B ) Avversi: La Buona Novella (1851-1880); La Luce evangelica (1854-1855); La
Gazzetta del popolo (1848ss); Il Fischietto (1848 6s). E altri recensiti da A. MANNO e
V. PROMIS,Bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia, 1, Torino 1884,
n. 3247-3802 e da A. FERRANDINCAen, sitnento della stampa periodica cattolica in It&
compilato in omaggio al giubileo episcopale di S. S. Leone X I I I , Asti 1893.
Infine sono da ricordare le necrologie o biografie di Satesiani: da quella del chierico
Giuseppe Mmarello pubblicata da Don Lemoyne (Torino 1868), ai cenni apparsi in appen.
dice ail'elenco generale della Società Salesiana, stampato dal 1874 in avanti, alle Brevi
biografie dei confrntelli salesiani c h i m t i da Dio alla vita eterna, 1874-75, Torino, e agli
altri volumetti successivi compilati in gran parte da Don Carlo Cays e rivedute da DB
(AS 133 Biografie di Salesiani) e poi da Don Barheri3 e da Don Francesia.
.Relativamente alle relazioni di DB con i protestanti: G. SPINI, Risorgimento e Pro-
testanti, Napoli 1956; V . VINAY, Facoltd valdese di Teologia 1655.1955, Torre Pellice
1955; ID., Evangelhi italiani esuli a Londra durante il Risorgimento, Torino 1961; ID.,
Luigi Desanctis e il movimento evangelico fra gli italiani durante il Risorgimento, To-
rino 1965.

6.10 Page 60

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
1
DAI BECCHI A CHIERI (1815-1835)
1. I1 senso di Dio nella religiosità popoiare
Quando nacque Giovanni Melchiorre Bosco, il 16 agosto 1815, il mondo
aveva assistito al grandeggiare e al tramonto dell'astro napoleonico. I1 cano-
nico Emanuele Gonetti, vicario capitolare di Torino, come molti altri pastori,
aveva invitato i popoli a riflettere sugli avvenimenti strepitosi di cui erano
stati testimoni e attori. Tutto, secondo la persuazione di molti, era ormai
definitivamente tramontato. Opere che si sarebbero credute di secoli, si erano
succedute rapidissimamente. Esse, scriveva il canonico Gonetti, «ben provano
ad evidenza una mano superiore, che il tutto sovranamente dispone e regola,
che crollar fa quando a lei piace i troni e li rafferma, li atterra e ad un tratto
li restituisce nell'antico loro splendore, flagella le nazioni e loro aH'istante
ridona la prosperità primiera » ( l ) .
Quanto era avvenuto appariva come una teofania: « L'insensato, che nel
suo cuor disse non esservi Dio, o non curar Egli dall'alto della sila gloria
le vicende o liete, o funeste di questa bassa terra, trovi, se lo può, una ragion
suaciente di si straordinari avvenimenti ».
La nuova era si apriva con un senso vivissimo della presenza di Dio negli
avvenimenti umani, con la consapevolezza che la ragione umana, nella quale
ci si era tanto fidati nel secolo precedente, non aveva saputo costruire i fatti
in maniera ragionevole e nemmeno e r a capace di spiegare come mai essi si
.er.a.n...o
.
risolti
..
in
. ..
m. ..od. alit.à. .
.i.mpre~v.edibili
(9).
..
.
.., .
. . (1) Lettera pastorale «Le strepitose vicende. n, Torino, 10 maggio 1814, da cui
ricaviamo anche le citazioni successive. Nell'evocare i motivi religiosi deli'bianzia di DB,
piuttosto che tracaare un quadro generale del Piemonte e d'Europa, abbiamo preferito
merterci in queiio che poté essere il cono prospettico di Giovannino Bosco stesso e del
suo più immediato contesto ambientale.
( 2 ) Lo proclamava Gaetano Donaudi (m. 1829), che fu poi superiore generale dei
Teatini: « E quale mente umana la più perspicace ancora avrebbe potuto prevedere unqua
mai quel nuovo ordine di cose, da cui furono seguiti que' burrascosi e tetri giorni che la

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
CAPITOLO V
I COLLEGI
1. I collegi in Italia nella seconda metà dell'Ottocento
Non si ha una spiegazione adeguata degli sviluppi assunti dopo il 1860
dall'opera di Don Bosco, se non si considera anch'essa in una qualche misura
come un prodotto della situazione creatasi in Italia a metà Ottocento nel clima
di speranze e di impeti verso l'unità politica in chiave liberale.
Lo sviiuppo, ad esempio, della tipografia a Valdocco in più vaste propor-
zioni che non quelio degli altri laboratori, il successo delle pubblicazioni popo-
lari (Letture Cattoliche, Storia dytalia . . .) trovano una delle motivazioni più
convincenti nella spinta verso la elevazione culturale del popolo, in cui tipo-
grafia e stampa popolare s'inseriscono. Spinta ch'ebbe a quei tempi alla sua
radice il senso della dignità umana (civile e nazionale) elaborato dalla mentalità
liberale, che giovò, tra l'altro, a esaltare nei Cattolici lo sforzo verso una mi-
gliore educazione cristiana del popolo, già avviata alla fine del Medioevo, accen-
tuata con preoccupazioni antiprotestantiche dopo Lutero e antilluministiche
nei Settecento.
Analogo complesso di cause stanno alla radice degli sviluppi assunti dagli
internati destinati all'educazione della gioventù.
La cura di Don Bosco di agire secondo i bisogni dei tempi, in questo
campo si traduce in orientamento massiccio verso gli internati.
Dappertutto neli'Europa a struttura liberale si sviluppava tale genere di
istituti, che aveva superato la punta massima di compressione, verificatasi nella
seconda metà del Settecento, specialmente a causa, allora, della vivace polemica
contro i Gesuiti e i loro sistemi di. educazione (l).
Nel secolo XVIII si erano elaborati i motivi più forti contro l'educazione
(1) Cf. J. SCHROE~LS.ERJ., Die Erziehung in den Jesuiten-lnterwaten des 16.
Jahuhundevts, Freiburg in Brisg. 1940; S. DELVAILLE, L<I Chalotais éducatenr, Paris 1911
(La Chalotais fu fra coloro che mossero riserve di fondo aiia educazione nei collegi). Utili sug-
gerimenti in Questioni di storia della pedagogia, Brescia 1963.
121

7.2 Page 62

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
collegiale, che, si diceva, non preparava alla vita, gettava i giovani, appena
usciti dall'ambiente ristretto del collegio, in balia di se stessi, vittima delle
passioni che non erano state sufficientemente educate per insita difettosità del
sistema collegiale, nel pericolo di perdere la fede e di non essere utili alla
società. Traendo poi argomenti dalla mentalità illuministica, si esaltava l'edu-
cazione individuale che avesse come scopo I'adeguazione del ragazzo alla na-
tura, cioè portasse ad esprimere, da nna parte, la propria indole, e dall'altra,
a inserirsi in un ambiente che non avesse nulla, possibilmente, delle artificiosità
sociali (').
Nell'Ottocento, dopo la Restaurazione, per reazione alla polemica iUu-
ministica, e per il riaffermarsi degli istituti religiosi educativi, era venuto a
prevalere un giudizio più positivo sull'educazione in collegio. In Piemonte
educatori autorevoli, come Lorenzo Martini, sostenevano che negli anni che
da adolescenti avevano trascorso in collegio non solo non avevano ricevuto
alcun danno, ma si erano trovati bene ed erano stati preparati alla vita;
anche se non negavano i vantaggi di una buona educazione nell'ambiente
familiare, su quelia del collegio (l).
Questo modo di vedere non trovò immediata applicazione in Piemonte
per lo sviluppo degli internati nel secolo XIX fino al 1849, tempo in cui la
scuola era di fatto statale, secondo l'organizzazione ricevuta in regime asso-
lutista da Vittorio Amedeo 11 (1729), consolidata da Carlo Emanuele I11
(1770) e persino, sotto l'aspetto organizzativo, dalla legislazione napoleonica.
Fino a quel tempo il termine Collegio indicava primariamente le scuole
statali (Don Bosco, abbiamo visto, frequentò il Rea1 Collegio di
Chieri). Nella seconda metà del secolo la parola venne invece riservata a deno-
tare gli internati (4).
I1 fiorire di questi, il loro moltiplicarsi è proprio della seconda metà del-
l'Ottocento, quando la politica e la legislazione piemontese e italiana venne
via via avviata su basi liberali. E mentre da una parte si cercava di risolvere
i gravissimi problemi di organizzazione della scuola a cura dello Stato, gli organi
legislativi si preoccupavano di garantire l'esistenza e i diritti della scuola libera
e privata.
( 2 ) Significative sono le istanze, ad esempio, di GuiNaume GRIVEL,Théorie de l'édu-
cation, t. 1, h.2, 2 pt., ch. 3: Des CoUèges; art. 1: L'instituoion d a coUQes toujours
insuffisante; art. 2: Le mérite des Professeurs ne peut corriger entièrement les vices de
l'instioution des couèges; art. 3: Le Principal, le Préfet, d a Maltres de Quartier, ne
suppléent point au vice d'institution des coilèges; art. 4: Pensionnats plus dangereux
P. oue les collèees: art. 5: Les coll&.aes doivent erre réformés, pour $tre vraiment utiies »
( ~ a r i s1775, 242-255).
(3) L. MARTINIL, 'Emilio, Milano 1828, p. 431. Sul M. (1785-1841) ci. G. B. GERINI,
Gli scrittori pedagogici italinizi del sec. XIX, Torino 1910, p. 546-548.
(4) G. MANTELLINOL,a scuola primaria e secondaria in Pienaontc. . ., Carmagnola
1909; A. LIZIER, Le scuole di Novara ed il LireoConuitto, Novara 1898; N . RODOLICO,
Carlo Alberto negli anni di regno 1831-M43, Firenze 1936, p. 395-400; G. TALAMOL,n
scuola dalla legge Cnsati ~ll'inchiesta del 1864, Milano 1960.
I1 dissidio profondo tra Italia legale, costruita dalla classe dirigente poli-
. tica liberale, e Italia reale, costituita da larghi strati di opposizione cattolica
e di altre forze aliora in sviluppo (socialismo . .), ebbe come effetto nelle
scuole pubbliche italiane l'orientamento aconfessionale e addirittura anticle-
ricale (con aspre lotte sull'insegnamento della Religione nelle scuole), e come
contraccolpo, ne derivò nei cattolici (che si erano preclusa la partecipazione
alla vita pubblica politica, ma non a quella amministrativa) la tendenza a
organizzarsi in tutto: creare associazioni religiose, enti di mutuo soccorso,
banche popolari, società assicurative, collegi per l'educazione dei figli, puntando
molto sulle classi della bassa borghesia e del popolo operaio e agricoltore e
creando quasi una società dentro la società ~tatale
D'altra parte l'impossibilità, allora, di una solida amministrazione centra.
lizzata (soprattutto nel periodo di assestamento dei vari gruppi regionali che
vennero a costituire l'Italia unita dopo il 1860) favorì l'organizzazione di
collegi-convitti per opera delle amministrazioni comunali, spesso in mano a
cattolici, in lega con le autorità ecclesiastiche o sotto il loro influsso ($).
2. I collegi salesiani e la loro funzione storica
Ci si spiega cosi come dal 1863, anno di apertura del Piccolo Seminario
di Mirabello, si assiste a un moltiplicarsi di collegi, ospizi, scuole per arti-
giani, scuole agricole, seminari, aperti o gestiti dai Salesiani, e la preferenza
loro per gl'internati, piuttosto che per le parrocchie, per i semiconvitti, pen-
sionati, scuole per esterni e persino per gli oratori (6).
L'importanza di questo fatto non deve sfuggire. Ad esso infatti si deve in
parte non piccola il consolidamento dell'istituzione di Don Bosco, che negli
internati si garantiva una popolazione di educandi, meno labile e meglio orga-
nizzahile che non quella degli oratori; e attestandosi tra gli istituti educativi
specialisti nell'educazione di collegio in un momento in cui questo genere di
opere era richiesto dall'ambiente, si garantiva un maggior sviluppo, un più
largo raggio d'azione, un punto d'appoggio più solido, che aveva minori
esigenze creative che non gli oratori festivi, un maggior numero di vivai dai
quali trarre nuove leve per alimentare la famiglia degli educatori. Di fatto
l'inserimento tra gli specialisti del collegio servi all'espansione salesiana su
scala europea e mondiale alla fine del secolo decimonono e nella prima parte
del nostro. Ma soprattutto in ordine alla sua iinalità primaria il collegio sale-
siano contribuì ad alimentare con un massiccio contributo di giovani leve
le forze cattoliche in Italia e nel mondo.
($) G . SPADOLINLI,'opposizione cattolica da Porta Pia al '78, pt. I , cp. 5, Firenze
19614, p. 150 S.
Cf. voce Fondazioni in Indice MB p. 185-187 c quella Collegio, p. 78

7.3 Page 63

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
L'orientamento verso i collegi è inoltre un dato di fatto, di cui bisogna
assolutamente tenere conto per comprendere e situare gli orientamenti della
mentalità di Don Bosco e dei Salesiani da quando per loro iniziò l'era degli
internati.
Vari Salesiani presero a moltiplicare contatti con altri collegi e seminari
diocesani come confessori e predicatori portandovi le esperienze dell'oratorio
e a loro volta assimilando quanto trovavano applicabile nelle proprie isti-
tuzioni.
A sua valva Doii Bosco, specialmente dopo l'organizzationc della Casa
annessa, pensa spesso prevalentemente o addirittura esclusivamente a comunità
collegiali e ai Salesiani come educatoti di collegi. Riproducono esperienze di
collegi e ad essi si riferiscono le biografie di Magone (1861) e di Besucco
(1864), il romanzo a fondo storico Valentino o la vocazione impedita (1866)
i Ricovdi per le vacanze (1872); molte cose da lui dette allora ai giovani e ai
Salesiani non le avrebbe dette in altre circostanze, né sono in tutto applicabili
ad altri tipi di esperienze educative; molti principi religiosi sono propriamente
formulati per collegiali ospiti dell'istituto o in vacanza presso i familiari;
i Capitoli generali dei Salesiani, da lui preparati e ispirati, per quattro quinti
riguardano i collegi e la loro popolazione di educandi e di educatori.
Gli oratori festivi, la stampa, i pensionati, le scuole agricole non mancano
e sono presenti nell'opera legislativa dei Capitoli generali, ma in pratica
soprattutto gli oratori festivi pare attraversino negli ultimi decenni del secolo
una fase di compressione e talvolta anche di deperimento, sebbene non man-
chino oratori che, trovando clima propizio, servano addirittura di modello per
altre analoghe istituzioni in Italia e altrove.
Anche la nomenclatura si evolve in rapporto ai nuovi orientamenti.
Hanno il nome di Collegio o Collegio-Convitto: Lanzo (1864), Cherasco
(1869), Alassio (1869), Valsalice (1872), Vallecrosia (1875). . .; Valdocco,
Sampierdarena (1872), Roma (1885) assumono il nome di Ospizio perché
mantengono la fisionomia di case per la gioventù « povera e abbandonata ».
I n Francia hanno il nome di Ouatorio o Patvonato le case di Nizza (1875),
Marsiglia (1878), Parigi (1884); Ovfanotrofio quelle di La Navarre (1878),
Saint-Cyr (1879), LiUe (1884). I n Spagna la prima opera sono i Talleues di
SarriA (1884): scuola per artigiani; cui fanno seguito collegi oratori e la
scuola agricola (ovvero ospizio) di Gerona dopo la morte di Don Bosco (1891).
I n America prevalsero collegi e parrocchie. Assunse il nome di ospizio la casa
di Nictheroy (1882) in Brasile.
Le prevalenti preoccupazioni per i collegi ebbero una tipica ripercussione,
nell'ultimo quindicennio della vita di Don Bosco, ogni volta che si delinearono
interferenze con attività parrocchiali. NeU'ambito delle parrocchie sarebbe stata
possibile probabilmente una più impegnata collaborazione del personale ad-
detto all'oratorio festivo o a un esternato o pensionato; ma certamente ciò era
assai difficile quando l'opera salesiana era un collegio per studenti o artigiani,
con esigenze proprie di orari scolastici e religiosi. A Buenos Aires La Boca
(1877) e a La Spezia (1887) i Salesiani si trovarono impigliati in questioni
spinose con il clero diocesano e confraternite locali; a Roma, S. Cuore, non man-
carono piccoli conflitti tra il direttore dell2Ospizio, l'incaricato dell'oratorio
festivo e il parroco, ciascuno con esigenze speciali per le pratiche religiose
della comunità che dirigevano e rappresentavano (7).
A Marsiglia il canonico Clemente Guiol s'illudeva, premeva e quasi pre-
tendeva che i Salesiani lo coadiuvassero nella parrocchia di S. Giuseppe per
qualsiasi cosa. Don Bosco ribadisce chiaro e netto che la missione specifica
e prevalente dei Salesiani è i'educazione della gioventù e non l'appoggio ai
parroci nelle funzioni liturgiche ('). Risposta che, evidentemente, non poneva
nessuna questione di principio, quasi che Don Bosco non si sarebbe rivolto alle
parrocchie, se queste, in altre circostanze non si fossero dimostrate idonee al
tipo di opere che sentiva come sua missione specifica; ma era non meno
evidentemente richiesta dagli sviluppi che allora i tempi avevano suggerito
all'opera salesiana (').
Ci si spiega cosi come nel 1886, quando l'opera « ordinaria » dei Salesiani
fu l'educazione dei giovani nei collegi, il Capitolo generale sanzionò e fece
inserire nei regolamenti il principio: « in via ordinaria » non s'accettino par-
rocchie, perché (era sottinteso) incompatibili con le nostre attività (l0).
(7) A La Boca, Buenos Aires, i Salesiani accettarono la parrochhia in base a una
convenzione lacunosa, che col tempo doveva necessariamente dar origine a inconvenienti
seri. Cf. MB 12, p. 265-268; 658 s; AS 38 Buenos &m, S. Giov. Evangelista; CERIA,
Annali, 1, p. 247-260. Su La Spezia cf. Indice MB p. 608; AS 38 Spezia.
Circa le cautele di DB,perche a Roma fosse rispettata l'autonomia dell'ospizio e quella
dei superiori nel disporre anche il personale del Santuario cf. MB 14, p. 587; 806; Epirto-
[mio, 3, n. 2116.
(8) Assai importante è quanto DB scrisse il 15 settembre 1879: «Per assicurare
la disciplina e la moralità è indispensabile un'assoluta autorità sui nostri ailievi con autono-
Na nella educazione. Ciò tornerebbe impossibile qualora tutti o in parte eglino dovessero
uscire dall'Istituto per affari estranei al medesimo. È parimenti certo che la nostra Con-
gregazione avendo per fine l'educazione della gioventù, si è tosto osservata una ripugnanza
in alcuni suoi membri nell'applicarsi agli uffici che sono propri dei preti ausiliari
[nelle parrocchiel. Per questo motivo alcuni si sono ritirati dali'Istituto ed altri si asten-
nero dall'entrarvi adducendo la sola ragione mentovata n: cf. Epistolmio, 3, n. 1977 e su1
Guiol: Bullettin salérien 7 (1884) p. 120-122.
(9) Significativi sono ancora i timori, quando nel 1883 si di~~ussdella parrocchia a
Genova: « Si venne a parlare deli'erigere a parrocchia la noscra chiesa di Sampierdarena.
Qui Don Bosco enumerò gl'inconvenienti che sorgono da una parrocchia annessa a un
collegio di giovani: 1" Questo porta lo squilibrio. . . 2' Le funzioni parrocchiali non sono
compatibili con
può imporre ai
gliaovpanreisednizasgodmi bgraiorveanuinaalduantani.paYrteUdneallafacbhhieriscae.ri.a.
in certe circostanie
» (MB 16, p. 419 s,
che attingono ai verbali del terzo Capi~ologenerale dei Salesiani, tenuto a Torino-Valsalice
nel settembre 1883). Di fatto insorsero questioni sui diritti parrocchiali (MB 17, p. 388s).
('0) I1 Capitolo generaie quarto nel settembre 1886 si occupò del Regolamento per
le parrocchie. Le maggiori discussioni avvennero quando si trattò degli «ospizi uniti alie

7.4 Page 64

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
I collegi, come è comprensibile, insieme alle garanzie di maggiore solidità,
recavano anche i rischi insiti alla stabilizzazione: quali ad esempio il ristagnare
delle forze, il chiudersi nella cerchia collegiale, l'estinguersi di un'impellente
preoccupazione che stimolasse la creatività delle opere e dei metodi, una certa
quiescenza.
L'organismo salesiano - è lecito dirlo - venne a esporsi non al tipo
di necrosi determinato dall'instabilità delle cellule, ma a quello del ristagno,
deli'insufficiente ricambio e della sclerosi. E accettando di farsi condizionare
dalle fortune dei collegi, accettò anche i rischi del superamento connesso ali'in-
vecchiare del collegio (cioè: quel tipo di collegio) come forma educativa, che fu
richiesta allora da u n particolare stato di cose, ch'ebbe i suoi decenni di suc-
cesso, ma che oggi, pare, si avvia in Italia e in altri paesi a un inarrestabile
tramonto.
FONTI
A. AS 026 Regolamenti.
B. AS 132 Programmi (ms., bozze, stampati contenenti norme di accettazione e altri
dati puhhlicitari).
C. AS 133 L'Oratorio di San Franc. di Sales Ospizio d i beneficenza, Torino, tip.
Salesiana 1879; Le Scuole di beneficenza dell'Orntorio di San Francesco d i Saler davanti al
Consiglio d i Stato, Torino, tip. Salesiana 1879 ms. in gran parte di Don Berto ma riveduco
da DB, riguardante la chiusura delle scuole ginnasiali a Valdocco.
D. AS 3. E il fondo d'archivio che riguarda le opere salesiane in generale e in
particolare (oratori festivi, collegi, compagnie, ecc.; singole ispettorie, singole case, ecc.).
parrocchie » o dei parroci ad nutum Superioris (si era allora in tempi in cui l'opinione
pubblica anticiericale alimentava la ,polemica suli'elaione popolare dei parroci). I1 primo
articolo preliminare 50 così formulato: «Esaminato lo scopo cui tende la Congregazione
Salesiana nelle opere sue secondo le nostre Costituzioni a l Capo I, pare, dehhasi né con
facilità né in via ordinaria assumere la direzione di parrocchie, che venissero dai Vescovi
offerte»: cf. Deliberarioni del terzo e quarto capitolo generale della Pia Societd Sale-
siana.. ., S. Benigno Canavese 1887, p. 5; MB 18, 183 s; 183 s; 694-696.
I1 manoscritto del Regolamento, elaborato dalla Commissione capitolare, porta le mo-
tivazioni, che furono poi cancellate con un gran tratto di penna: « I motivi che ci sconsi-
gliano ad assumere la direzione di parrocchie sono: 1" La vita autonoma che devono fare il
parroco e i sacerdoti coadiutori per gli impegni parrocchiali che li distolgono bene spesso
da& vita comune e dall'osservanza esatta delle .Regole. - 2" Pericolo grave di perdere
la vocazione religiosa pel maneggio dei denaro, il cui rendiconto sfugge con facilità agli
occhi del superiore; pel contatto di ogni sorta di persone, per cui la virtù del parroco è
messa a dura prova. - 3" Per i'urto che potrebbe sorgere tra il superiore della casa e il
Pamco ne' luoghi ove dovessero essere distinte queste cariche. - 4" Per la difrficoltà di
conciliare l'istruzione che devesi impartire a' giovani e quella che devesi dare al popolo.
In tal caso sarebbe necessario o l'avere una cappella distinta o fare la funzione in di-
versa ora» (AS 046 Cap. gen. 1886). L'articolo venne rielahorato nella forma, ma non
nella sostanza dal Capitolo generale decimo del 1904 e dai redattori dei nuovo regola-
mento: « In via ordinaria non si accetteranno parrocchie; tuttavia se qualche speciale
circostanza ne consigliasse l'accettazione si esiga che siano conferite canonicamente alla
nostra Pia Società. . . » cf. Regolnmento per le parrocchie. . ., Torino, tip. Salesiana 1906,
p. 3.
BIBLIOGRAFIA
E. CERIA, Annali della Societd Salesiana, Torino 1941-1951, 4 vol. Narrazione sinte-
tica, in gran parte desunta dalle MB, ma parzialmente integrata con dati di prima mano
dell'AS o dal Bollettino salesiano: dal 1841 al 1921. Lettere circolmi d i D. Bosco e di
D. Rua ed altri loro scritti ai Salesiuni. Torino, 1896 (collezione lacunosa e non semwe
fedele all'originale).
Giovano a dare un contesto all'opera salesiana in internati, monografie su altre
congregazioni aventi finalità educative in senso largo o specifico: G . RIGAULTH, istoire
générale de Z'lnstitut des FrPres des Ecoles cbrétiennes, Paris 1937-1948, 6 vol., A. MONTI,
La Compagnia d i Gesù nel territorio della prouincia torinese, Chieri, 1914.1920; P. SILVA,
Cenni storici su la Conrregazione deUu Missione in Italia (1642-192J), Piacenza 1925;
G. LIMITI, La scuola
tra Stato e Chiesa, Roma 1970

7.5 Page 65

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
LA SOCIETA SALESIANA
1. I1 clima politico-religioso in Piemonte alle origini della Società
Salesiana
Tra gli avvenimenti che turbinano attorno a Don Bosco dopo la fonda-
zione dell'oratorio due sono quelli sui quali bisogna fissare l'occhio per il
peso che esercitarono sul germinare e sugli sviluppi della Società Salesiana
come idea e come realtà: la chiusura temporanea del Seminario metropolitano
di Torino nel '48 e la legge del 29 maggio 1855 che decretava la soppressione
di tutte le corporazioni religiose, a eccezione delle Suore della Carità, di quelle
di S. Giuseppe e delle comunità che avevano come scopo l'educazione e
l'istruzione, la predicazione o l'assistenza degli infermi, e convogliava i beni
degli enti soppressi in una Cassa ecclesiastica che avrebbe provveduto a sowe-
nire alla necessità dei parroci poveri e del clero sardo (l).
Entrambi i fatti avevano all'origine un medesimo elemento condiziona-
tore: il moto inarrestabile verso l'unità nazionale, che ormai aveva il suo
centro motore politico e militare nei Piemonte. I seminaristi erano stati di-
spersi dali'arcivescovo perché avevano preso parte alle feste nazionali, con-
ttawenendo ai suoi precisi ordini. Due atteggiamenti, quelli dell'arcivescovo
e dei chierici, ch'erano un simbolo: di adesione e collaborazione da parte di
questi ultimi al corso immediato degli eventi; di difiidenza prima, di netta
separazione e di contrasto poi con la causa risorgimentale da parte dell'arcivesco-
vo, che ne avvertiva il profondo dissidio con la religione nei suoi fondamenti
storici e teoretici.
I1 '48 aveva posto anche le basi alle leggi di soppressione delle comunità
(1) Fonti sulle vicende deiie leggi soppressive sono anzitutto gli Atti del Parlamento,
sui quali specialmente si basa G. SARDO, Storia
dolico. Vol. 111. Dall'ingresso di Cauour alla
CderliriPaCralalambeinatnoa.i.ta.l,ianPoaledrimreotta19d6a5.N
. Ro-
Deiia
soppressione delle corporazioni religiose e della Crisi Caiahiana: p. 367-394. I Regolamenti
per la esecuzione deiie leggi sono in Atti del Governo di S. M. il re di Sardegna, vol. 24,
p. 837-871; S. TESSITORE, Il conte di Cavour e le corporazioni religiose, Torino 1911.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
religiose e deli'incameramento dei loro beni. La guerra contro l'Austria aveva
stremato le finanze dello Stato, la presenza di fuorusciti aggravava la situazione
del bilancio interno. Memori di quanto aveva concesso la S. Sede nel 1796-98
durante la guerra contro la repubblica francese, i rappresentanti politici del
Piemonte avevano chiesto a Roma un alleggerimento del bilancio statale rela-
tivo alle spese di culto e di sostentamento del clero. Un concordato tra Piemonte
e S. Sede su tale base si era dimostrato inattuabile (2). Già allora, sul finire del
'48, si ventilò la evenie a di un incameramento dei beni ecclesiastici. Clero
e clericali ne erano rimasti profondamente feriti. Cattolici militanti come
Clemente Solaro della Margarita, Vittorio Amedeo Sallier de la Tour, Luigi
Provana di Collegno,.Leone Costa di Beauregard, che in passato avevano tenuto
posti chiave nella vita politica ed amministrativa del paese, s'impegnarono fie-
ramente nel Parlamento e nel Senato subalpino per difendere i diritti della
Chiesa. Antonio Brignole Sale, già ambasciatore sardo a Parigi, eletto senatore
nel 1848, prestò giuramento quando si avviarono pratiche circa l'incameramento
di beni ecclesiastici per avere il diritto di votare contro ( 7 .
Erano note le argomentazioni più o meno sottili sopra il diritto che aveva
la Chiesa di possedere o lo Stato di impossessarsi dei beni ecclesiastici, elabo-
rate in tutti i tempi; si conosceva specialmente la letteratura in materia da
metà Settecento in avanti, cioè all'epoca della soppressione dei Gesuiti, delle
leggi contro le manimorte fatte in Spagna, a Parma, nel Veneto, a Napoli;
le opere del Mamachi in favore della Chiesa e quelle avverse del Campomanes
o del Contini, e gli scritti del Portalis o di altri ancora pubblicati nell'epoca
della Rivoluzione o dell'Impero. Ma, più che altro, i fautori dell'incameramento
dei beni ecclesiastici erano sotto i'impressione della miseria pubblica, delle fi-
nanze da riassestare, della possibilità di farlo, se da parte ecclesiastica si fosse
rinunziato a privilegi o anche a veri e propri diritti, di cui ormai molti non
riconoscevano né il valore n6 la portata. L'intransigenza di Roma era soste-
nuta, non senza intimo travaglio, da prelati tenaci, educati più alla coerenza
dei principi considerati in astratto, e all'avvertire i pericoli imminenti e futuri,
che non alla percezione delle immediate contingenze. Avveniva allora un
frangersi e rifrangersi di sentimenti contrastanti. L'intransigenza per reazione
suscitava o alimentava il senso di ripulsa e di odio verso il sacerdote che non
si fermava a lenire le ferite di chi era stato percosso dai ladroni. E a sua
volta, il gesto di forza e di odio di coloro che, ritenendo di iisare un proprio
(2) Le motivazioni da parte pontificia sono tiportate in Allocuzione della Santità di
nostro Signore Pio PP. IX al sano collegio nel concistoro segreto del 22 gennaio 1.855
seguita da una esposizione correlata di documenti. .. edizione economica eseguita sul testo
ufficiale di Roma, Torino, tip. scolastica di Sebastiano Franco 1855.
(3) A. C. JEMOLOIl, «partito cattolico » piemontese n d 18113 e la legge sarda sop-
pressiua delle comunitù
in JEMOLO, Scritti "ari d
religiose, in Il
i storia religiosa
Reiscoivriglien.~.e.n,toMitialal.no111-91625,(1p9.1382-119-31793).pS.iil1-B5r2i;gnoorlae
Sale: g. 338,
diritto, toccavano i beni ecclesiastici, muovendo a scandalo e a ribellione co-
loro che interpretavano quell'atto come una violenza sacrilega (4).
Sembrava allora che si fosse suscitata una nuova ondata di Giacobinismo;
anii, che l'idra giacobina non fosse mai stata uccisa e che i suoi tentacoli,
mortificati per qualche tempo dopo la caduta di Napoleone, fossero ricresciuti
più potenti, implacabili, inarrestabili. Si aveva anzi motivo di pensarlo, perché
i fautori della causa del popolo e della nazione se ne proclamavano eredi. La
sfortunata generazione che aveva alzato il capo all'inizio dell'Ottocento era
caduta sotto i colpi di quella più vecchia ch'era riuscita a prevalere per qualche
tempo. Ma il retaggio giacobino era stato accolto dalla generazione di coloro
che furono educati appunto all'inizio del secolo e cb'erano divenuti classe do-
minante nel '48, formatori di nuove leve, che avrebbero trionfato in un do-
mani di cui si potevano presagire le sorti ($).
La soppressione delle comunità religiose e l'incameramento dei loro beni
allo spirito religioso di molti cattolici appariva un assurdo inconcepibile, un
gesto sacrilego, una violazione del diritto naturale, la premessa alla distruzione
della stessa Chiesa e di ogni religiosità. Era un gesto che ridondava a oltraggio
degli stessi antenati, degli stessi religiosissimi sovrani, alla cui fede, e devo-
zione alla Chiesa, veniva attribuita l'erezione di monumenti come la Basilica
di Superga, fatta costruire da Vittorio Amedeo I1 in adempimento di un voto
alla Vergine. Non c'era quasi chiesa a Torino, nel Piemonte e in Savoia, non
c'era monastero o convento che non fosse stato oggetto di religiosa munif-
cenza da parte dei sovrani o del popolo o dei nobili.
« Ah! - esclamava mons. Ghilardi vescovo di Mondovì in una lettera
pastorale del 1852 nel cupo presagio di quel che sarebbe avvenuto - che di-
rebbe il religiosissimo Carlo Alberto se alzasse il capo dalla sua tomba, e
volgendo lo sguardo ai Mnnicipii delle sue già sì care popolazioni, ei ne ve-
desse non pochi, congiurati a chiedere lo spogliamento di quella Chiesa ch'Egli
proteggeva cotanto e in ogni modo arricchiva? Egli, l'augusto monarca e padre
amatissimo, confortato da Noi in certa sua tribolazione a proseguire con co-
raggio a proteggere la Chiesa e felicitar lo Stato, si degnava scriverci, il 21
dicembre 1844, fra le altre, queste precise aro le: « V i sono certi momenti
in cui la mia vita è veramente piena di amarezza. . . io mi persuado ogni di
maggiormente, che, se Iddio non viene in soccorso del nostro vecchio mondo
(4) La letteratura & discretamente abbondante. Si vedano ad es. Difesa di diritti della
Chiesa Cattolica intorno ai beni temporali ed alle istituzioni contro il progetto d i legge
per la soppressione di comunità religiose, ecc. già approvato dalla camera de' deputati
nella tornata del 2 marzo 1855. Opuscolo presentato al Senato del Regno, Torino, Speuani
eI,l-RTd".9,o1r\\t,.one 1855; Il diritto di proprietà della Chiesa. Terza edizione, Vo&era 1852
( 5 ) Sono espressioni di Giovanni Nepomuceno Nuu~z,Relazione letta d Consiglio
municipale di Torino nella seduta del 27 dicembre 1855 dal signor cau. Nepomuceno Nuytz
uice-sindaco professore della Facoltd legale e reuore dell'Uniuersitd, Torino, tip. subdpina
di P. Pelazza 1856. Pub essere significativo che si sia tipubblicato A. BARRUEL,Storia del
Giacobinimo (Bibl. ecclesiastica), Carmagnola 1852, 3 vol.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
per via di grazie particolari, noi finiremo per cader in una dissoluzione so-
ciale, stantech6 più non bastano i mezzi umani ». Non dovrebbe Egli dire
che i suoi pronostici si stanno awerando? che imminente possa essere la dis-
soluzione sociale da lui temuta? » (9.
Ciò che era percepito con un sentimento di timore e di angoscia era anche
pronosticato da chi esaminava le idee motrici degli eventi. Si poneva mano
a incamerare i beni, di cui la Chiesa era legittima proprietaria. Per ciò stesso
si poneva un «principio di comunismo e di anarchia, un dissolvente della
società medesima » (?). Stabilito il principio per scalzare una proprietà, si
poneva quello che le avrebbe scalzate tutte ('). Si citava l'apologista, filosofo
e sacerdote spagnolo Giacomo Balmes, si faceva appello a quanto era awenuto
ai tempi della Rivoluzione francese per stabilire paragoni, analogie e fondare
pronostici (9).
Per il giornale clericale del Margotti, l'Armonia, letto all'Oratorio e da
Don Bosco, e r a facile profetizzare l'avvenire: spogliati i monasteri, gli ospe-
dali e i templi, sarebbe venuta la volta dei municipi; poi, quella dei nobili
« una parte de' quali, immemori del loro grado e delle loro tradizioni, non
si vergognano di tenere il sacco ai rapaci. Essi non solo perderanno i propri
titoli che sarebbe poco, ma eziandio i propri beni »(lo).
Don Bosco va oltre. Sembra che si insidii soltanto alla religione; ma in
realtà si opera per abbattere il trono con la religione: << crollerà il primo, ma
nulla varranno contro alla seconda » ( O ) . Gli avvenimenti funesti che colpi-
scono il Piemonte, il colera, la carestia, la mortalità della popolazione e del
bestiame, i grandi funerali in Corte proprio mentre si discuteva la legge di
soppressione, sono previsti e visti come segni della collera divina per il sacri-
legio che la nazione compie per mano dei suoi governanti. Lo stesso valore
hanno avvenimenti che, agli occhi dei politici sono il tessuto sapiente dal quale
uscirà l'Italia unita: la guerra di Crimea e quella che poteva prospettarsi
inevitabile con l'Austria o dappertutto in Europa. La guerra - profetizza il
Galantuomo, l'almanacco di Don Bosco - sta per &ire in Crimea; il suo
teatro sarà altrove e sempre sanguinoso ». La cara patria piemontese nel 1856
<( sarà orribilmente flagellata dalla mortalità, e poiché gli uomini attribuiranno
al caso questo flagello, cosi terranno dietro mali estremi. Grandini, siccità,
terremoti, carestia, fallimenti di commercio con furti sacrileghi, con suicidi,
( 6 ) Giov. Tommaso GHILARDI, Lettera pastorale del vescovo di Mondod ' intorno
all'incameiamento de' beni ecclesiastici, Mondovl 1852, p. 7. Si noti come allora i cattolici
cercassero di scindere la responsabiiità della casa regnante da quella del governo e delle
«sette »: « L'auysta Casa di Savoia fino a Carlo Alberto si giorib 'mai sempre di pro-
teggere questo diritto e possesso », scriveva 1:autoie della Difesa di diritti (p. 14).
(7) G H I L A ~LIe,ttera pastorale, p. 6 S.
(8) I1 diritto di proprietd, p. 59.
( 9 ) GHILARDI, Lettera pastorale, p. 6.
('O) L'Armonia, N. 65, 22 marzo 1855.
('l) Il Galantuomo almanacco nnzion#le pel 18j6 coll'aggiunta di varie utili curioritd,
Torino, tip. De-Agostini 1855, ,p. 59.
. omicidii, bestemmie e con empietà. Perciò sarà sempre peggiore il destino
della tua patria. . Se il ravvedimento degli uomini non fa cangiare i decreti
di Dio, si vedranno cose inudite in tutti i tempi andati >>(l2).
Quel che più faceva sanguinare l'animo e quasi esasperare, era il vedere
come ci si lasciava trascinare e travolgere da una minoranza e mai si riusciva
a capovolgere una situazione, che dai cattolici veniva valutata col porre sulla
bilancia soltanto una somma aritmetica. Quando la legge era in discussione
al Senato, i cattolici, che ormai venivano chiamati «partito clericale >>, presenta-
rono 97.000 firme contro la legge, e i favorevoli appena 36.000(U). Quando,
per un intervento conciliatorio dei vescovi, si pensava che il progetto di legge
poteva essere accantonato, vi fu, secondo i giornali liberali e anticlericali, una
tale commozione di popolo, che quasi si temeva per lo stesso trono. Ed era
una minoranza: secondo i clericali era uno sparuto gruppo di studenti e di
popolaccio, orchestrato da pochi scalmanati. Eppure quella minoranza rappre-
sentava allora la forza politica del paese, anche se condizionata, mortificata o
esaltata, da molti altri fattori e in particolare dal pungolo della larga e non
meno attiva reazione clericale ».
I1 sopravvenire di quanto si era temuto neli'animo dei cattolici intransigenti,
persuasi dell'impossibilità di trovare un accordo tra religione e rivoluzione,
alimentava e giustificava un sentimento di sdegno verso coloro che si defini-
vano moderati, che volevano essere cattolici e nello stesso tempo patrioti e
che in realtà erano quei prudenti della rivoluzione, che a dosi misurate e s&-
cienti la fanno inghiottire ai popoli ed ai sovrani », <( che per non soggiacere
d a Chiesa la vogliono divisa dallo Stato; ma per ispogliarla e incatenarla, la
rimettono immediatamente sotto i piedi dello Stato D (").
Gli eventi emersi dopo l'armistizio del '48 erano stati una bufera che
aveva travolto i germi moderati, che altrimenti avrebbero potuto svilupparsi.
La soppressione delle comunità religiose dava il colpo di grazia alle soprawi-
venze della letteratura neo-guelfa che si era appropriata anche del monachesimo
per esaltare il Cristianesimo e il Medioevo in reazione al disprezzo che su di
loro avevano lanciato gli illuministi. Chateaubriand in Francia e Dandolo in
Italia avevano illustrato in termini ammirati l'opera civilizzatrice del Mona-
chesimo occidentale, «che è - scriveva Gioberti nel Primato - per essenza
travagliato e indirizzato a promuovere direttamente la cultura degli nomini »,
ed è squisitamente italiano, <( in quanto nacque in Italia per opera di Bene-
detto » (l5). Balmes trasse motivo dall'opera dei monaci e dei religiosi missio-
('2) 11 Galantuomo, p. 59s.
(0)D. MASSÈ,Il caso di coscienza del Risorgimento italiaso dalle origini alla Con-
ciliazione, Alba 1946 (p. 267): il Massè scrivendone, si rende partecipe dei sentimenti
espressi allora dai cattolici intransigenti.
(M) Cosl Guglielmo AWDISIOQ, uestioni politiche, Napoli 1854, Q. 14, riferito da
JEMOLOS, cfitti vari di storia religiosa, p. 336 nota.
(l5) GIOBERTI, Del primato morale e civile degli italiani, Bmsseiie 18443, p. 194. Cf.

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2. Valore e limiti della legge soppressiva nella mente di Urbano
Rattazzi
La legge del 29 maggio 1855 così com'era formulata e motivata dal Rat-
tazzi non voleva essere antidericale, non gallicana, non ispirata a eventuale
spirito di rivincita del clero secolare sul regolare, non avversa alla Chiesa, non
contraria alla giustizia e all'equità, non favorevole al comunismo, non sacrilega,
non lesiva del diritto altrui.
I1 punto di partenza delle sue argomentazioni giuridiche e di filosofia del
diritto era un presupposto giurisdizionalista, che stabiliva come primaria e
prevalente nell'ordiine esterno l'autorità civile quale era configurata storica-
mente dalle unità stataii.
Come realtà esterna la Chiesa sopravveniva nello Stato, vi era accolta,
vi era accettata e diveniva per legge civile un ente morale nello Stato. « La
Chiesa - affermava Rattazzi - non venne introdotta nello Stato che per
assenso deil'autorità civile »
Conseguentemente anche le corporazioni ecclesiastiche rispetto allo Stato
e al suo potere, erano entità secondarie e dipendenti. Esse avevano perciò
una doppia personalità morale: una che veniva dall'autorità spirituale che le
riconosceva come enti morali da lei promananti con h a l i t à religiose, e l'altra
dall'autorità statale.
La legge di soppressione non avrebbe per nulla attentato alla personalità
che le corporazioni religiose ripetevano dalla Chiesa, ma avrebbe soltanto
reciso e annullato la personalità civile(=).
I n secondo luogo la legge non sarebbe stata lesiva della lihertà indivi-
duale, né della libertà di associazione, né favorevole al comunismo. La legge
non comportava l'espulsione degli individui: essi avevano piena e libera fa-
coltà « di radunarsi e di darsi a quel genere di vita che loro torni a grado » ('%
Rattazzi infatti riconosceva nella personalità individuale un soggetto di diritto
primario rispetto allo Stato, un'entità giuridica nella sua radice e nella sua
consistenza più forte che non quella del potere civile, perché anteriore nel-
Roma esposti a nome de' zelanti della ecclesiastica liberld alla Santitd di Pio V I dal giure-
consulto Spanzotti membro del Collegio di legge
Canfari 1852; Carlo Antonio PILATI,Riflessioni
nell'Universitd nazionale,
di un italiano sopra la
TCorhiineos,a..ti.p,.
. Torino, tip. Canfari 1852; P. C. BOGGIOLa, Chiesa e lo Stato in Piemonte, esposizione sto-
rico-critica dei rapporti fra la S. Sede e la Corte di Sardegna. . , Torino, tip. Sebastiano
Franco 1854, 2 vol.
(24) RATTAZZDIi,scorsi, p. 29. T3 evidente l'a5nità con la fomula del Cavour «libera
Chiesa in libero Stato D, sulla quale già esiste un'abbondante letteratura. Cf. AUBERT,Il
. pontiiicato di Pio IX, 5 54, ed. it., p. 128 S. Pare perciò che non si possa dei tutto sotto-
scrivere la valutazione deii'AunERT (1. C,, § 53, ed. c., p. 127): « Questa legislazione..
[sulla soppressione delle corporazioni] s'ispirava non tanto al principio liberale della sepa-
razione della Chiesa e dello Stato, quanto alla tradizione giacobina e regalista, preocni-
Data di afiermare i diritti sovrani dello Stato.. . D. Era anche Dresente in chiave liberale
fa cura a garantire la libertà dell'individuo e degli enti morali.
(=) RATTAZZDIis,corsi, p. 29.
(26) RATTAZDZiIs,corsi, p. 6.
l'ordirne di natura e quindi più sacra, perché più vicina a Dio, da cui tutti gli
altri beni - compresa la natura sociale - vennero « creati per sopperire ai
bisogni degli individui »(n). LO Stato dunque non era il mostro che ingoiava
l'individuo, o ne violava i diritti, perché per natura era costituito per tutelare
e regolare i diritti dei singoli membri della comunità: modo di vedere che
esalta i valori individuali, anteponendoli a quelli societari; che, storicamente,
aveva alle sue radici le concezioni contrattualistiche del Sei-Settecento.
Secondo Rattazzi dunque non si poteva argomentare contro la legge af-
fermando che col sopprimere il diritto alla proprietà delle corporazioni religiose
si poneva un principio eversivo di qualsiasi altro genere di proprietà.
E inoltre non si poteva affermare che la legge era lesiva di diritti della
Chiesa e individuali. Non ledeva diritti della Chiesa, perché i beni delle corpora-
zioni non erano propriamente della Chiesa e il termine ecclesiastico che si
adoperava, poteva dare origine ad ambiguità. Quanto infatti possedevano le
corporazioni era nello Stato, reso fruttifero o fatto deperire nello Stato, rego-
lamentato da leggi statali. Non ledeva i diritti degli individui, perché questi
avendo abdicato volontariamente, mediante il voto di povertà al titolo di
dominio, erano riconosciuti, anche dallo Stato, come nullità individuali, non
capaci di diritti di uso e usufrutto a titolo individuale.
Soppresse perciò Ie corporazioni religiose, i beni ch'esse possedevano
divenivano adespoti, senza che alcun privato potesse reclamarli, senza che la
Chiesa potesse rivendicarli; divenivano perciò di dominio pubblico
Nella loro redistribuzione le autorità civili si sarebbero fatte uno scrupolo
di agire equamente. I1 Piemonte per Statuto si riconosceva confessionale, e
Rattazzi per lo meno riconosceva la realtà sociale piemontese, in cui la con-
fessione cattolica era quella della maggioranza. Beni, quindi, che erano ecde-
siastici, sarebbero stati adibiti per necessità ecclesiastiche. E queste erano ur-
genti. Lo Stato aveva chiesto invano comprensione alle autorità ecclesiastiche.
(n) RATTAZDZiIs,corsi, p. 25.
RATTAZZID, iscorsi. D. 22-27: «Ci vien mossa l'accusa di volere con Questo
progetto' distrurre ia società, annientare neile sue radici il diritto di proprietà sul -quale
.. . . . . riposa l'ordine sociale, di voler anche aprir la via al socialismo, al comunismo, di voler
disconoscere la volontà dei fondatori di voler commettere un vero latrocinio (p. 22)
Ma quando trattasi di conporazioni religiose o stabilimenti ecdesiastici, il fatto 6 che la
proprietà spetta ad esseri fittizi, ad esseri creati dalla legge; e siccome è la legge che li
. creò e li mantiene h vita, così G evidente che la legge stessa può distruggere ciò che ha
creato.. Questo un diritto che innegabilmente spetta ailo Stato sopra i beni tutti che
trovansi posti nel suo territorio. Tuttavolta che non esiste colui, il quale possa vantare un
diritto di proprietà privata sopra certi beni, lo Stato siibentra nella prnprieta dei beni
abbandonati (p. 24).. . Per altra parte è manifesta i'intrinseca diversità che passa tra la
proprietà individuale, e la proprietà che spetta ad un ente morale, a una individualità
. creata dalla legge. Quando trattasl di una proprietà privata, l'individuo proprietario ri-
conosce il suo diritto daila stessa natura (p. 25). . i membri delle comunità reiigiose fa-
cendo assolutamente voto di povertà non possono, per effetto del loro voto, elevare
ragioni né di proprietà, né di dominio, n4 di usufrutto, né di uso sopra i beni dello
stabilimento a cui essi appartengono (p. 24) r.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Non potendo provvedere diversamente alle necessità dei parroci poveri e del
clero di Sardegna, aveva agito unilateralmente, sopprimendo la personalità
civile delle corporazioni religiose meno « utili ».
Questo modo di agire era dunque necessario, giusto ed equo. Rattazzi
ricordava a questo punto qualche motivo delle notissime lotte giurisdizionali
settecentesche tra il Piemonte e Clemente XI. Allora Vittorio Amedeo I1
si era fatto scrupolo di dichiarare agli esecutori delle sue volontà, che gli even-
tuali interventi vendicativi di Roma non sarebhero stati giusti: scomuniche,
sospensioni, interdetti erano da considerarsi inefficaci. « Siamo preparati - aveva
scritto nel 1707 Vittorio Amedeo 11, e Rattazzi lo ricordava - a qualunque
estremità d'ingiustizia ? cui fosse mai per indursi Sua Santità, il che tuttavia
non è da supporsi; e che prima di passarne all'effettuazione vi penserà ella
seriamente per non recare un sì gran scandalo al mondo, et ugual sfregio al
suo pontificato; mentre deve attendersi a trovare in questa parte ogni maggior
fermezza nel sostegno della giustizia e ragione, che sì palpabimente milita a
favor nostro »; « mentre devesi tenere per indubitato, che non si mancherebbe
da questa parte di contrapporre quei rimedi che sono in mani di quell'autorità,
che i sovrani tengono unicamente da Dio » (").
Ragionamenti sottili che, accentuando in termini unilaterali i poteri del-
l'autorità pubblica territoriale, esprimevano la decisa volontà di venire alla
soppressione delle corporazioni religiose ritenute inutili.
3. Prime istanze e primi progetti di Don Bosco
Don Bosco dunque attorno al 1855, quando si acuì in lui l'esigenza di su-
scitare collaboratori e continuatori della sua Opera, si trovava di fronte a
tali fatti e a tale mentalità, che impegnava tutti per le complesse e disparate
ripercussioni politiche e religiose. Egli d'altronde non era rimasto estraneo.
Aveva osato intervenire indirettamente facendo giungere all'orecchio di Vittorio
Emanuele I1 il messaggio che sentiva venire dall'alto: segni premonitori di
castighi divini, anche per la sacra persona del Sovrano, se questi non si fosse
opposto ai disegni di coloro che, nel linguaggio clericale erano considerati indi-
stintamente settari ("). I suoi messaggi, sinistri, ma rispettosi, rispondevano allo
stato d'animo di quanti allora erano persuasi della sacralità del Sovrano e
amavano dire a se stessi e agli altri, che Vittorio Emanuele I1 era stato ingan-
nato, aveva finito per trovarsi impastoiato dalle sette, avrebhe agito diversa-
mente, se fosse stato più previdente, se, in quei frangenti, si fosse sentito
più libero.
Don Bosco inoltre, volente o nolente, si era compromesso con la pub-
blicazione di un opuscolo che già nel titolo sintetizzava l'opinione dei cle-
ricali: I Beni della Chiesa come si rubino e quali ne siano le conseguenze
pel bavone di Nilinse con brerie appeizdice sulle vicende pnrticolaui del Pie-
monte(" ). Anch'egli era stato attaccato dalla stampa anticlericale e protestante
più di una volta dal 1850 in avanti per la pubblicazione degli Avvisi ai Cattolici.
La Storia d'Italia apparsa nel 1856 e riedita nel 1859 aveva meritato a Don
Bosco dalla Gazzetta del Popolo l'accusa di reazionario austriacante, antigo-
vernativo (").
Ogni sua eventuale deliberazione era dunque condizionata dalle riper-
cussioni che avrebbero potuto avere sugli anticlericali. Nella quiete del suo mondo
interiore Don Bosco proiettava in un contesto sacro i suoi desideri. Già nel
1844, come egli stesso riferisce, aveva visto in sogno agnelli trasformarsi in
pastori, svolgendo cosi un motivo già iniziato nel sogno dei nove anni, che fa
pensare all'esegesi che negli ambienti cattolici più devoti al papa, si dava
allora al linguaggio metaforico del Cristo: pasce agnos meos, pasce oves meas,
guida tutti i miei fedeli, guida anche tutti i pastori della mia Chiesa. Anche
Don Bosco sentiva attraverso il linguaggio figurato del sogno &era destinato
ad avere sotto di sé molti giovani, vari dei quali si sarebbero trasformati in
pastorelli e lo avrebbero aiutato nell'opera educativa: così come nella Chiesa,
anche all'oratorio i pastori sarebhero derivati dalla trasformazione di ele-
menti del gregge (9
Nel 1855 Don Bosco poti rendersi conto che il sogno si avverava: gli
Oratori e il pensionato di Valdocco avevano dato chierici per la diocesi.
Alcuni abitavano con lui e già lo aiutavano. Ma come avrebhe potuto tenere
uniti a sé questi chierici più fedeli? In genere i giovani, finiti i loro studi
sarebbero ritornati alle loro case; i chierici, giunti al sacerdozio, sarebbero stati
inviati dalle legittime autorità a un determinato ministero; oppure, se liberi,
si sarebbero orientati a qualche opera come insegnanti o cappellani.
La Congregazione per gli Oratori, di cui parlava nel 1852 mons. Fransoni,
forse alcuni anni dopo non era più una realtà operante. Coloro che si erano
prestati negli Oratori di S. Luigi e dell'Ange10 Custode e che forse erano
membri della Congregazione, come il teologo Rossi, il teologo Roberto Mu-
rialdo, il canonico Nasi, il teologo Chiatellino, chi prima chi poi, si erano
dedicati ad altre attività.
Don Bosco ormai doveva costruire con nuovi elementi, con nuovo me-
todo e su nuove basi, attento a non lasciarsi colpire dalle leggi contro le corpo-
razioni religiose. Egli peraltro allora sarebbe stato al sicuro tanto quanto i
Fratelli delle Scuole Cristiane, istituendo una società che avesse come scopo
l'educazione della gioventù e del popolo. Ma lo sarebbe stato anche più tardi?
Nel caso che avesse voluto unire a sé i nuovi collaboratori con vincoli
religiosi non sarebbe stato meglio legarseli con voti privati o con semplice
promessa? Quale tipo di voto doveva fare emettere? Voto di obbedienza, di
(311 LC. a. 3. fasc. 3 e 4. 10 e 25 a~rile1855. Torino. Libr. Sales. 18832.Nilinre è
pseudonimo di ~oilinde ~ l a n j .
(32) Gazzetta del popolo, 18 ottobre 1859. Cf. MB 6, p. 286-289.
T. il somo che DB colloca al 1844. ~ r i r n adi recarsi all'Os~edalettodi S. Filo-
mena: MO p. 132s.

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
castità e di povertà, ma in segreto e obbliganti in coscienza e senza effetti pub-
blici che compromettessero davanti alle autorità civili?
Ma come regolare la propria esistenza di fronte alle autorità ecclesiastiche?
come fare riconoscere l'esigenza di autonomia dal clero diocesano, di dipen-
denza come chierici e come preti dal direttore dell'opera degli Oratori, perché
questi potessero avere un personale fisso e garanzia di continuità?
Come regolare l'esistenza di fronte allo Stato? Gli Oratori allora erano
intestati a Don Bosco e ad altre persone a lui associate negli atti, soltanto agli
effetti legali. Se si fosse eretta una Congregazione religiosa riconosciuta dalle
autorità diocesane e dal papa, non si sarebbe corso il rischio di avere in un
domani incamerati gli edifici e sequestrati gli altri beni come appartenenti a
una corporazione ecclesiastica?
Questi e altri interrogativi poté porsi in quei tempi Don Bosco(").
Sta di fatto che continuò ad intestare al proprio nome nuovi edifici, nuovi atti
(3)Un qualche fondamento per supporlo sono alcuni fatti da collocare attorno al
1854.55. Anzitutto è da ricordare l'impegno neli'esercizio deiia carità, tramandataci da un
documento coevo di Don Rua: « L a sera del 26 Gennaio 1854 ci radunammo nella stanza
del Sigr don Bosco: Esso Don Bosco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero e Rua; e ci venne
proposto di fare coli'ajuto del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di esercizio
pratico della catità verso il prossimo, per venirne poi ad una promessa, e quindi se parrà
possibile e conveniente di farne un voto al Signore. Da tal sera fu posto ii nome di Sale.
siani a coloro che si proposero e proporranno tal esercizio n (AS 9132 Rua). Come ei vede,
non si parla dei tre voti di povertà castiti e obbedienza, ma del voto d'impegnarsi nella
. carità verso il prossimo. Forse fu solo questo il voto emesso dai primi Salesiani Rua
(1855), Aiasonatti (1855), Francesia (1856). .
Don Bonetti, che fu alunno a Valdocco dal 1855 e che nel 1859 aderì alla Società
Salesiana, riferendosi ai primordi scrive che DB iniziò col circondarsi di una dozzina di
ahierici e giovani, ciascuno dei quali «prometteva semplicemente di obbedire a Don Bosco
e di compiere quegli uffizi, che erano a lui compatibili ». «Alcuni dei soci dimoravano a
casa loro e si limitavano a prestare aiuto nell'Oratorio nei giorni di festa, o a fare scuola
serale, o a visitare lungo la settimana i giovanetti nelle officine, o a cercare un padrone
onesto a quelli, che si trovavano disoccupati o in luogo di pericolo. Altri invece abitavano
stabilmente nell'oratorio stesso, facendo vita comune con Don Bosco, sempre pronti ai
suoi comandi D. Cf. Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, pt. 2, cp. 11, in Bollettino
Salesiano 7 (1883), p. 97 S. A quanto pare perciò i fini e le attività dei Salesiani erano
analoghi a quelli della Societd di caritd a pro dei giovani poveri ed abbandonati istituita
da Don Cocchi e il cui Regolamento è del 1850 (descritto dal CASALISD, izionario,
21, Torino 1851, p. 710.712).
Che DB abbia potuto pensare a una società segreta è suggerito dalle MB 4, p. 172-
175, cheriportano un verbale deila Pia unione provvisoria sotto l'invocazione di S. Fran-
cesco di Sales, «istituzione laicale » e segreta a onde non possono certi malvagi appellarla,
nel loro gergo di moda, un ritrovato pretesco della bottega D (p. 172). Purtroppo daUe MB
non si ricava per quale ragione Don Lemoyne vi coinvolga DB e perche colloca l'adunanza
alla fine del 1850 (p. 175).
A Valdocco, comunque, già nel 1856 esisteva la Compagnia deli'Immacolata Conce-
zione, di cui persino alcuni Salesiani (come Don Francesia) ignoravano l'esistenza.
Interessa infine riportare una nota del più antico ms. delle Regole, 022 (l), p. 5:
« Gl'individui che piesentemente professano queste regole sono quindici cioè Sacerdoti
n. 5, Chierici 8, laici 2 ».
pubblici concernenti gli Oratori, Collegi, e altre proprietà. Privato e segreto
fu il primo raggruppamento di Salesiani nel 1854, libera l'adesione, libero
l'aderire con semplice promessa o con voto (ma quale o quali voti venivano
emessi?). La condizione poi dei seminaristi a Torino permetteva che singoli
o a gruppi abitassero altrove: ve ne erano presso l'opera del Cottolengo (i
Tommasini) e presso l'oratorio di S. Filippo Neri (35).
4. Sviluppi politico-religiosil'dal 1855 al 1875
I1 corso degli eventi diede abbastanza ragione alla linea di condotta adot-
tata da Don Bosco e agli interrogativi che eventualmente poté porsi.
Una nuova legge il 7 luglio 1866 sopprimeva in Italia (ormai regno unito)
indistintamente tutte le corporazioni religiose. Come nel 1855, la legge era
stata preparata da una forte tensione tra fautori e oppositori. Anche nel 1866
i clericali furono sconfitti pur avendo la prova concreta che nella nazione
rappresentavano la maggioranza. Contro 191.000 firme di italiani che non vo-
levano la legge, i favorevoli ne avevano presentate appena 16.000. Tali cifre
erano anche un documento della profonda separazione che si era creata tra
paese legale e paese reale. Nel 1857 Don Margotti aveva lanciato il motto: né
eletti, né elettori. Con l'animo esacerbato i Cattolici si ritiravano dalla vita
politica. I pochi che persistevano e che speravano, sentivano di dovere affron-
tare una lotta impari.
« N o i minimi nella Camera - ricordava Cesare Cantù, deputato nel
1866 - ma maggioranza nel paese, li difendemmo [ i religiosi] a tutta possa;
migliaia e migliaia di petizioni eransi mandate da tutte le parti del regno per
domandare venissero conservati o tutti, o quella più gran parte che attende
all'istruzione ed alle opere di carità. . . Non vi si badò, storditi dalle voci più
. alte di un centinaio di avversi che andavano di città in città tenendo adu-
nanze. . Sopravvenuta la guerra contro l'Austria, dati pieni poteri al Mini-
stero, sbigottiti i fedeli con tanti arresti e deportazioni, ridotti con arti turpi
al silenzio quelli che ancora avrebbero osato difenderli, la soppressione delle
corporazioni religiose senza discussione fu votata » (%).
A Torino Don Bosco poté essere testimone della sorte toccata ai Fratelli
delle Scuole Cristiane che insegnavano nelle scuole elementari municipali di
S. Pelagia (e di S. Primitivo, gih frequentate da Michele Rua), amministrate
dalla Regia Opera della Mendicità Istniita. Dal Presidente dell'opera i Fra-
telli furono informati che non potevano più vivere in comunità a S. Pelagia,
andassero ad abitare altrove, avrebbero però potuto continuare l'insegna-
(=) Cf, La famiglia dei Tomrnasini nellu luce del suo I" Centenario, Pinerolo 1949.
Furono istituiti nella Piccola Casa della Divina Provvidenza nel 1841. Da quella data al
1936 furono 1988, dei quali 735 furono ordinati sacerdoti (cf. 273-343: Elenco dei Tom-
masini). Cf. la lettera di DB al can. Vogliotti, Torino, 12 nov. 1859 (MB 6, p. 344; E,
n. 206).
(%) C. CANTU,Cronistoria della Indipendenza itnlianq 3, Torino 1876, p. 733 s citato
da MASSÈI,l ceso di coxcienz~~p,. 280s.

8.2 Page 72

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
mento se ciò fosse tornato gradito ali'opera della Mendicità, a patto che non
avessero vestito l'abito dei Fratelli o di qualsiasi altra congregazione soppressa.
Con nuovo contratto la Regia Opera della Mendicità Istruita affidava la scuola
a particolari individui », rappresentati dai signori Giovanni Battista Andorno
(Fratel Genuino) e professor Leonardo Antoniotti (Fratel Casimiro).
Solo nel 1875 i Fratelli, che nel frattempo avevano abitato altrove, pote-
rono ritornare a S. Pelagia, per la ragione che dopo il '70, nonostante l'acuirsi
dell'anticlericalismo e dell'intransigenza cattolica, le congregazioni religiose
avevano potuto riattestarsi in Italia, presentando i propri membri come liberi
cittadini. Lo Stato italiano accettava la situazione di fatto, pur non transi-
gendo sulla situazione di diritto, quale era stata posta sulla base delle leggi
soppressive (").
In quei decenni sotto certi aspetti si creò in Italia, in Francia, in Spagna
e altrove in paesi costruitisi su basi liberali e anticlericali, una situazione ana-
loga a quella che in epoche diverse aveva prodotto gli ordini mendicanti, i
Chierici regolari e le congregazioni religiose. Erano avvenuti rivolgimenti so-
ciali più o meno pacifici, rivolgimenti di mentalità, che esigevano forme nuove
di vita religiosa associata ( 9 .
I1 clima di bufera e di lotta dell'ottocento, che in astratto poteva sem-
brare il meno propizio, vide centinaia di istitutori e istitutrici di nuove con-
gregazioni che, lavorando talvolta isolati, talvolta studiandosi l'un l'altro, par-
tendo da esperienze spesso affini, portando i propri progetti ora a vescovi dio-
cesani ora a Roma, giunsero spesso a conclusioni affini, quanto all'impostazione
della vita religiosa, o dei propri rapporti con i vescovi, con i fedeli e con lo
Stato, contribuendo cosi a modificare il diritto ecclesiastico specifico dei reli-
giosi e a creare una nuova società religiosa (").
5. I1 Salesiani di fronte allo Stato
Coiioqui avuti con Urbano Rattazzi nel 1857 e con Pio I X nel 1858
furono chiarificatori e di peso storico per la fisionomia assunta dalla Congre-
gazione salesiana.
Avviato il discorso sulla continuità che conveniva assicurare all'opera
degli Oratori, il Rattazzi sconsigliò Don Bosco di istituire una congregazione
(37) Primo Centenmio dei Fratelli delle Scuole Cristiane in Torino, Torino 1929,
p. 72. E nel quadro storico generale dell'Istituto: G. RIGAULT, Histoire gdnérale de l'lnstitut
des FrPres des Ecoles chrdtiennes, 6, Paris 1947, p. 64-69.
(38) Un quadro storico, importante anche se non tiene conto di Don Bosm e dei
Salesiani è queilo d i R. LEMOINE, O . S. B., Le droit des religieux du concile de Trente aux
Instituts séculiers, Bruges 1956. Si vedano anche J. BEYER,S. J., Les Institgts séculiers,
Bruges 1956; E. JOMBART, Arsoci~tions pieuser in DSp. 1, CI. 1027-1037; ID. in Catholi-
cirme 1, cl. 942-947; J. M. PERRIN, O. P,, Institzi~séczdie~sin Catholicisrne 5, CI. 1777-
1797
(39) L'elenco degli istituti (più di 130) che si rivolsero a Roma dal 1821 al 1861 è
dato da P. BlzznRR1, Collectaneo in usum Secretariae S. Conpregationis Episcoporum et
Reguli~rium,Roma 18852, p. 808-814.
religiosa, nonostante allora non si fosse minacciato seriamente di sopprimere
quelle che avevano finalità educative. Suggeri invece la fondazione di «una
Società in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti alle leggi dello
Stato, paghi le imposte e via dicendo » ("). I n altri termini proponeva di
fondare una società che in faccia al Governo non fosse altro che un'associa-
zione di liberi cittadini, i quali si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di
beneficenza ». «Nessun Governo costituzionale e regolare - avrebbe sog-
giunto Rattazzi - impedirà l'impianto e lo sviluppo di una tale Società,
come non impedisce, anzi promuove le società di commercio, d'industria, di
cambio, di mutuo soccorso e simili. Qualsiasi associazione di liberi cittadini
è permessa, purché lo scopo e gli atti suoi non siano contrari alle leggi e alle
istituzioni dello Stato n (41).
Rattazzi non avrebbe fatto altro, che riesporre in privato le idee che
aveva già proposte nella Camera dei Deputati. Ma per Don Bosco ciò fu una
rivelazione, uno [(sprazzo di luce D, giunto da dove meno poteva attenderselo.
Dunque i Salesiani non sarebbero stati toccati, se avessero conservato i
diritti civili e perciò, se avessero protestato obbedienza ai governanti (etiam
dircolis), se non si fossero presentati come manimorte, se avessero pagato,
come di dovere, le tasse.
Forse fu solo questa idea che Don Bosco portò a Roma (giacché è prohle-
matico asserire in base ai documenti coevi che abbia anche recato un regola-
mento organico); forse al Papa prospettò la possibilità di assicurare la conti-
nuazione dell'opera degli Oratori mediante l'istituzione di una pia unione in
qualche corpo morale, i cui membri si sarebbero legati con promessa, o, se
avessero voluto, con voti privati ('7, con vincoli cioè che li avrebbero contrad-
distinti dai membri delle congregazioni religiose vere e proprie, per le quali
(a)Riportiamo daiia fonte a cui attingono Don Lemoyne per le MB e altri biografi:
BONETTI, Storia dell'Oratorio, in Bollettino salesiano 7 (1883) p. 97.
(45) BONETTI,1. C.
.(Q.) La 03antica redazione che si possiede, di mano di Don Rua, come diremo
più avanti, non può essere anteriore al novembre 1857, tempo in cui Don Angelo Savio,
all'inizio dell'anno scolastico, dovette recarsi ad Alessandria, da dove fu in corrispondenza
con Don Alasonatti, maestro della Societii Salesiana (AS 272 Alasonatti). Ma per sC po-
trebbe essere posteriore al viaggio di Don Bosco a Roma, che è del mano 1858.
Sul soggiorno romano di Don Bosco e di Don Rua il documento più importante
è un diario scritto in gran parte da Don Rua, ma in nome di Don Bosco e completato,
per certe parti, da questi. Dai diario attinsero Don Bonetti per la Storia dell'Oratorio
e Don Lemoyne per le MB.
I1 documento di Don Bosco e di Rua si arresta al 29 mano, 38" giorno della loro
permanenza a Roma. Orbene, stupisce che vi si trovi descritta minutamente i'udienza
avuta il 9 marm, martedì dopo la tema domenica di Quaresima, e nulla si dica di un'udien-
za privata avuta - secondo Don Lemoyne - la domenica 21 mano; giornata, il cui
itinerario è così succintamente descritto da Don Rua: «Giorno 32. 21 Mano Domenica.
S. Maiia in Via - Festa deli'Addolorata - I1 foro e la colonna Trajana - I l sepolcro
di Pubblio Bihulo - Via Argentaria - Campo Vaccino - Arco di Settimio - Foro -
S. Casrna e Darniano ». Segue quello del lunedì; «Giorno 33" 22 Marzo Lunedì. Visita al

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
i tempi si presentavano difficili e tristi. Era in germe i'idea degli Istituti
secolari, che sarebbero stati approvati come associazioni religiose aventi voti
privati, ma con effetti pubblici.
Secondo quanto riferisce Don Bosco, Pio IX non avrebbe respinto l'idea
di una corporazione, i cui membri conservassero i diritti civili. Erano allora
tempi in cui egli personalmente e le Congregazioni romane incoraggiavano
nuove organizzazioni religiose rispondenti alle esigenze nuove("); ma
avrebbe voluto qualcosa di più che una semplice promessa: bisognava che i
soci fossero uniti con voti pubblici, riconosciuti come tali dalla Chiesa, « da un
vincolo di coscienza legati col superiore, e il superiore tenga sé e i suoi sudditi
legati col Capo della Chiesa, e per conseguenza con Dio medesimo » (").
Non è facile Stabilire in quale misura Don Bosco abbia modificato i'idea
di Rattazzi e acceduto a quella di Pio IX. Dalle più antiche redazioni delle
Regole della Società Salesiana si ricava ch'egli non poneva i'obbligo di voti
perpetui, anche se certamente contava soprattutto sui professi perpetui per
la continuità dell'opera. Anzi, inizialmente aveva stabilito che i voti erano
validi e legavano in coscienza, finché si fosse rimasti in congregazione, e pote-
vano essere disciolti per volontario abbandono o perche legittimamente dimessi
da parte del superiore, o, infine, per dispensa dell'ordinario del luogo (").
Abbandonata questa formula, ne adottò un'altra, ma cercando sempre di
salvaguardare una certa fluidità e lahilità dei voti: i soci si sarebbero impegnati
.. Cardinal Vicario - S. Paolo fuor delle mura. - S. Paolo alle tre fontane - S. Zenone
tribuno dei soldati .n.
Sarebbe davvero strano che Don Rua ponga in rilievo la visita al card. Vicario e
trascuri completamente queiia concessa dal Papa; è strana inoltre queii'udienza privata
concessa di domenica in un'ora imprecisata. Si ha il sospetto che Don Lemoyne, dopo
avere supposto che Don Bosco abbia consegnato il manoscritto delle Regole al Papa, abbia
di necessiti dovuto stabilire un'udienza nella quale Pio IX restituì il documento, dopo
averlo personalmente esaminato e postillato. G inoltre strano, cbe di questo documento a
Valdocco non si sia più avuta cura e lo si sia smarrito. Se si bada bene al modo come
DB si es~rimenei suoi memoriali e nelle sue lettere. mai si trova esoresso che Pio IX
abbia di proprio pugno corretto le prime Regole (si veda ad es. la supplica al Papa, 12
febbraio 1864, MB 7, p. 621).
Infine, non sarebbe l'unico caso che abbiamo di sforzo ricostrnttivo basato su un
supposto dibbio o errato. Nel primo volume delle ME, Don Lemoyne afferma che, dovun-
que andava, Giovannino «portava sempre seco un fascio di libri che trattavano di reli-
gione e la grammatica datagli da Don Calosso » (MI3 I, 200): e ciò, nella supposizione che
i due si siano incontrati la prima volta nel 1826. Nell'ottavo afferma che benedisse il Col-
legio costruito a Mornese, quando è certo &e'gli solo assistette al rito, celebrato da Don
. . Pestarino: cf. MB 8, p. 1014 e F. M~ccono,L'apostolo di Mornese sac. Domenica Pesta-
rivo. , Torino 1929, p. 116 S. Don Lemoyne avri supposto che Don Pestarin0 avesse
. . . ceduto a DB l'onore di benedire, e forse non arrivò a dubitare che Don Bosco poté ancbe
avere motivi per sottrarsi all'invito
(43) LEMOINEL, e droif des religieux, p. 431.
(4) Regole e Costituzioni della Societd di S. Francesco di Sales . . . Introduzione,
I soti, Torino 1875, p. 17. DB rievoca il colloquio avuto « l a prima volta» con Pio IX.
(45) AS 022 (l), p. 8, Forma della congregazione 9": « I voti obbligano l'individuo
fin&& egli dimorerà in congregazione. Quelli che per ragionevole motivo o dietro prudente
con voti temporanei triennali e, se volevano, con voti perpetui, dispensabili
in ogni caso dal Superiore o dall'ordinario del luogo (*).
Aggiunse tra il 1860 e il '64 la possibilità di essere affiliati anche come
esterni, rimanendo salesiani « nel secolo », con semplice promessa d'impegnarsi
nelle opere salesiane in proporzione alle proprie possibilità (").
giudizio dei superiori partono dalla congregazione possono essere sciolti dai loro voti o dal
Vescovo odinario d d a Casa Maestra owero dal Superiore generale.
«Per ragionevole - generale » corretto da «partono spontaneamente o dietro a pru-
dente giudizio dei superiori sono licenziati dalia congregazione, col fatto medesimo s'inten-
dono sciolu da' loro voti, ad eccezione che abbiano emessi i voti perpetui D.
La formula deriva parzialmente d d e Constitutiones Congregationis Sacerdotum saecu-
larium Schblurum Charitatis, cp. 1, De Instituto et forma congregationis, 4, Venetus
1837, p. 17: «Haec autem vota, paupertatis nimirum, obedieotiae, et castitatis eousque
obligare censentur, quousque alumni sive Clerici sive Laici in Congregatione permanserint.
Qui enim aut sponte discedunt, aut pmdenti Superiotum judicio a Congregatione dimittun-
tur, eo ipso et sine nulla dispensatione praedictis votis exsolvuntur ».
Non è facile stabiure quando e come DB poté conoscere le Scholae Charitatis dei
fratelli Cavanis, le cui esperienze educative, nonostante le Merenze di grado sociale
. (famiglia comitale, i Cavanis; contadino, DB), presentano sorprendenti &ti: catechismi,
compagnia S. Luigi, oratori, collegi, congregazione di educatori.. I Cavanis ebbero tra
i membri più ragguardevoli dell'istituto il piemontese Vittorio FrigioUni, la cui biografia
fu pubblicata tra le LC di DB nel 1872. Erano inoltre in buone relazioni con un altro
apostolo della gioventù, Ludovico Pavoni, le cui opere a Brescia erano ben note a DB.
(46) G la formula corretta del ms. 022 (1) riportata d a nota prec., da confrontare
con ciò che è detto sulla Accettazione (Q.151, art. 4: « I voti saramo per due volte rin-
novati di tre in tre anni. Dopo i sei anni ognuno è libero di continuarli di tre in tre
anni, oppure farli perpetui, cioè di obbligarsi d'adempimento dei voti p r tutta la vita K.
(47) L'aggiunta è fatta sull'esemplare AS 022 (4), che porta la richiesta di revisione
e approvazione all'arcivescovo Fransoni (MB 6, 631 s). I1 documento è senza data. Non si
hanno nemmeno argomenti certi per asserire che si tratta dell'esemplare del <<RegolamentoD
inviato a Lione. In base alla Cronaca di Don R&o sembra tuttavia da coiiocare nel
1860, prima dell'll giugno. L'aggiunta degli «esterni » sembra posteriore a questa data.
La lettera di risposta di mons. Fransoni, del 7 luglio 1860 (MB 6, p. 632s) è aWAS
126.2 Fransoni.
I1 termine ad quem non pub essere oltre i primi mesi del 1864, giacché degli esterni
si parla nelle Osservazioni fatte d e Regole presentate a Roma.
La figura del «religioso nel secolo », che rispondeva a tempi in cui si sopprimevano
le classiche forme di Ordini e Congregazioni religiose, si attestava in Francia e in Itdla
in istituzioni vicine d o spirito di DB (come la Oeuvre de la Jeunesse di Marsiglia) o
d a sua esperienza. DB dovette ispirarsi &ettamente agii Oblati di M. V. (alle cui Regole
attinse), dei quali, insigne oblato «esterno » fu il tervo di Dio sacerdote Giambattista
Rubino, della nilorra, fondatore della Compagnia S. Luigi per giovani aiia fine del sec.
XVIII e deile Suore Luigine. I1 Rubino fu accettato oralmente come oblato esterno nel
1831 e ufficiahente il 15 gennaio 1837. Morì 1'11 febbraio 1853. Cf. G. R. CURETTA,
O.M.V., D. Giovanni Battista Rubino perla del Clero albese. Fondatore delle Suore
Oblate di San Luigi Gonzaga, Alba 1961.
Da non dimenticare anche le suggestioni che potevano venire dalle Orsoline, che al-
lora si rforganizzavano. Cf. P. GUERRINI,La rinascita e la diffusione della Compagnia ner
tempi moderni in S. Angela Meriti e la Compagnia di S. Orsola nel IV Centenario della
fondazione, Brescia 1936, p. 391 s; M,-V. Bosciia~,Les origines de PUnion Romaine des
Ursulines jusqu'd sa Jondation 1900, Rame 1951, p. 172.

