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Parte I: Vita di San Giovanni Bosco |
I n cammino con Don Bosco
Sussidio di preparazione al pellegrinaggio dell’urna di don Bosco
Sussidio pratico di preghiera davanti all’urna
Parte I
Vita di San Giovanni Bosco
Introduzione alla prima parte
Profilo biografico di san Giovanni Bosco
Giovannino Bosco (1815-1830)
Scheda per fanciulli e preadolescenti
Il giovane Giovanni Bosco (1830-1841)
Scheda per adolescenti e giovani
Don Bosco e l’inizio dell’Oratorio (1841-1846)
Scheda per giovani-adulti e animatori
Don Bosco fondatore consolida la sua opera (1846-1869)
Scheda di riflessione per educatori e adulti
Don Bosco anziano sostiene la sua opera (1869-1888)
1 Introduzione |
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La finalità principale del Sistema Preventivo ideato e vissuto da don Bosco è senza dubbio la santità. Don Bosco desiderava che i suoi salesiani diventassero santi ed educatori di santi. Domenico Savio dopo aver sentito una predica sulla santità tenuta dallo stesso don Bosco gli scrisse un bigliettino con una frase molto seria: «Mi aiuti a farmi santo». La famosa predica era divisa in tre punti:
Dio vuole che tutti ci facciamo santi.
È molto facile riuscirci.
Per chi si fa santo è preparato un grande premio in cielo.
Se questo era il principale desiderio di don Bosco dobbiamo impegnarci a realizzarlo. Il pellegrinaggio dell’urna di don Bosco ci vuole appunto incoraggiare a seguire l’esempio del santo, per questo motivo abbiamo pensato di realizzare questo sussidio.
La prima parte di questo lavoro racconta gli episodi salienti della vita di san Giovanni Bosco, è divisa in cinque parti, secondo le fasi significative della sua crescita. Avremo quindi la storia di Giovannino Bosco, del giovane Giovanni Bosco, di don Bosco appena entrato nell’età adulta, dell’ormai uomo maturo e, infine, del prete anziano che si prepara ad andare in Paradiso.
Alla fine di ogni racconto, tranne che per l’ultimo, sono inserite delle schede di lavoro che aiutano il lettore a mettere in evidenza alcune delle virtù che il santo ha vissuto in maniera eroica in quella fase speciale della sua vita.
In questo modo il salesiano o l’educatore attento potrà offrire ai bambini, ai ragazzi, ai giovani e agli stessi genitori degli spunti concreti di riflessione che forse li potranno aiutare a vivere più fruttuosamente il passaggio dell’urna nella propria comunità. Le virtù sono pensate a partire dall’esperienza che vive la fascia di età interpellata, per il bambino si parlerà, ad esempio, dell’importanza dell’ubbidienza e della preghiera, per l’adolescente del compiere il proprio dovere e del primato dell’essere rispetto all’avere, per l’adulto dell’unione con Dio.
Le schede vanno lette insieme ai paragrafi del testo e possono essere consegnate direttamente in mano ai ragazzi o ai giovani perché il linguaggio è adatto a loro. Per i fanciulli e gli adolescenti sono organizzate in questo modo:
Presentazione della virtù.
Attualizzazione.
Proposte di impegni concreti.
Le riflessioni per animatori, giovani e educatori partono dal testo e approfondiscono alcune tematiche utili ad intercettare la vita dei lettori, prima propongono l’argomento e poi pongono delle domande di verifica suggerendo in maniera esplicita o implicita alcune linee d’azione.
La loro lettura e il loro impiego possono essere utili, rimangono comunque degli spunti.
Un testo breve ma completo della vita di san Giovanni Bosco inoltre ci sembra già in se uno strumento valido per il lettore. Tuttavia, la fantasia e l’ingegno degli educatori sapranno sicuramente prendere e adattare il materiale di cui c’è bisogno nelle situazioni concrete, è questa la finalità di un sussidio.
Il nostro san Francesco di Sales, d’altra parte, con una analogia a lui cara ci ha raccomandato:
– Facciamo come le api che prendono il meglio da ogni fiore per farne un buon miele.
2 Giovannino Bosco (1815-1830) |
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2.1 Orfano di padre |
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Giovanni Bosco nacque ai Becchi il 16 agosto 1815 da una famiglia di contadini. I Becchi sono una piccola manciata di case a metà strada tra Capriglio e Castelnuovo d'Asti. Il padre di Giovanni si chiamava Francesco e la madre Margherita Occhiena. Francesco aveva sposato Margherita dopo essere rimasto vedovo con un bambino: il piccolo Antonio. La coppia ebbe due figli: Giuseppe e Giovanni. Ad appena due anni d’età il piccolo Giovannino perse il papà colpito da una polmonite. Don Bosco dirà che il primo ricordo della sua vita riguardava proprio la morte del padre: tutti uscivano dalla camera dove Francesco era mancato ma lui non si voleva muovere. Allora la madre gli disse:
Vieni con me Giovanni –. Ma lui rispose:
Se non viene papà io non vengo –. E Margherita:
Povero figlio, tu non hai più un papà!
E insieme piansero a lungo.
Mamma Margherita a soli ventinove anni si trovò da sola a capo della famiglia. Dovette accudire l’anziana madre di Francesco, Antonio, e i due piccoli Giuseppe e Giovanni. Lei però non si scoraggiò, si rimboccò le maniche e cominciò a lavorare.
2.2 Tante cose da fare |
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La vita ai Becchi era piuttosto faticosa: di mattina presto bisognava andare a lavorare la campagna, tagliare l’erba, arare il terreno, seminare e raccogliere il grano. La vigna inoltre richiedeva molta cura, in particolare nel momento della vendemmia. Ma non c’era solo quello da fare! Bisognava pensare alla casa, alla cucina, al bucato, andare al pozzo a prendere l’acqua e, tra le tante altre cose, prendersi cura degli animali e della stalla. Giovannino cresce così, aiutava la madre come poteva: andava a far legna, prendeva l’acqua, sbucciava i legumi, puliva la stalla… quando ancora non era abbastanza forte per lavorare la terra, come faceva Antonio, andava con Giuseppe a portare gli animali al pascolo e, tra una passeggiata e l’altra, giocava nei prati e si impegnava nelle altre faccende.
Quando andava da solo si portava in un fagottino una soffice fetta di pane di farina di frumento: la sua merenda. Nei pascoli lo aspettava un suo amico, lui però per merenda aveva una fetta di pesante pane nero, fatto con farina di polenta e di segala, non certo buono come il suo.
Un giorno, Giovanni porse al compagno il suo soffice pane bianco e disse:
– Prendilo, è tuo.
E tu?
Preferisco il tuo pane nero.
Spesso si incontrava con degli amici delle cascine vicine, non tutti erano dei bravi ragazzi, qualcuno diceva cattive parole e faceva il prepotente. Giocavano insieme ad un gioco chiamato «lippa» che assomiglia molto al base-ball di oggi. Dopo uno di quegli incontri, Giovannino rientrò a casa con la faccia che grondava sangue: il proiettile di legno lo aveva colpito in faccia. Mamma Margherita era preoccupata, e mentre lo medicava gli disse:
– Un giorno o l'altro tu torni a casa con un occhio rovinato. Perché vai con quei ragazzi? Lo sai che qualcuno è un poco di buono.
– Se è per farti piacere, non ci andrò più. Ma vedi, quando ci sono io stanno più buoni.
Mamma Margherita sospirò, e lo lasciò andare.
2.3 Non bisogna dimenticarsi di pregare il Signore |
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Quando nelle sere d’estate, Margherita e i figli, si trovavano all’aperto a raccontare qualche storia, la brava mamma diceva:
– È Dio che ha creato il mondo e ha messo lassù tante stelle. Se è così bello il firmamento, che cosa sarà del Paradiso?
Quando per strada incontravano un prato fiorito:
– Quante belle cose ha fatto il Signore per noi!
Se invece si scatenava un temporale e tuoni e lampi spaventavano tutti, Margherita li tranquillizzava così:
– Quanto è potente il Signore! E chi potrà resistere a lui? Non facciamo peccati!
Giovannino ascoltava, e imparava dalle labbra della madre a rispettare il Signore. In quella casa a mezzogiorno si interrompevano tutti i lavori e si recitava l’Angelus, tre volte al giorno salutavano insieme la madre di Dio. Al mattino, alla sera e prima di mangiare si pregava sempre. Quando i figli andavano nei prati vicini a divertirsi, la mamma raccomandava sempre:
– Ricordatevi che Dio vi vede e che legge anche nei vostri pensieri!
Giovannino se ne ricordava e, anche se qualche volta ne combinava una delle sue, non si scordava mai di ringraziare il Signore. Quando sarà don Bosco racconterà: «Quand’ero ancora molto piccolo, mia madre mi insegnò le prime preghiere. Appena fui capace di unirmi ai miei fratelli, mi faceva inginocchiare con loro mattino e sera. Ricordo che fu lei a prepararmi alla prima confessione».
2.4 Un sogno che cambia la vita |
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La vita del piccolo Giovanni va avanti tranquilla tra lavoro, un po’ di scuola e preghiera. Una notte, diversa da tutte le altre, fece un sogno molto strano. Lo racconterà lui stesso qualche anno dopo:
«A nove anni ho fatto un sogno, che mi è rimasto profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi sembrò di essere vicino a casa, in un cortile molto spazioso, dove stavano raccolti un gran numero di ragazzini che giocavano. Alcuni ridevano, non pochi bestemmiavano. Al sentire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo a loro, usando pugni e parole per farli smettere.
In quel momento apparve un Uomo incantevole, vestito nobilmente. Il volto era così luminoso che non potevo fissarlo. Mi chiamò per nome e mi disse:
Non con le percosse, ma con la pazienza e la bontà dovrai conquistare questi tuoi amici. Spiega subito a questi ragazzi quanto sia brutto vivere nel peccato e quanto invece sia prezioso vivere in amicizia con Dio.
Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante. In quel momento i ragazzi, interrompendo le risse e il baccano, si raccolsero tutti intorno a quell’Uomo che parlava. Quasi senza rendermi conto di quello che stavo dicendo domandai:
– Chi siete voi, che mi ordinate cose per me impossibili?
– Io sono il Figlio di quella Signora che tua madre ti ha insegnato a salutare tre volte al giorno. Il mio nome domandalo a mia Madre.
In quel momento comparve accanto a lui una Donna di aspetto maestoso, vestita di un manto che splendeva come il sole. Vedendomi confuso, mi fece cenno di avvicinarmi, mi prese con bontà per mano e mi disse:
– Guarda!
Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti; al loro posto comparvero un gran numero di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di parecchi altri animali.
– Ecco il tuo campo, ecco dove dovrai lavorare. Renditi umile, forte e robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere a questi animali, tu lo farai per i miei figli.
Girai allora lo sguardo, ed ecco: invece di animali feroci apparvero altrettanti docili agnelli, che saltellando correvano belando, come per far festa, intorno a quell'Uomo e a quella Signora.
A quel punto, sempre nel sogno, mi misi a piangere, e pregai quella Donna di parlarmi in modo chiaro, perché io non capivo niente di cosa mi stesse dicendo. Allora mi mise la mano sul capo e mi disse:
–A suo tempo tutto comprenderai.
Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò, e ogni cosa scomparve. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato e che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti da quei ragazzacci».
Appena si svegliò Giovannino balzò giù dal letto, disse una rapida preghiera e scese di corsa in cucina, dove si trovavano la madre, la nonna, e i due fratelli Giuseppe e Antonio. Non resistette a lungo, e finì per raccontare per filo e per segno il suo sogno. I fratelli, naturalmente, ci fecero sopra matte risate:
– Diventerai un pecoraio! – disse Giuseppe.
–Oppure un capo di briganti! – disse Antonio per farlo arrabbiare.
Mamma Margherita, invece, si fece seria. Guardò il suo bambino intelligente e generoso, e disse:
–Chissà che tu un giorno non debba diventare sacerdote.
Ma la nonna picchiando in terra il bastone con impazienza brontolò queste parole:
–I sogni sono sogni, e non bisogna crederci. E adesso facciamo colazione.
2.5 Voglio studiare! |
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Giovanni avrebbe voluto lasciar perdere ma non era così semplice. Le parole della madre gli ritornavano in mente, in un modo o in un altro le cose che gli aveva detto erano sempre state vere, e poi era da un po’ di tempo che si chiedeva come mai quando vedeva qualche prete, questo non si avvicinava mai a scambiare due chiacchiere con lui.
–Non è giusto! – Pensava –. Io se fossi prete lo farei.
Dopo averci tanto pensato prende una decisione:
–Voglio studiare per diventare prete!
Giovanni, tra un lavoro e un altro, comincia a prendere in mano qualche libro. Aveva fatto solo la seconda elementare come era tradizione dalle sue parti, perché Antonio, non aveva voluto che continuasse le altre classi:
–Non ce n’è bisogno. Basta che sappia leggere e contare.
Diverse volte il fratello maggiore, vedendolo nella pausa del lavoro con il libro in mano, lo sgridò sonoramente, a volte usò anche le mani nel caso le parole non gli fossero bastate. Giovanni, da parte sua, a volte rispondeva, altre volte ingoiava e tirava avanti, cercando di non farsi scoprire. Margherita tentava di mediare per convincere Antonio a lasciarlo studiare, ma non era certo facile, d’altra parte anche lui portava i soldi a casa.
2.6 Il piccolo giocoliere di Dio |
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Tra tutte queste difficoltà, Giovannino ogni tanto ripensava al sogno e questo gli dava la carica per continuare ad impegnarsi sodo. Ne conosceva già diversi di ragazzi simili, vivevano nelle case vicine e nelle cascine sparse nella campagna. Parecchi erano bravi, ma ce n’erano anche di prepotenti, ignoranti e bestemmiatori ne aveva fatto le spese giocando alla lippa… alcuni già erano suoi amici, ma Giovannino voleva fare qualcosa di più, doveva! Gli venne l’idea proprio durante una festa patronale. Decise di «studiare» i trucchi dei prestigiatori e i segreti degli equilibristi. Pagò due centesimi per avere un posto in prima fila nei baracconi. Quei soldi li aveva chiesti alla madre ma lei gli aveva detto:
–Arrangiati come vuoi ma non chiedermi denaro perché già è poco!
E come sempre ubbidì: catturò uccelli e li vendette, fabbricò cesti e gabbie e li contrattò con gli ambulanti, raccolse erbe medicinali e le portò allo speziale di Castelnuovo, finché non raggiunse la somma desiderata.
Tornò a casa e provò anche lui a camminare sulla corda, a far uscire un pollo vivo dalla pentola che aveva bollito sul fuoco... ci vollero parecchi mesi di esercizi, di costanza, di cadute dalla corda, di risate dei fratelli, ma alla fine, lo spettacolo era pronto!
Chiamò tutti i suoi amici, ma non chiese nessun soldo per la sua esibizione, voleva solo che pregassero con lui nell’intervallo e che ascoltassero la predica della domenica che lui aveva imparato con attenzione dal prete in Chiesa. Spesso raccontava anche qualche storia edificante che aveva letto in qualcuno dei suoi libri. Ma non sempre gli spettacoli finivano bene… un giorno Antonio arrivò dalla campagna proprio a metà spettacolo. Buttò a terra la zappa che portava sulla spalla e andò su tutte le furie:
– Ecco il pagliaccio! Il poltrone! Io mi rompo le ossa nel campo, e lui fa il ciarlatano!
Giovanni ingoiò e si spostò duecento metri più avanti.
2.7 Lontano da casa |
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Le cose con Antonio però cominciarono a peggiorare: per aver messo un libro sul tavolo da cucina Giovanni venne riempito di schiaffi. È impossibile continuare così. Un mattino di febbraio, mamma Margherita prese la decisione più dura della sua vita:
– È meglio che vada via di casa. Un giorno o l'altro Antonio potrebbe farti del male.
Gli fece il nome di alcune cascine nelle quali avrebbe potuto lavorare come garzone e, mettendogli un fagottino sotto braccio, lo salutò con tristezza. Arrivò alla cascina Moglia. Rimase un istante in silenzio a radunare il suo coraggio, poi entrò. La famiglia dei Moglia era radunata sull'aia e preparava i vimini per le viti. Inizialmente il Signor Moglia non lo volle prendere ma poi la signora Dorotea, moglie del padrone, si intenerì:
– Prendilo, Luigi. Proviamolo per qualche giorno.
Giovanni si impegnò a fondo, per non essere licenziato: lavorava dall'alba alla sera tardi. Poi, mentre gli altri andavano a dormire, accendeva una candela e continuava a leggere i libri che gli aveva prestato il suo maestro elementare don Lacqua. Anche mentre conduceva i buoi ad arare era capace di tenere un libro in mano. Il vecchio Giuseppe, zio di Luigi, mentre tornava tutto sudato dai campi, vide Giovannino che a mezzogiorno si inginocchiava per recitare l’Angelus:
Ma bravo! Noi padroni lavoriamo e fatichiamo e il garzone prega in santa pace.
Quando c’è da lavorare sapete non mi tiro indietro. Ma mia madre mi ha insegnato che quando si prega, da due grani nascono quattro spighe; se invece non si prega da quattro grani nascono due spighe sole. È meglio quindi che preghiate un po’ anche voi.
Nel novembre 1829 andò a trovarlo zio Michele, fratello di sua madre:
–Allora, Giovanni, sei contento?
–No. Mi trattano bene, ma io voglio studiare, e ho già compiuto 14 anni.
Zio Michele lo ricondusse a casa. Antonio si irritò per quella decisione ma, dopo una vivace discussione, accettò gli studi di Giovanni, a patto che non toccasse pagarli anche a lui.
2.8 Don Calosso un padre spirituale |
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Intanto nel settembre del 1829 si era stabilito a Morialdo il cappellano don Giovanni Calosso, un anziano sacerdote di 70 anni molto affabile e paterno. Appena rientrato a casa, quello stesso novembre, furono organizzate a Buttigliera delle predicazioni da parte di alcuni missionari. Giovanni per imparare qualcosa da raccontare ai suoi amici ritrovati ci andò, ma al ritorno, con sua grande sorpresa quel sacerdote anziano dalla faccia buona si avvicinò:
–Di dove sei, figlio mio?
–Dei Becchi. Sono stato alla predica dei missionari.
