Servi dei giovani
Un invito a pregare la Parola di Dio
“Il dono più bello che possiamo offrire ai giovani è la possibilità di incontrare il Signore Gesù; è la proposta di un’educazione che si ispiri al vangelo e che apra ai giovani “la porta della fede”... Ci dedichiamo alla missione “con operosità instancabile, curando di fare bene ogni cosa con semplicità e misura” (Cost. 18), sull’esempio del Signore Gesù che “come il Padre opera sempre” e a imitazione di Don Bosco che si è speso “fino all’ultimo respiro”. Il lavoro apostolico richiede talvolta rinunce, fatiche e sacrifici, che hanno senso se finalizzate a un bene più grande: “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”.1
La missione ci identifica nella Chiesa come consacrati a Dio e ai giovani e “da un a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto” (Const. 3). “Nel compiere questa missione, troviamo la via della nostra santificazione” (Cost. 2). F. J. Moloney ci offre due spunti per una preghiera in cui si contempla che, primo, il servizio ai giovani è innanzitutto, servizio a Cristo e che, secondo, il ministero apostolico è un servizio senza misura.
Il racconto della prima moltiplicazione dei pani ricorda che Gesù sazia la folla presso dalla sua compassione di Gesù e senza badare tanto all’indisponibilità dei suoi discepoli. Solo quando mettano a sua disposizione quel poco che hanno, Gesù farà il prodigio: la scarsità di alimento non è scusa per far mangiare una moltitudine. Per servire la gente i discepoli devono imparare a consegnare tutto, anche se ben poco, a Gesù perché Lui si consegni, tutto, agli altri.
Il ministero apostolico richiede totale consegna di se, come Paolo confida agli inquieti cristiani di Corinto. E per consegnarsi totalmente, l’apostolo deve essere totalmente libero. Per salvare la gratuità del messaggio, il messaggero deve saper rinunciare ai propri diritti, anche ai più nobili ed irrinunciabili. Il suo onore, il suo salario, risiede nel poter lavorare per il vangelo: essere apostolo è compito e ricompensa, affidamento e premio. Predicare non è qualcosa di elettivo, è una necessità di cui non ci si può liberare. Legato irremissibilmente al vangelo, dovrà offrirlo a prescindere dalla sua persona, purché possa guadagnare qualcuno (!) per Cristo.
Gesù sazia la folla: Marco 6:30-44
Introduzione
Il tema del servizio ai giovani, così centrale per la vocazione salesiana, è stato individuato dal Rettor Maggiore come uno dei nuclei tematici per il CG27. Un’attenta Lectio salesiana di Marco 6:30-44 fornisce una base per questo tema. In qualsiasi iniziativa cristiana, il credente deve riconoscere che la “missione” di servizio ha le sue origini in Dio mediante suo Figlio Gesù Cristo. Questo brano parla della riluttanza iniziale dei discepoli a dare cibo alla folla. Gesù li mette in grado di farlo, usando la loro povertà per sfamare una grande moltitudine. Così, il Signore conduce anche noi – che siamo a volte riluttanti – ad assumere la nostra povertà e consegnarla totalmente ai giovani.
Citazione biblica
30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. 31 Ed egli disse loro:
«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’.»
Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. 33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. 35 Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo:
«Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; 36 congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare.»
37 Ma egli rispose:
«Voi stessi date loro da mangiare.»
Gli dissero:
«Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?»
38 Ma egli replicò loro:
«Quanti pani avete? Andate a vedere.»
E accertatisi, riferirono:
«Cinque pani e due pesci.»