8.4 Page 74

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Quella di Don Bosco non era perciò propriamente una congregazione
(di fatto egli abbandonò tale qualifica per adottare quella di Società). La
Società Salesiana era un ente morale che partecipava della natura di classica
congregazione religiosa e quella di semplice pia unione, analoga a quella delle
Figlie di Maria e di vari Oblati, affine a semplici associazioni come quella di
sacerdoti torinesi che, contemporaneamente a Don Bosco avevano fondato
il 25 luglio 1863 nel vicino Collegio degli Artigianelli la Società di sacerdoti
torinesi per l'educazione della gioventù e si erano rivolti al Vicario capitolare
di Torino per esserne approvati e incoraggiati(").
Don Bosco era stato in trattative con l'arcivescovo esule a Lione e dece-
duto nel 1862. Nel settembre 1863 anch'egli si rivolse al Vicario capitolare
di Torino, non per iverne l'approvazione, ma per riceverne una commenda-
tizia da presentare a Roma, da cui ottenere un esame delle costituzioni
e tosto o tardi l'approvazione definitiva.
«Mio scopo è - scriveva al vicario capitolare Zappata - di stabilire
una Società che mentre in faccia alle autorità governative conserva tutti i
diritti civili ne' suoi individui, in faccia alla Chiesa costituisca un vero corpo
morale » (").
Termini, se ben si bada, assai calibrati. Don Bosco infatti non dice che
vuol fare riconoscere la Società dalle autorità civili e religiose, nemmeno che
vuol presentarla alla Chiesa come congregazione, bensi come corpo morale,
giacché strettamente parlando la sua non era soltanto una congregazione. Eppure
molto nella sua struttura sapeva di Congregazione dai voti semplici.
Con fondamento perciò il P. Durando, prete della Missione, sosteneva che
« l a Congregazione di S. Francesco di Sales può e potrà essere approvata dalla
Chiesa, ma stante le leggi attuali del Governo e lo spirito del mondo avverso a
tutto ciò, che ha apparenza di corporazione religiosa, non avrà mai sanzione
civile che le dia esistenza » ("). Difatti quando nel 1869 la Societd Salesiana
(a)Cf. Regolamento fondamentale della Società di sacerdoti torinesi per l'educazione
della Gioventù approvato nell'adunana del 24 agosto 1863, Torino, G. Speirani 1863, p. 7;
Regolamento fondamentale del Collegio-Convitto Val-Salici presso Torino diretto dalla So-
cietd d i Sacerdoti torinesi per Z'educazione della Gioventù discusso ed approvato nell'adu-
n a n a delli 19 ottobre 1863, Torino, G . Speirani 1863. Alcuni di questi sacerdoti erano
della cerchia di Don Cocchi, impegnati in qualche modo già nel 1850 nella Societd d i Ca-
ritd a pro dei giovani poveri ed abbandonati. Cf. CASALIS,Dizionario, 21, p. 713; A.
MARENGO, C. S. J., Contributi per uno studio SZI Leonardo Murialdo educatore, Roma
1964, p. 3-48.
(49) AS 131.01 Zappata; ME 7, p. 563.
(50) Osservazioni alle Regole della Società di S. Franc. di Sdes, S. d., collocate da
Don Lemoyne nel 1860 (MB 6, p. 723-725), mn che sono certamente posteriori al 1864,
giacché si riieriscono a un esemplare che ha le suddivisioni del testo presentato a Roma
e su cui per giunta, DB ha inserito modificazioni in base alle osservazioni fatte dal P. An-
gelo Savini consuitore della S. C. dei Vescovi e Regolari (il Rettor Maggiore, ad esempio
non è più a vita perche contro cib aveva obiettato B carmelitano; ma ad dodicennium e su
ciò trova da ridire il P. Durando).
Del P. Marc'Antonio Durando è introdotta la Causa di heatificazione; importante è
la Positio del processo. Il Durando è una delle figure chiavi della vita religiosa e di po-
venne definitivamente approvata dalla S. Sede, Don Bosco non ottenne il regio
exequatur ('l).
Ma probabilmente il P. Durando non si rese conto che Don Bosco non
aveva affatto bisogno dell'approvazione civile al suo istituto come ente eccle-
siastico e forse nemmeno la desiderava. Quando venne obbligato, nel '69 a
consegnare il decreto pontificio di approvazione, egli ebbe buon gioco; anzi-
tutto perché i membri della Società Salesiana avendo mantenuto i diritti civili
si presentavano come liberi cittadini; in secondo luogo perché, come i Fratelli
delle Scuole Cristiane, avrebbero potuto ritirarsi in qualsiasi angolo della città
e del Piemonte per recarsi poi negli e d i c i degli Oratori o dei Collegi, intestati
al sacerdote Giovanni Bosco, a svolgervi la loro libera attiviti associata.
« I suoi membu - poteva scrivere Don Bosco - se vogliono, possono
stare alle case loro e prestare l'opera loro per togliere dalle strade e dalle piazze
i poveri ragazzi, a fine di avviarli alla moralità, a qualche arte o mestiere » (").
Se la situazione lo avesse richiesto, Don Bosco, non scostandosi dagli
orientamenti romani del tempo, avrebbe potuto ricorrere anche alla formula
piena di « salesiani nel secolo », legati col vincolo dei tre classici voti, dalla
finalità comune, ma non dalla vita comune, così come lo erano i membri della
« Oeuvre de la Jeunesse », approvata nel 1871 da Pio I X il quale, nonostante
l'opposizione del vescovo di Marsiglia, al termine Pia Unione volle sostituire
nel decreto di erezione canonica quello di «Congregazione » ("); e persino
senza alcun abito distintivo, come le Figlie del Cuore di Maria, presentate nel
1878 dall'arcivescovo di Parigi come « i n saeculi habitu degentes, se vere
religiosas exhibentes secundum formam vitae a S. Sede approbatam in his
d&ci&mis temporibus » (").
L'espressione adottata da Don Bosco: « ognuno nell'entrare in congrega-
zione (nella Società) non perderà il diritto civile » venne inserita in un arti-
colo desunto alla lettera dalle regole delle Scholae Charitatir istituite a Venezia
dai fratelli Cavanis e approvate da Gregorio XVI nel 1836 ("); ma nel con-
litica ecclesiastica subalpina. Utile, per quanto scialba, la vecchia biografia di F. MARTI-
lNiaEnNo GeOIsl,uaP.azMioanrecapnatosntoiorelDe.u.ra.nidno,RT. oAriWnoB, ELRibTIr,l.
Salesiana 1888; G. MARTINAC, lero ita-
pontificato di Pio I X , § 413, p. 780 S.
(51) Mi3 9, p. 656-663. Vari documenti relativi alla questione sono riuniti in AS 023.
(52) Al procuratore del Re, giugno 1869, ME 9, p. 658 S.
1\\ 53,) T.P.MOINE. Le droit des reli"~ieu.x.o-. 431.
(54) LEMOINE,O. C,, p. 431.
(55) AS 022 (l), p, 7: «Forma di questa societa [società emendato da congregazione] 2:
Ognuno nell'entrare in congregazione non perderà ii diritto civiie anche dopo fatto i voti,
percib conserva la proprietà delle cose sue, la facolta di succedere e di ricevere eredità, le-
gati e donazioni. Ma per tutto il tempo che vivrà in congregazione non potrà amministrare
i suoi beni se non nel modo e nei limiti voluti dal Superiore maggiore » (ci. ME 5, p. 934).
Const. Schol. Char., De Instituto et forma congregationis, 2: ~Praetereaquisqnis
ecciesiasticus ve1 Iaicus ex nostra Congregatione, etiam post nuncupationem votorum, non
amittit proprietatem rerum suarum, neque facultatem succedendi atqiie acceptandi haere-
ditates, legata et donationes. Fructus vero eotumdem honoriim, ve1 favore Congregauonis,
ve1 suorum parentum, ve1 alterius nijuscumque personae cedere tenetur, durante ejus
permanentia in Congregatione ».

8.5 Page 75

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
testo dei tempi e del pensiero di Don Bosco le espressioni stesse dei Cavanis
assumono un valore nuovo, rivolte non solo a tutelare l'avvenire degli individui
nel caso che si fossero ritirati dalla Società, ma soprattutto a dare in termini
d i legge civile la base esistenziale alla Società stessa, in quanto i membri, in
forza dei loro dititti legali, avevano anche il potere d i associarsi legalmente
i n opere filantropiche.
Analoghe ragioni fanno differire nella loro sostanza le formule di Don
Bosco da quelle dell'lnstitutum Caritatis, fondato dal Rosmini, approvato nel
1838 e tenuto presente d a Don Bosco stesso nella compilazione delle Regole
salesiane. Secondo la regola del Rosmini gli individui conservano il dominio
legale dei propri beni (non parla di diritti, ma di dominio), possono però
usarne per opere di carità soltanto in virtù dell'ubbidienza loro assegnata dal
Superiore(%). I1 Rosmini ha scopi ascetici, ma tende anche a garantire il
diritto d i dominio e il potere d i acquisto ai Soci e d ' I s t i t u t o . Non rispecchia
ancora la situazione d'urto tra Chiesa e Stato e non suppone una legislazione
soppressiva a cui tener fronte.
Le espressioni adottate da Don Bosco: « conservare i diritti civili, osser-
vare le leggi civili quanto alla successione ereditaria o a eventuali liti giudi-
ziarie » potevano sembrare, prese in astratto, le più naturali e più ovvie. Ma
non parve cosi a Roma, dove cocenti e vive erano le ferite che continuamente
causavano legislazioni anticlericali in Italia e altrove. Sancire nelle Costituzioni
di Don Bosco i'ohbedienza alle leggi civili poteva essere interpretato come
un'implicita approvazione d i leggi inique ("). Ogni riferimento alle leggi civili
venne perciò discusso e finalmente cassato nel 1874. Non venne nemmeno ri-
(%) Regula Instituti Cmitatis, XXIV (in Acta Gregorii papae XVI.. . v. 2, p. 1,
Romae 1901, p. 365): «Qui autem per simplex paupertatis votum ita abdicant a se remm
temporalium dominium, ut non ex voluntate propria (qua grorsus omnia reiiquemnt), sed
umeaxlsiuuqnsuod.obi.reu.drmieeetxnibntoieiapnasonitrtuausnmotuppmlrteiamge, apelaoedspidtaiotumepomeibnpretiudaustimee, mn,tnniaobenivedacianstontgrieimpblieuconaamintsutesdn.parboFexfoeitrtiemesrnnuutoluseur.d.aeon.tmaldoienitgsihopeuensshqsuuaabntesidntoauonnmetii..am.Rreietndinbeeupnaiitunonss-t
risti, Regole,
proprietà de'
2, §
suoi
,b1e,nai.r.t..
8: « Poicb6
D; gli Oblati
il
di
soggetto della
M. V,, Regole
congregazione ritiene
p. 2, § 1: « Poiche
sempre la
la Congre-
gazione degli Oblati di Maria Vergine non & iu sostanza che una pia unione di Ecclesiastici
secolari che vivono sotto regole adattate al loro Istituto e spirito che professano, cosi essi
ritengono sempre la proprietà de' loro beni e tutte le capacità. che secondo le leggi dello
Stato hanno e godono gli Ecclesiastici secolari o. Ma quest'articolo nel 1835 venne sosti-
tuito con
prietà de'
suunoiabltreonit.e.s.to(:seg«uPeocicohmée
il Soggetto della
nelle Regole dei
Congregazione
Redentoristi) ».
ritiene sempre la pro-
Cf. inoltre A. Rosmini
al card. Mauro Cappeilari, Milano, 25 marzo 1827: « I1 dominio radicale però vorrebbe
essere conservato tale, che in faccia alla legge civile il membro della Congregazione
apparisse proprietario come qualunque altro cittadino » (Epistolario completo, 11, Casale
Monferiato 1887, p. 219).
Le Constitutiones et regulae congr. Missionariorum oblatorum SS. Imm~culataeVir-
ginis Maria@..., p. 2, C. 1, 5 1, art. 14, Massiliae 1853: « Quisque nostrum bonorum
suotum jus retinebit D.
(") Mese di Marzo.
Anno
1871. .. Torinese
sopra
i'approuazione
delle
Cost.
della
Soc. Sal., Num. I. Riassunto delle precedenti osseruazioni trasmesse al Sac. D. Giouanni
tenuta una formula come quella rosminiana di « dominio legale » quanto ai
beni patrimoniali. Dietro suggerimento della stessa Congregazione dei Vescovi
e Regolari Don Bosco adottò quella già approvata per i Maristi, che passò alla
lettera nelle Costituzioni salesiane: «professi in hoc Instituto (Don Bosco:
in hac Societate) dominium radicale, ut aiunt, suorum bonorum retinere pote-
m n t » (").
La novità di Don Bosco svaniva nella sua formulazione materiale, e
tuttavia rimaneva nel suo valore di formula atta a fondare l'esistenza legale
di corporazioni religiose in legislazioni che riconoscevano e rispettavano i
diritti in individui che non abdicavano il dominio radicale di beni patri-
moniali (59).
Interpretando in chiave religiosa i fatti, Don Bosco non a torto poteva
affermare in una conferenza ai Salesiani: « I1 Signore si è servito di noi per
proporre un nuovo modello riguardo al voto di povertà, secondo i bisogni
de' tempi. Tutto a gloria di Dio, perché è Lui che ha fatto tutto »(M).
Bosco sopra le Costituzioni esibite nell'anno 1874, p. 3: « 3. Si sopprimano le ripetute men-
zioni dei diritti civili dei Laici, e della sottomissione alle leggi civili.. .n. Cf. MB 10,
p. 747.
(") AS 022 (18) Constitutiones Soc. S. Franc. Salesii, C. IV De Voto Paupntatis
(redaz. lat. ms di Don Berto, copia autent. con sigillo della S. C. Vesc. Reg.), p. 5 s: 1.
Votum paupertatis apud nos respicit cujuscumque rei administrationem, non possessionem;
ideoque Professi
potemnt; sed his
inomhnaicnosoinciteetradtiectadoemstineiuomtumradaidcmalein, isuttrataijou.n.t.,
suom
bonomm
retinere
2.
Majoris,
Ppoetreraucntut svienrtoerdveivdoosmliinbieoresidviesppoenrertee.s.ta.mentum,
sive
de
licentia
tamen
Rectoris
3. Professis autem vetitum non sit ea proprietatis acta peragere de llcentia Rectoris
Majoris, quae a legibus praescribuntur.
bere a4u. tO-rueisdeur-uvaidrePproofteemssintsu.a. .industria ve1 intuitu Societatis acquisiemnt, non sibi adscri-
Constitutiones Presbytnorum Soc. Mariae.. . confirmatae die 28 februarii 1873,
Fines et uuasi fundamenta Societatis. art. 3, De voto paupertatis, Lugduni 1874, p. 56s:
. 131. Professi in boc Instituto dominium radicale, ut aiunt, suotum bonomm retinere
poterunt; sed his omnino interdina est comm administratio.. 133. Potemnt vero de d a
minio, sive
vivos libere
dwisrpotensetarem. e.n.tum.
sive,
de
licentia
tamen
Supedoris
Generalis,
per
acNs
inter
134. Professis autem vetitum non sit ea proprietatis acta peragere, de licentia Su-
periori~,quae a legibus praescribuntur.
135.
adscribere
QauutidrqeusiedmaPrerofpeosstei rusnuta. .i.ndustria
ve1
intuitu
Societatis
acquisierint,
non
sibi
« e (3)DB riuscì nondimeno a mantenere i «diritti civili » accanto alle Costituzioni,
inserendoli nella Introduzione nel paragrafo della Povertà, ed 1875, p. XXIII: .vero
che le nostre costituzioni permettono il possesso e l'uso di tutti i diritti civili; ma
entrando in congregazione non si può più né amministrare, n6 disporre . . . n.
Non è questa una prova della sua tenacia e delle innumerevoli risorse di cui era
capace la sua duttilith pratica?
(m) MB 9, p. 502. Può anche darsi, iid ogni modo, che effettivamente Domenicani,
Carmelitani o altri, con i quali DB fu in relazione, specialmente a motivo delle Costituzioni,
avessero appreso per la prima volta da DB l'esistenza di nuovi tipi di poverti religiosa.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
6. I Salesimi di fronte alla Chiesa
La chiusura del Seminario metropolitano aveva legittimato la presenza di
chierici della diocesi di Torino a Valdocco. Questo fatto anzi aureolava di
gloria e attirava simpatie all'oratorio, facendolo apparire la cittadella provvi-
denziale, che in circostanze difficili aveva dato rifugio alle giovani speranze del
clero torinese (61). Ma nel 1859 Don Bosco giunse a sentirsi sicuro sulle possi-
biità di vita pubblica di una congregazione, cosi il 18 dicembre con alcuni
suoi chierici e con Don Alasonatti, sacerdote, istitui ufficialmente la Società di
S. Francesco di Sales (").
Improwisamente. la situazione dei chierici diocesani a Valdocco non
apparve più privilegiata. Valdocco fu visto come un ambiente caotico, una
casa in cui i giovani aspiranti al Santuario non avevano né quiete, né spirito
ecclesiastico, né possibilità di applicarsi alle scienze sacre e alla preghiera,
« amalgamati ad un gran numero di giovani poveri, senza educazione » (").
Quel clima di serena familiarità che costituiva la gioia di Don Bosco, apparve
un elemento negativo, per nulla adatto a formare un buon clero. « M i accadde
più volte - scriveva a Roma nel 1868 mons. Gaetano Tortone, incaricato
- d'affari della S. Sede di visitare quell'istitnto nelle ore di ricreazione e le
confesso che provai sempre un'impressione ben penosa al vedere quei chierici
frammisti agli altri giovani che imparavano la professione di sarto, falegname,
calzolaio, etc. correre, giuocare, saltare ed anche regalarsi qualche scappellotto,
con poco decoro per parte degli uni, con poco o niun rispetto per parte degli
altri. I1 buon Don Bosco, pago che i chierici stiano con raccoglimento in
chiesa, poco si cura di formare il loro cuore al vero spirito ecclesiastico e di
infondere per tempo in essi quei sentimenti di dignità dello Stato che vogliono
abbracciare » (M).
Si rimproverava a Don Bosco che ormai, fondando la Società Salesiana,
si era messo su una via difficiie per non dire sbagliata. Aveva chiesto e otte-
nuto di poter tenere presso di sé i chierici, ma le cose avevano camminato
per qualche anno «con le stampelle », in una situazione che non era per nulla
migliorata e che non dava garanzie. Don Bosco affermava che gli ecclesiastici
della Società erano delia diocesi, che potevano andarsene dall'Oratorio quando
(6') DA una buona idea dei cambiamento (di cui noi rileviamo specialmente l'inci-
denza psicologica) Don 12emoyne, MB 6, 338-349. .E interessante leggere i n . questa luce
tutto il carteggio tra DB, i canonici Vogliotti, Zappata, Fissore, gli arcivescovi Riccardi
e Gasraldi, riprodotto quasi tutto suiie MB e conservato all'AS 131.01 e 126.
(62)MB 6, P. 335 S. L'originale è ali'AS 055, scrittura di Don Giulio Barberis.
(62) Osservazioni del P. Durando, MB 6, 724.
(M) Relazione aiia S. Congi. Vesc. Reg., Torino, 6 agosto 1868 (AS 023, copia di
Don G. Berto); MB 9, p. 367 S. Mons. Tortone rispecchia le medesime idee e gli stessi
sentimenti dei P. Durando. Non dissimili sono le Osservazioni inviate a Roma dali'arci-
vescovo Rlccardi con la data di Torino, 1" marzo 1868 (MB 9, p. 97-100).
volevano, ma in realtà tendeva a « formarsi quasi un seminario di chierici D,
a costituirsi « un Clero separato da quello delle Diocesi » (6').
E le cose camminavano con le stampelle forse anche perché le autorità
diocesane tolleravano che altri seminaristi frequentassero le lezioni dei profes-
sori del Seminario da esterni, perciò non potevano insistere molto: se pre-
mevano su Don Bosco, avrebbero dovuto fare altrettando con quelli del Cot-
tolengo, chierici e ospitanti, e con altri (&).
Improwisamente le quotazioni scolastiche dei chierici deli'oratorio ap-
parvero più basse di quello cb'erano in realtà. Pareva inconcepibile che i chie-
rici potessero approfondire le materie ecclesiastiche facendo da prefetti, da
assistenti, da maestri di scuola, occupati in mille incombenze dellJIstituto, in
mille cose distraenti e dissipanti ("'1.
Non ,meno delicato appariva il punto delìe relazioni tra le autorità interne
deiia Società Salesiana e quelle diocesane.
«Uno dei fini della Congregazione - scriveva il P. Durando - si è
l'istruzione del clero giovane, e formarlo alla virtìi e alla scienza;. ma non si
spiega abbastanza la dipendenza dall'ordinario e la giurisdizione che vi deve
esercitare; siccome non si parla di rapporti che necessariamente devono aver
luogo' fra il Rettore e l'ordinario, sia per accettare i giovani o per rimandarli,
sia per la necessaria relazione che si dovrebbe fare sul profitto, sulla con-
dotta ecc. »
Altrove vescovi benevoli, già dal 1864, saputo del decuetum laudis alla
Congregazione, chiedevano se dovevano ordinare i chierici titulo mensae com-
munis, ovvero in ragione di un patrimonio ecclesiastico personale ("1.
Ma Don Bosco sembrava spingersi oltre ogni misura. Chiedeva la facoltà di
poter fare ordinare chierici in forza di proprie dimissoriali. Poteva avvenire
aiiora che chierici, già di Don Bosco, tornati in diocesi, divenivano la croce
del proprio vescovo. Poteri vescovili concessi a Don Bosco si dimostravano
forieri di abusi ben gravi tra il clero ("). A Torino ci si irritava a ogni piccolo
o grande attrito, soprattutto se avveniva che qualche chierico dal Seminario
passava all'Oratorio, o quando i chierici di Valdocco non arrivavano puntuali
alle lezioni, se le saltavano e, ciononostante, osavano presentarsi agli esami,
se gli esami talora non erano brillanti.
,.
Non piaceva la natura labile dei voti. I Salesiani, notava il P. Durando,
« non avendo che voti triennali, e farli perpetui essendo in libertà di ciascuno,
non possono essere ordinati se non hanno patrimonio ecclesiastico, accordandosi
l'ordinazione titulo paupevtatis o titulo mensae communis a quelle congregazioni
che hanno voti perpetui. Con questo metodo avrà molti giovani, che enFe-
(65) Mons. Tortone, I. C.
(M) Cf. sopra, nota 35.
(67) I1 P. Durando, MB 6, p. 724; mons. Tortone, MB 9, p. 367.
(6s) MB 6, p. 724.
(69) MB 8, p. 570.
(m)Mons. Tortone, MB 9, p. 369.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
ranno nella congregazione unicamente per farvi gli studi e ricevervi l'ordina-
zione e tutto ciò gratuitamente, e poi uscirne ed essere d'imbarazzo ai Vescovi
e fors'anche di poca edificazione al popolo »('I). Analoghe osservazioni faceva
mons. Tortone (n).
I1 P. Durando inoltre, partendo dal presupposto che queila di Don Bosco
era una Congregazione di voti semplici, lamentava che non esisteva nessun
embrione di Noviziato, non un accenno ad esso sulle regole e profetava, non
senza fondamento, che se la congregazione «non ha il suo noviziato e studio
separato dal rimanente e non ha norme e regole speciali per essere formati
nello spirito dell'Istituto, non si può sperare né una durevole esistenza, né
un esito felice » (").
Don Bosco da parte sua reagiva d e voci tendenziose sul proprio conto
e snli'Oratorio("). Presto comprese che i legami troppo stretti, incerti o
aggrovigliati con le diocesi, i termini poco chiari con i quali aveva formulato
la competenza sua e degli Ordinari del luogo sulla Congregazione e sui suoi
membri, venivano a porlo in una situapone penosa. Si rese conto che, per il
successo e l'espansione della sua società, doveva garantirsi a~rtonomiadi go-
verno dalle diocesi, «perché - scriveva già nel 1864 - questa società,
avendo unione di case di diocesi diverse, non potrebbe disporre de' suoi
membri secondo i varii bisogni, giacché potrebbero essere dall'Ordinario libe-
ramente inviati altrove a piacimento » (").
Un colpo grave l'ebbe nel 1866. Dieci chierici erano stati obbligati ad
andare nel Seminario metropolitano di Torino: « n e unus quidem transacto
anno ad societatem rediit » (76). Altri chierici soci della società (ma con voti
o senza?), non avendo potuto frequentare regolarmente il Seminario, non
erano stati ammessi agli esami, per cui erano nell'alternativa di abbandonare la
Società (o di disamorarsene stando in Seminario?) ovvero di rimanere sale-
siani, senza poter ricevere gli Ordini sacri e senza licenza del proprio ve-
scovo (77).
Nel suo piccolo Don Bosco assaporò le difficoltà che nei secoli precedenti
(71) P. Durando, MB 6, p. 724.
(n)Mons. Tortone, MB 9, P. 369.
(n)MB 6, p. 724 S.
(74) Oltre alle lettere, già menzionate, alle autorità diocesane, sono da ricordare i
vari memoriali elaborati in risposta alle duncolth che da Roma da Torino e da altre parti
gli venivano proposte (AS 023). Tiene presenti le difficoltà del P. Durando il memoriale
elaborato per i vescovi della provincia ecclesiastica di Torino, del novembre 1868 (MB 9,
p. 420-423).
(7s) Cose do notarsi intorno nlle Costituzioni della Società di San F~nnccscodi Sales,
S. d., che Don Lemoyne colloca nel febbraio 1864: EVIB 7, p. 622.
(m)Animadversiones pro facultate literanm dimissorialium obtinwda minuta autogr.
di DB (AS 023 e MB 8, 572).
(n)DB nel memoriale sopra citato mettc a fuoco il punto uodale della questione:
« 4" Generatim quomodo conciliari potest oboedientia proprio Episcopo cum oboedientia
Superiori debita, cui vi votorum S. Sede reservatorum devincitur? » ( I . C,, MB 8, p. 573;
ci. anche MB 7, p. 712).
152
aveva provato tutto l'Istituto giuridico degli Ordini e delle Congregazioni
religiose, che si era intrecciato, sovrapposto, talora anche sostituito agli Istituti
più antichi delle diocesi e delle parrocchie. E ciò, in tempi in cui il timore di
disordini nelle diocesi, l'apparire di abusi nella disciplina a Torino, come
altrove in Italia, non era infondato, e vescovi dalla tempra di lottatori e
dominatori come l'arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi, reagivano contro
ogni atto che potesse sembrare avverso all'intrapresa opera di tiorganizza-
zione (78).
Si operò casi con momenti delicati e talora drammatici, l'inserimento
della Società Salesiana nelle strutture ecclesiastiche mediante norme che non
portavano alla uniformità di tessuto, ma operavano in pratica la connessione
tra organi diversi del medesimo organismo.
L'approvazione definitiva della Società come congregazione di voti sem-
plici è del 1 marzo 1869. Quella delle Costituzioni, del 3 aprile 1874. La
Congregazione venne approvata con un anno di noviziato, seguito da uno o due
periodi di voti triennali, conclusi per obbligo dalla professione perpetua. Per
sottrarsi alle suscettibilità diocesane, Don Bosco capi che avrebbe dovuto
portare le sue nuove reclute al più presto d a professione perpetua(?p). Ma a
ciò fu spinto anche da ragioni interne. Avveniva ancora attorno al 1874-1878
quanto aveva temuto il P. Durando: giovani abbracciavano lo stato religioso
soltanto per portarsi avanti negli studi a carico di Don Bosco e dei suoi
benefattori (casi almeno Don Bosco presentava certe defezioni). Don Bosco
decise che, come norma, dopo il noviziato si sarebbe fatta la professione
perpetua, e quella temporanea si sarebbe tollcrata in individui che davano
fondata speranza di recare qualche utiie alla Società nel periodo dei voti(").
I1 noviziato si avviò verso una fisionomia piìr netta nel 1873, quando i di-
rettoti delle case chiesero formalmente a Don Bosco ch'esso venisse separato
dal resto della comunità di Valdocco ('l).
Dal primo marzo 1869 Don Bosco poté fruire del privilegio delle dimis-
sorie in favore dei giovani entrati nelle case salesiane prima del quattordi-
cesimo anno di età(82). Per altri casi ottenne saltuariamente favori speciali.
(78) Notevole, per le sue trasparenze e per la sua delicatezza è il giudizio che di mons.
Gastaldi lasciò mons. Duc, vescovo di Aosta: « Etait né pour i'Episcopat. L'ascendant de
son caractère, la vigueur de scs conceptions et de sa vnlonté, l'étendue de ses connaissances,
la facilité de sa parole, la femeur de sa piété, son attachement à la docuine Rornaine, son
amour passionné pour fes $mes et la Saiute Eglise, tout faisait prbsager en lui le chef
spirituel d'un peuple ». Cf. C ~ m s o ,La Chiesa in Piemonte. . . 5, Torino, 1904, p. 272.
(79) Si legga la relazione di un colloquio tra DB e mons. Gastaldi nella lettera confi.
denziale del 7 febbr. 1875 al card. Berardi (AS 131.21 Berardi; MB I l , p. 98 s; E 1282).
(80) ME 14, p. 46 s, 361. Non si ebbero però sensibili vantaggi. Dal Catalogo della
Società Salesiana si ricava che, vivente DB, la percentuale della perseveranza è abbastanza
costante.
con
la
differenza
che
dow
il
1875-76 si
fa
oiù
vistoso
l'esodo
di
orofessi
~
oer&oetui.,.
rispetto a quello di professi temporanei.
(81) MB 10. p. 1061. Maestro dei novizi fu Don Rua. Dal 7 nov. 1874, Don Barberis:

8.8 Page 78

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Soltanto il 28 giugno 1884 ottenne definitivamente per la Congregazione il
sospirato privilegio, sicché la Società Salesiana da allora si classificò tra le
Congregazioni chiericali esenti (").
Da eventuali abusi il clero diocesano era garantito per i Salesiani, tanto
quanto per gli altri Ordini e Congregazioni, perché i soci non potevano essere
ammessi agli ordini titulo congvegationis, se non dopo i voti perpetui; e
come chierici non potevano abbandonare la Società e inserirsi nel clero seco-
lare, se non dopo aver trovato un vescovo benevolo. Tuttavia, invitando alla
professione perpetua appena dopo il noviziato, Don Bosco si creava la possi-
bilità di portare rapidamente al sacerdozio con la cosiddetta « scuola di fuoco )>
persone che il suo senso pratico gli faceva conoscere degni e utilizzabiii subito,
specialmente in terra ai missione.
Don Bosco aveva tentato più volte di difendere l'esistenza dei soci esterni
nella Congregazione e nelle Regole, presentandoli come Terz'ordine partecipe
dei favori spirituali esistenti nella Pia Società e che si impegnavano nella
collaborazione ch'era loro possibile. Ma la motivazione non valse. Premendogli
di più l'approvazione definitiva delle Costituzioni riguardanti i soci veri e
propri, nel 1874 lasciò cadere la figura dell'affiliato esterno (@).
Eppure il socio esterno nel contesto salesiano aveva un significato par-
ticolare, per quanto Don Bosco poté essersi ispirato agli Oblati di Maria
Vergine (85).
( 0 )MB 17, p. 124.143. Si veda Indice MB alle voci Dimissoric e Priuilegi (p. 135).
La documentazione relativa è ali'AS 03 (Privilegi, in via di riordinamento).
Con decreto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari in data 28 giugno 1884
a DB e ai Soci della Pia Società di S. Francesco d i Sales vennero comunicati i Privilegi e
altri favori concessi dalla S. Sede ai Redentoristi: « Omnia et singula Indulta, Privilegia,
.. . Indulgentias, Exemptiones et Facultates Congregationi SS. Redemptoris concessa, iisdern
Sociis eorumque Ecclesiis, Cappellis et Domibus in perpetuum D.
Sarebbe stata desiderabile una formula più appropriata, che nominasse esplicitamente
il Privilegium exemptionis.
Comunque sia, la Società Salesiana in base a tale decreto si dassificb tra le Congrega-
zioni clericali esenti e il termine Exemptiones venne interpretato come equivalente a Privi-
legium exemptionis. Cf. Elencbus privilegiorum se@ facultutum et grutimum spirituulium
. quibus potitur Societas S. Fruncisci Sulesii ex S. Sedis Apostolicue concessionibus directe et
Congvegationis SS. Redemptoris commun~catione.. , pt. 2, cp. 3: De exemptionibus seu d e
Privilegio Exemptionis. § I. Qualis sii Exemptio Nostra et quid comprebendat. - § 11. Quid
non comprebendat Exemptio Nostra (S. Benigni in Salassis, ex Officina Salesiana 1888,
p. 35-52).
(W) Cf. S u p ~ aAnimudversiones in Constitutioncr Sociowm sub titulo S. Francisci
Sulesii in Dioecesi 'i'aurinenri (in risposta alle osservazioni fatte dal P. Savini, varie minute
aiitogr. di DB e copie da lui postillate, ma S. d., in AS 023; MB 7, 710-715). Riguardo ai
terziari: Animodversio nona. - hpprobandum non est ut personae extraneae Pio Instituto
adscribantur per ita dictam affiliationem. - Adnotatur. Cum fere omnes Congregationes et
Ordines leligiosi babeant tertiarios quos amicos ve1 benefactores vocamus, quique specialiter
honum Societatis promoventes sanctiorem vitam appenint, atque constitutiones reiigiosas in
saeculo, quoad feri poterit, observare satagunt, ideo hurniliter postularur ut hoc caput si
non in textu saltem in finen~constitutionum tanquam appendix approbetur n.
("1 Cf. sopra, nota 47.
Gli esterni salesiani peraltro rdlettono anche l'esperienza personalissima
di Don Bosco. L'affiliazione era data volentieri a benefattori e amici come il
conte Carlo Cays, ma probabilmente era anche un modo delicato per mante-
nere un tipo di vocazione che si era dimostrata di fatto possibile: quella d i
molti che avevano tentato o soltanto desiderato di restare con Don Bosco
come veri e propri religiosi, ma non avevano potuto Anche ad essi Don
Bosco riservava una sua benedizione: i1 nome di salesiano, il siio affetto, la
soddisfazione di partecipare a una qualche attività agognata. Era perciò anche
un modo per non frustrare totalmente coloro che, anche dopo i voti, si
ritiravano dalla Congregazione, un modo per non spegnere il lucignolo fumi-
gante, un aspetto della delicatezza paterna di Don Bosco, un'apertura, quanto
più larga possibile, alla collaborazione tra religiosi legati con voti e obbligo di
vita comune, con il laicato cattolico un modo di realizzare il « religioso al
secolo », promosso proprio in quegli anni (con terminologia che non poteva
non essere discussa dai canonisti rigidi) dal prevosto di S. Sabina in Genova,
amico di Don Bosco, Giuseppe Frassinetti
Soppressi i salesiani esterni, qualcosa di affine rimase, e anche abbastanza
a lungo, nella Società Salesiana. Don Bosco fu ben lontano dal formalizare spe-
cialmente aspiranti, ascritti (nome dato ai novizz) e coadiutori (confratelli laici).
Certo, non dissimulò il proprio disappunto, quando persone su cui contava lo
abbandonarono, né nascose il proprio sentimento sulla vocazione, obbligante al-
lorché la si riconosceva come certa. Ma ribadi anche altri elementi: quando le
vocazioni c'erano, non bisognava dispiacersi se, dopo ch'erano state con Don
Bosco, andavano altrove; era sempre un dono che Dio faceva alla Chiesa.
Anche dopo le Costituzioni approvate nel 1874, il noviziato mantenne una
sua fisionomia singolare: duttile e polivalente. I1 31 luglio 1878 Don Bosco al
- canonico Guiol sottolineava l'utilità di un « noviziato » a Marsiglia: « È questa
- scriveva un'impresa gigantesca, ma iitilissima, perché i nostri studenti per
oltre alla metà vanno poi chierici nelle rispettive diocesi; si avranno missionari
ed anche buoni secolari ». Che cosa era dunque il noviziato secondo Don Bosco?
una casa di studio? un semenzaio di vocazioni per i Salesiani e per qualsiasi
altro istituto nella Chiesa? Un modo per far prendere contatto con l'opera
salesiana, con lo stato ecclesiastico e quello religioso?
Basandosi su un privilegio ottenuto vivae v o c ~ sovriculo da Pio IX 1'8 aprile
I1 conte Cays poi divenne salesiano; m a presero altra via, sebbene si sentissero
« confratelli » altri, come il canonico Anfossi (sue lettere al confratello Don Francesia in
AS 1231, i laici Cado Gastini, Girolamo Suttil, molti antichi alunni, di cui sono conservate
lettere di augurio e altri omaggi a DB (AS 115). Salesimi esterni, di cui si ricorda l'ascri-
zione sono il parroco di Maretto d'Asti, Don Giovanni Ciattino (MB 6, 956) e Don Giuseppe
Pestarino sacerdote d i Mornese.
P') FRASSINETIlTIR,eligioso al secolo, Genova 1864; C. OLIVARDIe, ila uita e delle
opere del servo di Dio SBC.Giuseppe Frassinetti. . ., Roma 1928, p. 178-189; G. VACCARI,
dei Figli di S. M. I-., San Giovanni Bosco e il priore Giuseppe Frorsinetti, Porto
Romano 1954, p. 27-32 (DB e i Figli di Maria). Era Figlio di Maria a Mornese Giuseppe
Mazzarello, poi chierico salesiano, di cui fu biografo Don Lemoyne.

8.9 Page 79

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
1874, egli dava ( o lasciava dare) facilmente incombenze a novizi come assistenti
e insegnanti nellOratorio e altrove. Un po' in tutte le case (oltre che a Valdocco,
e poi a S. Benigno, Foglizzo e Valsalice, dov'era il nucleo maggiore) esistevano
novizi: uno, due o anche più per casa. E se ne trovavano ancora ali'inizio del
nostro secolo. Che cosa facevano? Quelli avviati allo stato ecclesiastico facevano
talora il medesimo lavoro dei professi. I coadiutori aiutavano nelle incombenze
più disparate. Gli ascritti perciò, « oltre all'acquisto delle virtù interne », stu-
diavano oppure anche esercitavano « opere di carità » a pro' dei giovani, secondo
il giudizio del Superiore e sotto la guida del maestro, che per molti era il diret-
tore di una qualunque casa. Leggendo necrologie di Salesiani vien da chiedersi
se più d'uno sapesse esattamente a quale titolo si trovava in casa di Don Bosco.
Bartolomeo Fascie, mentre frequentava l'università di Torino, aiutava per I'in-
segnamento a Valsalice. Allora, negli anni 1877-79 fu posto tra gli ascritti, ma
egli non ricordò mai questo periodo come un vero e proprio tempo di prova per
una vocazione a cui non aveva pensato seriamente. Dal 1883 al 1888 il prof.
Fascie fu ad Alassio una delle colonne del liceo, animatore di attività culturali,
sempre attorniato dai giovani, sorridente, dalla battuta fine. Stava a mensa con
i Salesiani, era come uno di loro. Nell'88 si decise a fare il noviziato. Divenne
poi sacerdote e membro del Capitolo Superiore dei Salesiani.
In condizioni simili vissero in casa salesiana moltissimi coadiutori con o
senza voti. La distinzione tra « coadiutori salesiani » e « famigli » venne fatta
nel 1883; il che spiega come mai nell'Elenco dei Salesiani per ii 1884 ci sia un
calo tra i coadiutori ascritti. Tuttavia prima e dopo questa data si il caso di
coadiutori, in varie case, ascritti per cinque e più anni consecutivi. Ma non do-
veva durare un anno il noviziato? sapevano questi coadiutori &'erano ascritti?
quale incidenza poté avere sulla loro vita il saperlo o no?
Anton Francesco Forcina, Giovanni Vota, Francesco Veggi risultano tra gli
ascritti dal 1881 in poi, e professarono rispettivamente nel1'88, 90 e 99. Filippo
Carlo Gavarino fu a Valdocco dal 1885, ma non fu mai ufficialmente ascritto.
Professò nel 1890 e mori coadiutore salesiano il 18 giugno 1966. Egli, come i
precedenti, si trovò a suo agio in casa di Don Bosco; lavorava e pregava con
i Salesiani. Un giorno divenne uno di loro.
La cura del giovane clero restò tra i &i della Società Salesiana. La prassi
vigente a Roma non era a ciò contraria. L'anno precedente all'approvazione
delle Costituzioni salesiane la stessa finalità, espressa in termini ancora più
particolareggiati (cura dei Seminari minori e maggiori) era stata approvata
sulle Costituzioni dei Maristi. Era però ovvia, ed era nota a Don Bosco, la
clausola che, oltre all'accordo con gli Ordinari del luogo, era necessaria I'ap-
provazione della Sede apostolica (").
La situazione tesa tra Don Bosco e mons. Gastaldi dovette influire nella
maturazione di un'aitra idea in ordine alla formazione del clero: la ricerca
c la cura delle vocazioni adulte, cioè di quanti, dopo aver fatto il servizio
(s)La rileva DB stesso: MB 10, p. 996.
militare o comunque in età adulta, aspiravano al sacerdozio o alla vita reli-
giosa ("). L'idea si concretò nell'opera dei figli di Maria Ausiliatrice già nel
1873-74, fu resa di pubblica ragione inizialmente a Torino e a F o s ~ a n o ( ~ ) ,
poi a Genova ('l); nel 1876 venne parzialmente trasferita a Sampierdarena (92),
quindi riunita a Mathi Torinese (1883), da dove ritornò a Torino non a
Valdocco ma a S. Giovanni Evangelista (1884)(").
Molti altri elementi entrarono nella Società Salesiana e nelle Costituzioni,
perché richieste dallo sviluppo a grado a grado europeo e mondiale, o sotto
la pressione del diritto comune dei religiosi allora vigente.
I1 dilatarsi in Italia, in Europa e in America fece nascere il bisogno di
creare una struttura intermedia tra le case e il Rettor Maggiore. Sorsero così
nel 1879 le province, che vennero chiamate Ispettorie, con terminologia che
inizialmente provocò la suscettibilità di Roma, che trovava nuovo il termine,
dettato (e lo era) da influsso del linguaggio civile; ma che Don Bosco poté
mantenere, facendo ancora leva sull'esigenza di mimetizzare per quanto era
possibile la Congregazione agli occhi delle autorità civili avverse. In lui, cioè,
non era ancora il desiderio di avvicinare il linguaggio ecclesiastico a quello
corrente per ragioni di comprensione, non era ansia pastorale protesa a sta-
bilire intese con il mondo, ma viceversa, timore che mantenere il linguaggio
ecclesiastico potesse mettere a repentaglio la sopravvivenza della Società(").
(m) Altro condizionatore fu la legislazione relativa alla leva militare che non esentava
i chierici, nonostante le proteste cattoliche e in particolare dell'episcopato. Cf. L'episcopato
e la Riuoluzione i n Ituliu ossia atti collettivi dei vescovi italiani preceduti da quelli
del Sommo Pontefice Pio I X contro le leggi e i fatti della Rivoluzione offerti a San Pietro
i n occasione del diciottesimo centenario del glorioso suo martirio, Mondovì 1867. Questo
tipo di opera per le vocazioni adulte, che tendeva a eludere le difficoltà inerenti al servizio
militare, ottenne consensi di vari vescovi. Cf. Indice MB p. 180 e 286: Figli di Maria e
Opera di Maria Auriliatrice. L'appellativo «Figli di M. A. » rispecchia la mentalità mariana
del tempo (analogamente ai figli di M. Immacolata istituiti dal Frassinetti) e si connette
immediatamente all'esperienza di DB, fautore del culto de1l'Ausiliatrice e, di recente, isti-
tutore delle Figlie di M. A.
(m) Opera d i Maria Auriliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico. Messis multa,
operaru autem pauci; rogate ergo Domioum messis.. ., Torino, Tip. dell'orat. di S. Franc.
di Sales, 1875; Opera d i . . . benedetta e raccornanduta dal Santo Padre Pio Papa I X ,
Fossano 1875. Le minute di DB e altre carte relative, in AS 133 Figli di Maria. Tra
l'altro, una lettera di mons. Gastaldi al card. Bizzarri, Prefetto deUa S. C. Vesc. e Reg.,
Torino 25 luglio 1875 e una di mons. Moreno al medesimo card. Bizzarri, Ivrea, 7 agosto
1875, contro l'Opera dei Figli di M. A. Vari documenti in materia: a Roma, AS. C.
. Relig., posiz. T. 91.
(9') Opera dei Figli
San P k r d'Arena, tip. e
di Maria Ausiliatrice,
libr. di san Vinc. de'
per le
Paoli
.u.o.c,az1io8n7i7.8110
stato
ecclesiusrico. . .
(Q) MB 11, p. 62 S.
(93) M .17, p. 345; 545. Adulti con Don Bosco, come aspiranti e ascritti, ce n'erano
gia prima. Dall'esame di dati statistici e di registrazioni non parte che l'Opere dei Figli di
Maria abbia mutato sensibilmente la proporzione degli adulti, che già prima contribuivano
a incrementare In Società Salesiana.
(W)Don Bosco, Schiarirnenti si~ll'esposin'one alla S. Sede del 1877, del 3 agosto 1879
c del 12 gennaio 1880 (MB 14, 220-228): « I1 nome di Provincja e Provinciale in questi

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
La nativa tendenza a dominare e trattare duttilmente quanto era stato
sua creazione, il voler servirsi di tutti come realizzatori dei suoi progetti, la
tendenza a sentirsi un padre che godeva tutta la confidenza e la fiducia dei
figli associati in tutto alla sua opera, o il superiore che conosceva anche i più
piccoli pensieri e movimenti interiori dei suoi sudditi, non per fiscalismo ma
nel desiderio di ottenerne il massimo rendimento e la massima comune sod-
disfazione, si era rispecchiata marcatamente nelle più antiche redazioni delle
Regole che, a chi leggeva, apparivano estremamente centralizzate e autocra-
t i ~ h e ( ~D~al)la. saggezza romana, adusa in quei tempi a progetti di Costitnzioni
del medesimo tipo, Don Bosco venne condotto a introdurre molti temperamenti,
sia quanto alla struttura della Società, sia quanto ai doveri e diritti reciproci
dei superiori e dei shdditi.
Vennero conseguentemente stabilite precise attrihuzioni al Capitolo ge-
nerale, che doveva convocarsi sia per la elezione dei Superiori maggiori, sia
anche come assemblea legislativa. Al Rettor Maggiore venne tolto il potere
di eleggersi alcuni dei suoi consiglieri, i quali invece gli sarebbero stati asse-
gnati tutti dal Capitolo generale. Gli fu tolto il potere di eleggersi segretamente
un vicario (cosa che Don Bosco aveva trovato sulle Costitnzioni dei Redentoristi
e degli Oblati di Maria Vergine)(%),che avrebbe dovuto esercitate i sommi
poteri come Rettore Provvisorio nel caso di decesso del Rettor Maggiore;
vennero limitati i poteri circa l'accettazione e la dimissione dei Soci, circa il
proscioglimento dei voti perpetui e temporanei.
Fu posto in evidenza che il Superiore per regola non aveva diritto a
conoscere i segreti di coscienza dei sudditi e che le Costituzioni non obbli-
gavano sotto pena di peccato
calamitosi tempi ci getterebbe in mezzo ai lupi, da cui saremmo o divorati o dispersi ,>
(p. 226). Allusione alle Lettere provinciali di Pascal?
(95) Si rileggano, sotto questo aspetto, le osservazioni fatte dal carmelitano Savini e
dai domenicano Bianchi: figli di Ordini in cui l'autonomia dei conventi e degli individui
(in un certo sensb) era sacrosanta e frutto di un'antica situazione sociale. La tendenza
alla massima centralizmzione si riscontra nelle Costituzioni di vari Istituti. 'presentati a
Roma in quel tempo. La prassi romana è documentata dai Collectanea editi dal Bizzarri.
(%) Costituzioni e Regole (dei Redentoristi e degli Oblati di M. V,), p. 2, cp. 1,
art. 8.
(9') P. BROCARDDiOre,zione spirituale e rendiconto, Roma 1965, p. 147-169.
446:
(98) La formula neUa sua materialità venne attinta
«Ne praesentes Constitutiones evadant quasi in
dlaaqllueeCuomst.i.t.uzdioenciladiaeti
Maristi,
Societas
art.
eas
non obligare per se sub 'peccato nec mortali nec veniali; ideoque...». Cf. con la Conclusio
delle Costituz. della Soc.' Salesiana, MB 10, p. 992 AS 022 (18) p. 30: Praesentes
Cmoonrtsatliitutnieocnesvedneicallai;ratidSeooqcuieetassiprqoiiiasnimillaams.m. .Dq.uieDtBe
non obligare per se sub peccato nec
tuttavia difese l'obbligatorietà delle
regole sotto pena di colpa, in risposta alle Animadversiones del P. Savini (animadv. 13),
appellando a S. ALFONSLOa, sera sposa di Gesù Cristo, cp. 7 , par. 7: «Si scusano altre
con dire che la regola non obbliga a peccato... », ed. Marietti 1847, p. 87 [cf. AS 022
(6e) p. 21: scrittura di Don Rual. In pratica per6 si rimise a quanto gli venne richiesto
(iMB 7, p. 715).
I1 Rettor Maggiore eletto doveva essere approvato dalla S. Sede; non
sarebhe stato a vita (unico a vita, per concessione di Pio I X fu Don Bosco),
ma per un dodicennio. Si imponeva l'obbligo d'inviare alla S. Congregazione
dei Vescovi e Regolari un relazione triennale sullo stato religioso, morale e
amministrativo della Società.
I n definitiva la Società Salesiana, inizialmente concepita come una gene-
rica associazione che partecipava della natura di congregazione religiosa dai
voti semplici e di pia unione, e pensata come ente morale dai diritti civili,
specialmente sotto la pressione delle autorità dioccsane di Torino e sotto
quella della regolamentazione canonica allora vigente a Roma, venne sospinta
verso le classiche congregazioni dell'epoca tridentina. con i tre voti semplici
di povertà, castità e obbedienza, con l'obbligo della vita comune, giungendo
a inserirsi negli organismi ecclesiastici come una congregazione chiericale esente
Dell'operazione di inserimento meritano di essere sottolineate alcune
scelte di Don Bosco che furono di capitale importanza per l'esistenza, per la
prosperità e, in conseguenza, per certe modalità dello spirito della Società
Salesiana.
Se Don Bosco si fosse attaccato tenacemente alla figura del salesiano
esterno, probabilmente non avrebbe ottenuto allora l'approvazione della Società
come congregazione religiosa e questa avrehbe dovuto attendere fino al 1947 per
essere eventualmente riconosciuta come Istituto secolare di diritto pontificio;
ma nel frattempo forse non avrebbe avuto lo sviluppo che la contraddistinse.
Se avesse persistito a difendere la formula dei diritti civili conservati dai
membri della Società, forse, non ottenendo l'approvazione ecclesiastica, avrebbe
lasciato un'Opera Pia, una società di basi assai instabili, che oggi sarebhe stata
ricordata come al centro di un certo moto di rinnovamento nella seconda
metà del secolo decimonono.
Se si fosse deciso a rilasciare tutti i chierici del seminario torinese già
prima del 1870, se nello stesso tempo avesse stabilito che per essere con lui
bisognava impegnarsi per sempre subito dopo il noviziato, probabilmente non
avrehbe avuto forze sufficienti per impiantare, come fece, parecchi collegi in
Piemonte e altrove, contando per allora su forze instabili, ma che gli garantirono
il germinare di vivai che avrebbero alimentato con regolarità la sua Congrega-
zione. L'opera di separazione netta dal Clero secolare venne invece compiuta
nel momento più opportuno sia per la Congregazione, che non avrebbe sofferto
per piccoli amputamenti, sia per la diocesi di Torino, che aveva ormai i semi-
nari ben organizzati, per opera e merito deil'arcivescovo Gastaldi (*)
Se non si fosse spinto con tutte le sue energie e risorse tra il 1874 e il
1884 verso l'esenzione stabile e definitiva della Pia Società, si sarebbe trovato
(9)Importanti, anche come informazione storica, sono due pastorali di inons. Gastaldi,
! gennaio 1873 e 12 gennaio 1878 in L. GASTALDLIe.ttere pastorali, commemorazioni
liinebri e panegirici, Torino, tip. Canonica 1883, p. 233-247; 403-416.

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
forse talmente condizionato dall'opera dei vescovi, tesi anch'essi ma in dire-
zione centripeta, da non potere dare alia Congregazione lo slancio, la sicurezza,
la fisionomia unitaria flessibile dinamica ottimista e il rigoglio che invece diede.
7. I1 senso del divino e dell'umano in Don Bosco e negli altri
Chi esamina i documenti, siano essi lettere o memoriali, circolari ai Sale-
siani o pubblicazioni a benefattori e amici, ha modo di misurare in quali termini
il mondo interiore religioso di Don Bosco sia impegnato alla costruzione e
agli sviluppi della Congregazione.
Ancbe per l'istituzione di essa egli consulta la propria carta del Cielo,
interroga la Provvidenza, che vede manifestata nelle esigenze di uomini e di
tempi e anche in molti fatti che gli appaiono come favori straordinari: sogni,
guarigioni miracolose, superamento di ostacoli di ogni genere, trionfi su per-
secuzioni, il continuo dilatarsi della Congregazione, il trovare sempre nuovi
campi di lavoro e nuove sfere di simpatie.
Con Dio egli avverte presente e impegnata anche Maria Santissima: come
ispiratrice e fondamento di nuove speranze, come colei che ricerca i soggetti
da arruolare indirizzandoli all'oratorio o alle altre case salesiane, come madre
e potentissima patrona dell'opera.
E non manca il senso del diabolico. Quando Don Bosco, dopo paziente
lavoro ebbe finita la compilazione delle prime Regole, narrano le Memorie
Biografiche (che con tutta probabilità si rifanno a un racconto di Don Bosco
stesso), un vento impetuoso rovesciò sulle carte il calamaio e le macchie d'in-
chiostro resero i fogli assolutamente illeggibili (lw). Quando nel 1884 Don Bosco
a Roma ottenne il decreto con la concessione dei Privilegi, all'oratorio si
scatenò un gagliardissimo vento con scariche di fulmini. Si ebbe allora la sen-
sazione delia ottenuta concessione e della collera diab~lica('~').
Non manca il sentimento di rispetto davanti alla sacralità nuova acquistata
dalle Costituzioni Salesiane dopo l'approvazione pontificia, nella certezza che,
fondati sulla roccia di Pietro, poggiavano su basi stabili, sicure « e - aggiunge
Don Bosco - possiamo dire infallibili, essendo infallibile il giudizio del Capo
Supremo della Chiesa, che le ha sanzionate »('O2): erano trascorsi cinque anni
dalla proclamazione dell'infallibilità pontificia quale verità di fede divina e
cattolica. La Congregazione dunque poteva dirsi un'opera divina, perche voluta
e realizzata secondo i piani sapientissimi di Dio.
Ma appariva anche opera umana. Don Bosco lo sente soprattutto quando
fa il confronto tra i suoi più antichi progetti e la loro graduale, faticosa rea-
lizzazione.
(lm)MB 5, p. 694.
(lo1) MB 17, p. 140-142.
(I") Regole o costituxioni della Soc. di S. Fwnc. di Saler . . . , Ai Soci Salesiani, Torino
1875, p. [31.
« Avevo messo - spiegava il 18 ottobre 1878 - i voti triennali perché
da principio avevo in mente di formare una Congregazione che venisse in
aiuto ai Vescovi; ma siccome non fu possibile e mi costrinsero a fare altrimenti,
i voti triennali ci tornano più d'inciampo che di vantaggio » (l0)).
La stessa opinione esprimeva il 7 febbraio 1879 ai direttori delle case
riuniti ad Alassio:
« S'introdussero i voti triennali quand'io aveva un'altra idea delia Con-
gregazione. Avevo in animo di stabilire una cosa ben diversa da quello che è:
ma ci costrinsero a far così, e così sia » (lw).
Ci si accorge così come non sia facile stabilire l'atteggiamento di Don
Bosco tra i sogni, ch'egli sente o presenta come profetici, e la realtà. Si ha
l'impressione ch'egli agisca nella persuasione di avere un mandato dall'alto,
una meta da raggiungere, qualcosa da realizzare anche se non ne percepisca
- attraverso i sogni - tutta l'entità.
Don Bosco avverte che lo svolgersi degli eventi fa configurare la Con-
gregazione non come egli l'avrebbe voluta, o come credeva che dovesse divenire.
E questo non vuol dire ch'egli non l'abbia voluta così come venne a formarsi,
e nemmeno che ne sia stato scontento. Lo stato d'animo di Don Bosco sembra
che sia quello di colui che spiega come sono andati i fatti, e non quello di chi
fa recriminazioni, che rinunzia alla realtà per accarezzare un ideale realizzato
soltanto nella sua fantasia. Tra l'idea di aiutare i vescovi specialmente nell'edu-
cazione della gioventù e quella di dedicarsi comunque al servizio delia gio-
ventù nella Chiesa, predomina l'idea più forte, la vocazione più congeniale,
che perciò Don Bosco realizza secondo le possibilità dei tempi.
Ancbe in ciò si rivela, ancora una volta, il suo temperamento pratico,
aggressivo, più che passivo; estroverso più che introspettivo.
Le sue idee si modificano, si precisano condizionate dagli avvenimenti
seguiti sempre con attenzione, non per accettarli passivamente, ma per ade-
guare ad essi, con continua attiviti creatrice, la nuova costruzione.
Egli affermava che quando gli si frapponeva un ostacolo, attendeva e
se c'era da aspettare molto o non c'era modo di rimuoverlo, lo aggirava (lo5).
E la figura che meglio si attaglia al suo modo di pensare e di agire. Egli ha
prefissa una mèta; ma non tiene tanto al cammino, quanto piuttosto al raggiun-
gerla, senza inutili attese, senza fatiche sproporzionate, senza lasciarsi travol-
gere. Anche la figura della battaglia si adatta a lui: quel che conta non è che
si attui a perfezione il piano predisposto, ma che la battaglia sia vinta; perciò
il piano è anch'esso qualcosa di vivo, di instabile, in maturazione, modificato
secondo quel che esigono le nuove circostanze, fino a quando l'esercito rag-
giunge il successo.
Non è prammatismo, perché su tutto domina lo scopo ben fisso e una
('03) MB 14, p. 46 S.
(1%) tMB 14, p. 47.
(105) Indice MB voce Difficoltd, p. 133 s.