–Chissà cos'hai capito con tutte quelle citazioni in latino! Forse tua mamma ti avrebbe potuto fare una predica migliore.
–È vero, mia madre spesso mi fa delle buone prediche. Ma mi pare di aver capito anche i missionari.
–Bravo! Allora facciamo così: se mi dici quattro parole della predica di oggi, ti do quattro soldi.
Giovanni iniziò a raccontare al cappellano l'intera predica, come se leggesse un libro. Don Calosso si meravigliò moltissimo, e domandò:
–Come ti chiami?
–Giovanni Bosco. Mio padre è morto quando ero ancora bambino.
–Che scuola hai fatto?
–Ho imparato a leggere e a scrivere da don Lacqua, a Capriglio. Mi piacerebbe studiare ancora, ma il mio fratello più grande non ne vuole sapere, e i parroci di Castelnuovo e di Buttigliera non hanno tempo per aiutarmi.
–E perché vorresti studiare?
–Per diventare prete.
–Di' a tua mamma che venga a trovarmi a Morialdo. Forse potrò darti una mano io, anche se sono vecchio.
Margherita non perse tempo e andò a parlare con don Calosso. Decisero di far andare a vivere Giovanni nella casa canonica durante il giorno, dove avrebbe potuto più facilmente seguire le lezioni, fare i compiti assegnati, e studiare. Don Bosco stesso racconterà: «Mi misi subito nelle mani di don Calosso. Gli feci conoscere tutto me stesso, gli raccontai ogni parola, ogni pensiero. Imparai allora che cosa voglia dire avere una guida stabile, un amico fedele dell'anima, di cui fino a quel tempo ero stato privo. Mi incoraggiò a frequentare la confessione e la comunione, e mi insegnò a fare ogni giorno una breve meditazione. Nessuno può immaginare la mia contentezza. Amavo don Calosso come un padre, lo servivo volentieri in tutte le cose. Quell'uomo di Dio mi voleva veramente bene».
2.9 Don Calosso se ne va |
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Giovannino era felice, finalmente poteva fare quello che aveva sempre desiderato, in più aveva trovato il padre che non aveva mai avuto, anche se mamma Margherita non gli aveva mai fatto mancare nulla. Ma un giorno, l’anziano prete, mandò Giovanni a fare una commissione da alcuni parenti. Appena arrivato a casa vide arrivare una persona che gli disse con ansia:
–Presto Giovanni! Torna subito da don Calosso! È stato molto male e vuole vederti subito.
Si precipitò immediatamente in canonica dove lo trovò a letto morente, fece in tempo a sorridergli un ultima volta e, dopo poche ore di agonia, morì.
La morte di don Calosso fu un brutto colpo da superare per Giovanni, piangeva in continuazione e nessuno riusciva a consolarlo. Tutto gli parlava di lui, perfino di notte lo accompagnava una profonda tristezza. Mamma Margherita decise di mandarlo in vacanza dai nonni per un po’ di tempo, ma al suo ritorno avrebbe dovuto riprendere a lavorare, Antonio era stato chiaro in proposito. In quel periodo Giovanni raccontò di aver fatto un altro sogno: «Vidi una persona che mi sgridava severamente, perché scoraggiarsi in quel modo significava aver avuto più fiducia in un uomo che in Dio».
2.10 Finalmente libero! |
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Al suo ritorno ancora una volta Margherita intuì la cosa migliore da farsi. Decise di dividere i beni tra Antonio e il resto della famiglia. Questo richiedeva alcune pratiche lunghe da sbrigare, ma ne valeva la pena e Giovanni poté sentirsi finalmente libero di andare a studiare. Nel Natale del 1930 entrò nella scuola pubblica di Castelnuovo. Ormai non era più Giovannino, aveva 15 anni! Aveva lavorato e sofferto e si preparava ad impegnarsi ancora negli anni della sua gioventù.
S cheda di riflessione
per fanciulli e preadolescenti
2.11 Cos’è una virtù? |
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Scommetto che tante volte hai sentito parlare di virtù! E scommetto anche che non sei sicuro di sapere esattamente di cosa si tratta. Facciamo una prova.
Quando si dice che un ragazzo è virtuoso spesso si intende dire che quel tipo è in gamba e che ha tante qualità, e in effetti le virtù possono essere intese come delle buone qualità. Ma in realtà sono qualcosa di più. Probabilmente nella scuola che frequenti ti avranno parlato di un voto speciale che i tuoi insegnanti ti daranno alla fine dell’anno che serve a valutare quanto ti sei comportato bene e quanto hai fatto bene il tuo dovere: il voto in condotta.
Perché si chiama voto in condotta e non voto di comportamento? Perché si dà alla fine dell’anno? È facile! Perché la parola condotta ha un significato diverso dalla parola comportamento. Il comportamento è un azione che fai una volta sola. Se per una volta sola la tua insegnante ti sgrida, non ti daranno un brutto voto in condotta solo per quell’occasione, ma valuteranno come ti sei comportato durante tutto l’anno. La condotta è invece l’insieme di una serie di comportamenti che sei abituato ad avere. Se sei abituato ad ascoltare quando ti parla un adulto, la tua condotta sarà educata. Quell’abitudine educata che hai ti aiuterà a comportarti bene e in maniera educata ogni volta che un adulto ti parla anche fuori dalla scuola.
Ecco cosa sono le virtù!
Sono delle buone abitudini che ti sforzi di acquisire
per comportarti nella maniera giusta in tutte le situazioni che incontrerai.
Facciamo degli esempi.
Se ti sforzi di abituarti a pregare perché sai che è bello ringraziare il Signore al mattino e alla sera, consoliderai la virtù della fede, e quando sarai grande la potrai approfondire; se ti sforzi di abituarti a fare quello che i tuoi genitori e i tuoi educatori ti consigliano perché sai che quello che ti dicono ti serve a migliorare, conquisterai pian piano la virtù dell’obbedienza, e quando sarai grande ti sarà molto utile; infine, se ti sforzi di non tenere tutte le cose che hai solo per te e invece cerchi di condividerle con i tuoi amici perché sai che diversamente diventeresti un egoista, pian piano conquisterai la virtù della generosità, e quando sarai grande sarai un uomo generoso.
Per diventare grandi bisogna avere tante virtù. Giovannino Bosco lo aveva capito bene, ecco perché è diventato il grande don Bosco che tutti ammiriamo. Se da piccolo non si fosse impegnato a conquistare tante virtù forse non sarebbe riuscito a diventare santo.
Allora cosa aspettiamo? Anche noi possiamo imitarlo. Dopo aver letto o ascoltato la sua vita proviamo a riflettere su alcune delle virtù più belle che ha conquistato e poi sforziamoci di imitarlo.
Ne abbiamo scelto cinque: obbedienza, generosità, fede/preghiera, fiducia e il desiderio di far bene il proprio dovere. Per ognuna di esse troverai la presentazione della virtù che ti spiega come e quando Giovannino Bosco l’ha vissuta; l’attualizzazione che ti suggerisce come viverla oggi; la realizzazione che ti propone alcuni impegni concreti per realizzarla e ti farà alcune domande per verificare se prima d’ora ti sei impegnato veramente per conquistarla.
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Presentazione |
Leggi i paragrafi: “Tante cose da fare” e “Lontano da casa”. La vita ai Becchi era piuttosto faticosa, ma Giovannino non si tirava mai indietro. Quando la madre gli chiedeva di prendere l’acqua o di portare al pascolo gli animali non si lamentava mai. Ubbidiva perché capiva che era importante dare retta alla madre. Se non avesse preso l’acqua non avrebbero bevuto a cena e, se non avesse portato gli animali al pascolo, questi non avrebbero mangiato. Quando Giovannino lavorava nella cascina dei Moglia si comporta come aveva imparato a casa: ubbidiva sempre ai padroni e faceva bene tutte le cose che loro gli chiedevano, anche se gli costava molta fatica. Per questo si fidavano ciecamente di lui. |
Attualizzazione |
Anche oggi i tuoi genitori ti chiedono di collaborare in famiglia, ci sono tante piccole cose da fare. Obbedendo alle loro richieste ti abituerai a fare bene il tuo dovere e loro saranno più contenti. Si fideranno di te. |
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Realizzazione |
Quando i genitori o i tuoi educatori ti chiedono di fare qualcosa, la fai subito oppure ti rifiuti sempre? Ti sei mai chiesto perché ti viene chiesto di fare qualcosa? Impegno: Scegli una cosa che normalmente ti viene chiesto di fare e che non ti piace e sforzati di farla senza lamentarti. |
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Presentazione |
Leggi i paragrafi: “Tante cose da fare” e “Il piccolo giocoliere di Dio”. Giovannino scambiava il suo pane bianco con il pane nero dell’amico. A lui non piaceva affatto quello nero, ma l’amico non se ne accorse mai. Si era reso conto che era più bisognoso di lui e voleva fare qualcosa per renderlo più felice, non teneva per se ciò che aveva di buono. Quando Giovannino si accorse che molti suoi amici non erano buoni, decise di fare qualcosa per loro: si impegnò ad imparare i trucchi dei giocolieri e si esercitò duramente. Donò tanto tempo per prepararsi bene perché le belle cose che aveva imparato dalla madre e in Chiesa potessero essere date anche a loro. |
Attualizzazione |
Anche oggi i tuoi amici hanno bisogno di te. Forse tu hai qualcosa che loro non hanno e che gli farebbe bene. Possono essere i tuoi giochi più belli, il tuo tempo per aiutarli nello studio, la tua amicizia… |
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Realizzazione |
Quando qualcuno ti chiede in prestito qualcosa a cui tieni molto come reagisci? Sei disponibile ad aiutare chi è in difficoltà o fai finta di niente? Impegno: Pensa a un atto concreto di generosità che potresti fare e che normalmente non fai mai e sforzati di farlo almeno una volta. |
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Presentazione |
Leggi i paragrafi: “Non bisogna dimenticarsi di pregare il Signore” e “Lontano da casa”. Giovannino aveva imparato dalla madre a pregare il Signore ogni giorno e a ricordarsi di Lui in ogni momento della giornata. Anche quando la madre non c’era, lui si ricordava sempre di pregare perché capiva quanto fosse importante. Quando sarà lontano da casa avrà il coraggio di testimoniare la sua fede anche con il vecchio zio di Luigi Moglia che lo prendeva in giro. |
Attualizzazione |
Anche oggi i tuoi genitori e i tuoi catechisti ti insegnano a pregare. Il Signore ti ha donato la vita, è giusto trovare almeno 5 minuti per ringraziarlo. |
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Realizzazione |
Ti ricordi di salutare il Signore al mattino quando ti svegli e alla sera prima di addormentarti? Hai il coraggio di pregare anche di fronte ai tuoi amici? Impegno: Ogni sera, prima di addormentarti, esamina la tua giornata. Chiedi perdono al Signore del male commesso e ringrazialo delle cose belle che ti ha regalato. |
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Presentazione |
Leggi i paragrafi: “Voglio studiare” e “Don Calosso un padre spirituale”. Giovannino ha sempre in mente i consigli della madre perché si fida di lei. Sa che tutte le volte che gli suggerisce qualcosa lo fa perché gli vuole bene e perché ha tanta esperienza in più di lui. Giovannino si affida a don Calosso che gli insegna a studiare e a pregare il Signore con più profondità. Non fa di testa sua ma prima di fare qualcosa vuole sempre sentire il suo parere. |
Attualizzazione |
Anche oggi i tuoi genitori, il tuo confessore e i tuoi insegnanti ti suggeriscono tante cose. Loro hanno tanta esperienza in più di te e quando ti dicono qualcosa lo fanno per il tuo bene. |
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Realizzazione |
Metti in pratica i consigli dei più grandi che ti vogliono bene? Fai sempre di testa tua? Impegno: Prova a mettere in pratica quel consiglio che ti ripetono sempre e che tu non vuoi seguire mai. |
Far bene il proprio
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Presentazione |
Leggi i paragrafi: “Voglio studiare” e “Lontano da casa”. Giovannino si impegna a fondo nel compiere bene il suo dovere, capisce che se vuole diventare prete il suo dovere è studiare. Quando è lontano da casa fa bene il suo dovere senza che gli altri lo preghino perché capisce che è importante. |
Attualizzazione |
Anche oggi sei invitato a fare il tuo dovere: per prima cosa lo studio e l’obbedienza ai tuoi genitori, poi dare una mano in famiglia ed essere onesto e sincero con tutti. |
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Realizzazione |
Trovi mille scuse prima di fare il tuo dovere? Impegno: Sceglilo tu! In cosa concretamente potresti migliorare? Scrivitelo, così te lo ricorderai. |
3 Il giovane Giovanni Bosco (1830-1841) |
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3.1 La fatica del proprio dovere |
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Per Giovanni lo studio non è stata una cosa dovuta, un percorso già definito che lo avrebbe facilmente condotto alla meta. Ha dovuto faticare moltissimo, innanzitutto col fratello, ma non solo. Dopo la divisione del patrimonio familiare, Giovanni decise con la madre di frequentare le scuole pubbliche più vicine: quelle di Castelnuovo a 5 km di distanza. A quel tempo non passava la corriera ogni mattina quindi, ogni giorno, bisognava farsi 10 Km a piedi che spesso diventavano 20 per via dei rientri a casa per il pranzo. Giovanni era stato l’idolo dei ragazzi di Morialdo e Moncucco, adesso si trovava in una classe unica con ragazzini di dieci, undici anni che naturalmente lo prendevano in giro per i suoi vestiti poveri e la sua età. Per fortuna troverà come insegnante don Virano che dopo aver letto un suo tema sentenziò così:
– Chi fa dei temi così, può anche permettersi di portare delle scarpe da vaccaro. Perché ciò che conta nella vita non sono le scarpe – magari firmate diremmo oggi! –, ma la testa.
Durante l’inverno, però, non poteva certo fare avanti e indietro con la neve e il freddo della campagna piemontese, quindi Margherita, chiese al Signor Giovanni Roberto, sarto, di prendere il figlio a pensione completa: un piatto di minestra e un sottoscala per dormire!
In quel primo anno di studi Giovanni dovette fare i conti con alcuni compagni poco raccomandabili: volevano portarlo a giocare d’azzardo durante la scuola. Lui diceva di non avere denaro ma uno di quelli gli disse:
– È ora che ti svegli e che impari a vivere in questo mondo! Se vuoi procurarti del denaro rubalo al sarto o a tua madre.
Ma Giovanni non era certo il tipo che si lasciava confondere le idee quando c’era da fare il suo dovere e, soprattutto, non permetteva mai che fossero i cattivi compagni a decidere per lui! Era perseverante e anche un po’ testardo quando si trattava di fare il bene. L’atteggiamento di Giovanni fu d’esempio per tutti e, anche lì, cominciarono a stimarlo.
3.2 Sempre difficoltà |
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In breve tempo si fece stimare per quello che era e non per quello che poteva apparire dai suoi vestiti. Il signor Giovanni Roberto era uno dei sarti di Castelnuovo e un buon cantante di musica sacra e profana. A casa aveva una spinetta, un vecchio strumento musicale a tastiera simile ad un clavicembalo, che Giovanni, sotto la sua guida, incominciò a suonare. Nel tempo libero si esercitava con filo e bottoni ottenendo poi ottimi risultati. Per pagare libri e studi andò ad imparare a lavorare il ferro dal fabbro Evasio Savio. Una quindicina di anni dopo, quando sarà don Bosco, farà fruttare i talenti che il Signore gli aveva dato e che lui a sua insaputa stava sviluppando: insegnerà a leggere e a scrivere ai ragazzi poveri, canterà con loro musica sacra e aprirà laboratori dove, lui stesso, sarà il primo maestro.
Ma le cose non vanno sempre per il verso giusto. Il buon don Virano venne nominato parroco di Mondonio e ad aprile lasciò la scuola, il suo successore, il settantacinquenne don Moglia, lo farà soffrire molto. Senza volerlo non capirà l’ingegno di Giovanni e, non riuscendo a gestire la disciplina della classe, arriverà anche ad incolpare lui di tanto baccano:
– Cosa vuoi capire tu di latino? Ai Becchi crescono solo grossi somari!
Sentito questo, il rispetto che si era guadagnato presso i suoi compagni fu subito dimenticato e incominciarono giorni di sofferenza che lo stesso don Bosco, quando scriverà le sue memorie, ricorderà solo brevemente per non colpevolizzare l’anziano don Moglia. Il tempo passava e le cose non accennavano a migliorare così, Giovanni e Margherita, decisero di tentare l’iscrizione alla più complicata scuola di Chieri.
Per prepararsi a questo passo, durante l’estate, studiò intensamente. Giuseppe e Margherita si erano trasferiti in una cascina al Sussambrino dove lavoravano con il signor Febraro. Anche lui doveva contribuire e, come ai vecchi tempi, mentre portava gli animali al pascolo ripassava il latino.
Per andare a Chieri bisognava però comprare abiti, scarpe e libri. Da bravo atleta riuscì a guadagnarsi 20 lire all’albero della cuccagna durante la solita festa patronale, anche qui, le fatiche sulla corda per far divertire e pregare i suoi compagni gli erano servite! Ma non potevano certo bastare. Dovette affrontare l’umiliazione di andare a chiedere l’elemosina in giro per le case:
– Sono il figlio di Margherita Bosco. Vado a Chieri a studiare per diventare prete. Se potete, aiutatemi.
Margherita aveva sempre un po’ di polenta o di minestra per tutti i poveri del vicinato, e tutti sapevano che su di lei potevano contare anche a costo di togliere una pietanza ai figli, adesso era lei in difficoltà. L’aiuto arrivò, e anche il parroco di Castelnuovo, don Dassano, venuto a conoscenza della necessità, raccolse una piccola somma e la mandò a Margherita. Inoltre, le fece incontrare la signora Lucia Matta che si stava trasferendo a Chieri per assistere il figlio studente: si misero d’accordo per far stare Giovanni con loro per 21 lire al mese. Non potevano pagare tutto, allora Giovanni si offrì di aiutare in casa per i lavori domestici. In seguito, la signora Lucia si fiderà così tanto di lui da affidargli lo studio del figlio fannullone che in sei mesi, col suo aiuto, tornerà ai sacramenti e a soddisfare i professori. Fu così felice che gli condonò la pensione.