39 Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. 40 E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. 41 Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. 42 Tutti mangiarono e si sfamarono, 43 e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. 44 Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. (Marco 6:30-44 CEI)
Commento esegetico-spirituale
Una caratteristica del Vangelo di Marco sono le due narrazioni di Gesù che sfama la moltitudine (Marco 6:30-44 e 8:1-10). Esse giocano un ruolo importante nel modo in cui Marco sviluppa la sua presentazione di Gesù e dei suoi discepoli. Il primo episodio è situato in Israele, dal lato ebreo del lago di Galilea. Tra il primo miracolo e il secondo, Gesù s’imbatte nel rifiuto dei capi d’Israele e denuncia con parole forti i loro atteggiamenti (7:1-23). Lasciando Israele, Gesù va a Tiro e Sidone (vv. 24-30), e poi alla Decapoli pagana (vv. 31-37). Trovandosi ora in una regione pagana dall’altro lato del lago, sfama di nuovo la moltitudine. Non è possibile fraintendere il messaggio di Marco: Gesù, mediante i suoi discepoli, nutre sia il giudeo (6:30-44) che il pagano (8:1-20).
Marco 6:30 chiude l’episodio previo nella storia di Marco, cioè il ritorno dei Dodici inviati in missione (6:7-30), e apre il nostro brano, 6:30-44. Intanto, tra l’invio dei Dodici (vv. 7-13) e il loro ritorno (v. 30) è stata annunciata la morte di Giovanni Battista (vv. 14-29). Questo evento viene inserito nel cuore del resoconto della prima missione dei Dodici per indicare un modello di discepolato: costa niente meno che tutto. Poi, nel v. 30 i Dodici ritornano a Gesù con l’idea di aver compiuto tutto. A Gesù che li ha costituiti (v. 3:14) riferiscono tutto ciò che hanno fatto. La morte di Giovanni Battista, insieme al malinteso dei discepoli circa la vera sorgente di riuscita nella loro missione, è un ammonimento al lettore salesiano che il servizio dei giovani non concerne l’individuo salesiano e i suoi talenti, ma la sua disponibilità a darsi alla missione fino all’ultimo respiro, come ci ricorda la vita di Don Bosco (C 1, 14, 21).
Nel v. 31, Gesù parla ai discepoli, chiedendoli di ritirarsi un po’ e recarsi a riposare in un altro luogo perché “la folla… andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (v. 31b). Gesù e i discepoli lasciano fisicamente un posto e vanno ad un luogo solitario attraversando il lago (v. 32) - ma è tutto invano. L’attrattiva di Gesù è troppo forte. Molti accorrono a piedi “da tutte le città”. Essi sono già lì ad aspettare Gesù e i discepoli quando arrivano (v. 33). Questo entusiasmo della folla contrasta con l’incomprensione dei discepoli. Capita spesso infatti che i discepoli, anche noi salesiani, non riconosciamo il miracolo di essere così vicini al Signore. Ci sentiamo annoiati, semplicemente facendo ciò che dobbiamo fare, inconsapevoli della grande ricchezza che possediamo e che dobbiamo condividere con altri. Rassomigliamo come i discepoli di Gesù nell’episodio.
Al vedere la grande folla, che è accorsa da tutte le parti, Gesù si commuove (v. 34a), e Marco usa l’immagine di “pecore senza pastore” per descrivere i sentimenti di Gesù (v. 34b). Il suo atteggiamento rievoca le parole di Yahweh a Mosé: “perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore” (Num 27:17). Rievoca anche un aspetto essenziale del salesiano, il quale è chiamato ad essere un seguace del Buon Pastore, partecipando alla sua compassione per i più bisognosi, specialmente i giovani (C 27, 95). Man mano che il racconto del miracolo procede, si vedrà Gesù comandare i suoi discepoli a prendere cura anch’essi del gregge (cf. vv. 37-41). Intanto su questo sfondo, Gesù insegna “molte cose” alla folla. Come Mosé, Gesù insegna e anche offre cibo nel deserto (v. 34c).