9.2 Page 82

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
serie di principi religiosi e morali: è abilità e ricerca della tempestività; è
radicale ottimismo nella persuasione che il divenire delle cose offre sempre
una base accettabile su cui impianiare i propri germi, nella fiducia che essi,
anche se condizionati da « tristissimi tempi », troveranno sempre modo di
superare le bufere e di fruttificare.
Soprattutto nella intelaiatura della Società Salesiana Don Bosco si ma-
nifesta nella pienezza delle sue forze spirituali, lottatore talvolta audace, fine
calcolatore, diplomatico consumato, capo che dà sicurezza e suscita fedeltà
ed entusiasmo. Sebbene anch'egli, più ponendosi davanti a Dio che davanti
agli uomini, con nell'occhio l'opera complessa che ha tra le mani, si senta assa-
lito talvolta dall'ansia e quasi dalla paura:
« Quando pensb alla mia responsabilità per la posizione in cui mi trovo
- diceva a Don Giulio Barberis -, tremo tutto. Le cose che vedo accadere,
sono tali, che caricano sopra di me una responsabilità immensa. Che rendiconto
tremendo avrò da rendere a Dio di tutte le grazie che ci fa per il buon anda-
mento della nostra Pia Società! Si può dire che Don Bosco vede tutto ed è
condotto avanti pcr mano dalla Madonna. . . a ogni passo, in ogni circostanza,
ecco la Beata Vergine! » (l").
Riandando agli anni remoti di Don Bosco, si trova qualcosa di analogo
accanto a lui: l'agonia di Comollo, assalito dal timore del conto tremendo
che avrebbe dovuto rendere a Dio, ma con la speranza di essere aiutato nel
dies zrae dalla materna premura deli'onnipotenza suppiice. Luigi Comollo,
molto probabilmente, aveva davanti a sé presenti le proprie virtù e i propri
vizi (veri o presunti); Don Bosco invece, la mole delle sue opere, davanti
alle quali non era solo lui a sentirsi invaso di ammirazione o di spavento.
Quando egli ebbe bisogno di commendatizie vescovili da presentare alla
S. Sede per l'approvazione della Pia Società, diecine e diecine di prelati si presta-
rono andando a gara nel colmare di elogi Doli Bosco e la sua Società, quaiifi-
candola opera provvidenziale, benedetta da Dio, tangibile prova che in tempi
difficili in cui si chiudevano collegi cattolici e seminari, il Signore aveva susci-
tato uomini come Don Bosco i quali contro ogni aspettativa trovavano nuove
vie per far progredire il bene e preparare nuovi trio& alla Chiesa.
Don Bosco e i suoi finivano per incarnare le aspettative dei cattolici ita-
liani, il loro desiderio di rivincita, la loro intima persuasione che i tempi tristi
sarebbero stati superati, la loro consapevolezza che Cristo interveniva miracolo-
samente a calmare le tempeste proprio quando sembrava che la barca di Pietro
stava per essere sommersa (lo7).
('06) CERIAD, on Bosco con Dio, Torino 1929, p. 192 S.
("37) L'atteggiamento dei cattolici in Italia neli'ultimo scorcio del sec. XIX è uno dei
temi di cui si è impadronita la storiografia recente. Si veda G. SPADOLINI, L'opposizione
cattolica da Porta Pia al '98, Firenze 19644, specialm. la Nota bibliografica alla quarta
edizione, p. 755-758, da integrare con E. PASSERIDN'ENTREVERSe,centi rtudi sull'azione
cattolica in Italia tra Ottocento e Nouecento, in Studium 60 (1964); D. VENERUSLOa,
recente storiograjia del movimento cattolico in Italia e le sue relazioni con le ricerche suila
« Testor etiam - scriveva mons. Gastaldi 1'11 luglio 1867 in qualità di
Vescovo di Saluzzo - me audivisse sanctae memoriae Arcbiep. Taurin. Aloysium
Franzoni, dum Lugduni in exilio dolore premebatur, affirmantem se tanquam
Divinae Providentiae speciale auxilium in hac Societate agnoscere, cujus ope
dum Seminaria dioecesana erant clausa, aliqui tamen pueri ad hoc pro eccle-
siastica militia praeparabantur » (lo8).
E il 25 maggio 1868 egli asseriva che i frutti meravigliosi che tutti pote-
vano constatare, « provano ad evidenza, che quivi il misericordioso Iddio spande
in misura sovrabbondante le sue benedizioni, e che quivi vi ha una missione
particolare in vantaggio della gioventù. . . I1 sottoscritto vide come per mira-
colo sorgere in seno alla medesima una chiesa colossale [il santuario di Maria
Ausiliatrice] che forma la meraviglia di chi la esamina, e &e per la spesa di
oltre a un mezzo milione di lire sostenuta da poveri sacerdoti nulla tenenti,
è come un portento il quale prova che Iddio benedice questa Società » (lm).
« I n tanta rerum calamitate - scriveva mons. Giacomo Filippo Gentile
vescovo di Novara il 14 aprile 1868 - quae ubique locorum disperdit lapides
Sanctuarii, sana ephebea clauduntur, omnibus demum datur pessum, quae ad
Religionem faciunt, nihil potius, nihil optatius esse debet, quam ut illud
continget, quod nonnumquam summa Dei misericordia tum vidimus, nempe
ut aliquis exurgat, qui veluti naufragii colligat lapides disiectas n("').
Anche fuori d'Italia il clima di lotte e di oppressione creava in quel tempo
il desiderio di suscitare forze nuove; quante più era possibile. Si dimenticavano,
o non si sentivano gli attriti tra clero secolare e regolare, squassati come si
era, da ogni parte. Anche altrove diecine e diecine di Congregazioni ricorrenti
a Roma per l'approvazione trovavano vescovi premurosi che tributavano elogi
e incoraggiamenti("'). Era il momento storico. Anche in questo Don Bosco
ebbe la sorte di poter agire in risposta a un bisogno religioso dei tempi.
I. FONTI
A. AS 022 Regole o Costituzioni. Prima ferie italiana: 18 redazioni mss. di Don Rua,
Don Ghivareilo, Don Berto, ecc., con aggiunte e correz. di DB. I l capostipite 022 (1) è
scrittura di Don Rua con correz. di DB. .?l da collocare tra il 1857 e il '59. Non è del
tutto evidente l'interdipendenza dei testi successivi.
natura della politica e dello Stato, i n Studiam 61 (1965) p. 218-222; U. M~RCELLI,
Inteupretazioni del Risorgimento in Conuiuium 27 (1959), p. 385-407; 513-532; R. ROMEO,
La storiografia sul Risorgimento e l'Italia ~nitaria(1815-1715) nel secondo dopoguerra
in Clio 1 (1965) p. 407.433, recens. in Archivio storico ital. 123 (1965) p. 416; G . DE
ROSA, Storia del movimento c~ttolico dn Italia . . ., Bari 1966, 2 vol.; G. MARTINAh,
questione di Roma nell'opinione degli storici cattolici negli ultimi cento anni, in Atti
del X L V I I I cmgresso d i storia del rirorgim. ital. Mantoua, 26-27 sett. 1776, Roma 1978,
p. 111-181.
('08) Copia ms di Don Berto in AS 023.
(109) AS, 1. C.
("O) AS, I.c., MB 9, p. 143.
("1) LEMOINLEe, droit des religieux, p. 430 S.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Serie latina: parte ms., parte stnmpata. Dipende ddla serie italiana. Sei iedaz. ms.
. . e circa venti a stampa (Torino 1867, 1873, Roma 1874, 18742, Torino 1874), esemplari
interfogliati, annotati do DB, da Don Rua, Don Berto . , bozze.
Secondli serie italiaila. Tre xedaz. ms. con postille di DB; due redaz. dell'Introduzione,
parte di DB, parte scrittura di Don Barberis, di Don Berto, e di altri; bozze, testo ediio
(Torino 1875 un esempl. con postille d i DB; 18772, S. Benipo Canav. 18853)).
B. AS 023 Documenti relativi all'approvazione. Tra questi, i più importanti sono le
scritture di DB Supra animaduersiones (posteriori al 1864), la Positio del marzo 1874,
descritta e parziaimente riprodotta da Don Amadei in MB 10, p. 916-1006, il Voto del
P.Raimondo Bianchi del 9 maspio 1873 (ms. di Don Berto con aa.p.iunte di Don Bosco e
relative mcmorie. ms oarte d y - ~ o nBerto e oarte di DBI.
C. AS 0325 Positio relativa ai Privilegi, stamp., agosto 1875, contenente, anch'essa,
suppliche e memoriali di DB.
D. AS 04 Capitoli Generali. Atti d i convocazione e preparazione, incartamenti e verbali
delle adunanze, deliberazioni ms. e stampate: 1877 (ed. 1878), 1880 (ed. 1882), 1883 e
1886 (ed. unica 1887). Specialmente ai primi due Capitoli la partecipazione di DB fu molto
attiva, come dimostrano i suoi ms. o sue postille.
E. AS 131.01 Lettere e suppliche di DB (a Pio IX, Bizzarri, Ferrieri, Fransoni,
Gastaldi, ecc.). I n gran parte si tratta di minute; talora di copie, solitamente dovute a
Don Beito.
F. AS 131.02 Circolari di DB ai Salesiani (ordinate in successione cronologica). Le
minute inizialmente sono di DB poi i compilatori sono Don Bonetti, Don Lemoyne, Don
Rua. DB corregge e sottoscrive.
G. AS 132 Prediche Conferenze Discorsi ( G ) (ai Salesiani). Otto scritti tutti autogr.
di DB.
H. AS 132 Privilegi. Minute di suppliche o di memoriali, dal 1875 al 1884.
I. Promemoria. Tra questi: «Cose urgenti cui solo il Vicario d i Gesù Cristo può
prowedere » (MB, 14, p. 467); Promemoria sui Privilegi (Torino, 13 dic. 1882); per
udienze pontificie (dal 1871 al 1884).
L. AS 132 Società Salesiana. Tra l'altro: «Cenno storico intorno alla Soc. di S. Fran-
cesco di Sales - destinato a mons. Ferrè vescovo di Casale 1868 » (MB 9, p. 61); Ai ve.
scovi della provincia ecclesiastica torinese (MB 9, 420s); «Stato religioso - materiale
della Società di S. Francesco di Sales sul principio deil'anno 1870 r (MB 9, p. 784). Mi-
nute in gran parte di DB, copie corrette da DB.
M. AS 133 Capitolo gcneralc: «Capitolo generale della Congregazione Salesiana da
. convocarsi in Lanzo nel settembre prossimo 1877 ». Minuta autogr. di DB (ed. Torino
18.7.7,:
~
c--i.
-MR
-13..
n.
-24-5-1,..
N. AS 133 Cenno istorico sulla Congregazione. Tre redazioni (1874), di cui la prima
autogr. di DB e le aitre con sue correz.
O. AS 133 Esposizione: «Cenni storici esposti in ordine cronologico alla S. Congr.
del Concilio. Alcune vessazioni di Mons. Lorenzo Gastaldi Arcivescovo d i Torino contm la
Pia Società Salesiana » (1881). Scrittura di Don Berto e di Don Bonetti con alcune aggiunte
C correz. di DB.
P. AS I33 Esposizione alla S. Sede. Opuscolo a stampa del 1879 con postille per una
ediz. successiva di DB e di Don Berto (fino ai 1884).
Q. AS 133 Favori e grazie. Copioni per l'opuscolo: Favori e grazie spiritunli concessi
dalla Santa Sede alla Pia Società di S. Francesco d i Saies » (Torino 1881). ms. di Don Berto
C di altri con postille di DB.
R. AS 133 Figli di Maria. Scritture edite in gran parte sulle MB 10 e 11. Minute
per gli opuscoli stampati a Fossano, Torino e Sampierdarena. Indicativo per eventuali di-
paienodreonmzeo:to«riP. e.r.
l'opera d i Maria A. speciale
delle Ecoies aoostoiisues de
Benedizione apostolica. ..
Poitiers . .. » ,(1875-1,.
favori
...
concessi
S. AS 133 Notitia brevi;. «N&titia brevis Societatis Sancti Francisci Salesii et
nonnulla Decreta ad eandem spectantia ». Scrittura auto.gr. di DB e stam.oato (.Torino 1868:
tre esemplari con postille di DB).
164
T. Stampati ufficiali della società salcsiana: Catalogo (dal 1872), Necrologie (le prime,
in appendice ai Catal. dal 1874 in avanti sono compilate in genere dal conte Cays, ma
rivedute da DB).
U. Incartamenti relativi alla Congregazione Salesiana a Torino, ACuria Metropolitana;
- . Roma AS. C. Relie.: oosiz. T. 91. Contiene tra l'altro due redazioni ms, senza data. delle
«Regole» (18641; 1867?) e sei stampati, con postille ms. italiane, latine.
A Torino ALazzaristi (chiesa dellii Visitazione) non ci fu possibile accedere alle
carte del P. Marcanionio Durando, tra le quali probabilmente si sarebbe trovato qualche
memoriale riguardante i Salesiani.
11. BIBLIOGRAFIA
Per il contesto poiitico-religioso generale sono da segnalare tutte le opere riguardanti
il Risorgim&to, il pontificato di Pio IX e Leone XIII (Aubert, Fernessole, Serafini, ecc.);
monografie e studi su Cavour, Rattazri, Antonelli, Gioberti, D'Azeglio, Vittorio Emanuele 11,
Crispi, ecc. Di essenziale importanza sono gli studi sul movimento cattolico italiano dal
neo-guelfismo dl'inizio del secolo: Passerin d'Entrèves, P. Scoppola, Spadolini, De Rosa,
Candeloro ...
I n particolare poi, per quanto più direttamente riguarda DB e i suoi punti di vista,
interessano anche biografie e scritti agiografici di minori pretese sui Cavanis, Vincenzo Pal-
.. lotti, Gaspare Del Bufalo, Frassinetti, Cottolengo, Cafasso, Pavoni, Cocchi, Murialdo, Ber-
tagna, Gazelli, Albert, Allemand, Dupanlonp, Ségur, Gay . (sui quali si vedano le voci
rispettive sull'Encic1. Cattolica, su C~tholicisme o nella bibliogr. segnalata in AUBERT,
Il pontificato di Pio IX).
Quanto agli scritti di DB considerati come fonte storica, qui ci permettiamo di notare
soltanto come le cifre di giovani, di Salesiani o di Case talvolta possono avere un valore
iperholico (che si spiega nell'atmosfera di entusiasmo, di arguzia, di facezia e d i furbizia
tra familiare e popolare che vigeva a Valdocco e in vari ambienti nei quali DB si muo-
veva). I numeri dunque non servono da soli per datare documenti o rilevare lo sviluppo
delle opere.
Nella Relazione alla S. Sede del 1879 DB scrisse clie i Salesiani nel 1874 erano 250 e
nel 1879 passarono a oltre 700. Nel Riassunto del 23 febbr. 1874 aveva scritto che i Sa-
lesiani erano 330. I n realta, in base &'elenco generale della Societa (stampato!) risulta che
erano 254 (compresi gli ascritti) nel 1874; e 481 nel 1879, compresi gli asccitti ed esclusi
148 aspiranti.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
CAPITOLO VI1
LE MISSIONI D'AMERICA
1. Clima missionario dopo il 1870
I fatti straordinari che si constatavano in Don Bosco, i grandiosi progetti
che egli mostrava « di ravvolgere in capo intorno all'avvenire » ( l ) , l'esito
felice di molteplici imprese, le guarigioni straor narie che si constatavano ope-
rate per sua intercessione, la fedeltà al Papa, lo zelo per la religione, erano agli
occhi dei Salesiani e di quanti lo ammiravano continuo argomento per ritenerlo
un uomo suscitato da Dio a speranza e a conforto dei buoni. D'altra parte per
Don Bosco il crescente numero dei collaboratori, l'ottenuta approvazione della
Società e deile Regole erano un irrefrenabile stimolo ad accingersi a imprese
più ardite, a più largo raggio, e perciò stesso, dalla maggior risonanza e dalla
più grandiosa suggestione. L'andata dei Salesiani fuori del Piemonte e del-
l'Europa era perciò nella logica dei fatti, così come lo era nel 1874 l'effetto che
avrebbe destato a Valdocco l'annunzio che i figli di Don Bosco sarebbero andati
oltre l'oceano, in Argentina: non timore destò l'annunzio, per i rischi che si
sarebbero affrontati, non costernazione davanti a un'impresa che poteva sem-
brare temeraria; ma entusiasmo incontenibile nei giovani e nei Salesiani; arruo-
lamento di novizi desiderosi di diventare missionari e di membri della Società
che hramavano di essere i prescelti alla storica impresa.
A cose avvenute, nel 1876, alla considerazione di Don Cesare Chiala tutto
ciò apparve una naturale conseguenza di un fatto mistico; determinato dall'inse-
rimento giuridico dei Salesiani nella Chiesa, mediante la definitiva approvazione
delle Regole:
«Appena compiuta questa intima unione del nostro umile tralcio col mistico
tronco della Chiesa, tosto se ne risentirono sensibili effetti. Moltiplicarono tra i
giovani le vocazioni allo stato ecclesiastico; crebbero eziandio le domande per
ascriversi alla Congregazione, e vari cui sembrava un po' duro l'apostolato deila
gioventù, mai interrotto né giorno né notte, vi posero invece tutto il loro amore.
(l) Cf. sopra cp. 4, nota 46.
167

9.5 Page 85

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Da molti paesi d'Italia, da parecchie parti dell'Africa, dell'Asia e dell'America
cominciarono a fare richieste perché si andasse tra loro ad aprir Case per la peri-
colante gioventù » (2).
La realtà era molto più complessa. I1 Concilio Vaticano era stato, tra i
tanti, forse l'avvenimento più propizio agli sviluppi delle missioni cattoliche
nella seconda metà del secolo XIX. Soprattutto prelati dell'America del Nord,
deii'Africa e dell'Asia avevano profittato della circostanza per arruolare clero
e suore per le proprie diocesi, missionarie o no (').
Nel 1869-70 il piemontese mons. Domenico Barbero, che fu proprio
l'anno del Concilio consncrato primo vescovo iiell'Istituto delle Missioni estere
di Milano, chiese a Don Bosco suore per la sua diocesi di Hyderabad in India.
Don Bosco, che allora non ne aveva, indirizzò il prelato all'Istituto delle Suore
di S. Anna e della Pro~videnza(~).
Nel 1870 il vescovo di S. Francisco in California, il domenicano mons.
Alemany, ospite dei suoi confratelli di Torino, entrò in trattative con Don Bosco
per un ospizio-scuola di arti e mestieri ('). Altre proposte dovettero essere state
fatte tra il 1870 e il 1874. Don Bosco accenna a richieste di fondazioni in
(9). Asia, Africa e America. Don Chiala parla di proposte per l'India e l'Australia
Le antiche aspirazioni missionarie, che negli anni del Convitto lo avevano
spinto a imparare un po' di spagnolo e a preparare i bauli per unirsi agli Ohlati
di Maria Vergine, confessa Don Bosco stesso, non si erano mai estinte(').
Egli aveva sempre seguito con interesse gli Annali della Propagazione della
fede, stampati in italiano, che già nel 1848 gli venivano portati dal giovane
Giacomo Beiiia, poi suo primo chierico t'). Dagli Annali attinse episodi per il
suo Cattolico istruito (1853) e per il Mese di Maggio (1858 (9). Fu in buona
(2) C. CHIALAD,a Torino alla repubblica Argentina. Lettere dei Missionari salesiani,
Torino 1876 (LC), p. 18 S.
(3) G. B. TRAGELLA, Le missioni estere di Milano sul quadro degli avvenimenti con-
temporanei, Milano 1959, 2 vol.; C. BONAI6, Servo di Dio Giuseppe AUamuno e un secolo
dr movimento missionario in Piemonte, Torino 1960; S. BELTRAMI, L'Opera della Propaga.
. rione della tede in Italia. Roma 1961.: ID. La rinascita missionaria in Italia, To~rino~1-9.6-.4.,. . ~
~
~
AUBERT, ~l'pontilicatodi Pio IX, cp. 13, p. 645-678.
(4) MB 10, p. 626; 658; P. P. GASTALDI, Umiltà e grandezza. Suor Maria Enrichetta
Dominici [1827-18941 superiora generale delle Suore di sant'Anna e della Provvidenza, To.
tino 1926', p. 278.292. Su mons. Domenico Barbero (1820-1881), nativo di Foglizzo, cf.
S. MALVISIF,igure di Sacerdoti, Ivrea 1921.
(9AS 126.2 Alemany: AS 132 Contratti, S. Francisco (ms autogr. di DB).
{q [Bosco], Riassunto della Pia Societd di S. Francesco di Sules nel 23 Febbraio
1874, Rapporti coi vescovi, p. 43; CHIALAD, a Torino alla rep. Argentina, p. 21; 46s.
(.7.) MB 10, ti. 55.
(8) SU Don ~iacomoBeilia, parroco merito di Soprana, m. a Pettinengo (Biella) il
22 giugno 1908 a 74 anni cf. Bollettino Salesiano 32 (1908) p. 255; BUSCAGLSIAan, Giov.
Bosco e i biellesi, p. 14-19: Indice MB D. 509.
(9) Bosco, Il cattolici istruito, pt. 2, tratten. 41, Torino 1853 (LC), p. 313; In, Il
mese di maggio, g. 7, Torino 1858 (LC), p. 53-55.
amicizia con il canonico Ortalda, attivo e generoso patrocinatore a Torino
d e v o p e r a per la propagazione della fede e delle Scuole apostoliche (l0). Fu
anche in buoni rapporti con Don Eugenio Reffo e Don Alessandro Lana (che
da giovane fu catechista all'Oratorio dell'Angelo Custode), redattori del Museo
delle Mzsszoni cattoliche, di cui anche fece la pubblicità sulle Letture Catto-
lzche (l1): simpatia, dunque, mai estinta, clima di ricerca, di attesa, di progetti,
di calcoli e di speranze, da cui scaturisce attorno al '70-71 il primo sogno
missionario di Don Bosco; la visione di selvaggi crudeli che uccidono missio-
nari, li squartano, li tagliano a pezzi e ne appiccano le carni sulle loro lance;
e quindi, l'apparizione di missionari salesiani che si appressano a quelle mede-
sime orde « con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti », con la
corona del Rosario in mano, accolti benevolmente e ascoltati (l2).
I1 comportamento di Don Bosco è tale, da far pensare ch'egli l'abbia vera-
mente ritenuto un presagio, di cui però - come altre volte per altri segni -
non comprese tutte le circostanze concrete. Pensò che si trattasse di popoli
dell'Etiopia, dove operava il cappuccino, poi cardinale, Guglielmo Massaia, mon-
ferrino e lontano parente del chierico Giovanni Massaglia, antico alunno del-
?Oratorio, ormai defunto (l3); quindi credette che si trattasse di australiani
o di qualche tribù dell'India; pensò addirittura che i selvaggi del suo sogno,
coperti di sole pellicce e armati di lancia abitassero le adiacenze di Hong-Kong.
Risulta comunque chiaro l'orientamento di Don Bosco, alla ricerca di
una via per l'espansione della stia opera fuori d'Europa. Egli pensa e sogna
le missioni nel senso più stretto, in partibtrs infidelium; e nel senso più roman-
tico di allora: tra popoli crudeli e selvaggi, che esaltino quasi il desiderio del
martirio. L'Euntes in mundum universum docete omnes gentes non è più sol-
tanto oggetto di conoscenza e di fede, ma un mandato che giunge anche a loro,
una motivazione del loro trapiantarsi in America (").
(10) Il canonico Ortalda fu direttore del consiglio diocesano di Torino dell'opera per
la propagazione della fede dal 1851 al 1880 (cf. BELTRAMI, L'Opera della Prop. della
Fede, p. 44ss), morl il 26 settmbre 1880 a 66 anni.
( I l ) Don Alessandro Lana nacque a Torino il 6 luglio 1841; frequentò l'Oratorio
dcIl'Ange10 Custode, ,fu membro della Societa di S. Vincenzo de' Paoli e aiutb a fare il
catechismo agli spazzacamini svizzeri; ordinato sncerdote nel 1866, fu direttore deii'oratorio
di S. Martino. Morì il 30 dicembre 1869. Cf. Museo delle Missioni catt. 13 (1870) p. 65-
81. Bibliografia su Don R&o (1843-1925) è ricordata da MARENGO, Contributi per uno
studio su Leon. Murialdo educatore, p. V-X. Si veda anche il Bollettino Sulesiano 49 (1925)
p. 167. La pubblicita al Museo delle Missioni cattoliche è fatta in appendice a Bosco,
Valentino o la vocazione impedita. . ., Torino 1866, paginaz. a parte, p. 1-16.
(12) MB 10, p. 54 S.
(13) Giovanni Massaglia è l'amico di Domenico Savio. Nacque a Marmorito frazione
Romagnolo (Asti) il 1" maggio 1838; morì in patria il 20 maggio 1856. I1 card. Mas-
saia nacque a Piova 1'8 giugno 1809; morì a S. Giorgio Cremano (Napoli) il 6 agosto 1889;
cf. S. CULTRERGAl,i scritto~iitaliani e il card. Massaja, Roma 1948; C. da SESSANMO.,, in
EC 8, Roma 1952, cl. 284-287.
(M) Sono le ovvie considerazioni di DB nel discorso di addio ai Missionari: cf.
CHIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 44.46.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Da credenti, e in un certo senso, da spettatori di quanto veniva operato
da altri, i Salesiani sentono di divenire parte attiva, tra coloro che dovevano
confermare sempre più alla Chiesa l'appellativo di Cattolica, cioè «universale
e perpetua, perché si estende a tutti i tempi, per tutti i luoghi, e deve durare
fino alla fine dei secoli, senza mai cangiare, che crede e professa tutte le verità
insegnate da Gesù Cristo » (ls). L'impegno della Congregazione nell'attività
missionaria dava un contenuto nuovo alla contemplazione della Chiesa « al cui
confronto tutto riesce a nulla microscopico »: « Chiesa, al cui incremento tutto
giova, la pace, la guerra, le persecuzioni, i ravvolgimenti politici, sui quali
ella qual arca sull'onde sempre galleggia » (l6); colonna solida che sari veduta
da tutti e sempre e dappertutto, sebbene oltraggiata da tanti cattivi cattolici
e attaccata dagli eretiti (l7); Chiesa che con la sua capacità di penetrazione, dà
prova di essere l'albero fecondo piantato da Cristo, che supera il confronto con
le società eretiche, le quali vantano il nome di Cristiane, ma « sono ristrette
a qualche regno, spesso a qualche provincia » (la), sterili, perché per loro « il
cangiare l'antica colla nuova regola di fede, fu cangiare un principio di con-
servazione con un principio di distruzione » (lg).
Spirito apostolico, preoccupazioni antiprotestantichc confluivano ad ali-
mentare in Don Bosco e nei suoi le aspirazioni missionarie; e si stentava ad
abbandonare argomenti polemici astratti, non rispondenti ai fatti, proprio
allora che il proselitismo protestante si mostrava vigoroso anche nell'Europa
cattolica e nelllAmerica latina (").
I principi di missionologia da cui allora cattolici e non cattolici si muove-
vano erano quelli della lievitazione trasformatrice, della lotta conquistatrice
e del confronto tra le varie « società » cristiane.
I n Don Bosco 1'Euntes in mundunz universum risuona anche in termini
di missione giuridica, cioè di mandato richiesto e ottenuto dal Papa, padre di
tutta la famiglia dei credenti, da cui perciò si attinge garanzia e benedizione
divina per la nuova impresa. I1 gesto d'inviare il primo drappello di missionari
a Roma nel 1875 per ricevere la benedizione del Papa mirava certamente a
dare più risonanza e p i ì ~autorevolezza pubblica all'opera salesiana, ma anche
era frutto di sincere esigenze religiose ("1.
(l5) BOSCO, Il Cattolico istruito, tratten. 6, p. 103-106.
(16) G. PERRONE, Il protestantesimo e la regola di fede, pt. 3, cp. 8, § 2, Torino,
Speirani e Tortone 1853, p. 596, dove si trovano espressi sentimenti e persuasioni che, ci
pare, si ritrovano in DB.
(l7) Bosco, Il Cattolico istruito, l. c., p. 104.
(l8) Bosco, I l Cattolico istruito, l. c., p. 105.
(lq) PERRONoE. C, ,, pt. 3, cp. 8, § 2, p. 596.
(9Qualche cenno in R. SYLVAINCl,erc, garibaldien, prédicant des deux mondes,
Alessandro Gauazzi, Quehec 1962, 2 vol.; AUBERT, Il pontificato di Pio I X , cp. 13, p. 645-
678. Si vedano inoltre P. F. DOUGLAMS,ethodism in America, in The Encyclopedia
Americana, 18, (1962), p. 723s; H. T. KERR,Protertantism in A,, l. c., 22, p. 685b-186;
H. G. HAGEMAN, Reformed Church in A., o.c., 23, p. 305-307 (con hibliografia).
(2') Lo si desume dalle reiterate dichiarazioni di DB. Si veda ad es. CHIALAD,a
Torino alla rep. Argentina, p. 52 S.
2. I selvaggi della Patagonia
Se egli si risolse a mandare i Salesiani in Argentina e non altrove, fu
probabilmente perché vari elementi gli davano motivo di sperare e di agire:
per esempio, il fatto che i suoi non si sarebbero trovati isolati, ma tra amici,
tra connazionali, presso i quali si sarebbe potuto costituire un clima analogo
a quello della patria lasciata, allorché le circostanze lo avessero richiesto; cioè
quando si sarebbe fatta sentire la stanchezza per il troppo lavoro o la nostal-
gia (U).I n secondo luogo in Argentina egli aveva i selvaggi, anzi: i suoi sel-
vaggi, giacché in essi gli parve di riconoscere quelli che aveva visto nel sogno
del 1870-71.
Selvaggi era parola magica, che suscitava l'interesse e la curiosità di &i
amava appressarsi quasi alle origini della natura umana, quale si era conservata
fuori della civilti, o quale si era abbrutita, sotto il peso del peccato originale,
dei vizi e delle passioni scatenate.
Clima di leggenda circondava i selvaggi della Patagonia, descritti dai più
antichi esploratori come giganti; riprodotti, ancora nel secolo decimottavo dalla
fantasia dei disegnatori di libri di viaggi, come colossi ai quali gli europei coi
loro tricorni arrivavano appena al di sopra della cintola, quasi all'altezza dei
neonati indigeni.
Selvaggi che ancora nel 1864 erano presentati dal Dizzonavio di cognizioni
utili edito a Torino, come dalle « larghe spalle, testa enorme, capelli neri e
ruvidi, poca barba, fisionomia senza espressione, e d'un'altezza di corpo di
circa sei piedi [tre metri circa], cosicché son forse i più alti del globo » (U).
La loro ferocia era adeguatamente ambientata in un terreno incolto, privo
di alberi, inospitale, dove spiravano fortissimi venti, dove essi si aggiravano a
cavallo rapidissimi armati di « lazo »,di « holo » e di lance che brandivano con
destrezza.
Appena giunti a Buenos Aires i Salesiani, obbedendo a una saggia dispo-
sizione di Don Bosco, si posero a scrivere lettere cariche di informazioni che
potevano essere utili a Torino per propaganda o per altro. Le prime informa-
zioni sui selvaggi patagoni erano atte a destare forti emozioni. Anche i Pata-
goni, ad esempio, erano stati e continuavano ad essere cannibali:
«SI, tutte le tribù che abitavano questi e gli altri paesi del mezzodì d'America,
come si conobbe poi, erano cannibali, cioè a dire antropofagi, parole che signifi-
cano mangiatori di carne umana; ed ancora oggidì in quei luoghi in cui, come
nella Patagonia, non poté penetrare la civilizzazione del Cristianesimo, si conti-
nuano a mangiare i prigionieri fatti in guerra, e con gusto speciale agognano la
carne dei bianchi, ossia Europei. . . Essi sono tuttora chiamati Indigeni-Americani,
(2)Appena sbarcati a Buenos Aires i primi missionari salesiani furono accolti anche
da ex allievi dell'Oratorio: 6.CHIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 226.
('3) Enciclopedia elementare. Dizionario di cognizioni utili specialmente alla studiosa
giouentl italiana. .., 8, Torino, Unione tip. editrice 1864, p. 55; che ricalca la Ntloua
enciclopedia popolare, 10, Torino, Gius. Pomha 1848, p. 515.

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parola che significa nativi del paese, o più comunemente Indiani, nome generico a
tutti gli Indigeni d'America » (").
Minutamente viene descritta l'operazione dell'antropofagia: dei capi i
quali «divoravano i corpi dei loro pari, mentre gli altri si satollavano in
quelli dei semplici guerrieri, e le madri consumavano le carni degli estinti
loro figli P; senza risparmiare neppure le ossa che « stritolate e frammiste a
(9. farina fornivano una specie di pane »
Con il procedere dei giorni si nota che l'interessamento dei missionari
per i selvaggi patagoni non si estingue. Dalle loro linee traspare la pregusta-
zione dell'effetto che farà sui giovani di Valdocco ciò che essi scrivono, o addi-
rittura sul gran pubblico Jell'Unità C u t ~ o l i ~cuhe ardisce pubblicare tali rela-
zioni; e insieme traspare la vivissima attrattiva che esercita su di loro la mis-
sione nella Pampa, tra le lance dei selvaggi, con il Crocifisso levato, attorniati
da bambini ingenui e festosi, da adulti prima attoniti e diffidenti, poi più
teneri e finalmente con il capo chino sotto le acque battesimali.
La cura a raccogliere quanto è possibile sapere di preciso sugli Indi fa
sì che anche le lettere diventino via via portatrici di notizie più attendibili.
Già in febbraio quanto descrivono poteva veramente meritare l'attenzione di
chi a Torino si preoccupava di assisterli e suggerire loro la tattica da seguire.
Leggiamo nella relazione del 10 gennaio 1876:
.« La Patagonia comprende tutta la parte più meridionale deli'America del
S u d . . sotto un clima inospitale essa non fu ancora esplorata da nessun europeo
fuori che nelle coste, ovvero in quelle parti che confinano coi mare.. . La parte
maggiore posta verso l'Atlantico è occupata da vasti deserti coperti in buona parte
di sale, di sabbia e da specie di praterie incolte senza vemn albero con rari ce-
spugli. . . Verso le Ande invece offre magnifiche foreste ricche di altissime piante . . .
. Pel dima la Patagonia può chiamarsi la Scandinavia deli'America, o la Siberia del-
?Asia. . il calore estivo supera difficilmente i 5 gradi Réaumur » (*).
Gli abitanti sono interamente selvaggi:
«Neppure hanno alcuna città, nessun villaggio, né dimora fissa. Si credono
divisi in nove tribù principali, che cambiano di abitazione secondo le circostanze,
recandosi anche a molte centinaia di miglia di distanza, portando seco tutto ciò
che possiedono al mondo, cioè alcune pelli che servono per coprirsi e far le loro
tende nel posto in cui si fermano. Non conoscono agri col tura^ e vivono solo di
caccia, specialmente della carne d'un animale tra loro chiamato guanaco » (").
(24) G. BARBERILSe, repubblica Argentina e la Patagonia. Lettere dei Missionari ra.
leriani, Torino 1877 (LC), p. 14: lettera da Buenos Aires, 5 gennaio 1876. Queste informa.
zioni e quelle che riportiamo più avanti esigono tutte di essere vagliate e appurate nella
loro esattezza. Ci si consenta di trascriverne qualche brano significativo soltanto nell'intento
di cogliere lo stato d'animo che poté suscitarsi a Valdocco. Si veda inoltre la conferenza
di DB del 6 febbraio 1876; MB 12, p. 78.
(") BARBERILSa, rep. Argentina, p. 15S.
(*) BAR BER^^, La rep. Argentina, p. 64s.
(27) BARBERILSa, rep. Argentina, p. 66.
Quanto ai Tehuelches:
«Essendo nomadi non si può designare con precisione dove abitino, sebbene
ordinariamente siano nella parte Sud-Est » (9.
Loro temperamento:
«Abbandonami ad una gioia feroce al vedere i patimenti dei propri nemici,
emettono grida selvagge, e brandendo le lancie, le fionde ed i "lazos" li circondano
da ogni patte. Uomini, donne, fanciulli contemplano chi soffre con barbara cu-
riosità, ... Sono di una perfidia profonda, mentitori superlativi: la falsità è uni-
versale ed inveterata con tutti » (").
Loro atteggiamento verso i civili:
« L a condotta di sterminio, che ancora presentemente verso loro esercita la
repubblica Argentina, fa loro odiare quanto dai popoli inciviliti potrebbero impa-
r a r e . . . I1 crudele strazio che ripetute volte fecero di tanti missionari, i quali
loro venivano per evangelizzarli, spaventò talmente ogni corporazione religiosa,
che da oltre un secolo più nessuno, per quanto consta, s'incaricò della evangeliz-
zazione di quei selvaggi » (30).
I n inarzo le notizie si facevano ancora più precise:
« La condizione materiale e spirituale degli Indi, ossia delle tribù dei Pampas
e dei Patagoni, ci riempie l'anima di profonda amarezza. I Cacichi di quelle tribù
selvagge sono in lotta col Governo. Quelli si lamentano di vessazionl ed angherie,
eludono le truppe accantonate per reprimerli, scorazzano per le campigne, rubano,
ed armati di carabine Remington fanno prigionieri uomini, donne, fanciulli, cavalli
e pecore, che troppo loro si avvicinano. I soldati del Governo per contro fanno
loro guerra a morte, sicché gli animi, lungi dall'avvicinarsi, non fanno che sempre
più inasprirsi e concitarsi a vicenda. Forse sarebbe ben altra cosa se, invece di
soldati, si mandasse una schiera di Cappuccini o di altri missionari: si salverebbero
ben molte anime, e la floridezza ed il benessere sociale metterebbe piede fra' qne'
selvaggi, come già un tempo fra quelli del Paraguay. Ben vi sono già alcuni mis-
sionari, ma questi sono pochissimi in paragone del gran bisogno e della vastissima
terra abitata dai selvaggi. Di più, nello stato di coliuttazione e di esasperamento
in cui si trovano gli Indi contro il Governo, i missionari possono fare poco o nulla.
Né crediate che questi selvaggi sieno tanto discosti da noi: non si ha che a
camminare un 60 leghe al S. O. per tosto trovarsi al loro contatto. Sono pochi
giorni che un selvaggio fu ammesso ad ascoltar la messa in una chiesa tra' Cristiani.
I n tutto il tempo del Divino Sacrifizio non tolse mai lo sguardo dal prete cele-
(a)BARBERILSa, rep. Argentina, p. 66 S. I Tehuelches vivevano a sud del rio Co-
lorado.
(n)BARBERILSa, rep. Argentina, p. 68s.
(30) BARBERILSa, rep. Argentine, p. 69. La realta era meno tragica di quanto le lettere
lasciano apparire. Gli argentini, ad esempio non avevano per principio lo sterminio. I
Tehuelches tendevano a difendersi e a fatsi valere, erano meglio trattabili di altri gruppi;
meno feroci, ad esempio, di tribù Pampas.

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brante. I selvaggi che vengono dalla provincia del Nord sono nerognoli, e più
ancora sono quelli verso la Bolivia, i quali hanno mani e piedi molto piccoli » (3').
Non più dunque notizie di antropofagi, ma descrizione veridica dello stato
d'animo e della situazione sociale e militare dei civili e dei selvaggi. Appare
anche che i Salesiani si erano resi conto che non erano gli unici a porsi il
problema della evangelizzazione. Già sul finire del 1872 l'arcivescovo di
Buenos Aires, mons. Aneyros, aveva istituito a questo scopo una commissione
e aveva chiesto nel 1873 una benedizione speciale a Pio IX. I1 fatto era stato
sottolineato anche a Torino dal Museo delle missioni c ~ t t o l i c h e ( ~ ) .
Ma che cosa e q possibile fare con popoli nomadi e ostiii, da cui ci si
poteva attendere l'incomprensione, la ferocia, l'abbandono improvviso, prima
ancora di riuscire a esprimersi e farsi capire?
3. Strategia missionaria salesiana
Don Bosco dovette rendersi conto di tutto questo. Da Torino non fece
alcuna pressione perché i suoi s'impegnassero in azioni rischiose, le quali
avessero soltanto lo scopo di sostenere in Europa l'ardore missionario dei gio-
vani, la propaganda e la beneficenza. Non esita tuttavia a far leva sui selvaggi
nelle circolari propagandistiche e nell'architettare la tattica missionaria. I1 piano
fu così disposto: aprire collegi nelle citti confinanti con le terre degli Indi,
accogliervi figli di selvaggi, avvicinare per loro mezzo gli adulti. Era una tattica
analoga a quella che nella lunga esperienza di educatore e dirigente di opere
educative aveva trovato efficace nei paesi civili:
«Aperte queste case - scriveva in una circolare dell'ottobre 1876 - attivati
questi ricoveri, si assicura la moralità e la religione fra gl'indigeni, si pu6 dare
una educazione scientifica e cristiana ai fanciulli di ogni classe, e intanto si colti-
vano quelle vocazioni ecdesiasticbe, che per avventura si manifestano tra gli allievi.
In questa guisa si spera di preparare dei missionari pei Pampas e pei Patagoni,
quindi i selvaggi diventerebbero evangelizzatori dei medesimi selvaggi senza pericolo
di vedere rinnovati i massacri dei tempi andati » (33).
Progetto tattico ingegnoso, ma per sé ancora assai evanescente e non
rispondente a una conoscenza adeguata dei fatti, sia per quanto riguardava
l'avere alunni indii, sia per quel che riguardava le vocazioni religiose ed eccle-
siastiche, sia infine perché bisognava che confluissero altre circostanze pro-
pizie se si voleva che non si verificassero i temuti massacri. Don Bosco tuttavia
0') BARBERIS, La rep. Argentina, p. 175s: lettera da Buenos Aires, 10 maizo 1876.
(32) Museo delle Missioni catt., 16 (1873) p. 63.
(33) CHIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 251.
ama far balenare il suo progetto agli occhi dei suoi figli, farlo apparire quasi
già una realtà, palesando loro le fasi che trasformavano il progetto tattico in
piano strategico, ormai che i Salesiani si erano attestati a Buenos Aires e a
S. Nicolis:
«Ora trattasi di effettuare un novello istituto nella città di Doiores, altro
a Carmen, ultimo paese della Repubblica Argentina tra l'Atlantico e la Patagonia.
Da lettere ricevute in questo momento dai Missionari ci viene data la grande
consolazione che in tre parti i selvaggi dimandano Missionari che vadano tra loro
ad annunziare il regno de' cieli. Altre case, altri ricoveri dello stesso genere sono
progettati nella Repubblica del Chili. Colà ci è offerto di aprire in Santiago, che
n'è la capitale, un ricovero per le moltitudini di fanciulli abbandonati, che vivono
senza istruzione, affatto privi di mezzi per conoscere Dio Creatore, un collegio a
Valparaiso, seconda città di quella Repubblica, un piccolo seminario nella città
di Concezione, ultima Diocesi al sud e confinante coi selvaggi della Patagonia » (%).
Sembra quasi che da ogni parte stia diventando imminente l'accerchia-
mento dei selvaggi Patagoni, sui quali avrehhero puntato, pacifici conquistatori,
i Salesiani.
Come accennano le lettere dei missionari, tentativi sporadici di penetra-
zione nella Pampa centrale e nella Patagonia erano stati fatti in passato, ma
propriamente da un cinquantennio non era più stata possibile un'attività orga-
nizzata a largo raggio. A sud, sulla foce del Rio Negro, avamposti militari che
avevano dato origine a piccoli centri di gauchos a Carmen di Patagones (o sem-
plicemente detta Patagones, ovvero Carmen) e a Viedma, erano religiosamente
assistiti dai padri Lazzaristi, i quali avvicinavano, quando era possibile, rag-
gruppamenti di Indi non lontani dai forti, come a Carhué, a nord di Bahia
Blanca (35).
Azioni coraggiose di evangelizzazione e pacificazione nel 1872 erano state
fatte presso tribù Ranqueles dai Francescani Minori che avevano avuto affidate
da Propaganda Fide le missioni della Pampa e avevano come centro di aiione
il convento di Rio Cuarto, considerato ancora nel 1876 avamposto di fron-
tiera P).Ma la situazione tesa tra Argentini e Indi in quegli anni rendeva
quanto mai difficile e precaria ogni attività che avesse voluto presumere di
organizzarsi sul tipo delle antiche riduzioni del Paraguay, descritte dal visconte
di Chateaubriand o dal Muratori.
Da tempo gli Argentini avevano costruito una serie di fortini, che veni-
vano impiantati sempre più addentro, man mano che coloni osavano collocarsi
in mezzo alla Pampa, esponendosi agli assalti e alle razzie dei guerrieri indiani
(i malones). Ma il sistema dei fortini dava una protezione davvero precaria,
(3)CHIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 250.
P5)R. TAVELLLAa,s Misiones Salesianas de la Pampn
. ..,
Buenos
Aires
1924
(infor-
mato, serio, attinge a documenti d'archivio); A. PALMIERAIr,gentine in DHGE, 1, Paris
1930, CI.41.61 (con ricca bibliogr.).
(39 TAVELLLAas, Misiones Salerianas, pc. 14, p. 178-188.

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«Appena essi videro scomparso il pericolo di essere massacrati, animati da
grassi stipendi, si recarono a piantare le loro tende nelle colonie cattoliche. Qui
sotto alla apparenza di esercitar la medicina, la chirurgia, la farmacia, prodigando
ogni sorta di mezzi, riescono a cagionare grave imbarazzo ai Missionari cattolici » (").
Espressioni che potevano avere (e nel caso, avevano) un fondamento
reale, ma lasciavano nell'ombra sinceri moventi religiosi anche di Protestanti,
la cui opera poneva a confronto, oltre che vari tipi di credenze, anche diversi
sistemi missionari, diversa preparazione tecnica, diverse attrezzature, diverse
possibilità finanziarie.
Uno degli ideali più cari a Don Bosco era di potere mostrare un giorno
Indi divenuti missionari. Già nel 1876 ne scriveva come se fosse qualcosa
già in atto:
« I1 progetto di formare dei missionari indigeni, pare sia quello benedetto dal
Signore, poiché vi son già dei giovani grandicelli indigeni i quali fecero richiesta
e vennero ammessi tra i Missionari. Vivo desiderio di costoro è di farsi ecclesiastici
e andar a predicare il Vangelo tra i selvaggi ~ ( 4 7 ) .
Era un sogno che all'atto pratico, in quelle circostanze si dimostrava asso-
lutamente irrealizzabile. Alle insistenze di Don Bosco i suoi figli d'America
opponevano la realtà. Non solo era impossibile avere Indi in noviziato, ma
era estremamente difficile ottenere che giungessero a buon compimento le
vocazioni di nativi.
Don Tomatis, missionario aduso alle grandi fatiche e che poteva vantare
un discreto successo tra gl'indigeni, scriveva a chiare lettere il 5 novembre
1885 che le vocazioni purtroppo si coltivavano con pochissimo esito:
« È raro che un padre permetta a suo figlio di farsi sacerdote; ragione per
ceuia,ltrmi,aligrsaadcoerdiotfiiocrheentilsasviomraincoolilnegiqudeesiteGteesrrueitis,onForanqcueassciantui,ttiBasitorannesiie,ri.L.a.zzOargisntii
anno entrano in Seminario venti giovani ed escono diciotto o diciannove»(*).
I dieci indigeni che Don Bosco aveva annunziato sulla via del Sacerdozio
nel 1876, futuri missionari dei propri fratelli di razza, erano una sua otti-
mistica speranza giacché erano con molta probabilità dieci nativi argentini, o
figli di emigrati, che sotto la sua penna, scrivendo ai benefattori, erano diven-
tati indigeni selvaggi (").
Quanto alle vocazioni, scriveva Don Tomatis, « stiamo peggio che in
terre d'infedeli »: « Da San Nicolis sono usciti finora quattro o cinque Sale-
(") CERI*,Epistolario 2297.
i. ". )Circolare edita in CHIALAD.a Solino alla re.o. Argentina,. o. 251
(&) MB 17, p. 631.
(q)Dali'elenco generale della Società salesiana degli anni 1876 e '77 non risulta
infatti alcun indio come ascritto; ma che i primi novizi non fossero indigeni è un fatto
risaputo nei mondo saiesiano argentino.
siani, e sono in Buenos Aires, novizi o professi triennali. Al presente però
abbiamo molte speranze » (").
Di fatto l'antico tronco spagnolo, i nuovi apporti di emigrati europei non
mancarono in seguito di corrispondere ai generosi entusiasmi, ai sudori e aUe
preghiere dei Salesiani, permettendo di costituire una casa di Noviziato a Bernal,
dove fu trasferito da Buenos Aires quello ch'era stato appena un desiderio o
un embrione.
I1 sogno di contare Indi ira le proprie file, vivente Don Bosco rimase solo
un sogno. Unico filo di speranza fu proprio un figlio del terribile cacico Manuel
Namuncuri, Zefirino, di cui oggi è in corso a Roma il processo di beatificazione.
Altre difficoltà provenivano daUa situazione politica tesa, creatasi dopo
l'assunzione di Julio Roca nel 1880 a presidente della Repubblica, tra Governo,
opinione pubblica della classe dirigente e i cattolici(").
In Roca e nella sua politica si trovano elementi contrastanti che sono
stati, e sono ancora oggi, oggetto di attenzione e discussione degli stessi storici
argentini: atti di forza, quasi brutale, ispirati all'antico giurisdizionalismo rega-
lista spagnolo, si alternano a gesti liberali, di longanimità verso i cattolici,
soprattutto quando interferiscono moventi di amicizia o di reale utilità pub-
blica della nazione.
Reazioni violente della stampa anticlericale suscitb nel 1880 una lettera
pastorale di mons. Aneyros. Non meno violenta fu la tensione nel 1884, quando
venne soppresso nelle pubbliche scuole l'insegnamento della Religione (come
del resto avveniva in paesi liberali d'Europa) con la clausola cb'era autoriz-
zato dove i genitori lo avessero richiesto per i propri figli. Proteste cattoliche
suscitarono misure repressive e l'espulsione entri ventiquattro ore del delegato
apostolico, mons. Luigi Matera, uomo dal temperamento alquanto diffide(%).
Ai Salesiani in tempi più vicini ai nostri venne rimproverato che nell'opera
di civilizzazione non si siano ispirati ai metodi dei Gesuiti del Paraguay. Ma,
oltre alle difficoltà etniche, climatiche, sociali, altre ve ne erano di ordine poli-
tico. Alla fase militare venne fatta seguire in Patagonia quella della « pacifica-
zione per mezzo della conversione dei selvaggi a1 cristianesimo
con
alcune limitazioni. I1 presidente Roca, scrive il Du Boys, « dichiarò che avrebbe
dato appoggio manifesto ai Salesiani, ma non vorrebbe che fossero create in
Patagonia, come si fece dai Gesuiti al Paraguay, delie riduzioni, cioè delie
colonie poste intieramente sotto la direzione d'una società di preti o di re-
ligiosi » t5').
("1 MB 17, p. 631.
( 4 9 ) B. GALINDELZa, revolucidn del 80. Historia politico argentino, Buenos Aires
1945: L. B. Kn~ss,Arrentine Liberalism and the Church under Julio Roca, in Amhicas
30 (1973-74), p. 319-346.
(3)M. J. SANGUINETTI, Reprexentacibn diplomdtica del Vaticano en los paises del
Piate, Buenos Aires 1954; PALMIERaI.,C,, cl. 54.
(51) Du Bous, Don Bosco e la Pia Soc. Salesiana, p. 201.
(52) Du Bous, Don Bosco e la Pia Soc. Salesiana, p. 201: traduzione di lettera ael
20 dicembre 1880.