3.3 Tre classi in un anno |
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A Chieri fu inserito nella sesta classe, pressappoco l’attuale prima media italiana, aveva già sedici anni compiuti. In quella si trovò così bene che in due mesi, visti gli ottimi voti, venne ammesso all’esame per passare alla classe successiva. Lo superò brillantemente e iniziò a frequentare la quinta, all’epoca l’ordine delle classi era decrescente. Trovò come insegnante don Valimberti che già era diventato suo amico e consigliere. Dopo appena altri due mesi fu ammesso all’esame per passare alla quarta che, anche in questo caso, superò a pieni voti. In quella classe era professore Vincenzo Cima, uomo severo e competente che, vedendosi arrivare il nuovo alunno a metà anno, commentò:
– Se hai buona volontà, sei in buone mani. Non ti lascerò perdere tempo. Se hai difficoltà, io ti aiuterò.
E così fu. Giovanni non perse tempo e in quell’anno recuperò gran parte degli studi arretrati.
3.4 La società dell’allegria |
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Durante l’anno di studio Giovanni si trovò di fronte diverse categorie di ragazzi. Al solito quelli poco raccomandabili, alcuni indifferenti e altri molto buoni. Come era abituato a fare passava tempo con i più in gamba, rifiutando le proposte dei cattivi. Ma i cattivi normalmente sono anche quelli che studiano di meno e, a poco a poco, iniziarono ad andare da Giovanni a farsi fare i compiti. Lui inizialmente li accontentò poi, sotto consiglio del professore, fece in modo che potessero capire quello che copiavano e che imparassero da soli a studiare e a risolvere i problemi. La sua reputazione migliorò notevolmente e i ragazzi che prima sembravano cattivi in realtà, quando stavano con lui, non lo erano più. Cominciarono a incontrarsi non solo per studiare ma anche per divertirsi e sentire le sue storie. Fondarono una società con un regolamento condiviso che chiamarono Società dell’Allegria:
1. Non fare nessuna azione che non sia degna di un bravo cristiano.
2. Fare con precisione il proprio dovere scolastico e religioso.
Intanto Giovanni incontrò un bravo prete, il canonico Meloria, che lo invitò a frequentare spesso i sacramenti, cosa per quel tempo straordinaria. Lui lo fece e più tardi dirà:
– Se ho avuto la forza di non farmi trascinare dai compagni peggiori lo devo ai miei frequenti incontri col Signore.
In poco tempo diventò il capitano di un piccolo esercito. Una domenica venne un giocoliere, all’epoca chiamato saltimbanco, con l’intenzione di esibirsi prima della Messa proprio vicino alla Chiesa. I compagni erano naturalmente più interessati a lui che alle funzioni sacre. Giovanni lo sfidò in diverse discipline in cui il saltimbanco era sicuro di stravincere, ma aveva fatto i conti senza la grinta dell’avversario. Dopo averlo sconfitto sonoramente gli restituì il denaro in cambio del suo allontanamento, in questo modo non avrebbe più distratto i suoi compagni dal compiere il loro dovere.
3.5 Un amico vero |
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Giovanni fu ammesso alla seconda classe, chiamata la classe di umanità. Il figlio della signora Lucia aveva finito gli studi perciò dovette trovare un’altra pensione. Un amico di famiglia, un certo Giovanni Pianta, aveva appena aperto un caffè a Chieri e lo invitò a stare con lui. Naturalmente in cambio doveva lavorare sodo e così, Giovanni, imparò anche a fare il barista. Dopo la classe di umanità iniziò a frequentare la prima, chiamata classe di retorica, corrispondente alla quinta ginnasio del liceo classico. In questa incontrò Luigi Comollo, nipote del parroco di Cinzano. Luigi era un ragazzo molto buono che in più di un’occasione aveva dimostrato, di fronte alle prepotenze di alcuni compagni più grandi, di saper restare fermo nel bene senza vendicarsi o reagire. Non era il classico secchione o «soggetto» della classe, ma uno di quei ragazzi che quando vedi dici:
– È proprio un bravo ragazzo!
Naturalmente alla maleducazione e alla cattiveria non c’è nessun limite per cui Giovanni, in più di un’occasione, si sentì in dovere di difenderlo non solo a parole ma anche usando le mani, ed era ben esercitato per farlo. Proprio dopo uno di questi episodi nacque un’amicizia più profonda:
– Giovanni – gli disse Luigi –, la tua forza mi spaventa. Dio non te l’ha data per fare del male ai tuoi compagni. Vuole che ci perdoniamo e che rispondiamo al male con il bene.
Giovanni finì per arrendersi alle sue parole e seguire i suoi consigli. Gli anni seguenti, in seminario, avrebbero rinforzato la loro amicizia.
3.6 Parole pesanti come macigni |
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Al termine della classe di retorica, Giovanni doveva decidersi seriamente. Cosa fare della sua vita? Oggi diremmo: «nell’ultimo anno della scuola superiore devi avere le idee chiare o studi o lavori. Cosa studi? Dove lavori?».
Giovanni desiderava diventare prete ma aveva paura. In quel tempo non tutti i preti vivevano in maniera evangelica, diversi erano immischiati nella vita ordinaria tanto da dimenticare quella spirituale e la cura dei giovani e delle anime. Per studiare ci volevano soldi che non aveva. Pensò allora di risolvere il problema vivendo in convento lontano dal mondo, i francescani gli avevano già risposto positivamente. Il parroco don Dassano, saputolo, lo scoraggiò dal fare questa scelta e appena poté si confrontò con Margherita dicendole tra le altre cose che, se si fosse fatto frate, non avrebbe avuto i soldi per sostenerla in futuro. Questa, anche se non più giovanissima, si mise lo scialle sulle spalle e andò decisa a Chieri a parlare col figlio. Se Giovanni a 70 anni ancora si ricordava quelle parole vuol dire che lo colpirono a fondo:
– Sentimi bene, Giovanni. Io voglio che ci pensi con calma. Quando avrai deciso segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. Tieni presente che la cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che ti facessi cambiare idea perché in futuro potrei avere bisogno di te. Ma ricordati che tua madre in queste cose non c’entra. Dio viene prima di tutto, anche prima di me. Da te non voglio niente, non mi aspetto niente perché sono nata povera e povera voglio morire. Anzi, te lo dico chiaro: se diventassi prete e per disgrazia diventassi ricco, sappi che io non metterò mai piede in casa tua. Ricordalo bene!
Giovanni era ancora confuso, un sogno forse profetico come quello fatto a nove anni gli fece capire che in convento non avrebbe avuto pace. Ma per non dare retta solo a un sogno chiese consiglio all’amico Luigi Comollo che gli disse di scrivere allo zio prete, quest’ultimo gli suggerì di entrare tranquillo in seminario. Evasio Savio raccomandò a Giovanni di andare a parlare con don Cafasso, un giovane prete di 23 anni che perfezionava i suoi studi teologici al Convitto Ecclesiastico. Questi studi possono essere paragonati ad una laurea specialistica nelle materie che si studiano per diventare bravi preti. Dopo l’ordinazione anche don Bosco frequenterà questi corsi. Giovanni fu molto impressionato dalla calma e dalla profondità di quel giovane sacerdote tanto che, quando sarà più grande, lo sceglierà come direttore spirituale. Don Cafasso equilibrava il temperamento focoso di don Bosco e lo guidava nel fare le scelte giuste. Ma la più bella qualità di Giovanni fu la capacità di chiedere consiglio, di lasciarsi guidare, di non voler fare da solo, fu la sua carta vincente che fruttò sempre ottimi risultati.
3.7 Un inconveniente provvidenziale |
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Presa la decisione, Giovanni indossò l’abito dei chierici. Gli fu consegnato durante una messa solenne dal parroco di Castelnuovo don Cinzano. Da quel momento sarebbe cambiato tutto, indossare quell’abito significava anche cambiare vita: togliersi i vestiti e le abitudini del giovane che era stato fino a quel momento e rivestirsi dell’abito e delle abitudini di un uomo nuovo.
Giovanni si preparò per bene e prese la cosa molto seriamente, ma subito dopo la vestizione il parroco lo invitò ad accompagnarlo ad una festa patronale, anche con la scusa di festeggiare questo suo passo. Così, dopo settimane di raccoglimento per prepararsi alla vestizione, Giovanni si trovò nel bel mezzo di una festa in cui si beveva e non si chiacchierava altro che di giochi, balli e partite. Si sentì come un burattino con un abito nuovo venuto solo per farsi ammirare e battere le mani.
– Che cosa potevano avere in comune queste cose con uno che poche ore prima aveva vestito un abito di santità per darsi tutto al Signore?
Al ritorno ne parlò col parroco che gli rispose di abituarsi perché:
– Il mondo è fatto così. Bisogna prenderlo com’è. Bisogna vedere il male per poi evitarlo.
Tecnicamente don Cinzano non aveva torto, ma neanche ragione, il male non bisogna neanche andarselo a cercare!
Da quell’esperienza Giovanni decise di darsi un regolamento. Non centomila regole che poi non avrebbe seguito, ma poche, chiare e adatte alla sua situazione. Così sarebbe stato più facile restare fedele alla sua scelta. Pensò di scrivere una specie di progetto di se stesso, lo semplifichiamo così:
Farò il possibile per non partecipare a pranzi e banchetti sconvenienti.
Non farò più il saltimbanco di fronte a tutti (aveva la veste da prete).
Mi sforzerò di trovare del tempo per riflettere. Non esagererò nel mangiare e nel dormire.
Inizierò a leggere libri religiosi, per conoscere meglio Dio.
Mi sforzerò di combattere pensieri, discorsi e immagini contrarie alla castità che ho scelto.
Troverò ogni giorno tempo da dedicare alla preghiera.
Racconterò a chi incontro fatti e pensieri che facciano del bene all’anima.
Questo progetto di vita fu molto utile a Giovanni negli anni del seminario perché ogni volta che gli sembrava di aver sbagliato poteva andare a verificare i suoi propositi e rinnovarli. Certo, non riuscì a seguirlo alla perfezione senza sbagliare mai, però fu fedele. Quando sarà don Bosco proporrà lo stesso sistema anche al giovane Domenico Savio, il risultato? La santità!
3.8 Puntualizzazione della madre |
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Quando Giovanni tornò alcuni giorni a casa prima di entrare in seminario, Mamma Margherita sembrava pensierosa, lo guardava spesso come se stesse aspettando il momento opportuno per dirgli qualcosa. La sera prima della sua partenza lo chiamò in disparte e, guardandolo dritto negli occhi, gli disse queste parole:
– Giovanni, hai vestito quest’abito da sacerdote. Io provo tutta la felicità che una madre può provare per la riuscita di un figlio. Ricordati però che non è quest’abito che porti addosso che ti farà onore, ma la serietà con cui vivrai l’impegno che ti sei preso. Se un giorno avrai dubbi sulla tua vocazione, ti prego, non disonorare quell’abito, piuttosto posalo subito. Preferisco avere come figlio un povero contadino che un prete mal riuscito. Quando sei nato ti ho affidato alla Madonna, ama quei compagni che vogliono bene alla Madonna e, quando sarai sacerdote, diffondi attorno a te l’amore per Lei.
Quando terminò queste parole, era commossa. Lui, con una stretta al cuore, le rispose:
– Mamma, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me. Queste parole non le dimenticherò mai. Le ricorderò come un tesoro per tutta la vita.
Quando la Sacra Scrittura dice: «Onora tuo padre e tua madre», fa riferimento anche a questo. Onorare i genitori per tutto quello che hanno fatto significa ascoltare i loro consigli e diventare persone oneste. Giovanni ci è riuscito.
3.9 Gli anni del seminario |
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Le giornate del seminario erano più o meno tutte uguali. I superiori lo trattavano con gentilezza, ma Giovanni non era del tutto soddisfatto, avrebbe desiderato vederli e sentirli più vicini, avere la possibilità di confrontarsi con loro, di chiedere spiegazioni. Ma a quel tempo la mentalità era quella e non si poteva fare molto. Lui, da grande, quella tradizione l’avrebbe cambiata. Anche in seminario frequentava spesso i sacramenti che gli davano la carica giusta per far bene il suo dovere. Era comunque molto contento degli studi e dei compagni. Nel suo secondo anno di frequenza entrò anche l’amico Luigi Comollo. Luigi era un continuo esempio, lo incoraggiava a pregare e a far bene tutto.
Durante le vacanze, essendo già chierico studente di teologia, Giovanni era invitato nei paesi vicini a tenere delle predicazioni. Un giorno ricevette una bella lezione. Ad Alfiano tenne una bellissima e dottissima predica sulla Nascita della Madonna. Fu così bravo che quella predica l’avevano capita solo lui e il parroco, volle interrogare quest’ultimo per sapere cosa ne pensasse.
– Molto bella! Ordinata. Ma l’abbiamo capita solo io e te! Bisogna lasciar perdere la lingua dotta e parlare in dialetto o se vuoi anche in italiano, ma in maniera semplice! Invece di far ragionamenti sarebbe meglio fare esempi, paragoni semplici e pratici. La gente segue poco.
Quel consiglio lo smontò il tanto giusto per far bene per tutta la vita.
In altre due occasioni fu invitato a partecipare a banchetti o a suonare il violino di fronte ai commensali, ma nonostante si fosse ricordato degli impegni e fosse stato attento al suo comportamento, le cose presero una brutta piega. Così, decise di non parteciparvi più in nessuna occasione. Luigi Comollo morì in quegli anni lasciando in Giovanni una grande tristezza, scriverà la vita dell’amico e la farà leggere ai suoi ragazzi facendo loro un gran bene.
Per pagarsi la retta e le spese, studiava sodo per vincere ogni anno il premio di 60 lire per il miglior studente, cosa che gli riusciva sempre. Facendo il sacrestano ne otteneva altre 60. La restante parte della quota veniva versata dal buon don Cafasso.
Giovanni come al solito faceva tante cose, ma aveva anche il tempo per approfondire altre materie utili al buon prete: storia della Chiesa, libri di spiritualità, greco, ebraico e francese.
In questi anni tra gli altri bravi formatori, conobbe anche un certo don Borel che diventerà poi un suo stretto collaboratore.
3.10 Per sempre |
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Nel penultimo anno di studi in seminario, ottenne di poter frequentare anche l’ultimo, a condizione che riuscisse a dare la prima parte degli esami entro novembre. Don Cafasso lo incoraggiò e, anche questa volta, la cosa gli riuscì.
Giovanni tremava al pensiero di dover dire sì per tutta la vita. Ma don Cafasso gli diceva di andare avanti senza paura e di fare quello che gli consigliava. Si chiuse per dieci giorni nel silenzio degli Esercizi Spirituali. Venne ordinato prima suddiacono e poi diacono. Il 5 giugno 1941, nella vigilia della festa della SS. Trinità, venne ordinato sacerdote. Celebrò la prima Messa nella Chiesa di San Francesco d’Assisi assistito da don Cafasso. Nei giorni seguenti celebrò a Chieri e Castelnuovo ringraziando le persone che lo avevano aiutato. Quando arrivò a casa sua e rivide i luoghi in cui aveva sofferto e in cui aveva fatto il sogno dei nove anni, si commosse e pensò:
– Quanto sono grandi le tue strade Signore. Hai sollevato da terra un povero ragazzino per dargli un incarico così importante.
S cheda di riflessione
per adolescenti e giovani
3.11 Il valore del sacrificio |
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Se dai uno sguardo ai primi tre titoli della vita del giovane Giovanni Bosco ti accorgerai che per raggiungere degli obiettivi ha dovuto faticare non poco, quando poi avrai letto anche il loro contenuto sarai d’accordo con quanto stiamo per dire. Conviene chiamare per nome ciò che Giovanni ha fatto in quegli anni. Si tratta di sacrifici. Oggi non se ne sente più parlare molto, si fa di tutto per evitarli. Ma se si vuole ottenere qualcosa non si possono evitare, anche nello sport.
Ogni sportivo che si rispetti, se vuole vincere una partita o se vuole vincere una medaglia, si deve allenare. L’allenamento implica sacrifici. Non ci si fa il fiato con una sola corsa, bisogna correre con costanza e aumentare i carichi di lavoro. Prima si parte con le cose semplici, poi gradualmente si aumentano le difficoltà. Con tenacia e perseveranza si migliora e si diventa più bravi, si acquista carattere.
Nel campionato di una squadra di calcio, ad esempio, ci sono dei periodi di prova e dei periodi positivi. Da che cosa si vede che una squadra ha carattere? Se riesce a superare i periodi difficili, se non si butta giù quando rifila due sconfitte consecutive, quando al primo tempo prende due goal e riesce a ribaltare il risultato nel secondo.
Una squadra di pallacanestro, invece, quando va sotto di sei canestri e non si scoraggia, e riesce a piazzare tre “bombe” da tre punti che la riportano in gara. Una squadra di pallavolo ha carattere quando sta perdendo due set a zero e riesce a rialzarsi così bene che vince al tie-breck. Un tennista è in gamba quando riesce a fare tre ace di seguito e riaprire il game.
Ma quanto allenamento c’è dietro quei due goal recuperati, quante sere hanno dovuto passare ad allenarsi nel tiro da tre quei giocatori, quante schiacciate e ricezioni hanno dovuto provare gli atleti che giocano a pallavolo, quante sudate si è dovuto fare il tennista per provare e riprovare il servizio perché uscisse così bene?
La risposta la conosci già.
Una cosa è certa, questi atleti non hanno paura di fare sacrifici perché hanno ben chiara la meta che vogliono raggiungere, quello che sognano di diventare. Anche san Paolo la pensa così. Egli stesso dice che gli atleti per raggiungere la corona d’alloro dei Giochi Olimpici si allenano senza tregua. Deve fare così anche il cristiano: allenarsi e fare qualche sacrificio. I cristiani però sono avvantaggiati perché faticano per una medaglia che ci porterà una felicità eterna, non passeggera come quella olimpica. I cristiani faticano per la santità, e Giovanni Bosco era uno di questi. Nella vita spirituale bisogna fare dei sacrifici come nello sport.
Proviamo a esaminare alcuni sacrifici che ha fatto Giovanni e che più o meno si ripresentano anche oggi in maniera molto simile. Abbiamo scelto tre virtù e tre atteggiamenti virtuosi su cui possiamo riflettere e che con un po’ di sacrificio possiamo anche imitare. Ecco le tre virtù: fortezza, umiltà e fede. I tre atteggiamenti virtuosi invece sono: il primato dell’essere sull’avere, prendersi cura dei più deboli e progettare la propria vita.