I discepoli, fragili come sono, additano a Gesù l’ora tarda e l’isolamento del luogo. Chiedono che mandi via la folla per lasciarla comprare qualcosa da mangiare (vv. 35-36). Ma Gesù li invita a partecipare alla sua compassione, comandando loro: “Voi stessi date loro da mangiare” (v. 37a). Chiamati dal Buon Pastore a unirsi a lui nella missione di sollecitudine per i bisognosi, i discepoli avevano scelto una via facile: mandarli via! Ma, come il racconto della morte di Giovanni Battista insegna (vv. 13-29), il discepolo di Gesù deve dare tutto per vivere una vita radicata nel Vangelo: ecco il radicalismo evangelico che sta al cuore della convocazione del CG27.
Vi è un bisogno urgente di sfamare la gente (vv. 36-37). Bisogna prendere cura delle pecore che sono senza pastore. E noi salesiani siamo stati chiamati da Gesù e la Chiesa proprio per questo (C 26, 31). La risposta dei discepoli al comando di Gesù si aggira intorno ai soldi e al pane (v. 37b). È questa anche la nostra strategia: offrire un altro palazzo, un altro programma, più personale qualificato, più attrezzatura costosa e dell’ultimo grido? Gesù invece s’interessa della povertà dei discepoli, non di ciò che possiedono. Essi gli informano che hanno solo cinque pani e due pesci (v. 38). Ciò che possiedono - in questo caso, la mancanza di possedimenti - disturba loro. Ma non disturba il Buon Pastore.
Si chiede alla gente di sedersi “sull’erba verde” (v. 39). Questo dettaglio non è menzionato per aggiungere un po’ di colore. Esso richiama invece il Ps. 23,1: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare.” Continuano i temi del Buon Pastore e dell’Esodo mentre Gesù fa sedere la gente in gruppi di cento e cinquanta (v. 40). I numeri riflettono i gruppi che marciarono nel deserto, come viene descritto nell’Esodo 18:21-25, Num 31:14 e Deut. 1:15. Come ad un popolo dell’Esodo che si trova in bisogno, Gesù dà da mangiare, e chiede ai discepoli di unirsi a loro in quel viaggio inquieto verso il futuro in Dio. Gesù è in controllo, conducendo laddove vuole andare. Né i discepoli né il salesiano di oggi determina la strada (C 31, 34).
Prendendo quel poco che i discepoli hanno con sé, Gesù compie diverse azioni: “presi”, “levò gli occhi al cielo”, “pronunciò la benedizione”, “spezzò i pani e li dava… perché li distribuissero” (v. 41). Queste azioni hanno le origini nelle pratiche eucaristiche primitive della comunità (vedi Marco 14:22). Le parole di Marco ci fanno pensare alle nostre celebrazioni eucaristiche. Un dettaglio da notare è che Gesù dà il pane benedetto e spezzato ai discepoli perché distribuissero alla gente. Nonostante la loro incapacità di capire il loro ruolo di pastore, essi vengono abilitati a unirsi alla sollecitudine di Gesù per i bisognosi.
Il commento: “Tutti mangiarono e si sfamarono” (v. 42) riprende il tema del pastore del Ps. 23:1 (“non manco di nulla”). Continua il collegamento tra il dare da mangiare a cinque mila persone e l’Eucaristia. I discepoli raccolgono i pezzi di pane e di pesce che avanzano, e riempiono dodici ceste. Nella Chiesa primitiva, la parola greca che viene usata qui (klasmata) indicava il pane eucaristico (v. Giovanni 6:12). Viene fatto un legame teologico importante con Israele mediante la collezione delle dodici ceste di pezzi che avanzano. Il pasto condiviso con la folla venuta da tutte le città d’Israele (vedi v. 33) rimane ancora aperto, a differenza della manna dell’Esodo che s’imputridì dopo un giorno (Es. 16:19-21). Il pane dato da Gesù è sempre a disposizione nelle dodici ceste. In questo miracolo, il numero “dodici” è basato sul numero originale delle tribù d’Israele, ora personificate nei “Dodici” di Gesù. Noi oggi siamo i loro eredi, invitati come discepoli di Gesù a partecipare al pasto e attirare altri a questa partecipazione. Questo è il mistero che giace al centro eucaristico della vita salesiana. Là “attingiamo dinamismo e costanza nella nostra azione per i giovani” (C 88).