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Forse fu il timore che i Salesiani creassero uno Stato dentro lo Stato, che
trovò avverso il presidente argentino non soltanto al progetto di riduzioni,
ma anche a quello di un Vicariato della Patagonia per il quale nel 1880,
ancora in tempi di precaria amicizia tra Governo argentino e S. Sede, Leone XIII
- come scriveva Don Bosco - desiderava vivamente il consenso del generale
Roca, senza il quale, soggiuiige Don Bosco « la Propagazione della Fede ci dà
niente e le nostre Missioni e la stessa autorità governativa nella Provincia
Patagonica sono sempre incertissime » (").
Precipitate le relazioni diplomatiche tra Governo argentino e S. Sede,
Propaganda Fide si decise a un'azione unilaterale, in base solo ai suggerimenti
dati dai Salesiani e dalla Curia vescovile di Buenos Aircs. Smcmbrati da questa
diocesi alcuni territori, il 16 novembre 1883 furono eretti il Vicariato apo-
stolico della Patagonia settentrionale e centrale, e la Prefettura apostolica
della Patagonia meridionale e Serra del Fuoco. Primo vicario apostolico fu
mons. Cagliero; primo prefetto apostolico, Don Fagnano. Una lettera di
Don Bosco del 31 ottobre 1883 al generale Roca che informava sulle imminenti
decisioni e tendeva a strapparne il consenso, fu un tentativo disperato, che
non ottenne risposta ("). Mons. Cagliero, preconizzato il 13 novembre vescovo
titolare di Magida, fu consacrato a Torino nel santuario di Maria Ausiliatrice
il 17 dicembre 1884. Sbarcò a Montevideo il 12 marzo 1885 e il 23 si arri-
schiò a passare a Buenos Aires. Poggiando quindi sull'amicizia personale di
Don Costamagna con il generale e sulla simpatia che questi manifestava di
avere per l'abilità e la carità di Don Bosco, riuscì a ottenere il benestare alla
situazione di fatto. L'8 luglio fece il suo ingresso a Patagones, ottenne di
riavere al fianco Don Milanesio, che nel 1883 era stato espulso dal governatore;
iniziò la riorganizzazione dei centri missionari, potenziò l'attività dei suoi col-
laboratori, esercitando un valido influsso su indi e civili ("). Solo allora poté
dirsi su basi sicure e promettenti l'opera di civiltà e di evangelizzazione.
. Don Bosco seguì per le missioni della Patagonia una traiettoria analoga
a quella che percorse nel creare la Società Salesiana. Poggiando su complesse
necessità civili e religiose dell'Argentina, s'introdusse nel paese col favore e
i'aiuto delle autorità ecclesiastiche e politiche, con la simpatia del popolo e
delle congregazioni religiose, con i sussidi della beneficenza internazionale. Poi
(") DB a Don Giacomo Costamagna, Torino, 12 novembre 1880, Epistolario, 3,
n. 2108.
~~
~~~
P') MB 16, p. 379 s; Epistolario, 4, n. 2439.
(9J. e F. AVEI~ÀM,ons. Dr. Mariano A. Espinosu, Buenos Aires 1945; L. CARBAJAL,
Le rnissio>ri salesiane nella Patagonia e regioni rnagellaniche studio storico-statistico, S .
Benigno Canavese 1900, p. 16s; L. MASSAS,.D.B., Monogrufa de Maguilunes. Sescntn
ufios de uccidn salesiuna en e1 Sur. 1886-1946, Punta Arenas 1945 (opera dei missionari
francescani e poi dei Salesiani, specialm. di mons. Fagnano); R. ENTRAIGAMSo,nsc>jor
Fagnano. . . , Buenos Aires 1945; ID., E1 apostol de lu Patagonia, Rosario 1955 (biografia
documentata del card. Giovanni Cadiero).
volse tutto in modo da ottenere l'autonomia giuridica ai suoi, sia come reli-
giosi, sia come missionari, senza che venisse meno la consistenza civile, assi-
curata economicamente, oltre che dalla beneficenza, dal giusto provento del
lavoro educativo e civilizzatore nei collegi, nelle parrocchie C neil'attività
missionaria.
4. Collegi, parrocchie e assistenza agli immigrati
Stando a quanto riferisce Don Chiala già nel 1876, Don Bosco si sarebbe
orientato a scegliere le mission~della Patagonia prima ancora che da Varazze
gli venisse indirizzato Giambattista Gazzolo, attraverso il quale furono ini-
ziate le trattative per la fondazione di un collegio salesiano a S. Nicolis de
10s Arroyos P).
La proposta di S. Nicolis sarebbe arrivata in buon punto per concretare
anche il piano tattico di penetrazione missionaria. Ciò che riferisce Don Chiala
oggi lascia veramente perplessi, anche perché abbiamo poco altro che ci aiuti
a stabilire, se quanto egli scrive sia solo un espediente propagandistico oppure
una reale convinzione che circolava a Valdocco. Egli scrive, comunque, a
proposito dei Patigoni che, « siccome i missionari che in passato tentarono di
penetrare in quelle tribù rimasero quasi tutti pasto di quegli antropofagi;
cosi venne fatto un nuovo piano. Stabilire collegi ed ospizi nei paesi conlinanti
coi selvaggi; ricevere anche i loro ragazzi, per conoscere la loro lingua, i loro
usi e costumi, quindi iniziarvi in cotal guisa alcune sociali e religiose relazioni.
Era pertanto necessario di cominciare ad aprire un Ospizio a Buenos Ayres
come centro di comunicazione, e giunse eziandio opportuna l'offerta del col-
legio di S. Nicolis » (").
Buenos Aires, dunque, e S. Nicol6~idealmente avrebbero dovuto essere
soltanto basi strategiche. Ma come per l'azione missionaria, cosi anche per la
linea di condotta da tenere nei centri civili le circostanze concrete rapidamente
spinsero ad assumere nuove direzioni. A Buenos Aires non ebbero requie i
nuovi arrivati, esterrefatti allo spettacolo di una popolazione di buona indole
e di buone tradizioni, rispettosa verso i sacerdoti, generosa con loro, ma estre-
mamente ignorante e quanto nessunJaItra bisognosa di assistenza religiosa. Stan-
do alle loro lettere, circa trentamila italiani a Buenos Aires e quasi trecentomila
in tutta la Repubblica, data la penuria di sacerdoti connazionali, erano quasi
abbandonati a se stessi (9.Dun Cagliero e i suoi confratelli si sentirono come
pioggia avidamente assorbita da terreno riarso(sg). Mancava soprattutto l'assi-
(5" CHIALADa, Torino alla rep. Argentina, p. 21.
(57) CHIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 21 S.
(58) BARBERISL,a rep. Argentina, p. 42.
(59) CIIIALAD,a Torino alla rep. Argentina, p. 231.

10.2 Page 92

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
stenza ai giovani: la categoria prediletta. Don Cagliero e i suoi collaboratori
trasecolarono nel trovarsi attorniati benevolmente da giovani, « per lo più
italiani », alcuni dei quali dai sedici ai diciotto anni, che, richiesti di fare il
segno della Croce, guardavano meravigliati, non comprendendo che cosa loro
si volesse dire, e richiesti se andavano a Messa nei giorni festivi, rispondevano
di non ricordarsene mai, perché non sapevano quando era domenica e quando
no ( M ) .
Mancavano collegi un po' dappertutto. Nel giro di poche settimane
Don Cagliero fu assediato di richieste. Da Dolores, da COrdoba presto arri-
varono proposte e promesse di aiuti da parte di ecclesiastici e di laici("'). Da
Montevideo venne a chiedere i Salesiani il segretario del delegato apostolico,
mons. Vera, a nome' del suo prelato, prospettando il bisogno urgente nella
capitale. « Una capitale di 100 mila anime - constatavano dolorosamente i
missionari -, non ha un collegio cristiano! Non vi è in tutta la Repubblica
un seminario né piccolo né grande; non un chierico! Eppure quella repubblica
è vasta quanto metà l'Italia!
In Argentina venne anche fatta balenare l'importanza e la risonanza che
avrebbe avuto una casa di artes y officios; si disse che il municipio di Buenos
Aires era anche disposto a dare il terreno e l'occorrente; si affermò che l'aper-
tura di una casa di artigiani, analoga a quelle che i Salesiani avevano già in
Italia e in Francia, avrebbe fatto epoca, sarebbe stato un avvenimento da no-
tarsi nella storia patria, avrebbe riempito d'ammirazione tutta la Repubblica,
avrebbe fatto un bene immenso(63).I1 presidente della Società di S. Vincenzo
de' Paoli, da parte sua, si dichiarava disposto ad aiutare per l'impianto di un
oratorio festivo e di un ospizio; altri mostravano come mancava una stampa
indirizzata agli immigrati italiani e offrivano i propri servigi (M). Dovunque poi,
stando alle lettere dei missionari, si dilatava la fama dei Salesiani, che si occu-
pavano dei giovani, coltivavano la musica, erano disinvolti, gioviali, lavoratori.
La musica sacra e profana di Don Cagliero in poco tempo penetrò nella città:
se ne sentiva la melodia nelle chiese e per le strade, canticchiata da uomini e
ragazzi.
Ci si rese conto del clima favorevole. Si era infatti in tempi in cui i go-
verni e la classe dirigente dell'America latina si mostravano benevoli verso le
congregazioni che dall'estero venivano per dedicarsi all'educazione dei giovani
e del popolo. Ci si rese anche conto dell'nrgenza di molte opere. A COrdoba,
avvertiva Jorge C. Poulson, professore della locale università, la popolazione
era in generale buona e religiosa, ma poiché esisteva soltanto il Collegio nazio-
nale (oltre a un piccolo seminario a suo giudizio insignificante, male organiz-
(W) CHIALADa, Torino alla rep. Argentina, p. 231.
P') BARBERLISa ,rep. Argentina, p. 8: lettera del 3 gennaio 1876.
(62) BARBERLISa, rep. Argentina, p. 114: lettera del 5 febbraio 1876.
(a)BARBERLISa,rep. Argentina, p. 115: lettera del 5 febbraio 1876.
(M)Museo delle Missioni cattoliche 19 (1876) p. 291 S.
182
zato e poco frequentato) si doveva temere che sarebbe decaduta affatto in
pochi anni (65). A Buenos Aires vi erano « molti giornali cattivi, molti libri
immorali e molti incentivi al male » (").
Dalla lettura di quanto scrivevano dali'Argentina Don Bosco poteva ren-
dersi conto che, a differenza di ciò chc veniva riferito sui selvaggi, le notizie
riguardanti i civili corrispondevano alla situazione concreta, analoga a quella
che egli, giovane prete, aveva conosciuto a Torino quando aveva iniziato l'Ora-
torio specialmente con giovani immigrati, affine a quella che aveva determinato
l'orientamento della Congregazione verso i collegi, gli ospizi, sotto la spinta delle
esigenze dei Cattolici. In più, in America era anche gravissimo il problema
dell'assistenza agli immigrati italiani che in quegli anni toccavano altissime
punte (").
Nel giro di pochi mesi si posero le premesse a tutte quelle che sarebbero
state le opere dei Salesiani in terra americana. Dal 1876 al 1888 si susseguirono
dieci spedizioni missionarie, che fornirono braccia per incrementare l'opera tra
gli Indi, ma soprattutto, nella grande maggioranza, per fondare e alimentare
sette centri missionari in Patagonia e diciannove case in Argentina, Umguay,
Brasile, Cile ed Equatore: parrocchie, oratori, collegi per studenti e artigiani,
ospizi, stamperie e librerie. I Salesiani che erano partiti con la speranza della
missione romantica, destinati a opere tra civili, tosto comprendevano quanto
fosse immane, necessario e urgente il lavoro a cui Don Bosco li aveva destinati.
(65) BARBERLIaS,rep. Argentina, p. 145: lettera del 20 febbraio 1876.
(66) BARBERLISa, re*. Argentina, p. 174: lettera del 10 marzo 1876. Notizie, queste,
che intendiamo prendere solo per la hnpressione che fanno giungere a Torino. Si veda
anche J. TONELLGI,aribaldi y la masoneria argentina, Buenos Aires 1954; J. BELZA,
S.D.B., En la Boca del Riachuelo. sin tesi^ biografica del sacerdote s~lesianodon Esteban
Bourlot, Buenos Aires 1957 (attlnge ad archivi ecclesiastici e civili).
(67) Cf, M. JEFPERS.OCN. E. PMY, Argentina, in Encyclopedia britannica, 2 (London
1960) p. 324.327; J. ARCE, Argentina, in The Encyclopedia Americana, 2 (New York 1962),
p. 196-221. Tra il 1880 e il 1886 la media annua degli immigrati era di 40.000 persone.
Nel 1876 venne emanata una legge per gli immigrati, molti dei quali erano italiani. Per
ouanto riauarda la cura degli emigrati italiani, si vedano manografie su mons. Scalabrini,
s;l ~ o n o ~ e lel isulla madre Cahrini.
Pub essere indicativo della mentalità di Valdocco nei riguardi dell'America un opu-
scolo di Don Luigi Guanella, Saggio di ammonimenti famigliari per tutti ma piir particolar-
mente per il popolo di campagna, Torino, tip. dell'oratorio di S. Francesco di Sales 1872:
in America gli emigranti trovano « turbe di gente confusa» (p. 180), un paese di violenze
(p. 181), dove i forestieri sono odiati « e chicchessia nella speranza di spogliarti di qualche
lira, non dubita un momento a rovesciarti cadavere sulla pubblica via, e in sul mezzo-
giorno, perciocché dalle mani della giustizia è cosa facile sfuggirne » (p. 182); « e trovi
altresì in tale abbondanza le donne di mal d a r e , gli scandali, le rappresentazioni oscene,
non che i teatri, i divertimenti e le osterie, che in confronto i nostri paesi di campagna
soprattutto sono come giardini eletti di devozione D (p. 181). L'America è un paese dove si
perde la fede per mancanza di assistenza religiosa e per la grande abbondanza di «compagni
. cattivi, i quali coilo scherno e coll'aperta violenza ti distolgono dal frequentarle [le chiese1
- ,n
1-8-1,.)
P- e-r-
( I ~ ~ S C ' ~ ~ U S DC Oon~ OGuanella
A~~~~
ebbe
non
poche
noie:
cf. A. TAMDORNDI,on
Luigi Guanella, Bari 195@, p. 90-95.

10.3 Page 93

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
5. Clima di epopea missionaria
Se ben si guarda, in Europa e soprattutto a Valdocco, pur non dimenti-
cando le esigenze dell'America civile, le predilezioni, anche a distanza di anni
dai primi progetti, vanno alle missioni, ai selvaggi, alla loro metamorfosi da
feroci e sanguinari, a miti e chini davanti al missionario, inteneriti dal Van-
gelo, portati alla civiltà, divenuti terra feconda di speranze per la Chiesa e per
la Congregazione. Agli occhi dei giovani trasognati Don Bosco fa balenare
visioni profetiche sui futuri trionfi della Chiesa in America e nel mondo:
l'America del Sud che sarebbe divenuta ereditiera del cristianesimo e della
civiltà europea, dal momento che in Europa si diede mano a spogliare le
chiese ("). Schiere di nuovi credenti, grandi e piccoli, uomini e donne di ogni
generazione, di diversi colori, di diversi atteggiamenti, turbe interminabili si
sarebbero assise con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice alla mensa
celeste. Dovunque, sarebbero risuonati gli osanna ai selvaggi che, dopo aver
bevuto il latte della parola divina offerta dai loro educatori, a loro volta sa-
rebbero divenuti banditori della buona novella. Schiere e schiere sarebbero
passate dalla terra al cielo inneggiando festevolmente ai trionfi di Dio, alla
divina gloria nei secoli sempiterni (69).
Ancora una volta pare di sorprendere nei temi di Don Bosco nuove mo-
dulazioni del primo sogno: l'ottimistica visione del mondo e degli uomini
visti nella prospettiva della propria esperienza; il trionfo di Dio (non si bada
alle apostasie) che risulta dalla trasformazione continua di lupi in agnelli, di
agnelli in pastori, di selvaggi idolatri in evangelizzatori, di mortali in partecipi
della divina eternità.
Espressione del clima di epopea missionaria creatasi allOratorio e nelle
altre case salesiane sono i libri di Don Lemoyne su Cristoforo Colombo e su
Francisco Pizarro, sugli Incas e sulla conquista deU'America alla civiltà e alla
fede (70).I1 dramma in cinque atti: Una spevanza, ossia il passato e I'avuenive
della Patagonia, edito a S. Benigno nel 1884, fa rivivere bianchi cattivi e tradi-
tori, indi feroci armati di lance, che prima di accingersi alla carneficina dei
bianchi fanno di notte la danza di guerra, missionari buoni che si affezionano
indietti, il trionfo dei buoni che annientano i ben architettati disegni dei
bianchi traditori e portano intere tribù alla conversione, favoriti dal Cielo
che elargisce una visione della Divina Madre al gran capo indiano (71). « Negli
P)MB 17, p. 301.
MB 17, p. 305. B il momento dell'entusiasmo per la consacrazione episcopale di
mons. Cagliero. Questo sogno del 31 gennaio 1885 venne redatto da Don Lemoyne, su
esposizione fattane da DB; forse per questo è letterariamente uno dei più enfatici e ri-
dondanti.
Fa una rassegna deUe opere di Don h o y n e F. DESRAMAULTe,s Memorie I,
p. 17-19.
. (71) Tra i'altro si aUude alle non remote consuetudini cannihalistiche attribuite ai
Paragoni: «Trenta anni fa i'avremmo arrostito a lento fuoco.. »: atto 5, scena I,
(S. Benigno Canavese 1884, p. 75).
anni delle prime spedizioni - scriveva Don Ceria, testimone diretto - Pata-
gonia era parola che infiammava le immaginazioni giovanili. I1 fortunato dramma
di Don Lemoyne ritraeva insieme e alimentava questo generale stato d'animo.
Quanti sognavano avventure tra gli Indi, scorrazzanti per quelle libere ter-
re! » ("). Sono espedienti propagandistici, generazione spontanea di entusiasmi
religiosi, che ci manifestano i segreti e i limiti dell'attività missionaria di
Don Bosco e della Società Salesiana nei suoi primi lustri. Un'attività che parte
da un ambiente semplice, popolare, talora ingenuo, di una cultura non in tutto
aggiornata; ma che, proiettandosi in grandi imprese, sa sviluppare inattese doti
di percezione e di adattamento.
I1 punto di arrivo è analogo all'ambieute di origine: un ambiente semplice,
popolare, più o meno indigente, più o meno colto. I condizionatori, anche per
le missioni, finiscono per dimostrarsi in gran parte propizi; gli uomini sono
benevoli, anzi desiderosi di quel tipo di attività offerta da Don Bosco e dai
Salesiani.
Si ha allora l'impressione che in ciò si manifesti uno degli aspetti carat-
teristici di Don Bosco: la capacità (per intuito o per riflessione) a sapere
scegliere non soltanto le forze a lui congeniali, ma anche i luoghi dove appli-
carle, e i tempi, con la garanzia del successo.
Dal felice impianto dell'esperimento americano il fondo religioso di
Don Bosco trae motivo a nuovi pronostici. Egli avverte il « lieto avvenire
preparato dalla Divina Provvidenza, e la gloria duratura, fino a quando si
osserveranno fedelmente le Costituzioni >> e soggiunge: « A suo tempo si
porteranno le nostre missioni nella China e precisamente a Pechino. Ma non si
dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri ed abbandonati. fra popoli
sconosciuti ed ignoranti del vero Dio si vedranno le meraviglie finora non
credute, ma che Iddio potente farà palesi al mondo » ("1.
(7l) CBRIAA,nnali, 1, p. 265. Don Francesia rievoca il delirio dei Salesiani di Varazze
quando sul mare si profilò la nave che portava i primi loro confratelli missionari, il 12
novembre 1875: «Verso le due del pomeriggio eravate nelle acque di Varazze, io vi
accompagnavo con l'occhio a col cuore, mentre i nostri allievi cercavano di vedervi dalle
finestre dei CoUegio, dalle piante del cortile, ed anche i nostri concittadini sparsi per la
spiaggia vi contemplavano con i cannocchiali. Che ore di angoscia! Mi parve che il ba-
stimento si fosse avvicinato quasi a vostra richiesta, e ve ne ringraziava. Era tale la
commozione di tutti, che non si pott andare a tempo in Cappella, si dovettero sospendere
le funzioni, e quell'io, che sì dficilmente tralasciava di predicar loro alla sera, mi trovava
tanto commosso, che me ne dovetti dispensare. Due ore stetti immobile, appoggiato al
davanzale della finestra, per guardarvi. Quando poi il bastimento scomparve alla mia vista,
io mi accorsi d i aver versato molte lacrime. Addio, gridai, o cari Amici! I1 buon Dio vi
sia di scorta nel pericoloso viaggio! » (Dedica: A i nostri cari missionari dell'America del
Sud, in A monsignor Daniele Comboni vic. ap. dell'Africa Centrale. Accademia letteraria
della solenne distribuzione dei premii per l'anno scolastico 1881-82 nel collegio Valsalice,
1882 Torino, tip. Salesiana, p. 4).
(73) Memorie dal 1841 al 1884-j.6 pel Sac. Gio. Bosco a' suoi figliuoli Salesiani,
1 quaderno (AS 132 Quaderni-Taccuini; DESRAMAULeTr , Memorie I, p. 21) riprodotto
sulle MB 17, p. 257-273. Il testo che riproduciamo è a p. 273.

10.4 Page 94

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
In contemplazione tra cielo e terra la sua coscienza religiosa esprime pro-
feticamente progetti o punti di vista, che possono sembrare audaci o ingenui
o intuizioni di chi ha imparato a scrutare gli uomini e le loro tendenze e se
n'è fatto un giudizio globale positivo. « I1 mondo - egli afferma - ci riceverà
sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai
selvaggi, ai fanciulli più poveri, più pericolanti della società. Questa è per noi
la vera agiatezza che niuno verrà a rapirci » (74).
FONTI
A. AS 123 Aneyros; Ceccarelli, ecc.; 126 e 131: carteggi di DB con missionari, a u t o
tità e amici relativi aile missioni (Aneyros, Cagiiero, Ceccarelli, Fagnano, Milanesio, ecc.),
in particolare: Franchi e Simeoni (prefetti della S. C. di Prop. Fide).
B. AS 132 Missioni: carte relative alle spedizioni missionarfe e abbozzi di articoli
destinati a periodici (Unitd Cattolica, Missioni cattoliche, Museo delle Missioni cattoliche,
Bollettino salesiano).
- C. AS 6. 3j il fondo riguardante le missioni salesiane e l'assistenza degli emigrati
(lettere arie. di missionari. trascrizioni in quaderni. incartamenti sulla fondazione e sull'atti-
vita delle singole missioni). I n particolare: 64 Patagonia; Terra dei Fuoco.
BIBLIOGRAFIA
L. CARBAJALL,a Potagonia. Studi generali, S. Benigno Canavese 1899-1900, 4 vol.
(documenta l'informazione che avevano i Salesiani di Torino alla fine del sec. XIX). Atlante
dell'opera del ven. Don Giovanni Bosco, edizione extraconzmerciale, Torino 1926.
V . F. LOPEZ, Historia de la Republica Argentina, Buenos Aires 1913, 10 vol.,
G . PENDLEA, rgentina, London 1955.
A. SANTOS HERNANDEZB,ibliografia misional. 11. Parte histdrica, Santander 1965 (utile
nell'insieme, ma per le missioni in Patagonia molto iacunosa, discutibile nella selezione e
. descrizione delle opere; cf. Chile: p. 835839; Argentina: p. 839-843).
F. MANZOTTIL, a polemica sull'emi~rarione nell'ltalia unita. . , Roma 19692.
CAPITOLO VIII
LE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
1. Don Bosco e Suor Clarac
È abbastanza facile costruire una serie ordinata dei fatti che hanno por-
tato alla trasformazione delle Figlie di Maria Immacolata di Mornese in Figlie
di Maria Ausiliatrice; la Pia Unione sorta dal fervore di alcune fanciulle
guidate dal loro direttore spirituale, Don Domenico Pestarino, in suore di
una congregazione religiosa dipendente da Don Bosco, da gruppo di provincia
gravitante nel campo d'infiusso di Giuseppe Frassinetti parroco a Genova in
congregazione passata nell'orbitasspirituale di Torino e di Don Bosco (l).
Non lo è altrettanto il determinare i moventi ch'ebbe Don Bosco, il pre-
cisare come germinarono e quale peso ebbero nella mente di lui e nello svol-
gersi dei fatti: e nemmeno è facile rispondere con sicurezza a certi interro-
gativi fondamentali.
Quando e come (ci si può chiedere) Don Bosco cominciò a pensare a
una congregazione religiosa femminile? Perché mai si rivolse al gruppo di
Mornese e non pensò a costruirsene uno a Torino o in altre zone più consuete
alla sua presenza e alla sua azione? Fu la presenza di Don Pestarino nella
propria orbita che suggeri l'idea di fondate una congregazione femminile;
oppure, viceversa, fu il pensiero di assorbire le Figlie dell'Immacolata che
lo spinse ad attirare Don Pestarino nella Congregazione Salesiana? Pensò
davvero inizialmente a una congregazione femminile, oppure a un «corpo
(l) I n tal senso si vedano F. MACCONOS,uo" Maria Mozzare110 prima superiora ge-
nerale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Torino 193P; ID., La beata Maria Domenica Maz-
zarello confondotrice delle Figlie di Maria Auriliatrice, Alba 19403 (riassunto dell'opera pre-
cedente); LEMOYNE - AMADEI, 10, Torino 1939, p. 575-660 l'esposizione più esatta
e documentata. Don Amadei fu assistito da madre Clelia Genghini, segretaria dei consiglio
generalizio delle Figlie di M. A,); E. CERIA, Santa Maria Domenica Mazzarello confonda-
Irice dell'lstituto delle Figlie d i Maria A,, Torino 19522 (esposizione gradevole fatta in base
alle MB e al Maccono); E. CERIA, Annali della Soc. snlesiana, 1, Torino 1941, p. 196-206.

10.5 Page 95

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
morale » analogo a quello dei Salesiani, con voti labili e con membri esterni,
senza voti?
Sappiamo in base a fonti sicure che Don Bosco si compromise ufficial-
mente davanti ai Salesiani per la fondazione di un Istituto femminile sol-
tanto il 24 aprile 1871, giorno in cui egli al capitolo dell'oratorio disse che
molte persone ripetutamente lo avevano esortato a fare per le giovanette
quanto aveva fatto per i ragazzi. Soggiunse che, se avesse badato alla propria
inclinazione, non si sarebbe sobbarcato a quel genere di apostolato, ma sic-
come gli erano state rivolte parecchie istanze da persone degne di ogni stima,
avrebbe temuto di contrariare i disegni della Provvidenza, se non avesse preso
la cosa in seria considerazione. Chiedeva perciò ai suoi consiglieri di riflettere,
pregare e dargli dop6 un mese il loro parere(2).
Con la data di quel medesimo giorno Don Bosco spedì alla Superiora
dell'Istituto di S. Anna, suor Maria Enrichetta Dominici, un esemplare delle
Costituzioni dei Salesiani (un manoscritto italiano?) 0)annettendovi probabil-
mente anche il Regolamento delle Figlie dell'Immacolata di Mornese e chie-
dendo ch'ella volesse adattarlo per un « istituto di religiose s, denominato
«Figlie dell'Immacolata », nel senso che aveva avuto già occasione di esporle
a voce. Chiaramente dunque già in quel tempo Don Bosco appare orientato
verso Mornese.
Ma da quando cominciò a esserlo? da quando superò l'ostacolo che,
stando alle sue dichiarazioni, gli sarebbe venuto dalla sua « inclinazione »?
che cos'era poi questa « inclinazione » che lo rendeva restio a interessarsi di
un istituto femminile? I1 fatto ch'era femminile, oppure l'avere già provato
quanto costasse impegnarsi nella fondazione di un istituto religioso in quei
tempi e in quei luoghi?
Comunque sia, per potere scoprire qualcosa di più sui moventi di Don
(2) Parole rivolte al Capitolo dellOratorio e passate a verbale: MB 10, p. 594.
(3) Inedita, autogr. di DB a madre M. E. Dominici (1829-1894) presso i'Arch. gen.
Suore di S. Anna e della Provv., Torino, via della Consolata:
« 24-4-71 / Rev.da Sig. Madre / Consegno a Sue mani il regolamento della nostra congr.
aiiinché Ella abbia la bontà di leggerlo e vedere se si può accomodare ad un istituto di
religiose nel senso che ebbi l'onore di esporle di presenza. / Dovrà cominciarsi dal W 3"
- Scopo di questa istituzione Figlie dell'lmmacolata - Di poi togliere ed aggiungere
come giudicherà nella sua saviezza per fondare un istituto le cui figlie in faccia alla
Chicsa siano vere religiose; ma in faccia alla civile Socittà siano altrettante libere citta-
dine. / Que' capi o articoli delle Regole di S. Anna che potessero essere adattati mi farà
molto piacere di farlo. / Quando giudicherà bene che ci parliamo, ella può farmelo dire
da qualcheduno de' nostri cberici o fattorini che sovente capitano costà. Incomodo novello
certamente è questo, ma credo tornerà alla maggior gloria di Dio. Che se riusciremo a
guadagnare qualche anima ella ne avrà la maggior parte. / Dio benedica Lei e tutta la
sua religiosa famiglia, e raccomando me e questi miei allievi alla carità delle sante
sue preghiere mi .professo con gratitudine / di V. S. R. da / Obbl.mo Servitore / Sac. Gio.
Bosco D.
I1 N" 3 Scopo (e non finir) sembra indicare il capo 3 delle Regole della Società di
S. Francesco di Sales: Scopo di questa Società.
Bosco, punto nodale appare la decisione, presa e manifestata a quel tempo.
Orbene, una serie di fatti che avevano il loro epicentro a Torino, fa pensare
come non sia da escludere che egli si sia potuto decidere a servirsi delle gio-
vani di Mornese soltanto verso il 1870-71, nonostante già prima avesse curato
di non perderle di vista.
A Torino esistevano varie opere per l'assistenza delle giovani. Non sol-
tanto si era interessata di loro la marchesa Barolo nei primi decenni dopo la
Restaurazione, ma anche varie famiglie religiose che via via si erano stabilite
nella capitale del Piemonte. Qua e sorgevano o rivivevano ospizi, pensio-
nati, scuole, collegi e anche un oratorio festivo ('). Un altro oratorio era stato
iniziatn nel 1860 sotto la direzione del gesuita padre Sapetti, per la gioventù
femminile povera e abbandonata. L'ispirazione era, a quanto pare, in parte di
origine bresciana e in parte torinese; a imitazione di quanto facevano in terra
lombarda le Orsoline di S. Angela Merici e Don Bosco a Torino (').
Nel 1862 la suora della Carità, Maria Luisa Angelica Clarac, ritornata
a Torino (dove era giunta dalla Francia nel 1854) dalla Sardegna, era stata
preposta a un'opera caritativa, sostenuta da una Società di Dame della Carità
delle parrocchie di S. Massimo e della Madonna degli Angeli ('). Nell'ottobre
1865 tutte le opere di beneficenza che avevano sede in via Borgo Nuovo
(via Roma) furono trasferite in una casa di via S. Pio V ad angolo con il viale
del Re (corso Vittorio Emanuele), poco discosto dall'Oratorio di S. Luigi in
Porta Nuova gestito da Don Busco, e dalla chiesa valdese. Cinque erano le
opere traslocate: un nido per bambini della primissima infanzia, un asilo per
bambini dai tre ai sei anni; laboratorio femminile (di sartoria); orfanotrofio
femminile; ambulatorio per poveri; assistenza dei poveri a domicilio. Don Bo-
(4) Ne fanno la descrizione e l'elogio le monografie e guide di Torino che abbiamo
più volte ricordato: del Bertolotti, del Baricco, del Pettinati, del Casalis. L'oratorio festivo
femminile venne aperto dal teologo Gaspare Saccarelli, coetaneo di DB (1817-1864) non
molto discosto da Valdocco, in via S. Donato, nel 1850. La traiettoria dell'opera fu ana-
loga a qilella di DB: « I1 buon prete, che non aveva grandi ricchezze, ma nn'anima
ardente e pietosa, incominciò coli'aprire un piccolo Oratorio festivo i~ una casa di questa
via. All'Oratorio aggiunse poi una scuola infantile, indi aperse una Casa più ampia per
il ricovero delle povere orfane abbandonate e figliuoli di poveri, cui il lavoro dei loro
genitori era insufficiente a sostenere e ad educare.. . la carità dei privati non gli venne
meno all'impresa D: cf. G. TORRICELLA, Torino e le sue vie illustrate con cenni storici,
Torino, tip. di Giov. Borgarelli 1868, p.
Gaspare Saccarelli cappellano di S. M.,
220; e F.
fondatore
S. REGGIO,Elogio
dell'lstituto della
SdaecrlateFola.mcigavli.a.d.o.n,
Torino, Falletti e comp. 1868; A. BONNET, Elogio funebre del teol. cav. avv. Paolo Berghcr
11812-18881 canonico onorario della SS. Trinità. .. direttore dell'lstitufo della Sacra Fa-
kiglia.. . , a ori no, Vinc. Bona 1889.
(s) P, GUERRINI, La rinascita e la diffusione della Compagnia nei tempi nzoderni in
S. Angela Merici e la Com.~fliieniadi S. Orsola nel IV ce~ttenariodella fondazione, Brescia
1936,;. 442.
( 6 ) A. VAUDAGNOTTI, SUOIClarac. La serva di Dio madre Maria Luigia Angelica Clarnc
[1817-18871 iondanice delle Suore di Carità di S. Maria, Torino, 1954. La Positio per la
heatificazione e canonizzazione getta luce su circostanze degli ambienti ecclesiastici torinesi e
romani che influirono anche su DB.

10.6 Page 96

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
sco suggerì a suor Clarac di costruire un grande oratorio « p e r adunare alla
festa le figlie del popolo », promettendo che le avrebbe mandato per la Messa
un sacerdote. Per questa ragione, asseriva suor Clarac, Don Bosco poteva
chiamarsi a buon diritto fondatore dell'Oratorio (7).
La Clarac, personalità eccezionale, « testa di ferro » e « cuore di vulcano »,
come la definì mons. Gastaldi ( 8 ) , in pochi anni divenne animatrice di un'at-
tività dalle proporzioni rispettabili. Alle opere già esistenti più tardi aggiunse
una scuola esterna (Istituto materno per fanciulle di civile condizione, analogo
a un Istituto paterno già esistente a Torino), un corso settimanale di religione
per signorine (Catechismo di perseveranza, quale era propugnato da mons.
Ga~ime),un laboratoyio per signorine che confe7ionavano vestiario per i
poveri ( 9 ) .
L'opera di suor Clarac era allora tra quelle femminili esistenti a Torino
la più affine a quella di Don Bosco, che mantenendo fede alle promesse, non
fece mancare l'assistenza sacerdotale, prestata, tra gli altri, da Don Giovanni
Cagliero, Don Paolo Albera e Don Francesco Dalmazzo (").
I Salesiani dunque conoscevano e frequentavano un oratorio femminile
per la gioventù povera e abbandonata. Era quindi quasi naturale che si ponesse
a Don Bosco l'interrogativo: perché non si faceva lui stesso diretto promotore
di un istituto parallelo alla Società Salesiana, che svolgesse il medesimo apo-
stolato per la gioventù femminile? un istituto affiliato a quello dei Salesiani?
Questa dovette essere la domanda posta da Don Lemoyne in un giorno di cui
egli ricorda la data precisa: 24 giugno 1866. Don Bosco, mostrando di seguire
un qualche suo progetto, rispose: «Sì, anche questo sarà fatto. Avremo le
Suore, ma non subito però; un po' più tardi » (l1).
In ciò i hiografi di Don Bosco, che non prestano attenzione all'opera
della Clarac, vedono un indizio che il Santo avesse già i suoi progetti sul gruppo
di Mornese. Ma seguendo la linea della suora della Carità, abbiamo altri ele-
menti che, ci sembra, lasciano in sospeso davanti a conclusioni che volessero
presentarsi solide sotto ogni aspetto.
Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana, erano venute meno le rela-
zioni epistolari delle Suore della Carità con le Superiore di Parigi. I Superiori
diretti di Torino (e tra questi, il Visitatore P. Durando) invitarono suor Clarac
a disporre dei suoi beni patrimoniali per testamento. La suora ne aveva
redatto uno, con il quale testava in favore delle Opere di via S. Pio V erette in
ente morale. Ma la Visitatrice le presentò altri due progetti di testamento
recanti la data 20 aprile 1870, in base ai quali i beni intestati alla Clarac sa-
rebbero stati lasciati in eredità a quattro figlie della Carità. La Suora temette
che in tal modo venisse compromessa l'esistenza delle sue opere, e indugiò.
(7) VAUDAGNOSuToTr IC, larac, p. 92 S.
( 8 ) VAUDAGNOTTSIU, OI CZarac, p. 186.
(V VAUDAGNOSTuoTrI,Clarac, p. 91 S.
(10) VAUDAGNOSUTOT?IC, larac, p. 104.
("1 CERIAS,anta M. D. Mazzarello, p. 47.
Le venne allora ingiunto di lasciare il posto di superiora. La Clarac si dichiarò
disposta a farlo, ma non a eseguire il testamento nella forma voluta dalle
Superiore, sempre fissa nel timore che le Opere di via S. Pio V potessero
essere abbandonate. Nelle sue difficoltà avrebbe potuto appoggiarsi all'arci-
vescovo Riccardi, che le si era mostrato più volte benevolo, ma questi morì
il 16 ottobre 1870. Chiese allora consiglio a Don Bosco, al quale non aveva
mancato di ricorrere altre volte, per lo meno per ringraziarlo dell'aiuto che
le prestava (l2).
Non sapremmo dire, a questo punto, se Don Bosco aspettasse questo
momento; se lui o i Salesiani, avessero influito sulla Suora per indurle la con-
vinzione che le Opere di via S. Pio V erano un necessario baluardo contro i
vicini Valdesi, come un bastione che doveva resistere anche a costo di urti; e
tanto meno sapremmo dire, se in fondo a questa suggestione poteva esserci
la speranza che un giorno suor Clarac avrebbe affidato a loro tutto e si sarebbero
verificate così per le opere femminili circostanze analoghe a quelle che tra il
1847-52 portarono in mano a Don Bosco le redini dell'oratorio dell'Angelo
Custode e il titolo di Direttore Capo.
- Per le sorti della Clarac fu - stando a quel che ella stessa riferisce
decisivo l'atteggiamento assunto da Don Bosco. Egli avrebbe gioito per il
bene compiuto dalla Suora in un rione « infestato dai Protestanti », allora
molto intraprendenti, e non avrebbe voluto « che quelle Opere scomparissero
dopo la morte di lei ». Non volle però « assumersi la responsabilità di un
consiglio diretto » e indirizzò la suora al vescovo di Ivrea, mons. Moreno,
ch'era il vescovo più anziano del Piemonte e che « essendo vacante la sede
arcivescovile di Torino, poteva considerarsi come il più autorevole Prelato per
manifestare a lei la volontà di Dio » (l3). E significativo il fatto che Don Bosco
abbia indirizzato a mons. Moreno, il quale aveva l'esperienza nella sua diocesi
di due istituzioni femminili che avevano fatto parte delle Suore della Carità
e poi se ne erano staccate (l4). Da quando, attorno al 1864, Don Bosco aveva
rivendicato le Letture Cattolzche, edite in partecipazione col vescovo d'Ivrea,
i rapporti tra i due non erano più cordiali (I5). Eppure egli inviò la Clarac a
mons. Moreno, forse perché la suora gli manifestò il proposito di separarsi
dalla sua famiglia religiosa, o perché previde quale corso avrebbero preso gli
eventi, o perché addirittura poté sperare che il vescovo suggerisse alla Clarac
di mettersi sotto la responsabilità di Don Bosco stesso. Nulla abbiamo che ci
illumini sull'atteggiamento di Don Bosco e per sapere se realmente si sia posto
(12) VAUDAGNOSUTOTI IC, larac, p. 115 SS.
(13) VAUDAGNOSTUOTII,Clarac, p. 120.
('4) Le Suore di Carità deli'Immacolata Concezione d'lvrea (gia di Rivarolo) e le
Figlie di Carità di Montanaro: cf. A. PIEROTTOI,.F.M., La vita e l'opera della serva di
Dio madre Antonia Verna, jondatrice delle Suore d i Carità dell'Immacolata Concezione
d'lurea, Firenze 1938; VAUDAGNOSTUTOI.,Clarac, p. 121 S.
(l5) MB 7, p. 153; 629s; 8, P. 374-393.

10.7 Page 97

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
tali prospettive. Colpisce solo la coincidenza tra le decisioni prese allora dal
vescovo Moreno, dalla Clarac e da Don Bosco (l6).
I1 3 maggio 1871 la suora comunicò alla Visitatrice di Torino che si
separava dall'Istituio e dai Lazzaristi, e si metteva sotto l'obbedienza e la
responsabilità del vescovo di Ivrea (l7). Probabilmente la decisione si poteva
già prevedere qualche tempo prima; poté essere prevista da Don Bosco quando
il 14 aprile scrisse a suor Maria Enrichetta Dominici che intendeva redigere
le costituzioni per una congregazione chiamata delle Figlie dell'lmmacolata
2. Don Domenico.Pestarino e la Pia Unione delle Figlie dell'Immacolata
La Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata nella storia del catto-
licesimo italiano dell'800 è da intendere come un frutto dello sforzo per il
risveglio religioso che un po' dovunque veniva tentato da persone generose
e intraprendenti. Essa ben s'innesta nel clima mariano che a metà secolo ebbe
la sua fase culminante nella definizione del dogma dell'Immacolata Conce-
. zione ed echi salienti nelle apparizioni della Salette e di Lourdes (Is).
A Torino, Novara, Vercelli, Pinerolo . . erano sorte, come nuovi focolai
di fervore mariano, Associazioni del Cuore Immacolato di Maria, affiliate alla
principale di S. Maria delle Vittorie di Parigi(I9); erano state chiamate a
nuova vita antiche congregazioni di Figlie di Maria; altre ne erano sorte
con questo titolo, le quali, a manifestazioni di culto aftiancavano ormai con
particolare predilezione opere caritative, attente a quanto nel contempo svol-
gevano le Conferenze di S. Vincenzo (").
Le Figlie dell'Immacolta, fiorite a Mornese, furono organizzate e propa-
gandate dal prevosto Frassinetti ('l). Da Genova e dal basso Piemonte rapi-
(l6) Molti misteri circondano la persona di mons. Moreno: mancano moltissimi do.
cumenti del suo lungo episcopato, sottratti ali'Archivio della curia vescovile eporediese; t.
scomparsa la sua salma. sostituita neila tomba con quella di un semplice sacerdote morto
17 anni dopo il ptelato: Cf. VAUDAGNOTSTuIo, r Claric, p. 301 S.
(l7) VAUDAGNOTTI, Suoi Clarac, p. l25 S.
(ls) AUBERT, I l poaijkzto d i Pio I X , cp. 14, § 3, p. 694-707.
(l9) STELLA, I t e m p i e gli scritti che prepararono il «Mese d i Maggio » di Don
Bosco, in Salesianem 20 (1958) p. 614-667.
("1 Furono incrementate, ad esempio, le Figlie di Maria istituite a Oropa nella prima
metà del sec. XVII (Fiori e canti a Maria. Oropa 1910, Biella, s.d., p. 181; 183), a metà
'800 venne rinnovata quella di Carignano (Regolamento per la Compagnia delle Figlie di
Maria eretta ndl'unica insigne chiesa parrocchiale. . . di Carignano, Carmagnola 1840);
altre compagnie o associazioni iurono istituite per opera delle Figlie della Carità (cf.
Manuale per le Figlie d i Maria ad uso degli opifici e delle smole delle Figlie della Carità.
Nuova edizione, Prato 1875).
('1) Ne parlb in varie sue opere e operette: La monaca i n cara, Genova 1859;
Industrie spirituali nel celibato cristiano, Torino 1861 (LC); Il religioso al secolo, Genova
1864; Compendio della teologia morale di S. Allonso M . de' Liguori, Genova 18673, ecc.
192
damente si sparsero nell'alta Italia, servendo come scintilla d'accensione a
opere analoghe e, in particolare, intervenendo positivamente ad accelerare la
riattivazione, già in corso, delle Orsolime secolari a Brescia e altrove(=).
Nell'esperienza religiosa di Mornese, esse hanno la loro piccola storia e
un senso ben preciso. Nella cittadina, situata in una zona tranquilla del Mon-
ferrato, si prolungava una vita religiosa improntata ad austerità, sensibile al
rispetto e all'onore dovuto a Dio, Padre e Creatore di tutte le cose, presente
in trono sull'altare. Erano rare le comunioni eucaristiche. Non per indiffe-
renza religiosa e nemmeno per ostilità a una vita di pietà che desse più
valore all'uso dei sacramenti, ma perché, senza alcuna contrapposizione pole-
mica, il proprio rapporto con Dio era appagato dal senso di Dio presente,
provvidente, giudice e rimuneratore, onorato nella preghiera frequente e nel
rispetto con il quale si partecipava al sacrificio della Messa(").
Don Pestarino veniva dalla scuola del prevosto Frassinetti e, a quanto
pare, portò a Mornese la mentalità e le preoccupazioni degli alfonsiani e beni-
gnisti: il timore che l'uso poco frequente dei sacramenti fosse un risultato
del Giansenismo e che servisse ad orpellare un certo languore spirituale; e
l'ansia che questo stato di cose anche a Mornese aprisse le porte all'empietà
e all'indifferenza. Egli perciò fin dagli inizi del suo ministero, si sforzò di
rompere le vecchie consuetudini; cercò d'inculcare la grande convenienza e
quasi necessità di accostarsi con più frequenza alla confessione e aUa mensa
eucaristica, per resistere meglio alle tentazioni e piacere di più al Signore.
Tra i ricordi attinenti Maria Domenica Mazzarello si legge che la prima donna
che, dietro le insistenze di Don Pestarino osò comunicarsi settimanalmente,
destò una quantità di voci in paese e venne soprannominata la monaca(24).
lecito supporre che Don Pestarino, constatata la d i c o l t à di penetrare
la mentalità degli adulti e cambiarne le consuetudini, si sia rivolto istintiva-
mente a giovani, come più educabili al suo nuovo orientamento e abbia pensato
a stringere attorno a sé il gruppo delle più disposte (=).
Sorse cosi il cenacolo delle Figlie di Maria Immacolata, adolescenti e
giovani che, cresciute in un ambiente familiare di inveterate tradizioni religiose,
rispondendo alle suggestioni della solida personalità di Don Pestarino, matu-
(a)G. FRASSINETTVI,ita ed Istituto di S. Angela Merici, Torino 1863 (LC), p. 118;
P. GUERRINI,La rinascita.. ., p. 390477.
(a)S11 alcune vere e proprie forme di Giansenismo devoto neila diocesi di Acqui cf.
STELLA, Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, p. 7-17; una ricostruzione episodica del-
l'an~bientee, soprattutto, deii'interpretazione dei fatti neila prospettiva di Don Pestarino
cf. F. MACCONOS,.D.B., L'apostolo di Mornese sac. Domenico Pestarino . .., [1817-18741
Torino 1927.
( M )MACCONOL',oportolo di Mornese, p. 42 S.
(25) Secondo un testimone venne un tempo in cui nei giorni feriali ogni mattina vi
erano più di cento Comunioni, specialmente d'inverno. Tutta la popolazione andava a con-
fessarsi da Don Pestarino, e solamente dodici persone andavano da altri, o, non andavano
affatto»: F. MACCONOSz, or Maria Mazzarello, Torino 1934, p. 23. Nel 1854-55 Mornese
contava 1182 abitanti: ci. Calendario generale del Regno pel 18155.. ., Torino s.d., p. 575.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
rarono a una religiosità incentrata nel culto eucaristico e potenziata da una
direzione spirituale sistematica. Si ebbero conseguentemente a Mornese casi
di adolescenti che affrontavano le intemperie e si sottoponevano ai rigori deUe
gelate mattutine in pieno inverno per recarsi aUa Messa e potere ricevere
Gesù eucaristico.
Le Figlie di Maria Immacolata si riunivano e s'infervoravano in pie let-
ture, in propositi di santità e di amor di Dio e del prossimo; crearono tra
loro una notevole comunione di vita, di pensieri, di affetti, in una vera e
profonda amicizia spirituale. Si diedero a opere di carità suggerite dalla vita
di un paesino dove tutti si conoscevano e dove tutti obbedivano al parroco:
catechismo alle bambine, adunanze ricreative, assistenza agli ammalati, labora-
torio di sartoria, picfoli servizi a chi ne avesse avuto bisogno, in un clima di
intimità divina, di dolcezza interiore, di propositi verginali, di promesse alla
Santissima Madre Immacolata e nell'intimo colloquio con Gesù eucaristico, di
cui si sentivano come piccoli fiori sul suo altare: stati d'animo e movenze di
pensiero che bisogna cogliere, più che nelle operette spirituali di S. Alfonso
o in quelle del Frassinetti che esse leggevano, ma che tradiscono movenze
virili e moralistiche, nell'Indiuizzo e pascolo della giovane alla pietà e nelle
altre opere di Elisabetta GireUi, che erano loro testo di lettura spirituale e di
meditazione (26); O nelle letterine d'auguri poi scritte a Don Bosco per l'ono-
mastico o il compleanno (') o anche nelle biografie delle prime suore decedute
in gran parte giovanissime a causa dei disagi in cui vennero a trovarsi o a cui
volontariamente si sottoposero, imponendosi per troppo tempo, sotto la spinta
del fervore religioso, un'alimentazione insufficiente o un lavoro spossante mal
compensato da troppo scarso riposo notturno, nella persuasione assai diffusa
della gente semplice (nonostante quel che in contrario si poteva leggere sul
Combattimento spivituale dello Scupoli o sulla Filotea di S. Francesco di
Sales), che le austerità che si descrivono nelle opere agiografiche siano una
componente necessaria deUa santità.
3. Dalle Figlie di Maria Prnmacolata alle Figlie di Maria Ausiliatrice
I1 passaggio di Don Pestarino dall'orbita del Frassinetti a quella di
Don Bosco ha le sue cause remote in un primo incontro dei due sacerdoti in
casa del prevosto genovese. Altro punto noto è il colloquio che Don Bosco
(") M. MORETTI - C. GENGHINI, Cronirforia de1l'Isfituto delle Figlie d i Maria Ausilra-
trice . . . , Nizza Monferiato-Torino 1922-1942, dattiloscr., presso AGen. Figlie di M. A. e l'AS
4, voi. 1, p. 227 (che propriamente si riferisce all'anno 1871, ma tratta delle letture in
termini generici: « D a qualche tempo, oltre ai già citati libri e opuscoli del Liguori, del
. Frassinetti e dello stesso Don Bosco, circolava tra le «Figlie » e Nuove Orsoline, il libro
della Girelli. Indirizzo e varcoio delle aiouani olla pietà. .n). Su E. Girelli (1839.1919)
cf. A. ~ 1 n n ~ ~ r N~ l1i s,a b e f i aGirelli. ~onografiu,~regcia1926.
(27) Cf. AS Fidie di M. A.
e il prete di Mornese fecero viaggiando insieme da Acqui ad Alessandria,
chiuso con l'invito a Don Pestarino di venire un giorno ospite all'oratorio.
Ma nel frattempo altri fatti poterono contribuire a polarizzare l'attenzione
del sacerdote di Mornese sulla persona del prete di Torino. Con tutta proba-
bilità anche a Mornese arrivavano le opere del Frassinetti stampate nella col-
lezione delle Letture Cattoliche dal 1860 in avanti, sulle quali veniva anche
presentata la Pia Unione delle Figlie di Maria Immacolata, che da Mornese
in brevissimo tempo s'irradiò in altre regioni. Questa pubblicità dovette senza
dubbio solleticare i mornesini e il loro parroco. Nell'ottobre 1864 Don Bosco
si spinse in un'epica passeggiata con i suoi giovani fino alla zona di Acqui e
fu ospite per qualche giorno a Mornese, in giornate di entusiasmo indescri-
vibile. Poco tempo dopo Don Pestarino si adoperò per raccogliere alcune figlie
dell'Immacolta in una piccola comunità, nonostante le dicerie e le opposizioni
di familiari e compaesani.
Dopo il decreto di lode (1868) alla Pia Società Salesiana Don Bosco
avrebbe accolto Don Pestarino come salesiano. Siamo dunque assicurati, che
da quel tempo le relazioni di Don Pestarino con Don Bosco si fecero di vera
dipendenza e di cooperazione. Da allora egli fu anche presente alle adunanze
dei direttori salesiani.
L'obbedienza di Don Pestarino a Don Bosco si rifletté in modo esplicito
e decisivo sulle Figlie dell'Immacolata - per quanto sappiamo - dagli
inizi del 1871 (e forse dalla fine del 1870). Allora venne stabilito e realizzato
il cambiamento da Pia Unione a congregazione religiosa, di cui furono tappe
importanti la prima vestizione e professione nell'agosto 1872 e l'approvazione
vescovile delle Costituzioni con decreto del 23 gennaio 1876 (28).
La trasformazione non venne senza sofferenze e assestamenti dolorosi:
la scissione dell'antico nucleo delle Figlie dell'Immacolata, l'incomprensione
dei familiari mornesini, che per qualche tempo abbandonarono le giovani a se
stesse, all'inedia, alla fame vera e propria, alle gelate invernali, nell'ingenua
persuasione che cosi facendo le avrebbero costrette a ritornare a casa; e infine,
assestamento interno dell'Istituto, turbato nei primi anni dalla presenza di
qualche soggetto disadattato, e retto ancora timidamente da Maria Domenica
Mazzarello, intimamente persuasa di essere incapace, nonostante fosse stata
eletta dalle consorelle, che invece ne avevano riconosciuto la saggezza, l'intuito
di persone e cose, la rara dote di condurre tutte in buona armonia.
La nuova situazione comportò evidentemente profonde trasformazioni
spirituali. Le giovani dovevano sentirsi consacrate in una nuova forma a Dio
nella Chiesa; non più vincolate e in sintonia con la vita parrocchiale, ma con
l'anima aperta alle proporzioni mondiali dell'opera di Don Bosco.
La loro attività caritativa venne anche in molti punti sostanzialmente
modificata. Non più aperta disinvoltamente a tutti, nelle case del paese, oltre
(a)L'originale, presso la Curia d'Acqui, è edito sulle ME 12, p. 663 S.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
nelllIstituto conservano i diritti civili anche dopo fatti i voti, ma non potranno
amministrare i loro beni se non nel limite e nel modo voluto dal Superiore
Maggiore » (3s).
Nella compagine ecclesiastica le Figlie di Maria Ausiliatrice si inserivano
come vere e proprie religiose dai voti semplici riconosciuti dall'autorità dioce-
sana. Come per i Salesiani, furono introdotti i voti perpetui obbligatori dopo
un triennio (o un sessennio) di voti temporanei. Ma si dava il caso, connivente
il rappresentante di Don Bosco, che dopo il noviziato « nell'emozione e per
errore » venissero emessi subito i voti perpetui (%).
I1 vescovo aveva lasciato molti poteri, datigli allora dal diritto comune,
in favore del Superi?re Maggiore dei Sale~iani,il quale agiva per mezzo di un
suo delegato o rappresentante sacerdote, che in ciascuna casa aveva il titolo
di Direttore delle Suore, e su tutta la Congregazione esercitava il suo potere
attraverso un membro del Capitolo superiore della Società salesiana, suo dele-
gato, col titolo di Direttore generale delle Suore ("). A questi spettava « l a
vigilanza e la cura di tutto ciò che riguarda il buon andamento materiale e
spirituale dell'Istituto » (3s), termini coi quali, a quanto pare, s'intendevano
l'amministrazione economica e la formazione religiosa.
In ciascuna casa poi il Direttore era anche confessore ordinario delle
Suore, proposto dal Rettor Maggiore e approvato dalllOrdinario del luogo (39).
Questi riservava a s i quanto riguardava l'amministrazione dei Sacramenti, e
ai parroci lasciava quanto a norma del diritto comune o particolare della diocesi
costituiva il complesso dei « diritti parrocchiali » relativi alle religiose(").
Alle Superiore rimaneva cosi « il governo e la disciplina della Casa e
della Congregazione »('l), in cui però potevano avere ulteriori limitazioni dal
Rettor Maggiore, che poteva assegnare in questo campo «determinate incom-
benze » ai suoi rappresentanti 1").
In definitiva risulta che Don Bosco diede alle suore per statuto una condi-
zione di dipendenza quasi totale dalla sua persona e dai suoi rappresentanti.
Nei casi in cui la comunità di Suore confinava con quella dei Salesiani, ordina-
riamente il rappresentante immediato di Don Bosco era il direttore della Casa
salesiana. Anche in materia economica la soggezione dellJIstituto e delle singole
suore come religiose era quasi totale.
(3)Regole o costituzioni Figlie di M. A., tit. 2, art. 5, Torino 1878, p. 9.
(36) Lo scriviamo sulla testimonianza deiia madre Clelia Genghini. Corrispondeva
d'altronde alla linea adottata per i Salesiani.
(37) Regole o costituzioni Figlie di M . A,, tit. 2, arl. 1, ed. cit., p. 8.
(a)Regole o costituzioni Figlie di M. A., l. G., p. 9.
(39) Regole o costituzioni Figlie di M . A,, tit. 2, art. 2, p. 9; e per il confessore
straordinario, a cui accostarsi ogni sei mesi, tit. 11, art. 3, p. 27 (deputato dal Superiore
Maggiore ed approvato per le confessioni neiia Diocesi).
(a)Regole o costituzioni Figlie di M. A,, tit. 2, art. 4, p. 9.
(a)Regole o costituzioni Figlie di M. A,, tit. 2, art. 3, p. 9.
('2) Regole. . ., l. C , p. 9.
Questa situazione arrecò di fatto (e più avanti ne diremo qualcosa) incal-
colabili vantaggi reciproci, e si protrasse ancora a lungo dopo la morte di
Don Bosco.
È lecito tuttavia supporre che, in altre circostanze, spinto dal suo senso
pratico, Don Bosco non avrebbe indugiato un momento ad adottare formule
che gli fossero sembrate più idonee.
4. Atteggiamento di Don Bosco nell'isbitudone e nell'incremento delle
Figlie di Maria Ausiliatrice
Chi osserva gli sviluppi dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice dai
suoi inizi fino agli ultimi anni di Don Bosco avverte senz'altro le parti pre-
valenti che il Santo vi ebbe. A ben guardare presto si rimane colpiti anche
dallo stile singolare cb'egli adottò e segui costantemente, si direbbe a ragion
veduta, fino agli ultimi suoi giorni.
'2 raro ch'egli s'impegni in azione diretta e sporga la propria persona
sulla breccia. Già nella vicenda della Clarac l'abbiamo veduto. Stessa tattica
egli adopera col gruppo di Mornese. Chi tratta con le giovani non è Don
Bosco, ma Don Pestarino, il quale prima agisce in proprio nome (anche quando
esegue il disegno predisposto da Don Bosco); quando poi questi si è com-
promesso pubblicamente, quando davanti alle giovani e al paese Don Bosco
è al culmine del prestigio, Don Pestarino si pone sempre più in secondo piano,
ma rimane sempre il mediatore di Don Bosco e il trasmettitore di sue dispo-
sizioni, l'esecutore fedele. Morto Don Pestarino, il suo posto è preso da
Don Giuseppe Cagliero. Morto nel 1874 il Cagliero, Don Bosco invia a
Mornese Don Giacomo Costamagna a cui poi succede Don Giovanni Battista
Lemoyne: tutti fidatissimi e affezionati suoi figli. Essi creano tra le suore un
vero culto per il padre e fondatore, arricchito da carismi celesti straordinari;
per mezzo del quale 1'Ausiliatrice opera prodigi in tutto il mondo.
Don Bosco prende piede a Mornese col peso della sua autorità morale,
impegnandosi a impiantarvi un collegio maschile. Ma il disegno tramonta.
I1 passo odioso di trasformare il collegio maschile in femminile, affidato a
quelle povere semplici fanciulle che in paese tutti conoscevano, viene fatto
da Don Pestarino; e i titoli (fondati o in parte colorati) non sono forniti da
Don Bosco, ma in parte dalla giunta comunale, più o meno compiacente e
sotto l'influsso di Don Pestarino ch'era membro del consiglio; in parte dal
vicario capitolare di Acqui, il quale avrebbe posto difficoltà a un collegio
maschile non distante dal piccolo seminario diocesano, adducendo il motivo
che in tempo di vacanza della sede episcopale non avrebbe potuto assumersi
la responsabilità di fare un passo tanto grave!
Madre Maria Enrichetta Dominici non solo provvide alla compilazione
delle Regole, ma anche cedette a Don Bosco per alcuni mesi una delle proprie
assistenti generali e un'altra suora di S. Anna, perché a Mornese dessero

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
assetto alla vita regolare del nuovo Istituto: forse fu anche un ripagare in
buona moneta Don Bosco, che aveva procurato all'Istituto delle Suore di
S. Anna l'espansione in India (").
L'incremento dell'Istituto è affidato alla pubblicità dei giornali, alle circo-
lari e ai programmi sulla casa di educazione per ragazze di modeste condizioni,
inviate ai parroci o distribuite dai Salesiani o dalle maestre che rispondono
all'appeuo di esercizi spirituali nella casa di Don Bosco (").
Per quanto già allora esistessero altri istituti religiosi femminili che si
rivolgevano alle medesime categorie e seguissero gli stessi sistemi di arruo-
lamento, tuttavia Don Bosco poté avere subito una preminenza a motivo del-
l'alta stima che godeva in Piemonte, grazie alle opere che aveva saputo
avviare e
che apparivano ancora più mirabili nel contesto dei
tempi difficili D che si vivevano.
Ci si spiega cosi lo slancio assunto in pochi anni dall'Istituto, che nel
1876 poteva permettersi di lasciar sciamare dall'unica casa di Mornese tren-
tasei suore per fondare sei comunità, e nel 1879 aveva tante religiose, da poter
reggere e incrementare un complesso di ventun comunità indipendenti.
Anche nell'arruolamento delle postulanti Don Bosco non agisce diretta-
mente. Quando gli segnalano qualche buona giovane, desiderosa di farsi
suora, egli la indirizza a Mornese. Quando gliela presentano, il suo. discorso
è assai breve: un sorriso, una facezia, un incoraggiamento: da ciò che sente
egli si rende conto se la postulante va bene per lui o no, e rapidamente decide.
Fece brevi apparizioni a Mornese e a Nizza Monferrato, dove nel 1881,
dopo la morte di madre Maria Domenica Mazzarello, presiedette l'elezione
della nuova Superiora generale, ma non presenziò agli altri capitoli generali
tenuti a Nizza Monferrato lui vivente.
La trasformazione delle giovani di Mornese in religiose venne operata
direttamente da Don Pestarino. L'entusiasmo per le missioni venne alimentato
da Don Giovanni Cagliero, che servi spesso da intermediario tra Don Bosco
e le Suore, e che non mancò di scrivere lettere da1l1America anche alle Con-
sorelle di Mornese, le quali leggevano e si accendevano di ardore missionario
ai commenti che faceva il loro direttore Don Giacomo Costamagna.
Nel 1877 fu proprio Don Costamagna prescelto da Don Bosco per capi-
tanare la terza spedizione missionaria. I1 fatto a Mornese suscitò l'emozione
generale e anche l'istintivo desiderio di potere andare in quelle terre lontane
per portare tante anime a Gesù.
Don Bosco, anche in questa circostanza buon calcolatore dei tempi e
delle cose, poco dopo fece arrivare l'ordine di preparare anche un drappello
di missionarie. Dieci suore partirono per l'America e, stabilendosi a Villa Col6n
in Uruguay, apersero la via all'espansione delle Suore in America.
("1 Cf. sopra, cp. 7, nota 4.
("1 MB 10, p. 625 S.
5. Come Don Bosco regola le relazioni tra Salesiani e Figlie di Maria
Ausiliatrice
Anche le relazioni tra Salesiani e Suore vengono avviate con molta ac-
cortezza. L'assistenza che queste presteranno agli istituti maschili di Don Bosco,
gestendo la cucina e la guardaroba, non sarà la loro prima opera; anzi non
venne nemmeno codificata sulle Regole.
Mornese, primo istitnto, fu un educandato femminile e casa di eser-
cizi spiritiiali per maestre e signorine (zitelle). I1 secondo, iniziato a Valle-
crosia nel febbraio 1876, è un Oratorio festivo femminile, scuola elementare
e catechismo, affiancato a quello dei Salesiani allo scopo di controbattere le
opere analoghe erette dai Valdesi.
Per la prima volta le suore prestano, in base a regolare convenzione,
assistenza in cucina e guardaroba per opere maschili non in casa salesiana,
ma presso il Seminario vescovile di Biella (settembre 1876) ("). Soltanto dopo
di allora Don Bosco le invia per la stessa prestazione al Collegio salesiano di
Alassio; e ne può regolare la presenza presso i Salesiani poggiando sull'espe-
rienza di quanto si era concordato col vescovo di Biella, mons. Basilio Leto.
Ricevute osservazioni dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari per avere
assunto le Suore per quei servizi presso case salesiane, Don Bosco si fece
forte del fatto che nelle medesime condizioni si trovavano presso seminari
sotto la responsabilità di vescovi (9.
Con i Salesiani il discorso sulle Suore (quasi tutte giovanissime) fu pre-
valentemente improntato a una certa cautela e al richiamo continuo di nor-
me disciplinari, divenute precetto nel Capitolo Generale secondo dei Sale-
siani (1880) e parzialmente in quello corrispettivo delle Figlie di Maria
Ausiliatrice (1886) ("). Le norme sono minute e concrete: separazione totale
delle case; comunicazione solo attraverso la Ruota; nel parlatorio, con gli
estranei o con il Direttore, è permesso comunicare soltanto alla Direttrice.
Ai confessori Don Bosco raccomanda brevità (48); a tutti, che non si
cerchi <( né per burla né per ischerzo, né per altre ragioni o pretesti » di
« movere il riso o procacciare stima o benevolenza nelle persone di altro
sesso ». <( Nel trattare affari materiali - ,soggiunge - i religiosi e le religiose
non siano mai soli, ma procurino di essere sempre assistiti, o che almeno
siano da altri veduti. Niimquain solus cum sola loquatur » ("). Sembra che
(45) Da Todno però DB mandava già sacchi di roha da rattoppare *: testimonianza
di madre Petronilla MazzareUo ci. MACCONOSu, or Maria Muuarello, p. 179.
)6'( Al card. Ferrieri, segretario deUa S. C. Vesc. e Reg., 3 agosto 1879: MB 14,
p. 223.
(47) Deliberazioni del secondo cap. gcvi. della Pia Soc. Salesiana, Distinzione I . Re-
golamenti speciali, VI Direz. generale delle Suore, Torino 1882, p. 26s; Deliberazioni
<le1 secondo capitolo gen. delle Figlie di Maria SS. Ausiliufrice, Distinzione 3. Moraiità e
pietà, Torino 1887, p. 62-76.
(e)Deliberazioni del secondo cap. gen. della Pia Soc. Salesiana, l. e., art. 11, p. 27;
G. COSTAMAGNA, Conferenze alle Figlie di Don Bosco, Valparaiso 1900, p. 39.
(49) MB 17, p. 269.

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Don Bosco sia sotto l'impressione di quanto lesse in Seminario sul Foresti
o su altri libri spirituali dell'epoca tridentina, che abbia presenti e vivi gli
ammonimenti di S. Carlo Borromeo, la figura di Luigi Comollo, il senso
della fragilità umana incito a tali mentalità. Ma non è da dimenticare che
egli era sotto l'impressione della stampa anticlericale del tempo che, succe-
duta a quella degli enciclopedisti del secolo XVIII, ne aveva ereditato anche
il tono e la beffarda tendenza alle insinuazioni malevole sul conto degli
ecclesiastici e dei religiosi(").
6. Don Bosco e la .forniazione religiosa delle Suore
Don Bosco non tralascia di far trasparire il proprio giudizio positivo
sulle Suore e su quanto svolgevano, sulle loro disposizioni d'animo, snll'av-
venire prospero che tutto faceva presagire.
Ne conosceva la docilità collaudata da Don Pestarino nella trasforma-
zione religiosa di Mornese. Certamente poggiava molto sulla loro natura di
donne, la cui sicurezza si fondava molto sulla direzione virile di Don Bosco,
contornata, nella loro coscienza religiosa, dall'aureola di santità e di speciale
assistenza divina. Ma non fa ostentatamente leva su questi sentimenti per
ottenere atti di ossequio. Egli preferisce l'atteggiamento di semplicità rusti-
cana del ceppo piemontese, da cui quasi tutte provengono, e la laboriosità.
A loro, che venivano da quel tipo di vita domestica che faceva di
Mornese, come di altri paesi, una sola famiglia, parla con concretezza di
tutto. Gli si accostano gioiose per baciargli la mano, cosi come avevano visto
fare ai ragazzi di Valdocco. Don Bosco lascia fare, ma poi coglie l'occasione
per dire: « Adesso baciano la mano a Don Bosco, e più tardi, se l'uso si fa
generale, come è probabile, potrà produrre serie conseguenze » ( 9 .
Così il suo atteggiamento, quello ch'egli inculca ai Salesiani, incide
sulle Figlie di Maria Ansiliatrice, il cui candore adolescenziale delle origini
rimane modulato di delicatezza sorridente, talora quasi impacciata.
A loro ch'erano abituate all'ingenna, schietta e talora chiassosa allegria
campagnuola, non attente a tante esigenze sociali, Don Bosco la vigilia della
vestizione raccomanda che moderino la loro schietta serenità secondo le nuove
esigenze di religiose (").
A loro, abituate alle contrarietà e alle opposizioni che loro imponeva la
docile esecuzione delle direttive di Don Pestarino, Don Bosco non ha timore
(N) Cf. avanti cp. 9, nota 2. A Torino erano un continuo pungolo anticlericale sia la
rubrica «sacco nero » sulla Gazzette del popolo, sia le insinuazioni e le interpretazioni
tendenziose ai danni di chiunque che si leggevano su Il Fischietto.
( 5 ' ) COSTAMAGCoNnAfe,renze, p. 52.
(52) MB 10, p. 616.
di sottolineare i sacrifici e le incomprensioni a cui si erano sottoposte per
seguire la via che avevano scelto e continua ad additare l'obbedienza, la doci-
lità e l'osservanza come i mezzi che le condurranno a salvezza eterna e che
faranno prosperare la Congregazione tg).
Nell'atmosfera di entusiasmo, che poteva destare il moltiplicarsi di po-
stulanti e di novizie, Don Bosco pone in guardia dalla faciloneria e dalla impru-
dente condiscendenza. Indici per discutere quelle che sono fatte per il loro
Istituto (la vocazione rilevata dalle disposizioni individuali) sono l'amore alle
pratiche di pietà e l'obbedienza pronta e gioiosa P).
Un documento significativo è l'apologo-sogno del 31 dicembre 1881, che
egli narrò alle suore di Nizza Monferrato. Le Superiore - egli dice - abbiano
discernimento nella selezione delle postulanti, delle novizie e delle professe.
Scartino le bacate, perché non vengano rovinate le sane. Le guaste si distin-
guono in vario modo, perché sono come le castagne. Messe a bollire, le vuote
vengono a galla. Dopo la bollitura le viziate, se spremute, tradiscono quel
che contengono. Ve ne sono poi altre che, ripulite, sembrano buone, ma se
si osserva bene, si vedrà che sotto una prima pellicola ne hanno un'altra:
sono doppie. Si aprano e si troverà che dentro hanno dell'amaro("). Vane,
viziate, spiriti doppi non erano fatte per la Congregazione. Messe successiva-
mente alla prova, dovevano essere individuate ed eiiminate.
Volentieri Don Bosco si rivolge alle suore con apologhi, con paragoni e
con sentenze, che manifestano la sua non comune capacità di penetrare il mec-
canismo psicologico delle persone a cui si rivolge:
«Non farete male a dir talvolta: "Oh che caldo. . . Oh! che freddo! .. ." ma
fate di tutto per non dirlo mai in tono di lamento.
Voglio insegnarvi la superbia santa. Si, la superbia santa! dite ciascuna cosi:
"Io voglio essere la più buona di tutte", però senza credere di esserlo.. . Ciascuna
procuri di divenir la più buona di tutte, coli'evitare ogni colpa deliberata, e col-
l'essere lieta di morir sul lavoro per la gloria del Signore.
Fate conto delle cose piccole! Guardate un sacco di riso! hché è in buono
stato, sta ritto, ma se viene ad avere un bucherello, a poco a poco comincia a
perdere i grani, e poi il buco s'allarga, e il sacco hnisce per cadere a terra »(M).
7. Don Bosco e la S. Sede: fedeltii al centralismo ecclesiastico e
ricerca di autonomia
Un fatto che può sembrare un'annmalia nella vita di Don Bosco è ch'egli
non chiese e non si decise mai a chiedere a Roma l'approvazione delle Figlie
di Maria Ausiliatrice. Tanto più ciò è sconcertante, quanto più si bada al

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contesto in cui si colloca, nella cornice di una mentalità che è portata a dare
gran rilievo alla persona del Papa e alle prerogative che la religiosità cattolica
dei tempo afferma ed esalta. Nel proemio alle Costituzioni della Società Sale-
siana Don Bosco aveva invitato i suoi figli a esultare, perché ormai potevano
avere la garanzia quasi dell'infailibilità, la sicurezza di lavorare per la Chiesa,
secondo i disegni salvifici di Dio. Don Chiala, come notammo, poté considerare
gli sviluppi dell'espausioue missionaria, come una conseguenza benefica del-
l'approvazione pontificia.
Ma non avviene altrettanto ailorché Don Bosco si preoccupa delle Figlie
di Marii Ausiliatrice. Egli è pago dell'approvazione vescovile concessagli da
mons. Sciandra, vescovo di Acqui, e nulla più tenta a Roma di decisivo, nono-
stante inviti e insistesize di amici o di tutori della disciplina ecclesiastica. E
mentre da una parte, per salvaguardare alla Società Salesiana la fisionomia che
aveva sognata si sottrae alle pressioni vescovili di Torino in tutto quel che
pub, dall'altra, quasi nello stesso tempo, per un moto affettivo analogo rifugge
dal sottoporsi a Roma per quanto riguarda l'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. Mentre chiede a Roma per i Salesiani privilegi ed esenzioni dal-
l'autorità vescovile, alla stessa sede chiede di fidarsi dei vescovi per quanto
concerne le suore da lui fondate.
Per la prima volta aveva presentato a Roma l'Istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice nel 1874. Dando resoconto sulla Società Salesiana notava
ch'essa aveva una <( appendice a Mornese D, cioè una Casa di Maria Ausilia-
trice con religiose approvate dal vescovo di Acqni con lo scopo <( di fare per
l e povere fanciulle quanto i Salesiani fanno pei ragazzi » (").
Allora (rifed più tardi Don Bosco) i cardinali, che esaminarono le
Costituzioni salesiane, notarono il fatto, interrogarono il fondatore, ebbero
schiarimenti verbali e « conchiusero che sarebbesi poi trattata la cosa più
accuratamente quando venissero presentate le loro Costituzioni per I'oppor-
tuna approvazione alla S. Sede » ('9.
Delle Suore scrisse poi neUa Esposizione alla S. Sede nel 1879, dando
un prospetto delle ventun case che allora esse avevano in Europa e in Ame-
rica. Notò come l'umile Istituto aveva avuto in poco tempo, « grazie alla
divina Bontà », un notevole incremento(59),e sogginnse che « l e Case che
abitano le Suore sono tutte della Congregazione (Salesiana o delle Figlie di
Maria Ausiliatrice?), ma in capo a qualche Salesiano
Tale stato di cose sorprese la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari,
che chiese schiarimenti sull'esatta struttura giuridica dell'Istituto: se avesse
. (57) Riassunto della Pin Società di S. Francesco di Sales nel 23 febbr~io 1874 in
. . . Twinese sopra l'approvazione delle Costituzioni della Società Salesiana . . , Roma 1874,
1). 48; MB 14, p. 227.
Al card. Penieri, Torino, 12 gennaio 1880, MB 14, p. 227.
(59) Esposizione allu S. Sede dello stato morale e materiale della Pia Società di S. Fran-
cesco di Selcr nel marzo del 1879, S . Pier d'Arena, tip. Salesiana 1879, p. 14.
( M ) Esposizione alla S. Sede, p. 16.
un Superiore generale da cui dipendevano le suore, oppure se esso fosse
« del tutto indipendente, come dev'essere, daU'Iaituto dei Salesiani » (6').
Don Bosco deve essersi reso conto che a Roma mai avrebbe potuto ottenere ciò
che invece gli avevano concesso mons. Sciandra e altri vescovi. Quanto agli schia-
rimenti chiestigli da Roma, egli cercò di evadere a certi interrogativi, addu-
cendo che tutto veniva regolato a norma delle Costituzioni approvate, sotto il
benestare e il controllo di vescovi. Punti più scottanti apparivano a Roma la
dipendenza giuridica, di obbedienza e di influsso morale dal Superiore di un
Istituto maschile; la dipendenza economica e l'uso delle Suore in istituti di
uomini per servizi di cucina e guardaroba.
Parecchi Vescovi - rispondeva Don Bosco -, hanno già approvato
questo Istituto femminile, ed ora si sta facendo il dovuto esperimento per
conoscere.praticamente le modificazioni da introdursi prima di umiliarle alla
S. Sede per l'opportuna approvazione D. E mostrava il propdo buonvolere
allegando copia delle Costituzioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice, perché
a Roma si tendessero conto che si era provveduto a quanto era oggetto di
preoccupazioni con norme appropriate (62).
Richiesto poi nel 1881 dall'avvocato Leonori, suo patrocinante presso
le Congregazioni romane, Don Bosco si schermi e mostrò di non volere an-
cora sottoporsi a Roma per le pratiche di approvazione. E certamente ciò faceva
non perché fosse mutato il suo atteggiamento di fondo verso la S. Sede(63).
Ma non è facile indovinare la serie di motivi che poterono agire su di
lui, perché non è dato di trovare nelle sue scritture motivazioni, che non siano
soltanto appelli alla indulgenza e alla comprensione per lui, che opera in tempi
calamitosi; o all'autorità di vescovi che hanno approvato e che si rendono
garanti.
Forse davanti agli occhi avrà avuto le docilissime e modestissime persone
che formavano allora l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e si sarà fatta
la persuasione che la loro preziosa opera sarebbe stata fruttuosa se gui-
data e usata secondo le possibilità reali; avrà visto la necessità che le Suore
non fossero soltanto puntellate, ma addirittura alimentate e animate, formate
al medesimo spirito, allenate nell'esercizio dell'attività educativa, a cui quasi
tutte erano impreparate. Forse avrà avuto avanti agli occhi il caso di suor
Clarac, che ancora si dibatteva tra l'incudine e il martello: tra la decisa volontà
di creare una famiglia religiosa autonoma e la pressione che le veniva fatta
dali'arcivescovo Gastaldi, dai Lazzaristi e dalle Suore deUa Carità. La Clarac
aveva potuto prendere queli'atteggiamento, perché le Opere di via S. Pio V
erano intestate in buona parte a Lei. Don Bosco avrà temuto che potesse
avvenire qualcosa di analogo anche con le sue docili e umili Figlie di ..M. aria
Ausiliatrice?

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Interrogativi senza risposta. Forse anzi interrogativi &e'gli neppure si
pose e che quasi svaniscono davanti a ciò che invece appare con maggior
evidenza.
Significativo è quanto Don Bosco affermò riferendosi alle pressioni che
gli venivano da Roma: Non posso nascondere la mia amara afflizione nel non
potermi far capire. Lavoro e intendo che tutti i Salesiani lavorino per la
Chiesa fino all'ultimo respiro. Non dimando aiuto materiale, ma domando
soltanto quella indulgenza e quella carità che è compatibile coii'autorità delia
Chiesa »("). In altre parole Don Bosco diceva: lasciatemi fare, osservate le
opere, vedete come tutto va avanti bene a vantaggio della Chiesa. Egli appare
anche in questa circostanza l'uomo pratico, che stenta a porre in luce le
motivazioni del propiio agire, o non ama farlo, perché ne teme un danno
o perché spera che gli altri, come lui, vengano persuasi dai fatti.
Ci si spiega così come mai Don Bosco metta l'accento sulle opere: sulle
cifre di Figlie di Maria Ausiliatrice e di case. Aveva scritto nel 1874 che le
Suore erano quaranta in una casa. Nel 1879 scrive che le case sono ventuno e
le Suore oltre trecento. Anzi, per dare ancora più enfasi alla sua iperbole,
dimentico di quanto aveva asserito nel 1874, scrive che allora le suore erano
<< da dieci a quindici >t6'). Coi numeri ottimisticamente disposti egli non tende
soltanto al buon effetto che fa sempre la pubblicità indovinata, ma, rivolgendosi
a Roma, pare che dica: il Signore ci benedice, lasciateci fare. Quello di
Don Bosco è lo stato d'animo di chi opera per la Chiesa. Tutte le volte che
ci frappongono imbarazzi - egli afferma - io rispondo sempre coll'apertura
di una casa >>(a).Egli non ama fare disquisizioni; afferma ciò che intuisce
e lo ama confermare coi fatti. Quando lamenta di non essere compreso, non
si accorge (ci sembra) o non rileva o non ama sottolineare, che ciò in parte
dovuto a lui stesso: alla sua tendenza a non scoprire troppo i propri progetti
e le proprie opere, quando sono in corso di realizzazione.
Tra lui e Roma la divergenza pare sia, più che altro, tra due modi di
vedere diversi: quello di chi bada ai fatti e l'altro di chi bada al diritto;
quello dell'uomo che tende a commisurarsi alla situazione e l'altro di chi tende
ad incanalare la situazione singola nell'alveo dell'ordine giuridico esistente.
In ultima analisi l'atteggiamento di Don Bosco non è quello di chi critica il
superiore e appella dalla Congregazione romana male informata a quella meglio
informata. Egli non agisce con animo ribelle, sebbene, in fondo, nel ribelle
operi spesso la percezione giusta o errata, di un bene ritenuto come univer-
sale e non abdicabile. Don Bosco ha l'angustia di chi teme che il Superiore dia
un ordine intempestivo. Adoperandosi per indurre Roma ad attendere, per
valutare meglio egli manifesta la sincera e profonda sensibilità ecclesiale, da
(W) MB 14, p. 229.
(65) Esposizione allo S. Sede, p. 16.
(M) MB 14, p. 229.
lui stesso dichiarata con l'affermazione di volere lavorare << per la Chiesa fino
all'ultimo respiro D
Roma allora, nonostante il suo impegno ancora marcatamente accentratore
esaltato dalla definizione del concilio Vaticano I e dalla preoccupazione di
ordinare meglio le forze cattoliche ("), non fece pesare la sua mano. Leone XIII,
volutamente o no, per curiosità o no, alla madre Daghero, seconda superiora
generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice presentatasi in udienza, mostrò
interessamento per l'Istituto e chiese quante case erano state aperte: dimo-
strando così di entrare nella mentalità di Don Bosco ("). A questi poi chiese
personalmente che si assumesse la costruzione del Santuario del S. Cuore
a Roma. Incarico che Don Bosco misurò nelle sue proporzioni gravose, ma
che accettò senza dubbio per amore al Papa, ma forse anche come moneta che
potesse far cadere dalla sua parte la bilancia romana per tante cose: fra tutte,
le più desiderate erano (oltre alle attestazioni di affetto e di stima), la conces-
sione dei privilegi alla Società Salesiana e l'indulgenza per la situazione di fatto
in cui si trovavano le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ci si spiega così anche come mai Don Bosco rivolgendosi alle Suore
non svolga argomenti analoghi a quelli che presenta ai Salesiani, allorché tocca
il discorso delle Regole, la fedeltà alle quali - dice ai Salesiani - è anche
obbedienza al Vicario di Cristo e perciò a Cristo stesso. I1 discorso per le
Suore si ferma soltanto alle Regole. È necessario osservarle, perché non si
verifichino abusi che possano far crollare l'equilibrio instabile deli'edificio che
egli volutamente aveva costruito in quel modo. L'osservanza delle Regole
giova a tenere a bada chi osserva preoccupato quel che avviene nelle case dei
Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. L'osservanza però, nella spiritualità
personale e collettiva delle Suore, ha il senso più profondo di fedeltà a Gesù
Cristo, di cui ciascuna si sforza di essere la Vera Sposa, secondo quanto loro
usavano leggere nella nota opera di S. Alfonso.
FONTI
A. Archivio generalizio Figiie di M.A.: Regole o costituzioni. Se ne possiedono sette
redazioni ms.; Regolamento deUe Nuove Orsoline di Mornese, ms.; Memorie di Don Do-
menico Pestarino; M. MORETTI- C. GENGHINI,Cronirtoria dell'lrtitrrto delle Figlie di
iMaria A.
B. AS 4: G il fondo relativo aìle Figlie di M. A,: istituzione, regole stampate; prefazio-
ne alle regole edite (ms. di Don Bonetti riveduto da DD); capitoli generali; corrispondenza;
incartamento del rappresentante del Rettor Maggiore; circolari; programmi di Istituti (Nizza
Monferrato, Vallecrosia, Trecastagni, Bronte ...).
(67) Espressioni che si leggono nel cosiddetto «testamento spirituale,, (MB 17,
p. 272) e in ogni supplica al Papa.
(a)Cf. ad esempio SPADOLINLI,>opporizione cattolica, pt. 1, cp. 6, centralismo e auto-
nomia nel movimento cattolico, ed. c., p. 152-161.
('39) MB 15, p. 363.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
AS 115; 126; 131: carteggi con DB, letterine di auguri per il suo onomastico, alla
voce Figiie di M. A.; AS 225 Pestarino (incartamento personale).
C. Acqui, Curia: carte riguardanti le Figlie di M. A. (esemplare ms. approvato delle
Regole, Decreto di approvazione dell'Istituto, ecc.).
D. Poritio per la heatificazione e canonizzazione di madre Maria Domenica Mazzarello
(Torino, Acqui, Roma: curie diocesane, arch. Salesiani e Figiie di M. A,; S. C. dei Re-
ligiosi; S. C. dei Riti).
BIBLIOGRAFIA
Oltre alle biografie di Don Bosco della Mazzarello e di Don Pestarino, che citeremo,
G. M A ~ T T IM, adre. Cuferina Dugheru prima successom drila beata Maria Mazza~eIlo,
Torino 1940; Cenni biografici delle Figlie d i Maria Ausiliatrice defunte nel primo decennio
dell'lstituto (1872-1882), Torino 1917, e le necrologie successive.
Utili sono LEMOINE, Le droit des religieax e le altre opere citate al cp. 6 siilla
Società Salesiana.
CAPITOLO IX
I COOPERATORI SALESIANI
1. L'unita d'azione, obbiettivo supremo dei cattolici italiani dopo il '70
Dal 12 al 16 giugno 1874 era stato tenuto a Venezia il primo congresso
cattolico italiano. Fu un avvenimento a cui tutta la stampa, propizia e avversa,
diede una risonanza straordinaria. Se ne intuiva la grande portata. I cattolici
superavano ormai i regionalismi, analogamente a quanto la classe liberale diri-
gente si sforzava di fare, raggiunta l'unità nazionale, nella legislatura, nella
scuola, nella burocrazia, nella vita politica (l).
I Cattolici sorgevano in piedi nella presa di coscienza della propria forza:
essi, stato reale, in contrapposizione allo stato legale, affermavano di essere
il novantanove per cento della popolazione ritiratasi dalla vita politica con
l'animo di organizzarsi sotto l'egida deIla libertà che lo Stato prometteva di
rispettare. Giustamente il deputato cattolico di Terni, Stefano Iacini, dimis-
sionario nel 1870, scorgeva in quest'atteggiamento dell'Italia reale qualcosa di
rivoluzionario, quasi una causa di precoce senilità per lo stato italiano, il quale
si sarebbe fatalmente dissolto per dar posto alla società cristiana che si rin-
novava, e, per cib stesso, appariva, rispetto allo Stato liberale, una forza
eversiva (').
Si speravano molte cose dal Congresso. « I1 primo fra questi salutaris-
(1) Cf. cp. 6, nota 107.
(2) La distinzione tra Italia reale e Itaiia legale & espressa da S. JACINI nell'opuscolo
Sulle condizioni della cosa prrbblica in Italia dopo il 1866. Lettera agli elettori d i Terni
del loro deputato dimirsionario, Firenze 1870, di cui riferisce brani l'Unita Cattolica, ve-
nerùì 3 luglio 1874, Q. 153: « Si puà concludere che in Italia nel fatto non partecipano al
sistema di governo più di 250 mila persone, ossia meno dell'uno per cento delia papola-
zione D. Nel 1893 L'Italia reale divenne il titolo del periodico cattolico torinese succeduto
ali'Unità Cattolica; il periodico percib che veniva acquistato e letto a Valdocco, dove
appunto se ne conservano varie annate. «Sosteneva la tesi del clericaiismo più aspro ed
aggressivo nel momento stesso in cui si richiamava all'esistenza di larghissime masse in-
qualificate, di vasti ceti poiiticamente indifferenziati, che non avevano aderito alle istitu-
zioni, che non avevano votato nei plebisciti » (SPADOLINIL, Iopposi~ione c#ltolcca, pt. 1,
cp. 5 , Firenze 19614, p. 130).
209

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
simi effetti - asseriva in adunanza uno degli oratori, il padovano Giuseppe
Sacchetti, direttore del periodico Veneto cattolico - parmi, o Signori, sia
quello di chiudere finalmente l'era delle illusioni, per aprir l'era dell'operosità
cattolica, congiunta colla fede cristiana » ('1).
Era tempo di smascherare e abhandonare coloro che «chiamami con
termine generico e in gran parte improprio cattolici-liberali, perché vogliono
ximanere cattolici e favoriscono intanto il liberalismo entro limiti difficili a
determinarsi. Furono costoro - affermava Don Enrico Massara, direttore del-
I'Ossevvatore cattolico di Milano -, che mentre nel campo già vedevasi cre-
scere rigogliosa la messe, vennero e seminarono la zizzania, che ove guastò il
raccolto, ove affatto lo impedi » (4).
Ormai, si afferfiava, non c'era più possibilità di illudersi o tergiversare.
« La proposizione settanta del Sillaho, che condanna ogni conciliazione del
cattolicismo colla rivoluzione non implica insieme la condanna di questi cat-
tolici-liberali? ». I1 liheralismo cattolico era da considerarsi « l a vera eresia
dei nostri giorni » ( 5 ) .
Bisognava disincantare coloro che in vario modo vi avevano aderito e che
perciò avevano favorito la rivoluzione: ricchi signori che si barcamenavano
tra la Chiesa e la Loggia massonica; timidi che chiudendosi « a chiavistello
nel proprio studiolo », vi leggevano « con singolare compiacenza il foglio cat-
tolico », al quale sono associati prudentemente col nome del portinaio o del
cameriere perché temono di essere segnati a dito come retrogradi, codini e
gesuiti; ingenui, che « p e r non isolarsi e star soli coi cattolici, entrano nelle
congreghe, nelle società perfettamente rivoluzionarie », danno il loro obolo a
società di mutuo soccorso, a opere filantropiche « manifestamente istituite per
persuadere le masse che non sono i preti che fanno la carità » e cosi, con la
formidabile potenza del danaro sostengono I'«opera della rivoluzione » (').
Bisognava inoltre scuotersi dal nefasto quietismo.
(3) Primo congresso cattolico italiano tenutosi in Venezia dal 12 al 16 giugno,
vol. I. Atti, Bologna 1874, p. 55. Sul Sacchetti (1843-1906)si veda G. DE ROSA, Giu-
seppe S. e ('Opera dei Congressi, Roma 1957.
(q Primo congresso, p. 78. Non deve sfuggire l'incertezza o cautela che &ora dalle
parole del Massari nell'usare la denominazione di cattolico liberale, una delle tante che
anche oggi è indispensabile adoperare « per orientarsi », « costretti » << a farne uso - come
scrive il Passerin - per l'ottocento italiano, dopo averle applicate, e sempre con quaiche
disagio alla cultura francese » (recens. a JEMOLOS,critti vari di storia religiosa e civile,
Milano 1965, in Riv. di st. d. Chiesa in Italia 20 (1966) p. 500 s). Non è sempre facile
definire quale contenuto si dava alla qualitica di cattolico liberale sia da quanti erano per-
suasi di esserlo, sia da coloro che li awersavano. Ancora meno facile è definire univoca-
mente ambienti o correnti.
Primo congresso, p. 79 S.
(6) Primo congresso, p. 80. Al messianismo cattolico corrispondeva quelio anticlericaie
delle Unioni di liberi pensatori «dagli ambiziosi e ottimistici programmi* fondati sulla
persuasione che era «prossima, inevitabile [la1 trasformazione della vita morale dell'uma.
niti, sulla rovina del credo religioso innalzantesi a l culto della scienza e del progresso b:
CEIABOSDto,ria della politica estera italiana, Bari 19622, p. 234 S.
«Finora noi italiani - apostrofava Giuseppe Sacchetti - abbiamo creduto,
abbiamo vivamente creduto, abbiamo pregato, abbiamo sperato, ciecamente; ma che
abbiam fatto noi? Che abbiam fatto noi in tanti anni di rivoluzione? Corrispose
la nostra attività alla nostra fede? e le opere nostre camminarono di pari passo
colle preghiere? . . .
I1 trionfo della rivoluzione soprawenutoci in modo sì formidabile, ci trovò,
per somma disavventura, disgregati, divisi, inesperti alla lotta ed inermi. La o .
scienza della nostra debolezza accoppiata al triste spettacolo dell'implacabile .effe-
ratezza devempietà, giovò assai bene a gettarci nella costernazione.. . Noi abbiamo
soerato tutto da Dio. abbiamo confdato in Lui si ampiamente da credere superflua,
inutile, intempestiva ogni nostra azione.. . Ci illud&mo fuio al punto da pre-
vedere l'anno e il giorno e l'ora, in cui uno strepitoso miracolo dovea compiere
la vittoria del cattolicismo sulle nemiche podestà. Una funzione straordinaria, una
lieta solenne ricorrenza, un avvenimento impreveduto, talora anche qualche sup-
posta profezia, o un crimine inatteso ed enorme della rivoluzione, bastarono per
farci bene spesso fissare la data dell'ultima sua rovina, con una sicurezza incre.
dibile (7).
Per un buon quindicennio si era vissuti di astrattezze e di illusioni. An-
cora attorno al 1867, centenario del martirio di S. Pietro, ci si era quasi solo
contentato di fare allusioni al novello Nerone che aveva gettato in prigione
il successore di Pietro. Era stato affermato che il nuovo Pietro poteva soc-
combere, ma non la sua fede, non la Chiesa, perché Dio vegliava e le sue
promesse erano certezze: non puevalebunt! (9.
Ma ormai era tempo di unire alle speranze l'azione e di coordinare gli
sforzi isolati fatti fino allora.
Guardando indietro si poteva vedere che cosa si era fatto. Erano state
potenziate le opere di culto, era aumentato lo slancio nelle solennità religiose,
la partecipazione alla mensa eucaristica, si era organizzata l'adorazione perpetua
al SS. Sacramento, si era dappertutto posto mano ad arginare la penetrazione
delle idee rivoluzionarie in vari strati sociali. Si era provveduto ai ragazzi me-
diante il catechismo, gli oratori festivi e i patronati; erano stati organizzati i
lavoratori in societi operaie e di mutuo soccorso; erano state fondate casse
di risparmio; si era provveduto alle famiglie delle quali era stata promossa la
consacrazione alla Famiglia di Nazareth; veniva prestata assistenza ai poveri,
agli ammalati, ai moribondi, alle domestiche. Dappertutto in Italia, come in
(7) Primo congresso, p. 55-57.
(8) Tale è il senso del volume L'episcopato e la Rivoluzione in Italia ossia Atti collettivi
dei vescovi italiani preceduti da quelli del Sommo Pontefice Pio IX contro le leggi e i fatti
della Rivoluzione offerti a San Pietro in occasione del diciottesimo Centenario del glorioso
suo martirio, Mondovì 1867 cdito per interessamento del hattagiiero mons. Ghilardi. DB
dal canto suo ripubblicò la Vita di S. Pietro (1856, LC) con il titolo: Il centenario di S.
Pietro apostolo.. . (1867, LC) senza fare alcuna allusione ad avvenimenti contemporanei.
Oualche cenno alle sofferenzedel Papa e ai trionfi della Fede si trova su Il Galantuomo

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Francia, in Belgio, in Svizzera e in Germania si constatava un pullulare di opere
che volevano rinnovare la comunità cristiana. Dappertutto era sentito il pro-
blema della stampa popolare da distribuire capillarmente; a Torino, a Genova,
a Bologna, a Venezia, a Roma, a Napoli esistevano periodici cattolici a fianco
di quotidiani battaglieri, opuscoli di letture cattoliche. Esisteva l'opera del-
l'Obolo di S. Pietro per sostenere il Papa spogliato dal governo italiano, l'opera
della redenzione dei Chierici poveri dalla leva militare; ecclesiastici e laici ge-
nerosi si prestavano per l'istruzione catechistica nelle parrocchie; era stata
eretta l'opera per la Santificazione delle feste, l'Opera dei Tabernacoli che
provvedeva al decoro delle Chiese, l'opera per sordomuti e cieco-nati . . . Ma
bisognava coordinare tutte queste forze generose e promettenti uir unita fortior!
Solo se uniti, i Cattolici avrebbero potuto sperare nella riscossa e nella vittoria
suila rivoluzione.
2. Dal progetto de1l1UnioneCristiana e dei Calesid'esterni all'unione
dei Cooperatori salesiani
Queste istanze non erano che un'eco di quanto ormai era neil'animo di
molti, e premevano certamente su Don Bosco, quando ritornò a Torino con
le Costituzioni approvate nel 1874. Il suo primo appello per una coalizione
di laici si intitola appunto «Unione Cristiana »:
«Le forze deboli - egli scrive - se sono riunite diventano più forti; Vis
unita fortior, dice Iddio. Una sola cordicella si può rompere con facilità, ma
collegandone più insieme si forma una robusta fune, che assai di5cilmente si
spaza; Funiculur triplex difficile rumpitur. Così fanno gli uomini del secolo per
riuscire nei loro affari temporali, e per assicurarsi il buon successo de' loro progetti.
Cosi pure dobbiamo far noi Cristiani: Uniti, siccome facevano i primi cristiani,
in un cuor solo, ed in un'anima sola per riuscire nell'importante affare, nel grande
progetto della eterna salvezza dell'anima nostra. È questo il fine dell'Associazione
Salesiana D.
Ma non si tratta di un appello generico, lanciato a chiunque. Don Bosco
tornava da Roma con l'esclusione dei Salesiani esterni dalla Congregazione
religiosa che gli era stata approvata. Gli d i i a t i esterni, secondo la S. Con-
gregazione dei Vescovi e Regolari, non dovevano assolutamente comparire
sulle Costituzioni di una congregazione dai voti semplici e dalla vita comune.
L'avere Don Bosco invocato i Terzi Ordini servi a dare un'arma a quanti ne-
gavano il diritto di esistenza nella Congregazione salesiana ai religiosi nel se-
colo. I Terzi Ordini, infatti, non erano nominati sulle Regole dell'ordine pri-
mario e avevano Regole a parte. Tanto meno poteva riuscire gradito a Roma
l'apprendere da Don Bosco ch'egli aveva data l'affiliazione come un titolo di
benemerenza a benefattori o collaboratori laici ( 9 ) .
Cf. sopra cp. 6 , note 84.87, p. 155-157,
212
Egli dunque, ritornò a Torino con l'idea del Salesiano esterno, forse non
awedendosi che v'iucludeva non uno, ma tre progetti: quello del terziario,
a cui poteva accostarsi l'idea del Frassinetti, del religioso ai secolo, vincolato
da voti, preparato con noviziato, impegnato con effetti pubblici d a pratica
della perfezione cristiana, e, secondo le nuove esigenze, a opere apostoliche; e
le altre, del benefattore e del collaboratore (l0). Chiarissimamente Don Bosco
si rivolge al nostalgico del chiostro quando scrive che il fine della sua Asso-
ciazione Salesiana o Unione Cristiana (") « si è di proporre alle persone che
vivono nel secolo un tenore di vita, il quale in certo modo si avvicini a quello
di chi vive di fatto in Congregazione », per la ragione che « molti andrebbero
volentieri a chiudersi in un chiostro: ma chi per età, chi per sanità o condizione,
moltissimi per difetto d'opportunità o di vocazione ne sono assolutamente im-
pediti ». « Costoro - soggiunge Don Bosco - anche in mezzo alle loro ordi-
narie occupazioni, in seno alle proprie famiglie possono vivere in modo da
essere utili al prossimo ed a se stessi quasi fossero in religiosa comunità » (lZ).
A loro egli, quasi ispirandosi ai vantaggi dello stato religioso che proprio in
quegli anni mette in rilievo nelle conferenze ai suoi salesiani e nell'Introduzione
alle Regole, offre l'Associazione Salesiana « a fine di godere almeno in questa
parte quella pace che invano si cerca nel mondo D (l3).
« Laonde l'Associazione Salesiana si può chiamare una specie di terz'or-
dine degli antichi con questa diversità, che in quelli si proponeva la perfezione
cristiana neil'esercizio della pietà; qui si ha per fine principale la vita attiva D (l4).
Pensa però al benefattore allorché invita a «fare un'offerta per sostenere
le opere promosse dalI'Associazione » (l5); e al collaboratore, allorché ricorda
che fin dal 1841 non gli venne mai meno l'aiuto di ecclesiastici e di laici(I6).
Su queste idee, come una irruente cascata, ne sopravvennero altre, sug-
(10) Per le motivazioni che porteremo ci pare di doverci staccare dall'interpretazione
comune, secondo cui nell'organizzazione dei Cooperatori vi sarobbe stato lo sviluppo di
un'idea unitaria. A nostro avviso questa tesi & dovuta al fatto che DB stesso amò accostare
l'Unione dei Cooperatori ai Terz'Ordini. Inoltre i biografi di DB non si sono molto preoccu-
=n-a-t-i- d-e~l c-ontesto ambientale estraneo a quello rappresentato dalla stretta documentazione
~~
dell'Archivio salesiano di Valdocco.
(11) Denominazioni precedute già da quelle di «Unione di S. Francesco di Sales D,
«Associati aila Conerezazione di S. Francesco di Sales ». Cf. AS 133 Cooperatori riprodotto
in MB 10, p. 1309 l
('2) [Bosco], Unione Crrstzana, Torino, tip. dell'Orat. di S. Franc. di Sales 1874,
p. l s riprodotto in MB 10, p. 1315, derivato dal ms. pubblicato sulle medesime MB 10,
p. 1310.
siana
(33) Unione
(cura della
Cristiana,
gioventù
apb.b2an. dOovnvaitaameendteellaelcuvnoceazfoiornmiu.l.e.
delle Regole della Società sale-
) furono utilizzate da DB nel
regolamento per gli Associati alla Congregazione.
(14)
(15)
Unione Crirtiana,
Unione Cristiana,
p.
p.
2.
5
(Obbligazioni
particolari)..
.
(M) Storia dei Cooperatori solesiani in Bibliojilo cattolico o Bollettino ~alesianomen-
suale 3 (sett. 1877) p. 1. Rubrica composta, a quanto sembra, dal redattore Don Bonetti,
ma chiarissimamente ispirata da DB c carica di. suoi ricordi

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
gestive, piene di forza, fuse in uno scintillio unico e allettante, che faceva
arridere l'opportunità di inserirle nel suo progetto dei Salesiani cooperatori.
Anzitutto P l'Associazione dei divoti d i Maria Ausiliatrice a irrompere sui
progetti in ebollizione di Don Bosco. Egli l'aveva fondata nel 1869 ispirandosi
in parte alla Veneranda confraternita sotto il titolo della B.V. Ausiliatrice
canonicamente eretta nella chiesa parrocchiale d i S. Francesco da Paola in
Torino ("), aUo scopo di dare maggior decoro e incremento al culto dell'Ausi-
liatrice gravitante attorno al santuario che era riuscito a costr~ire('~O).ra, ne1
1874, dopo un lustro, ne saccheggia gli Statuti per incorporarne quanto più
può in quelli della nuova associazione. Forse anche ne sfrutta il titolo: Associa-
zione dei divoti d i M.A., che forse avrà orientato verso quello di Associati
alla Congregazione d i S. Francesco d i Sales (l9).
Gli associati divoti di Maria Ausiliatrice avrebbero dovuto curare « la
dihsione di buoni libri, immagini, medagiie, pagelle », «promuovere il decoro
e la divozione nelle novene, feste e solennità » ("). Cosi gli associati salesiani
avrebbero dovuto « promuovere catechismi, novene, tridui spirituali », « dif-
fondere buoni libri, foglietti, pagelle, stampati di qualunque genere » (2').
L'ascrizione dei divoti di Maria Ausiliatrice doveva essere segnalata al
Santuario di Torino: « a l Direttore della Chiesa che è pure il Direttore della
pia Associazione » (cioè Don Bosco)(U). Così l'Associato salesiano avrebbe
dovuto dare il proprio nome « al Direttore dell'Associazione, che è il Rettore
della Chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino » (").
Sopravvengono altri stimoli. A Genova, a Bologna, a Venezia e altrove,
soprattutto in Francia e in Belgio, esisteva la Associazione di S. Francesco d i
Sales per la difesa e conservazione della fede. Funzionava da centro diocesano
coordinatore e alimentatore di organizzazioni tra loro autonome, esistenti in
parrocchie o istituti religiosi: compagnie, catechismi, assistenza ai poveri. . .
In Francia ne era fervido promotore e organizzatore mons. Gaston de Ségur,
ben noto a Don Bosco per le operette apologetiche e sulla frequente comu-
n i ~ n e ( ~ A) . Genova era stata istituita dall'arcivescovo Andrea Charvaz, di
('7) Fu eretta nel 1798. Gli Statati e pratiche dzvote della Veneranda Confraternita
furono ristampati più di una volta, tra gli altri, dall'amico di Don Bosco Giacinto Ma-
rietti (1856).
('8) P: BROCARDSOa,n Giovanni Bosco apostolo del titolo Auxilium Christianorum, in
Salesianurn 12 (1950) p. 519-574.
('9) Cf. BOSCO, Associazione de' Diuoti di Maria Ausiliatrice cunonicumente eretta
nella chiesa a Lei dedicata in Torino, Torino 1868 (LC) e Associati alla Congregazione di
S. Francesco di Saler (AS 133 Cooperaror?, mms. autogr. di DB, edito in MB 10, p. 1310.1314).
(n)Associuzione de' Diuoti, p. 48 S.
. . .( 2 ' ) MB 10,. D. 1312.
(=) Associazione de' Diuoti, p. 54.
(a)MB 10, p. 1313.
(9LOUISDE SEGURM, emorie e narrazione d'un fratello.. . , Torino 1914, p. 184.191.
Nel 1861 le Letture Cattoliche ospitarono del DE SEGURLa Chiesa; poi, La saaissimu
Comunione (1872) e Ogni otto giorni (1878) che ebbero varie edizioni.
origine savoiarda, nel 1865 (=). 11 Congresso cattolico italiano del 1874 fece
voti che l'Associazione fosse introdotta in ogni diocesi (26)).
Sorprendono molte coincidenze tra gli statuti dell'Associazione genovese e
quelli che formulò Don Bosco. Gli associati vi si trovano riuniti in gruppi di
dieci, dipendenti da un decurione. Dieci decurioni fanno capo a un centurione
(a un prefetto, secondo Don Bosco). I vantaggi spirituali erano attinti in gran
parte all'Arciconfraternita del Cordone di S. Francesco (Don Bosco si farà
elargire quelle del Terz'ordine) (n).Le opere dirette dal Consiglio diocesano
erano tali quali, nella quasi totalità, avrebbe potuto desiderare Don Bosco:
« 1. Oratorii per la Dottrina Cristiana.
2. I1 Patronato per le giovani pericolanti nella fede e nel costume, affi-
dato ad una Commissione di Pie Signore (e da Don Bosco, alle Figlie di Maria
Ausiliatrice e alle Cooperatrici).
3. La Settimana Religiosa (organo dell'Associazione) a cui Don Bosco
farà corrispondere il Bollettino Salesiano.
4. La diffusione dei buoni libri, e la più gran parte gratuitamente, a di-
verse classi di persone (anche la Libreria Salesiana s'impegna a creare collane
per categorie di persone: Biblioteca edificante, Bibliotechina dell'Operaio .. .).
5. Le Biblioteche circolanti.
(a)Mons. Charvaz vi fuse la Pia Associazione genovese di N. S. Immacolata per l'in-
cremento e la conservazione della Cattolica Fede, già iniziata nel 1853 e che aveva come insi-
gne promotore il marchese Brignole Sale. Questi, secondo mons. Persoglio, avrebbe data
l'ispirazione a rnons.
S. Francerco di Sales
.d.e.,rgeularzieonaei
suoi
letta
amici di Francia: cf.
dal direttore diocesano
Associazione cattolica di
mons. Vincenzo PERSO-
GLIO. . . , Genova 1884, p. 11-13. L'iniziativa genovese si era ispirata a sua volta all'Opera
per la Propagazione della Fede, che in Italia aveva trovato larghi consensi e adesioni. I1
. de Ségur scrive che era stata anche un'idea di Pio IX quella di fondare e organizzare «nei
paesi cattolici una grande associazione di fede, di preghiere e di carità che fosse.. una
specie di Propaganda dell'intima fede» (o. C , p. 185). Siill'Associaziooe di Venezia, 6.
i-ì-r R.....o.,sn. ..St~ orie~ del mooimento cattolico in Italia, I , p. 89-91.
~~
(") Primo congresso, p. 84; 89; 296.
( n )Associazione Cattolica di S. Francesco di Sales per la difesa e conseruazione della
fede nell'mchidiocesi di Genova, Genova 1882 (statuti già elaborati nel 1865), p. 14s.
«L'Associazione dovrebbe avere in ogni parrocchia un numero indeterminato di Collettori e
Collettrici, incaricati di procurare le associazioni dei fedeli; i quali prendono il nome di
... Decurioni, quando abbiano dieci persone ascritte, e di Centurioni, quando abbiano dieci de-
curie, cioè, cento ascritti Al termine d'ogni anno (e in Genova suole essere alla sera
della festa di S. Francescodi Sales, che per buone ragioni è trasportata alla prima domenica
dopo il 29 gennaio), in una pubblica ginerale adunanza, sarà dal Direttore Diocesano letta
la relazione dell'operato dell'Associazione nell'anno precedente, e dal segretario e dal teso-
riere, dato conto di quanto si sarà introitato nell'anno e dei come sarà stato distribuito
il denaro P.
DB nello stadio successivo a quello degli Associati: la Unione Cristiana, stabilisce
. qualcosa di analogo: a , . dove gli associati giungono a dieci, sarà stabilito un capo col
nome di Decurione. Dieci Decurioni possono avere un capo, che si chiamerà Prefetto
dell'Associazione » (p. 4 e MB 10, p. 1316); «Sul termine di ogni anno il Superiore
comunicherà a' soci le opere, che nel corso dell'anno seguente sembrano doversi di prefe-
renza promuovere . . . D (l.C,).

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
6. La novena e festa di S. Francesco di Sales.
7. L'Opera degli Esercizi spirituali, per i signori, in qualche casa re-
ligiosa, in preparazione ali'adempimento del precetto Pasquale (Don Bosco
promuove Esercizi spirituali per signorine e maestre).
. 8. L'adorazione diurna del SS. Sacramento . . » (").
Dovunque, scrive Don Bosco, i Cooperatori dovevano farsi promotori di
opere in favore della gioventù pericolante, con oratori, catechismi, preghiere,
farsi sostenitori delie vocazioni ecclesiastiche e della stampa. Dovunque, essere
in ciò collaboratori dei propugnatori del bene (").
Ma tutto faceva capo al Rettor Maggiore dei Salesiani, il quale, stabilisce
Don Bosco, « è pure il Superiore di quest'Associazione »; a lui decurioni e
prefetti devono scrivere, e rendere conto annualmente del movimento del-
l'Associazione (9.
Nel primo progetto dell'unione Cristiana Don Bosco non nomina i ve-
scovi. Parrebbe &egli inizialmente, sognando un'Associazione Salesiana che
coordini le forze cattoliche per la gioventù su base parrocchiale (nel regola-
mento si dice che il Decurione sia ii parroco o un sacerdote scelto da lui), non
presti attenzione alle difficoltà giuridiche e pastorali insite in nn'istituzione
che veniva a creare un'autorità distinta da quella del170rdinario del luogo su
persone e su attività ch'erano di sua competenza.
Egli sente da una parte il valore di proporre la Società Salesiana come
«vincolo di unione » per un lavoro a raggio mondiale per attività che le sono
specifiche(31); ma dall'altra avverte che un'azione sui giovani non è possibile
se non viene inserita sulle strutture ecclesiastiche territoriali; tranne che ve-
nisse impiantata nelle salesiane, erette con l'approvazione degli Ordinati dio-
cesani.
- Traspare il disagio di Don Bosco l'uomo pratico che si pone a teoriz-
- zare nel dovere formulare con termini giuridicamente pesati quanto intende
dire, per affermare che i Cooperatori possono definirsi per una parte collabo-
ratori dei Salesiani (i quali per quanto in buon numero non riescono ad as-
solvere ovunque le quotidiane richieste) e dall'altra devono dirsi collaboratori
dei Vescovi e dei parroci sotto la cui direttiva devono lavorare (").
(") Arrociazione Cattolica di S. Francesco di Sales, p. 16 S.
(a)Cf. il ms. degli Associati, quello della Unione Cristiana in AS 133 Cooperatori, e
lo stampato Unione Cristiaima, Torino, tip. dell'orat. di S. Franc. di Sales 1874 c MB 10,
D. 1310.13- 18~-
( M ) Unione Cristiana, Costituzione e governo, p. 3 S.
(3') Tesi che DB enunzia nello stadio in cui definitivamente accetta il termine n coope-
ratore salesiano D: Cooperatori Salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume
ed alla civile societd [Torino, tip. Salesiana 18761, p. 4: Questa Congregazione essendo
dehitivamente approvata dalla Chiesa pub servire di vincolo sicuro e stabile pei Cooperatori
Salesiani » (ms. relativo in AS 133 Cooperatori).
(") Lo asserisce DB stesso: Cooperatori Snlesiani, p. 5-7.
- << L'associazione egli scrive - è umilmente raccomandata alla bene-
volenza e protezione del Sommo Pontefice, dei Vescovi, de' Parroci, dai quali
avrà assoluta dipendenza in tutte le cose che si riferiscono alla religione » (33).
Si awerte intanto l'itinerario del progetto primitivo, spostatosi dal campo
esclusivo della Società Salesiana a quello del clero diocesano, con un fenomeno
di estrapolazione non pienamente superato dall'umile benevolenza implorata
da Don Bosco sul Regolamento.
Altri stimoli intervengono a modulare il progetto primitivo. I1 « serrate
le fiie » dei Cattolici italiani sembra abbia ispirato il titolo più antico di « Unione
Cristiana », giustificato con un motto che l'anno precedente era stato procla-
mato da mons. Gastaldi in una lettera pastorale sulle Società operaie: vis unita
foutior (%). Era un ordine di combattimento che per associazione d'idee deve
aver richiamato a Don Bosco un'espressione che gli era già divenuta abituale:
« opporre la buona stampa alla irreligiosa » (3').
Eppure nei tempi in cui Don Bosco si occupava dei Cooperatori questa
combattività non pare sia più né prevalente, né persistente. Egli tende ad agire
sottraendosi a chi poteva intralciarlo, tende a suscitare simpatia e una base
comune di lavoro, protestando nella programmazione degli stessi Cooperatori,
che l'associazione non ha scopi politici, che anzi vuol essere neutrale. Non vuole
essere esclusivista ma soltanto offrire come « u n modo pratico per giovare al
buon costume ed alla civile società ». Dal proprio linguaggio - in quest'ordine
di idee - Don Bosco elimina persino il termine di religione e ricorre a due
serie di binomi: « morale e civile educazione », « buon costume e civile so-
cietà » (%).
I n definitiva le sue istanze personali, fluite dall'esperienza pluridecennale
di educatore e organizzatore, sotto lo stimolo di suggestioni ambientali nuove,
che si erano sviluppate dopo il '70, fanno emergere in un solo conglomerato
sei progetti formalmente distinti:
1. salesiani religiosi nel secolo;
2. collaboratori dei salesiani nelle loro case, che si prestano di persona per
catechismi o per altre attività;
3. sostenitori dell'opera salesiana nel mondo mediante la preghiera e l'obolo;
4. associati per opere giovanili e l'incremento della fede alle dipendenze dei
vescovi e dei parroci;
(") Cooperatori Salesiani, p. 9.
(3) L. GASTALDLeI,tfere pastorali, commemorazioni funebri e ponegirici, lett. past. del
5 ott. 1873, Torino, p. 267 s: « L a carità cristiana è quella che mostra in tutta la sua esten-
sione la verita dell'antichissimo proverbio: Vis unita fortior; le forze unite accrescono cia-
. scuna la sua potenza.. Questo spirito di associazione diede prove solenni del suo vigore
sino dai orimi esordi della santa Chiesa Cattolica: nei suali sorsero ben tosto varie società
~~~
~
~
intente, quale ad una, quale ad altra opera di carità cristiana u: da confrontare col primo
paragrafo della Unione Cristiana (p. 1) e dei Cooperatori Sulesiani (p. 3).
(35) Cf. la voce Letlure Cattoliche, in Indice M B , p. 234.
(36) Cooperatori Salesiani, La Congregazione Salesiana vincolo di unione, Torino 1876,
p. 5; di cui è data una esegesi più esplicita in Bibliofilo Cattolico 3 (agosto 1877), p. 1 s.