Per ogni virtù (e per ogni atteggiamento) troverai la presentazione che ricorda come e quando Giovanni Bosco l’ha vissuta; l’attualizzazione che ti suggerisce come viverla oggi; la realizzazione che ti propone alcuni impegni concreti per realizzarla e ti farà alcune domande per verificare se prima d’ora ti sei impegnato veramente per conquistarla.
è quella virtù che ti aiuta a fare di tutto per raggiungere il bene che ti sei proposto.
Il ragazzo forte – Non indietreggia di fronte ai pericoli. – Sa reagire di fronte ai fallimenti. – Prende posizione contro il male
Ha un sosia: La forza o prepotenza Nel paragrafo: “Un amico vero”, Luigi fa capire a Giovanni la differenza. |
Presentazione
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Leggi i primi quattro paragrafi. Giovanni ha faticato moltissimo per studiare: ha affrontato il fratello, ha percorso Km a piedi, ha sofferto le prese in giro dei compagni, ha dovuto imparare a lavorare, ha chiesto l’elemosina. Non si è scoraggiato di fronte alle difficoltà, ha saputo reagire di fronte alla sua situazione sfavorevole. Non ha mai barattato i suoi principi per farsi amico dei cattivi compagni, piuttosto ha avuto la pazienza di convertire loro. |
Attualizzazione |
Oggi per molti avere la possibilità di studiare è facile ma non tutti ne approfittano. Tutti possono sbagliare ma si devono risollevare e impegnarsi con coraggio, i risultati arriveranno. Tante volte siamo tentati di cambiare bandiera e rinunciare a ciò in cui crediamo per far contenti i nostri amici. |
|
Realizzazione |
Sfrutti l’opportunità di studio che ti è offerta o vivi di rendita? Hai il coraggio di dire no di fronte al male o è più importante ciò che si dirà di te? Impegno: Studia con più impegno una materia che spesso trascuri. Prova a dire no a chi ti vuole condurre al male anche se perderai un po’ di popolarità. |
è quella virtù che ti aiuta ad avere una giusta valutazione di te stesso e delle tue capacità.
Il ragazzo umile – Riconosce che le sue qualità sono doni. – Si mette a disposi-zione degli altri. – È capace di chiedere consiglio
Ha un sosia: La falsa umiltà. Colui che si fa umile perché gli altri lo lodino. |
Presentazione
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Leggi “Parole pesanti come macigni”, “Tre classi in un anno”, “Gli anni del seminario”. Giovanni aveva tanti doni e tante qualità se li avesse usati male sarebbe potuto diventare un criminale molto malvagio. Ma fu umile. Ebbe il coraggio di chiedere consiglio a persone illuminate, persino alla madre, cosa non facile nell’adolescenza. Imparò a non sfoggiare la sua cultura dal parroco di Alfiano. Si mise sempre a disposizione di tutti senza far pesare la sua superiorità. |
Attualizzazione |
Oggi l’umiltà è una qualità poco popolare e poco conosciuta ma, se ci si pensa bene, si scoprirà che si preferiscono le persone umili a quelle spaccone. Umiltà non è sinonimo di inferiorità. È sinonimo di equilibrio e sincerità. A scuola, per esempio, è una virtù difficilissima da mettere in pratica ma necessaria. Nelle scelte importanti è preferibile chiedere a chi ne sa più di noi anche se ci costa. |
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Realizzazione |
Vuoi sempre essere il migliore in tutto quello che fai? Hai il coraggio di chiedere consiglio ai più grandi? Impegno: Prova a combattere i pensieri superbi con una invocazione semplice tipo: «Signore, aiutami ad essere più umile». |
è quella virtù che ti aiuta ad essere attento alla chiamata di Dio, a rispondere con coraggio e a orientare la tua vita a Lui.
Il ragazzo che ha fede – Riconosce che il centro della sua vita non è in lui. – Approfondisce la conoscenza di Gesù. – Desidera ciò che desidera Gesù.
Ha un sosia: La mia fede. Chi si costruisce il Dio che fa comodo a lui. |
Presentazione
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Leggi “La società dell’allegria” e “Parole pesanti come macigni”. Giovanni trovava la forza per affrontare tante difficoltà nell’incontro col Signore attraverso i sacramenti. Non li sottovalutava. Cercava con sincerità la volontà di Dio sulla sua vita, non faceva mai da solo. Si percepisce che, prima di fare qualche scelta importante, pregava sempre. |
Attualizzazione |
Oggi è difficile orientare la vita a Dio. Siamo distratti da mille cose e non abbiamo mai tempo per Lui. Ci bastano le poche cose che abbiamo imparato al catechismo e magari non ci impegniamo a scoprire il tesoro che c’è nel nostro campo. Dobbiamo scavare. Se non sappiamo dove, dobbiamo comprarci una buona cartina e cercare una buona guida, con loro sarà tutto più facile. |
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Realizzazione |
Mi accontento delle nozioni imparate al catechismo? Quanto tempo dedico alla preghiera? Ho mai letto un Vangelo dall’inizio alla fine? Impegno: Cercare con cura un bravo confessore. Farci conoscere da lui, in modo da arrivare sempre preparati all’incontro col Signore. Dedicare dieci minuti al giorno di lettura di un Vangelo. |
Prendersi cura dei più
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Presentazione
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Leggi “La società dell’allegria” e “Un amico vero”. Giovanni si prende cura dei più deboli. Non solo dei più presi di mira, ma anche degli sbandati che, anche se credono di essere forti, in realtà non lo sono. La sua vita sarà orientata ad aiutare gli ultimi. Non si pentirà mai di averlo fatto. |
Attualizzazione |
Anche oggi ci sono tanti ragazzi deboli. Molti sono presi di mira da tutti e magari hanno tante qualità da mettere a disposizione. Forse hanno solo bisogno che qualcuno prenda posizione e li difenda per poi prendere il volo da soli. |
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Realizzazione |
Ho l’abitudine di umiliare e prendere in giro i miei compagni? Ho mai avuto il coraggio di difendere un compagno preso di mira ingiustamente? Impegno: Sforzati di smettere di prendere in giro quel compagno che tutti umiliano. |
P rimato dell’
sull’
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Presentazione
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Leggi “La fatica del proprio dovere” . A Giovanni non interessa essere stimato per le cose che aveva ma per la persona che lui era. Non gli interessava apparire di fronte agli altri. Anche se non aveva le scarpe firmate, a scuola ci andava lo stesso. Non ha accettato di rubare i soldi alla madre per giocare d’azzardo. |
Attualizzazione |
Anche oggi possiamo correre la tentazione di dare più importanza alle cose che abbiamo piuttosto che ai valori che guidano la nostra vita. Soprattutto in Occidente è un grande rischio, ma la tentazione di possedere tante cose è un pericolo universale e conviene correggersi subito. |
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Realizzazione |
Giudico le persone per quello che hanno o per quello che sono? Prendo in giro i compagni più poveri? Impegno: Sforzati di trovare alcune buone qualità in un compagno che molti prendono in giro. |
la vita
Qualsiasi edificio per essere stabile e ben riuscito deve essere progettato con cura.
Anche l’uomo per diventare santo deve progettare con cura la sua vita. |
Presentazione
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Leggi “Un inconveniente provvidenziale” e “Gli anni del seminario”. Giovanni decide di darsi alcune regole concrete che possano aiutarlo ad essere fedele alle sue scelte. Ha scritto il suo progetto di vita. Gli fu utilissimo per verificare i progressi e innalzare sempre i traguardi. Quando sarà più grande lo migliorerà e lo adatterà alle nuove situazioni che vive. Sceglie la concretezza e la semplicità. Meglio pochi impegni precisi e profondi piuttosto che tanti precetti generali che poi non sarebbe riuscito a seguire. |
Attualizzazione |
Anche oggi è importante progettare la propria vita. Porsi delle mete, verificarle periodicamente e metterle nelle mani del Signore. Ci aiuterà a diventare uomini che non rinunciano ai propri valori. |
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Realizzazione |
Mi sono mai preso degli impegni concreti per migliorare il mio carattere? Vivo alla giornata o progetto il mio futuro? Impegno: Prova a scrivere il tuo progetto di vita. Puoi dividerlo in tre parti: impegni verso Dio, verso gli altri e verso il miglioramento di me stesso. |
4 Don Bosco e l’inizio dell’Oratorio (1841–1846) |
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4.1 La prima scelta |
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Sul finire dell’estate del 1841 don Bosco doveva decidere cosa fare, gli furono offerti tre incarichi. Una famiglia di Genova gli offrì un posto da maestro privato con una paga di ben mille lire all’anno. I compaesani di Morialdo, a lui molto affezionati, gli offrirono il posto di cappellano promettendogli il raddoppiamento dello stipendio. Infine, gli venne proposto l’incarico di viceparroco a Castelnuovo. Certo, mille lire all’anno non erano poche e poi avrebbe avuto tanto tempo libero, ma anche stare vicino a casa faceva piacere. Pensò di scartare subito le motivazioni legate al denaro, anche perché né lui né sua madre ne sarebbero stati contenti. Cosa scegliere? La soluzione migliore sembrava chiedere consiglio al saggio don Cafasso. Questo, dopo aver ascoltato con attenzione, gli disse senza esitazione:
– Non accettare niente. Vieni qui al Convitto Ecclesiastico. Hai bisogno di completare la tua formazione studiando morale e predicazione.
Don Bosco accettò di buon grado e il 3 novembre entrò nel Convitto. Effettivamente aveva bisogno di studiare due materie così importanti, la morale lo avrebbe aiutato nel guidare i giovani a riconciliarsi col Signore e la predicazione ad infiammarli dell’amor di Dio.
Al Convitto si imparava ad essere preti. Gli studi morali seguivano la linea di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il santo, in sintesi, proponeva di essere più elastici e benevoli nel giudicare i problemi legati alla coscienza, in pratica, non bisogna vedere il male da tutte le parti, ma puntare sull’amore di Dio. La frequenza assidua dei sacramenti avrebbe aiutato i fedeli a vivere nell’amore del Signore.
L’orario della giornata prevedeva al mattino meditazione, preghiera e lezioni e, al pomeriggio, apostolato pratico nell’ambiente cittadino: ospedali, carceri, istituti di beneficenza, prediche nelle chiese, catechismo e assistenza ai malati e agli anziani. Una di queste esperienze per don Bosco fu folgorante.
4.2 In carcere a trovare i ragazzi |
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Don Cafasso cominciò a condurre don Bosco a visitare i carcerati. In quelle visite drammatiche si accorse che gran parte erano giovani tra i 12 e i 18 anni. Come era possibile che ragazzi sani e intelligenti restassero là a far niente e a prendere pidocchi e malattie? Chi si prendeva cura di loro? Chi li aspettava fuori? Molti di questi, appena usciti, erano decisi a cambiare vita, ma una volta fuori non avevano un posto dove andare ed erano costretti a rubare e ad essere nuovamente catturati. Guardando quegli occhi spaventati e arrabbiati con il mondo don Bosco pensò:
– Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che si prende cura di loro, li assiste, li istruisce, li porta in Chiesa nei giorni di festa. Allora forse non tornerebbero a rovinarsi, o almeno sarebbero ben pochi a tornare in prigione.
Al mercato generale della città scoprì un’altra cosa che lo fece rabbrividire: un vero e proprio «mercato di ragazzi». Vicino a Porta Palazzo era pieno di piccoli ambulanti, di lustrascarpe, spazzacamini, distributori di volantini, servi dei commercianti; giovani che venivano dalle campagne per cercare qualunque impiego pur di vivere. Salivano sulle impalcature dei muratori e, se cadevano, nessuno si preoccupava, altri dieci erano pronti a prenderne il posto. Si aggiravano come lupi negli angoli delle strade, giocavano d’azzardo e rubavano nei mercati, se tentava di avvicinarli diventavano diffidenti e sprezzanti. Nei loro occhi, però, don Bosco non leggeva ferocia ma paura. Avrebbe dovuto fare qualcosa, e presto il Signore glielo avrebbe fatto capire.
4.3 Uno strano incidente |
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Nel primo mese trascorso al Convitto, don Bosco iniziò a farsi amici alcuni ragazzi che cominciarono a seguirlo un po’ da tutte le parti, non aveva però una stanza in cui radunarli e non aveva ben chiaro cosa avrebbe poi fatto. Come al solito il Signore agisce nelle coincidenze. La Provvidenza volle che, proprio in quel mese di dicembre, uno strano incidente aiutasse il nostro prete a fare chiarezza sul da farsi.
Durante la festa dell’Immacolata Concezione don Bosco stava indossando i paramenti per celebrare la Messa. Il sacrestano, vedendo un ragazzo in un angolo, lo invitò a servire la Messa. Poiché questo continuava a rifiutarsi, dicendo di non essere capace, il sacrestano si infuriò:
– Se non sai servire Messa, perché vieni in sacrestia?
Afferrò la canna che gli serviva per accendere le candele e cominciò a bastonare il ragazzo che scappò a gambe levate. Vedendo questa scena don Bosco intervenne:
– Ma cosa fa? Perché picchia quel ragazzo? Che male le ha fatto?
– Viene in sacrestia e non sa nemmeno servir Messa!
E per questo bisogna picchiarlo? Lo lasci stare perché è un mio amico. Anzi lo chiami subito.
Ho bisogno di parlare con lui.
Il sacrestano gli corse dietro gridando: «Ehi, ragazzo!». Lo raggiunse, lo tranquillizzò, e lo riportò accanto a don Bosco che, con gentilezza, gli disse:
– Ciao, hai già ascoltato la Messa?
– No.
– Vieni ad ascoltarla. Dopo devo parlarti di una cosa che ti farà sicuramente piacere.
Appena finita la Messa don Bosco lo portò in una cappellina, desiderava tranquillizzarlo e fargli cambiare la brutta opinione che doveva avere dei preti di quella Chiesa.
– Allora amico mio come ti chiami?
– Bartolomeo Garelli.
– Da dove vieni?
– Da Asti.
– Sono vivi i tuoi genitori?
– No, sono morti entrambi.
– Quanti anni hai?
– Sedici.
Bartolomeo non sapeva né leggere né scrivere e non aveva ancora fatto la prima Comunione, non andava a catechismo perché aveva paura che i ragazzi più piccoli lo prendessero in giro. Don Bosco istintivamente gli propose:
– Se ti facessi un catechismo a parte, verresti ad ascoltarlo?
– Molto volentieri.
– Anche in questo posto?
– Purché non mi prendano a bastonate!
Don Bosco lo rassicurò paternamente, i suoi amici non avrebbero mai più preso bastonate! Cominciò ad insegnargli il segno di croce che Bartolomeo proprio non si ricordava. Gli parlò dell’amore di Dio e del perché ci ha creati. Ora che aveva fatto l’esperienza di un amico che si interessava di lui, poteva spiegargli meglio quanto interessasse a Gesù la sua amicizia. Dissero insieme un’Ave Maria, don Bosco ha sempre fatto coincidere l’inizio dell’Oratorio con quella preghiera.
4.4 Il primissimo oratorio |
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La settimana seguente Bartolomeo non era più solo, aveva seguito il consiglio di don Bosco: «La prossima volta porta con te almeno un altro amico», tutti i salesiani lo dicono! E così continuò il catechismo che pian piano si trasformò in Oratorio. Inizialmente don Bosco invitava i ragazzi usciti dal carcere che gli sembravano più a rischio, ma per farsi aiutare a tenere l’ordine e, per proporre mete più alte, invitò anche bravi ragazzi istruiti e di buona condotta. Questo gruppo, pur nelle difficoltà, si era ben amalgamato così si poterono inserire canti e letture divertenti che davano anima agli incontri. A marzo del 1942 erano già trenta e, tra le altre cose, in grado di animare la messa dell’Annunciazione con qualche bel canto. In quella primavera, uno dei primi ragazzi dell’Oratorio, Carlo Buzzetti, portò con sé anche il fratellino Giuseppe, di dieci anni. Giuseppe si affezionò a don Bosco come a un padre e lo seguirà in tutte le sue avventure.
Gran parte dei ragazzi erano muratori, stuccatori e scalpellini che venivano da paesi lontani. Il numero aumentava e la cappellina diventava stretta. Don Guala, il direttore del Convitto, e don Cafasso diedero il permesso di riunirsi nel vicino cortile. Procurarono immaginette e pagnotte per sfamare i poveretti che si fermavano a giocare dopo la messa di don Bosco. Quando c’erano le confessioni anche i due bravi preti si fermavano in cortile ad assistere i ragazzi raccontando fatti divertenti. Il permesso durò per tre anni e non fu mai ritirato! I ragazzi diventarono un’ottantina, quanti ne poteva contenere il cortiletto, ma anche altri sarebbero voluti venire. Per tre anni, fino al 1844, l’Oratorio rimase al Convitto.
4.5 In cerca della volontà di Dio |
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Don Giuseppe Comollo, zio di Luigi, ormai era anziano e aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a guidare la Parrocchia di Cinzano. Pensò di chiedere all’Arcivescovo di mandare in suo aiuto don Giovanni Bosco. Don Cafasso lo chiamò nel suo ufficio e gli disse:
– I tuoi studi sono finiti. Adesso bisogna andare a lavorare. Ci sono tante possibilità nel campo del Signore, cosa ti senti di fare?
Don Bosco rispose:
– Quello che lei mi indicherà.
Don Cafasso gli disse che oltre a Cinzano c’erano altre tre possibilità: viceparroco a Buttigliera d’Asti, professore di morale al Convitto e direttore dell’Ospedaletto per le ragazze malate fondato dalla Marchesa di Barolo.
Poiché don Bosco si rimetteva totalmente alla volontà del direttore spirituale, questo gli disse di prendersi qualche settimana di ferie. Al suo ritorno lo chiamò:
– Fa’ la valigia e va’ da don Borel all’Opera del Rifugio, lavorerai lì. Sarai anche direttore dell’Ospedaletto.