La Parola di Dio ci insegna che Gesù prende dalla debolezza e povertà dei discepoli di tutti i tempi, e sfama sia il giudeo (6:30-44) che il pagano (8:1-10). Gesù nutre tutto il mondo. Lo sfondo eucaristico lega questo atto di sfamare l’umanità con il mistero e la missione centrale e universale della Chiesa. La presenza continua dei discepoli, la Chiesa cristiana, è chiamata a nutrire i popoli di tutti i tempi. La vocazione salesiana, oramai presente nei quattro angoli della terra e impegnata incondizionatamente e instancabilmente al servizio dei giovani (C 1, 78), trova qui le sue radici evangeliche ed eucaristiche.
Spunti per un’applicazione alla vita e alla preghiera
Riconosci l’importanza delle parole di Gesù: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò” (v. 31)? O ti accorgi che la tua vita salesiana indaffarata considera queste occasioni (cf. C 85-95) una perdita di tempo? Fai di tutto per evitare questi momenti comunitari e personali? Quanto importanti sono per te i momenti di preghiera comunitaria e personale? Senti il bisogno di pregare di più, o chiedi aiuto per questo aspetto della tua vita salesiana?
Il tuo interesse ed entusiasmo per la missione è ancora tanto forte quanto era quando hai iniziato la missione salesiana? Vedi i giovani come coloro che “da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi” (v. 33)? Nella tua riflessione, chiedi al Signore una passione per il servizio dei giovani.
La presentazione di Gesù come il Buon Pastore è diventata un’immagine biblica centrale per la Congregazione e la sua missione. Questo brano evangelico che cosa ti dice di Gesù Buon Pastore e di te che continui la missione del Buon Pastore? Chiedi al Signore una generosità di cuore, un’operosità infaticabile e il coraggio di riconoscere che la tua missione come Buon Pastore ai giovani ti costerà niente meno che tutto (C 95).
Sei tentato a sfuggire alla responsabilità di prendere cura dei bisognosi, inviandoli altrove? Passi a volte troppo tempo, denaro e sforzo per assicurare che abbiamo strutture, organizzazione, possedimenti, preparazione professionale, esperti e altre cose simili (C 77)?
“Voi stessi date loro da mangiare… Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?” (v. 37). Ti accorgi che questa sia una domanda sbagliata? Porta al Signore la tua povertà, e lascia che lui la cambi in un’abbondanza che puoi regalare ai giovani. Rifletti su questo, enumerando gli aspetti più deboli della tua persona e del tuo ministero, e chiedi che essi siano cambiati in servizio per i giovani.
Il dare da mangiare alla folla prefigura il dono dell’Eucaristia. È sempre aperto al mondo (C 7). La tua Eucaristia è la forza motrice del dono di te stesso ai giovani?
La presenza universale dei salesiani in tutto il mondo è in qualche modo eucaristica? Sei parte di questa presenza?
In che modo l’Eucaristia si connette con il dono radicale di te stesso ai giovani? È semplicemente qualcosa che si fa insieme ogni giorno? O significa qualcosa di più a te e alla tua comunità? Cosa ti dice a riguardo della tua missione?
Questa riflessione sulla Parola di Dio ti porta più profondamente dentro il mistero del Buon Pastore che ti chiama ad essere un buon pastore dei giovani, dandoti senza badare alle spese – un po’ come Giovanni Battista - a coloro che hanno più bisogno di te?
Siamo chiamati a diventare Eucaristia e non semplicemente celebrare Eucaristia. Chiedi al Signore il coraggio di vivere la natura eucaristica della tua vocazione salesiana con coraggio e convinzione.