11.10 Page 110

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
5. lega per controbattere, specialmente con la stampa, anticlericali e protestanti;
6. unione per promuovere l'elevazione morale e civile della gioventù.
Questi progetti sono nuclei per sé ben individualizzabili, quasi altrettanti
pianeti in cerca di un sistema in cui gravitare, ma che dalle circostanze e dal
desiderio di Don Bosco stesso vengono spinti a muoversi in due campi, i cui
centri d'attrazione e di equilibrio potevano essere sorgente d'impulsi non sem-
pre tra loro componibili.
Per agire sulle Chiese d'Italia in base a una pianificazione unitaria in
teoria bisognava essere non il superiore di una congregazione religiosa, ma, ad
esempio, una commissione episcopale nazionale, o un'assemblea generale del
clero, così come per tanti anni era avvenuto in Francia, ovvero l'Opera dei
Congressi, i cui sforzi si orientarono appunto a superare concorrenze, a poten-
ziare Comitati parrocchiali e diocesani alle dipendenze di un Comitato centrale
permanente. L'opera dei Cooperatori, sorta in parte dalle stesse istanze che
portarono alla organizzazione dell'opera dei Congressi, assumendo strutture
e finalità affini poneva per ciò stesso i presupposti per un contrasto ai quale
bisognava dare una soluzione (").
Per agire per scopi filantropici su base plnralistica e a scala mondiale,
bisognava studiare un'organizzazione come quella dei Rotary o dei Lyon's
Clubs; ovvero una vera e propria ((massoneria cattolica » (secondo quel che
avrebbe detto Pio IX a Don Bosco)(").
Sarebbe stato comunque necessario porsi a tavolino per chiarire e de-
cantare le idee, studiare la possibilità di unioni distinte, anche se coordinate.
Sarebbe stato necessario a fianco di Don Bosco un teorizzatore che lo aiutasse
a porre in luce le intime aporie di un'associazione multipla che sapeva di mo-
vimento, di società, di terz'ordine, di semplice clima di simpatia e di favore
dato senza impegni.
Tutto questo non ci fu, almeno come teorizzazione consapevolmente orga-
nizzata. Così la eventuale chiarificazione delle idee e la gerarcbizzazione delle
attività venne affidata alla dialettica dei fatti P)').
3. 11 cammino delle idee
Nei primi anni, tra il 1875 e ii 1885, a differenza di quanto nei contempo
faceva per le Figlie di Maria Ausiliatrice, Don Bosco si accollò personalmente
l'onere di agitare le idee e arruolare aderenti alla Cooperazione Salesiana.
(37) Contrasto che si profilò con una certa evidenza in Italia tra il 1940 e il 1950,
quando fu posto iJ prohlema del coordinamento tra le forze laiche in Italia attorno al
nucleo dell'Azione Cattolica. Di riflesso anche nell'interno della Società Salesiana si studiò
il problema delle relazioni tra Azione Cattolica e Compagnie religiose ereditate per tradi-
zione da S. Giovanni Bosco.
(38) Mi3 13, p. 624. DB lo avrebbe detto a Don Angelo Rigoli, parioco di Somma
Lombardo nel 1876: CERIA,Annali, 1, p. 224.
(39) DB effettivamente se ne preoccupò parecchio, perché considerò l'opera dei Coope-
ratori come un n affare molto importante D. I suoi collaboratori prestarono la loro opera in
Riscontrata a Torino l'opposizione di mons. Gastaldi, che organizzava per
quanto poteva attorno alla curia metropolitana e alla sua persona le iniziative
cattoliche, si rivolge a vescovi benevoli, prima ad Albenga, poi a Genova (*).
Presto passa a Roma, cosi come aveva fatto per la Società Salesiana, per avere
una approvazione autorevole della prima sede e conseguentemente la possibilità
di aprire ai Cooperatori Salesiani le porte di tutte le diocesi.
Organizzata la tipografia salesiana di Sampierdarena, vi porta a stampare
il primo regolamento della sua associazione, chiamata dei Coopeuatoui Salesiani,
forse anche per distinguersi dalla locale Associazione Cattolica di S. Fuancesco
di Sales.
Dovunque egli si rechi a portare la buona novella della cooperazione ot-
tiene simpatie, solidarietà e consensi: tiene personalmente almeno settantanove
conferenze, di cui ventotto in Francia. Dovunque fa conoscere le numerose
iniziative dei Salesiani ed ottiene sussidi. Invia il Bollettino salesiano « a chi
vuole e a chi non vuole » e, dove c'è speranza di una maggiore adesione,
aggiunge il diploma di Cooperatore salesiano. I1 Bollettino, inviato gratuita-
mente, penetra nelle case di ricchi e di poveri; arriva nella cascina dei Roncalli
a Sotto il Monte e sul tavolo del conte di Cbamhord. Pio IX, Leone XIII,
vescovi illustri, cardinali, insigni scrittori o pubblicisti come Cesare Cantù,
Antonio Stoppani, l'ungherese Antonio Lonkay e il tedesco Giovanni Mehier
accettano di essere annoverati tra i Cooperatori. Ricchi mandano offerte consi-
stenti che permettono di inviare il Bollettino anche ai poveri e di portarne la
tiratura a quote rispettabili. Ali'edizione italiana, vivente Don Bosco, si ag-
giungono quella francese e spagnola ("). Si può dire che il Bollettino, le molte
maniera subordinata. Appunto per questo, ci pare, l'organizzazione dei Cooperatori è uno di
quei fatti che maggiormente manifestano in DB l'uomo pratico, che costruisce specialmente in
base all'intuito, alla straordinaria capacità assimilativa e organizzativa. « D a circa due anni
ci lavoro attorno - affermò DB nel 1876 - . . . H o già fatto un altro progetto, che in
questi due anni maturerò e, assicurata l'esistenza deli'opera dei Cooperatori Salesiani, lo
metteremo fuori: sarebbe da fare quasi direi un terz'ordine per le donne, non però aggre-
gate a noi, ma associato alle Figlie di Maria Ausiliatrice » (Cronaca di D. Barheris, 19 febhr.
'76; MB 11, p. 73). I Cooperatori invece ammisero anche cooperatrici e del Terz'ordine
femminile non si fece null'altro.
. (") Cooperatori Salesiani ossia un modo pratico per giovare al b u m costume e alla
ciuile societd, Albenga, tip. vescovile 1876, 34 p.; Cooperatori Salesiani. . . S. Pier d'Arena
- Torino - Nizza Marittima - Buenos Ayres 1876 (con l'approvazione della Curia arciv.
di Genova,ma con i caratteri tipogratici divaidocco: cosa che irritò mons. Gastaldi), 1877'. . .;
Coopératem Salésiens ou moyen pratique de se rendre utile à la socidté en favorisant les
bonnes moeurs, Turin, impr. et libr. Sdésienne 1876 (e in copertina: imprimerie et libr.
Salésienne, S. Pierre d'Arene-Turin-NiceBuenosAyres). Per le relazioni non facili tra DB
e mons. GASTALDIM: B 11, p. 78-83.
(4)Si vedano le lettere del Mehler e del Cantìi sul Bollettino Salcri/zao 9 (1885) p.
166; 12 (1888) p. 63; biglietto dello Stoppani a DB iE AS 126.2; carteggio tra DB e il
Lonkay in AS 123 (copia dattiloscr.). Nomi di cooperatori insigni in CERIA,I Cooperatori
Salesiani. U n po' di storia, Torino 1952, p. 54-56. Da aggiungere: Marianna, imperatrice
d'Austria, di cui si parla in una lettera (non spedita) di DB all'imperatore Francesco
Giuseppe (AS 131.01) e che si trova neli'elenco dei cooperatori defunti: Bulletin salésien
8 (1885) p. 36.

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
circolari spedite, le biografie del d'Espiney e del Du Boys determinarono la
scoperta mondiale di Don Bosco, uomo straordinario, dotato di carismi sopran-
naturali, Vincenzo de' Paoli del secolo XIX. Fino al 1874 i Salesiani costi-
tuivano una congregazione a raggio regionale, sparsa in Piemonte, in Liguria
e poco più, non presa in considerazione dal primo Congresso dei cattolici ita-
liani (che per gli oratori e i patronati additò ad esempio le opere di Venezia
e della Lombardia). Dopo quella data, specialmente dopo 1'80, potevano ambire
e osare un confronto con gli antichi rispettabili Ordini religiosi, diffusi in tutto
il mondo, articolati in famiglia religiosa maschile, femminile e in terz'ordine (").
Si fecero più frequenti i giovani raccomandati a Don Bosco da ecclesiastici e
laici, si m~ltipiicaronl~e richieste di case in varie città e nazioni; crebbero le
domande di ascrizione a qualcuna delle tre famiglie(").
Don Bosco avvertì il successo e non temette il sottoporsi a viaggi massa-
cranti e a strapazzi d'ogni sorta. Specialmente nell'ultimo lustro della sua vita
si trascinava logoro e sfinito per le città d'Italia, dove i suoi figli lo sostituivano
come conferenzieri; andava come uno che più non si apparteneva, reliquia
vivente per i Cattolici che in lui ammiravano e veneravano colui che aveva
avuto una fede altamente operativa in tempi tanto difficili; si trascinava davanti
agii occhi di chi voleva scoprire in lui il segreto del successo, fremere al contatto
del divino che si avvertiva in lui, dare il proprio obolo per sentirsi schierato
tra i gloriosi confessori della fede. Dovunque egli andasse, le chiese si riempi-
vano, scrosciavano applausi, si scatenava l'entusiasmo. Egli dovunque propo-
neva la cooperazione salesiana e le adesioni si moltiplicavano a diecine e a
migliaia (").
Quando però si cercava di premere per organizzare oratori o catechismi
in parrocchie e diocesi, ecco che si manifestavano perplessità e suscettibilità.
L'organizzazione appariva fortemente poggiata su Don Bosco e sui direttori
delle Case salesiane; appariva quindi come una forza centrifuga rispetto a
quelle diocesane.
Don Bosco a questo proposito ribadisce l'idea di associazione bivalente,
che avrebbe dovuto rispondere agli stimoli della duplice polarizzazione, ma in
termini diversi: « Ho studiato molto - avrebbe detto a Don Lemoyne il
16 febbraio 1884 - sul modo di fondare i Cooperatori Salesiani. I1 loro vero
scopo diretto non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma di prestare aiuto d a
Chiesa, ai Vescovi, ai Parroci sotto l'alta direzione dei Salesiani nelle opere
di beneficenza, come i catechismi, educazione di fanciulli poveri e simili. Soc-
correre i Salesiani non è altro che aiutare una delle tante opere che si trovano
nella Chiesa Cattolica. È vero che ad essi si farà appello nelle urgenze nostre,
(0)Confronti e qualifiche chc si leggono
troduzionc: del Leonari, del Du Boys, dello
già su
Spinola
.li.b.ri
c
opuscoli
che
citammo
neli'in-
(a) Riunite in gran parte nell'AS 381 (proposte di fondazioni).
(4) Ci si consenta
Roma, Marsiglia, Parigi,
soltanto di
Barcellona
.r.im. arnipdoarrteataellepucnrotunaalcmheendteei
suoi viaggi a
dal Bollettino
Nizza, Milano,
salesiano, che
attinge ad altri periodici o a carteggi di salesiani e amici.
ma essi sono strumento nelle mani del Vescovo . . . non si deve aver gelosia
dei Cooperatori Salesiani, poiché sono cosa della diocesi, e... tutti i parroci
dovrebbero con i loro parrocchiani essere Cooperatori P(*).
Ma si rimaneva ancora nell'affermazione generica delle finalità. Non si
chiariva a sufficienza in che modo era da intendersi l'alta direzione salesiana,
in che modo i Salesiani dovevano intervenire nelle opere parrocchiali; in quale
senso, in quali tipi di opere, laici di un'associazione religiosa dovevano consi-
derarsi strumento nelle mani del vescovo, venire incontro alle «urgenze »
dei Salesiani e a quelle diocesane soprattutto, quando i Cooperatori non erano
né cattolici né cristiani.
Specialmente quando si entra in quest'ultimo campo, non sembra che
Don Bosco si ponga il problema di una chiarificazione teoretica circa la com-
possibilità di azione tra cattolici e non cattolici; e di più, compossibilità di
associazione con protestanti ed ebrei, proprio mentre egli stesso altrove con-
trappone al proselitismo protestante la resistenza cattolica(").
Nel 1881 venne inviato il diploma di cooperatore all'israelita milanese
Augusto Calabia. In precedenza il libretto d'iscrizione era stato inviato al-
l'ebreo Lattes di Nizza Mare. Questi avranno letto il regolamento, vi avranno
vista l'approvazione pontificia, le indulgenze lucrabili, l'allineamento ai terzi
ordini. Ma non erano cattolici. Come dovevano comportarsi? I1 problema venne
posto a Don Bosco, garbatamente, da Augusto Calabia:
« Le sono grato della fiducia ch'Ella mi dimostra coi farmi l'onore di ascri-
vermi fra i Cooperatori salesiani.. . ma Le fa osservare che io appartengo alla
religione Mosaica, e con ciò ho detto tutto D (").
Don Bosco risponde sottolineando la singolarità « che un prete Cattolico
proponga un'associazione di carità ad un Israelita! ». Ma rivolgendosi a lui,
non intende far questione di credenze o di società religiose giuridicamente
separate. Non parla nemmeno di Cristo, ma di carità e di Dio, ponendosi casi
sul piano del suo interlocutore che crede in un Dio Padre Onnipotente. « La
carità del Signore - scrive Don Bosco - non ha confini, e non eccettua
alcuna persona di qualunque età, condizione e credenza. Fra i nostri giovani che
in tutti sono 80.000 ne abbiamo avuti, e tuttora ne abbiamo, che sono Israeliti.
D'altro lato Ella mi dice che appartiene alla religione Mosaica, e noi Cattolici
seguitiamo rigorosamente la dottrina di Mosé e tutti i libri che quel gran
Profeta ci ha lasciati. Avvi in ciò disparità soltanto nella interpretazione di
tali scritti » (").
Come si vede, anche Don Bosco in termini di gran candore esprime tutto:
convergenza di fede fino a un dato punto, che da se già base solida di carità
(45) MB 17, p. 25.
(M) A Valiecrosia, ad esempio, e in America.
(q)Milano, 29 novembre 1881: AS 126.2; Epistofario 2247.
(M) DB ad A. Calabia, Torino, 4 dicembre 1881: AS 131.01; Epirtolario 2247.

12.2 Page 112

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
universale e di possibile reciproca intesa e collaborazione. Non ignora i con-
trasti e li pone in evidenza con delicatezza, accentuandone il valore soggettivo
ed esistenziale, cioè sottolineando la disparità di interpretazione e, conseguente-
mente, di coscienza religiosa.
Ma ritiene sufficiente quanto ha espresso a giustificazione della sua pro-
posta di associazione caritativa, trovata valida ad esempio dall'israelita niz-
zardo Lattes, il quale, scrive Don Bosco « è Israelita, ma uno de' più ferventi
nostri Cooperatori n.
Offre infine garanzie della cooperazione, sulla base del rispetto reciproco
della buona coscienza di ciascuno:
- «Ad ogni modo soggiunge - io continuerò a spedirle il nostro Bollettino,
e credo che non troverà alcuna cosa che offenda la sua credenza, e qualora ci6
succedesse oppure ne desiderasse la cessazione, non avrebbe che a darmene cenno.
Dio la benedica, la conservi in buona salute e mi voglia credere con rispetto
e stima . . . D (q9).
I Cooperatori dunque non erano soltanto a servizio assoluto dei vescovi
e dei parroci per opere strettamente cristiane, come un terz'ordine, ma anche
come una unione costruita su base pluralistica e avente come scopo una co-
mune azione sociale.
Quando invece si rivolge ai Salesiani come educatori in collegi, Don Bosco
pone loro innanzi i giovani che hanno completato il loro corso: è bene che
questi vengano invitati a iscriversi tra i Cooperatori salesiani o, se artigiani,
vengano indirizzati a qualche Società Operaia Cattolica (so). In quest'ordine di
cose il nucleo di idee che stimola Don Bosco pare sia quello del terz'ordine o
del religioso al secolo, o anche soltanto l'intuizione del valore pedagogico che
poteva avere il mantenere un legame affettivo e operativo tra gli educatoti e
i loro antichi alunni.
Quando infine ha davanti a sé schiere di amici e benefattori, Don Bosco
stende istintivamente la mano. Descrive minutamente l'espansione salesiana nel
mondo fatta in grazia all'obolo da tante buone persone, descrive il bisogno
dei missionari, il desiderio espresso dal Papa di costruire un Santuario a Roma
in onore del S. Cuore di Gesù, la necessiti di contrapporre buona stampa a
quella cattiva; si esprime con eloquenza per nulla tribunizia, anzi priva di
apostrofi e talora povera di termini, compassata nei suoi schemi; ma che trae
forza dall'inserire nel ritmato ripetersi di argomenti, di volta in volta, cifre
sempre più alte di Salesiani, di case, di opere. Così avviene che molti che leg-
(49) Lettera di DB citata. Della medesima idea si fa portavoce lo stesso LEONORI:
Insomma ogni onesto uomo che desidera, e cerca i1 bene vero della umana società pub
dirsi sia Cooperatore della Istituzione Salesiana »: Cenni sulla Società di S. Francesco di
Sales, p. 41.
Deliberazioni del terzo e qtlarto capitolo generale della Pia Società Saleriana tenuti
in Valsalice nel settembre 1883-86, 111, 4 2, Indirizzo religioso-morale N. 12, S. Benigno
Canavese 1887, p. 20 e MB 18, p. 701.
gono il Bollettino o ascoltano le conferenze di Don Bosco istintivamente en-
trano nella persuasione che la cooperazione consista nel sostenere finanziaria-
mente le iniziative di Don Bosco e dei Salesiani nel mondo ('l).
L'adesione, comunque, in forza di vari titoli, venne ottenuta su vasta scala.
Non soltanto come frutto dell'opera personale di Don Bosco, ma molto anche
in grazia allo stato d'animo dei Cattolici che in Europa e in America erano
protesi a coalizzarsi e a ridare alla Chiesa l'antica posizione di prestigio.
È possibile fare, come è stato proposto, una storia del fervore religioso del
secondo e terzo ventenni0 dell'Ottocento che porterebbe a rilevare dati che
non corrisponderebbero a quelli di una storia della pratica religiosa ("1. Analo-
gamente per l'ultimo trentennio del secolo il movimento dei Cooperatori Sale-
siani potrebbe offrire dati per una storia dell'adesione alle opere sociali e
religiose dei Cattolici. Adesione che per sé è un sintomo della stanchezza e del
declino dell'anticlericalismo accanito. Si ponevano, gii nella fase dell'intransi-
genza, i presupposti a un Cattolicesimo di azione sociale, che poteva avere,
neli'intento dei propugnatori, lo scopo di creare una nuova base di simpatia alla
Chiesa, e conseguentemente, di rievangelizzazione dell'Europa e dell'iimerica.
4. Atteggiamento spirituale di Don Bosco
Nell'ultimo decennio di vita, specialmente dopo la morte di mons. Ga-
staldi (1883) Don Bosco appare .l'uomo che, alla scuola della nativa abilità e
cautela, ha assimilato ormai l'insegnamento offerto da una lunga esperienza
di azione basata sulla simpatia di molti (se non di tutti) e sulla benevolenza
reciproca. Non pare abbia più quei contrasti che dovette sostenere nell'adole-
scema con il fratellastro o nei primi anni dell'Oratorio con i suoi primi coiia-
boratori, o dopo il '60 con mons. Moreno a proposito delle L e t t u r e Cattoliche,
e più avanti, con mons. Gastaldi. Più che mai egli rifugge dalla polemica; non
ama che si battagli, vuole che anche durante le ostilità e le vessazioni non si
alzi la voce, non si controbatta, non si segua l'esempio di giornali cattolici
intransigenti dalla polemica aspra e corrosiva, vuole &e ci si preoccupi « di
passare fra goccia e goccia sotto il temporale senza bagnarci » (=). Più che
mai sembra penetrato dall'ideale di dolcezza, di amorevolezza &e dall'agio-
grafia, dalla predicazione, dalla sua stessa idealizzazione aveva conosciuto incar-
nate in S. Francesco di Sales ("). Ma nei suoi ultimi anni, che erano ancora
(51) Si vedano sul Bollettino raleriano gli articoli programmatici di DB ai Cooperatori,
sui numeri di gennaio di ciascun anno e le diverse relazioni di conferenze.
(s2) Claude SAVARPTo,ur une sociologie de la feruerrr i.eligiei<se: i'ilrchiconfrérie de
Notre-Dame-Des-Victoires in Re". d'hirt. ecclés., 59 (1964) p. 823.844,
(9AS 110 Cronaca di Don Barberis, 18 maggio 1878, riferita da CERIAA,nnali, 1,
p. 238 S.
(si) S. Francesco di Sales appare soprattutto come il santo della dolcezza «Procura di

12.3 Page 113

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
di grandi contrasti e di pochi appoggi ufficiali, anzi spesso di vessazioni fiscali
da parte di autorità amministrative e politiche, la sua amorevolezza e la sua
benevolenza lavoravano su una base sociale assai diversa da quella che aveva
condizionato il vescovo di Ginevra tra il secolo XVI e il XVII. Don Bosco
tende a una simpatia e cooperazione al di anche delle confessioni religiose:
cooperazione che Francesco di Sales non poteva avere. Per questo l'educatore
di Torino prelude in qualche modo alla mentalità e al linguaggio ecumenico.
Senza però manifestare una preoccupazione adeguata a crearsi una teoria del-
l'azione pluralista, che appare in lui solo a livello di uno stato d'animo
generico e concreto, e regolata dall'istintiva e nativa abilità.
Per questa ragione anche l'opera dei Cooperatori Salesiani, p u r avendo la
maggior parte delle sue adesioni tra le file dei cattolici orientati dalla lette-
ratura e daUe direttive dell'intransigentismo, non si adegua del tutto ai sen-
timenti agitati da questo; che anzi, per la sua modulazione pluralistica è da
collocare tra le forze che svolsero una certa opera di pacificazione e sdram-
matizzazione. Notando tuttavia che l'idea di azione caritativa pluralistica, nella
scala valutativa dei moventi, non appare nella mente di Don Bosco al primo
posto come la più presente e la più forte; come d'altronde non lo è quella mai
estinta dell'azione d'urto contro i protestanti e gli antidericali.
Movente dominante appare essere inizialmente l'idea del religioso sale-
siano nel secolo, agglomerata a quella di benefattore e di sostenitore attivista
di opere educative salesiane o diocesane. Ma in seguito non sembra ci sia una
vera e propria prevalenza. Che anzi, sotto la spinta delle « urgenze » salesiane
facilissimamente Don Bosco si rivolge ai Cooperatori per chiedere soprattutto
l'obolo, la simpatia e la propaganda benevola.
In tutto l'arco di sviluppo appare ancora evidentissimo lo sforzo accen-
tratore di Don Bosco. Tanto più netto, allorché egli confronta l'organizzazione
dei Cooperatori con quella del Terz'ordine francescano. Nel primo Capitolo
generale dei Salesiani (1877) Don Bosco avrebbe detto che se avesse badato
alla mole del lavoro e se avesse voluto sottrarvisi, avrebbe potuto imitare i
- Francescani e decentrare quanto più possibile l'organizzazione: « Ogni casa
di Francescani - avrebbe asserito può affiliare chi vuole, e il numero in
questo modo resta anche sempre molto grande ». Avrebbe potuto a6dare alle
singole case salesiane la cura di affiliare e dirigere i Cooperatori, ma in questo
modo, affermava «non si può avere un centro e unità d'azione ». E soggiun-
geva: « I1 più grande sforzo che io abbia fatto per questi Cooperatori, cosa
per cui ho studiato molti anni, e in cui per questo solo parmi di essere
esercitare la virtù delia carità, della pazienza e della dolcezza di S. Francesco di Sales »
(a Don lienoglio, Torino, 13 luglio 1882; MB 15, p. 669); «Lavora sempre colla dolcezza
di S. Francesco di Sales e colla pazienza di Giobbe» (a Don Dalmazzo, Torino, 26 no-
vembre 1882, MB 15, p. 680); << Con la dolcezza di S. Francesco di Sales, i. Salesiani tire-
ranno a Gesù Cristo le popolazioni d'America » (Ai salesiani, sogno missionario del 1883,
MB 16, p. 394).
riuscito, fu appunto di trovare il modo di rendere tutti uniti al capo e che
il capo possa far pervenire i suoi pensieri a tutti D(").
Egli dunque non si pone i vantaggi della decentralizzazione e del parti-
colarismo che nel Medioevo garantiva libertà e forza innestandosi all'idea di
un'unica cristianità e di sacro impero o comunità cristiana. Egli vive in tempi
di grandi sforzi unificatori politici e religiosi e non avverte la forza che può
avere, anche nel particolarismo, un'idea che corrisponda ad esigenze universali.
Appare dominato dall'ispirazione unitaria, dalla « vis unita fortior »,
sulla quale si rifletteva un'idea altrettanto salda del suo patrimonio religioso:
quella dell'unica famiglia a immagine e somiglianza della famiglia umana che
ha Dio per Padre e quella ecclesiastica che ha il Papa come padre comune;
è il motto che aveva apposto sul frontespizio degli Avvisi ai Cattolici già nel
1850: I nostri pastori ci uniscono al Papa; il Papa ci unisce con Dio. Per i
Cooperatori l'unione alla Società Salesiana in dipendenza dal Superiore mag-
giore è garanzia di successo. «Tiriamo avanti impavidi - si legge su un arti-
colo programmatico del Bollettino sulesiuno - imperciocché si Deus pro nobis,
qnis contra nos? Se abbiamo Iddio con noi, chi potrà superarci? Chi potrà
impedire che i'opera nostra non sia da esito felice coronata? » (").
In questo centralismo è da vedere una delle ragioni di vitalità della
Unione dei Cooperatori, in tanto più salda, in quanto appoggiata ai Salesiani
e dipendente dal medesimo centro; ma in esso si ha anche una ragione della
sua espansione, rispettabile, anche se, a quanto pare, al disotto di quella, ad
esempio, della Società di S. Vincenzo de' Paoli e dell'Azione Cattolica, che
(55) MB 13, p. 263 S. DB in quella circostanza ebbe termini impegnativi nei riguardi
dei Cooperatori. Postiilando l'opuscolo delle proposte, da lui stesso compilato e di cui si
conserva la minuta Cupitolo generale della Congregaziotre Sulesiuna da convocursi in Lanzo
nel prossimo settembre 1877, Torino, tip. Salesiana 1877, p. 8 s, giunse a scrivere che i
Cooperatori erano per i Salesiani un'associazione «importantissima, che l'anima della
nostra congregazione e che ci serve di legame ad operare il bene d'accordo e coll'ajuto
de' buoni fedeli che vivono nel secolo D. E proseguiva: «Abbiamo la pia Societa Salesiana
per coloro che vogliono vivere ritirati e consacrati a Dio colla professione religiosa; ab-
biamo l'istituto delle Figlie di Maria A. per le zitelle che vogliono seguire i Salesiani per le
persone di altro sesso. Ora è necessario che noi abbiamo nel secolo degli amici, dei be-
nefattori, di gente che praticando tutto lo spirito dei Salesiani, vivano in seno alle proprie
famiglie, come appunto fanno i cooperatori Salesiani: sono essi il nostro aiuto nel bi-
sogno, il nostro appoggio nelle difficoltà, i nostri collaboratori in quello ohe si presenta
da farsi per la maggior gloria di Dio, ma che a noi mancano mezzi personali a mantenerli.
Questi cooperatori devono moltiplicarsi quanto è possibile. Quali condizioni ne' cooperatori?
Con quali mezzi aumentarne il numero? » (AS 04 Capitolo Gen. I: esemplare con postille;
e 131 Capitolo gen.: minuta autogr.).
L'espressione «anima della nostra Congregazione » (che forse voleva rendere i'im-
magine di plasma, di humus, di complesso organico in cui la Congregazione doveva essere
inserita vitalmente) divenne poi nelle Deliberazioni «braccio forte della nostra Congre-
gazione » e anche il dettato successivo di DB venne di molto affievolito: cf. Deliberazioni
del Capitolo generole della Pia Societd Suleriana tenuto in Lanzo-Torinese nel settembre
1877, Torino, tip. e libr. Salesiana 1878, p. 91s.
(56) Bollettino snlesiano 2 (1878) p. 3.

12.4 Page 114

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
- non vincolate a una Congregazione - poterono inserirsi nella compagine dio-
cesana e parrocchiale, garantendosi l'unità di spirito e di azione non attraverso
a una subordinazione giuridica, ma mediante un coordinamento esercitato dalla
stampa e da altri mezzi di informazione, e la programmazione di un piano
unitario concordato con l'episcopato o accettato da esso sotto la sua piena
responsabilità.
L'appello all'unificazione delle forze cattoliche, lanciato da Don Bosco
nel primo programma dell'unione Cristiana e mantenuto anche nelle succes-
sive redazioni del regolamento per i Cooperatori, venne già nel 1876 realisti-
camente precisato. Sarà tolta ogni apparenza di appello generico all'unione e
ogni appiglio a obiezioni, quasi che si volessero distrarre energie polarizzate
in altre iniziative. '
L'associazione dei Cooperatori sarà presentata non come il modo, ma
come un modo pratico per giovare al buon costume e alla civiltà. Sorta
quasi contemporaneamente alle Società operaie con fisionomia e finalità diverse,
ma con in comune l'anelito alla coesione, essa venne ad assumere un'orbita
diversa. L'associazione dei Cooperatori finì per gravitare stabilmente e pre-
valentemente attorno alle istituzioni di Don Bosco; le Società operaie invece,
attorno all'opera dei Congressi. Per entrambi il motto « vis unita fortior P
assunse sempre più modalità diverse. Per le società operaie era un richiamo
alla tendenza unificatrice del movimento cattolico italiano. Per i Cooperatori
salesiani servi a sottolineare specialmente il valore di una coordinazione delle
opere henefiche di ogni genere e in tutto il mondo, coordinazione operata dal
Rettor Maggiore dei Salesiani in consonanza alle autorità gerarchiche e secondo
le esigenze della Chiesa iiniversale.
FONTI
A. AS 131.04 Lettere circolari e inviti a non Salesiani: dopo il 1876 interessano
l'opera dei Cooperatori; si conservano glistampati, e di talune anche le minute di DB, o
rivedute da lui, le bozze gli adattamento per nuove circolari che usufruiscono di stampati
precedenti.
B. AS 133 Capitolo Generale: autogr. di DB per l'opuscolo Capitolo geii. della
Congr. Sal. da conuocorsi in Lanzo nel prossimo sett. 1877.
C. AS 133 Cooperatori. Molte scritture autogr. di DB relative all'elaborazione del
regolamento o di qualche altra scrittura sui Cooperatori, la loro approvazione canonica e
propagazione.
D. AS 04 Capitoli generali della Societii Salesinna. Interessano gli incartamenti dei
primi quattro: 1877, 1880, 1883 e 1886 (convocazione, temi proposti e discussi, verbali,
deliherazioni).
E. AS 126: è il fondo delle lettere a DB. Varie sono di amici e cooperatori, special-
mente del gruppo 126.4 (lettere a DB, ma riguardanti il Bollettino salesiano e l'Unione
dei Cooperatori).
F. AS 5: è il fondo dedicato ai Cooperatori, Ex-allievi, ecc.: carte relative all'istitu-
zione, organizzazione, congressi, singoli cooperatori, ecc.
F. Fonti edite importanti sono gli opuscoli compilati da DB. Qui citiamo: Unione
. cristinna (Torino 1874), Cooperatori Salesiani (Torino 1876; Alhenga 1876; S. Pier d'Arena
1876. .); il Bollettino salesiano (dal 1877: iniziato col titolo di Bibliofilo Cattolico).
Tra i precedenti sono da ricordare, oltre alla Associazione Cnttolica di S. Francesco
di Sales ( 6 . sopra note 25-28), l'Associazione di S. Francesco di Sales per 56 fratelli e
56 sorelle in onore degli anni vissuti in terra dal vescovo di Ginevra, eretta in Torino nel
1720 (chiesa della Visitazione, dove DB diacono fece gli esercizi spirituali) e nel 1723 a
Chieri (chiesa di S. Filippo), entiambe ancora attive alla iine del secolo XIX, di cui anche
furono stampati gli Statuti.
Per suggestioni più immediatamente giunte a DB dall'esterno sono da ricordare la
Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli i cui regolamenti e manuali propongono molte delle
opere promosse da DB e programmate per i Cooperatori; G . FRASSINETTII,l religioso al
secolo, Genova 1864, dove si trova un regolamento tipo, adottato dalla Pia Unione dei
Figli di Maria Immacolata, eretta, tra l'altro, a Motnese; la Regola del Terz'ordine di
S. Francesco d'Assisi, Roma 1815, da cui DB attinse le indulgenze e gli altri «vantaggi
spirituali » che implorò e ottenne dalla S. Sede (cf. Cooperatori Selesiani..., S. Pier
d'Arena 1876, p. 15).
Segnaliamo anche la Opera delle feste (Torino, Marietti, 1858, 8 p,) di cui risulta
vicepresidente Don Bosco, e la Pia Associazione di Maria SS. Ausiliatrice fondata a Ivrea
nei 1854 per la difesa della fede nella diocesi ma senza specifica funzione di centro diocesano
coordinatore delle i o n e cattoliche. Già mons. Fransoni ebbe un progetto analogo a quello
di mons. Moreno vescovo d'Ivrea: cf. G. GRISERI, L'allontanamento e lo mancata ri-
nuncia di monr. Luigi Fransoni arcivercovo di Torino, in Boll. stor. bibliogr. subalpino, 64
(1966) p. 482s, lettera di mons. Ghilardi a mons. Fr., Mondovi, 28 dicembre 1852.
G . Tra i documenti editi dalla tradizione salesiama immediatamente successiva alla
. morte di DB meritano di essere ricordati il Manuale teorico-putico ad uso dei decurioni e
direttori della Pia Associezione dei Cooperatori Salesiani . . , Torino, tip. Salesiana 1894
e gli Atti del primo congresso internazionale dei Cooperatori Salesiani tenutosi »I Bologna
ai 23, 24 e 25 aprile 1895, Torino, tip. Salesiana 1895 (Don Stefano Trione affermò allora
che i Cooperatori nel mondo erano quasi duecentomila: p. 18).
H. La più ricca presentazione ed elaborazione di fonti è quella delle MB vol. 10 ss.
BIBLIOGRAFIA
Riassuntivi e divulgativi sono E. CERTAI, Cooperatori Salesiuni. Un po' di storia,
Torino 1952; G . FAVINI,Il cammino di una grande idea, I Cooperatori Salesiani, Torino
1961. Utile per un inserimento dell'attività di DB in una panoramica più vasta: G . DE
ROSA, Sto* del movimento cattolico in Italia . . ., Bari 1966, che però, pur mettendo a
fuoco l'opera di Leonardo Murialdo (t. I, p. 208 s), dimentica DB.

12.5 Page 115

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
CAPITOLO X
DON BOSCO SCRITTORE ED EDITORE
L'atteggiamento prodottosi davanti agli scritti di Don Bosco ci discopre
una serie di fenomeni non rari ad accadere, allorché l'animo popolare intuisce
la grandezza di uomini e di avvenimenti (I).
Con tenerezza e devozione si presero in mano gli scritti lasciati dal Santo,
e si rimase incantati davanti alla mole di carte recanti la sua scrittura, davanti
al numero di opuscoli e di edizioni; alla quantità di lettere, di memoriali, di
pagine autobiografiche. Di tutto questo si è parlato come di piccole grandi cose;
è stato usato l'appellativo di capolavoro: della Storia d'Italia si è detto ch'era,
per comune sentenza, il capolavoro di Don Bosco ( l ) .
32 avvenuto talora il fenomeno dell'ingrandimento e dell'universalizzazione:
come quando si affermò che della Storia d'Italia « quasi tutti i capitoli si
chiudono con una sentenza del libro dei Proverbi » (degna, per ciò stesso,
di alta stima) (3); talora è avvenuto quello della esaltazione, risultata da una
luminosa messa a fuoco delle pagine di Don Bosco e dalla sfocatura di altre
dell'immediato contesto ambientale, distraendo l'attenzione dalle oggettive
proporzioni o dalle reali dipendenze: come quando si è lamentata la man-
canza di «una buona e popolare Storia d'Italia, che facesse amare insieme e
la Storia e l'Italia >r, lacuna colmata da Don Bosco ('), o si è trovata una
sapienza pedagogica mai prima espressa nelle paginette sul Ststema preventivo
izell'educazione della gioventù (7; talvolta infine si avverte una certa tendenza
(I) Cf. H. DELEHAYE, S.J., Les légendes hhagiographiques, Bruxelles, 1905 special.
mente @h.1 e 2.
(2) Opere e
scritti
editi
e
inediti
di
«Don
Bosco a . . .
III,
Ln
Storia
d'Italia.
Di-
scorso introduttivo di Don A. CAVXGLTIoAri,no 1935, p. IX.
(3) ,MB 5. D. 496. Ma ooi dal Libro dei Pmuerbi non nroviene alcuna sentenza. se
non lontanamente per naturale affinità. E non son neanche troppe le sentenze n: cf. CA-
VIGLIA, O C , p. XXXIV.
(4) L'affermazione & di Don CAVIGLIA, O. C,, p. XIII.
(5) 8 notevole come Don Bartolomeo Fascie abbia reagito a tale caratteristico feno-
meno: «Quando si parla del sistema preventivo, se ne parla come se esso fosse una
novità balzata di tutto punto dal suo cervello [da quello di Don Bosco], come la solita

12.6 Page 116

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
aUa nohilitazione: come nel caso delle tre Storie, la sacra, i'ecclesiastica e quella
d'Italia, che si ama classificare come scritti storici ( 6 ) piuttosto che come testi
di scuola o di lettura per il popolo e per la gioventù, inducendo perciò ad
esaltare un elemento che negli scritti di Don Bosco è prevalentemente materiale
(giacché si tratta di lavori su materia storica) e non formale (giacché si tratta
di lavori condotti non con metodo prevalentemente storico, ma educativo).
1. Opere scolastiche
$3 ovvio che la Storia ecclesiastica ad uso delle scuole (1845) non deve
essere pariagonata alla Storia ecclesiastica del Fieiiry e nemmeno con le storie
1 similari del Bercastel, del Rohrhacher, del Dollinger o con il Corso del Sal-
zano (7). Don Bosco, mentre sta al tavolo per compilare la sua Storia non ha
i;i davanti ecclesiastici o laici colti, ma ragazzi di scuole pubbliche, di collegi o
1 di seminari, giovanotti artigiani desiderosi d'apprendere nelle scuole serali;
sott'occhio perciò e a portata di mano colloca i manualetti di Jean-Nicolas
Loriquet (1767-1845), tradotti in italiano, editi dal Marietti, anch'essi con
il sottotitolo « ad uso della gioventù ». Dove integra o sostituisce, Don Bosco
assume in genere dal Bercastel, e non sceglie brani sulle relazioni tra Pontefici
e imperatori o su eretici in lotta con cattolici ortodossi, ma episodi edificanti,
ritratti agiografici, miracoli e atti virtuosi che costellano le vicende della Chiesa,
( e ne mostrano il «progresso » il suo termine) e «come essa in mezzo a tanti
contrasti siasi propagata e conservata ». Più che il Loriquet (e il Lhomond,
da cui il Loriquet deriva), Don Bosco si chiede quali santi fiorirono nella
Chiesa, quali opere di carità si sono promosse; e per questa predilezione, a
nostro avviso, si contraddistingue nella schiera degli umili manualisti tra cui
si colloca.
Minerva da quello d i Giove, una trovata, un'invenzione, una scoperta e quasi una creazione
di Don Bosco. A disingannarci basteranno le prime parole colle quali egli ci presenta il
suo sistema educativo e che dicono precisamente cosi: Due sono i sistemi in ogni tempo
usati nella educazione della gioventù: preventivo e repressivo » (Del metodo educatiuo di
Don Bosco, Torino 1935, p. 24 s).
(6) 8 il piano seguito da Don Caviglia per le Opere e scritti editi e inediti di «Don
Bosco D, Torino 1929 ss, ma lo si trova già vivente DB nel catalogo aggiunto a Il cattolico
nel secolo (LC), Torino 1883, p. 461 S.
(7) Cf. Bibliografia delle opere riconosciute o citate come fonte o modello per la
«Storia d'Italia K di Don Bosco,' in CAVIGI.IDAi,scorso introduttiuo, p. C.CV1. Purtroppo
vi sono lacune, non poche imprecisioni e aporie. Con I'appeUativo di anonimi mariettiani
sono presentati e confusi gli opuscoli del gesuita Loriquet e gli altri, compilati sul Rollin,
e manipolati, secondo il SOMMERVOGEL, dai gesuiti Acacio SARACINELLI e Paolo BEORCHIA
(Biblioth. de la Comp. de Jésus, I, CI. 13171, non è segnalata la Serie di biografie contem-
poranee per L. C,, Torino, De-Agostini 1853, 2 vol., fonte per il profilo del Pellico e per
quello del Manzoni, di cui il Caviglia cercò invano il modello (o. c., p. 579). L'edizione
del Giannetto usata da DB non è certamente qiiella torinese dei 1838 (CAVIGLIA, O. C,, p.
CII), ma con molta probabilità quella più volte ristampata di Livorno. Quanto al LamC
Fleury, il dettato di DB è più vicino alla traduzione del Piucco, che non a quelle del
I modelli deUa Storia sacua per uso delle scuole (1847) non saranno tanto
i commentari del Tirino o del Calmet o del Mattini (di cui però tiene sott'oc-
chio la versione), ma ancora i libriccini del Loriquet e, soprattutto, la Storia
del popolo ebreo compendiata dal prof. Francesco Soave C.R.S. ad uso delle
scuole d'd'llia e la Storia Sacra del sacerdote Cipriano Rattazzi, che imita la for-
tunata Storia del Vecchio e N u o v o Testamento ossia della Bibbia Sacra con
riflessioni morali del Le Maltre de Sacy o Royaumont, edita da un altro tipo-
grafo amico di Don Bosco, Giamhattista Paravia (s).
La storia d'Italia raccontata alla gioventù da' suoi primi abitatori sino
ai nostri giorni (1855) riprende il titolo (e qualche parte) di una Storia d'Italia
dai suoi primi abitatori dopo il diluvio fino ai nortri giorni di un manualetto
edito da Giacinto Marietti (1834) che è a qiianto pare un rimaneggiamento
del gesuita Paolo Beorchia (1795.1859). Ma l'operetta di Don Bosco non at-
tinge a Denina o al Botta o a Cesare Balho e forse nemmeno al Muratori; e
dev'essere accostata ai sentimenti e alle idee dei neo-guelfi e neo-ghihellini
di metà Ottocento non perché si ispiri ai grandi storici che rappresentano tali
correnti, quanto piuttosto perché ne respira la medesima atmosfera, ne risente
il medesimo clima, pur collocandosi nella più modesta serra delle divulgazioni
per il popolo e per la gioventù accanto ai compendi della stessa indole dello
Sforzosi, del Ricotti, dello Zini; anzi nella sfera ancora più umile dei libri a
cui maggiormente attinge: i Racconti morali tratti dalla storia d'Italia, che
costituiscono una sezione del Giannetto, fortunatissimo manuale di lettura
per le scuole elementari compilato dal pedagogista Luigi Alessandro Parravi-
cini (1799-1880)(') e il Corso di'storia raccontata a' fanciulli di Jules Raymond
Lamé-Fleury (1797-1878) (lo).
Nelle storie di Don Bosco, come in quelle dei suoi principali modelli, più
che un tessuto organico degli avvenimenti si trovano episodi e personaggi; e
la narrazione limpida, a cui Don Bosco si era ormai da un decennio allenato
. . Mellini e del Gale&. Del Bérault-Bercastel DB non adoperò l'edizione di Venezia del 1793-
1805 e nemmeno quella di Firenze 1842-46, ma la torinese del 1831-1835.
Quanto aUa Storia ecclesiastica di DB, Don Caviglia non ha fatto nessun apparato
rclntivo alle fonti.
Del Somasco Francesco SOAVE, più noto come divulgatore del sensismo condil-
iacchiano, sembra che DB abbia adoperato una edizione di Vigevano 1814, di cui abbiamo
. trovato un esemplare tra un fondo di libri di Don Gioachino Berto, recante la dedica:
a Al Sr. Giambattista Vola Primo nella Classe di Rettorica il 18 gennaio 1819. .n. 3!
quel teologo che regalò a DB, giunto sui prati di Valdocco con mamma Margherita, il pro-
prio orologio. Morì il 24 novembre 1872 a 67 anni; La Storia sacra dell'Anrico Testamento
con opportune *iflessioni atte al uantaggio d'ogni persona del sacerdote Cipriano Rattazzi
. . . fu pubblicata da Paravia nel 1843. DB se ne servi per la seconda edizione della sua
Storia Sacra. I1 Rattazzi (1774.1856), oriundo della diocesi d'Acqui, fu uno degli ultimi
sacerdoti piemontesi affaionati a Port-Royal. Cf. STELLA, Giansenisti piemontesi nell'Otto-
cento, p. 104. Il Royaumont ebbe in Piemonte varie edizioni. Paravia lo pubblicò nel 1837.
Cf. su di lui Pedogogisti ed educatori, Milano 1939, p. 325.
(l0) Cf. sopra, nota 7.

12.7 Page 117

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
i e che risulta realmente adattata all'intelligenza di coloro ai quali si rivolge (l1).
i Sono pagine di un educatore che narra. Per quanto non sia estranea la preoccu-
/ pazione della veridicità e della fondatezza di ciò che presenta, la sua cura
1 dominante è di ammaestrare, di presentare i fatti « più fecondi di moralità e
I di utili ammaestramenti >>, studiando, come il Parravicini, di far scaturire l'in-
I segnamento morale dalla stessa esposizione dei fatti, evitando le « discussioni
L
; politiche >> (lZ) (che invece permeavano altri manuali specialmente ghibellini),
1 e rimarcando invece il senso religioso della storia, così come aveva imparato
a fare compilando la storia sacra e quella ecclesiastica: rilevando cioè come
Dio governa i fatti umani, come il bene e il male sono rimunerati anche in
questa vita, come Gesù Cristo è il Messia, il capo, il giudice, il rimuneratore
e la ricompensa di tutti i buoni.
Alla triplice storia si può accostare Il sistema metrico decimale ridotto
a semplicità. . . ad uso degli artigiani e della gente d i campagna (18492)('3),
che rispecchia il medesimo sforzo di esprimersi con la « massima semplicità
per modo che una persona mediocremente colta lo possa capire leggendo anche
senza aiuto del maestro >>PG)l.i intenti moralistici non potevano essere as-
senti, così come non lo erano nei modelli di cui si servì. Dalle operazioni di
aritmetica coglie il destro per presentare giovani morigerati che risparmiano
e usano bene il proprio denaro in pro anche dei poveri, signori che lasciano in
testamento per la restaurazione di chiese e per l'istruzione della gioventù, ope-
rai oziosi che vengono multati, giovanotti che spendono soldi in fumo; e in
tal modo anch'egli continua la tradizione educativa cristiana, per la quale lui
stesso, come i Fratelli delle Scuole Cristiane, avevano avuto quali insigni
modelli i manuali delle Petites Ecoles di Port-Royal (l5).
(11) Sono intenzioni che DB ha cura di dichiarare in quasi tutte le prefazioni dei suoi
libri, indirizzati ai giovani e al popolo.
(12) BOSCO, La storia d'Italia, Torino 1855, p. 3-5, i cui princlpi sono anche incisi.
vamente inculcati a Don Lemoyne in una lettera del 3 novembre 1869: cf. MB 9, p. 740.
(13) Non si possiede alcun esemplare della prima edizione. Se è vero che DB si servì
per essa delle opere che cita: del Borghino (Compendio d'istruzione della nuova sistema-
zione metrico-decimale, Torino 1846) e del Giulio (Quattro lezioni sul sistema mefrico-
decimale, dette nella scuola di meccanica applicata alle arti, le sere del li 20, 23, 27 e
30 giugno 1846, Torino, Pomba 1846) il suo lavoro è della seconda metà del '46. Stando
ai registri della Curia arcivescovile di Torino, le Quattro lezioni sul sistema metrico deci.
male (non ne è indicato l'autore) furono approvate per ristampa il 25 ottobre 1846. L'8
mazo 1847 venne approvato un Sistema decimale portato alla intelligenza di tutti senza
bisogno di studio, né di Maestro dal carmelitano P. Clodoveo, il medesimo che nel frat-.
tempo dava l'approvazione alla Storia sacra per uso delle scuole, manoscritto del tipografo
gSpneoi.r.an.i
(cioè, di Don Bosco, in
di Maestro D fa pensare
stampa
a quella
presso lo
stampata
Speirani). L'espressione
sul Sistema metrico di
«senza biso-
Don Bosco:
«senza aiuto del maestro*: cf. nota seg. e testo corrispondente.
(14) Bosco, Il sistema metrico decimale, Torino 1849, p. 3.
(1s) Come abbiamo detto (ci. cp. 1, nota 49), nelle scuole del Piemonte si adope-
ravano il Nuovo metodo per apprendere ugevolmente la lingua latina e il Compendio del
nuovo metodo. Sulle relazioni tra sistema educativo lasalliano e portorealista cf. ad esem-
pio Frate1 EMILEA, lle sorgenti della dottrina spirituale di S. Giov. Batt. de la Sulle in
Rivista lasalliana 5 (1938) p. 252s.
2. Scritti ameni e azioni sceniche
Don Bosco ha cimentato la sua penna anche in opere che amò chiamare
<( amene », come la Novella amena di un vecchio soldato di Napoleone 1 (1862)
e i Fatti ameni della vita di Pio I X (1871); ha scritto e messo in scena dialoghi
sul sistema metrico decimale (1849), Una disputa tra im avvocato ed u n mini-
stro protestante ( 1 8 5 3 ) e La casa della fortuna. Rappresentazione drammatica
(1865). La forza e la fragilità di questi scritti dipende dal fatto ch'essi sono
propriamente espressione di un sentimento comune, di simpatia o di ripulsa,
dell'amhiente che li produce. Ora si tratta del vecchio soldato spaccone, ma
simpatico e sincero, che ripulito dai suoi pregiudizi religiosi, finisce per acco-
starsi ai sacramenti; ora invece sono esaltate le Lenemerenze del Papa che amò
e favorì Don Bosco; ora sono le vicende di due Liioni orfanelli che ritrovano
il nonno generoso e benevolo; ora infine sono posti sul palco e confutati alcuni
spregiudicati protestanti. Nei dialoghi e nei drammi di Don Bosco non c'è quasi
nessuna veemenza di sentimento che scaturisca dalla prosa, ma quasi soltanto , ,
quella che può provenire dalla verve degli attori, dalla stenografia o dalla ar-
roventata simpatia degli spettatori per l'autore, per i personaggi in scena e
dalla sintonia con i sentimenti etici e religiosi evocati.
3. Scritti agiografici
La Vita di S. Pietro (1856), quelle di S. Paolo ( 1 8 5 7 ) e dei sommi ponte-
fici dei primi tre secoli, ideate in serie per le Letture Cattoliche e pubblicate
tra il 1856 e il '64, non devono, a loro volta, essere accostate all'lnnocenzo I I I di
Federico Hurter o alla Storia dei dogmi di Enrico Klee, edite a Torino ("); ma
piuttosto, insieme alla Vita di San Mavtino (1855), a quella di S. Pancrazio
(1856), di Caterina de Mattei da Racconigi (1862), deiia beata Maria degli
Angeli carmelitana scalza ( 1 8 6 5 ) e di S. Giuseppe (1867) sono da porre accanto
alle divulgazioni agiogrrifiche che in quel tempo venivano fatte, ad esempio,
dalla tipografia Annoni di Monza o ai sanatoriali a cui Don Bosco attinge, quali
quelli di Carlo Massini (1702-1791) ("), gli Esercizi di pietà per tutti i giorni
dell'anno del gesuita Giovanni Croiset (1656-1738)(18) o i Fasti della Chiesa
compilati da alcuni sacerdoti milanesi (I9).
(I6) F. HURTER,St. di Iimocenro I11 e contenzporanei, Torino, Bibl. ecclesiastica
editrice, 1857, 4 vol.; E. KLEE,St. dei dogmi, l. c., 1858, 2 vol. In collana con le stesse
opere (Biblioteca ecclesiastica) erano apparse già La Simbolica di Moehler (1852) e l'ln-
traduzione allo rtudio della storia ecclesiastica del Doilinger (1856, 3 vol.).
($7) C. MASSINVI,ite de' Santi per ciascuiz giorno dell'anno. DB dev'essersi servito
dell'ediz. di Torino 1830-1831, presso Maspero e Serra librai, 12 vol.
('8) Editi anche a Torino, presso Francesco Prato 1794, 12 vol.; ma il testo di DB
& più vicino a quello di un'edizione di Venezia, Baglioni 1745, 12 vol.
('9) 1 fasti della Chiesa nelle vite de' santi M ciascun gtorno dell'anno. Opera COVJ-
pilata da una pia società e corredata di tavole in rame, Milano 1824-1833, 13 vol.

12.8 Page 118

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Tutte queste Vite si collegano idealmente aila Storia ecclesiastica ad uso
delle scuole e ne sviluppano la tendenza agiografica. Ma poiché sono poste-
riori al '48, hanno anche presenti il proselitismo protestante a Torino e nelle
campagne piemontesi, e perciò tendono anche a mostrare la Chiesa cattolica
come unica arca di salvezza e fonte di santità.
In Don Bosco agiografo non bisogna cercare molto di più; non la cura
sistematica di ristudiare personalmente le fonti; non la ricerca dei Maurini o
di altre edizioni critiche. Ha presente la Bibbia tradotta dal Martini, talvolta ne
incorpora qualche brano, ma preferisce adoperare materiale agiografico già ela-
borato. Per la Vita di S. Pietro segue quasi sempre il dettato di Luigi Cuccagni
o e di Antonio Cesari (20).Per quella di S. Paolo non si rivolge di preferenza agli
Atti degli Apostoli alle lettere paoline, ma alla Vita di S. Paolo apostolo
delle genti e dottor della Chiesa di Francois-Armand Gervaise (1660-1751)
edita anonima a Napoli(2L).Le epistole di S. Pietro e di S. Paolo in tanto lo
interessano, in quanto possono giovare al tessuto biografico. Eccezionalmente
introduce per intero l'epistola a Filemone, perché è « la più facile e più breve »
e perché «per la bellezza dei sentimenti può servire di modello a qualsiasi
cristiano
Del Gervaise tralascia completamente il libro quinto che tratta
« dello spirito, delle virtù, de' doni della grazia che Dio aveva sparso nell'anima
di Paolo »; e il sesto « dove si tratta della dottrina e delle massime di questo
Santo ».
Per tutti gli scritti agiografici la cura dominante pare sia quella di ricer-
care o costruire la pagina gradita e compresa dall'anima popolare, cioè la
pagina che presenta l'eroe in azione, cimentato in imprese che suscitano la
meraviglia e l'emulazione. Per questo Don Bosco non ama incorporare pagine
di dottrina o di introspezione psicologica. Preferisce le rappresentazioni sce-
niche, le affabulazioni, dialoghi eroici tra Pancrazio e l'imperatore; tra Martino
e i suoi discepoli; incorporandole dai modelli, quando questi gliene offrono, o
creandole lui stesso. Ama i contrasti e le semplificazioni; non approva perso-
naggi come Don Abbondio, in cui la mediocrità non ha come soluzione l'eroe
del bene simpatico e il titano del male repellente; non approva Geltrude che
(a)Sono fonti implicitamente citate da DB quando afferma: «Della vita di S. Pietro
trattarono copiosamente Antonio Cesari, negli Atti degli Apostoli ed anche in un volume
separato, Luigi Cuccagni in tre grossi volumi ed altri molti » (Vita di S. Pietro, Torino
1856, p. 11). L'edizione del Ciiccagni in tre volumi è quella di Roma, stamperia Giov.
Zempel 1777-1781, di cui esiste un esemplare nella Bibl. di Valdocco. Di A. Cesari pare che
DB voglia evocare La vita di Gesù Cristo e la sua religione con i Fatti degli Apostoli
(Opere morali e sacre del P. Antonio Cesari, voi. 2 e 3, Torino Marietti 1852); ma pro-
priamente la vita di S. Pietro a cui allude è nel Fiore di storia ecclesiastica. Ragionamenti
(ed. cit., voi. 4, Torino, Marietti 1853); e il volume separato a cui si riferisce, e ai quale
è più vicino il suo dettato, è: San Pietro capo della Chiesa. Ragionamenti dell'Abate Cesari,
Torino, tip. De-Agostini 1851 (Collezione di buoni libri, a. 3, 15 ott. e 1" nov.).
(21) Non citato da DB. Si serve a quanto pare deli'ediz. napoletana di Gabriele
Elia 1786, 3 vol., che subì qualche ritocco, rispetto alla precedente di Napoli, presso Gius.
Antonio Elia 1754, 3 voi.
( 2 )Bosco, Vita di S. Paolo apostolo, Torino 1857, p. 136.
può presentare in qualche istante il male seducente (n);e sfugge alle ambienta-
zioni complesse non strettamente richieste dalla narrazione popolare.
4. Scritti biografici e racconti a fondo storico
Le V i t e o Cenni storici di Luigi Comollo, Domenico Savio, Michele
Magone, Giuseppe Cafasso, Francesco Besucco sono tipici saggi deile biografie
edificanti, legate specialmente agli ambienti collegiali ed ecclesiastici dall'era
tridentina in poi. Don Bosco in pratica vi manifesta le medesime tendenze do-
cumentate dalla Storia ccclcsiastica e da quella d'Italia. Al fragile tessuto bio-
grafico ancorato a pochi dati cronologici affida episodi classificati secondo lo
schema scolastico, moralistico e agiografico, delle virtù: spirito di preghiera,
di innocenza o di penitenza, pratica dei sacramenti, devozione a Maria SS.,
morte a coronamento di una vita che ha corrisposto alle divine grazie (24).
L'intelaiatura e il fraseggiare fanno riscontro a quelli di operette d'istru-
zione e devozione, come le Sei domeniche e la novena in onore di S. Luigi (1846)
o il Mese di maggio (1858) e si ritrova in racconti didascalici a fondo storico
come La forza della buona educazione (1855), Valentino o la vocazione impe-
dita (1866), Angelina o I'orfanella degli Apennini (1869), nella quale ultima
operetta, come nella Vita di Besucco, si trovano incorporati alcuni brani sulla
frequente comunione che provengono dal Mese di maggio (1858) e passa-
rono anche ai Nove giorni consacrati all'augusta Madre del Salvatore (1870).
5. Operette d'istruzione religiosa e di preghiera
Come si vede, non è possibile fare una netta distinzione tra gli scritti di
Don Bosco, sia per l'osmosi di materia e di finalità tra un'opera e l'altra, sia
anche perché Don Bosco non sembra si sia mai imposto di dare a ciascuna una
fisionomia ben netta e contraddistinta. Facilmente, ad esempio, si è portati a
considerare il Giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri negli esercizi di
mistiana pietà (1847) come un semplice manuale di preghiere e pratiche devote,
ma Don Bosco propriamente intendeva farne come un metodo di vita; sia con
la parte devozionale; sia anche con la parte previa di istruzioni circa il modo
religioso di intendere il proprio essere, il creato, il proprio divenire fin dall'ado-
lescenza, le manifestazioni quotidiane della vita; sia infine con i Fondamenti
(=) Bosco, La storia d'Italia, Torino 1874, p. 486; Opere e scritti, 3, p. 471; « L a
stima che abbiamo per quest'opera [I promessi sposi] non ci tratterrà tuttavia dal biasi-
.. mare altamente il ritratto che ci porge di Don Abhondio e quello della sgraziata Geltru-
de .». Si veda la postilla di Don CAVIGI.IA,in Opere e scritti, 3, p. 585 S.
("1 Sulle varie tendenze agiografiche nel corso dei secoli cf. R. AIGRAINL, 'ht~giogra.
phie, ses sources, sa méthode, san histoire, Paris 1953.