La Marchesa di Barolo aveva fondato il Rifugio, nella zona di Valdocco vicino al Cottolengo, quest’opera accoglieva le ragazze di strada che volevano rifarsi una vita, accanto a questo si trovava l’Ospedaletto per le ragazze malate che don Bosco avrebbe dovuto dirigere. Nei tre anni trascorsi al Convitto, era stato invitato diverse volte a predicarvi qualche ritiro da don Borel, col quale da tempo aveva ottimi rapporti. Ammirava questo bravo sacerdote che si dedicava con tutto se stesso a salvare più anime possibile. Appena arrivato gli assicurò la possibilità di continuare il suo Oratorio festivo nella stanzetta che gli era stata destinata, quando poi sarebbero stati pronti i locali per i sacerdoti avrebbero potuto usare quelli.
4.6 Sogni o visioni? |
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Il 13 ottobre 1844 don Bosco avrebbe dovuto comunicare ai suoi ragazzi il trasferimento dell’Oratorio dal Convitto all’Ospedaletto di Santa Filomena. Era molto preoccupato: come l’avrebbero presa gli oratoriani? Sarebbero venuti ugualmente? Avrebbe dovuto perdere il lavoro di tre anni? Andò a dormire con questi pensieri nel cuore, ma quella notte fece un altro sogno.
Questa volta non aveva più nove anni, ma la situazione era molto simile. Un esercito di lupi feroci faceva un rumore spaventoso. Don Bosco, impaurito, voleva scappare ma apparve una pastorella che lo invitò a condurre il gregge dietro di lei. Lo strano gruppo si fermò tre volte e ad ogni fermata molte di queste belve feroci si trasformavano in agnelli mansueti. Alla fine del tragitto giunsero in un prato dove ormai tutti gli agnelli saltellavano e brucavano tranquillamente. La pastorella invitò don Bosco a non fermarsi e insieme raggiunsero un cortile spazioso, diversi agnelli si trasformarono in pastori permettendo al gregge di moltiplicarsi. Don Bosco guardò con attenzione e vide comparire una Basilica maestosa con un’orchestra pronta a suonare e un coro che si preparava ad animare la Messa. All’interno della chiesa c’era una grande fascia bianca su cui a caratteri cubitali era scritto: «Questa è la mia casa. Da qui uscirà la mia gloria». Il sogno si concluse con un’ultima affermazione della pastorella che disse:
– Capirai tutto quando vedrai con i tuoi occhi quello che oggi hai visto in sogno.
Si tratta della descrizione puntuale di quello che effettivamente accadrà e che racconteremo nelle prossime righe. Forse per questo motivo don Bosco, quando ormai sembrava dovesse finire la sua avventura con i giovani, e quando anche i suoi più vicini collaboratori lo consideravano pazzo, insisteva contro tutto e tutti dicendo:
– Non può finire così! Io vedo una Chiesa grandissima, un Oratorio pieno di ragazzi e tanti collaboratori che mi daranno una mano! Sono sicuro!
4.7 Esodo a casa della Marchesa |
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La domenica don Bosco diede la notizia ai suoi ragazzi, col solito entusiasmo che lo caratterizzava. Per tranquillizzarli gli promise grandi locali e spaziosi cortili!
La settimana successiva i ragazzi andarono in cerca del loro amico nelle strade di Valdocco:
– Dov’è l’oratorio? Dov’è don Bosco?
Naturalmente nessuno ne sapeva niente. Don Borel e Don Bosco sentirono il rumore e corsero ad accogliere i ragazzi. In quelle settimane circa duecento monelli si incontrano nelle stanzette, nelle scale e nel cortiletto dei due bravi preti! Penso che tutti si possano rendere conto di cosa significhi tenere a bada un numero così grande di ragazzi in uno spazio così stretto. Don Bosco non si scoraggiò, allestì una cappellina e iniziò ad insegnare a leggere e scrivere ai più grandetti. Servivano però soldi per i libri, per gli abiti dei più poveri, per comprare qualche gioco di intrattenimento, e per la merenda. Ancora una volta, un carattere fiero come il suo, si dovette abbassare a chiedere l’elemosina, in questa circostanza nelle case dei ricchi. Fu una delle cose che gli costò di più, ma non poteva farne a meno e, con grande sforzo, si umiliò.
Tutto sembravano andare per il meglio, ma all’improvviso venne fuori un conflitto tra due santi. La Marchesa considerava temporaneo l’impegno di don Bosco con i giovani in attesa di averlo a sua disposizione per le sue opere, don Bosco, da parte sua, pensava esattamente il contrario. Non si poteva andare avanti, decisero insieme di separare le strade. La Marchesa continuerà comunque ad aiutare don Bosco, ma intanto gli chiese di trovare un’altra sistemazione: dopo sette mesi di paradiso era arrivato il primo sfratto.
In quel periodo don Bosco si accorse di quanta pazienza ci voleva per lavorare con i ragazzi, fu allora che decise di mettersi sotto la protezione del santo della dolcezza e della pazienza: da quel momento l’Oratorio sarebbe stato intitolato a San Francesco di Sales.
4.8 Prime due tappe: San Pietro in Vincoli e San Martino |
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Appena ricevuto lo sfratto, don Bosco trovò alloggio nella Chiesa di San Pietro in Vincoli dedicata al Crocifisso. In quaresima cominciò a portare i ragazzi più grandi per ascoltare il catechismo. Il cappellano don Tesio rimase ben impressionato e accettò la proposta di vedere trapiantato tutto l’Oratorio nel cortile della sua chiesa. Il poveretto non si immaginava di vedersi arrivare un esercito di ragazzi che correvano e urlavano a più non posso. La perpetua, spaventata, iniziò a strillare e accusò pesantemente don Bosco che, purtroppo, fu poi invitato dal cappellano a non tornare più.
L’ultimatum della Marchesa, l’inaugurazione del suo Ospedaletto, stava per scadere e don Bosco dovette chiedere aiuto al Municipio di Torino. L’Arcivescovo appoggiava la richiesta e, fortunatamente, fu permesso all’Oratorio di trasferirsi nella chiesa di San Martino.
E così, una domenica di luglio del 1945, una banda di ragazzi scalmanati sfilava per le strade di Torino portando panche, sedie, giochi e arredi sacri, diretti alla chiesa dei Mulini di città. Il permesso durava da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, il resto del tempo lo avrebbero impiegato in passeggiate. I ragazzi cominciavano a demoralizzarsi per via dei tanti sfratti ma, il buon don Borel, inventò una predica formidabile che fece tornare a tutti il buon umore: la predica dei cavoli. Don Bosco la riporta più o meno così:
– I cavoli, cari ragazzi, per crescere con una testa bella e grossa, devono essere trapiantati, la stessa cosa dobbiamo dire del nostro Oratorio. È stato trapiantato da un luogo all’altro, ma ad ogni trapianto è cresciuto. I ragazzi che lo frequentano sono sempre più numerosi e contenti. Nel primo cortile abbiamo fatto una fermata come quelli che viaggiano in treno. In quelle settimane tutti hanno potuto avere un aiuto: il gioco, il catechismo, la spiegazione del Vangelo. E nei prati intorno abbiamo giocato allegramente. Ci resteremo molto tempo qui? Non lo sappiamo. Comunque noi crediamo che al nostro Oratorio capiterà come ai cavoli trapiantati: crescerà il numero dei ragazzi che vogliono diventare buoni, crescerà la nostra voglia di cantare e di suonare. Se noi oggi, frequentando l’Oratorio, miglioriamo la nostra condotta, Dio ci aiuterà a crescere nel bene per tutta la vita”.
La predica funzionò a meraviglia e, alla fine, cantarono tutti insieme un bell’inno al Signore.
In una di quelle domeniche, don Bosco distribuì delle medagliette della Madonna. I ragazzi si accalcarono e, in pochi istanti, finirono tutte. Mentre le distribuiva, don Bosco osservava il piccolo Michele che se ne stava in disparte, non aveva voglia di accalcarsi, era triste perché da due mesi aveva perso il padre. Il buon prete si avvicinò e, con un grande sorriso, fece finta di spezzare qualcosa e di consegnargliene un pezzo:
Prendi Michelino, prendi.
Cosa devo prendere? Non vedo niente?
Noi due faremo tutto a metà!
Quel ragazzino era Michele Rua, primo salesiano, primo successore di don Bosco.
4.9 Terza tappa: casa Moretta |
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Purtroppo anche ai Mulini arrivò lo sfratto. Troppo chiasso! Gli inquilini del quartiere non ne potevano più. Non si poteva più stare tranquilli neanche la domenica pomeriggio! Scrissero una lettera al Municipio e il sindaco, con suo dispiacere, dovette chiedere all’Oratorio un altro trapianto.
Le domeniche successive don Bosco era sempre allegro, non faceva percepire ai ragazzi la sua preoccupazione, possiamo facilmente immaginare come li entusiasmasse:
–Cari ragazzi devo darvi una buona notizia! Oggi andremo insieme fino alla Chiesa di Superga! Chi ha paura di non farcela alzi la mano!
Naturalmente nessuno aveva paura di non farcela! Avrebbero scalato le montagne pur di seguirlo. E così, portandoli una domenica a Superga, una alla Madonna del Pilone e un’altra al Monte dei Cappuccini, don Bosco prendeva tempo e aspettava che la Provvidenza gli indicasse cosa fare. A novembre (del 1845), però, faceva freddo e, assieme a don Borel, prese la decisione di affittare tre stanzette in casa di don Moretta. Lì potevano raccogliere i ragazzi, fare catechismo e dare a tutti la possibilità di confessarsi. In quell’inverno nacquero le prime scuole serali, una novità incredibile in quegli anni! Don Bosco pensava:
– Non posso lasciare i miei ragazzi nell’ignoranza. Qualcuno di loro è veramente brillante, chissà che un giorno non possa diventare un bravo prete.
Si parlò molto di questa scelta: alcuni erano favorevoli, altri contrari. Cominciarono a circolare strane voci sul conto di don Bosco, dicevano più o meno così:
–Non le sembra che don Giovanni Bosco stia esagerando con questa mania dei ragazzi poveri?
–Sì, dice che riuscirà ad aiutarli tutti! È convinto di vedere chiese e costruzioni dove riuscirà a dare loro alloggio.
–Secondo me è impazzito.
–Sì, forse dovrebbe farsi curare o almeno darsi una calmata.
Don Bosco sapeva tutto e soffriva, ma faceva finta di niente e andava avanti. Se non ci avesse pensato lui ai suoi giovani chi l’avrebbe fatto? Forse nei momenti di maggiore sconforto gli tornavano in mente le parole della madre:
–Giovanni, ricordati che incominciare a dir messa significa incominciare a soffrire.
Intanto i parroci di Torino, non essendo in grado di farlo personalmente, gli diedero il permesso di continuare il lavoro con questi ragazzi senza parrocchia. Finalmente una buona notizia!
La gioia durò poco perché nella primavera del 1846, ancora una volta, gli inquilini costrinsero il buon don Moretta ad allontanare l’Oratorio.
4.10 Prato Filippi |
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Don Bosco affittò un prato dai fratelli Filippi. Ora L’Oratorio era senza tetto, ma per fortuna era primavera e sapeva come fare! Per confessare non aveva più l’inginocchiatoio e la comoda sedia di casa Moretta ma si sedeva sulla riva di un fosso! Si ascoltava la messa in una delle Chiese vicine e poi si poteva correre e giocare tutto il tempo. Nonostante le difficoltà, furono mesi bellissimi che i partecipanti ricordarono e raccontarono per tanti anni.
Ma i problemi non erano finiti, il Marchese Michele di Cavour, capo della polizia, cercò di convincere don Bosco a sciogliere l’Oratorio, le famose voci di corridoio, infatti, lo avevano convinto della pericolosità sociale di centinaia di ragazzi che obbedivano ciecamente a quel prete. Don Bosco tenne duro ma, tornato a casa, trovò la lettera di licenziamento dei fratelli Filippi. La Marchesa di Barolo premeva perché scegliesse le sue ragazze o l’Oratorio, don Borel consigliava di tenere solo pochi ragazzini più piccoli per non avere più problemi con la giustizia, don Cafasso consigliava di aspettare. Arrivò così l’ultimo giorno al prato Filippi, non sapeva cosa fare! Si ritirò in disparte e cominciò a piangere in silenzio, in quel momento arrivò un certo Pancrazio Soave che, con voce balbuziente, gli disse:
– È vero che lei cerca un luogo per fare un laboratorio?
Don Bosco quasi non ci credeva. Si trattava di una piccola tettoia presso la casa del Signor Pinardi, ma era troppo bassa per le sue esigenze! Il brav’uomo si impegnò a modificarla per le necessità dell’Oratorio e accettò di affittare il prato vicino, era contentissimo di avere una cappella in casa!
– D’accordo. Contratto concluso. Domenica venga pure: sarà tutto a posto.
4.11 Finalmente a casa! |
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Don Bosco non stava più nella pelle. Andò di corsa dai suoi ragazzi, li radunò e con tutto l’entusiasmo di cui era capace disse:
– Allegri ragazzi! Abbiamo trovato l’Oratorio, dal quale nessuno più ci manderà via! Avremo chiesa, scuole e cortile per giocare. Domenica prossima ci andremo.
I ragazzi sembravano impazziti tanta era la felicità del momento: correvano, saltavano e nessuno riusciva più a fermarli! Si misero a pregare il rosario per ringraziare la Madonna. Lei aveva guidato e sostenuto don Bosco in questi anni di sofferenze e vagabondaggi e, finalmente, gli aveva trovato la casa.
S cheda di riflessione
per giovani e animatori
4.12 La vita di san Giovanni Bosco offre molti spunti di riflessione. È una miniera che va saputa valorizzare, in proposito sono stati scritti molti sussidi utili per approfondire e imitare le virtù naturali e soprannaturali del santo1. In questa scheda ci limitiamo ad evidenziare alcuni aspetti che emergono dalla lettura e la meditazione degli anni della prima maturità di don Bosco (dai 26 ai 31). Dopo aver letto le poche pagine precedenti possiamo focalizzare la nostra attenzione su queste tematiche: la vita come missione, la presenza di Gesù nella vita del cristiano, la necessità di una guida spirituale. |
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4.13 La vita come missione |
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Leggendo il paragrafo “la prima scelta” vediamo il giovane don Bosco attraversare a una fase importante della vita. Si trova di fronte a un bivio.
–Adesso sono prete, cosa devo fare? Che proposta di lavoro devo accettare? E tutti i miei progetti di un tempo? Sento il desiderio di aiutare i ragazzi di cui nessuno si cura ma come realizzarlo?
Per fare la scelta giusta è costretto a pensare dei criteri che lo aiutino nel discernimento. Per prima cosa scarta subito:
Le motivazioni legate al denaro.
Le motivazioni legate al suo status (maestro, viceparroco).
Le motivazioni legate alla stima degli altri.
Decide di chiedere consiglio e di mettersi nelle mani del direttore spirituale don Cafasso che gli suggerisce di continuare a studiare in vista della missione.
In realtà la vita di tutti i cristiani è una missione e tutti i giovani prima o poi si devono fare certe domande. Il punto è che qualsiasi cosa mi sentirò portato a fare dovrò farla pensando di irradiare il bene e il messaggio del Vangelo intorno a me. Non posso basare le mie scelte solo su criteri legati al consumismo: avere più soldi, diventare qualcuno, essere apprezzato; anche se è vero che dovrò sostenere la famiglia quindi i soldi serviranno in ogni caso, ma non saranno tutto.
Ogni lavoro che il cristiano intraprende, dal fruttivendolo al professore universitario, deve essere fatto da cristiano, in maniera onesta e generosa. È nel posto di lavoro che il Signore ci chiama ad evangelizzare, senza fare conferenze sulla Trinità ma più semplicemente compiendo con gioia e dedizione il nostro dovere. Qualunque cosa sceglierai ricordati che è lì che il Signore ti manda a cambiare il mondo. Essere cristiani è una cosa molto seria.
Alcune domande per la riflessione personale.
Che posto ha Dio nei miei progetti per il futuro?
Che spazio gli posso riservare?
Quali sono i criteri che guidano le mie scelte?
Don Bosco si impegnò a fondo nei tre anni di studio al Convitto ecclesiastico perché sapeva che tutto quello che stava imparando era in funzione dei giovani che avrebbe incontrato. Non studiava per aumentare la sua cultura e per magari darne sfoggio ma per servire al meglio i suoi destinatari: ha studiato morale è diventato uno dei più grandi confessori del suo secolo; ha studiato predicazione è diventato un grandissimo predicatore.
Anche gli studi universitari che il giovane cristiano intraprende possono essere visti in funzione della missione, se non totalmente almeno in modo significativo. Quello che impari oggi un domani lo metterai a servizio dei fratelli.
Che finalità hanno i miei studi?
Ho mai pensato al bene che potrò fare domani?
4.14 Che spazio ha Gesù nella vita del cristiano? |
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Nella vita di don Bosco il principale protagonista è Gesù.
Don Bosco vince l’oscar per il miglior attore non protagonista, Gesù è miglior attore, lo Spirito Santo è il regista che guida gli avvenimenti, Dio Padre è il produttore.
La grandezza di don Bosco sta nell’aver capito il suo ruolo, «renditi umile, forte e robusto» aveva imparato dal sogno dei nove anni. Essere umili significa capire che i doni che abbiamo ci sono dati in prestito per portare a termine la missione di Gesù e non per aumentare la nostra popolarità. Significa fare spazio a Dio e lasciare che sia Lui che agisca in noi.
Gesù era il centro della vita di don Bosco. Parlava di Lui in tutto quello che faceva.
Gesù perdonava, don Bosco confessava; Gesù si è fatto pane spezzato, don Bosco ha avvicinato i giovani all’Eucaristia. Ha insegnato loro ad amarlo e incontrarlo nei sacramenti. Lo faceva in modo semplice e gioioso. Non rendeva pesante l’incontro con il Signore perché sapeva che si trattava dell’incontro determinante della vita dei suoi ragazzi.
Lui stesso, fin dall’adolescenza, frequentava con assiduità Confessione e Comunione riconoscendo che, senza sacramenti, non avrebbe fatto neanche la metà di quello che aveva realizzato.
Leggendo il racconto dell’incontro con Bartolomeo Garelli nel paragrafo “uno strano incidente” constatiamo che don Bosco parlava sempre di Gesù, infatti gli chiede subito:
Ciao, hai già ascoltato la Messa?