Farsi tutto a tutti: 1 Corinzi 9:1-27
Introduzione
Il nostro primo momento di preghiera e riflessione si è concentrato sull’apprendimento da parte dei discepoli di Gesù dell’arte di donarsi totalmente al popolo (Marco 6:30-44). Completata quella riflessione, passiamo ora all’Apostolo Paolo per partecipare al suo ardore di autentico discepolo di Gesù. Non vi sono limiti al dono di sé da parte di Paolo. Capita che alcuni che lavorano per la diffusione del Vangelo la fanno con buone intenzioni, ma per la loro auto-realizzazione e riuscita personale. Paolo lancia una sfida ai Corinzi – e a noi. La sua non è una strada di privilegio. Per chiunque spende la propria vita nell’essere e farsi tutto a tutti non c’è un limite al dono di sé. Difatti, la nostra vocazione salesiana di servizio ai giovani non conosce limiti: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani” (C 1).
Citazione biblica
9:1 Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? 2 Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore. 3 Questa è la mia difesa contro quelli che mi accusano. 4 Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? 5 Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? 6 Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? 7 E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? 8 Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. 9 Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? 10 Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. 11 Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? 12 Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l'avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo. 13 Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all'altare hanno parte dell'altare? 14 Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo. 15 Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! 16 Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! 17 Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18 Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo. 19 Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: 20 mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. 21 Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. 22 Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. 23 Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro. 24 Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25 Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. 26 Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, 27 anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato. (1 Corinzi 9:1-27 CEI)
Commento esegetico-spirituale
Paolo aveva fondato la comunità di Corinto (v. Atti 18:1-11), ma ora è cosciente di problemi seri in quella comunità immatura. Sono divisi tra loro (1 Cor 1-4. Vedi 1:11); non rispettano l’importanza cristiana del corpo umano (5:1-6:20); vi sono problemi nei matrimoni (7:1-9) e nelle cose sessuali (7:17-40). In una lunga sezione, tratta delle difficoltà che provengono da fuori ad un gruppo minoritario inserito in un mondo pieno di culti pagani (8:1-11:1); tratta anche dell’uso dei doni dello Spirito (12-14). Finalmente, si occupa della questione della risurrezione dai morti (15:1-58). In 9:1-27, nel cuore della sua intensa interazione con la sua comunità, lancia loro una sfida narrando la storia della propria vita. Pregando e riflettendo su questa Parola di Dio, noi salesiani ci lasciamo sfidare da lui ad “essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani” (C 2).
L’ardore di Paolo è un indizio che non tutti hanno una simpatia per lui. Ci sono quelli che pongono interrogative sul suo ruolo tra loro. Non meno di quattordici volte in 7:1-18, egli fa delle domande arrabbiate (vedi vv. 1 [4 volte], 4, 5, 6, 7 [3 volte], 8 [2 volte], 9, 10, 11, 13, 18) per difendere se stesso (v. 3). I Corinzi sono cari a lui, il frutto della sua fatica, un segno davanti al Signore (vv. 1-2). Egli, il loro apostolo, si sente profondamente ferito perché alcuni dubitano di lui. In queste domande feroci si scorge un uomo appassionato che si preoccupa della sua missione nel nome di Gesù Cristo e della comunità cristiana. Solamente in questo modo qualcuno può diventare tutto a tutti. Il salesiano deve essere appassionatamente fiero di essere stato scelto come un apostolo per i giovani; deve vivere la sua vocazione pubblicamente, essere infaticabile nel suo impegno a favore dei giovani, sentirsi ferito quando la sua dedizione viene impugnata da altri, o quando viene tradito dai suoi.