12.9 Page 119

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
della cattolica religione, trattate110 apologetico edito con il titolo di Avvisi ai
Cattolici nel 1850 e insecito nel Giovane provveduto l'anno successivo (*).
Alle stesse tendenze rispondono altri opuscoli più o meno voluminosi, come
la Chiave del Paradiso i n mano al cattolico (1856), 11 cattolico provveduto per
le pratiche di pietà (1868), il Porta teco cristiarzo ovvero avvisi importanti
intorno ai doveri del Cristiano (1858), il già ricordato Mese di maggio (18581,
e La figlia cristiana provveduta (1878).
Prevalentemente devozionali sono Il divoto dell'Angelo custode (18451, la
Corona dei Sette dolori di Maria (1845?, 18713),l'Esercizio di divozione alla
Misericordia di Dio (1847), a cui si possono accostare la Scelta di laudi sacre
(1879) fa,tta s u schema di Don Bosco e con prefazione da lui sottoscritta, L'Arpa
cattolica (1879) e vari 'estratti del Giovane provveduto in italiano o in francese:
Preghiere del mattino e della sera (1876), Conseils à un jeune homme (18801,
ecc.
D'istruzione, di devozione, di circostanza o di collegamento dei devoti con
il santuario di Torino sono gli opuscoli relativi al culto di Maria Ausiliatrice:
Rirnembranza della funzione per la pietra angolare della chiesa sacrata a Maria
Ausiliatrice in Torino-Valdocco (1865), Maraviglie della Madre di Dio invocata
sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (1868), Rimemhranza di urta solennità in
onore di Maria Ausiliatrice (1868), L'Associazione dei divoti di A4aria Ausilia.
trice (1869), Nove giorni. . . (1870), Maria Ausiliatrice col racconto di alcune
grazie (1875), La nuvoletta del Carmelo ossia la divozione a Maria Ausiliatrice
premiata di nuove grazie (1877).
La Apparizione della Beata Vergine sulla Montagna di La Salette (1871)
ripubblica una narrazione già edita nella Raccolta di curiosi avvenimenti contem-
poranei (1854), con l'aggiunta di nuovi fatti prodigiosi e di monizioni del Cielo,
che rispecchiano il clima di apprensione e di attesa dei Cattolici dopo la presa di
Roma.
Sono invece d'istruzione religiosa, scritti editi in occasione del Concilio
Vaticano I : La Chiesa cattolica e la sua gerarchia (1869) e I Concili generali e
la Chiesa cattolica (1869). In essi è presente la preoccupazione apologetica e la
cura di preservare i giovani e il popolo dalla propaganda anticlericale o dal pro-
selitismo protestante, al quale scopo è rivoko soprattutto Il cattolico istruito nella
sua Religione (1853), rimaneggiato più tardi e ripubblicato con il titolo: Il cat-
tolico nel secolo (1883). Allo stesso genere appartengono, anche se si dilatano
in racconto e si presentano come avvenimenti di fondo storico, la Conversione
di una valdese. Fatto contemporaneo (1854), le Conversazioni tra un avvocato
ed u n curato di campagna sul sacramento della confessione (1855), le Due con-
ferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattolico sopra il Purgatorio e
intorno ai suffragi dei defunti (1857), Severitzo ossia avventure di un giovane
alpigiano (1868), Massimino ossia incontro di un giovanetto con un ministro
protestante sul Campidoglio (1874).
(*) Cf. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane Provveduto » di San Giovanni Bosco,
Roma 1960.
I1 pubblico a cui Don Bosco si dirige, non è composto di valdesi o di
anticlericali, anche se egli analizza talora espressioni di Amedeo Bert, di Charles-
Louis Trivier, di Luigi Desanctis, di Don Ambrogio. I suoi non sono libri di
controversia che tendono primariamente a confutare, confondere, piegare, an-
nientare l'avver~ario(~)I. lettori a cui si rivolge sono i suoi giovani, gli
artigiani, i contadini, i popolani del Piemonte, ai quali presenta l'insicurezza
e perciò l'infelicità dei non cattolici e la sicurezza dei Cattolici, la loro facilità
di salvarsi eternamente se praticano la loro religione.
6. Scfikti relat4vi all'oratorio e all'opera salesiana
In quest'ultima categoria possono essere classificate la maggior parte delle
lettere, i Regolamenti dell'oratorio e delle Case, le Regole della Compagnia del
SS. Sacramento, per la Società Salesiana e per l'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice; opuscoli e circolari a benefattori e Cooperatori, ad autorità poli-
tiche e religiose, articoli sul Bollettino salesiano, programmi di feste e di Col-
legi; memoriali in difesa delle scuole dell'oratorio o della Congregazione, o
per ottenere benefici o dare spiegazioni sull'andamento della Congregazione
salesiana o delle missioni in Patagonia; promemoria per le udienze pontificie,
appunti di ogni genere, avvisi ai ragazzi o a salesiani, progetti per i Capitoli
generali dei Salesiani, redazioni di prediche, di conferenze e di « sogni D.
7. Scelta delle fonti
Davanti a tanta mole di scritti la persuasione che matura è che essi nel
complesso rispondono a una qualche esigenza pratica, piccola o grande, della
cerchia di persone e di fatti, a cui si rivolgeva l'attività di Don Bosco. Egli ama
scrivere, ma non vi è portato dal desiderio di annunziare quanto è stato frutto
di riflessioni prolungate e di costruzioni teoretiche. Entrato nella mentalità dei
popolarizzatori della cultura della prima età risorgimentale, egli scrive preoc-
cupato, da una parte, di farsi intendere: di far penetrare e lievitare tra i giovani
e tra il popolo la cultura cattolica; e dall'altra, prende la penna quando soprav-
viene qualche necessità o utilità della sua opera sempre più complessa. Nell'un
caso e nell'altro egli viene incontro a un'urgenza basandosi su quanto gli
suggerisce la propria esperienza (fatti accadutigli); oppure ricorrendo a quel
che può agevolarlo nella rapida realizzazione di qualche opera divulgativa, adatta
« alla intelligenza di tutti ». $2 ovvio perciò che tali cure lo condizionino e lo
comandino nella scelta del proprio arsenale letterario.
V. VINAYf,acendosi eco del periodico valdese La Buona Novella, qualifica DB
« controversista » e i suoi opuscoli, di «polemica veramente molto primitiva n: Luigz De-
sanctis 11808-18691 e il movimento evangelico fra gli Italiani durante il Risorgimento,
Torino 1965, p. 235.

12.10 Page 120

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
La sua tendenza a sentire la religione come un fatto, e la pratica religiosa
come santità, spiegano in qualche modo la sua predilezione per le opere che
narrano le vicende della Chiesa e dei santi del martirologio, della tradizione e
della voce comune. Avuta l'opportunità di procurarsi i Boilandisti, è naturale
che se ne serva con senso di sicurezza, sapendoli «accreditati autori ». Con lo
stesso stato d'animo accede ad altri: a S. Alfonso, al Perrone, al Cuccagni,
al Gervaise, al Berchiaila, al Gerdil, al Frassinetti. I1 momento critico di Don
Bosco è nella scelta degli autori (nonostante talvolta anch'egli si soffermi e
aggiunga alla narrazione qualche nota erudita più o meno critica). Egli esige
che gli autori siano accreditati, ricerca cioè che siano ritenuti come autorevoli
dai dotti, iiano favorevoli alla Chiesa, al papato, siano zelanti e, meglio an-
cora, santi.
I1 Cuccagni è considerato oggi criticamente una nullitàtn), ma la sua
opera su S. Pietro in tre volumi dovette apparire autorevole sia per le note
che l'adornano, sia anche per la dedica a Pio VI (28). I1 giudizio di Don BOSCO
non dovette essere andato molto più al di là. Egli non avrà badato, cioè, che il
Cuccagni era uii agostinianista e che le sue interpretazioni sulla caduta di
S. Pietro o sulla natura della Chiesa rispecchiavano un clima teologico, sulla
grazia e in ecclesiologia, ch'era a metà Ottocento superato, perché troppo
rispettoso del gallicanesiino o comunque non gradito in tempi nei quali I'ago-
stinianismn suonava quasi giansenismo. La Vità di S. Paolo del Gervaise
neil'edizione napoletana del 1786 (che sembra quella adoperata da Don Bosco)
era dedicata al cardinale Banditi, arcivescovo di Benevento. La vita di S. Giu-
seppe raccoglie molte pie leggende sullo sposalizio della Vergine, sull'infanzia
di Gesù in Egitto e in Palestina. Don Bosco tuttavia scrive (o sottoscrive),
che « la veracità del racconto, la semplicità dello stile, l'autenticità delle notizie
renderanno, speriamo, gradita questa tenue fatica », cioè la compilazione della
vita, fatta tenendo sottomano la Bibbia tradotta dal Martini, ma soprattutto il
Manuale di letture e contemplazioni sulla vita del S. Patriavca sposo d i M . V
dell'ohlato Vincenzo Gregorio Berchialla (1825-1892) (poi arcivescovo di
Cagliari), operette del marista Marc-André Huguet e altri opuscoli che indul-
gono generosamente alle visioni di Maria d'Agreda e di Caterina E m m e r i ~ h ( ~ ) .
I1 meccanismo mentale del divulgatore porta Don Bosco invincibilmente a
preferire come propria materia prima, piuttosto che le fonti, altre divulgazioni.
(n)A. C. JEMOLOL, 'abate Luigi Cuccagni 11740-17981 e due polemiche ecclesiastiche
nel primo decennio del pontificato di Pio V I , in Scritti vari di storia religiosa e civile,
Milano 1965, p. 206. Le simpatie giovanili del Cuccagni con giansenizzanti sono poste in
rilievo da E. CODIGNOLA, Carteggi di giansenisti liguri, 1, Firenze 1941.
(28) Ancora una volta qui è da ricordare il «gusto dei meraviglioso », che secondo
R. AUBERT, è una delle caratteristiche della religiosità dell'Ottocento, che reagisce allo
scetticismo del secolo anteriore ( I l pontificato di Pio I X , 4 372, ed. it., p. 703 s).
. (29) V. G . BERCHIALLA, S. Giuseppe. Manuale di letture. . ., Torino, P. Marietti 1867;
M.-A. HUGUET,L'interiore di San Giuseppe.. , Trad. di Giuseppina Pellico, Torino,
G . Marierti 1862; Vita di San Giuseppe.. . , Monza 1866.
Per questa ragione è difficile trovare in Don Bosco approfondimenti della
Scrittura, anche solo basati sulla versione del Martini. Quando la Scrittura non
viene incorporata come pagina narrativa, ma come sentenza sommamente ac-
creditata, in genere è assunta in senso morale, spesso anzi in senso estensivo
(Da mihi anirnas coeteua tolle) o arditamente accomodatizio (Deliciae meae
esse cum filiis hominum: i giovanetti formano le delizie di Dio; Pueri numquid
pulmentarium habetis? Giovanetti . . . avete forse qualche pesce per far cola-
zione?) (*),
Negli scritti mariani è trionfante il senso allegorico e figurato, preferito
appunto dalla mariologia del tempo, tenace ed entusiasta continuatrice del
metodo esegetico caro nel Sei-Settecento a quanti si ponevano in consapevole
contrapposizione agli orientamenti ermeneutici dei protestanti, protesi alla
ricerca del, senso hihlico letterale ('l).
Nelle operette apologetiche Don Bosco cita con una certa frequenza testi
patristici, specialmente in favore del Primato del Romano Pontefice, dell'auto-
rità giurisdizionale e magisteriale nella Chiesa o volti a rilevare errori che poi
la polemica cattolica ha visto ripullulare nel Protestantesimo.
Ma è, a quanto pare, tutta erudizione di seconda mano, attinta al Bergier,
al Moore, a mons. Charvaz, al Bellarmino, a S. Alfonso, o a minori piemon-
tesi, come Giuseppe Casaccia parroco di Verrone nel Biellese, che polemizzò
contro Luigi Desanctis o mons. Domenico Cerri di Macello, presso Pinerolo,
che scrisse in difesa del Purgatorio (").
Non pare che Don Bosco abbia avuto simpatie particolari per qualcuno dei
(9Da mihi animar.. . è il notissimo motto di DB sacerdote, inculcato spesso ai suoi
. Salesiani. Deliciae meae. . è nel Giovane provveduto, parte previa, art. 2: I giovanetti
. sono grandemente amati da Dio, Torino 1847, p. I l . Pueri.. & nella Vita di S. Pietro,
cp. 9, Torino 1856, p. 55. L'analisi dei Martini era, tra l'altro,, secondo DB, «uno dei più
belli studi che si possa fare sulla Bibbia» (MB 9, p. 709).
("1 L'esegesi figurista in mariologia ebbe un grande impulso specialmente per opere
del teatino Gioachino Ventura, che si riallaccia al figurismo dei giansenista Jacques.Joseph
Duguet (ci sia iecito citare STELLA, Jacques-Joseph Duguet (1649-1733) e le sue fortune in
Italia, Torino 1966 (= Salesianum 27, 1964, p. 629-665); ma DB sembra si ispiri più
. direttamente ad Agostino FERRARI, Simboli mariani ossia
onore di Maria. . , Torino, Marietti 1853', e a JosÉ DE
amuagrmiaen(n'2a)téeexN...p.lBuEpriaRbruGsMIEdgRirDv.,iinDcatoirounnemnya.Si.rce.r,idpetBuetrbaséarounlm~oogncieo-P.m.amr.ien1dt8ia4tri4oii,ns
il mese di maggio santi&xto od
S. MIGUEL
eexncriecrhpitea....
..Y,paBGrAeMnRugCarOe. O,G1.7oP4u.9,s.sBetib.l.ia.
6 vol. (pare sia i'ediz. adoperata
per Il cattolico istruito, Due conferenze sul purgatorio, ecc.); Dizionario di teologia. . .
tradotto e arricchito. . . , Milano, C. Turati, 1853-1854, 4 vol. (pare sia l'edizione usata per
La Chiesa Cattolica e la sua gerarchia, I Concili
Viaggi d'un gentiluomo irlandese in cerca di una
gReneelirgailoi nee.la. .C, hMieislaanCoa1tt8o3li4c;a)A; .TC. HMAOROVRAEZ, ,
Le guide du catéchumkne vaudois.. . , Paris-Lyon-Turin 1840.1843, 5 vol.; Guida del ce-
tecumeno valdese. .., (Bibl. ecclesiastica editrice) Torino, Speirani e Tortone, 1857, 5 vol.;
C. CASACCIAI,l trionfo della confessione sacramentale sul saggio dommatico storico di L.
. Desanctis.. ., Torino, tip. G. A. Reviglio 1854; D. CERRI,L'esistenza del Pvrgntorio è la
bottega del prete.. , Torino, Marietti 1850; di S. Alfonso DB sfrutta per Il cattolico
istruito la Storia delle eresie; e del Bellarmino, il De Controversiis (De Conciliis et Eccle-
sia, lib. 4, cp. 9).

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Padri, anche se non è da escludere che in seminario a Chieri o a Torino abbia
potuto leggere quakhe opera della Scelta biblioteca economica d'opere di
Religione: le omelie di S. Gregorio Magno sui Vangeli (1831), l'opera del
Crisostomo sul Sacerdozio (1832), orazioni di S. Gregorio Nazianzeno, sermoni
di Teodoreto (1831) o di S. Agostino (1832).
La biblioteca erudita di Don Bosco è ricca di opere del Sette e dell'otto-
cento, ma non mancano opere del Seicento. In prima linea stanno gli scritti
ascetici di S. Alfonso e le opere dommatiche nell'edizione Marietti, poi il
Dictionnaire de théologie del Bergier in francese con le note del Gousset e
la Bibbia tradotta dal Martini, segue la Storia del Cristianesimo del Bercastel
in edizione torinese, a cui più tardi sarà preferito il Rohrbacher nell'edizione
Marietti (1864-1865; 16 vol.); la Historia di tutte le eresie (Roma 1705, 4 vol.)
di Domenico Bernino accanto agli Esercizi di pietò di Giovanni Croiset; la
Filotea di S. Francesco di Sales, la Vita (Venezia 1743) scrittane dal canonico
piemontese Piergiacinto Gallizia (1662-1737) e la vita di S. Filippo Neri
scritta da Bacci (del 1656). Sul suo tavolo poi si alternano centinaia di libri
e opuscoli francesi in lingua originale o in traduzione italiana (indice dell'osmosi
culturale sempre attiva, nonostante gli ondeggiamenti politici e di simpatia, tra
Piemonte e Francia): oltre al Fleury, al Lamé-Fleury, al Gohinet, al Gervaise,
al Calmet, al Rollin, all'Ansart, al Loriquet, all'Huguet, Don Bosco ebbe sotto-
mano Aimé (Catéchisme raisonné sur les jondemens de la joi) (Lyon 1821),
Guillaume de Burry (Romanorum Pontificum brevis notitia), Alphonse Chaucon
(Vitae et res gertae Pontificum Romanorz~m),Alphonse Balleydier (Roma e
Pio IX, Torino, Fontana 18482;Storia della rivolz~zionedi Roma, Firenze 1851);
Claude Arvisenet (La guida della gioventù, Torino 1858); Auguste Nicolas
(La Vergine Maria vivente nella Chiesa, Torino, tip. Ferrando 1863), Gaston de
Ségur (La SS. Comunione).
Di piemontesi, liguri e savoiardi usò, oltre al Casaccia e al Cerri: Charvaz,
Guida del Catecumeno valdese (nell'originale francese e nella traduzione);
Gerdil, Breve esposizione dei Caratteri della vera religione; opere del gesuita
Giovanni Perrone e Secondo Franco, opuscoli del beato Sebastiano Valfré,
scritti agiografici su Caterina de Mattei, su Maria degli Angeli e su S. Pancrazio.
All'occorrenza consultò il Dizionario del Casalis e quello del Moroni, la Prompta
bibliotheca del Ferraris e il Magnum theatrzim vitae humanae del Beyerlinck.
Impegnato poi nella formazione dei Salesiani pose tra i suoi libri preferiti
anche il Rodriguez, Esercizio di perfezione e di virtù cristiane (ed. Torino,
Marietti 18282) (").
allo
(33) Aime
Charvaz, a
è fonte del
S. Alfonso,
Caal ttMoloicoorei.s.tr.u;itoB,uirnrysieemeChaaluGcoenrdiflu,roanl oPeardroonpee,raatil
Bellarmino,
per le vite
dei papi; Balleydier, per i Fatti ameni e La storia d'Italia; Arvisenet, che dipende dal Go-
hiner, deve avere ispirato genericamente DB per qualche espressione sulla purezza e, nell'edi-
zione citata, che è delle LC, porta inserito un capo sui Pastori deila Chiesa, che proviene
dai Mese di maggio di D.B.; Nicolas è usato in Marauiglie; Segur, in Nove giorni; il padre
Franco (L'infallibilità pontificia proposta ai fedeli, Torino 18711, per il Giovane provveduto;
8. L'uso delle fonti
La elaborazione delle fonti è quasi sempre minima. Talora pare che
Don Bosco ricerchi solo frasi che esprimano ciò che condivide e che possano
essere incastonate nei suoi propri scritti. Egli denota ancora sotto questo
aspetto la tendenza alla divulgazione, l'intelligenza che intuisce, assimila, sem-
plifica e riesprime. I1 suo meccanismo mentale non appare fatto per immergersi
nelle universalizzazioni, nella teoresi pura, nella crisi del concreto o dell'astratto.
Esso è rivolto a ciò che si deve operare in concreto, a ciò che si deve enunziare
per portare a convinzioni e ad agire; a sua volta è costruito di intuizioni e
convinzioni, di motti e di speranze.
Alcune volte da quanto emerge dalle sue pagine è persino riconoscibile
l'edizione che ebbe veramente o verosimilmente sottomano.
I1 trasparire delle fonti e la loro lettura, accostata a quella dei manoscritti
di Don Bosco, manifesta altri aspetti del meccanismo mentale del Santo. Ca-
ratteristica è ad esempio la Introduzzone alle Regole della Società Salesiana.
Don Bosco ebbe sott'occhio La vera sposa di Cristo di S. Alfonso. Nondi-
meno la minuta di Don Bosco è tormentatissima. Egli riesce faticosamente a
riassumere i periodi alfoilsiani: li inizia, ma non sa come proseguirli, e li can-
cella. Riduce a un groviglio illeggibile quanto aveva scritto ed è costretto a
rifare quasi tutto in margine. Eppure aveva soltanto da riassumere e riespri-
mere. Forse allora era stanco più del solito; ma nelle condizioni dell'lntrodu-
zione alle Regole sono ridotti molti altri autografi di Don Bosco. Forse la
sua memoria sarebbe stata più pronta a ripetere letteralmente parole e frasi,
piuttosto che spingere queste e quelle nella sua mente per assimilarne i con-
cetti e riportarli sulla carta con nuove espressioni.
Ma anche questa portentosa memoria, aureolata con un alone di leggenda
dai figli devoti e stupiti, ha i suoi talloni di Achille. Talvolta si dimostra incerta
nell'evocare testi logori dall'uso, personaggi non consueti, date lontane. Non
aveva letto Don Bosco la Bibbia del Martini? non aveva una memoria inos-
. . sidabile? non ricordava persino le pagine e i volumi e gli episodi del Ber-
castel? . Per lo meno, ne diede talora la prova(M); tuttavia nelle sue pagine
non mancano citazioni della Scrittura fatte a memoria (da lui o da altri, e da
lui accettate) che potevano benissimo essere ritoccate, integrate o sostituite
per riprodurre il testo esatto della Volgata, tenuto conto che il Giovane prov-
veduto o altri libri potevano finire in mano a qualche persona maldisposta o
suoi articoli relativi ai Concili apparsi sri La Civilt? Cattolica servirono per I Concili gene-
rali e la Chiesa Cuttolica; il Casalis & usato nella Vita di Domenico Savio, in quelle dei papi
e dovunque gli sia occorso fornire qualche dato di storia locale; il Moroni, il Beyerlinck,
il Ferraris
tolica e la
sono citati in
sua gerarchia.
.v.a;riiloRpuosdcroigliu: ezI lveGninuebiluesoa,toI
l cattolico istruito,
nella Introduzione
La
alle
Chiesa
Regole
Cat-
e in
conferenze, specialmente sull'obbedienza e sul rendiconto.
(M)Vari casi evocati dalle MB sono raccolti da Don RICALDONDE,on BOSCO educatore,
2, Colle Don Bosco 1952, p. 99.104. .'

13.2 Page 122

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
comunque allergica alle citazioni inesatte del testo sacro ("). Di fatto varie
espressioni furono metodicamente corrette. Nel Cattolico nel secolo, terza
edizione, Eusebio di Cesarea perdette l'appellativo di santo ("); nel Giovane
provveduto: tamquam a facie colubri divenne quasi a facie colubri; corrumpunt
bonos mores colloquia prava: corrumpunt mores boizos . . .; ite, maledicti, in
ignem aeternum: discedite a me, maledicti . . .; quae seminaverit homo haec
et metet: quae enim seminaverit homo, haec et metet (").
Sono quasi più limpide certe pagine che Don Bosco incorpora alla lettera
da altri, sono quasi più scorrevoli quelle che fa comporre, ad esempio a
Don Bonetti, che non quelle ch'egli elabora di proprio pugno. E in genere
sono anche congeniali a lui: sono, cioè, rispondenti alle sue convinzioni e al
suo modo d'esprimeisi, specialmente allorché non è afflitto dal pensiero di
dovere scrivere per pubblicare (9.
Per questa ragione il discorso da farsi su Don Bosco scrittore e autore
non può essere in tutto e per tutto quello che può essere fatto ad esempio per
Mauzoni, per Leopardi o anche per S. Alfonso. Gli scritti che sul frontespizio
si presentano comc compilati, epilogati o comunque fatti dal sacerdote Gio-
vanni Bosco, quelli che portano la prefazione da lui sottoscritta (prima edi-
zione del Giovane provveduto, Chiave del paradiso, Vita di S. Giuseppe. ..),
quelli infine che si presentano con il nome di altri (La città di Refugio . . .)
ovvero anonimi, possono essere tutti o parzialmente di Don Bosco, esprimerne
felicemente o no le persuasioni, così come si conoscono dal suo atteggiamento
pratico, o da ciò che ha detto e da ciò che è stato tramandato dalle Cronachette.
E quanto alla loro materialità, quasi tutti gli editi, insieme all'opera di
Don Bosco raccolgono quella di altri.
La Corona dei Sette dolori è solo l'estratto di un libro stampato a Saluz-
zo P'); Il Cristiano guidato alla virtù e alla civiltà è un rapiarizrm da un libro
di Joseph Ansart tradotto in italiano e pubblicato a Genova("); la Novella
435) La preoccupazione è di DB stesso: I nostri nemici non avranno cosa alcuna
da rimproverare suUa materia, ma si attaccano sopra cose di niuna entità. Una citazione
sbagliata per essi è un casus belli D: allo scolopio Paolo Sfonani, di Firenze, Torino, 11
marzo 1860 (Epistolario 214). Contro Il giovane provveduto da ambienti valdesi uscì
un libro polemico: Le Boccie di Don Bosco ossia il giovane provveduto d i confusione,
Torre Pellice, tip. Alpina 1884. La prefazione è sottoscritta: « Reggio Eugenio contadino ».
(36) BOSCO, Il cattolico nel secolo, pt. 1, tratt. 24, Torino 18833, p. 160. L'appellativo
u S. » è stato asportato dalla lastra deli'ediz. 18832,di cui i'ediz. terza è stereotipa.
(v) I1 giovane provveduto, Torino 1847, p. 22; 23; 43; 71; Torino 1885'05, p. 21;
22; 46; 69.
(35) Una controprova di quanto ci azzardiamo ad afferniare può essere il constatare
l'uso che han fatto di pagine d i Don Bosco autorevoli interpreti dello spirito di Don
Bosco, come Don Pietro Ricaldone nelle siie «strenne » e neUa sua collana della «Forma-
zione salesiana ».
l
(39) Esercizi divoti a Maria Vergine Addolorata e ad alcuni Santi e Beati deli'ordine
de' suo Servi, Saluzzo, tip. Lobetti-Bodoni 1844.
(a)Lo spirito d i S. Vincenzo de' Paoli ossia modello di condotta proposto a tutti
gli ecclesiastici, religiosi e fedeli nelle sue virtù nelle sue azioni e nelle sue parole dal
P. A. Giuseppe Ansart . . ., Genova, presso Antonio Beuf, 1840, 2 vol.
amena di un vecchio soldato di Napoleone è una traduzione quasi sempre
felice di Papa Civil ou petites uéponses à un vieux de la vieille (Caen 1853).
Per i Fatti ameni della vita di Pio IX il lavoro principale di Don Bosco con-
sistette nel segnare con matita rossoblu gli episodi da stralciare da un libro
dell'fluguet: Lo spirito e il cuore di Pio IX . . ., Modena 1867, 2 volumi (").
Il più bel fiore del Collegio apostolico ossia la elezione di Leone XIII (1878)
ripubblica con lievi adattamenti, ritagli dell'unità cattolica, dell'Osservatore
romano, e di altri giornali (che si conservano ancora a Roma, nell'Archivio
Centrale Salesiano) (").
Non si può nemmeno azzardare l'affermazione che Don Bosco faceva così
perché aveva poco tempo o che i libri di un determinato periodo sono più
personali che non quelli di un altro. Infatti anche quando Don Bosco aveva
come massima occupazione l'oratorio domenicale e festivo o anche il pensio-
nato nella casa Pinardi, poteva procurarsi abbastanza comodamente margini
di tempo per ritirarsi nella biblioteca del Convitto ecclesiastico o presso Brosio
il bersagliere, lasciando la cura domestica e l'assistenza dei giovani a mamma
Margherita o a Don Alasonatti("). Nonostante ciò, i Cenni sul Comoiio,
le Vite di Domenico Savio, di Magone e di Besucco si appoggiano volentieri al
dettato di altri, citati o no tra virgolette e sono in molta parte una compila-
zione non meno che il Mese di maggio, l'Esercizio di divozione alla miseri-
cordia di Dio (che sfrutta l'Apparecchio alla morte di S. Alfonso e il Tableau
de la miséricorde divine di Nicolas Sylvestre Bergier, Besancon 1821). Nella
Storia d'Italia del 1859, come nelle Regole della Società Salesiana, mise le
mani Don Michele Rua. La Storia ecclesiastica del 1870 venne affidata aile
industrie di Don Bonetti, a cui si deve la totale elahorazione del Cattolico
provveduto, dei dialoghi sui Concili generali e la Chiesa cattolica e di varie
circolari per i Cooperatori; Maraviglie della Madre di Dio venne compilata
da vari; tra gli altri, da Don Giuseppe Bongiovanni, che sarebbe morto poco
dopo; la silloge di documenti editi negli opuscoli L'Oratorio di S. Francesco
di Sales Ospizio di beneficenza (1879); Le scuole di beneficenza dell'Oratovio
di San Francesco di Sales in Torino (1879) venne fatta in gran parte da Don
Gioachino Berto, a cui si deve anche Favori e grazie spirituali concessi dalla
Santa Sede alla Pia Società di San Francesco di Sales (1881) (").
La città di refugio (ISSO), La Madre delle grazie ovvero Maria Ausiliatrice,
edite entrambe « p e r cura » di Don Lemoyne, non sono meno di Don Bosco
di quanto lo siano La nuvoletta del Carmelo o Maria Ausiliatrice col racconto
di alcune grazie. Si conservano infatti le relazioni, spesso autografe dei gra-
("1 L'esemplare usato da DB si trova neli'AS 133 Fatti ameni.
("1 Molti di questi ritagli di giornale o giornali interi si conservano all'AS 133
Più (Il) bel fiore.
(43) Attestano queste « sparizioni » di DB: Brosio il « bersagliere » (AS 123) che
aiutò all'oratorio da prima del '49, e Pietro Enria (AS 110; 161.1) che fu al fianco di
DB dal 1854.
("1 Si vedano i mss. e le bozze superstiti delle opere citate in AS 133.

13.3 Page 123

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
ziati, con ritocchi di Don Bosco e pubblicate sia con il suo nome, sia con quello
di Don Lemoyne, al quale fu necessario ricorrere, quando mons. Gastaldi si
mostrò contrariato per quelle collezioni di fatti presentati come pr~digiosi('~).
Le pagine dell'opuscolo Capitolo generale della Congregazione Salesiuna
da convocarsi zn Lanzo nel puossimo settembre 1877 per quanto non sotto-
scritte da nessuno, coincidono con un autografo di Don Bosco(").
In definitiva può avere un valore reale o solo convenzionale il fatto che
si legga o non si legga il nome di Don Bosco sul frontespizio di un libro. Che
sia o non sia lui l'autore, e fino a che punto lo sia, risulta da un complesso di
elementi che abbiamo già in gran parte, sia pure sommariamente, presentati.
9. Gli scritti più personali di Don Bosco
Dove Don Bosco si mostra più personale e anche più sciolto nella penna,
è nella corrispondenza epistolare, soprattutto nelle lettere che scrive ai sale-
siani, ai giovani dell'oratorio o di altre case, a benefattori che conosce per-
sonalmente (Fassati, Callori, card. Berardi). Allora gl'intoppi del manoscritto
sono pochi; il pensiero è senza inibizioni.
Dalle lettere traspare la sobrietà dell'uomo laborioso, che non si sofferma
in grandi disquisizioni, che non affronta problemi teoretici di impegno, che
riserva a colloqui quanto potrebbe attardare lo scritto o renderlo più complesso.
I1 senso di Dio e delle anime è sempre presente; lo spirito religioso si
manifesta sia l i dove tocca problemi relativi agli urgenti bisogni dell'educa-
zione giovanile e popolare o, comunque, della Chiesa; sia anche negli espliciti
appelli alla preghiera, nella rapida esortazione alla fiducia nel Signore, nell'in-
vocazione della grazia ch'egli si assuefà ad esprimere specialmente nell'ultimo
quindicennio di vita: « La grazia di Nostro Signore Gesù Cristo sia sempre
con n o i . . . sia sempre con t e . . . ».
Rapida va la penna anche quando egli evoca fatti che ha narrato a voce
ripetutamente: quelli della sua infanzia o delle sue prime esperienze di educa-
tore o dei suoi viaggi. Per questa ragione molte paxine delle Memorze dell'Ora-
touio corrono senza incertezze e pentimenti già nella prima stesura. Lo stesso
vale quanto ad alcuni « sogni D; la cui redazione è così nitida, da far pensare
che sia stata preceduta o da qualche fatto, ovvero da una esposizione orale
o scritta (47).
Per quanto riguarda il pensiero di Don Bosco sono significantissimi i
documenti nei quali egli condensa i suoi principi, le sue esperienze, i suoi
I") Gli scritti relativi sono ali'AS 133 Maria Ausiliatrice: grazie ordinate alfabetica-
mente secondo il cognome dei graziati.
(4)AS 133 Capitolo generale. Manca solo I'ultimo foglio riguardante il Regolamento
del Cap. generale stesso; ma probabilmente anche questo dovette essere stato progettato
da DB.
(Q) Rispettivamente all'AS 132 Oratorio e AS 132 Sogni.
metodi: come la lettera confidenziale ai direttori (già composta nel 1863 per
Don Michele Rua), il progetto di proposte (1877) e gli atti (1878) del primo
capitolo generale dei Salesiani, il cosiddetto testamento spirituale, redatto
probabilmente tra il 1884 e il 1886 (a).
10. Pagine o espressioni personalizzate
Bisogna ancora aggiungere che più di una volta le frasi fatte, trasmesse
da un libro all'altro, attinte a libri non propri, sono tutt'altro che insignii?
canti e impersonali; perché talora sono come le espressioni apprese sul grembo
materno per esprimere i sentimenti più elementari, più frequenti, più abituali,
più radicati e più operanti.
Che bisogna darsi a Dio da giovani, che a ciò corrisponda il mottobiblico
adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non uecedet ab ea si legge
sulle prime pagine del Giouane puovueduto e si sa che vi giunge dalla Instruc-
tion de la jeunesse di Charles Gobinet, l'educatore di Fénelon, da cui dipen-
dono, oltre al Giovane provveduto, molti altri libri dello stesso genere.
A queste espressioni è legata una convinzione teologica: che il primo
atto umano (o i primi atti) sono ordinariamente l'inizio di una catena che
conduce all'eterna salvezza o all'eterna perdizione, a seconda che si aderisce
al piano di grazia stabilito da Dio, o no. Vi fu chi, in base a questa persua-
sione, compose la preghiera da far recitare ai bambini appena giunti all'uso
di ragione.
In Don Bosco non si tratta di una frase che personalmente non lo tocca.
Egli è spinto ad agire con urgenza sui giovani, perche crede che la loro sal-
vezza eterna dipende dal tempo della gioventù; e lo fa spesso avvalorando la
sua convinzione con dati di esperienza. Come educatore e come scrittore anzi
egli è attento a porre in luce questo darsi a Dio da giovani. Lo v d e e lo pone
in rilievo in S. Luigi, in S. Mattino, in S. Pancrazio, nella beata Caterina
de Mattei da Racconigi e nella beata Maria degli Angeli carmelitana scalza.
Giacché la stessa persuasione del sorbonico Gobinet, assimilata per altre vie,
egli poteva leggerla nel Cepari e nel Croiset, in Pasquale De Mattei (fonte per
le Sei domeniche), e in molti agiografi e scrittori spirituali. Michele Magone
invece, è il tipo che si adegua al piano divino straordinario, come la Maddalena
e S. Agostino: colui che, una volta conosciuta la grazia, vi aderisce e vi si
mantiene con fedeltà.
Amare i giovani, usare loro amorevolezza e dolcezza, assisterli per pre-
venire il male o correggerli, aiutarli a consolidarsi sul retto sentiero sono tutti
termini che si trovano nella letteratura educativa alla quale si connette Don Bo-
sco: quella cioè del Rollin, di Fénelon, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, del
Lancelot, di Pierre Nicole, del Fleury, di Pierre Coutel, di Robbio di S. Raf-
( a ) AS 131.01 Rua 131.02 (Lettera confidenziale ai Direttori); AS 0411877; AS 132
Quaderni-taccuini.
245

13.4 Page 124

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
faele; o, più vicino a Don Bosco, si leggono in alcune pagine dell'Aporti, del
Lambruscbini, del Timon-David, del Dupanloup, del barnabita Alessandro Teppa,
presso i quali non è raro trovare riferimenti al brano paolino sulla carità be-
nigna e paziente, che deve animare i'educatore (").
Per questa ragione gli scritti di Don Bosco, comunque siano stati com-
pilati, da lui o da altri, con frasi create o assimilate, hanno un'importanza non
trascurabile, e diremmo essenziale per una indagine sulla personalità del
Santo o sulle sue fortune, legate ancbe all'uso di quel linguaggio che, come
egli desiderava, lo poneva in immediata e piena sintonia con le persone e
con gli ambienti sui quali agiva:
11. I1 lavoro editoriale e pubblicisbico
I1 successo delle opere molto spesso è legato al mezzo editoriale di cui
Don Bosco si serve e dell'organizzazione pubblicitaria ch'egli riesce a organiz-
zare, a perfezionare e infittire in proporzioni sempre più vaste.
Tipico è quanto viene narrato a proposito del Cristiano guidato alla virtù.
Don Bosco compose l'opuscolo (come accennammo, senza molta fatica) poi si
rivolse al canonico Anglesio, rettore del « Cottolengo »; gli propose di acqui-
stare tremila copie per i suoi ricoverati. E chi le paga? esclamò il canonico.
Le pago io, ribatté Don Bosco. I1 canonico Anglesio aderì al buon affare.
Don Bosco allora si rivolse a una bendca contessa e le propose di fare
la carità al <C Cottolengo n pagando tremila copie dell'opuscolo da distribuire
per lettura edificante ai ricoverati (%).
È un caso tra tanti. È difficile, per non dire impossibile, scoprire le
infinite industrie di Don Bosco per far scattare la molla della beneficenza,
insieme a quella dell'indigenza, della buona accoglienza alla sua attività e alle
sue cose. A giudicare dal successo, bisogna ammettere che anche nel campo
editoriale egli agi con grande abilità.
Le Letture Cattoliche, periodico tascabile costituito da racconti morali,
vite di santi, libretti d'istruzione e di apologetica, non sono per sé una formula
nuova. Don Bosco adattò all'ambiente popolare piemontese quanto già dal
1835 si faceva in Savoia con la Bibliothèque des familles chrétiennes, a Lilla
e altrove in Francia con opere simili, a Firenze e a Torino già dal 1849 con
l'edizione periodica di «buoni libri » tascabili. Anche in questo campo, invece
di originalità nella creazione di formule, si ha la genialità pratica dell'assimi.
latore, dell'organizzatore e del realizzatore intraprendente e tenace.
Le Letture Cattoliche batterono in breccia la Collezione d i buoni libri
edita a Torino, anche se tipograficamente e letterariamente più trascurate (=l).
(e)Ci si consenta di lasciare accennato appena quanto svilupperemo nel secondo libro
sulla mentalita religiosa di DB.
(") MB 3, p. 386 S.
(5') La Collezione di buoni libri non giunse al 1870. Non ci fu però concorrenza tra
i due periodici, &'erano di livello alquanto diverso, anche se ebbero in comune del gesuita
Vi riuscirono sia perché erano di livello più popolare, sia anche perché
Don Bosco personalmente s'impegnò a farle penetrare nelle parrocchie del
Piemonte, facendole ritenere un mezzo utilissimo e quasi indispensabile a ve-
scovi e sacerdoti, a cattolici facoltosi e generosi, a maestri e a umili popolani
che collaboravano con denaro o con l'opera alla diffusione, e contribuirono a
far salire la tiratura da tremila a oltre diecimila, vivente Don Bosco ("). I1
successo evidentemente provenne anche dal fatto che la prosa disadorna delle
Letture Cattoliche era realmente adatta ali'intelligenza di tutti e si rivolgeva a
persone assetate di lettura e religiosamente ben disposte.
Quando Don Bosco avviò la pubblicazione del Bollettino salesiano il mer-
cato editoriale cattolico poteva considerarsi saturo di giornali politici e di
periodici intransigenti per famiglie, per categorie professionali, per quanti s'in-
teressavano delle Missioni o di devozione mariana (=). Don Bosco, forse ispi-
randosi a quanto facevano i Francescani di Milano con gli Annali fuancescani
già dal 1870 e q~iellidi Cuneo dal 1871 con le Letture francescane indirizzate
agli amici e ai Terziari, fa del Bollettino un organo di collegamento e di infor-
mazione per quanti venivano a gravitare attorno 'alla sua opera, dando larga
parte alle notizie missionarie.
Alla sua morte il Bollettino nella edizione italiana, francese e spagnuola
avrebbe oltrepassato la tiratura di centomila copie(").
12. Moventi e movenze d# Don Bosco scrittore ed editore
Don Bosco non si diede tregua come scrittore, editore e propagandista,
perché personalmente era persuaso che il predicare la buona novella per mezzo
della stampa era un servizio che doveva rendere inderogabilmente alla Religione,
una esplicazione necessaria della sua vocazione di educatore della gioventù e
del popolo. Fu, questa, una fede ch'ebbe in comune con molti suoi contempo-
ranei e che in lui fu commista a un senso di apprensione, perché sapeva di
non essere uno scrittore forbito, ma anche sentiva che la proprietà della lingua
era necessaria alla efficacia e alla dignità dello scritto e, di riflesso, al « van-
taggio della Religione n per la quale si impegnava come sacerdote (appellativo
che amò apporre accanto al suo nome sul frontespizio dei libri).
Giovanni PERRONilECatechismo intorno alla Chiesa Cattolica ad uso del popolo (LC a. 2,
fasc. 8, 9 e 10, 25 giugno, 10 e 25 luglio), Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1854;
Coller. buoni libri a. 5, dispensa 19, legiugno 1854. Sembra anche che DB conoscesse la
Bibliothdque di Annecy, con la quale ha in comune [Jean-Antoine LE VACHETLI',artisan
chritien ou vie du bon Henri cordonnier, Annecy 1836 (livraison 7e; trad. it. LC 10 e 25
novembre 1853); Théodule, ou l'enfant de bénédicfion, modèle pour la jeunesse, par le
R. P. Michel-Ange Marin, de l'ordre des Minimes, Annecy 1836 (livr. 8e); Teodulo.. . del
rev. padre Michelangelo Marini, LC, a. 14, fasc. 6, 1866).
(n)Documento solido sull'aumento della tiratura delle LC sono le quietanze De-
Agostini e Paravia (AS 112 Fatture), che per lo meno, documentano fino al 1864.
(9)Cf. A. FERRANDICNenAsi,mento della stampa periodica cattolica in Italia, Asti
1893, p. 14.
(M) FERRANDINA, Censimento della stampa, p. 14.
247

13.5 Page 125

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Soffriva quando talora non si riconosceva all'altezza del compito assunto.
Con umiltà e semplicità richiedeva e accettava la revisione dei dotti e degli
(9. indotti, vigilando, a sua volta, su quanto gli altri gli proponevano di mutare
Per questa ragione era suscettibilissimo su quanto veniva stampato con il
suo nome. Poche pagine esprimono meglio questi suoi sentimenti, quanto quelle
ch'egli stesso affidò al taccuino del « testamento spirituale »:
*Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto
potevo per sostenere, difendere e propagare principii cattolici. .. . In quanto alle
stampe e ristampe io mi raccomando di più cose. Alcune mie operette furono
pubblicate senza la mia assistenza ed altre contro la mia volonta . . . Qualora sia
mestieri di farne un? ristampa, ove si scorgesse errore di ortografia, di cronologia,
di lingua, o di senso si corregga pel bene della scienza e della religione.
Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande atten-
zione nel senso e nella dottrina, perché la maggior parte furono scritte precipito-
samente e quindi con pericolo di molte inesattezze. Le lettere francesi poi ove si
possa, vengano bruciate; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che
siano lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua, francese, affinché
le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla o il
dispre~zosulla religione in favore di cui furono scritte D(%).
Oggi, in altro contesto, svaniti i timori fondati che avevano spinto Don
Bosco ad essere cosi severo con i suoi scritti che considerava - come il
loro autore - un umile servizio alla Chiesa, dobbiamo ringraziare quei Sale-
siani che « disubbidirono » alle ingiunzioni del Padre.
FONTI
Editi e inediti sono gli
incartamenti riguardanti i vari
scritti di DB all'AS 132; 133;
progetti di edizione degli scritti
1d3i1D. B01..
I1 fondo 134 ha
Ricordiamo anche
qui le serie 02 (Regole, Regolamenti, ecc.); 04 (Capitoli generali).
L'elenco degli scritti editi di Don Bosco dato da Don RICALDONE (Don BOSCO educa-
tore. 2, Colle Don Bosco 1952, p. 631-1548), sul quale vari si sono fondati per propri elen-
chi bibliografici, contiene oltre a una ventina di errori, molte lacune e alcune errate at-
trihuzioni.
Purtroppo non esiste ancora una hibliografia completa e ragionata degli scritti autografi
che DB non destinò alle stampe; quanto invece fu edito o comunque stampato è ora
descritto da P. STELLA, Gli scritti a stampa di san Giouanni Bosco, Roma 1977.
BIBLIOGRAFIA
Utili sono: M. BARBERSA. ,J., San Giovanni Bosco educatore, Torino 1942, p. 101-
117 (San Giov. B. scrittore popolare educativo); P. BRAIDOL',educazione religiosa popolare
e giovanile nelle «Letture Cattoliche » di Don Bosco in Salesianum 15 (1953) p. 648-
672; E. VALENTINI, Don Bosco e l'apostolato della stampa in Salesianum 19 (1957) p. 280-
308; Centenario de la8 Lecturas cat6licas, Buenos Aires 1953.
Alcuni episodi sono riportati da Don RICALDONDEon, BOSCO educatore 2, p.
172-175, che, anche in questo caso, si fonda sulle MB.
(J6) AS l32 Quaderni-taccuini; cdito in MB 17, p. 265.
CONCLUSIONE
1. La morte
L'ora della morte scoccò per Don Bosco il 3 1 gennaio 1888 mentre egli si
avviava al traguardo dei settantatré anni.
Non è senza interesse osservare quale peso abbiano esercitato su quell'ul-
tima fase della sua vita il mondo di convinzioni e di attività ch'egli aveva di-
spiegato con tanta intensità nei suoi anni terreni.
Non fu una morte improvvisa; ma lo spegnersi inesorabile di una fiamma
che aveva esaurito il suo alimento. Non fu una morte accompagnata dall'ester-
narsi di visioni celesti e da quei segni straordinari ch'egli aveva descritto nelle
biografie di Don Cafasso, di Magone, di Besucco e, soprattutto, di Domenico
Savio, simili a quelli che si leggono di Luigi Gonzaga e di Filippo Neri. Non
fu nemmeno come quella che aveva potuto leggere nelle biografie di S. Alfonso
Maria de' Liguori: in una tensione di spirito per sperare nella propria salvezza
eterna, con la raccomandazione ai circostanti che pensassero a salvarsi l'anima.
Nemmeno f u quella spiritualmente tranquilla, di placida attesa amorosa, che
caratterizzò l'ultima giornata terrena del suo patrono S. Francesco di Sales,
travagliato, più che altro, dal venir meno delle forze e dai piccoli tormenti
escogitati dai medici per tenerlo desto.
Degli ultimi giorni di Don Bosco, di ciò che fece e disse, di quel che
avvenne attorno a lui, abbiamo due relazioni che si integrano e si intrecciano:
quella di Don Viglietti e di Don Lemoyne, assai particolareggiata; e quella, più
sommaria e lacunosa, di Don Berto, che non poté seguire da vicino tutto e con
continuità('). Attraverso questi documenti possiamo contemplare, senza il dia-
framma delle idealizzazioni, quanto avveniva nella cameretta del santo morente.
Notiamo anzitutto stati d'animo diversi nei circostanti.
Don Berto, il fido segretario di oltre un decennio (sostituito nel 1883 da
Don Viglietti) è colui che non vuole la morte di Don Bosco e che vuole intro-
mettersi in qualsiasi modo; è colui che prega e scongiura e offre la propria
(I) AS 110 Lemoyne, 2 (2 quaderni; il secondo dei quali, scritto da D. Bonetti, con-
tinua i fatti dal 31 gennaio al 6 febbraio 1888). Utilizzato largamente nelle MB 18.
247

13.6 Page 126

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
vita in cambio di quella del moribondo (con lui si offersero alcuni giovani, tra
i quali c'era anche il futuro Don Orione).
Don Viglietti, Don Lemoyne, Don Rua appaiono persuasissimi di perdere
ormai Don Bosco. Al dolore uniscono la preoccupazione di raccogliere con la
massima cura le ultime reliquie del padre comune, per tramandare ai posteri
le sue ultime parole, i suoi ultimi gesti; cioè quelli del momento culminante:
quelli che quasi dovevano rappresentare il suo testamento. Don Rua, che è il
vicario di Don Bosco, colui sul quale cadrà la poderosa e ponderosa succes-
sione, chiede al padre le ultime parole: gli ultimi gesti di benedizione, gli
ultimi messaggi per i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori.
Don Bosco avverte il distacco. Quegli ultimi momenti, quelle ultime ore
erano un poco come 16 aveva tante volte meditate e descritte nella preghiera per
la buona morte: sul letto, immobile, con i figli a lui dintorno: « Quando i miei
piedi immobili mi avvertiranno che la mia carriera in questo mondo è presso
a finire: misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Quando le mie mani tremole
e intorpidite non potranno più stringervi, Crocifisso mio Bene, e mio malgrado
lascierovvi cadere sul letto del mio dolore: misericordioso Gesù, abbiate pietà
di me. . . ». Ma l'immobilità di quei giorni perde per lui quel senso un po'
astratto, anche se suggestionante, che poteva essere inteso nella preghiera: « T u
sai - disse a Don Sala - quanto io fossi esatto per la pulizia; ed ora non
posso più ottenerla. Mi trovo sempre neli'immondizia » (l). Tra le miserie dello
sfacelo organico Don Bosco cerca di celiate quanto più può, dimostrando non
stoicismo, ma quanto fossero solide e radicate le sue energie morali.
Ma quando la mente meno veglia, il subcosciente maturato in tanti anni
di attività intensa come sacerdote educatore, sfugge e si svela. Stava per
. . addormentarsi, quando a un tratto si scosse, batté le mani e gridò: « Accor-
rete, accorrete presto a salvare quei giovani! . . Maria Santissima, aiutateli. .
Madre, Madre! » (3).
Quanti sentimenti! I1 timore che i giovani avessero bisogno (stessero per
cedere al peccato). Timore dunque: e non senso di fiducia, in quel momento.
Sentimento dell'urgenza, invocazione agli altri, nella consapevolezza di non po-
tere arrivarci lui. Timore che i suoi (i Salesiani) non arrivino in tempo. L'invo-
cazione allora attinge le sue risorse nella fede che manifesta il suo atteggia-
mento di fiducia filiale verso Maria santissima.
« Spesso fu udito ripetere: - Sono imbrogliati. - E poi: - Coraggio!
Avanti! . . . Sempre avanti! [avrà pensato ai Salesiani o ai giovani?] - Talora
chiamava per nome qualcuno. Quella mattina [del 27 gennaio] avrà ripetuto
una ventina di volte: - Madre! Madre! - Alla sera con le mani giunte
invocava: - Oh Maria! Oh Maria! Oh Maria! . . .
A quanti si avvicinavano al suo letto, dava gli ultimi ricordi dicendo per
lo più: - Arrivederci in Paradiso! . . . Fate pregare per m e . . . I giovani
facciano per me la santa comunione. - Disse pure a Don Bonetti: - Di' ai
giovani che io li attendo tutti in Paradiso! - E poco dopo: - Quando par-
lerai o predicherai, insisti sulla frequente comunione e sulla divozione a Maria
Santissima . . .
Di nuovo a Don Bonetti: - Ascolta. Dirai alle Suore che, se osserve-
ranno le regole, la loro salvezza è assicurata » (').
Non l'ansia per la propria sorte. Le ultime parole per sé sono di preghiera
e di speranza, rivolte a Gesù, a Maria Santissima, a Dio:
« Gesù e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia. . . I n manus tuas, Domine,
commendo spiritum meum . . . Oh Madre. . . Madre . . . apritemi le porte del
Paradiso » (9.
Quanto agli altri, ha timori, consigli, incoraggiamenti, nello stato d'animo
(sembra) di chi ha avuto fiducia più sulle proprie forze, che sulle altrui. Tra
il 28 e il 29 « nella prima ora di notte gridò: - Paolino, Paolino, dove sei?
Perché non vieni? - Tutti i presenti ritennero che chiamasse Don Paolo
Albera, ispettore delle case di Francia.
Dopo un po' ripeté: - Sono imbrogliati! - Allora monsignor Cagliero
con voce forte gli disse: - Stia tranquillo, Don Bosco, faremo tutto, tutto
quello che desidera. - In quella parve fare uno sforzo, alzò un momento il
capo e disse con voce ferma: - Si, vogliono fare e poi non fanno. - Indi
ricadde sul cuscino.
Una volta domandò: - Chi c'è là? Chi è quel ragazzo? - Non c'è
nessun ragazzo. È l'attaccapanni, rispose Enria.
Faceva però dei segni come se avesse qualcuno vicino, finché all'improv-
viso batté le mani, come soleva fare quando in sogno gli si presentavano og-
getti spaventosi. - C'è nessuno? c'è nessuno? - gridava. - Ci siamo noi,
rispose Don Sala, portandosi al suo fianco. - Batteva i denti, come se lo
assalissero brividi febbrili » (').
Nella notte del 30: « adagio adagio recitò l'atto di contrizione. Qualche
volta esclamò: Miserere nostri, Domine. Nel cuore della notte, alzando di
tratto in tratto le braccia al cuore e giungendo le mani, ripeteva: - Sia fatta
la vostra santa volontà » (').
« Alle dodici e tre quarti, essendo per un istante soli vicini al letto il se-
gretario e Giuseppe Buzzetti, [Don Bosco] spalancò gli occhi, guardò a lungo
per due volte Don Viglietti e alzata la mano sinistra che aveva libera, gliela
posò sul capo. Buzzetti a qnell'atto scoppiò in pianto e: - Sono gli ultimi
addii, - esclamò. Ritornò poscia nell'immobilità di prima » ('). Fu l'ultimo
atto cosciente percepito dai circostanti.

13.7 Page 127

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
2. Primo bilancio
Mori Don Bosco lasciando nel cordoglio i suoi figli e ammiratori; mori
lasciando rispettosamente assorti quanti, senza essere credenti e senza essere
settari (o persuasi di non esserlo) intimamente lo avevano ammirato e venerato.
Francesco Crispi diede, come capo del governo, eccezionalmente, il per-
messo di inumarlo a Valsalice. Crispi era un « esemplare non raro di quegl'Ita-
liani del Risorgimento affatto areligiosi, ma convinti di avere una propria
elevata religiosità, e tratti appunto ad esaltare l'idea di un Dio, non avente
altra funzione che quella di puntello ad un'etica stoica » ('). Crispi fu conside-
rato, e certamente fu, anche se lontano, amico di Don Bosco. Forse con il me-
desimo stato d'animo di Urbano Rattazzi o di Nicotera e di Zanardelli, disposti
a contemplare nella quiete dei colloqui familiari questo prete carismatico, di-
messo e abile, popolano e nobile, di cultura profana modesta, ma di gran
cuore e di indefettibile carità, di esperienza e di infaticabile operosità in favore
delle classi più bisognose, verso le quali essi si sentivano non meno legati e
obbligati. Pronti, Nicotera, Rattazzi e Zanardelli, a lasciarsi scrutare, un po'
con spirito divertito, e sapere se erano scomunicati o gran peccatori; ma ovat-
tati da una moralità che non sente più tanto il peccato, o il confessionalismo
religioso; e ha ormai appreso l'arte di non lasciarsi sconvolgere e ferire nem-
meno dai santi, che pure ammirano e venerano('').
Ciccio Lupo, l'usciere dello statista siciliano, ricorda una visita di Don
Bosco. Annunziò che stava in anticamera un prete emaciato, della stessa sta-
tura del ministro, dagli occhi penetranti. « Crispi ha un lampo. Corre difilato
verso il salotto. I1 prete s'alza. I due si abbracciano. - C'è un ospite illustre
da noi, Lupo, gli dice rientrando. Ecco: tu forse ne sentirai parlare quando io
sarò morto. Baciagli la mano. Sai chi è? Si chiama Don Bosco (l1).
Accanto a Don Bosco, a ciò che fu e a ciò che lasciò, non bisogna dimen-
ticarlo, vi fu anche, come motivo di successo, questo clima di religiosità con
o senza Dio, che lo amò, lo aiutò, lo fece rispettare, sia in Italia che altrove. Vi
furono persone, davanti alle quali scopriamo Don Bosco ora attento e cauto,
ora pronto a coglierne la simpatia e, a sua volta, pronto a ricambiarla (anche
con l'animo di trarne l'utile per sé e per la Chiesa). E mentre Crispi o altri
potevano essere intimamente persuasi che non era possibile un rinnovamento
interiore della Chiesa (I2), e venivano incontro a Don Bosco per simpatia o
per l'utilità sociale che ne vedevano, Don Bosco invece li avvicinava con la
persuasione che il Signore agiva anche in loro per operare il bene della gioventù
povera e abbandonata, la salvezza delle anime, il successo della Società Sale-
( q ) A. C. JEMOLOCr,ispi, Firenze 1922, p. 137.
(l0) Cf. MB 12, p. 419-428 sui colloqui di DB con Nicotera, Zanardeili, Depretis e
altri nel Colleaio di Lanzo. E sull'interroaativo che avrebbe ~ostoUrbano Rattazzi: «sono
scomunicato?MB 5, p. 437.
(l') V. MAR NICOLOSIlI,«custode » di Crispi, in Il Giornale d'Italia, 13 marzo 1937.
('9JEMOLCOr,ispi, p. 80.
siana e i trionfi della Chiesa. È una tendenza alla strumentalizzazione che ci
discopre anche la sua radice sana: non il calcolo egoistico, non la ricerca del
prestigio personale, non il proprio tornaconto religioso personale: salvarsi
l'anima. Alla radice sta il senso di Dio e degli altri. certo impegnata la
salvezza personale; ma Don Bosco ne sente la soluzione gravitando al di
di se stesso.
Anzitutto Don Bosco senti la sua vita come doverosa (ma connaturale)
adesione a un appello divino; secondo alcune movenze legate ancora per molti
suoi termini aUa religiosità medievale: di ricerca del piano ideale divino, a cui
adeguarsi e consacrarsi; e altre tipiche dell'Ottocento: non in un eremo, ma
per le strade, per l'abilitazioiie sociale e religiosa del popolo, soprattutto della
gioventù povera e abbandonata.
I1 problema della salvezza personale, che in lui poti avere momenti di
ansia negli anni del Seminario, è equilibrato dalla presenza degli altri e dal-
l'azione: dal sentirsi in un organismo (in una famiglia); non al centro, ma
come membro e servo laborioso e corresponsabile.
L'attenzione agli altri (cioè agli individui, alla situazione religiosa e civile)
lo porta da una parte a percepire l'evolversi di tutto, ad avvertire le sempre
nuove esigenze dei tempi; e dall'altra, a sentire la necessità di adattarsi alle
intelligenze di ciascuno, a capire le disponibilità sue e altrui; a intuire fino a
che punto può chiedere e dare; a essere pronto a tenere o a lasciare: con gli
uomini politici e di Chiesa, con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice,
con i benefattori e i giovani.
Ne risulta in lui un'educazione al distacco, a un dispendio di energie e di
denaro addirittura scandaloso per chi non vede che Don Bosco sa già come
procurarsene nuovamente. Ne deriva perciò un uso ardito della stampa, della
pubblicità, dei giovani, dei suoi laboriosi ed entusiasti (o anche stanchi ed
esausti) Salesiani; degli amici e di se stesso, in funzione del disegno divino che
si compie, ch'egli, spaziando dai suoi sogni, vede assai più vasto di quanto un
calcolo prudente e discreto avrebbe potuto misurare e nel quale egli avverte
la propria attività personale soltanto come la fase d'inizio.
Come nei cattolici dell'età romantica, è esaltato in lui il senso della prov-
videnzialità divina negli eventi umani; come nei cattolici liberali, è vivo il
senso di Dio e del popolo visti come ragion d'essere della sua vita (e caratte-
rizzati, se si vuole, in qualche modo, nel motto: Da mihz animas caetera tolle,
in cui le anzme sono soprattutto figli del popolo).
Come i cattolici conservatori e intransigenti, non sa comprendere una
collusione politica tra religione e rivoluzione. Come formato nel primo qua-
rantennio deli'Ottocennzto agisce in forza di una religiosità, la cui ossatura di
base è familiale e paternale, che tende a vedere nel rapporto Padre-figli; di
comando, di obbedie a ( o consacrazione: darsi a Dio) e di esecuzione. Fami-
liale in forza anche della sua esperienza di orfano, divenuto sensibilissimo a
situazioni analoghe di giovani, di cui finisce per divenire il Padre.
Per tendenza ed ediicazione, attento a cogliere la voce dei tempi, non

13.8 Page 128

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
poti sottrarsi all'angustia del Risorgimento: al conflitto tra coscienza nazionale
e coscienza religiosa. Come molti cattolici intransigenti disapprovò senza insi-
mulazione molti fatti che portarono aU'unità italiana, e anch'egli, come molti,
profetizzò sciagure e castighi divini.
Come molti cattolici liberali e clerico-moderati, intuì la possibilità di una
base comune di lavoro: l'educazione popolare. Come tutti i cattolici sofferse per
le umiliazioni della Chiesa e ne senti la missione trascendente.
Diversamente da molti liberali e intransigenti rifiutò per proposito l'agone
politico, a cui si sottrasse risolutamente (e in anticipo rispetto a molti) dopo
l'amara - dal punto di vista economico - esperienza dell'Amico della gioventù,
giornale politico-religigso, edito da lui nel 1849 fino a maggio. Ma non espresse
critiche contro chi, come Don Giacomo Margotti, la faceva.
In definitiva sentì la sua vita sostanzialmente impegnata quasi soltanto
nel problema educativo, avvertito come quello che avrebbe dato la soluzione
globale a quello religioso e civile.
E in forza di tale impegno maturò quel complesso di opere che ancora
oggi ne continuano gli ideali e lo stile d'azione.
Tra le sue realizzazioni si trova un nesso vitale inscindibile e un'osmosi
continua con l'ambiente e con il tempo, con il temperamento e le istanze
proprie e altrui. La Società Salesiana, e conseguentemente l'Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori, forse non sarebbero stati (o non sareh-
hero stati così come furono), se Don Bosco non ne avesse sentita l'esigenza,
allorché si trovò impegnato nell'opera degli oratori e nell'educazione della gio-
ventù in collegi; e inoltre, se non si fosse sentito legato alle Letture Catto-
liche e al culto dell'Ausiliatrice.
A loro volta l'opera degli oratori e quella dei catechismi, che precedettero,
non avrebbero avuto il corso che ebbero, se Don Bosco non le avesse avvertite
come sua vocazione, inscindibilmente connessa alla propria salvezza eterna, e
perciò sotto il peso di convinzioni e mentalità che, pur in circostanze non del
tutto favorevoli, vennero esaltate già nell'infanzia e nella giovinezza in una
sintesi vitale tra le tendenze temperamentali alla socievolezza e i valori reli-
giosi ambientali. Sotto questo aspetto c'è un'incidenza su tutto quel che venne
dopo, già degli anni dell'infanzia e degli stessi anni di Seminario, che radicarono
il senso di Dio nella propria vita e il premozionismo.
Si potrebbe supporre che anche in Don Bosco si verificarono momenti (ad
esempio, se si vuole, mistici) personalissimi: non legati per sé a nessun'epoca,
ma direttamente al suo temperamento e all'esperienza del divino. Ma è arri-
schiato dirlo riguardo alle manifestazioni del suo intimo e alle realizzazioni, che
appaiono tutte connesse e condizionate dall'epoca e dai luoghi in cui visse. Gli
stessi termini da lui adoperati, quello di Oratorio (con il significato tipico di
opera per giovani e impregnato degli elementi locali e personali propri di
Don Bosco stesso), quelli di Società Salesiana (e non di Congregazione), di
Ausiliatrice (e non, ad esempio, di Avvocata o di Mediatrice), quello di Coope-
ratori Salesiani (e non di confratelli o di soci . . .) sono frutto di condiziona-
menti che sono da rintracciare nell'ambiente e negli sviluppi dell'attività stessa
di Don Bosco.
Egli dunque, nonostante la potenza delle opere suscitate, la cui vitalità
appare ancora in fase di sviluppo, nonostante il valore esemplare che poté (e
può) avere la sua persona agli occhi di chi voglia scoprirne i segreti, seguirne
i metodi e continuarne la missione, nonostante ciò in cui fu precursore o
anticipatore, ha il suo posto, ben fisso e non trasferihile nell'Ottocento risorgi-
mentale, come educatore e come santo, libratosi a esercitare il proprio influsso
sull'Europa e sul mondo.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
APPENDICE
CARLO IL RISUSCITATO DA DON BOSCO
(Postille alle Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco)(*)
Da qualche tempo le Memone bzografiche di S. Giovanni Bosco, monu-
mentale opera in diciannove volumi, hanno attirato l'attenzione degli studiosi
del secolo XIX. I1 P. Giacomo Mattina nella bibliografia ragionata, premessa
alla traduzione italiana del volume Le pontificat de Pie I X di Roger Aubert,
le presenta come un « documento storico di prim'ordine, basato sulla narrazione
diretta di Don Bosco, a poca distanza dai fatti narrati ». E soggiunge: « Pur
trattando soprattutto dei fatti relativi allo sviluppo dei Salesiani, le Memorze
contengono particolari notevoli su molti avvenimenti contemporanei » ( l ) .
Già in precedenza esse erano state adoperate dal Massèt2) e recentemente
ne viene curata una traduzione inglese dai Salesiani degli Stati Uniti d'America
in edizione che non è più, come quella italiana, extra-commerciale (3).
I1 salesiano Don Francis Desramaut nel suo importante lavoro di dottorato
sul primo volume delle Memouie, relativo alla vita del Santo fino al sacer-
dozio (1841) ha posto in evidenza il metodo dell'autore, Don Lemoyne, sale-
siano dal 1864, posto a raccogliere la documentazione su Don Bosco e le sue
opere, sotto gli occhi di Don Bosco stesso, nel 1883 (').
Don Lemoyne con molta scrupolosità avrebbe fatto opera di sapiente com-
pilatore, componendo insieme, talora nella loro materialità letteraria, documenti
o informazioni orali, dovuti in parte a Don Bosco, in parte ad altri testi, che
deposero o no al processo informativo diocesano di beatificazione.
Don Desramaut ha fatto, a nostro avviso, lavoro soprattutto di critica
(") Abbreuiazioni: All. = Documenti allegati al presente saggio. Le citazioni dal vol. I11
delle MB sono indicate semplicemente daUa sigla seguita dal numero della pagina e della
linea: MB 500/1-4 = Memorie biografiche, vol. 111, p. 500, linee 1-4.
(1) R. AUBERTI,1 pontificato di Pio I X , p. 17.
. (2)
(3)
D. MASSÈI,l caso di coscienza del
The Biographical Memoirs of Saint
Risorgimento,
John Bosco.
A.l,baNe1w961R2o.cheUe
1961. . .
(4) F. DESUMAULTe,s Memorie I de
fondamenta1 sur la jezrnesre de raint Jean
GBoioscvoan..n.i ,BLatytoisnta1L9e6m2.oyne.
Etude
d'un
ouurage