Dopo averlo accolto paternamente dimostrandogli affetto incondizionato, per prima cosa gli parla di Gesù e gli fa un po’ di catechismo poi, la domenica dopo, si metterà a giocare con lui nel cortile del Convitto. A volte sembra che si faccia il contrario e si pensi: “questo ragazzo non è ancora pronto per sentirsi annunciare Gesù!”, la domanda spontanea è: “quanto è presente Gesù nella vita di quell’animatore che fa quel discorso?”. Ma naturalmente non tutti siamo ancora (!) don Bosco, quindi non possiamo far altro che prendere esempio da lui e ascoltare i suoi consigli, cominciamo col farci qualche domanda.
Conosco Gesù per sentito dire oppure posso dire di averlo incontrato?
Ho mai letto una volta un Vangelo dall’inizio alla fine oppure mi sono accontentato del Vangelo sentito a Messa?
Ai ragazzi che mi sono affidati parlo di Dio?
4.15 In cerca della volontà di Dio |
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La vita di don Bosco sembra piena di coincidenze, un vecchio saggio diceva: “Le coincidenze sono miracoli nei quali Dio mantiene l’anonimato”. Quando per il suo Oratorio sembrava tutto finito, ecco arrivare un uomo balbuziente che lo porta nella tettoia Pinardi; quando non sapeva come aiutare i ragazzi che gli stavano intorno, ecco arrivare Bartolomeo Garelli; quando aveva bisogno di trenta mila lire per comprare la casa Pinardi, ecco arrivare tanti soldi. Questo perché don Bosco si era accorto che era Dio a guidare la storia. Si fidava del suo direttore spirituale don Cafasso e tutto quello che gli capitava era occasione di preghiera personale. Leggeva gli avvenimenti alla luce del Signore e si lasciava guidare dalla Provvidenza, ma – come mi sembra abbastanza chiaro – don Bosco non si è mai sognato di restare con le mani in mano ad aspettare che arrivasse l’aiuto dal cielo.
Dio guida anche la tua storia e anche tu puoi impegnarti a ricercare la Sua volontà, per riuscirci puoi cercarti il tuo don Cafasso o se preferisci il tuo don Calosso, insomma una guida spirituale.
4.16 La guida spirituale |
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Come possiamo leggere nella prima parte della vita Giovanni Bosco, fin da piccolo aveva trovato in don Calosso un’ottima guida spirituale:
«Mi misi subito nelle mani di don Calosso. Gli feci conoscere tutto me stesso, gli raccontai ogni parola, ogni pensiero. Imparai allora che cosa voglia dire avere una guida stabile, un amico fedele dell'anima, di cui fino a quel tempo ero stato privo. Mi incoraggiò a frequentare la confessione e la comunione, e mi insegnò a fare ogni giorno una breve meditazione. Nessuno può immaginare la mia contentezza. Amavo don Calosso come un padre, lo servivo volentieri in tutte le cose. Quell'uomo di Dio mi voleva veramente bene».
Negli anni dell’adolescenza Giovanni si fece guidare da qualche bravo sacerdote finché, quando doveva decidere se entrare o meno in seminario, gli suggerirono di consigliarsi col ventitreenne don Cafasso. Rimase così colpito che da quel momento si fece sempre guidare da lui. Si aprì completamente e tante volte, anche quando don Bosco attraversava seri momenti di difficoltà, i consigli del direttore spirituale si mostrarono esatti. Certo, don Cafasso non era un prete qualunque. Pio XI – che lo proclamò Beato – lo definì «la perla del clero italiano», mentre Pio XII – che lo proclamò santo – lo riconobbe «un modello di vita sacerdotale», ma se è vero che lo Spirito Santo è il regista di tutto, possiamo fidarci e metterci anche noi alla ricerca di una guida spirituale che ci aiuti a diventare santi.
Proviamo a riflettere su questo aspetto della nostra vita.
Ho mai pensato che se non percorro io stesso un serio cammino spirituale non posso dare ciò che non ho ai giovani che il Signore mi affida?
Ho mai cercato una guida spirituale?
Mi confesso regolarmente?
Mi apro totalmente come don Bosco con don Cafasso o tengo qualcosa per me?
4.17 Conclusione |
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Leggere la vita di don Bosco e riflettere su questi aspetti può essere una buona preparazione all’incontro con lui quando saremo di fronte all’urna. Possiamo arrivare con qualche preghiera concreta. Partendo dalla sua vita possiamo poi intercettare la nostra. Possiamo chiedergli di aiutarci a mettere Gesù al centro della nostra vita, di purificare le nostre intenzioni e i criteri delle nostre scelte. Possiamo pregarlo perché illumini la nostra guida spirituale o perché ci aiuti a trovarne una in gamba come la sua. Possiamo chiedergli di aiutarci a scoprire la volontà di Dio su di noi.
Possiamo dirgli tante cose, sarebbe bello andarci preparati.
5 Don Bosco fondatore consolida la sua opera (1846–1869) |
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Una giornata all’Oratorio
L’Arcivescovo fu ben contento di rinnovare tutti i permessi all’Oratorio. Nella cappella Pinardi si potevano amministrare i sacramenti e celebrare l’Eucaristia. Vista questa benevolenza e la sede stabile, i collaboratori che avevano abbandonato don Bosco cominciarono a tornare.
Di buon mattino, don Bosco, apriva la chiesetta e cominciava a confessare fino all’ora della Messa. Durante la funzione, al momento dell’omelia, iniziò a raccontare la storia sacra a puntate: in maniera semplice e popolare raccontava usi, costumi, e fatti della Bibbia. I ragazzi aspettavano con gioia quei racconti che erano graditi anche agli adulti e agli stessi preti. Dopo la predicazione, iniziava la scuola fino a mezzogiorno, all’una si faceva un po’ di ricreazione e alle due e mezzo il catechismo. Si concludeva il tutto con il vespro e un breve racconto, che invitava i ragazzi a praticare una virtù durante la settimana. Da quel momento iniziava il tempo libero dove tutti potevano giocare in cortile o, a scelta, continuare a prendere lezioni di canto o lettura. Don Bosco si serviva di quelle ricreazioni lunghissime per avvicinare tutti i ragazzi, per interessarsi della loro vita e per dire loro una buona parola.
Il Marchese Cavour, ancora una volta, si preoccupò di questi raduni e cercò di interromperli, ma il Re Carlo Alberto in persona, attraverso un suo delegato, fece sapere:
– Il Re vuole che queste riunioni festive siano aiutate e protette. Se c’è pericolo di qualche disordine, si cerchi il modo di prevenirlo e di impedirlo.
Da quel giorno, le guardie del Re comparirono ogni domenica in cappella Pinardi. Risultato? Anche loro si mettevano in fila al confessionale di don Bosco!
La scuola per i ragazzi analfabeti non poteva certo bastare una volta alla settimana, già da tempo don Bosco la faceva quotidiana nella formula serale. Il problema però era nei libri di testo, oltre il catechismo non c’era più niente di accessibile per dei ragazzi semplici. Le omelie della domenica diventarono la Storia Sacra ad uso delle scuole, un libro di testo popolare, ricco di episodi utili per gli alunni e capace di mettere in luce gli elementi fondamentali della fede. Nacquero anche Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità e Il giovane provveduto. Lo studio che con impegno e sudore Giovannino Bosco aveva fatto ora portava i suoi primi frutti.
5.1 Don Bosco sta male |
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La settimana di don Bosco era molto faticosa, oltre a lavorare all’Ospedale del Cottolengo e nel Rifugio della Marchesa, stava alzato fino a notte fonda per scrivere i libri per i suoi ragazzi. Appena poteva li andava a trovare nelle carceri e nel posto di lavoro, insomma, gli dedicava tutto il tempo libero. Il troppo lavoro rischiava di minare seriamente la sua salute. Don Borel lo mandò a riposarsi come ospite di un suo amico parroco vicino a Superga, ma anche lì i ragazzi lo vennero a cercare.
– Dopo il ritorno dai Sassi – racconta don Bosco –, fui preso da un grande sfinimento. Dovettero portarmi a letto. Ero seriamente malato. In otto giorni giunsi al limite tra la vita e la morte.
Appena la notizia fu resa nota, centinaia di ragazzi arrivano al suo capezzale per chiedere informazioni sulla sua salute. Piangevano in continuazione e non si volevano allontanare. Molti di loro fecero sacrifici, digiuni e promesse alla Madonna. Ed Ella li esaudì.
Quella malattia lo colpì nel luglio del 1846, quando abitava ancora al rifugio. A breve si sarebbe trasferito a Valdocco, ma prima andò a trascorrere alcuni mesi di convalescenza presso la sua famiglia ai Becchi.
Mamma Margherita e la nuova famiglia
Nel giro di poco tempo mamma Margherita lo rimise in sesto. I giovani continuavano ad andare a trovarlo anche ai Becchi e, ora che stava meglio, doveva tornare. Si erano liberate due stanzette nella casa Pinardi e voleva affittare quelle. Prendendo il coraggio a due mani disse alla madre:
–Mamma, dovrei andare ad abitare a Valdocco. Dovrei prendere una persona di servizio. Ma in quella casa abita gente di cui un prete non si può fidare. Ci puoi venire tu?
–Se credi che questa sia la volontà del Signore, sono pronta a venire.
Margherita faceva un grande sacrificio. In casa era considerata una regina e i nipoti che aveva sempre desiderato la circondavano di affetto. Fece una scelta eroica. Misero le loro poche cose dentro un canestro e si incamminarono verso Valdocco. Margherita sacrificò il suo corredo da sposa per fare gli arredi della cappellina e le vesti liturgiche. Iniziò, insieme al figlio, a cucire gli abiti strappati dei poveri muratori che chiedevano aiuto a don Bosco e a prendersi cura di loro. La domenica era più bella all’Oratorio, ora i ragazzi avevano anche una mamma!
Una sera piovosa di maggio bussò alla porta un ragazzo di circa 15 anni:
–Sono un povero orfano. Vengo dalla Valsesia a cercare lavoro. Non ho più niente.
–E adesso dove vuoi andare – gli chiese don Bosco?
–Non lo so. Per favore lasciatemi passare la notte in un angolo.
Il poveretto si mise a piangere, anche la buona mamma si commosse. Don Bosco dopo essersi assicurato che non avrebbe rubato niente, come era già capitato con altri, disse:
–Mamma, se sei d’accordo lo facciamo dormire qui.
–Qui dove?
–In cucina.
–E se porta via le pentole?
–Farò in modo che non succeda!
–Allora d’accordo.
Mamma Margherita con un po’ di paglia preparò il lettino per il piccolo orfano e, prima di rimboccargli le coperte, gli insegnò alcune preghiere. Nasceva in quel momento una famiglia che si sarebbe ingrandita a dismisura, oggi è cresciuta e viene chiamata Famiglia salesiana.
Come con Bartolomeo, don Bosco non si accontentò di un solo orfano. Col tempo gli allievi interni sarebbero aumentati, la carità della gente lo avrebbe aiutato ad affittare e costruire nuove stanze che li avrebbero accolti nella nuova famiglia.
L’Oratorio cresce
L’Oratorio cresce a dismisura e come un alveare sciama. D’accordo con don Borel, don Bosco affittò una piccola casa vicino a Porta Nuova e fondò l’Oratorio di San Luigi che adottò lo stesso sistema e regolamento di Valdocco. Don Giacinto Carpano si preoccupò di assumerne la direzione.
Grazie a Dio i collaboratori cominciarono ad essere sempre più numerosi, anche insigni musici come don Nasi e don Chiatellino si unirono all’Oratorio e diedero vita ad un apprezzatissimo coro di voci bianche che si esibiva nelle parrocchie torinesi. Il Comune di Torino e vari benefattori cominciarono ad assegnare premi in denaro a questi ragazzi e anche gli orfani interni potevano così avere vitto e alloggio.
Più volte cercarono di convincere don Bosco a mischiarsi in politica, a portare i giovani a comizi civili, ma egli rifiutò sempre e sempre dirà:
– La nostra politica è quella del Padre nostro!
Alcuni ragazzi gli stavano sempre vicino, Rua e Giuseppe Buzzetti in prima fila erano sempre con lui, e lo aiutavano come potevano.
5.2 Contemplativo nell’azione |
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Molti si sono spesso chiesti:
– Tra tutti questi impegni, quando don Bosco trovava il tempo di curare la sua vita spirituale? Quando pregava?
La risposta data a suo tempo anche dal Papa Pio XI fu questa: «Quando don Bosco non pregava?». Don Bosco pregava sempre. Era unito al Signore in tutto quello che faceva, insegnava ai suoi ragazzi più grandetti a pregare prima, durante e dopo ogni azione importante della giornata. Stare al freddo, al caldo, riposati o stanchi, in un cortile pieno di ragazzi erano le mortificazioni che tanto raccomandava ai suoi collaboratori:
– Non fate grandi mortificazioni! Far bene il vostro dovere quotidiano è già un grande sacrificio. È lì che il Signore vi aspetta ogni giorno.
Nel pomeriggio dedicava almeno un’ora di adorazione al Signore, in quel momento non c’era per nessuno! Quando camminava, o viaggiava pregava la Madonna. La sera, dopo aver dato la buona notte ai suoi ragazzi, non parlava più fin dopo la Messa del mattino, era il tempo del dialogo col Signore. Don Bosco non era mai solo!
Per questo motivo gli furono concesse centinaia di grazie straordinarie. Numerosi testimoni, tra cui molti dei suoi ragazzi e collaboratori adulti, lo videro moltiplicare castagne e pagnotte inoltre ottenne guarigioni miracolose per intercessione di Maria Ausiliatrice.
Un uomo che non prega non può fare certe cose. Don Bosco era un contemplativo nell’azione e così voleva che fossero anche i suoi salesiani.
Nuovi locali
Ormai gli orfani aumentavano e le stanzette sembravano sempre più strette. Un giorno festivo, mentre don Borel predicava, don Bosco incrociò come al solito il signor Pinardi:
–Altolà don Bosco, mi deve comprare tutta la casa!
–Ma la cifra che mi chiede è troppo alta.
–Mi faccia lei un’offerta allora.
–L’ho fatta stimare da un amico comune, il suo valore è tra le 26 e 28 mila lire. Gliene do 30.
–Va bene, se mi pagherà in contanti, affare fatto.
–In contanti.
–Allora pagamento tra quindici giorni, centomila lire di multa a chi si tira indietro!
–Va bene!
Trenta mila lire erano tante. Ma la Provvidenza gliele fece arrivare in pochi giorni. Come faceva a saperlo? Non lo sapeva! Si era fidato di Dio.
Serviva ancora spazio la chiesetta era troppo piccola. Don Bosco organizzò una grande lotteria, mobilitò i nobili di Torino, chiese aiuto ai vescovi delle diocesi dei ragazzi che accoglieva e, nel 1851, fu benedetta la prima pietra della chiesetta di San Francesco di Sales. In undici mesi fu costruita, l’inaugurazione fu una festa incredibile, i giornali ne parlarono per giorni, l’Oratorio era una realtà e i benefattori continuavano a sostenerlo.
I ragazzi interni aumentavano e don Bosco si prendeva cura di loro, diversi andavano a lavorare fuori dalla casa come apprendisti da artigiani professionisti. Fu uno dei primi in Italia che si preoccupò di parlare con i padroni affinché trattassero bene i ragazzi chiedendo loro sicurezza, non troppe ore di lavoro, e il giusto riposo. Firmava lui i contratti e, se non venivano rispettati, ritirava gli apprendisti. Ben presto si rese conto che i ragazzi, quando andavano fuori da casa, correvano molti pericoli morali: si rovinava tutto il lavoro che faceva pazientemente quando erano all’Oratorio. Come fare? Da ragazzo aveva lavorato anche lui, era ora di ricominciare.
Laboratori
Altri locali, altri benefattori, altre umiliazioni, ma tutte per il bene dei suoi ragazzi. Nell’autunno del 1853 don Bosco iniziò i laboratori dei calzolai e dei sarti. Lui stesso fu il primo maestro: si sedette al deschetto e martellò una suola davanti a quattro ragazzini. Pochi giorni dopo cedette il posto di maestro a un suo collaboratore. I primi maestri dei sarti furono sempre don Bosco e, questa volta, anche mamma Margherita. Nel 1854 aprì il laboratorio di legatoria, nel 1856 la falegnameria e, più tardi, la tipografia. Col tempo arrivarono dei veri e propri maestri in casa, che producevano e insegnavano il mestiere ai ragazzi.
Gli interni erano ormai più di 65, venne scritto un regolamento per accogliere solo gli orfani e i più bisognosi, l’Oratorio infatti non voleva essere una «casa di operai» ma una vera casa di educazione. Assieme agli artigiani ci sono gli studenti che non faranno più scuola serale ma al mattino, di questi, molti diventeranno salesiani.
Letture cattoliche
In quegli anni iniziò, per via di alcune leggi statali, l’emancipazione degli ebrei e protestanti, divenne necessario mettere in mano alla gente e, specialmente ai giovani, qualche mezzo di difesa. I protestanti pubblicavano ben tre giornali e confondevano le idee della gente semplice, avevano a disposizione molto denaro e davano aiuti a chi frequentava le loro scuole e il loro tempio. Spinto dalla necessità, don Bosco iniziò in quei mesi a scrivere alcune pagine schematiche sulla Chiesa Cattolica e alcuni manifestini stampati anche dai suoi laboratori intitolati Ricordi per i Cattolici. Dopo il successo dei primi fascicoli don Bosco iniziò il progetto delle Letture Cattoliche che tanto bene avrebbero fatto al popolo.
I protestanti più volte cercarono di uccidere don Bosco. Tante volte fu aggredito in strada e tante volte si salvò. Quando la sera veniva chiamato a confessare qualche malato grave si faceva sempre accompagnare da Giuseppe Buzzetti e da altri dei più grandi e, spesso, era necessario il loro intervento per difenderlo da qualche attentato.
Comparve persino un misterioso cane chiamato da don Bosco «Grigio». Più volte lo salvò dai malintenzionati. Grigio appariva e spariva a suo piacimento e nessuno sapeva da dove venisse. Più tardi don Bosco dirà:
– Dire che sia un angelo farebbe ridere. Ma neppure si può dire che sia un cane ordinario.