Un apostolo non viene forzato ad assumere la missione, ma fa una risposta libera alla chiamata di Dio (v. 1). L’impegno incondizionato dell’apostolo, però, può portarlo ad uno stile di vita che appare strano al mondo secolare. Paolo liberamente rinuncia ai suoi diritti al cibo e alla bevanda, ad una moglie, ad una retribuzione per il suo lavoro a favore della gente che serve (vv. 4-7). Noi ci uniamo a lui in questi gesti controculturali in e per mezzo di una vita consacrata di Obbedienza, Povertà e Castità (C 60-84). Il salesiano deve dimostrare ai giovani che è un apostolo per loro, non per se stesso. “Basta che siate giovani, perché io vi ami assai… per voi sono disposto anche a dare la vita” (Don Bosco, C 14).
La Bibbia dice che il lavoratore ha diritto a guadagnare qualcosa dalla sua fatica (vv. 8-9, in riferimento a Deuteronomio 25:4), che colui che ara deve ricevere una ricompensa dalla mietitura (v. 10, in riferimento a Ben Sirach 6:19). Anche Paolo può legittimamente domandare un premio come il frutto del suo lavoro tra i Corinzi (vv. 11-12). Ma questo non è il modo di agire di Paolo. Egli è spinto da una passione ardente di diffondere il Vangelo di Cristo. Qualsiasi idea di guadagno personale dalla missione deve essere abbandonata (C 73). La vita di Paolo dimostra che egli vive il Vangelo che predica. I salesiani si uniscono a lui in questo impegno appassionato di vivere il Vangelo senza compromessi, partecipando “più strettamente al mistero della sua Pasqua, al suo annientamento e alla sua vita nello Spirito” (C 60).
Paolo, costretto dall’urgenza divina, non può fare altro: “Guai a me, dice, se non predicassi il vangelo” (v. 16). Non vuole vantarsi delle sue virtù (v. 15), essendovi una sola cosa che gli importa: predicare il Vangelo, spinto da un senso urgente di essere un apostolo del Signore. Egli serve solo il Signore e mai se stesso (vv. 16-17). Il modo più efficace di proclamare il Vangelo è “gratuitamente”, ricavandone nessun beneficio ma formando coloro ai quali si è inviato affinché essi diventino “il sigillo del [suo] apostolato” (v. 2). Per il salesiano, “buoni cristiani e onesti cittadini” sono il segno che stiamo vivendo il Vangelo (C 34-36).
L’apostolo non conosce né leggi culturali o sociali né limiti. Paolo non solo fa senza; diventa lo schiavo di tutti (v. 19): giudeo con i giudei, pagano con i pagani, debole con i deboli. Vi è una sola legge, ed è la Legge di Cristo (vv. 20-22). Vi è una sola meta. Costi quel che costi, l’impegno incondizionato di Paolo è quello di salvare coloro a cui è inviato (v. 22). Se ciò viene fatto nel nome del Vangelo, Paolo si sente ricco delle sue benedizioni (v. 23). Condividiamo questo impegno di Paolo anche noi salesiani, chiamati al servizio della gioventù, specialmente di quella meno privilegiata “che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata,… nei luoghi di più grave povertà” (C 26).
Paolo si volge ai Corinzi, chiedendoli di rinunciare alle loro divisioni e difficoltà meschine che lo hanno spinto a scrivere questa lettera. Ricorda loro che stanno correndo in una corsa per conquistare la corona della loro vittoria finale (v. 24). Non c’è una via facile, non c’è una vita senza sacrificio: ci accorgiamo di trovarci in una corsa e in una lotta, e quindi bisogna agire appropriatamente (vv. 25-26).
Paolo percorre la strada per primo, come deve fare ogni apostolo. Se lui non avesse abbracciato uno stile di vita e fatto un dono appassionato di se stesso a tutti, il suo ministero sarebbe stato in vano. Ciò lo avrebbe squalificato da questo ministero prezioso (v. 27). La cosa che Paolo chiese ai Corinzi, la chiede ora anche a noi: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (11:1), affinché non diventiamo squalificati. La tradizione continua: ogni salesiano continua ad imitare il nostro fondatore e ad incarnare il suo carisma, “imitando la sollecitudine di Don Bosco” (C 27).