13.10 Page 130

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
letteraria: egli si è preoccupato di individuare le fonti adoperate da Don Le-
moyne e di esaminare l'uso fattone nel lavoro compilatorio fino al testo defi-
nitivo edito.
Rari sono i casi nei quali egli controlla il valore oggettivo delle fonti me-
diante il raffronto con dati estranei a quelli avuti in uso da Don Lemoyne. Ora,
se il critico letterario può essere soddisfatto del minutissimo e preciso lavoro di
analisi di Don Desramaut, lo storico non può non dimostrarsi ancora in appren-
sione, dal momento che risulta che molte fonti di Don Lemoyne sono di molto
posteriori ai fatti ed esigono, comunque, di essere meglio soppesate circa il
loro valore reale, oltre a quello ch'esse ebbero per Don Lemoyne scrittore.
E perché ciò che affermiamo abbia una qualche giustificazione, abbiamo
voluto, a titolo di saggio, analizzare uno degli episodi più affascinanti della
vita di Don Bosco: la risurrezione temporanea di un giovane di nome Carlo.
Deceduto un mattino del 1849 - scrive Don Lemoyne - Carlo si ri-
svegliò nel pomeriggio al richiamo di Don Bosco; fece la sua confessione e
dopo qualche tempo si ricompose nel sonno della morte. Don Lemoyne vi dedica
quasi otto pagine (MB 111, p. 495-503), di cui le ultime cinque sono di testi-
monianze sulla autenticità del fatto.
1. Il Carlo della tradizione
La più antica relazione diretta al gran pubblico è del 1881 ed è dovuta a
Carlo d'Espiney, dottore nizzardo, in gran dimestichezza coi Salesiani stabi-
litisi a Nizza nel 1875, ammiratore devoto di Don Bosco, al quale prestò più
di una volta le sue premure di medico ( 7 .
I1 Dom Bosco del d'Espiney è un profilo aneddutico: brevi episodi scritti
con stile scorrevole (6). Da alcune annotazioni di Don Michele Rua a una let-
tera del d'Espiney si ricava che a Torino, dove il dottore aveva inviato il pro-
prio manoscritto, si desiderava una maggiore precisione storica e, praticamente,
si auspicava una rifusione del lavoro ('). I1 d'Espiney richiese il manoscritto,
forse lo ritoccò in qualche parte e un anno dopo lo consegnò alle stampe.
( 5 ) Charlcs d'Espiney morì a Nizaa il 13 aprile 1891. Necrologia in Bulletin rolésien,
13 (1891), p. 92-94.
I1 d'Espincy è citato anche a proposito del Gngio, il cane che aiutò più volte
D. Bosco in circostanze critiche. Bollettino sal., 6 (1882), p. 13; Bulletin sal., 4 (1882),
p. 55.
( 6 ) D'ESPINEYD, om
Bosco,
Nice,
typographie
et
lithographie
Malvano-Mignon. . .,
1881.
(7) Tr&s-bien.I1 faudra ccpendant le modifier [le manuscritl en quelque endmit:
1. quelque inexactitude chronologique; 2. supprimer quelque chose non pas à propos dans
ces temps . . . ». Annotazione alla lettera del d%spiney, Nice, 15 juillet 1880. AS 123
d'Espiney.
I1 d'Espiney d'altronde non si sentiva sicuro appunto per il periodo in cui collocò
l'episodio di Cado: « Les faits m'ont été racontbs avec tant de variantes, que je crains
bien des incxactitudesn. A D. [Rua], Nice, 21 jnin 1880.
L'episodio del giovane risuscitato chiude la biografia. I1 d'Espiney lo inti-
tolò: « Lève-toi »: parole che ricordano quelle di Gesù a1 figlio della vedova
di Naim. L'episodio è collocato a Roma. Don Bosco sarebbe accorso da Fi.
renze. I1 fatto nel suo complesso, come vedremo, è narrato in termini tali, da
concentrare l'attenzione sulla sua natura miracolosa ('1.
A Don Bosco dispiacque questa indesiderata pubblicità. Da una lettera
del salesiano Don Luigi Cartier, che fu dirertore a Nizza dal 1886 al 1902,
apprendiamo che il Santo non mancò di lamentarsene col d'Espiney, pur non
negando che il fatto fosse accaduto ed eludendo le pressanti domande che questi
gli rivolse per fargli confessare che aveva risuscitato un morto ( 9 ) .
L'atteggiamento di Don Bosco spiegherebbe come mai negli ambienti uffi-
ciali salesiani la biografia del d'Espiney non abbia avuto sulle prime un'acco-
glienza del tutto cordiale I1 Bollettzno salesilmo dedicò esplicite presentazioni
al Don Borco di Albert du Boys, pubblicato a Parigi nel 1883 e nominò appena
incidentalmente il lavoro del medico nizzardo(lO). Eppure la biografia non
mancò di avere il suo piccolo successo. Nel 1882 comparvero la seconda e la
terza ristampa, nelle quali il fatto di Carlo rimase immutato ('l).
Forse erano ispirati al d'Espiney i versi estemporanei di un seminarista
-di Saint-Sulpice a Parigi: « Don Bosco, nous dit-on, a fait de grands miracles,
Ressuscité des morts, et rendu des oracles . , . »("). Certamente il Dom Borco
giovò ad alimentare i1 clima di simpatia e venerazione che circondò Don Bosco
in Francia specialmente nel 1883.
Nel 1883 comparve a Nizza una nuova edizione, rielaborata ed accre-
sciuta, liberata dall'episodio di Carlo (O).
L'ingresso ufficiale nel mondo salesiano si ebbe nel 1888, quando apparve
la decima edizione, totalmente rifusa ed ampiamente arricchita. Nel sottotitolo
si notava espressamente: « approuvé par les Salésiens » (").
Don Cartier sul Bullettn salésien ne presentava le credenziali: « Les rela-
. (8) Cf. All. I. - I1 racconto di Carlo con le medesime circostanze del d'Espiney passò
a M. SPINOLA, Don BOSCO y su obra por e1 obispo de Mila.. , Barceilona 1884, p. 47 s,
che commentò: «Tales milagros y otros que seria larga tarea narrar, demuestran qoe
D. Bosco es un verdadero taumaturgo*.
( q ) All. 11,
(lD)A. DU BOYSD, on Bosco et la Pieuse Société des Salésiens, Paris, Jules Gervais
1883. L'anno successivo comparve la traduzione italiana (S. Benigno Canavcse, tip. e libr.
Salesiana), ch'ebbe l'anno stesso altre edizioni.
Le rispettive presentazioni sono sul Bulletin ralésien, 6 (1884) p. 64; 83s; Bollettino
salesiano, 8 (1884) p. 119 S.
I1 Bulletin fa un cenno riguardoso anche al d'Espiney, il cui intento era stato n di
mettere in luce I'intervento prodigioso della bontà onnipotente di M. Ausiliatrice » (p. 64).
("1 Nice, Malvano.Mignon.
('9 Bulletin salkien, 53
(l3) C. D'ESPINEYD,om
. . (1931) p.
BOSCO.
167 s; MB 16, p. 172 nota.
Louée soit Notre-Dame Auxiliatrice
-
Nouvelle
édition, Nice, Impr. et Libr. du P~tronageSt.-Pietre, 1883.
('4) C. D'ESPINEYD,om BOSCO.. . dixidme érlition entièrement refondue et enrichie
d'un
trait
.g.r.a,ndNincoe,mbImreprd.e
jaits inédits.
ed Libr. du
Ouvrage approuué par le8
Patronage St,-Pierre 1888.
Sal6,riens
La prima
et orné du por-
segnalazione sul

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
tions constantes et d'un ordre intime que M. d'Espiney eut toujours avec
Don Bosco lui-meme, Don Rua, sou Vicaire et maintenant son successeur,
Don Durando et tout le Chapitre Sup6rieur de Turin, comme avec le Patronage
St.-Pierre i Nice, dounent i son récit un genre d'autorité qui est une garantie
pour le lecteur (li).
Nella nuova edizione i fatti sono. ordinati cronologicamente. La risurre-
zione di Carlo ormai non vi figura più.
*b*
La tradizione del fatto doveva essere affidata ad un documento assai più
autorevole, su cui si sarebbe basata la tradizione posteriore: le Memorie bio-
grafiche di Don Bosco scritte dal salesiano Don Giovanni Battista Lemoyne
(1839-1916).
La risurrezione di Carlo vi è narrata con molteplici particolari nel volume
terzo, apparso nel 1903 (l6). La redazione delle MB, apparentemente unitaria, è
in realtà frutto di continui ritocchi e soprattutto di accrescimenti, che oggi è
possibile in gran parte ricostruire e valutare.
Don Lemoyne dichiara ch'egli senti narrare l'episodio da Don Bosco stesso
nel collegio salesiano di Borgo S. Martino nel 1882 (l7).
Forse a q u e s t o racconto di Borgo - e a un altro anteriore, riferito da
Don Giulio Barheris in una << Cronichetta D del 1876 - s'ispira sostanzialmente
la redazione che Don Lemoyne affidò, ancora vivente Don Bosco, al terzo volu-
me di Documenti per scrivere la storia di Don Giovanni Bosco, dell'oratorio
di S. Francesco di Sales e della Congregazioize salesiana (ls).
Dall'esame dell'intero volume non ci è sembrato che si possa ricavare
qualche elemento che aiuti a stabilire esattamente il tempo in cui il Lemoyne
t
Bollettino è tra gli annunzi. bibliografici del novembre (p. 4). La prima versione italiana
sull'undicesima edizione francese apparve a Genova, S. Pier d'Arena, 1890. Seguirono
numerose ristampe, edizioni e traduzioni in altre lingue.
(l5)Bulletin salésien, 10 (1888) p. 97.
('6) Memorie biografiche d i don Giouanni Bosco raccolte dal sac. salesiano Giovanni
Batt. Lemoyne, ediz. extra-commerciale, volume 111. S. Benigno Canavese, Scuola tipografica
e libreria salesiana, 1903, pp. 495-500.
(1') MB 500114.23. Don Lemoyne entrò all'oratorio già sacerdote il 18 ottobre 1864.
Ciò che egli afferma è riesposto da Don Eugenio 'Ceria nel volume in cui sono narrati gli
avvenimenti del 1882. L'episodio è collocato nel luglio, tempo in cui Don Bosco si recò
a Borgo per la festa di S. Luigi Gonzaga (MB 15, p. 572).
(l8) Cf. Ali. 2 e Ali. 13. Materialmente questi Documenti si presentano come grossi
volumi dalla copertina in tela nera, recanti, stampati in oro, sul dorso in alto la numera-
zione progressiva in cifre romane, al centro un'effigie di Maria Ausiliatrice, in basso, gli
anni di cui tratta ciascun volume. I volumi constano di fogli bianchi, spessi, che portano
incollate lunghe liste di carta sulle quali sono stampati il racconto elaborato da Don Lemoyne
e documenti propriamente detti, riprodotti dagli originali manoscritti e stampati, o da
copie di varia natura; non rari sono anche ritagli di giornali o di altre stampe, incollati o
inseriti nei volumi.
Ogni pagina perciò ha una colonna di stampato ed una bianca, sulla quale Don Lemoyne
fece aggiunte o correzioni. La rilegatura è posteriore al lavoro d'incollatura e d'inserzione
di stampati vari. La numerazione delle pagine venne fatta per ultima.
abbia compilato l'episodio di Carlo. Insufficiente è, ad esempio, per il nostro
scopo, la nota biografica sul canonico Ortalda, fondatore a Torino delle Scuole
apostoliche, morto nel 1881 (l9). Ma da una lettera a mons. Giovanni Cagliero
in data 7 dicemhre (1885 o 1886) apprendiamo che Don Lemoyne in quel
tempo aveva già pronti duecento e più capitoli riguardanti la vita di Don Bosco
fino al 1859 ed aveva anche ordinata e scritta la materia fino al 1865 (m). Ah-
hiamo pertanto un buon indizio per supporre che prima del dicemhre 1886
Don Lemoyne aveva già composta la narrazione del giovane risuscitato.
L'esame dei Documenti ci permetterà di valutare meglio il lavoro redazio-
nale che portò al testo delle MB.
L'episodio è collocato nel 1847. I1 miracolato è descritto in termini su&-
cientemente indicativi. Sulle MB le circostanze più trasparenti vengono eliminate:
Doc 111, 169
MB, 495122.26
<< Un giovanetto sui quindici anni che
era solito frequentare l'Oratorio di D.
Bosco, cadde nel 1847 gravemente am-
malato ed in poco tempo trovossi agli
estremi di sua vita. Abitava nella trar-
toria del Gelso Bianco posto sull'angolo
delle vie Carmine e Quartieri ed era fi-
glio dell'albergatore P.
Un giovanetto sui quindici anni, chia-
mato Carlo, che era solito a frequentare
l'oratorio di S. Francesco di Sales, cadde
nel 1849 gravemente ammalato, e in po-
co tempo trovossi agli estremi di sua
vita. Abitava in una trattoria ed era
figlio dell'alhergatore ».
La parte che nei Documentt è destinata alle aggiunte marginali porta solo
tre note di mano di Don Lemoyne. Esse passarono con lievi ritocchi alle MB.
Indicheremo tali aggiunte i n carattere corsivo.
Doc. 111, 169
Un giorno e mezzo dopo egli mo-
riva, manzfestando d deside~todi par.
lare con D. Bosco ».
. . . incontrò un cameriere, e tosto gli
domandò notizie del giovane, ma questi
gli rispose dicendo: Troppo tardz' E . . .l».
a .. . se sapesse I . . .l E' DZOche l'ha
mandato D.
MB, 49612.3
« U n giorno e mezzo dopo egli moriva
domandando spesso di parlare con D.
Bosco ».
MB, 49619-10
<< . . .incontrò nel primo un cameriere a
cui tosto domandò notizie dell'infermo: -
Troppo tardi è venuto, gli rispose I . . .l».
MB, 49717-9
. .se sapesse I. . .l È Dio che l'ha
mandato . . . ».
Diversamente da quanto si sente talora affermare (2'), Don Lemoyne non
solo non distrusse (e nemmeno disperse) i documenti originali di cui si serviva
per comporre'la biografia di Don Bosco, ma neppure distrusse la copia ch'egli
('9) Doc. 111, p. 287 S.
(a)Riportata da DESRAMAUp.T5,9, n. 11.
(2') CERIA, MB 15, p. 11; DESBAMAUp.T,62.

14.2 Page 132

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
spesso ne trasse e la minuta dell'elaborato che ricavò dai Documentz per la ste-
sura definitiva delle MB In).
Qualcosa di questa minuta ci fu ancora conservata e ci manifesta suffi-
cientemente il metodo annalistico del biografo, che ordinava le notizie crono-
logicamente, le scriveva quasi sempre in fogli distinti, di formato protocollo,
notando in alto, a matita blu, l'anno; oppure, se era incerto, il gruppo di anni,
in cui i vari episodi dovevano essere coliocati.
Talvolta però, col progredire del lavoro, aumentando la mole deile trascri-
zioni, si servi, per fatti riguardanti gli ultimi anni di Don Bosco, di fogli sul
cui retro aveva scritto episodi già collocati nei primi volumi delle MB. Questa
sorte toccò anche a! foglio contenente la risurre~ionedel giovane Carlo. Di
esso ormai si conserva mezzo foglio, originariamente formato protocollo, da
cui fu strappata la metà inferiore.
Vi si trovano soltanto i periodi iniziali. Dal confronto con i Documenti e
con le MB si ricava che la successione delle tre redazioni non è invertibile;
cioè: la minuta dipende dai Documenti e precede le MB.
Si notino le addizioni e le varianti che collocano sicuramente la minuta
prima delle MB: Chiamato Carlo; 1849; in una trattoria; Vistolo in pericolo;
moriva spesso dimandando d i parlare con D Bosco . .
Doc. 111, 169
«Un giovanetto sui
quindici anni che era so-
lito frequentare i'Orato-
rio di D. Bosco, cadde
nel 1847 gravemente am-
malato ed in poco tempo
trovossi agli estremi di
sua vita. Abitava nella
trattoria del Gelso Bian-
co posto suli'angolo del-
le vie Carmine e Quar-
tieri ed era figlio deli'al-
bergatore.
Visto il pericolo il me-
dico consigliò i genitori
ad invitarlo a confessarsi,
e questi dolentissimi do-
mandarono al figlio qual
sacerdote volesse che gli
fosse chiamato. Egli mo-
strò gran desiderio che si
andasse a chiamare il suo
confessore ordinario che
110 (3) Lem, 1849
« U n giovanetto sui
quindici anni, chiamato
Carlo, che era solito fre-
quentare i'oratorio di S.
Francesco di Sales, cadde
nel 1849 gravemente am-
malato ed in poco tem-
po trovossi agli estremi
di sua vita Abitava in
una trattoria poco lonta-
na dalla Chiesa del Car-
mine, ed era figlio del-
l'Albergatore.
Vistolo in pericolo, il
medico consigliò i geni-
tori ad invitarlo a con-
fessarsi, e questi dolen-
tissimi chiesero al figlio
quale sacerdote volesse
che gli fosse chiamato.
Egli mostrii gian deside-
rio che si andasse a chia-
mare il suo confessore
MB, 495122.12; 49611.5.
« U n giovanetto sui
quindici anni, chiamato
Carlo, che era solito fre-
quentare l'Oratorio S.
Francesco di Sales, cad-
de gravemente ammalato,
e in poco tempo trovossi
agli estremi di sua vita.
Abitava in una trattoria
ed era figlio deli'alberga-
tore. Vistolo in pericolo,
il medico consigliò i ge-
nitori ad invitarlo a con-
fessarsi, e questi dolen-
tissimi chiesero al figlio
quale sacerdote volesse,
che gli fosse chiamato.
Egli mostrò gran deside.
rio che si andasse a chia-
mare il suo confessore
ordinario, che era D. Bo-
sco. Si mandò subito per
lui, ma con grande rin-
(a) AS 110 (3) Lemoyne. Sfuggi a Don Desramaut; però sono pochi i fogli che si
riferiscono al vol. I delle MB.
era D Bosco. Si mandò
subito per lui ma con
gran rincresczmento si eb-
be per risposta che era
fuori Torino. I1 giovane
manifestava un profondo
accoramento e chiese del
viceparroco che tosto ven-
ne. Un giorno e mezzo
dopo egli moriva, mani-
festando il desiderio di
parlare con D. Bosco.
Venuto a casa D. BD
sco dopo due giorni, to-
sto gli fu detto che era-
no stati a cercarlo per
quel giovane ».
ordinario, che era D. Bo-
sco. Si mandò subito per
lui, ma con grande rin-
crescimento si ebbe per
risposta che era fuori di
Torino. I1 giovane mani.
festava un grande accora-
mento e si chiese del vi-
ceparroco che tosto ven-
ne. Un giorno e mezzo
dopo egli moriva spesso
domandando di parlare
con D. Bosco.
Appena D. Basco fu di
ritorno, tosto gli fu detto
che erano stati piic volte
a cercarlo per quel gio-
vane ».
cresczmento si ebbe per
risposta che era fuori di
Torino. I1 giovane mani.
festava un grande acco-
ramento, e si chiese del
vice parroco che tosto
venne. Un giorno e mez-
zo dopo egli moriva do-
mandando spesso di par-
lare con D. Bosco.
Appena D. Bosco fu di
ritorno, tosto gli fu detto
che erano stati più volte
a cercarlo per quel gio-
vane ».
Don Lemoyne ritornò sull'episodio di Carlo (molto probabilmente prima
di comporre la minuta per le MB) nel volume XLIII dei Documerztz, avente sul
dorso i1 titolo: Aggtunta dal 1815 al 1842, ma che in realtà contienc appunti
e documentazione riguardanti anche gli anni successivi fino al 1882 e che
fu compilato a quanto sembra nel 1891.92 sulla scorta di appunti di Don Gio-
vanni Bonetti (").
Riguardo a Carlo troviamo anzitutto riespresso in dialetto piemontese il
dialogo tra Don Bosco ed il servitore, che sulla porta del Gelso Bianco comu-
nicò al Santo il decesso del giovane(24).I1 dialogo aveva trovato già posto in
Documentz I I I , a cui sono direttamente ispirate, per tale dialogo, le MB (").
Si trovano quindi alcune note riguardanti ciò che avvenne tra Don Bosco
e Carlo:
«Appena Don Bosco l'ebbe benedetto, si scosse, si voltò e incominciò subito
a dire: - E stato un compagno cattivo' n.
Sulle MB quanto riguarda la benedizione si trova collocato nel complesso
degli atti che Don Bosco fece per risvegliare il giovane ('"7. L'espressione È <(
stato un compagno cattivo completata con un complemento strumentale (<C co'
suoi discorsi . . . D), nell'ordinamento della materia trovò posto dopo una serie
(n)F. DESRAMAUT collocherebbe le prime linee del vol. XLIII al 1892 (o.c., p. 59).
La composizione manoscritta di Don Lemoyne dovette progredire durante I'anno prece-
dente; col procedere delle pagine, si trovano citati documenti di data successiva: 18 febbraio
(p. 91); 14 marzo (p. 146); 18 marzo e 9 ottobre (p. 356); 2 dicembre (p. 371); 22 febbraio
1891 (D. 432). Ad o.gni modo, la compilazione definitiva, anche se portata al 1892 non
arreca alcuna ripercussione di rilievo su quanto diremo.
(24) Cf All. 3 e All. 14.
(25) MB 49619.16.

14.3 Page 133

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
di esclamazioni che Don Lemoyne aveva notato in parte su Docunzentt I11 ed in
parte attinse da fonti che presto
Un'altra serie di aggiunte riguarda la tradizione del fatto e le garanzie
circa la sua veridicità: prime risonanze tra i giovani dellJOratorio, attestazione
di un Fratello delle Scuole Cristiane, esposizione del fatto dovuta a Don Bosco
stesso, nominatamente a Borgo S. Martino nel 1882, dove Don Lemoyne fu
testimone auricolare.
Questi particolari passarono tutti alle MB (=). Da essi si ricava più vigile
in Don Lemoyne i'esigenza di documentarsi quanto meglio era possibile, chie-
dendo i'appoggio ali'autorità di vari testimoni. A questo tipo d i documenta-
zione poté provvedere anche grazie ad un nuovo evento: il processo diocesano
informativo per la heritificazione di Don Bosco, aperto nel 1891.
La risurrezione di Carlo venne rievocata da due laici: Pietro Enria, coa-
diutore salesiano, e Giovanni Bisio, ex alunno deil'oratorio. Dal modo come
essi si esprimono si ricava che, diversamente da altri testi, sono autonomi dai
Documenti di Don L e m ~ y n e ( ~ )p:ur coincidendo nella sostanza del fatto, en-
trambi hanno terminologia propria e circostanze che Don Lemoyne dovette ri-
scontrare facilmente in contraddizione con quanto egli aveva conosciuto ed
aveva scritto.
Enria sembrava porre l'evento addirittura all'Oratorio, quasi si trattasse
di un giovane interno, degente nell'infermeria: <<DonBosco andò nell'inferme-
ria per vederlo »("). Abbaglio ch'è in qualche modo spiegabile. Come nota lo
stesso Don Lemoyne sulle MB, Enria fu uno dei giovani ch'ebbe la famiglia
devastata dal colera nel 1854 e solo quell'anno fece il suo ingresso all'ora-
torio (3'). Modesto artigiano, divenne poi solerte infermiere a Valdocco e di
Don Bosco anche altrove 0').
Secondo Giovanni Bisio il giovane si chiamava Luigi e neli'assenza di Don
Bosco sarebbe morto senza sacramenti ("). Ma Bisio ancora Don Lemoyne a
notarlo sulle MB) entrò all'oratorio nel 1864 (").
(n) MB 497/15.
(29) MB 499 S.
(a)Non fu cosl invece per alcuni testi (Barberis, Berto, Lemoyne. . .). Cf. DESMMAUT,
D. 192-202.
(N)All. 5.
MB 499/8.
(3l) Nacque a S. Benigno Canavese il 20 giugno 1841; entrò aiI'Oratorio il 6 settembre
1854; mori il 21 giugno 1898 (Segreteria gsnerale del Consiglio Superiore dei Salesiani,
schedario anagrafico dei confratdli defunti).
i% (3)All. 6.
MB 49919.
Giovanni Bisio nacque a Capriata d'Orba il 23 aprile 1837 ed e n t d ali'oratorio il 2
agosto 1864 dopo aver fatto il servizio militare; quando depose al Processo informativo
diocesano, il 26 e 27 marzo 1895, aveva 57 anni, dichiarava di essere negoziante, possi-
dente e padre di famiglia. Cr. Processo diocesano per la beatificazione di D. Bosco, copia
ms. presso I'AS ( h il testo ch'ebbe sottomano D. Lemoyne) 161.1/25. Dati anagrafici
sul Bisio, nella cosiddetta Anagrafe dei giovani, AS 38, Torino - S. Franc. di Sales, Censi-
mento dal 1847 al 1869. Mori a Piossasco (Torino) il 12 agosto 1905.
Tanto Enria che Bisio sentirono il fatto da altri. Enria si rifà a diie antichi
giovani delllOratorio, Giuseppe Buzzetti, ch'era però. già deceduto n e l 1891
e Carlo Tomatis, cl1"era ancora in vita (9B.isio asseri d'aver sentito il fatto
da << alcuni » dei primi oratoriani e da una certa Teresa Martano, anch'ella
già defunta (9).
Le contraddizioni riguardavano circostanze non sostanziali. Don Lemoyne
dovette rendersene conto e si servi, comunque, delle due relazioni. Ecco un
raffronto tra le testimonianze di Bisio, Enria ed il testo delle MB che da
esse dipende:
Bisio:
MR, 49713-23
«avvicinatosi al suo letto,' gli scopri
[ .. .l gli scoperse il volto. Quegli
il volto [....l il giovane aperse gli oc- [.. .l apre gli occhi [ . ..l e dice: E.. .l
. chi ed esclamò: Oh lei, D. Bosco! L'ho Oh! D. Bosco Oh! se sapesse! L'ho
sospirato tanto! Ha fatto bene a venire . sospirato tanto! [. .l ha fatto tanto. be-
a vedermi e svegliarmi, perché ho fatto ne a venire e svegliarmi! E . . .l
un sogno tanto brutto che mi ha molto No fatto un sogno che mi ha gran-
spaventato. Mi pareva d'essere suli'orlo demente spaventato. Sognai di essere sul-
d'una fornace; e vedeva tante brutte be- Porlo di un'immensa fornace e di fuggi-
stie che mi volevano gettar dentro, ma r e da molti demoni che mi perseguita-
vi era una signora che si oppose dicendo vano e volevano prendermi: e già sta-
aspettate, non & ancora giudicato. E du- vano per avventarmisi addosso e preci-
rò per molto tempo quella lotta quando pitarmi in quel fuoco, quando una si-
lei D. Bosco mi ha svegliato ».
gnora si frappone tra me e quelle brutte
bestie, dicendo: Aspettate; non è ancor
giudicato! Dopo alcun tempo d'angoscia
udii la sua voce che mi chiamava e mi
sono svegliato [.. .l a.
I n questo brano è trasparentissima la cura di non perdere nessun nuovo
particolare. Nei Documenti I11 Don Lemoyne aveva scritto semplicemente:
<< Sognai di fuggire da molti demoni che volevano prendermi e già stavano per
avventarmisi addosso e precipitarmi nell'inferno, quando ho sentito lei a
chiamarmi »("). Nelle MB non solo introduce la Signora », ma anche non
desidera che si perda la circostanza delle «brutte bestie », senza che questa
elimini i << demoni » già espliciti nei Documenti.
I1 racconto di Enria, assai breve, non offriva altre novità all'infuori di
una espressione:
Enria:
MB, 498111
Lo confesso, e poi gli disse: - Arri- «- Dunque a rivederci in paradiso! ».
vederci in Paradiso ed il giovane spirò n.
(35) Su1 B~zzettie sul Tomatis cf. avanti, note 42, 50 e testo corrispondente.
(36) Nativa di Chieri; domestica dei conti Rademaltcr a Torino (MB, 2, pp. 171; 313).
(") Doc. 111, p. 170.

14.4 Page 134

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Le parole, poste in bocca a Don Bosco, ci manifestano che Don Lemoyne
dipende dalla testimonianza di Enria ai Processi e non dalla relazione che
questi s'era preparata privatamente per la deposizione. In questo documento
il fatto si trova esposto con leggere varianti; tra l'altro Enria pone il saluto
« Arrivederci in paradiso » in bocca al giovane morente (").
Una redazione che non ci saremmo attesa come fonte delle MB è quella
del d'Espiney.
Non sappiamo se Don Lemoyne sia stato al corrente delle riserve di
Don Bosco sull'episodio di Carlo narrato dal dottore nizzardo. Nemmeno sap-
piamo quale interpretazione il Lemoyne eventualmente abbia dato al desiderio
di Don Bosco che non si parlasse della risurrezione di Carlo. Avrà pensato,
anch'egli come il d'Espiney, che Don Bosco si sia espresso in quel modo per
umiltà? Non sappiamo infine quando e come Don Lemoyne sia venuto a
conoscenza del testo francese, di cui tuttavia non si ha traccia nella redazione
dei Documenti.
Dal d'Espiney Don Lemoyne attinse il brano più sensazionale; quello che
forse dovette dispiacere maggiormente a Don Bosco, in quanto poneva chiara
e netta l'interpretazione miracolosa mediante circostanze che forse Don Bosco
conosceva fantasiose, tanto quanto la collocazione deli'episodio a Roma e il
violento stato d'impenitenza attribuito al giovane moribondo.
d'Espiney :
« Lorsque dom Bosco entra dans sa
chambre, il le trouva inanimé sur sa
couche funèbre.
- Laissez-moi seul, dit'il, et lorsque
tout le monde fut sorti, il se mit en
prière. Puis, d'une voix forte et avec
le ton du commandement, par trois fois
il appela le mort:
« Charles, Iève-toi! Charles, Iève-toi!
Charles, lève-toi ». Et voilà que Charles
se Iève sur son stant D.
MB, 496120-21; 28-32
«D. Bosco 1.. .l fii subito condotto
nella camera mortuaria [ . ..l E rivoltosi
a chi lo aveva introdotto, gli disse: - Ri-
tiratevi; lasciatemi solo. - Fatta quindi
una breve, ma iervorosa preghiera, be-
nedisse, e chiamò due volte il giovane
in tono imperativo: - Carlo, Carlo, à1-
zati! - A quella voce il morto comin-
ciò a muoversi D.
Notiamo anzitutto una variante di Don Lemoyne rispetto al d'Espiney.
Secondo questi Don Bosco avrebbe chiamato tre volte il morto; secondo Don
Lemoyne, solo due volte. I1 mutamento è dovuto alla cura di accordare tra
loro le relazioni. Fu Giovanni Bisio ad asserire che Don Bosco chiamò due
volte il defunto, che nel suo caso - come dicemmo - è il giovane « Luigi ».
Al d'Espiney è dovuto anche il dialogo conclusivo tra Don Bosco e
Carlo:
d'Espiney:
« Dom Bosco [ .. .l l'embrasse et lui
dit: Mon fils, te voilà en état de grace;
le ciel est ouvert pour toi. Veux-tu y
aller ou rester avec nous?
Je veux aller au ciel, répondit le jeune
homme; et, à I'instant, il retomba ina-
nimé D.
MB, 49817-13
« D . Bosco in fine gli disse:
- Ora sei in grazia di Dio: il cielo
è aperto per te. Vuoi andare lassù o
rimanere qui con noi?
- Desidero andare al cielo, rispose il
giovane [. ..l
- E il fanciullo lasciò cadere il capo
sull'origliere, chiuse gli occhi, rimase im-
mobile e si riaddormentò nel Signore D.
Confrontando la redazione delle MB col tesio primitivo di Documenti 111
si nota come quest'inclusione dal d'Espiney ha semplicemente nuociuto al-
l'insieme del racconto. « Don Bosco - nota Don Lemoyne sulle MB -
aveva agito colla massima semplicità affermando che il giovane non era mor-
to »(39). Ma, a quanto pare, non deve aver agito con semplicità solo in
forza di quell'affermazione. Stando al racconto dei Documentz - per nulla com-
promesso dalle altre relazioni, eccezion fatta di quella del d'Espiney - nel
comportamento di Don Bosco non ci sarebbe stato nulla di scenografico o ritua-
listico, o comunque, capace di far indovinare che Don Bosco preparasse o sol-
lecitasse qualcosa di straordinario. « Don Bosco - si legge nei Documenti -
gli si avvicinò e pensava: - Chi sa se siasi confessato bene! Chi sa qual de-
stino avrà incontrato l'anima sua?»: espressioni - specialmente la prima -
che forse indicano quel che veramente pensò in quel momento Don Bosco: lui,
sempre proteso al problema della salvezza dell'anima.
Non turba per nulla la naturalezza dei fatti quanto si aggiunge nei Docu-
menti su Don Bosco: «Fatta una breve orazione chiamò per nome il morto D.
Questa frase rimane nelle MB, sebbene già mutata sotto l'influsso del d'Espi-
ney: «Lasciatemi solo! - Fatta quindi una breve, ma fervorosa preghiera... D.
All'appello di Don Bosco il giovane si scuote e la madre - secondo i
Documenti - « a quello spettacolo spaventata e fuori di sé esce e va a
chiamar gente ».
L'ordine « Lasciatemi solo » accolto dal d'Espiney, avrebbe dovuto far
modificare il testo dei Documentz; ma Don Lemoyne ama concordare: l'ordine
è indirizzato a chi aveva accompagnato Don Bosco; la madre rimane, in modo
ch'ella sia testimone del duplice appello in tono imperativo: « Carlo, Carlo,
àlzati!».
Se ci si basasse sulla redazione dei Documentz I I I , ci si potrebbe imma-
ginare Don Bosco accostarsi alla salma, circondata dai congiunti io lacrime;
avvicinarsi preoccupato per le condizioni della sua anima, nel presentimento
di arrivare ancora in tempo, mormorarne affettuosamente il nome, appunto
nel gesto umanissimo d'invocarlo, di risvegliarlo, se fosse stato possibile.

14.5 Page 135

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
I1 testo del d'Espiney trasforma tutto. Don Bosco è già nello stato d'animo
del taumatnrgo, di Elia presso il figlio della vedova di Sarepta o di Gesù ac-
canto alla figlia di Giairo; certi del decesso e ciononostante pieni della forza
che ottiene li miracolo.
Anche la seconda e ultima agonia in grazia al brano del d'Espiney, nelle
MB è portata sul piano dell'assolntamente meraviglioso. Nei Documenti si
diceva soltanto: « Così stette circa due ore [ . . .l. Quindi spirò nuovamente ».
Le MB e il d'Espiney fanno spirare il giovane fnlmineamente, appena mani-
festata la volontà di andare in paradiso, quasi per un nuovo intervento del
taumaturgo che ne aveva ottenuta la risurrezione.
Pietro Enria aveva,invocato in appoggio alla propria relazione la testi
monianza di Carlo Tomatis. Questa venne sollecitata, non sappiamo se per
suggerimento di Don Lemoyne o di altri, dal salesiano Don Giovanni Garino,
nativo di Busca, non molto distante da Fossano, patria e residenza del Tomatis.
I1 colloquio avvenne a due riprese: i1 28 marzo ed il 5 luglio 1901. Di
entrambi esiste la relazione autografa di Don Garino("). Nel colloquio del
28 marzo Carlo Tomatis parlò del proprio primo incontro con Don Bosco in
termini che sono passati alla lettera nelle MB e che ci garantiscono che i fogli
di Don Garino finirono nelle mani di Don Lemoyne in tempo perché ne tenesse
conto anche quanto alla risurrezione di Carlo ("). Interrogato espressamente in
proposito, Tomatis rispose di non ricordarsene affatto. L'asserzione era grave,
perché Tomatis, nato nel 1833, aveva cominciato a frequentare Don Bosco
nel 1847, aveva preso ospitalità all'oratorio il 5 novembre 1849 e vi era ri-
masto più di un decennio, fino al febbraio 1861 ('7.
Don Lemoyne sulle MB tacque il nome di Tomatis e non eliminò la frase
che aveva già affidato ai Documenti XLIII: « l a fama durò nelPOratorio incon-
trastata per lunghi anni »("). Ma forse anche Tomatis dovette influire nel
far introdurre le ragioni per le quali l'avvenimento non suscitò « gran rumore D
nella città.
Compare invece tra i testi Don Garino, entrato dodicenne all'Oratorio
nel 1857 ("). La sua testimonianza non si rifà immediatamente a Don Bosco,
(a) AS 123, Tomatis. Cf. nell'All. 8 quello del 15 luglio 1901.
(4') trascritto alla lettera dalla prima relazione il brano MB 17511-10. La testimo-
nianza e la terminologia di Tomatis a proposito della moltiplicazione delle castagne nel
1849 affiora in MB 576115-16; 57811-2; e riguardo alla pustola maligna, MB 595119.24.
( a )Anagrafe dei giovani, che & confermata da una registrazione più antica, autografa
di D. Bosco «Repertorio domestico D, f. 10r: « I1 giovane Toinatis venne con D. Bosco il
5 di novembre 1849. I1 sig. D. Barberis mi ha dato la limosina pel suddetto, 10 nov. 1849 D.
Cf. AS, 132, Quaderni.
All. 3 MB 498124.
("1 Giovanni Battista Garino, nato a Busca il 19 aprile 1845, entrò all'oratorio il 13
ottobre 1857 e vi morì, sacerdote salesiano, il 25 aprile 1908 (Segreteria gen. del Consiglio
Sup. dei Sales. schedario anagrafico dei confratelli defunti).
ma a quanti all'Oratorio parlavano del fatto: I o lo ricordo che lo si raccon-
tava cosi . . . » (45).
I n concreto Don Lemoyne dopo la testimonianza di Don Garino non
dovette disporre di altri documenti atti ad arricchire il testo delle MB.
L'esposizione giunse ad essere articolata in tre parti: il racconto partico-
lareggiato della resurrezione di Carlo; le ragioni per cui il fatto ebbe ripercns-
sione incontrastata all'Oratorio, nonostante altrove non se ne parlasse; le per-
sone che garantiscono la veracità delle cose narrate.
Tra i testi troviamo (oltre che Don Garino, Enria, Bisio, la Martano,
Don Sala, il Fratello delle Scuole Cristiane) anche Don Bonetti, mons. Cagliero
e Don Michele Rua
Don Giovanni Bonetti era già morto il 21 maggio 1895. La sua testimo-
nianza riguarda la tradizione viva posteriore di un lustro al fatto, essendo
entrato all'oratorio il 10 luglio 1855 (#).
Giovanni Cagliero, salesiano e cardinale (1838-1926), giunse a1lJOratorio
da Castelnuovo d'Asti il 3 novembre 1851 (").
La testimonianza di Don Michele Rua è di particolare importanza. Egli,
nato a Torino il 9 giugno 1837, conobbe Don Bosco già nel settembre 1845 e
cominciò a frequentare con regolarità l'oratorio nel 1849 ("). I1 suo tempe-
ramento, portato alla precisione, e la sua particolare dimestichezza per oltre
un quarantennio con Don Bosco, danno un peso notevole alle sue asserzioni, rife-
rite da Don Lemoyne, delle quali anche possediaino una relazione mano-
scritta: « Frequentando io nel 1849 in Torino le classi elementari presso i
Fratelli t . . .l Don Bosco veniva sovente a confessarci: e mi ricordo di averlo
allora udito a raccontare nella predica, del giovane Carlo .. . » (").
L'altro teste, a cui Don Lemoyne dà un rilievo speciale, è Giuseppe Bnz-
zetti, coadiutore salesiano, morto a Lanzo Torinese il 13 luglio 1891 ('). Egli,
scrive Don Lemoyne, « se non fu testimonio oculare, lo fu certamente [,l su-
bito dopo [,] auricolare di chi era stato presente, poiché egli poi già avanzato
negli anni, non ne ammetteva dubbio, come più volte ci affermò N("). I n base
a queste espressioni sembra probabile che Don Lemoyne abbia avuto come
suo informatore privilegiato, oltre a Don Bosco e Don Rua, Giuseppe Buzzetti.
Questi, nato a Caronno Ghiringhello (Varese) il 23 febbraio 1832, iu, insieme ai
suoi fratelli, tra i primi e più assidui frequentatori del più antico Catechismo di
(45) All. 8.
(6) Anagrafe dei giovani.
(47) Anagrafe dei giovani.
("1 Processo diocesano per la beatificazione di D. Bosco; deposizione del 29 aprile
1895, juxta septimum. Questi dati furono usufruiti da D. A. AMADEI,Il Servo di Dio
Michele Rua, successore del Beato D. Bosco, Torino 1931-34, 3 vol.
(") MB 499120-24: AS 161.1126: cf. All. 7.
()' G. B. F U A N C E ~ A ,Memorie biografiche di Giuseppe Buzzetti coadiutore solesiano,
S. Benigno Canavese, 1898; E. PILLAG, iuseppe Buzzettz coadiutore salesiano, Torino, 1960.
(5') MB 49913.6.

14.6 Page 136

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Don Bosco, fin dal 1841 o non molto tempo dopo, e tra i più fedeli e preziosi
collaboratori, sui quali Don Bosco poté contare in tutta la propria vita.
In primissimo piano rimane la testimonianza di Don Bosco. Nei Docu-
menti X L I I I Don Lemoyne scrisse che Don Bosco aveva narrato « 100 volte
questo fatto ai giovani, senza però far cenno di sé, ma sempre con tali identiche
circostanze, senza mai nulla mutare o aggiungere n.
Sulle MB volle specificare: « Don Bosco lo raccontava più di cinquanta
volte ai giovani dell'oratorio e centinaia di volte a quelli delle altre sue
case » (52)).Sono cifre che lasciano perplessi chi osserva come le testimo-
nianze di Tomatis, Garino e Bisio che coprono un buon ventenni0 o sono
negative o si rifanno 5 voci indirette. I l numero di Don Lemoyne, diremmo,
ha valore alquanto enfatico e vale per lo meno a indicare che Don Bosco rac-
contò più volte il {atto, almeno dopo il 1860.
Dai Documentz passò alle MB l'asserzione che Don Bosco aveva narrato
il fatto ripetutamente « senza però far mai cenno di sé » (=).
Una precisazione, fatta in forma garbatissima, giunse a Don Lemoyne da
parte di Don Giuseppe Bologna il 13 giugno 1904. Don Bologna accetta co-
munque che Don Bosco, lui presente, abbia narrata « la cosa tal quale è
descritta » sulie MB; soggiunge tuttavia che Don Bosco, in preda aii'emozione,
svelò ch'era lui il sacerdote amico di Carlo (").
***
I1 testo delle MB fu trasferito dallo stesso Don Lemoyne nella V i t a di
Don Bosco pubblicata in due volumi negli anni 1911-1913 ("). Qualche lieve
ritocco, fatto nell'intento di precisare, non mutò il complesso del racconto.
Le varianti più notevoli riguardano l'enumerazione dei testi comprovanti la
veridicità del fatto. Alla testimonianza di Don Rua, che si rifaceva agli anni
in cui era allievo presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, ne sostitui una, la
quale pur avendo Don Rua come attore, si rifaceva al 1858 ed al 1862, corro-
borata da un documento coevo, citato sulla V i t a come « Cronaca dell'oratorio ».
Esattamente si tratta di uno dei quaderni che Don Giovanni Bonetti
(52) MB 50016-8.
(53) MB 50018.
(") All. 9. Don Bologna colloca l'accaduto al triduo di preparazione alla Pasqua del
1864 o del 1865. Don Lemoyne preferisce quest'ultima data (MB, 8, p. 93); ma forse 5 pib
esatto collocare la predica di Don Bosco nella primavera del 1864, altrimenti non ci si
spiegherebbe come mai Giovanni Bisio, giunto ail'oratorio nell'agosto del 1864, abbia
citato espressamente Teresa Martano come propria fonte d'informazione e non si sia appel-
lato anche alla parola di Don Bosco. Non utilizzabile era un rapido cenno fattone da
Don Giovanni Battista Anfossi al processo informativo diocesano: «Nel 1853 123 dic.]
quando entrai nell'oratorio, ivi era fama che DB aveva operati miracoli [...I: il morto
risuscitato, le castagne e le ostie moltiplicate r. Cf. MB 4, p. 671.
Giuseppe Bologna, nato a Garessio il 15 maggio 1847, entrò all'oratorio il primo
settembre 1863; vi morì il 4 gennaio 1907.
(%) LEMOYNE, Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco fondatore della Pia
Societd Salesiuna, I , Torino 1911, pp. 438-441. Varie ristampe, fino al 1920, riproducono
la seconda edizione, 1914, 2 vol.; l'episodio di Carlo è al vol. I, pp. 430.433.
redasse ed intitolò « Annali ». Un semplice raffronto ci persuade ch'essi furono
la nuova fonte di Don Lemoyne:
Bonetti, Annali 11, p. 41 S. (")
« U n giorno il Sacerd. D. Rua, (allora
però non aveva ancora alcun ordine) tro-
vandosi a tavola raccontava come i Ro-
mani, quando egli in quella città si tro-
vava col Signor D. Bosco, gli raccontas-
sero il miracolo fatto dal Signor D. Bo-
sco a Torino alcuni anni prima, mostran-
dosi così benissimo informati. D. Bosco
sebbene unpoco discosto, nondimeno sen-
tiva questo racconto, e l'osservammo a
venir molto rosso in volto, quindi vol.
tosi al narratore: Taci, gli disse con voce
sostenuta, io non ho mai detto che fossi
io, e nessuno deve saperlo D.
Lemoyne, Vita, 1911, 1, p. 433, nota 1,
lin. 1-11.
«La fama di questo fatto uscì anche
dal Piemonte. Nel 1858 il Servo di Dio
compì il primo viaggio a Roma accom-
pagnato dal ch. Michele Rua, allora sud-
diacono. Orbene il ch. Rua venne a co-
noscere in quella circostanza come fosse
largamente noto anche a molti romani
quanto qui sopra abbiamo esposto; ed
un giorno del 1862 sedendo Don Rua
a mensa e ciò ricordando a coloro che
gli erano vicini, «Don Bosco - narra
la Cronaca deli'oratorio - sebbene se-
desse un poco discosto, non di meno
prestava attenzione a tutto questo rac-
conto e noi osservammo come venisse
molto rosso in volto. A un tratto, vòltosi
al narratore, lo interrompe e gli dice con
voce sostenuta:
n Taci, non ho mai detto che fossi io,
e nessuno deve saperlo! D.
Ì3 da notare che Don Bonetti non dice di quale miracolo si trattasse; né
dal contesto dei suoi « Annali » si ricava quale possa essere, perché sia prima
che dopo l'espressione che abbiamo trascritto, sono riportati altri episodi asso-
lutamente indipendenti tra loro. Ad ogni modo, la risposta di Don Rua riferita
da Don Bonetti si trova già sulle ME, in un contesto che può henissimo con-
cordarsi con gli « Annali ». Don Rua aveva cercato di provocare un pronun-
ziamento di Don Bosco ("). Secondo le MB, questo avvenne mediante un'inter-
rogazione diretta. Non sembra da escludere che si tratti del medesimo episodio
e che perciò Don Bonetti forse esprima meglio - che Don Lemoyne ( o Don
Rua) - come le cose siano accadute.
Quanto alle qualità ecclesiastiche di Don Michele Rua nel 1858, è palese
il contrasto tra Don Lemoyne, che lo dice suddiacono, e Don Bonetti, che
lo qualifica ancora privo di ordini sacri. Di fatto Don Rua ricevette la tonsura
e gli ordini minori a Torino l'undici dicembre 1859 ed il suddiaconato il
diciassette deUo stesso mese (").
(") AS 110, Bonetti.
P') «Egli [D. Bosco] mi rispose: - Io non ho mai detto che fossi io l'autore di quel
fatto* (MB 500/1-2), che dipende da AS 161.1/26, copia A, p. 345: ci. avanti All. 7.
Segreteria gen. del Consiglio Sup. dei Sales., schedario anagrafico dei confratelli
defunti.

14.7 Page 137

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
La redazione delle MB e quella della Vzta furono come il textus receptus,
a cui biografi e divulgatori di ogni genere e lingua attinsero.
La V z t a nel 1920 fu riveduta e in qualche parte ritoccata da Don Angelo
Amadei, il quale lasciò immutato in tutto, persino nelle iastre tipografiche
della seconda edizione (1914), l'episodio di Carlo (").
In una nuova edizione Don Amadei si limitò ad aggiungere il nome della
marchesa Fassati tra coloro che attestarono il fatto (@).
Tra i divulgatori merita di essere segnalato Don Eugenio Ceria. Egli è il
primo a servirsi in un'opera pubblica delle indicazioni circa l'identità di Carlo:
« il figlio quindicenn; del trattore del Gelso Rzanco in via del Carmine 11
Don Ceria, a ciii .;i deve la prosecuzione delle MB dal volume XI h o al XIX
(1930-1939), si servì largamente dei Documenti. I1 dato «via del Carmine 11))
non proviene dai Documenti, ma, a quanto pare, dalla deposizione di Don Le-
moyne al Processo apostolico per la beatificazioue di Don Bosco. Allora
Don Lemoyne riassunse quanto aveva scritto e, come apporto nuovo, indicò
via del Carmine 11 come teatro dell'avvenimento (").
l
La situazione documentaria subì un mutamento inatteso il 7 maggio
1922, quando il marchese Filippo Crispolti consegnò al terzo successore di
Don Bosco, Don Filippo Rinaldi, alcune memorie della marchesa Maria Fassati,
trascritte dalla figlia di lei, Azelia, che le aveva consegnate al Crispolti non
molto tempo prima di morirei"). I documenti, scritti in francese, furono pub-
blicati in traduzione italiana per la prima volta sul Bollettino salesiano del set-
tembre 1922 (@).Per la prima volta - per quanto ci consta - furono intro-
I
dotti in una biografia da Don Angelo Amadei nel 1929 t").
I pregi della reIazione Fassati appaiono aIla semplice lettura: « Je tiens
ce récit - conclude la Fassati - de la bouche de Don Bosco lui-meine et j'ai
(59) LEMOYNE, Vita del ven. Servo di Dio Giovanni Bosco.. . Nuova edizione, 1P
migliaio, I, Torino 1920, p. 430-433.
(60) LEMOYNVEit,a di san Giownni Bosco, Nt~ouaedizione a cura di don Angelo
Amadei, 53" migliaio, 1, Torino 1943, p. 407.
P') CERIAS, m Giounnni Bosco nella vita
e
nelle
opere.. ., Torino
1938,
p.
93.
. , ( 6 4 A~l1 .9~. .
("1 SU Maria Fassati Roero San Severino, nata De Maistre (1823-1905)6.F. Gu~sco
DI BISIO,Tavole genealogiche di famiglie alessandrine e monferrine, vol. X I I , tav. IV dei
FASSATAI;. DE FORASAr,moirial et nobiliaire de l'ancien duché de Sauoie, 111, Grenoble,
1893, tav. DE MAISTREne;crologia sul Bollettino sziesiano 29 (1905) p. 94.
Su Azelia Ricci des Ferres, nata Fassati (1846.1921), oltre al Gu~scoe al DE FORAS,
cf. Bollettino salesiano 45 (1921) p. 279,
(M) Bollettino salesiano 46 (1922). D. 229.232,
AMADEI,Don Bosco e il suo'a~ostolato.Dalle sue memorie personali e da testi-
monianze di contemporatie:, 1, Torino 1929, p. 223-225.
tiìché de l'écrire aussi fidèlement que possihle » ("). I l racconto è assai parti-
colareggiato e risponde a quei tratti di semplicità e naturalezza nel comporta-
mento di Don Bosco, che secondo Don Lemoyne spiegherebbero come mai
il fatto sia passato senza un'imnediata clamorosa risonanza.
Don Bosco si sarebbe recato in casa di Carlo nel presentimento che
. questi non fosse ancora morto, si sarebbe avvicinato al suo letto e lo avrebbe
chiamato per nome . . I1 risveglio di Carlo avrebbe suscitato il panico nelle
numerose persone presenti.
Nella naturalezza di questo punto centrale sta la maggior differenza tra
le MB e la relazione Fassati.
Un'altra differenza, di minore portata, ma pure interessante è circa il
sogno di Carlo. Don Lemoyne nei Documenti I I I aveva descritto lotte con
demoni, a cui, attingendo al Bisio, aveva aggiunto l'apparizione di una celeste
Signora e una fornace ardente, dove i demoni, brutte bestie, volevano preci-
pitare il giovane.
La relazione Fassati parla di caverna lunga, stretta, priva d'aria, in cui il
giovane sentiva di trovarsi: complesso d'immagini e sensazioni atte ad espri-
mere l'incubo e la spossatezza che opprimevano il giovane morente.
2. I1 Carlo storico
Quale è la reale identiti del giovane Carlo? Quale è il suo cognome; dove
e quando mori?
La risposta a questi interrogativi è data solo parzialmente dai documenti
che abbiamo esaminato. Una risposta esauriente apparve possibile, in base a
quanto essi suggeriscono, nonostante qualche incertezza e contraddizione.
Anzitutto fu preso in esame quello che i documenti offrivano per una
ricerca sul Carlo storico.
I1 giovane, nelle relazioni che fanno un nome proprio, è costantemente
chiamato Carlo. Unica eccezione è Bisio, la cui testimonianza, come sappiamo,
è tardiva e indiretta.
L'età è indicata soltanto da Don Lemoyne: era sui quindici anni. La
Fassati scrive semplicemente &era un « jeune homme ».
Tutti concordano nel dire ch'era conosciuto da Don Bosco; la maggior
parte aggiunge che frequentava l'oratorio; Don Lemoyne afferma che Don
Bosco era suo confessore ordinario.
Non tutti ricordano espressamente i familiari di Carlo. Secondo la Fassati
erano presenti alla scena il padre e la madre. Don Lemoyne h daila prima
redazione scrisse che i genitori, per suggerimento del medico, s'interessarono
perché il loro figlio si confessasse.
Quando Don Bosco giunse presso la salma, erano presenti a vegliarla
la mamma ed una zia (Don Lemoyne).

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
G ancora Don Lemoyne a informarci che Carlo aveva un fratello, a quanto
pare un giovanotto, che prese parte alla prima guerra d'indipendenza, almeno
nella sua fase conclusiva. Questo giovane, ferito a Novara e ritornato a casa,
sarebbe morto poco dopo.
La specifica professione dei genitori è anche indicata unicamente da Don
Lemoyne: erano proprietari di un albergo o trattoria.
Sia Don Lemoyne che la Fassati c'informano che Don Bosco fu condotto
nella camera ardente da un cameriere o domestico.
Entrambi ci dicono che molta gente fu testimone dei fatti. Secondo la
Fassati i presenti fuggirono terrorizzati quando il giovane si rianimò; secondo
Don Lemoyne accorsero alle grida emozionate della madre, testimone del ri-
sveglio.
Soltanto Don Lemoyne scrive che, in assenza di Don Bosco, venne chia-
mato il viceparroco (che nella deposizione al Processo apostolico è mutato
in parroco).
Incerto è l'anno. Sono da scartare senz'altro le date offerte dal d'Espiney
(Roma: quindi, 1858) e dal Bisio (poco prima dell'agosto 1864). La testimo-
nianza del Fratello delle Scuole Cristiane in convergenza con quella di Don Rua
non permettono di collocare il fatto oltre al 1849.
Don Lemoyne dopo essere rimasto incerto tra il 1847 ed il 1849, fini
per collocare in quest'ultimo anno la risurrezione di Carlo. E se questa -
come fa supporre il biografo - precedette la morte del fratello deceduto in
seguito alle ferite riportate a Novara (22-23 marzo), sarebbe da collocare nei
primi tre mesi deli'anno.
Nessuno, tuttavia, c'informa in quale mese ed i11 quale giorno essa sa-
rebbe avvenuta. Non ci aiuta a stabilirlo il fatto che Don Bosco era momenta-
neamente fuori Torino.
Molti c'informano sul tempo trascorso tra il primo accorrere per chiamar
Don Bosco ed il ritorno di questi a Torino (tornò due giorni dopo); tra l'arrivo
a Torino e il presentarsi alla casa di Carlo: subito, secondo Don Lemoyne; il
giorno dopo nel pomeriggio, secondo la Fassati.
Quasi tutti accennano al tempo trascorso tra il decesso ed il presentarsi
di Don Bosco: sarebbero passate sei ore (Bisio), mezza giornata (Don Lemoyne),
l'intera mattinata (Fassati).
La Fassati precisa che Don Bosco sarebbe arrivato presso la salma alle ore
sedici circa.
Quanto al luogo deil'accaduto: è da escludere la testimonianza di Enria,
secondo il quale il giovane sarebbe morto neil'infermeria (dell'Oratorio?).
L'Oratorio, oltre tutto, nel 1847-49 non ne era ancora provvisto, perché la doz.
zina di giovani ospitati occupavano le poche stanze di cui Don Bosco poteva
disporre.
Secondo Don Lemoyne e la Fassati sarebbe morto in casa propria, attor-
niato dai congiunti.
Don Lemoyne è l'unico a dirci che tale casa era il Gelso Bianco, in via
274
del Carmine 11, angolo via dei Quartieri, ch'era in proprietà dei genitori di
Carlo.
Colpiscono le contraddizioni di Don Lemoyne sulla natura del Gelso
Bianco; era un albergo, un'osteria, una trattoria, una bottiglieria ("). Tale inde-
cisione si riflette su Don Ceria: che fa Carlo « figlio quindicenne del trattore
del Gelso Bianco » (68).
Con molta probabilità Don Lemoyne non appurò questa circostanza. Dalla
Guida di Tovino del Marzorati si ricava che il Gelso Bianco fu sempre un
albergo (ma non è da escludere che avesse una mensa o trattoria pubblica) (").
Per l'anno 1838 è indicata proprietaria Maria Antonio (sic) Giuliani. Il nome
dell'alhergo è More Bianco (70).La stessa laaria Giuliani è indicata come
proprietaria nella Guida per il 1848(7') ed in quella del 1858(72). D d a
Guida del 1876 risulta che proprietario ne era diventato Vittorio Detomatis (");
da quella del 1890, che il Gelso Bianco non esisteva più ("); risultavano perciò
inesatte le asserzioni di Don Lemoyne nei Documenti XLIII, che suppongono
il Gelso Bianco funzionante dopo il 1891. La ragione dell'errore ci è implici-
tamente suggerita da una lettera del medesimo Don Lemoyne a mons. Cagliero:
« Giorno e notte lavoro [attorno ai Documenti per la biografia di Don Bosco],
non vado in ricreazione, non esco mai, rifiuto qualunque altro incarico, sto
quasi sempre solo. . . » ("1. Don Lemoyne, a quanto pare, aveva ceduto alla
tentazione non rara a coloro che si trovano in mano una gran quantità di carte
da sfruttare e non considerano i'esigenza di vagliare adeguatamente (o vi rinun-
ziano) le fonti che intendono adoperare ricorrendo ad altra documentazione
di solida fede.
h**
Nonostante alcune incertezze in elementi accidentali, sembrò a tutta prima
che, in base alle indicazioni fornite dalle varie testimonianze non sarebbe
4((bDD9ia5oon1ccc2..o(561X.72t1)6eL1)a«;)ItA;IroI««b);Cistduaa«ivrlllC'aoaq,naugnfreiolesgoltllloo.ia.o.dfdteareUatalbtalto'itatoal»vrbviieaaa«rgididalneteollgrueiCnoGdaavereamllsntoirGenae.te.Bt.l.osi.orai.enarBcavioeiad.nf.ècig.oelia.roean.dc.odf»rieeagl(rllaL'ioloasEtMfedibgOeloYlidoltNt'eaiEgllbdlaieeeMlrlrgliPo'aaarYltebodOereerBlCgaaiaa.pGtnoo(cMersblestB.o»»).
(68) CERIA, San Giovanni Bosco nella uita e nelle opere, p. 93. In tema di deforma-
zioni è curiosa quella di D. FIERROV,ida de San Juan Bosco..., Madrid 1957, p. 263: la
risurrezione sarebbe avvenuta nella « hosterl Ilamada del Muletto n.
(69) Infatti la vedova Giuliani, proprietaria del Gelso Bianco, sugli atti parrocchiali
è chiamata obergirta (decesso deUa figlia Giuseppa), ma anche ostessa (decesso del figlio
Pietro). Obergista in Piemontese include li senso e I'attività di locandiere ed oste. Cf.
VITTORIO DI SANT'ALBINGOra,n dizionario piemontese-italiano, Torino 1859, p. 812.
(m)[G. MARZORAGTuI]id, a di Torino per il 1838, Torino, S. d., p. 272.
(71) ~ M A ~ O R AGTuiId]a, di Torino pei 1848.. ., Torino, S.d., p. 79.
[MARZORAGTuIi]d,a di Tvrino pubblicata il 26 aprile 1858, Torino, s.d., p. 109.
(73) [MARZORAGTuI]id, a di Torino pubblicuta il 7 marzo 1876, Torino, S. d., p. 158.
(74) Guide di Torino pubblicata il I" marzo 1890, Torino. 1890. I Documenti XLIII,
come dicemmo, sono da coliocare nel 1891-92.
(75) Lettera del 7 dicembre 1885 (o 1886). Cf. sopra nota 20.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
stato difficile scoprire quando precisamente mori Carlo, figlio deli'albergatore
del Gelso Bianco, di cui ormai avevamo appreso il cognome dalia Guida del
Manorati.
Via del Carmine 11 appartiene - ed è sempre appartenuta - alla par-
rocchia del Carmine, distante circa trenta metri.
Furono consultati i registri parrocchiali dei defunti. Poiché era incerto
l'anno del fatto, si prese come punto di partenza il 1841, anno in cui Don
Bosco venne ordinato sacerdote, anche se tale data appariva improbabile,
perché Don Bosco non era ancora abilitato alle confessioni e non poteva essere
confessore ordinario di Carlo Giuliani (o Giuliano).
Come termine estyemo venne preso il dicembre 1860
Dai registri risultò che in quegli anni nella parrocchia del Carmine non
era morto nessun Giuliani. Anzi, non era morto nessun giovane dai dieci ai
venti anni con la qualifica di figlio di albergatori o simili. L'unico Carlo dece-
duto all'incirca in quel periodo ali'età di dieci-venti anni, fu un Carlo Conti,
di dieci anni, nativo di Cùnico, morto il 20 agosto 1850, figlio di Felice,
contadino.
Nacque allora il sospetto che i Giuliani abitassero altrove. Per avere dati
su Carlo occorreva rintracciare il loro domicilio.
Il campo delle ricerce fu cosi imprevedibilmente allargato ad altre par-
rocchie e richiese non facili indagini a Torino e altrove, prima che si riuscisse
ad approdare su un terreno documentario sufficientemente solido.
Si cercò nei seguenti archivi:
1) Archivio della Curia metropolitana di Torino, dove si conservano in
copia degli atti di battesimo, matrimonio e decesso di tutte le parrocchie, almeno
relativi agli anni che ci interessano, e in parte, anche di Ospedali cittadini.
2) Archivi delle parrocchie cittadine di S. Agostino, S. Barbara, S. Euse-
bio (S. Filippo), S. Francesco da Paola, S. Teresa, Carmine (registri di Batte-
simo, Cresima, Matrimoni e Morti).
3 ) Archivio della parrocchia di Bruino (diocesi di Torino).
4) Archivio del Comune di Torino, sezione anagrafe.
5) Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite: registrazioni di leva
militare.
Ne risultò il seguente quadro della famiglia Giuliani: Giorgio Ermenegildo
Giuliani, figlio di Vittore, nativo di Aquila in Valle di Blenio (Svizzera, ma
diocesi di Milano), sposò Maria Frè (cosi sul reg. parrocchiale di S. Agostino,
ma è piemontesismo: in altre registrazioni si legge Ferrè o Ferrero), figlia di
Giovanni Battista, torinese, il 21 settembre 1820. Entrambi risultano domici-
liati nella parrocchia di S. Agostino, dove rimasero almeno fino all'agosto 1831
e vi ebbero sei figli:
1) Maria Francesca n. il 19 febbraio 1823.
2) Giacinta Maria Geltriide, n. il 15 novembre 1824.
3) Vittore Maria Giuseppe, n. il 3 giugno 1827.
4) Giovanna Maria Pia, n. il 5 maggio 1828.
5) Giovanni Giuseppe Giorgio, n. il 2 maggio 1830.
6) Giacinto Rocco Antonio Vittore Maria, n. il 16 agosto 1831.
I1 domidio venne spostato nella parrocchia di S. Tommaso, dove ebbe i
natali la settima figlia:
7) Giuseppa Clotilde, n. il 16 dicembre 1832.
L'ottavo e il nono dei Giuliani risultano nati nella parrocchia di Bruino:
8) Giuseppe Flaviano Martino, n. il 22 dicembre 1833.
9 ) Pietro Maria, n. il 10 aprile 1835.
I1 decimo vide la luce a Torino, parrocchia di S. Francesco da Paola:
10) Domenico Ermenegildo, n. il logennaio 1837.
Un dato importante risultò dai registri di Bmino. Sugli atti di decesso di
Giacinto Rocco Antonio Giuliani (1838) risultò defunto anche il padre Giorgio,
definito di condizione «benestante D. Apprendemmo così che la serie dei nati
si era chiusa per la morte del padre, di cui però cercammo invano l'atto di
morte sui registri civili ed ecclesiastici che potemmo consultare a Bruino e a
Torino, così come risultò negativa ogni ricerca di ulteriori figli nell'ambito di
Torino e della diocesi.
Risultò anche che nessuno dei figli di Giorgio Ermenegildo Giuliani por-
tava il nome di Carlo, né come primo, né come secondo, né come terzo nome.
Ma non era da escludere che Don Bosco lo avesse assunto, data la delicatezza
dell'episodio. Era perciò necessario appurare se qualcuno dei Ginliani fosse
morto nel tempo che ci interessa: prima del 1850 a Torino; e se qualcuno,
eventualmente, sia deceduto - come narra Don Lemoyne a conferma della
conoscenza che si aveva dei fatti - alla battaglia di Novara, o poco dopo,
nel 1849, in seguito a ferite riportate.
Prima del 1839 morirono due dei sei figli maschi e due femmine: il
terzogenito Vittore Maria Giuseppe morto nella parrocchia di S. Agostino 1'8
agosto 1829 e il sestogenito Giacinto Rocco Antonio, morto a Bruino il 15
ottobre 1838; la primogenita Maria Francesca morta nella parroccbia di S. Ago-
stino il 24 febbraio 1828 e la settima nata Giuseppa Clotilde, deceduta il 18
giugno 1839 nella parroccbia del Carmine in casa Dogliotti (che risulta essere
quella del « Gelso Bianco »)(l6).
Da ulteriori consultazioni si giunse a quanto segue riguardo ai sei figli
superstiti.
La secondogenita, Giadnta Maria Geltrude sposò Giuseppe Vittorio De-
tomatis (&e poi divenne proprietario del « Gelso Bianco ») nella chiesa del
Carmine il 27 febbraio 1849. La quartogenita Giovanna Maria Pia nella mede-
sima parrocchia sposò Antonio Ros il 2 gennaio 1853. I1 matrimonio venne
celebrato dove le spose avevano domicilio. La madre, Maria Ferrero, risulta
ancora vivente con la qualità di Albergatrice.
I1 quinto nato, Giovanni Giuseppe Giorgio, sposò Margherita Drolvletti,
ebbe figli nella parrocchia di S. Eusebio (Giovanni Giorgio nato il 17 agosto
1862; Vittorio Giuseppe Delfino, nato il 25 novembre 1868) e morì nella par-
(76) Topodexia della cittd di Torino per rintracciarne facilmente le oie, le piane, le
case ecc., Torino 1825, p. 33; 63.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
rocchia di S. Barbara, via Boucheron, l'l1 novembre 1907, già vedovo per il
decesso della moglie avvenuto il 14 dicembre 1904 nella medesima parrocchia.
I1 nono nato, Pietro Maria, mori nel domicilio materno il 1 8 novembre
1855. I1 decimo, Domenico Ermenegildo, venne sorteggiato per il servizio
militare nel 1855, ma fu dichiarato esente nel 1858 perché di nazionalità
svizzera (").
L'unico di cui non riuscimmo ad avere dati utili fu l'ottavo nato, Giuseppe
Flaviano Martino, riguardo al quale soltanto apprendemmo che venne cresimato
nella chiesa del Carmine il 1" aprile 1844; sarà emigrato da Torino?
Ma avevamo ormai elementi a susicienza per persuaderci che qualsiasi
altro risultato ci avrebbe soltanto tenuto nel campo delle supposizioni. Siip-
posto infatti che il Carlo risuscitato da Don Bosco sia uno dei Giuliani, questi
non poté che essere Giuseppe Flaviano Martino, che appunto attorno al
1848-49 era sui quindici anni. Cadevano però molte circostanze del Carlo
della tradizione, alcune delle quali dovute a testimonianze di valore non trascu-
rabile. Giuseppe Giuiiani infatti certamente non mori ai Gelso Bianco; non
risulta deceduto a Torino entro il 1855, non mori assistito dalla madre e dal
padre (come avrehbe riferito Don Bosco alla Passati), perché quest'ultimo era
già morto; Carlo sarebbe un nome fittizio; nessun suo fratello mori dopo la
battaglia di Novara al Gelso Bianco, né altrove (a Torino o fuori) negli
anni che immediatamente seguirono la battaglia.
Ma se fossero del tutto errate le informazioni di Don Lemoyne conver-
genti sul Gelso Bianco? Le indagini si avvierebbero ancor più sul campo im-
pervio e maifido delle supposizioni, basate su altre supposizioni. Si potrebbe
cercare Carlo tra i congiunti dei Giuliani del Gelso Bianco, che erano i Ferrero,
i Blanchin e gli stessi Giuliani (7s), nella supposizione che si siano awicinati i
rapporti fino a fare coincidere le due famiglie.
Si potrebbe anche pensare che il « Carlo » di Don Bosco sia un qualunque
altro ragazzo defunto tra il 1848 e il '49, se non proprio al «Gelso Bianco »
(un giovane inserviente?), almeno nell'amhito della parrocchia del Carmine.
E questi poté essere Domenico Odasio, figlio di Giambattista, morto quattordi-
cenne il 27 giugno 1848. Poté anche essere una ragazza, Anna Gilli, figlia di
(n)Torino,
alfabetica chiusa
Arch. di Stato, sa. riun.,
dal Sindaco il 12 gennaio
Leva provinciale classe deii'anno
1855: « Domenico Giuliano, fu
1G83io7r.gLiois..ta.
Operazioni del Commissario di Leva: cancellato per sudditanza svizzera in seguito a de-
cisione del Ministero di Guerra contenuta in dispaccio 27 mano 1858 ».
(78) Ferrero è un cognome d33usissimo a Torino. Giuseppe Blanchin fu dichiarante il
decesso di Pietro Giuliani (1855) e nel 1876, proprietario dell'albergo la Zecca, via Roma,
36 (Guida di Toiino, 1876, p. 159); Teresa Blanchin, nata Giuliani, fece da madrina al
battesimo di Giorgio Agostino Detomatis (parr. Carmine, 7 luglio 1862) e risulta proprie-
taria dell'albergo Cavallo rosso, via Roma, 34 (Guida di Torino, 1876, p. 157).
Tra i Giuliani del ceppo svizzero vi fu anche un Carlo Vittore, figlio di Luigi Vittore
e di Maria Giuliana (sic) nato ad Aquila, sposatosi a quarantaquattro anni con Agata
Asinari, da Tigliole d'Asti, a Torino, parrocchia Metropolitana, il 2 maggio 1849, pro-
prietario, ancora verso la fine del secondo, di una fabbrica di cioccolata in via Accademia
delle scienze (Guida di Torino, 1858, p. 49; Guida. . . , 1893, p. 171).
Giuseppe (cantiniere) e di Cecilia Giacchero, morta a sedici anni il 29 set-
tembre 1848,
Si p t r e h b e procedere ancora più in là: supporre che ad ogni costo sia
stato un Cado, avente i genitori in vita e connesso in qualche modo a un
albergo. Ed un Carlo di questo genere ci fu, deceduto non molto lontano da
Valdocco, in quella che allora era piazza Italia n. 1 (attuale piazza deUa Repub-
blica), parrocchia di S. Agostino: Carlo Vinzia, deceduto il 20 gennaio 1848 ("1.
Era nativo di Boleto, sul lago d'orta, provincia di N ~ v a r a ( ~U) n. suo fratello
. . poté aver combattuto a Novara e morire, se non al paese, nella regione na-
tiva Carlo Vinzia era padrone dell'albergo Rosa Bianca: corre. poca dif-
ferenza tra Rosa Bianca e Gelso Bianco. Spirò alle otto del mattino. Però. . .
quando morì aveva trentotto anni ed era sposato. Ciononostante questa circo-
stanza non esclude che potesse entrare nella categoria dei giovani, secondo la
terminologia allora usata da Don Bosco. Si possiede, autografa di Don Bosco,
una «Nota dei giovani degli Oratori di S. Francesco di Sales, di S. Luigi
Gonzaga, del Santo Angelo Custode » con la data del 21 settembre 1850, perciò
posteriore alla risurrezione di Carlo (=). Tra questi giovani se ne trovano alcuni
che avevano più di quarant'anni, altri che superavano i trenta, ventiquattro che
superavano i venti anni. Tra costoro non starebbe a disagio Carlo Vinzia.
Supposizioni . . . I n definitiva il Carlo storico sfugge a una identificazione
basata su prove perentorie.
3. I1 risuscitato di Don Bosco e altri risuscitati della tradizione agio-
grafica cattolica
Per ipotesi si potrebbe supporre che l'episodio di Carlo sia del tutto fit-
tizio. Don Bosco avrebbe narrato ai giovani un fatto accaduto a S. Filippo
Neri, riportato dalla biografia del Bacci, ma poi il clima di venerazione avrebbe
(n)Circostanza che potrebbe coincidere col Carlo di Don Bosco: Carlo Vinzia morl
alle otto del mattino. Circostanza interessante: a tutte lettere si trova scritto che Carlo
Vinzia morì il uenti; il decesso fu dichiarato il ventiquattro; la sepoliura awenne il venti-
cinaue. L'atto è sottoscritto dal vicecurato Domenico Massa (altra coincidenza col Cado
della tradizione).
I1 venti dovette colpire colui che fece la trascrizione per la Curia, dove Patto reca
anche per la morte il giorno ventiquattro; questa data porta il decesso insolitamente vicino
alla sepoltura che ordinariamente dora aweniva due giorni dopo a morte. Ad ogni
modo, l'una o l'altra data per sé non incide sulle possibili coincidenze col Carlo di DB.
(W) Nacque il 7 luglio 1809; era figlio di Giambattista e Maria Parodi; quando
venne estratto per il servizio militare esercitava la professione di cameriere: Provincia di
Novara, Classe deii'anno 1809, Lista d'estrazione del mandamento di Orta, n. 28; asse-
gnato nel 1829 al corpo di artiglieria (Torino, Arch. di Stato, sezioni riunite).
(81) Anche per questo fratello di Carlo ci si basa su notizie incerte e il campo rimane
aperto alle supposizioni.
(8') AS, 132, Oratorio, 5; pubblicato sulle MB 4, p. 122 s nota