Nascono i salesiani
Nel 1852, don Bosco incominciò a tenere una serie di conferenze segrete ai migliori dei suoi ragazzi. Michelino Rua aveva 15 anni. A differenza di altri non si spaventava di quello che diceva don Bosco. Diceva che l'Oratorio, negli anni che sarebbero venuti, avrebbe avuto migliaia di ragazzi, che si sarebbe trapiantato in tutta l'Italia, anche oltre le Alpi, e addirittura al di là degli oceani. Nell'autunno del 1853 don Bosco gli disse:
–Ho bisogno che mi dia una mano. Per la festa della Madonna del Rosario, verrai con me alla cappellina dei Becchi. Lì verrà il parroco di Castelnuovo e ti farà indossare la veste nera dei chierici. Così, con l'inizio dell'anno scolastico 1853-54, sarai assistente e insegnante dei tuoi compagni. Sei d'accordo?
–D'accordo.
Una di quelle sere Michele, pensieroso, chiese a don Bosco:
–Si ricorda il nostro primo incontro? Lei aveva distribuito delle medaglie, ma per me non era rimasto niente. Allora mi fece un gesto strano, come se volesse darmi metà della sua mano. Che cosa voleva dire?
–Ma come? Non l'hai ancora capito? Volevo dire che noi avremo diviso tutte le responsabilità, perfino i debiti! Ma anche il Paradiso.
Il 26 gennaio del 1854 nella cameretta di don Bosco quattro giovanotti, che avevano partecipato a quelle conferenze segrete, si riunirono per prendere più seriamente l’impegno del servizio verso i propri compagni. Sul suo taccuino, quella sera, Michele Rua scrisse: «Ci siamo radunati nella stanza di don Bosco, Rocchetti, Artiglia, Cagliero e Rua. Ci è stato proposto di fare, con l'aiuto del Signore e di san Francesco di Sales, una prova di esercizio pratico di carità verso il prossimo. In seguito faremo una promessa, e poi, se sarà possibile, faremo un voto al Signore. A coloro che fanno questa prova e che la faranno in seguito è stato dato il nome di Salesiani».
Il 25 marzo del 1855 Michele Rua fece voto di povertà, castità e obbedienza nelle mani di don Bosco, fu il primo salesiano.
Don Bosco cominciò a scrivere le regole della nuova congregazione e nel febbraio del 1858, sotto consiglio dell’Arcivescovo di Torino, si recò a Roma dove fu ricevuto dal Papa Pio IX. Egli benedisse la sua iniziativa e gli diede molti preziosi consigli. Il 18 dicembre del 1859 nella cameretta di don Bosco si riunirono diciassette dei suoi stretti collaboratori. Li aveva preparati per bene con le conferenze sui voti di povertà, castità e obbedienza. Quella sera professarono i voti di fronte al crocifisso e diedero vita alla Congregazione salesiana.
La Madonna regala alcuni diamanti
Maria Ausiliatrice cominciò a benedire più intensamente il lavoro di don Bosco. Fece alcuni regali speciali che possiamo paragonare a delle vere e proprie pietre preziose. Tra tutti i ragazzi accolti all’Oratorio ed educati col sistema che don Bosco chiamava Preventivo, alcuni si distinsero non solo per la non comune bontà, ma anche per la straordinaria santità. Primo fra tutti fu Domenico Savio, si affidò a don Bosco come se fosse un pezzo di stoffa nelle mani di un sarto e il risultato fu un bellissimo abito da regalare al Signore. Don Bosco stesso ne scrisse la vita e, ogni volta che la rileggeva, si commuoveva e gli scendevano le lacrime.
Dopo di lui venne Michele Magone un terremoto che aveva incontrato alla stazione di Carmagnola, era il generale della banda della Mano Nera, ma non era generale della sua vita. Don Bosco lo accolse all’Oratorio e ne seguì la sorprendente conversione. A 150 anni dalla morte ancora si parla di lui, è amato perché tanti monelli si riconoscono nella sua storia e vedono che anche loro, se seguono gli insegnamenti di don Bosco,possono fare grandi cose.
Altri giovani veramente buoni passarono all’Oratorio. Diversi di loro, crescendo, diventarono veri e propri santi.
5.3 Stessa vita a Mornese |
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Don Bosco non pensava solo ai suoi giovani. Nelle Opere della Marchesa di Barolo aveva lavorato anche per le ragazze abbandonate e desiderava prendersi cura ancora di loro. Inoltre Pio IX lo aveva invitato esplicitamente a pensarci. Sperava di trovare delle brave collaboratrici che potessero mettere su un progetto simile al suo nel settore femminile.
A volte la Provvidenza lascia sbalorditi.
Raccontiamo brevemente il perché semplificando la vicenda.
In quegli stessi anni a Mornese, un paese nelle colline del Monferrato, Maria Mazzarello e l’amica Petronilla, stavano vivendo un’esperienza non lontana da quella di don Bosco. Avevano aperto un laboratorio di cucito per le ragazze povere e la domenica ne radunavano molte altre per i giochi e il catechismo. Un giorno un papà portò due sorelline da Maria e Petronilla, era solo e non le poteva più tenere. Quelle brave ragazze le presero con loro. Già da tempo vivevano, seguite dal loro parroco don Pestarino, un impegnativo cammino spirituale che, assieme ad altre ragazze, le aveva portate a fare delle scelte radicali: avevano fondato un gruppo chiamato Figlie dell’Immacolata.
Quando don Bosco le incontrò capì che aveva trovato quello che stava cercando e, d’accordo con don Pestarino, che poi diventerà salesiano, fondò nel 1972 assieme a Maria Mazzarello la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Maria sarà la prima superiora della Congregazione, morirà nel 1881 e, anche le sue suore, varcheranno i confini dell’Italia, delle Alpi e dell’Europa.
5.4 Si realizzano i sogni |
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Nel 1963 don Bosco aprì la prima casa salesiana fuori Torino. Gli fu affidato il piccolo seminario di Mirabello Monferrato. Non potendoci andare egli stesso, manderà don Rua. Per lui scriverà alcune pagine confidenziali che lo aiuteranno a fare un buon lavoro. Intanto i giovani aumentano e la chiesetta di San Francesco di Sales non basta più. Don Bosco deve mobilitare ancora i benefattori, organizzare lotterie e chiedere l’elemosina ai ricchi, ormai non solo di Torino, ma di tante altre località che ormai conoscono e apprezzano la sua opera. Nel marzo del 1864 si pone la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice a Valdocco, verrà consacrato il 9 giugno del 1868.
Il 1° marzo del 1869 la «Pia Società Salesiana» venne approvata dalla Santa Sede.
I sogni misteriosi, finalmente, cominciavano a realizzarsi.
S cheda di riflessione
per educatori2
5.5 La preghiera del cristiano |
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Sulla preghiera in questi ultimi anni sono stati scritti libri a non finire che occupano interi scaffali delle librerie religiose. Non ci sembra possibile e neanche necessario dire qualcosa in più in queste poche righe, tuttavia possiamo approfondire il modo in cui pregava don Bosco. Questo, se ci pensiamo, può essere anche un sistema utile a chi fa riferimento alla sua spiritualità.
Possiamo iniziare col dare un criterio generale sulla preghiera cristiana seguendo la riflessione di un grande teologo salesiano don Giorgio Gozzellino: «La qualità principale della preghiera cristiana si riassume nell’essere trinitaria ed ecclesiale perché cristologica». Cioè, ogni volta che il cristiano prega come insegna la Chiesa lo fa nel modo in cui ci insegna la dossologia, proclamata dal presidente della celebrazione durante la Messa alla fine della Preghiera Eucaristica e ratificata dall’assemblea con la risposta “Amen”:
«Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli».
È il momento in cui il pane e il vino, che sono il corpo e il sangue di Gesù, vengono innalzati dal sacerdote a nome dell’assemblea, come se volesse che la terra toccasse il cielo, per significare che con quella preghiera la Chiesa celeste loda la Trinità insieme alla Chiesa terrena.
In pratica, più la nostra preghiera è rivolta al Padre attraverso Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo, più siamo vicini alla preghiera della Chiesa. Don Bosco pregava così aveva sempre Gesù tra le labbra, parlava ai giovani dell’Eucaristia e li riconciliava con Dio attraverso la confessione. La sua preghiera era cristocentrica, il tutto è confermato dal fatto che fu un’insuperabile divulgatore della devozione a Maria Ausiliatrice. Maria che porta in braccio il bambino è la madre di Dio, lei più di tutti ci conduce al Padre attraverso il Figlio.
Don Bosco ha inaugurato, o forse consolidato, un aspetto nuovo, affascinante e particolare della preghiera cristiana, è stato sì cristocentrico e trinitario, ma in una nuova modalità: contemplativo nell’azione.
In pratica, ha riunito nello stesso atto l’amore verso Dio nella pratica dell’amore verso il prossimo, attraverso la grazia dell’unità tra interiorità e operosità.
5.6 Ma don Bosco quando poteva pregare? |
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Nell’800 molti consideravano il lavoro un tempo tolto alla preghiera. La causa di beatificazione di don Bosco fu rallentata perché gli oppositori sostenevano che nella sua vita la presenza della «preghiera esplicita» fosse troppo esigua. In qualsiasi modo la si intenda la preghiera esplicita reclama l’interruzione di ogni attività esterna per dedicarle tempo di concentrazione, raccoglimento e luogo adatti. Gli avversari sostenevano:
«Per raggiungere i suoi scopi don Bosco contava molto sulla propria sagacia, iniziativa ed attività e usava in lungo e in largo di tutti i mezzi umani. Più che sull’aiuto divino cercava gli appoggi umani con inesplicabile sollecitudine giorno e notte, fino all’estremo delle forze, fino al punto di non essere più capace di attendere agli impegni della pietà».
Don Bosco si discostava decisamente dal modello tradizionale degli altri santi, anche solo torinesi, come ad esempio da don Cafasso suo maestro e da don Murialdo, il quale impiegava anche quattro ore nel preparare la Messa nel celebrarla e nel ringraziare.
Ma avere un proprio modo di preghiera non è lo stesso che non pregare o pregare troppo poco. La testimonianza del terzo successore di don Bosco, il beato Filippo Rinaldi, fu un contributo determinante per risolvere il problema. Don Rinaldi affermava:
«Il Venerabile fu proprio un uomo di Dio, continuamente unito a Dio nella preghiera. Ogni giorno soleva starsene in camera dalle 14 alle 15 e i Superiori non permettevano che in quell’ora fosse disturbato. […] Non solo all’Oratorio, ma a Lanzo, a san Benigno, dove si recava spesso, e a Mathi e nella casa di san Giovanni Evangelista in Torino, più volte mi recai da lui proprio in quell’ora per parlargli. E a quell’ora, dappertutto e sempre, lo sorpresi ogni volta, raccolto, con le mani giunte, in meditazione».
Si può dire, dice un altro stretto collaboratore, «che pregava sempre; io lo vidi potrei dire, centinaia di volte salendo e scendendo le scale sempre in preghiera. Anche per via pregava. Nei viaggi, quando non correggeva bozze, lo vedevo sempre in preghiera». «In treno – diceva don Bosco ai salesiani – non state mai in ozio, ma dite il breviario, recitate il rosario, o leggete qualche buon libro». In qualunque momento gli si chiedessero consigli spirituali, li aveva pronti come se in quel momento stesse uscendo da un discorso con Dio.
Don Bosco dava alla preghiera una precedenza assoluta: «La preghiera, ecco la prima cosa». «Non si comincia bene – diceva – se non dal cielo». Consigliava di pregare anche di notte qualora ci si fosse svegliati all’improvviso.
Ai ragazzi invece proponeva una preghiera semplice e lineare, popolare nei suoi contenuti, allegra e festiva nelle sue espressioni, una preghiera a portata di tutti, dei fanciulli e degli umili.
Allora alla domanda: “Ma don Bosco quando poteva pregare”, possiamo rispondere senza dubbio: “Ma don Bosco quando non pregava?”.
5.7 Contemplativo nell’azione |
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La vita di don Bosco fu attraversata dalla preghiera nelle sue diverse espressioni. Ha saputo vivere ogni sua attività da quella più sacra a quella più quotidiana e feriale come luogo del suo abituale incontro con Dio. Era così unito a Dio che riuscì a superare la separazione tra vita spirituale da una parte e vita attiva dall’altra. Non ha mai sentito durante il suo stare in mezzo ai ragazzi la nostalgia per i tempi destinati alla preghiera. Questo dono speciale è chiamato grazia di unità.
Quando di notte con mamma Margherita aggiustava gli squarci dei vestiti che i giovani si erano fatti di giorno, non rimpiangeva altri lavori sacerdotali, non sembrava essere diviso tra orazione e azione, non sentiva la nostalgia di essere altrove. Accettava il quotidiano e lo trasfigurava, lo unificava appunto con la grazia dell’unità tra interiorità e operosità, che è un unico movimento di amore verso Dio e verso il prossimo.
Don Bosco tuttavia era talmente unito a Dio nel momento dell’azione da non rimpiangere la preghiera; ed era talmente unito a Dio nella preghiera da non rimpiangere l’azione.
5.8 Alcuni consigli pratici |
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Don Bosco ha sempre consigliato l’uso delle giaculatorie per mantenere la grazia di unità. È la preghiera pura e breve della tradizione monastica che prolunga nella giornata la preghiera del coro, o del mattino se vogliamo. Gli antichi la consideravano il frutto più bello della meditazione della Parola, o dell’ascolto di quella proclamata alla Messa del mattino nel nostro caso. Sant’Agostino ne parla come «rapidi messaggi che partono all’indirizzo di Dio». San Francesco di Sales le definisce «brevi, ma ardenti slanci del cuore». Don Bosco similmente le considerava una sintesi della preghiera mentale e vocale del mattino «partono dal cuore e vanno a Dio. Sono dardi infuocati che mandano a Dio gli affetti del cuore e feriscono i nemici dell’anima, le tentazioni, i vizi».
Oggi potremmo anche considerarle degli SMS che indirizziamo a Dio o, come è in uso tra i giovani che spesso non hanno credito nel telefonino, degli squilli che dicono «Aiutami in questa tentazione», «Perdonami per questa azione», «Mi ricordo di Te», «Resta con me!». In tante occasioni possiamo pregare con semplicità:
«Signore donami la sapienza».
«Aiutami a dare una buona parola a questa persona».
Quando facciamo la genuflessione di fronte al Santissimo possiamo dire: «Mio Signore e mio Dio» oppure «Ti adoro mio Dio e ti amo con tutto il cuore». I salmi in proposito sono una miniera.
Un altro metodo fruttuoso può essere il procurarsi un piccolo messalino con la Parola di Dio del giorno, leggerla prima di andare a dormire in modo che l’ultimo pensiero della giornata sia per Dio e che la Parola lavori in noi nella notte. Leggere al mattino appena alzati una lettura del Vangelo e renderla viva e operante durante il giorno attraverso le giaculatorie significa fare come Maria che «meditava tutte queste cose nel suo cuore».
Sono consigli semplici che tanti di noi già mettono in pratica ma che tematizzati ed evidenziati forse possono aiutare a rinforzare in noi l’unione con Dio e la grazia di unità che don Bosco tanto ci ha raccomandato.
Alcuni spunti di riflessione:
Che posto ha Dio nella mia vita? È la mia prima occupazione?
Prego durante la mia giornata?
Faccio l’esame di coscienza alla sera prima di addormentarmi?
Che posto ha la Parola di Dio nel mio cuore?
La medito al di fuori della Messa?
Mi procuro degli strumenti adatti per approfondirla o vivo di rendita?
Conosco veramente la vita di don Bosco oppure ho letto solo un libretto di 20 paginette?
Approfondisco la spiritualità salesiana?
Sono capace di trasfigurare la mia vita?
6 Don Bosco anziano sostiene la sua opera (1869–1888) |
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6.1 Don Bosco nel mondo |
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Fin dagli anni trascorsi in seminario a Chieri, don Bosco era attratto dalle missioni. Desiderava portare il Vangelo e il suo sistema educativo fino ai confini del mondo. Preso da tanti impegni e dalla fondazione dell’Oratorio lasciò perdere il progetto temporaneamente. Tra il 1871 e il 1872 fece un altro sogno importantissimo, un sogno missionario. Vedeva tanta gente bisognosa di aiuto che viveva in un’immensa pianura incolta, tanti missionari cercavano di aiutare quegli indigeni ma venivano tutti uccisi ferocemente. I salesiani, nel sogno, furono gli unici che riuscirono a istruire quella gente assieme ai loro ragazzi.
Don Bosco iniziò a ricevere tante richieste di aiuto dai vescovi presenti negli altri continenti, accettò solo la Patagonia che riconobbe essere quella che aveva sognato dopo aver consultato le carte geografiche.
L’11 novembre 1875 nascono le Missioni Salesiane, che si estenderanno poi in tutto il mondo. Nel Santuario di Maria Ausiliatrice stipato di una grande folla, don Bosco consegnò il crocifisso ai primi dieci missionari salesiani in partenza per l'America del Sud. Li guidò don Giovanni Cagliero, anche lui uno dei primi ragazzi dell'Oratorio.
6.2 I cooperatori salesiani |
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Don Bosco desiderava che il suo sistema educativo fosse portato anche nella società laica, voleva che i suoi salesiani potessero entrare nelle scuole pubbliche e dovunque ci fossero giovani al di fuori delle sue opere. Inizialmente immaginava in questo senso la figura del coadiutore salesiano ma, in un secondo tempo, capì che aveva bisogno di dare vita ad un’altra vocazione: i cooperatori salesiani che lui stesso chiamerà «salesiani esterni». Si tratta di persone che scelgono di seguire un regolamento di vita apostolica proposto dal fondatore senza professare i voti, diventando così dei veri e propri salesiani impegnati nel secolo.
Il 9 maggio 1876, papa Pio IX approvò i «Cooperatori salesiani». Sono gli amici delle sue opere, che lavorano per la salvezza della gioventù e che lo aiutano con mezzi finanziari. Prima di morire, don Bosco dirà loro: «Senza la vostra carità io avrei potuto fare poco o nulla».
Nel 1877 per tenere i collegamenti con i suoi cooperatori, divenuti centinaia di migliaia, don Bosco fonda il «Bollettino Salesiano». È un mensile illustrato che porta a tutti le notizie della Congregazione, le lettere dei missionari che lavorano ai confini del mondo, la parola di don Bosco. Avrà un enorme sviluppo.