Spunti per un’applicazione alla vita e alla preghiera
Senti in te l’ardore di Paolo mentre partecipi al tuo carisma cristiano e salesiano? Comprendi e condividi l’impegno infaticabile di Don Bosco a quel carisma?
Rifletti sulla tua pratica di Obbedienza, liberamente abbracciata come un segno controculturale nella tua vita. Accetti questo aspetto centrale della tua vocazione apostolica con gioia, come parte della tua identificazione con il rapporto tra Gesù Cristo e suo Padre? Esso ti “libera” per servire i giovani senza riserve? A chi sono sottomessi il tuo cuore e la tua volontà?
Rifletti sulla tua Povertà, liberamente abbracciata come un segno controculturale nella tua vita. Accetti questo aspetto centrale della tua vocazione apostolica con gioia, ripetendo la semplicità e la generosità di Gesù, come ha fatto Don Bosco? Esso ti “libera” per servire i giovani senza riserve? Che cosa è più importante per te, le “cose” nella tua vita o i giovani da servire?
Rifletti sulla tua Castità, liberamente abbracciata come un segno controculturale nella tua vita. Accetti questo aspetto centrale della tua vocazione apostolica con entusiasmo e gioia? Esso ti “libera” per servire i giovani senza riserve? Dov’è il tuo cuore, là è anche il tuo tesoro (v. Matteo 7:19): dove sta il tuo cuore?
Quanto importante è la tua posizione nel mondo, nella Chiesa, nella Congregazione? Sei esigente quando si tratta di ciò che vorresti fare con la tua vita e il tuo ministero? Chiedi al Signore di darti generosità ed entusiasmo per compiere qualsiasi compito per chiunque purché sia per i giovani e nel servizio del Vangelo?
Consideri i giovani a cui ti sei dato incondizionatamente come salesiano “la [tua] opera nel Signore” e “il sigillo del [tuo] apostolato nel Signore” (1 Cor 9:1-2)? Oppure giudichi il tuo successo secondo criteri che hanno niente da fare con i giovani a cui sei inviato?
Paolo dimostra una buona comprensione delle esigenze della vita apostolica quando la descrive come una corsa (1 Cor 9:24). Nel mondo secolare vi sono molti che corrono per ottenere il premio del cuore e della vita dei giovani al fine di distruggere la loro spontaneità e bellezza. Noi salesiani entriamo nella corsa nel nome di Don Bosco, e facciamo di tutto per ricevere il premio: corriamo per ottenere la corona imperitura di giovani che sono “buoni cristiani e onesti cittadini” (Don Bosco).
Chiedi al Signore la forza di superare la paura e il dubbio che senti quando sei confrontato dal tuo insuccesso, dalla critica e dai fallimenti altrui. Il coraggio di Paolo nel difendere se stesso e il suo Vangelo (1 Cor 9:1-4) deve esserti di guida in questo.
Sii coraggioso e onesto! Corri a volte senza meta o fai il pugilato come qualcuno che batte l’aria (1 Cor 9:26)? Riconosci gli aspetti della tua vita salesiana che non portano frutto e che spesso fanno sprecare una vita che è stata incondizionatamente e totalmente consegnata al Signore nella Congregazione salesiana per servire i giovani, specialmente i più bisognosi.
Riconosci l’importanza di “imitazione”. Siamo imitatori di Cristo, come era Paolo. Siamo imitatori di Paolo, e imitatori di Don Bosco. Tutto guarda indietro a Gesù Buon Pastore. Riconosci la tua dignità come portatore della Buona Novella ai giovani. Stai correndo in questa corsa per il Vangelo, per partecipare alla sue benedizioni (v. 1 Cor 9:23).
Francis J. Moloney, SDB
1 Traccia di riflessione e lavoro sul tema del CG27, ACG 413 (2012) 65.