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
operato la trasposizione da Roma a Torino, da S. Filippo a Don Bosco, dal
secolo XVI al secolo XIX.
Come ii Carlo di Don Bosco, anche il giovanetto Paolo de' Massimi caris-
simo a Filippo Neri, mori senza che il santo potesse assisterlo:
«Suo padre gli chiuse gli occhi, e il curato della parrocchia, che gli aveva
dato l'Olio santo e raccomandata l'anima, se n'era partito. Quei di casa avevano
preparato l'acqua per lavarlo ed i panni per vestitlo, quando, essendo passata
maz'ora, arrivo il S. Padre, a cui Fabrizio si fece incontro piangendo e dissegli:
- Paolo è morto.. .
Entrò poi Filippo in camera, dove stava il morto fanciullo, si gettò sulla
sponda del letto, facendo un mezzo quarto d'ora di orazione colla solita palpita-
zione del cuore e trem'ore del corpo; prese poi dell'acqua santa e la spruzzò sul
viso del figliuolo, gittandogliene alquanto in bocca: indi soffiandogli in volto con
mettergli la mano in fronte, lo chiamò con alta e sonora voce due volte: - Paolo,
Paolo; - alla cui voce il giovinetto subito, come da un sonno risvegliato, apri
gli occhi e disse: - Padre, io mi era scordato d'un peccato, e però vorrei confes-
sarmi. - Allora il santo Padre fece allontanate quelli ch'erano intorno al letto. . .
Per ultimo il santo Padre gli domandò se motiva volentieri, e rispose di sl . . .
onde il santo Padre gli diede la benedizione dicendo: - Va, che tu sia benedetto.
prega Dio per me.
Subito con volto placido e senza alcun movimento tornò a morire nelle braccia
del santo Padre »(a).
Le circostanze affini tra i'episodio di Don Bosco e quelio di Filippo Neri
sono davvero notevoli: il chiamare due volte per nome, la confessione, il chie-
dere ai fanciullo se è contento d i morire. Si hanno inoltre argomenti troppo
grandi per ritenere che Don Bosco conosceva ed esponeva ai suoi giovani la
vita di S. Filippo Neri
Uno dei particolari che manca è il cattivo sogno, che invece si trova in
un episodio analogo dei Dialoghi di S. Gregorio Magno, riferito in un'opera
che Don Bosco usò citare: il Magnum theatrum uitlre humanae del Beyerlinck.
Riferisce il Beyerlinck:
4 Severus sacerdos, vocatus ad cujusdam aegrotanis cunfessionem audiendam,
cum paulum tardius venisset, vita defunctum offendit. Eaque de re vehementer
anxius, et d i c t u s , lamentis cadaveri incumhens, cum acerrime fietet, rwixit qui
jacebat mortuus, dixitque: se, dum ab impiis spiritihus ad ,horrenda tenebrarum
loca raptim traheretur ah angelo protinus dimitti, atque corpori restitui jussum,
quod diceret, Deum id Severi lachrymis indulsisse. Igitur uhi confessus est, peracta
septem dierum poenitentia, iternm ohiit » (85).
(83) Pietro Giovanni BACCIV, lta di S. Filippo Neri, lih. 111, cp. XI (vol. 11, Monza
1851, p. 219s: è un'edizione di cui esistevano parecchi esemplari a Valdocco). La cuinci-
denza tra l'episodio di S. Filippo Neri e quelio di D. Bosco è rilevata dal gesuita Giovanni
Franco in una lettera a Don Lemoyne, Roma, 24 febbraio 1891, MB 3, 501 S.
t") Don Bosco ne fece panegirici e assimilò sue sentenze. Cf. Indice MB, 601.
L. BEYERLINCK, Magnum theatuum vitae humanae, alla voce Resurrectio (6, Ve-
uetus 1707, 1198/C), dove è riportato anche il caso occorso a S. Francesco d'Assisi riferito
Davanti a questi e ad altri simili testi si è tentati di asserire che la riani-
mazione di chi ha bisogno di assoluzione sacramentale sia un luogo comune
dell'agiografia cattolica, parallelo a quello dei miracoli eucaristici comprovanti
la presenza reale e da ciò si è ancora indotti a negare ogni fondamento oggettivo
al fatto del giovane Carlo. Ma per giungere a questo occorrerebbe scalzare
testimonianze di gran peso, come quelle d i Don Bologna, della marchesa Fas-
sati e di Don Lemoyne, che si rifanno direttamente a Don Bosco e ne descri-
vono il comportamento come di chi è stato in causa in un avvenimento real-
mente accadiito.
Prima di giungere a conclusioni, tutto sommato, è molto più saggio esa-
minare meglio le vie attraverso le quali il fatto ci è stato tramandato e soppe-
sare più attentamente le testimonianze.
Una di queste vie è stata la catechesi e la predicazione di Don Bosco.
Non sembra, anzitutto, ch'egli vi sia ricorso con gran frequenza. Inizialmente
dovette esporre il fatto fuori deli'Oratorio; e, se ne parlò anche a Valdocco,
dovette esprimersi in termini tali, da non far sospettare che vi era implicato.
Diversamente non ci si spiegherebbe come mai Carlo Tomatis abbia potuto
ignorare che si attribuisse a Don Bosco la risurrezione temporanea di un giovane.
La tradizione delYOratorio dovette essere duplice: quella tra gi'intimi di
. Don Bosco e quella tra i giovani e i meno vicini alle confidenze del Santo.
I primi (Rua, Cagliero, Bonetti, Buzzetti . .) dovettero essere persuasissimi che
Don Bosco era stato il sacerdote che aveva confessato Carlo; persuasCssimi anche
che si sia trattato di vera risurrezione.
La tradizione dei meno intimi (Bisio) appare indiretta; o se diretta (Bo-
logna), fondata sul racconto che ne fece Don Bosco in prediche.
Non è controllahiie i'eventuale tradizione del fatto per altre vie, anche
se non è da porre in dubbio che queste ci siano state: Giuseppe Buzzetti, ri-
guardo al quale sappiamo quanto ha asserito Don Lemoyne: teste « auricolare
di chi era stato presente » e il Fratello delle Scuole Cristiane, che forse si rifà
alla predicazione di Don Bosco (86).
da S. Bonaventura. Un caso &ne è alla voce Mors (5, Venetiis 1707, 268/E). I1 Beyerlinck
riassume il testo orig. di S. Greg., Dial., I, cp. XII: ML 77, 212s; ed. Moricca, Romae
1924, p. 68 S.
(86) D. Lemoyne descrive con molti particolari il colloquio tra D. Sala e il Fratello:
«Andando a Pama ud 1889 incontrò sulla ferrovia un vecchio Fratello delle Scuole Cri-
stiane che era di casa religiosa a Parma. Venuto a patlare di D. Bosco il buon Fratello gli
narrò come egli si trovasse in Torino maestro di classe elementare nel 1848, 1849 e come
fosse cosa certa e provata la risurtezioue momentanea di un giovanetto già estinto»
(MB 499113-19). In base a indagini fatte cortesemente su nostra richiesta da frate1
Francexc Ghcrzi della Casa Generalizia dei Fratelii, si ricava che nessuno dei religiosi
residenti a Parma nel 1889 poté essere stato maestio a Torino prima del 1867: da tale
anno fino al 1878 vi si trovò Fr. Massimo (Paolo Mazzi), nato a Re. p.sio Emilia nel
1848.
Con tutta probabilità D. Sala, andando a Parma, si trovò sul treno col superiore della
provincia torinese dei Fratelii, alla cui giurisdizione apparteneva anche la casa di Panna:
Fratel Genuino (Giovanni Battista Andorno). Fratel Genuino era quasi conterraneo di

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Anche incontroliabili sono le vie, per le quali si è potuto diffondere a
Roma l'eco del ((miracolo », a cui allude Don Bonetti nei suoi Annali.
Tra le varie redazioni pervenuteci quella delle MB, come abbiamo docu-
mentato, per quanto sia la più nota, non appare la più fedele alla narra-
zione di Don Bosco. Su di essa si sono sedimentati elementi che, espunti, ci
porterebbero a riudire il fatto, quale lo esponeva il Santo.
Varie aggiunte, anzi, non sembrano avvicinarsi ad una ricostruzione veri-
simile deli'episodio.
Per un ritorno al racconto di Don Bosco e al fatto oggettivo sarebbe
auspicabile che si adottassero le relazioni Fassati e Documenti I I I anche se di
quest'ultima non con?sciamo esattamente i precedenti; in essa certo è da
espungere per lo meno l'asserzione che il Gelso Bianco sia stato teatro del
fatto.
Soprattutto la redazione Fassati getta luce sul comportamento di Don
Bosco coi giovani e col dottor d'Espiney. Coi primi Don Bosco adoperava
l'episodio in ordine ad un probkma educativo e religioso: la sincerità col
confessore e l'assoluta necessità di superare con lui ogni rispetto umano. Nella
catechesi di Don Bosco è frequentissima l'insistenza su tale argomento.
Effettivamente il fatto si prestava ad impressionare nel senso voluto da
Don Bosco; ma quanti ne conoscevano il protagonista, quanti avevano presenti
la moltiplicazione delle castagne e delle ostie o le grazie straordinarie operate
per intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, istintivamente erano portati a pen-
sare che il risveglio di Carlo era stato un miracolo. Questa interpretazione
divenne l'anima del racconto, nel Dom Bosco del d'Espiney.
Don Bosco protestò probabilmente perché consapevole della inconsistenza
di molte circostanze narrate dal medico nizzardo, ma forse anche perché egli
stesso era incerto sull'entità delle cose.
Una ricostruzione del fatto non dovrebbe dimenticare o travisare quello
che poté essere lo stato d'animo di Don Bosco. Deve, comunque, esprimere
il comportamento in quei termini di naturalezza che invece risultano compro-
messi da quanto le MB attinsero dal d'Espiney.
Qualcosa è emerso a proposito di Don Lemoyne e del suo metodo nell'in-
tessere il testo delle MB.
Don Bosco, essendo di San Paolo (Asti). Nacque il 7 giugno 1826, entrò nel noviziato il
10 febbraio 1843. Fu a Pinerolo dai gennaio 1844. Passò poi a Saluzzo, Racconigi e quindi
nuovamente a Saluzzo. Nel 1847 venne inviato a Torino nella comunità di santa Pelagia
e fu insegnante di scuola elementare superiore, dando prova di rare doti di educatore. Dal
1861 fu Visitatore del Distretto di Torino (o Provinciale). Morì 1'8 novembre 1901 a
Torino.
Per quanto riguarda noi, supposto che si sia trattato di frate1 Genuino, è, tutto
sommato, spiegabile che D. Sala e D. Lemoyne abbiano potuto fraintendere sulle attinenze
del vecchio Fratello con la Casa di Parma. Può anche darsi che frate1 Genuino non abbia
voluto far conoscere la sua qualità di superiore provinciale ed abbia semplicemente detto
che andava nella «sua » casa di Parma: «sua D, perche ne era superiore provinciale.
Don Lemoyne adoperò le sue fonti, per quelle parti in cui non erano
in reciproca evidente contraddizione, come se fossero documenti complementari.
Ora, non pare che esse lo siano state nell'intenzione degli autori e tanto meno
alcune, prese in sé, manifestano caratteristiche di complementarità.
L'infevmena di Pietro Enria, la Signwa di Giovanni Bisio, ad esempio,
sembrano piuttosto frutto di confusione tra l'episodio del giovane risuscitato ed
altre circostanze proprie dei suoi testimoni o di altri episodi concernenti Don
Bosco: Enria era infermiere e di Stgnore si parla spesso in sogni di Don Bosco.
Cionondimeno le testimonianze su Carlo hanno un valore da non tra-
scurare, in quanto esprimono come il racconto venne sentito e comunicato in
varie circostanze da persone di cultura e stato d'animo diverso, quali Enria,
d'Espiney, Don Rua, Don Lemoyne e gli altri che gravitavano attorno alla
personalità di Don Bosco. Ma in ordine al fatto in e al modo come venne
presentato dal Santo hanno un valore diverso e subordinato, perché spesso fonti
tardive e indirette.
Questo vale, ci sembra, anche a proposito delle MB. La loro redazione
appare manchevole per due ragioni: sia perché risulta un agglomerato di brani
dal valore storico disuguale; sia anche perché svela il mancato ricorso a fonti
non contenute negli archivi salesiani, che sarebbero state utili per non incor-
rere in inesattezze, sebbene riguardo a circostanze non sostanziali, alcune delle
quali erano tuttavia evitabilissime. Se certi errori si fossero evitati $a allora,
oggi forse si sarebbe potuto collocare nella storia in maniera soddisfacente il
Carlo della tradizione.
Altre considerazioni sono suggerite dall'esame delle varie redazioni in
ordine ad un lavoro critico su di esse.
È evidentemente meritevolissimo studiare come Don Lemoyne lavorò nel
comporre le MB. Queste infatti conserveranno sempre un posto eminente sia
per la conoscenza di Don Bosco, sia per studiare come lo vide un'epoca: la
generazione che accompagnò il Santo in vita e ne prosegui l'opera immediata-
mente dopo la sua morte; sia infine perché sono il documento, al quale quasi
esclusivamente finora si sono ispirati devoti, agiografi e studiosi.
E anche quanto mai utile portare alla conoscenza di altre fonti sulla vita
di Don Bosco. Ma non bisogna dimenticare ch'esse ci possono dare il Santo
nelia massima messa a fuoco solo quando si studiano nel loro complesso, non
perdendo di vista la loro collocazione precisa nel tempo e l'analoga colloca-
zione dei fatti ch'esse tramandano.
APPENDICE E DOCUMENTI
1. Dal « Dorn Bosco » di Carlo d'Espiney: « Lèvc-tai » (1881)(m).
Un jeune homme, élevé à Yoratoire, était mourant i Rome. Le malhei,reux avait perdi,
la fai, et refusnit obstinbment de se confesser.
(87) D'ESPINEYD,om BOSCON,ice, 1881, p. 177 S.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
4. DON BARBERISS,ui proprietari del « Gelso Bianco » (1885-93) (M).
lui. Ciò sentito D. Bosco andò nell'infermeria per vederlo, andò vicino a lui e lo chiese
Ora padrone del Gelso Bianco in Torino via dei quartieri è il sigr Detomatis Vittorio
- che ha tre figli Giuseppe, Enrico e Antonio: l'Antonio telegrafista d a stazione di
Porta Susa.
per nome. Aliora quel giovane aperse gli occhi e disse:
- Ah! D. Bosco io aspettava. . . Lo confessò, e poi gli disse:
- Arrivederci in Paradiso ed il giovane spirò. Questo l'ho sentito a raccontare da
Buzzetti e da Tomatis, questi è ancor vivo.
Ma quarant'anni fa era padrone(91) di detto albergo il signore(92) Giuliano Giorgio
abitante in via Bucheron n. 8 piano teno - Torino.
Figlio di questo signore è il signor Giuliano Domenico abitante in Bruino - cascina
Milano.
6. GIOVANNI BISIO, Deposizione al processo informativo diocesano per la beatificazione di
Don Bosco (27 m a n o 1895) (*l.
Questa famiglia Giuliano è Svizzera: la mamma era dei Ferrero. Una delle figlie fu
maritata al suddetto Detomatis.
Mi raccontò lo damigella Teresa Martano, or defunta, insigne benefattrice deii'oratorio,
Questo è quanto, bopo molte indagini fatte dai nostro confrareilo Eula di Valsalice,
che nei primi anni che io era all'oratorio, un giovane dimorante in Torino venuto amma-
potei sapere riguardo ai padroni del Gelso Bianco (93).
lato gravemente, desiderò istantemente di confessarsi da D. Bosco, ma essendo questi as-
Sac. Giulio Barheris.
(
sente morì senza ricevere i sacramenti. Arrivato D. Bosco a Torino gli si disse che quel
giovane Luigi, di cui non ricordo il cognome, l'aveva chiamato per confessarsi e che era
5. PIETRO ENRIA, Deposizione al processo informativo diocesano per la heatificazione di
Don Bosco - Appunti personali (1891-93)(").
morto da poche ore. D. Bosco ciò udito, corse subito a vederlo. Entrato nella casa, incontrò
la madre che gli disse piangendo, che il suo Luigi l'aveva tanto sospirato per confessarsi,
e che era morto da sei ore, senza ricevere i sacramenti. Allora D. Bosco chiese di vederlo,
D. Bosco una volta eslslendo fuori di Torino per qualche giorno, quando ritornò
e avvicinatosi al suo letto, gli scoprì il volto e lo chiamò per nome due volte. La seconda
s-e a d i o che vi era morto un giovane che aveva un grande desiderio di confes[s]arsi da
volta il giovane aperse gli occhi ed esclamò: Oh lei, D. Bosco! l'ho sospirato tanto! Ha
D. Bosco. Fu molto aflfllitto per quel giovane, domandò, e mesto sempF(95) che elral
fatto bene a venire a vedermi e svegliarmi, perche ho fatto un sogno tanto brutto che
morto. Gli risposero che era già da parecchie ore. Allora d. Bosco andò nella infermeria, dove
mi ha molto spaventato. Mi pareva d'essere sull'orlo d'una fornace, e vedeva tante hrutte
si trovava quel giovane morto, andò vicino al letto, lo chiamò per nome e il giovane
bestie che mi volevano gettar dentro, ma vi era una signora che si oppose dicendo aspet-
aperse gli occhi e sciamò ho! ("1 d. Bosco lo aspettava, ho bisogno di confes[slarmi. Lo
confessò. Dopo essersi confes[slato parlò un poco con d. Bosco e poi sorlrlidendo disse:
tate, non è ancora giudicato. E durò per molto tempo quella lotta quando lei D. Bosco
. . mi ha svegliato. D. Bosco allora disse di farsi coraggio e di confessarsi, come difatti
Arlrlivederci i l n l paradiso. E spirò. Questo fatto lo(") sentito da Buz[zletti Giuseppe
si confessò. Finita la confessione D. Bosco gli disse: non aver più paura che quelle bestie
e dal pittore Tomatis. Lo sentii anche a confermare dal medesimo d. Bosco.
non ti faranno più alcun male, e che egli non era più destinato per questa terra. Difatti
il giovane chiuse gli occhi e morl. Questo fatto l'ho pure udito da alcuni dei primi allievi
Deposizione al processo informativo diocesano (30 gennaio 1893)(98)
deliOratorio.
Una volta D. Bosco ritornando a Torino, dopo una assenza di qualche giorno, trovò
morto alcune ore prima un giovinetto, che aveva manifestato desiderio di confessarsi da
7. DON RUA, Deposizione al processo informativo diocesano (1895)(lm).
(m) ms. autogr. di Don Giulio Barheris, AS 123 Carlo.
(9') Padrone conetto da padrona.
Mentre io frequentavo le classi elementari presso i Fratelli delle scuole cristiane in
Torino, D. Bosco veniva sovcnte a confessare. Ricordo di averlo sentito una volta a raccon-
(m) il signore corretto da la signora.
tarci nella predica, che un giovanetto di nome Carlo erasi ammalato gravemente, ed essendo
P3) Dalio schedario anagrafico della Segreteria generale dei Salesiani e dagli elenchi
in pericolo di morte, fu cercato il confessore, il quale non si trovò. Intanto il fanciullo
annuali della Congregazione si ricava che, vivente Don Giulio Barheris (1847-19271, vi fu
venne a morire, ed arrivato il confessore, trovò i parenti in pianto perche era morto il loro
solo un salesiano dal nome Eula: Vincenzo, nativo di Vilianova (Cuneo), che emise la
figlio e non aveva potuto parlare al suo confessore.
professione religiosa il 26 settembre 1893, fu nel collegio di Valsalice in Torino nel 1893-94
e quindi uscì di Congregazione. La nota di D. Barberis suppone in esercizio il Gelso
Bianco, il che fa pensare che le ricerche poterono essere state fatte dall'Eula anche prima;
cioè mentre era semplice domestico (famiglio) neii'istituto salesiano S. Giovanni Evange-
lista di Torino (1885-1891) o ascritto a Valsalice (1891).
Questi lo pregò di volerlo condurre al letto dei defunto, e chiamatolo per nome lo
vide aprire gli occhi e lo sentì a dire: «Oh! Lei che è qui! oh benvenuto! è arrivato a
tempo per salvarmi giacche mi trovavo perseguitato da mostri orribili che volevano cacciarmi
in una fornace ».
(9autogr., AS 110 Enria, 1-2; p. 74s. L'ortografia dell'originale è assai scorretta,
l
Allora il confessore fritti ritirare i parenti, ascoltò la sua confessione, e datagli l'asso-
ci siamo permessi di ritoccare senz'altro la punteggiatura,
luzione il fanciullo si addormentò nel Signore.
sempre = seppe.
("1 ho! = oh!
(97) 10 = l'ho.
(99) AS 161.1125, copia A, p. 43 S.
PS)AS 161.1/14, copia A, p. 45.
..
(1") AS 161.1/26, copia A, p. 345 S.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
I n seguito intesi a raccontare questo fatto da varie persone attribuendolo a D. Bosco
stesso, dimodoché valendomi deila confidenza che aveva con lui, lo richiesi una volta
(mentre io era già prete, o per lo meno prossimo al presbiterato) se fosse proprio esso
I'autore di quel fatto che a lui veniva attrihuito. Egli mi rispose: e I o non ho mai detto
che fossi io l'autore di quel fatto». Non andai più oltre, bastandomi il vedere che non
negava che fosse esso, ma solo negava di averlo attrihuito a se stesso; n6 volendo per altra
pane abusare della sua confidenza. Ignoro altri particolari al riguardo.
8. DON GARINO: «Deposizione del signor Carlo Tomatis ì> (1901)(lQl).
Tomatis di Fossano non ricorda punto né la moltiplicazione delle ostie, né la risur.
reiionr d u r i morto. Bensì dice che D. Bosco andava negli spedali, anche ove erano am-
malati i più contagiosi. Una volta gli si attaccò il male gli venne una pustoletta al braccio,
ma guarì senza prender nuila nel '47 e '48.
Dice che al tempo del colera nel sobborgo o nei casolari ove ora c'E Wratorio e
adiacenze detto Cor d'oro morirono 40.
Nella cappella prima fatta ove c'era una rimessa o simile, venivano a messa anche
persone esterne e si facevano molte comunioni.
Quando cadde la casa, il braccio primo a cadere fu tra la scala centrale e camera di
D. Bosco. La casa era stata fatta con ultimo materiale, sabbia, pietra poca o cattiva, calce,
l'impresario era un certo Bocca. V'era bensì un assistente a invigilare per D. Bosco, ma
fone teneva più per l'impresario che per D. Bosco. L'altra parte cadde un dopo pranzo,
rovinando 10 minuti dopo che erano usciti. Nessun danno. Daraltra parte invece, un
ganone cadde in pericoilol di accecare per la sabbia, ma guarì.
D. Bosco moltiplicò le castagne alla porta della chiesa di S. Francesco di Sales.
Mamma Margherita ne aveva messe poche e D. Bosco distribuiva col mestolo in quantita.
Io in particolare ricordo che D. Bosco un giorno sulla piazza di M. Ausiiiatrice yar
dando la chiesa dissemi: Qui mi piacerebbe far un monumento rappresentante Mos& che
percuote la rupe in cui vi sarebbe stato uno zampillo. Parimente che avrehhe intenzione
neilo spazio dove c'è prato e i falegnami tengono magazzino di legnami e dove sono gli
scaillpellini, insomma dirimpetto alle suore, fare un gran palazzo da servire come albergo
pei cooperatori Salesiani, preti, ecc. ecc.
5 luglio '901
D. Gatino
P.S. . Che D. Bosco abbia risuscitato un morto, io lo ricordo che lo si raccontava cosl,
come andò a visitare un giovanetto ammalato, giunse che era morto, lo risuscitò, lo con-
fessò e mori nuovamente.
9. DONGIUSEPPE BOLOGNA A DON GIAMBATTISTA L E M O Y N E ( ~ ~ ) .
Parigi, il 1 3 giugno 1904
Molto Reverendo sig. Don Lemoyne,
Leggo per la prima volta nel suo vol. 111 delle Memorie di Don Bosco, la narra-
zione del fatto di un giovane Carlo, resuscitato ecc.. .. Mi ricordo di aver inteso raccontare
iL0')autogr. di Don Garino. AS 123 Tomatis.
('"1 orig. autogr. AS 123 Bologna.
da D.B. stesso il detto fatto quando nel 1865 (se pur non i: nel 1864) ci predicava il
triduo, nella chiesa di S. Fr. di Sales, per prepararci alla Comunione pasquale. Raccontò la
cosa tal quale E descritta, parlando del prete alla terza persona, ma, dopo aver menzionato
quel sacerdote, soggiunse, e questo prete era Don Bosco » e non poté aggiungere una
sola parola; il singhiozzo, l'emozione, l'obbligarono a ritirarsi dal pulpito. Noi siamo ri-
masti tutti fuori di noi stessi; e si stette assai a lungo tempo prima che si potessero into-
nare le litanie. Me ne ricordo come se fosse di oggi.
G . Bologne (sic)
10. Don Lemoyne al processo apostolico per la beatilicazione di Don Bosco (17 luglio
1912) ('03).
Nel 1848 cadde infermo un ragazzo dell'Oratorio festivo per nome Carlo, figlio del-
l'Albergatore ,del « Gelso Bianco » in via del Carmine n. 11 ed esisteva ancora dieci anni
fa. Domandato con insistenza D. Bosco, dovette confessarsi dal Parroco essendo il Servo
di Dio assente. Ritornato in Torino appena seppc della richiesta del giovanetto il Venerabile
corse alla casa di lui, ma vi trovò la madre e la zia che pregavano accanto al cadavere
di Carlo. D. Bosco lo benedisse e io chiamò per nome due volte; e Carlo aperti gli occhi,
s'alzò a sedere dicendo: «Oh! D. Bosco! Come ha fatto bene a svegliarmi! ». . . .E gli
narrò come avendo taciuto un peccato per rossore, si era trovato sull'orlo di un'orrenda
fornace, come orrendi mostri volevano afferrarlo, ma che una Signora lo aveva difeso,
dicendo: s Aspettate! Non è ancora giudicato! ». D. Bosco lo confessò; e il figlio rivolto
alla madre le disse: D. Bosco mi salvò dail'inferno! D. Tutta la 'famiglia accorsa fu testi-
mone dei prodigio. Ed il giovinetto ricadde sul cuscino e vi rimase immobile per sempre.
La notizia di un tale fatto durò incontrastata per lunghi anni neil'Oratorio. Giuseppe
Buzzetti che l'ebbe certamente udito da chi era stato presente, raccontandolo anche in avan-
zata età, non ammetteva su ciò alcun dubbio. Nel 1864 me ne parlò per primo D. Carlo
Ghivarello. Conoscevasi nome, cognome, patria e abitazione presso la chiesa del Carmine
del defunto. Conobbe il fatto e lo raccontava la damigella Teresa Martano che prima
ancora del 1849, conosceva D. Bosco. D. Rua e D. Giovanni Cagliero mi assicurarono che
appena entrati neil'Oratorio ne furono edotti dai condiscepoli; così pure Don Garino
Giovanni e D. Bonetti ed altri. D. Sala Antonio nei 1889 incontrò a Parma un vecchio
fratello della Dottrina Cristiana, ii quale in Torino areva insegnato nel 1848 e 49 in una
classe elementare e gli disse come fosse cosa certa e provata la Nsurrczione momentanea di
un giovane fatta da D. Bosco. I1 Venerabile poi raccontò molte volte questo fatto, ma
non disse mai essere egli stato l'autore; e interrogato non rispondeva.
11. Relazione della marchesa Maria Fassati nata De Maistre(1").
Un jour on vint chercher Don Bosco pour un jeune homme qui fréquentait ordinai-
rement I'Oratoite et qu'on dir &tre gravement malade. Don Bosco était ahsent et ne revint
à Turin que deux jouts apres, il ne put se rendre chez le malade que le iendemain veis
i
(1") Sacra Rituum C~n~regation.e.. Taurinen. Beatificationis et canonimtionis ven.
Servi Dei rac. loannis Bosco.. . Positio super virtutibus. Pars I . Summaritrm, Romae 1923,
p. 1005 S.
(1") ms. di Azelia Ricci des Ferres nata Fassati. AS 123 Fassati.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
quatre heures de l'après midi; en arrivant à la maison où il demeurait, il vit les tapis
noirs sur la porte avec le nom du jeune homme qu'il venait chercher. Il monte néammoins,
pour voir et consoier les pauvres parents; il les trouve tout en iarmes et iis lui racontent
s u e leur enfant était mort depuis le matin. D. B. demanda alors s'il ponvait monter à la
chambre où était le corps du défunt POUE le revoir encore une fois. Un domesti.quc l'v.
couduisit.
« En entrant dans la chambre, dit D. B., il me vini en pensée qu'il n'était pas mort,
je m'a.p.prochai du lit et l'a.p.pelai par son nom. Carlo! Alors il ouvrit les veux et me salua
d'un air étonné. Oh! Don Bosco, s'ecria-t-il, que vous m'avez reveillé d'un reve affreux!
A ce moment plusieurs personnes qui étaient dans la chamhre fuirent toutes épouvantées et
jetant de grands cris renversèrent les lumières, et Don Bosco se hata de dédicher le linceul
dans lequel était cousu le icune homme, qui continua de parler ainsi: I1 me semhlait, dit-il,
qu'on me poussait danH une longue caverne sombre, et si étroite que je pouvais à peine
respirer; au hout je voyait comme un espace plus large et plus éclairé où heaucoup d'ames
subissaient un jugement et mon angoisse et ma terreur allaient toujours croissant car j'en
voyais un grand nomhre de condamnés, enfin mon tour était venu et j'allais partager
leur sort affreux pour avoir mal fait ma dernière confession, lorsque vous m'avez reveillé!
Cependant le &re et la mère de Carlo étaient accourus apprenant que leur enfant
vivait; le jeune homme les salua cordialement mais leur dit de ne point espérer sa guérison.
Aprhs les avoir emhrassés, il demanda à Ctre laisse seul avec Don Bosco, à qui il raconta
qu'il avait eu le malheur de tomber dans une faute qu'ii avait crue mortelle, que se
voyant très mal, il l'avait envoyé chercher avec la ferme intention de s'en confesser,
mais que ne l'ayant pas trouvé on lui avait amené un autre prttre qu'il ne connaissait
point et auquel il n'avait jamais osé découvrir ce péché. Dieu venait de lui montrer
qu'il avait merité l'enfer pour cette confession sacrilège. Aussit6t il se confessa avec
heaucoup de douleur, et dès qu'il eut resu la grace de l'ahsolution il ferma les yeux et
expira doucement.
Je tiens ce récit de la bouche de Don Bosco lui-meme et j'ai taché de l'écrire aussi
fidèlement que possible.
12. DON LUIGI CARTIERA DON EUGENIO C E R I A ( ~ ~ ~ ) .
Marseilie, le 23 avril 1940
Note pour le R. d. Don Ceria historiographe de S. Jean Bosco.
J'ai entendu soutenir par des Confrères que le fait de la resurrection du jeune
Carlo, racontée par Don Lemoyne dans les Memorie biografiche di Don G. Bosco, était
contestahle. O r voici ce que je puis affirmer d'après une conversation que j'ai eue avec le
("j) orig., firma aiitogr. di Don Cartier. AS 123 Cartier - Luigi Cartier nacque a
Colomban (Savoia) il 7 fehbr. 1860; entrò a Valdacco il 27 ott. 1877; fece la professione
perpetua a Marsiglia il 13 gennaio 1879; vi fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1883; fu
direttore della casa salesiana di Nizza dal 1886 al 1902 e quindi dal 1914 al 1918 e dal
1921 al 1923; morì a Nha il 29 dicembre 1945 (Segr. gen. del Consiglio Superiore dei
Salesiani schedario anagrafico dei confratelli defunti).
Contro la prima edizione del Don Bosco del d'Espiney protestò il conte Francesco
di Viancino, che si trovò presentato con la sigla, conte di V. nell'episodio intitolato:
« L a providence est une honne caissière » (D'ESPINEY, O. C,, p. 132-1351, I1 conte con
D r Charles d'Espiney qui, le premier, publia une vie anecdotique de Don Bosco, en 1880
ou 1881. Nous possédons un exemplaire de la 3me édition, imprime par Malvana-Mignon
à Nice, en 1882. Cette édition rapporte la résurrection de Carlo comme ayant eu lieu à
Rome. Le fait d e n t e résurrection est mal situé puisqu'il a eu lieu à Turin et non à Rome,
mais il demeure incontestable. En effet Don Bosco se plaignit au Dr D'Espiney de ce qu'il
avait rapporti ce Lait; alor le Docteur répondit à Don Bosco, « s i ce fait est erroné, je
le supprimerai mais je vous prie, mon Père, de m'affirmer que cette résurrection n'a pas
eu lieu ». Don Bosco répliqua qu'on ne devait pas parier de cela, et le Docteur lui
dit « dites-moi que ce n'est pas vrai ». Don Bosco, prié une 3me fois de dire à son
intedocuteur que ce miracle n'avait pas eu lieu, se contenta de garder le silence. Si le
miracle n'avait pas eu lieu, Don Bosco l'aurait ceriainement déclaré au Dacteur D'Espiney.
Son silence est un aveu.
Le docteur Charles D'Espiney m'a lui-meme raconté l'entretien qu'il avait eu avec
Don Bosco. I1 me dir que Don Bosco éprouvait une grande peine de cette puhlicité, sans
doute, à cause de son humilité, mais il ne put affirmer que la resurrection de Carlo
n'avait pas eu iieu.
Le Dr Charles D'Espiney avait rédigé au fur et à mesure qu'il les avait eues toutes
ces conversations avec Don Bosco. Moi-meme je n'ai jamais oublié la conversation dans
laquelle le Dr D'Espiney m'a raconté ce que je viens d'exposer.
Le D r Chades D'Espiney, pour ne pas contrarier Don Bosco et lui causer de la
peine, a supprimé, dans les éditions suivantes le récit de la résurrection de Carlo.
Vale in Domino
L. Cartier
13. DON DOMEN~CROUFFINO, «Fatti che si raccontano » (lM).
Dicesi che abbia D. Bosco risuscitato un morto, cioè un giovane cadde infermo e
venne agli estremi. Egli fece chiamar D. Bosco, il quale giunse quando era già morto;
i parenti ne erano desolatissimi, ma D. Bosco tranquillizzandoli si accostò al deceduto e
lettera del 6 dicembre 1881 chiese a Don Bosco che l'episodio venisse espunto o, per lo
meno, venisse rassicurato che non riguardava la sua persona, giacché non riconosceva la
veridicita delle circostanze, nel caso che si trattare proprio di lui. L'originale d i tale
lettera con un esemplare del D'ESPINEYmunito di una annotazione di Don Berto, si con-
serva nell'AS 123 Viancino.
Don Bosco, nella sua lettera di risposta al conte ebbe espressioni che, uti sonant,
sono all'indirizzo del d'Espiney assai pesanti: « I1 Sig. Dottore d'Espiney è un buon
cattolico, ma egli ha per iscopa nel suo libro di contarne delle grosse a spalle di Don Bosco.
Perciò non si stupisca se trova delle inesattezze ed anche errori nella esposizione.
Tuttavia nel prossimo gennaio vedrò questo Signore in Niiza e non mancherò di
far togliere o almeno corremere alcune grosse fanfaluche nel suo libro» (Epistolario
2250. - L'originale di questa lettera si conserva ail'AS 131.01 Viancino).
Contrariamente a quanto scrive Don Ceria (MB 15, p. 71) nella seconda edizione
l'episodio del conte Viancino rimase immutato.
Dalla lettera di Don Bosco si ouò tuttavia indurre che il colloauio col d'Esninev
ricordato da Don Cartier sarebbe da ~ollocarenel marzo 1882, tempo in-cui Don ~ o s c osi
trovò a Nizza (MB 15, p. 512.515).
('M) D. RUFFINO,Cronaca, quaderno 1 (1859-18601, p. 34; AS 110 Riiffino.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
fece breve preghiera; in quell'istante il freddo cadavere si rianimò e gridò: O h D. Bosco,
se esso non veniva presto a liberarsi, i demonii volevano trascinarmi all'inferno. Poi si
confessò di tutti i suoi peccati e di nuovo spirò.
14. DON GIULIOBARBERIS«, Cronichetta » (lo7).
-- Sabato, 5 gennaio [18761.
Oeei da D. Tamietti sentii a raccontar auesta di D. Bosco. La t. ma"enifica. I n auesti
aiorni scorsi in cui il s. ia. D. Bosco stette al Borao. parlando in pubblico ai giovani invi-
tandoli ad esser sinceri in confessione raccontò questo fatto.
«Non son poi tanti anni che in Torino avvenne questo fatto. Ammalò gravemente
un giovane sui 15 anni. Visto il pericolo, il medico consigliò i genitori ad invitarlo a
confessarsi. Gli domandarono i genitori qual sacerdote volesse che si chiamasse. Egli dimo-
strò gran desiderio che si andasse a chiamare il suo confessore ordinario, sacerdote zelante
che lavorava molto in Toxino nel ministero ecclesiastico. Si mandò suhito per lui; ma con
rincrescimento gli si rispose che era fuori di Torino. I1 giovane ne manifestò sentito rincre-
scimento e mandò a chiamare il suo vice parroco., Un giorno e mezzo dopo moriva. Il
confessor suo ordinario, arrivar0 a Torino dopo due giorni ed informato che quel giovane
aveva mandato per lui, volle andar a trovarlo, caso mai fosse ancora in tempo, e trovò
che era già morto da più di mezza giornata. Dimostrò desiderio di vederlo e fu condotto
nella camera mortuaria dov'erano la madre e la [lacuna nell'originalel che pregavano
attorno all'estinto, il quale già cambiato per la sepoltura, stava coperto da un velo (fuori
del suo letto? già nella bara?)? Avvicinatosi quel prete ed osservatolo, andava pensando ,
tra sé: chi sa se sin confessato bene? Chi sa che cosa ne sarà di lui? E fatta hreve
orazione ingenuamente lo chiamò per nome. Si sveglia come da un sonno il giovane, si
guarda attorno, si alza un poco e dice: O h come mi trovo così? Poi vedendo quel ptere:
oh! io cercnva appunto di lei; ho gran bisogno di lei.
La madre a quella vista, trasecolata e spaventata, esce e va a chiamar gente. Si
radunarono circa 20 persone: che poteron esser testimoni del fatto. Intanto il giovane
mi chiamò e disse: « O h io doveva essere in ltiogo di perdizione, in questa ultima confes.
sione non ho osato palesare un peccato; e si confessò da quel prete. Rivoltosi alla madre
disse: Questo prete mi salva dall'inferno. Stette circa due ore, in cui poti esser padrone
di sua mente. Tra le altre cose raccomandò n1 confessore che raccomandasse sempre tanto
ai giovani la sincerità in confessione. Poi spirò nuovamente. Una cosa che si osservò
mirabile in questa risur[r]eiione si è che in tutto quel tempo colui si muovesse, guardasse,
mirasse, il suo corpo stette sempre freddo cadavere come prima di risuscitare,,.
Quindi il sig. D. Bosco continuò a raccomandare la sincerità. in confessione. Dopo
che i giovani andarono a dormire, riprese D. Tamietti, essendo solo più il direttore ed
io con D. Bosco, io domandai: « E forse lei, sig. D. Bosco, quel prete là? ». « O h perché? a,
riprese D. Bosco. « Pare che abbia detto, quel giovane mi chiamò n. «Non aveva inten-
zione di dir quella parola io. Se l'ho detta, mi scappò senza che l'avvertissi ». E il
discorso morì 11.
(1") AS 110 Barheris, 1, Quaderno 3, p. 60-62. - Scrittura di D. Giulio Batberis.
. Accanto alla prima Nga, ms. di D. Berto (?): « I1 risuscitato da D. Bosco». A fianco di
ciascun rigo, le virgolette indicanti che Don Lemoyne conohhe e trascrisse il testo. Copia
ms. in AS 110 Barheris, 1 bis, ff. 111-60 e 111-61.
« Io questo fatto con queste particolarità non lo sapeva; ma son già undici o dodici
anni che sentii raccontare vagamente, che D. Bosco aveva risuscitato un giovane, il quale
si poté confessare e poi morì di nuovo. Allora domandai a qualcuno se sapeva qualche
cosa, e non potei venir in sodo di nulla; pure chi me l'aveva detto asseriva averlo sentito
da D. Ruiiino (huon'anima), e questo riconfermerebhe maravigliosamente n.
15. DON GIOVANNI BONETTI,<< Il giovanetto risvegliato dalla morte » ('m).
Un giovanetto che era solito frequentar l'oratorio di D. Bosco cadde gravemente
ammalato ed in poco tempo trovossi agli estremi di sua vita. I suoi vedendo il grave
pericolo mandarono a chiamar D. Bosco, il quale non trovandosi s caso, non poté andar
suhito, ed il giovane morì senza potersi confessare.
Venuto a casa D. Bosco, tosto gli fu detto che erano stati a cercarlo per quel
giovane che trovavasi in pericolo di morte. Esso parte e va suhito alla casa del moribondo,
ossia del morto. Colà giunto, incontrò un cameriere e tosto gli domanda notizie del
giovane, ma questi dolente gli rispose che era morto. Allora D. Bosco disse ridendo:
ohihò! esso dorme e voi credete che sia morto A queste parole gli altri di casa scoppia-
rono in dirotto pianto dicendo che pur troppo non era più. D. Bosco quasi scherzando
rispose: Giocherei una pinta che non è morto (era figlio di un albergatore), lasciate che
io vada a vederlo. Entra solo nella camera del giovanetto, ed avvicinatosi lo chiama. Era
già avvolto e cucito come si suole dentro un logoro lenzuolo col lume vicino. Dopo
averlo chiama[to] D. Bosco s'accorge che comincia a moversi, perciò nasconde suhito il
lume, quindi con forte tratto d'amhe le mani scuce il lenzuolo, perché restasse libero.
Intanto il giovane quasi si svegliasse da qualche profondo so[n]no, apre gli occhi e vede
D. Bosco. Appena lo conobbe esclama: Oh, D. Bosco! oh se sapesse! ho molto bisogno di
lei. - Di' pure quello che vuoi, disse D. Bosco, sono qui per te. I1 giovane proseguì:
I-Io fatto un sogno che mi ha molto spaventato; sognava di fuggire da molti demoni che
volevano prendermi, già stavano per avventarmisi addosso e precipitarmi nell'inferno,
quando ho sentito lei a chiamarmi. Ora desidero confessarmi, perché da qualche settimana
ho commesso un peccato che non ho ancor confessato. D. Bosco si mise tosto ad ascoltar
la sua confessione. Mostrò in essa vero pentimento, ricevette l'assoluzione e di nuovo spirò.
(108) Quaderno, ms. di Don Gioacchino Beito, che sulla copertina scrisse: « Ms. di
Don Bonetti ». L'episodio è al f. 6r-v; AS 110 Bonetti, 9.
293

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
INDICE DEI NOMI E DELLE MATERIE *
Accornero, Fiavio, saiesiano: 95, 101.
Agostino, santo: 76, 240, 245.
Aigrain, RenB: 235.
Aimé: 240.
Alasia, Giuseppe Antonio: 62 s, 84, 87, 92.
Alasonatti. Vittorio. salesiano: 140. 143.
150, 24'3.
Albera, Paolo, saiesiano: 18, 190, 251.
Alfonso de' Liguori, santo: 27, 46, 52, 54,
63, 65, 79, 81, 88, 93, 98, 158, 192,
194, 238-243, 249, 270.
. Allamano, Giuseppe, sac., servo di Dio:
.9.5. .1.6.8..
Aiiaria, F.: 119.
AUemand.. -Tean.-Ios-e~.h.sac... servo di ,Dio:
107 S.
Allievi, Serafino, sac.: 106.
Alsina, Adolfo; 176.
Amadei, Angelo, salesiano: 9, 35, 164, 187,
269, 272.
Amicizia Cattolica: 52 s, 68, 73.
Amoreuole~xa(Dolcezza): 56, 223 S.
Aneyros, Federico, vesc. di Buenos Aires:
174, 176, 179, 186.
Anfossi, Giov. Battista: 155, 270.
Angelo Custode: 47 s, 89, 111, 236.
Anglesio, Luigi, sac.: 112, 246.
Ansart, Joseph, ttinitario: 240, 242.
Antoine, Gabriel, gesuita: 62.
Anzilotti, Antonio: 54.
Aquarone, Alberto: 53.
Aporti, Ferrante, sac., educatore: 246.
Appendini, Giov. Battista, sac.: 55, 57.
Armonia .(La.):119. 132.
Arnauld, Antoine, giansenista: 86.
Artigiunelli di Torino: 92, 110, 112, 146.
Arvisenet, Clande, sac.: 66, 240.
Aubert, Roger: 31, 45, 51, 54, 136, 147,
165, 168, 170, 192, 238, 257.
Audisio, Guglielmo, sac.: 133.
Auffray, Augustin, salesiano: 20.
Austria, Marianna, imperatrice di: 219.
Avelli.. .T. e F.: 180.
Aymar, Francesco: 42, 50.
Bacci, Pietro Giovanni, iilippino: 240, 279s.
Barié, Ottavio: 14.
Bagnasacco, Francesco, sac.: 50.
Balbo, Cesare: 54.
Baliesio, Giacinto, sac.: 114.
Baiieydier, Alphonse: 240.
Balmes, Giacomo, sac., filosofo: 68, 100,
133.
Banaudi, Pietro, sac.: 43, 47, 55.
Baracco, Giovanni, sac.: 89.
Barbera, Mario, gesuita: 248.
Barberis, Giuiio, salesiano: 77, 117, 119,
153, 162, 164, 171, 174, 177, 1825, 219,
223, 260, 264, 286, 292.
Barbero, Domenico, vesc.: 168.
Barbier, Aiexandre: 70.
Baricco, Pietro, sac.: 112, 119, 89.
Baroio, Giulia Falletti di: 89, 93, 108-111,
113, 189, 197.
Barniel, Augustin, gesuita: 131.
Bascapè, G. C,; 106.
Basso, Carlo Andrea, sac.: 66.
Bayle, Pierre: 72.
Beilannino, Roberto, santo: 101, 239.
Bellia, Giacomo, sac.: 115, 168.
Bellingeri, Gaetano: 111.
Belon, Nicolas, gesuita: 66.
Beltrami, S.: 168 S.
Belza, Giovanni, salesiano: 183.
* I nomi di persona sono dati in tondo; quelli di materia e i nomi di luoghi, in
corsivo. I numeri indicano le pagine.

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Desanctis, Luigi: 119, 237, 239.
Descartes, René: 60.
Desramaut, Francis, salesiano: 13, 30, 35.
37, 41, 50, 64, 76, 84, 184 s, 257 s, 261 s,
2-6-3 ..-i.
Dettoti, Giovanni, sac.: 52 s
Diderot. Denis: 67.
Didon, ~ n d r é :73.
Diesshach, Nicolao de, gesuita: 86.
Dollinger, Ignaz von: 135, 230, 233.
Dominici, Maria Enrichetta, suora, beata:
95, 188, 192, 197, 199.
Donaudi. Gaetano. teatino: 25 S. 84.
Donaudii ~tanisla;, sac.: 54, 66.
Du Boys, Albert: 12 s, 179s, 220, 258 S.
Duc, Auguste, vesc. di Aosta: 153.
Duguet, Jacques-Joseph: 239.
Dupanloup, Félix, vesc.: 246.
Durando, Marcantonio, laizarista, servo di
Dio: 112, 146s, 150-153, 165, 190, 196.
Emmerik, Caterina: 238.
Enria, Pietro, salesiano: 114, 118, 243, 251,
264-266. 269. 283. 286.
Enrietti, ~iampietro;sac.: 62, 88.
Entraigas, Raoul, salesiano: 180.
Esercizi spirituali: 94, 98, 279.
Espiney (8, Charles: 12, 220, 258-260,
266-268, 282 s, 290 S.
Espinosa, Mariano, vesc. di Buenos Aires:
176.
Eucaristia: cf. Comunione, Messa.
Eusehio di Cesarea: 242.
Fagnano, Giuseppe, saiesiano: 177, 180, 186.
Fascie, Bartolomeo, salesiano: 156.
Fassati, Maria: 244, 272-274, 278, 281 s,
289 S.
Favero, Francesco, sac.: 91.
Favini, Guido, salesiano: 227.
Favre, Antonio, sac.: 88.
Fehbraro, Stefano, sac.: 62.
Fenelon, Franrois de Salignac de la Mothe:
16, 245.
Fernessole, Pierre: 165.
Ferrandina, Alfonso, sac.: 119, 247.
Ferrari, Agostino: 239.
Ferraris, Liicio, francescano: 240 S.
Ferrè, Pietro Maria, vesc. di Casale: 164.
Ferrero, Giambattista, sac.: 72.
Ferrero, Innocenzz, card.: 164, 201, 204.
Fierro, Rodolfo, salesiano: 275.
Figli di Maria: 155, 157, 164.
Figlie di Maria: 146.
Figlie di Maria Ausiliatrice: 115, 187-208,
215, 218s, 225, 237, 250, 253.
Figlie di M. Immacolata: 187 s, 192-195,
207.
Filippo Neri, santo: 109, 113,240, 249, 279 S.
Fissore. Celestino. arciv. di Vercelli: 150.
Fleury, Claude: 6Os, 67, 69.71, 92, 230,
240, 245.
Foelio. Ernesto. salesiano: 9.
~o;cina, Anta; Franc., salesiano: 156.
Faresti, Antonio, gesuita: 46, 73 S.
Fossati, Antonio: 27.
Francercani: 17, 45, 175, 178, 224.
Francesco di Sales, santo: 64, 88 s, 108 s,
112, 194, 216, 223 s, 240, 249.
Fuancesco di Sales, Associazione di: 214.
216, 219, 227.
Francesco di Sales, Oratorio: cf. Oratorio.
Francesia Giov. Battista, salesiano: 62.64,
92, 113, 115, 119, 140, 155, 185, 269.
Franchetti, Domenica, sac.: 102.
Franchi, Alessandro, card.: 186.
Franco, Secondo, gesuita: 240.
Fransoni, Luigi, arciv. di Torino: 54, 93,
110s, 119, 139, 145, 163 s, 227.
Frassinetti, Giuseppe, sac., servo di Dio:
94, 155, 157, 165, 187, 192, 195, 213,
227, 238.
Fratelli delle Scuole Cristiane: 15, 105, 139,
141, 232, 245, 264, 269s, 274, 285.
Frayssinous, Denis, vesc.: 67-69, 72, 74, 98.
Frutaz, Aimé Pierre: 102.
Galantuomo (Il): 117, 132 S.
Galietti, Eugenio, vesc. di Alba: 118.
Gallizia, Piergiacinto, sac.: 240.
Gamharo, Angiolo, sac.: 52, 104 s.
Garelli, Bartolomeo: 95, 101.
Garigliano, Gugiielmo, sac.: 48, 59, 77.
Garino, Giovanni, salesiano: 268 s, 270,
7-8-8- C-.
Garnier, A,: 69.
Gastaldi, Lorenio, arciv. di Torino: 11, 13,
55, 115, 150, 153, 156%159, 163s, 190,
196, 205, 217. 219. 223. 244.
Gastaldi, Pietro Paolo, ohlato di M. V,: 168.
Gastini, Carlo: 155.
Gaume, Jean-Joseph, sac.: 190.
Gavarino, Filippo Carlo, salesiano: 156.
Gavazzi, Alessandro: 170.
Gazelli di Rossana, Stanisiao, sac.: 94.
Gazianiga, Pietro, domenicano, 62 S.
Gazzetta (La) del popolo: 48, 121, 139, 202.
Gazzolo, Giamhattista: 180.
Gelabert. Melchiorre. sac.: 66
I-Iurter, Federico: 233.
Hurter, Ugo, gesuita: 63
~ e n t i i e ,Giacomo Filippo, v~sc.di Novara:
163.
Genuino, fratello delle Sc. Cristiane: 281 S.
Gerheron, Gabriel, henedettino: 86.
Gerdil, Giacinto Sigismondo, card., harna-
hita: 238, 240.
Gerini, Giov. Battista: 50, 122.
Gervaise, Fran~ois-Armand: 234, 238, 240.
Gesuiti: 52, 121, 130, 178 S.
Gherzi, Francesco, fratello delle Sc. Cri-
stiane: 281.
Ghilardi, Tommaso, vesc. di Mondovi, do-
menicano: 119, 131 s, 211.
Ghivarello, Carlo, salesiano: 163, 289.
Giacomelli. Giovanni. sac.: 58 S. 77 S.
Giansenismo (Port-Royal): 52 s, 62, 68 s,
73, 84-88, 193, 213 S.
Gioherti, Vincenzo: 60, 83, 86, 90, 110,
133 S.
Giona: 48, 49.
Giordano, Felice, ohlato di M. V,: 83.
Giraudi, Fedele, salesiano: 114.
Girelli, Elisabetta: 194.
Giuiiani (= Giuliano), famiglia: 275-278,
286.
Giulio, Carlo Ignazio: 105, 232.
Giuseppe Flavio: 67.
Giusiana, Giacinto, domenicano: 43.
Gohinet, Charles, sac.: 48, 68, 240, 245.
Golzio, Felice, sac.: 59, 100.
Gonetti, Emanuele, vic. gen. di Torino: 25 S.
Goré. "Teanne Lvdie: 16.
Gousset, Thomas, card.: 239.
Goyau, Georges: 16.
Gozzi, Gaspare: 69.
Granada, Luigi di, domenicano: 46
Grazioli, Angelo, sac.: 92.
Griseri, Giuseppe: 227.
Gregario Magno, santo: 240, 280.
Greeorio XVI: 71. 90. 147 S.
~ r i G l ~, uillanme:' 120.
Guala, Luigi, sac.: 52, 86, 91, 93, 100.102.
Guanella, Luigi, sac., beato: 71, 183.
Guasco di Bisio, Francesco: 272.
Guerrini. Paolo. sac.: 145. 189.
Guiol, ~ l é m m t ;sac.: 12i, 155.
Hazard, Paul: 70, 72.
Henrion, Mathieu: 67, 69.
Huguet, Marc-André, marista: 238, 240.
Iacini, Stefano: 209.
Ignazio di Loyola, santo: 98.
Imitatiane (De) Christi: 67, 75.
Jemolo, Arturo Carlo: 53, 89, 130, 133,
210, 238, 252.
José de S. Miguel y Barco, domenicano: 239.
Kiee, Enrico: 233.
Klein, Giovanni, salesiano: 33, 36 S.
Lacordaire, Henri Dominique, domenicano:
69, 74.
Lacqua, Giuseppe, sac.: 28 s, 31, 34.
Lajeunie, E.-M., domenicano: 64.
Lamé-Fleury, Jules Raymond: 230, 240.
Lamennais, Félicité: 52, 89.
Lana, Alessandro, sac.: 169.
Lamhruschini, RaffacUo: 246.
Lancaster, Giuseppe: 106.
Lancelot, Claude, henedettino: 43, 245.
Lanteri, Pio Brunone, sac., servo di Dio:
52 s, 68, 85.
Lanza, Giovanni, sac.: 88.
La Salle, Jean Baptiste de: cf. Salle.
Lattes: 221 S.
Lazmristi: 112, 165, 175, 177 s, 192, 205.
Lemoine, Rohert, benedettino: 142, 144,
147, 163, 208.
Lemoyne, Giov. Battista, salesiano: 9, 11,
13, 27, 31, 36, 50, 62, 74, 104, 110, 119,
140, 143 s, 146, 150, 152, 155, 164, 184,
187, 190, 199, 220, 243s, 249, 257s,
260-277. 281-285. 288 S.
Leonardo 'da porto Maurizio, santo: 28.
Leone XIII: 119, 165, 207, 219, 243.
Leonori. Costantino: 11. 205. 220. 222.
Leto, ~asilio,vesc. di ~ieiia:'201:
Letture Cattoliche: 88, 91, 117, 121, 169,
. . 191. 195. 214. 217. 223 233 246s. 254.
~ettur; di Famiilia: 89.
Lhomond, Charles-Franqois: 32, 230.
Lizier. Aumsto: 122.
~ o n k i y ,~ i t o n i o :219.
Loriquet, Jean-Nicolas, gesuita: 230 s, 240.
Lortz, Giuseppe; 65.
Losana, Giov. Pietro, vesc. di Biella: 91.
Losana, Matreo, sac.: 91.
Luigi, Gonzaga, santo: 48, 79, 81 s, 98 s, 235,
245, 249.

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Maccono, Ferdinando, salesisno: 187, 193,
197.. 201., 203.
Maccono. Francesco. francescano: 45
Magone, Marianna: 115.
Magone, Michele: 115, 117, 124, 235, 243,
245, 249.
Maloria, Giuseppe M., sac.: 45, 58, 64, 83.
Malvisi, S.: 168.
Mamachi. Tommaso. domenicano: 130.
Manno, Antonio: 4j,50, 119.
ManteUino, Giacomo: 50, u 2 .
Manzoni, Alessandro: 60, 230, 242.
. Marchetti, Giov. Battista, arciv.: 67, 73.
Martelli, Umberto: 163.
Marciihacy, Christianne: 51.
Marengo, Aldo, giuseppino: 91, 109-111, 113,
146, 169.
Margotti, Giacomo, sac.: 71, 132, 141. 254.
Maria d'Arreda: 238.
Maria degz Angeli, carmelitana, beata: 233,
240, 245.
Maria SS.: 46. 55. 74. 81 S.. 89. 98. 101.
116, 160, 184, 2%. '
Maria SS. Addolorata: 35, 89, 143, 242.
Maria SS. Ausiliatrice: 12, 163, 214, 236,
243 s, 255, 259 s, 282.
Maria SS. Consolata (=Consolatrice): 88.
Maria SS. delle Grazie: 43. 47.
Maria SS. Immacolata: 89.
Marietti, Giacinto: 27, 113, 214, 230 s, 240.
Marietti. Pietro: 238.
Marin, ~ i c h e l - ~ n g me ,inimo: 247.
Maristi: 149, 156.
Martano, Teresa; ' 265, 269 s, 287, 289
Mattina, Giacomo, gesuita: 54, 257.
Martini, Antonio, arciv. di Firenze:
231. 234, 238-241.
Martini, ~orenzo: 122.
Massa, Luigi, salsiano: 180.
Massaglia, Giovanni: 169.
Massaja, Giovanni, card. capp., servo di
Dio: 169.
Massara, Enrico, sac.: 210.
Massè. Domenico,. sac..: 133. 257.
Massini, Carlo, filippino: 2'33.
Matera, Luigi, deleg. apostolicd: 179.
Mazzarello. Giuseooe. salesiano: 155.
Mazzarelio; Mari;' Domenica, santa: 187,
190, 193, 195, 197, 200, 203, 208.
Mazzarello. Petronilla. fielia di M. A,: 201.
Mehler, ~ i o v a n n i :219.
Melano, Giuseppe: 102 S.
Mellano, Maria Franca: 119.
Mendre, Loitis, sac.: 13.
Menna, Nicola: 91.
Merla, Pietro, sac.: 113.
Messa: 35, 65, 193, 194.
Meulemeester. Maurizio de. redentorista: 65.
Metastasin, ~ i e t r o :82.
Michelotti, Giov. Francesca, suora, serva di
Dio: 196.
Milanesio, Domenico, salesiano: 177, 180.
Molineris, Michele, salesiano: 41.
Moglia, Anna: 34.
Moglia, Dorotea: 34 s, 37.
Moglia, Luigi Niccolao: 34.
Moglia, Luigi Giov. Batt.: 35, 74.
Moglia, Nicolao, sac.: 41.
Moglia, Teresa: 35.
Mohler, Giovanni: 233.
Moncucco: 34-35, 41.
Montalemhert, Charles de: 89.
Moore, Tommaso: 239.
Moreno., Lu. igi, vesc. di Ivrea: 91, 157, 191 s,
223.
Mornese: 144, 189 s, 192 s, 195 s, 109 s, 202.
Moroni, Gaetano: 240 S.
Morozzo. Carlo. sac.: 111.
Zlottiir3, Giuseppe, sac.: 57.
.\\lotr%ra, Scbssrinnu, iac.: 57.
. hl:irarori. I.udovico Antonio: 70,. 175. 231
Murialdo, Leonardo, sac., santo: 91, 109,
111, 146, 165, 169, 227.
Murialdo Roberto, sac.: 111, 113, 139.
Mureo delle Missioni Cattoliche: 97, 169,
174, 182, 186.
Muzzarelli Alfonso, gesuita: 27.
Namuncurà, Manuei: 177, 179.
Namuncurà, Zefirino, servo di Dio: 179.
Napoleone Bonaparte: 131, 233, 243.
Nasi, Luigi, sac.: 139.
Newmiin. Enrico. card.: 16.
Nicolas, '~uwste': 240.
Nicole, Pierre: 245.
Nicolis di Robilant. Luig-i.. sac.: 35. 45.
63, 85, 93-96, 102.
Nieremberg, Eusehio, gesuita: 68
Nilinse. barone di: 138 S.
Nizza Mare: 80, 124, 258, 260.
Novelli, Giuseppe: 12.
Noviziato: 153, l55 S. 179.
Nuytz, Giov. ~ e p o m i c e n o :131.
Oblati di Maria Ver-aine: 52, 68, 145, 148,
154, 158, 168.
Occhiena, Margherita: 27, 31, 36 s, 39, 50,
114, 231, 243.
Occhiena, Marianna: 28, 40, 115.
Occhiena, Michele: 34.
Oeuvre de la Jeunesse; 147
Olivari, Carlo: 155.
Oiivero, E.: 102.
Omodeo. Adoifo: 54.
Opstraet, Giovanni: 60.
Orntorio Angelo Custode: 92, 96, 107, 110-
112. 114. 139. 169. 279.
0rato;io S: cuore: 94.
Oiatorio S. Franc. di Sales: 96, 107, 111-
119, 124, 195, 243s, 261 s, 279.
Oratorio S. Giuseppe: 96.
Oratorio S. Luigi: 95, 111, 114, 119, 139,
189.
Orarorro S. Martino: 92, 111s, 169.
Orione, Luigi sac., servo di Dio: 250.
Orsi, Gian Bartolomeo, sac.: 26.
Orsières, Jean Martin-Fklix: 89.
Orsoline: 145, 189, 193.
Ortalda, Gius. Antonio, sac.: 169, 261.
Pallavicini, Carlo Emanuele, gesuita 66, 94.
Paolo de' Massimi: 280.
Paravia. Giamhattista: 231. 247.
Parravicini, Luigi Alessandro: 231 S.
Pascal, Biaise: 52, 61, 93, 158.
Passavanti, Jacopo, domenicano: 67 S.
Passerin d'Entrèves, Ettore: 54, 162.
Patagmra: 42, 169, 179, 186, 196, 237.
Patuzzi. Gianvincenzo. domenicano: 93.
Pavesio, Giuseppe, sac.: 82.
Pavoni, Ludovico, sac., servo di Dio: 107,
109, 165.
Pellico, Francesco, gesuita: 52.
Pellico, Giuseppina: 238.
Pellico, Silvio: 94, 230.
Perrone, Giovanni, gesuita: 170, 238, 240,
-74..7.
Perroud, Marc, sac.: 62, 88.
I'ersoglio, Vincenzo, sac.; 215.
Pestarino, Domenico, salesiano: 144, 187 s,
192, 193.195, 199 s, 202, 207.
Petau, Denis, gesuita: 70.
Pettinati, Nino: 11, 50, 106, 189.
Peyrot~,Amedeo, sac.: 112.
Pilati, Carlo Antonio: 136.
Pilla, Eugenio, salesiano: 269.
Pinamonti, Giov. Pietro, gesuita: 81.
Pio VI: 238.
Pio VII: 71.
Pio IX: 30, 31, 45, 51, 54, 71, 90s, 109,
111, 117, 119, 130, 143s, 147, 155, 157,
159, 164s, 170, 174, 192, 211, 319, 233,
238, 243.
Piovano. GiusenA oh e,. sac.: 52. 86. 102.
Pirri, Pietro, gesuita: 52.
Pogliani, Luigi, sac.: 119.
Pogolotti, Alessandro, sac.: 57.
Pomba, Giuseppe: 44, 66, 72.
Ponte, Giuseppe, sac.: 60.
Ponte, Pietro, sac.: 95 s, 110-112.
Port-Royal: cf. Giansenismo.
Poulson, Jorge C,: 182.
Povertd religiosa: 148 S.
Prialis, Lorenzo, sac.: 57.
Propagazione della fede; 88 S.
Protestanti: 109, 170, 233; cf. Valdesi.
Provana di Collegno, Giacinto: 105.
Provana di Collegno, Luigi: 130.
Pugnerti, Vaieriano, sac.: 43.
Quesnel, Pasquier: 53.
Radice, G. 62.
Ravneri. Giov. Antonio. sac.: 112.
252.
Raviola, Vincenzo, sac.: 43, 45.
Redentoristi: 148, 154, 158.
Reffo, Eugenio, sac.: 110, 169.
Rendu, Louis, vesc. di Annecy: 134 S.
Riheri, Pietro, sac.: 90.
Ricaldone, Pietro, salesiano: 11, 18, 241 s,
248.
Riccardi, Antonio, sac.: 56, 76.
Riccardi di Netro, Alessandro, arciv. di
Torino: 107, 150, 191.
Ricci des Ferres, Azelia: 272, 289.
Ricci, Scipione de': 73.
Ricotti, Ercole: 231.
Rigault, G.: 142.
Righetti, Giuseppe, sac.: 66.
Rigoli, Angelo, sac.: 218.
Rinieri, Ilario, gesuita: 52.
Riva, Giuseppe, sac.: 89.
Roberto, Giovanni: 41.
Roca, Giulio: 176, 179.
Rodolico, Nicolò: 104 S.
Rodriguez, Alfonso, gesuita: 240 S.
Rohrhacher, Rent, sac.: 71, 230, 240.
Rollin, Charles: 230, 240, 245.
Romeo. Rosario: 163.
Rosa, Énrico, gesuita: 52, 72.
Rosario di Ma~iaSS.: 28, 32, 35, 169.
Roserot de Meiin, I.: 51.
Rosignoli (= Rossignoli), Carlo Gregorio,
gesuita: 46, 97.
Rosmini, Antonio: 61. 62. 92, 100, 148.
Rossi, ~ a o l o ,sac.: 111, l j 9 .

16.2 Page 152

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Stella 1979. Don Bosco nella storia della religiosittà cattolica. Vol I
Rostaod, Jules: 11.
Royaumont ( = L e Maltre de Sacy, ovu.:
Nicolas Footaine): 231.
Rua, Marianna: 115.
Rua, Michele, beato, salesiano: 18, 118, 140 s,
143 s, 153, 163 s, 243,245,258,260,269 s,
271, 281, 283, 287, 289.
Rubino, Giov. Battista, servo di Dio, oblato
di M. V,: 145.
Ruffino, Domenico, salcsiano: 39, 64, 77, 94,
. 118, 145,. 291.
Ruffini, Francesco: 85.
Rulla, P. A,: 119.
Saccarelli, Gaspare, sac.: 113, 189.
Sacchetti, Giuseppe: 210 S.
Sala, Antonio, salesiano: 250 s, 269, 281 s,
289.
Salle, Jean Baptiste de la, santo: 113, 232.
Salvezza delle anime: 101, 200.
Saluezza eterna: 64 S.
Salzano, Tommaso Michele, arciv., domeni-
cano: 71, 230.
Salvemini, Gaetano: 16.
Sant'Alhioo, Vittorio: 275.
Sapetti, gesuita: 189.
Sardo, Giuseppe; 129.
Santini, Emilio: 74, 100.
Saroglia, Giovanni: 91.
Savart, Ciaude: 223.
Savini, Angelo, carmelitano: 146, 154, 158.
Savio, Angelo, salesiano: 143.
Savio. Domenico. santo: 36. 56., 80.. 82..
99,' 117, 235, 241, 243, 249.
Savio, Pietro: 52, 62, 72, 90.
Schroeteler, J., gesuita: 120.
.. Sciandra, Giuseppe M., vesc. di Acqui: 197,
-7 n"A
Scoppoia, Pietro: 165.
Scrittura Sacra: 75, 99, 238 s, 240 S.
Scupoli, Lorenzo, teatino: 194.
Segneri, Paolo, gesuita: 67, 73 s, 98, 100.
Ségur, Gaston de, vesc.: 214 s, 240.
Seminario di ChierL 51-80, 88, 100, 240.
Seminario d i Torino: 51-55, 151 s, 240.
Serry, Jacques H., domenicano: 52 s
Sfonani, Paolo, scolopio: 242.
S[orzosi, Luigi: 231.
Sihilla, Pio Eusehio, domenicano: 43, 45.
Sineoni, Giovanni, card.: 186.
Simon, Richard, oratoriano: 72.
Sismondo, Giuseppe, sac.: 31, 34.
Soave, Francesco, somasco: 231.
Sobrero, Ascanio: 105.
Società dell'Allegria: 48, 74, 80.
Società di S. Vincenzo de' Paoli: 192, 196,
225, 227.
Sogni di Dan Bosco: 29-31, 41, 76, 117, 139,
161, 169, 203, 244, 283.
Solaro deUa Margarita, Clemente: 130.
Sommervogel, Carlos, gesuita: 66, 230.
Spadolini, Giovanni: 123, 162, 207, 209.
Spanzotti, Giroiamo Vincenzo, sac.: 85, 135.
Speirani, Giulio: 232.
Spini, Giorgio: 119.
Spinola, Martello, card.: 14, 16, 220, 259.
Spriano, Paolo: 119.
Stella, Pietro, salesiano: 46, 52, 62, 68,
85 s, 88 s, 91, 192 s, 231, 236, 239.
Stoppani, Antonio, sac.: 219.
Stramhio, Annibale; 50.
Stricher, Juiien, redentorista: 89.
Suore della Caritd: 129, 205.
Suore di S. Giuseppe: 197.
Suore di S. Anna: 95, 188, 197, 199.
Suore Nuzarene: 196.
Suttil, Girolamo: 155.
Sylvain, R.: 170.
Taparelii d'Azeglio, Luigi, gesuita: 53.
Talamo. Giuseooe: 122.
&.
~amboiini,A,: 183.
Tavella, Roherto, vesc., salesiano: 175-177.
Teppa, Alessandro, harnahita: 246.
Teresa d'Avila, santa: 17.
Ternavasio, Francesco, sac.: 55, 62.
Thomas de Charmes, cappuccino: 62 S.
Timon-David, Joseph, sac.: 246.
Tommaso, santo: 94.
Tiilemont. Louis Le Nain de: 70
Tirinus, jacques, gesuita: 231.
Tomatis, Carlo: 265, 268, 270, 281, 288.
Tomatis, Domenico, salesiano: 178.
Tonelli, J.: 183.
Torricella, Giuseppe: 119, 189.
Tortone. Gaetano. sac.: 150 S.
~ragella;G. B.: i68.
Treuvé, Michel-Simon: 86.
Trivero, Giuseppe, sac.: 91 s, 95, 110 s
Trivier, Charies Louis: 237.
Troya, Vincenzo: 50.
Turchi. Adecdato. vesc. di Parma: 52.
~ y n d a i ,Matteo; 70.
Unitd (L')Cattolica: 119, 171, 186, 209,
243.
Usseglio, Giuseppe, salesiano: 52, 62, 102.
Vaccari, Giovanni, figlio di M. I.: 155.
Valdesi: 117, 191, 201, 236 s, 242.
Valentini, Eugenio, salesiano: 33, 37, 119,
7- 48
Valerio, Lorenzo: 90.
Valfrè, Sehastiano, heato: 240.
Vdimherti, B.; 45, 48, 50, 57.
Valimherti, Placido, sac.: 43.
VaUauri. Tommaso. sac.: 104.
valsalic.& 124 s, 146, 156.
Vaudagnotti, Attilio, sac.: 91, 180s, 192,
196.
Vecchi, Alberto: 53.
Veneruso, Danilo: 50, 162.
Ventura, Gioachino, teatino: 100, 239.
Verri, Carlo, fratello delle Sc. Cristiane, 15,
105
Viancino, Francesco, conte di: 12, 290 S.
Vianney, Giov. Maria, santo: 98.
Viglietti, Carlo M., salesiano: 31, 249.
Vinay, Valdo: 119, 237.
Vincenzo de' Paoli, santo: 113, 192, 220,
242.
Vinzia, Carlo: 279.
Virano, Emanuele, sac.: 40, 41.
Viriglio, A.: 118.
Vittorio Amedeo Il: 104, 122, 131, 138.
Vittorio Em~nnueleI: 26.
Vittorio Emanuele 11: 138.
Vocazione sacerdotale e religiosa: 45, 47.
Vogliotti Alessandro, sac.: 112, 150.
Vola, Giamhattista, sac.: 231.
Vota, Giovanni, salcsiano: 156.
Weher, M.: 19.
Zama-Mellini, Giuseppe, sac.: 46 S.
Zappata, Giuseppe, sac.: 146, 150.
Ziggiotti, Renato, salesiano: 18.
Zini, Luigi: 231.
Zucca, Giovanni: 34, 40.
Zucconi, Ferdinando, gesuita: 67, 73, 75.