6.3 In giro per l’Europa |
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Ma più le opere salesiane si estendevano nel mondo, più richiedevano enormi somme di denaro. Bisognava sostenere le missioni d'America e mantenere migliaia di giovani abbandonati. Don Bosco era ormai conosciuto e amato in gran parte dell’Europa e la fama della sua santità continuava ad estendersi. Tante persone ricorrevano a lui chiedendo grazie e preghiere e lui affidava tutto a Maria Ausiliatrice, moltissimi venivano esauditi.
Negli ultimi anni della sua vita fu costretto a pellegrinare per l'Italia, la Francia e la Spagna, in cerca di elemosina. Una fatica estenuante. La Madonna benedisse visibilmente anche quei viaggi: le mani di don Bosco ridonavano la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la salute agli infermi. In tutta l'Europa era ormai conosciuto come «il prete che fa i miracoli».
Nel Maggio del 1887 don Bosco compì un ultimo viaggio attraverso la Spagna chiedendo l'elemosina. Era stato per incarico del Papa, che gli aveva affidato la costruzione di un tempio al Sacro Cuore in Roma. Ormai era stanco e il suo fisico cominciava a non reggere più.
6.4 A suo tempo tutto comprenderai |
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Nel Maggio del 1887 finalmente si sarebbe consacrato la chiesa del Sacro Cuore a Roma, don Bosco affrontò quell’ultima fatica. Fu ricevuto dal Papa Leone XIII che lo ringraziò per i sacrifici che aveva fatto per realizzare quanto gli aveva chiesto.
Il 14 ci fu la grande consacrazione. Il giorno successivo don Bosco salì all'altare del grandioso tempio per dire la Messa. Appena iniziò, don Viglietti, che lo assisteva, lo vide scoppiare a piangere. Un pianto lungo, irrefrenabile, che a più riprese lo accompagnò quasi tutta la Messa. Alla fine, dovettero quasi portarlo in sacrestia. Don Viglietti preoccupato gli chiese:
–Don Bosco, che cos’ha? Si sente male?
Don Bosco scosse la testa e rispose:
–Avevo dinanzi agli occhi, viva, la scena del mio primo sogno, a nove anni. Vedevo proprio e udivo mia mamma e i miei fratelli discutere su ciò che avevo sognato...
In quel lontano sogno la Madonna gli aveva detto: «A suo tempo tutto comprenderai». Ora, guardando indietro nella vita, gli parve di comprendere proprio tutto.
Verso la fine dell’anno, don Bosco diventò sempre più stanco. Don Rua preoccupato di quella situazione mandò un telegramma a Giovanni Cagliero, ormai vescovo e missionario in Patagonia, che si precipitò a Torino.
Mori all'alba del 31 gennaio 1888. Ai salesiani che vegliavano attorno al suo letto, tra le poche buone parole che ancora riusciva a mormorare, disse:
–Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in paradiso.
Parte II
Il significato del pellegrinaggio dell’urna
Il culto delle reliquie nella chiesa
La morte secondo i cristiani del primo secolo
Comunità in vita e dopo la morte
Il ricordo dei defunti cristiani
Le catacombe: i primi cimiteri cristiani
Le persecuzioni e il culto dei martiri
Il culto delle reliquie dei martiri: san Pietro e san Policarpo
Il senso della santità
Dio sorgente della santità
Cristo chiama la Chiesa alla santità attraverso la via dell’amore
Tutti i battezzati sono invitati ad essere santi
I santi canonizzati dalla Chiesa, “testimoni della fede”
Intercessori presso il Padre
L’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di san Domenico Savio
Il significato del pellegrinaggio dell’urna di don Bosco
7 Parte II: Il Significato del pellegrinaggio dell’urna |
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7.1 Il culto delle reliquie nella Chiesa |
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7.1.1 La morte secondo i cristiani del primo secolo |
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L’evento più importante della storia dell’umanità è la risurrezione di Gesù. Gli apostoli e i primi discepoli, dopo le apparizioni del Risorto e la discesa dello Spirito Santo, cominciarono a capire tutto quello che il Figlio aveva loro rivelato. I Vangeli affermano che in più di un’occasione Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli la sua morte e risurrezione. Nell’episodio della risurrezione di Lazzaro Gesù offre un segno della sua potenza salvifica, indicando alla prima comunità cristiana che chiunque avesse creduto in Lui – risurrezione e vita – avrebbe avuto la vita eterna:
«Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. 23 Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. 24 Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell'ultimo giorno”. 25 Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. 27 Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”» (Gv 11, 20–27).
Le religioni pagane, praticate nell’impero romano, riguardo alla morte avevano un’idea diversa. Per lo più si immaginava un aldilà dove le anime dei morti, come ombre, continuavano ad esistere, i “buoni” assieme ai “cattivi”.
I cristiani pensavano che per meritarsi il paradiso avrebbero dovuto credere in Gesù e seguire i suoi insegnamenti. Era essenziale far parte di una comunità cristiana, non ci si poteva salvare da soli! Da sempre Gesù ha riunito i discepoli intorno a sé e, anche dopo la Sua ascensione, i fedeli hanno continuato a riunirsi e a spezzare il pane insieme, come il Maestro aveva loro insegnato.
7.1.2 Comunità in vita e dopo la morte |
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Per i cristiani la fede in un solo Dio e il suo culto esclusivo non era una cosa privata, ma influiva ugualmente sulla loro condotta personale e sociale. Gesù aveva rivelato che Dio è Padre: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1). Questa consapevolezza creava nei credenti un rapporto del tutto particolare fra di loro come figli di Dio, erano insomma sorelle e fratelli. San Paolo, in alcune sue lettere, paragona la comunità cristiana ad un corpo composto di tante membra – che chiama corpo mistico – dicendo che Gesù stesso ne è il capo: «Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose» (Col 1,18).
In un modo misterioso ma molto reale nella comunità dei credenti è presente Cristo: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
Gli Atti degli Apostoli inoltre ci testimoniano come nelle prime comunità ci fosse una vera e propria condivisione dei beni: si aiutavano i poveri, si soccorrevano le vedove, si assistevano i malati. La Chiesa, dunque, mentre i suoi componenti erano in vita, era unita, ma, grazie alle promesse di Gesù, l’unione continuava anche dopo la morte.
Riflettendo sulle parole di Gesù, sempre più la Chiesa delle origini capì che l’appartenenza al corpo mistico riguardava anche i defunti, quindi il legame della comunione non veniva rotto dalla morte. La morte non significava la fine, ma un passaggio ad una vita nuova che, dopo il giudizio finale, avrebbe riguardato anche il corpo.
Per questo motivo si rifiutava l’usanza pagana della cremazione e si voleva inumare (seppellire) i propri cari, seguendo anche in questo l’esempio del Signore sepolto e risorto.
Mentre i pagani parlavano di “necropoli”, cioè città dei morti, i cristiani consideravano i loro cimiteri come dormitorio (coemeterium), come luogo del riposo dove si dormiva fino alla risurrezione. Prendendo alla lettera la fede nella risurrezione, le tombe si utilizzavano generalmente una sola volta.
Nella Roma antica, invece, si era abituati a gettare i defunti in grandi fosse comuni, venivano buttati persino neonati abbandonati e schiavi che non valevano più niente.
7.1.3 Il ricordo dei defunti cristiani |
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La responsabilità vicendevole e la solidarietà che caratterizzava le prime comunità cristiane non finiva con la morte, comprendeva anche i cari defunti; se infatti il defunto non poteva permettersi una degna sepoltura, la comunità ne garantiva la deposizione in una tomba decorosa. Questo profondo rispetto verso i defunti come fratelli di fede era del tutto nuovo nella Roma antica.
Il lutto per la morte di parenti amati o di cari amici, come pure la gratitudine per il tempo vissuto assieme, spingeva i cristiani a visitare continuamente le loro tombe. Anche i pagani visitavano i defunti, ma i cristiani avevano una motivazione più profonda: la loro fede. Erano profondamente sicuri che sarebbero stati insieme anche nel futuro, quando si sarebbero riconciliati ancora, una volta per sempre. Sapendo di essere tutti figli dell’unico Padre, sorelle e fratelli di fede, pensavano: Qui dove dormono i nostri cari dormiremo anche noi fino al giorno della risurrezione, nel luogo comunitario di riposo; sepolti insieme, senza badare a reputazione, carica, ricchezza o povertà. Sapevano che un giorno sarebbero stati tutti inclusi nella preghiera per la pace dei defunti.
7.1.4 Le catacombe: i primi cimiteri cristiani |
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Nel primo secolo i cristiani di Roma non avevano cimiteri propri. Se possedevano dei terreni, seppellivano là i loro defunti, altrimenti ricorrevano ai cimiteri comuni usati anche dai pagani. Per tale motivo san Pietro fu sepolto nella necropoli sul Colle Vaticano, aperta a tutti; come pure san Paolo fu sepolto in una necropoli della via Ostiense.
Soprattutto nel secondo secolo il cristianesimo cominciò a espandersi e a convertire pagani appartenenti a famiglie ricche o benestanti. Questi credenti avevano dei terreni o dei cimiteri di famiglia che misero a disposizione dei fratelli di fede. Come è risaputo, il cristianesimo dovette però attraversare delle grosse difficoltà, soprattutto a causa del paganesimo e di alcuni imperatori romani. Essendo monoteisti, i cristiani si rifiutavano di considerare l’imperatore dominus et deus, signore e Dio, scatenando i pregiudizi e l’ira delle autorità. Altre dicerie e falsità diedero origine a una vera e propria ostilità che si trasformò in persecuzione, a volte anche programmata. Così poteva capitare che i cristiani, visitando i loro defunti e pregando presso le loro tombe, venissero disturbati e oltraggiati dalla plebe o che trovassero le tombe macchiate e profanate.
Cresceva così il desiderio di un luogo sepolcrale riservato alla comunità, dove si potessero ricordare i defunti senza correre il rischio di essere disturbati. Aumentando i cristiani, aumentava anche il bisogno di nuove sepolture. Una legge romana garantiva il diritto di servirsi della proprietà terriera che si estendeva anche alla parte sotterranea; bastava solo scavarne quello di cui si voleva usufruire rispettandone i limiti.
Ebbero così inizio le catacombe. Molte di esse sorsero e si svilupparono attorno a dei sepolcri di famiglia. Col passare del tempo le aree funerarie si allargarono, talvolta per iniziativa della Chiesa stessa. Il più famoso è il caso delle catacombe di san Callisto: la Chiesa ne assunse direttamente l'organizzazione e l'amministrazione.
7.1.5 Le persecuzioni e il culto dei martiri |
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Come abbiamo sopra accennato, nei primi secoli dopo Cristo, i cristiani vennero accusati di slealtà verso la patria, di ateismo, di empietà e di odio verso il genere umano. Tra le altre cose erano sospettati di delitti occulti, come l'incesto – infatti si consideravano tutti fratelli e sorelle –, l'infanticidio e il cannibalismo rituale – dicevano di mangiare il corpo di Cristo –. Per via delle loro colpe erano considerati anche la causa di calamità naturali, come la peste, le inondazioni e le carestie.
Per questi motivi la religione cristiana fu posta fuori legge e perseguitata, perché considerata il nemico più pericoloso del potere di Roma, basato sull'antica religione olimpica e sul culto dell'imperatore, strumento e simbolo della forza e dell'unità dell'Impero. Molti cristiani furono uccisi, diversi diedero la vita pur di non rinnegare la fede in Cristo. Le parole di Gesù sul martirio iniziavano tragicamente a realizzarsi:
«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome» (Lc 21,12).
«Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20).
I primi tre secoli furono l'era dei martiri.
Nel 313 con il cosiddetto «Editto di Milano», gli imperatori Costantino e Licinio concessero la libertà di culto alla Chiesa. In ogni caso, prima di Costantino, la persecuzione non fu sempre continua e generale, cioè estesa a tutto l'impero, né fu sempre egualmente crudele e cruenta. A periodi di persecuzioni seguirono periodi di relativa tranquillità.
I Martiri diventarono i Testimoni della fede per eccellenza. Il grande scrittore cristiano Tertulliano afferma che «il loro sangue è stato seme di nuovi cristiani». Gradualmente, il ricordo dei defunti diventava più intenso quando si trattava di fare memoria di fratelli che avevano messo in pratica le parole di Gesù fino a sacrificare la vita, il bene più grande:
«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…» (Mt 5,11).
I martiri cominciano ad essere venerati e invocati dalle Chiese particolari in genere nel dies natalis, cioè nel giorno della loro nascita al cielo. Una prassi costante della Chiesa è quella di riunirsi in assemblea liturgica o sul luogo dove i martiri avevano reso la loro testimonianza di fede a Dio, oppure presso i loro gloriosi sepolcri. Molti fedeli cominciarono addirittura a farsi seppellire vicino alle loro tombe. Visitando le catacombe di san Callisto si può notare come, vicino al sepolcro della martire Cecilia, si trovino numerosi loculi di devoti defunti.
La preghiera sulle tombe dei martiri unisce in comunione di lode e di supplica i membri della Chiesa sulla terra a quelli che già contemplano il volto di Dio. Questa comunione ha il momento più forte nell'Eucaristia, quando il cielo e la terra, gli angeli, i santi e tutti i fedeli in cammino si associano alla stessa lode per mezzo di Cristo Signore, nell'unità dello Spirito Santo, a gloria di Dio Padre.
7.1.6 Il culto delle reliquie dei martiri: san Pietro e san Policarpo |
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Tra i primi martiri che hanno dato la vita per difendere il Vangelo svetta tra tutte la testimonianza di san Pietro. Abbiamo spiegato che fu sepolto nella necropoli sul Colle Vaticano, aperta a tutti.
Nel 1952 furono ripresi gli scavi sotto l'attuale altare papale della Basilica di San Pietro, con risultati che ci aiutano a capire quanto fosse importante per i primi cristiani venerare le tombe dei martiri, nelle quali erano deposte le loro reliquie. Venne rinvenuta un'edicola funeraria appoggiata a un muro contemporaneo detto 'rosso' per il colore e particolarmente prezioso per i numerosi graffiti sovrapposti. Essi vennero decifrati da studiosi molto preparati. Tutti contengono invocazioni a Pietro. Al suo nome sono uniti talvolta i nomi di Cristo e di Maria, si trovano l'augurio della vita “in Cristo” e “in Pietro”, il cui nome viene espresso dalla sua simbolica chiave. Nella stessa necropoli vaticana, sulla tomba dei Valerii, venne ritrovata questa scritta:
«Petrus, roga pro sanctis hominibus chrestianis ad corpus tuum sepultis:
Pietro, prega per i santi uomini cristiani sepolti presso il tuo corpo».
E' evidentemente una preghiera per i cristiani tumulati presso il corpo dell'Apostolo, segno che proprio lì Pietro era stato sepolto e lì veniva invocato. Sembra che già intorno al 150 d.C. questo luogo di Roma sul Colle Vaticano fosse meta di pellegrini.
San Policarpo, invece, nacque a Smirne, nell’attuale Turchia, nell'anno 69. Ireneo, suo discepolo e vescovo di Lione in Gallia, scrisse che «fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l'Asia nella Chiesa di Smirne», intorno all’anno 100. È venerato come discepolo dell’apostolo Giovanni e come ultimo testimone degli Apostoli. Intorno al 157 scoppia una persecuzione a Smirne. L'anziano vescovo (ha 86 anni) viene portato nello stadio, perché il governatore romano Quadrato lo condanni. Policarpo rifiuta di difendersi davanti al governatore, che vuole risparmiarlo, e alla folla, dichiarandosi cristiano. Fu ucciso mentre rendeva grazie a Dio Padre per averlo ritenuto degno di essere annoverato tra i martiri e di prendere parte al calice di Cristo.
La Chiesa di Smirne, dopo il martirio del suo vescovo Policarpo e di undici fedeli, scrisse alle Chiese vicine e a tutte le comunità della Chiesa universale raccontando della loro fine gloriosa. Aggiungeva queste parole che attestano l’importanza del culto delle reliquie dei martiri:
«Noi
veneriamo degnamente i Martiri in quanto discepoli e imitatori del
Signore e per la loro suprema fedeltà verso il proprio Re e Maestro,
e sia dato a noi pure di divenire loro compagni e discepoli! […]
Dopo avere raccolto le ossa di Policarpo più preziose di rare gemme e più pure dell'oro fino, le riponemmo là dov'era di rito. E in questo luogo radunandoci in esultanza e letizia ogni qual volta ci sarà possibile, ci consentirà il Signore di festeggiare la ricorrenza del suo martirio, a memoria di quanti hanno affrontato già la stessa lotta e ad esercizio e preparazione di quanti la affronteranno in futuro» (Martyrium Polycarpi: XVII, 3; XVIII, 2-3).
Con gli stessi sentimenti di questi nostri fratelli di Smirne vogliamo pregare presso le tombe dei gloriosi martiri e celebrare nella gioia il loro dies natalis. Grazie alla loro intercessione la nostra fede sarà resa più salda per poter affrontare serenamente le prove della vita.
Le reliquie dei martiri e i loro resti mortali sono dei ricordi preziosi da conservare con cura. Non sono dotate di arcani poteri capaci di produrre miracoli, tutt’altro! Queste reliquie, e come vedremo anche quelle dei santi, ci mettono in contatto con la testimonianza eroica di una vita donata interamente per il Vangelo, suscitano e rinforzano in noi la fede in Cristo.
La fede in Cristo è l’unica capace di smuovere le montagne.
Ecco perché pregando presso i loro gloriosi sepolcri si ottengono tante grazie.
Nella storia della Chiesa non tutti i cristiani sono stati chiamati al martirio, ma tutti sono invitati ad essere testimoni della fede. I cristiani che più di tutti hanno realizzato questa vocazione sono i santi. Essi hanno speso la vita per il regno di Dio, ci hanno preceduto nel vivere con impegno la fede cristiana e, col loro esempio, hanno tracciato il cammino che conduce nella casa del Padre. Sono degni di essere ricordati e venerati, ci aiutano a rendere più salda la nostra fede.
Nel prossimo capitolo parleremo di loro.
7.2 Il senso della santità |
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7.2.1 Dio sorgente della santità |
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La parola “santo” può essere intesa in modi diversi.
Nell’Antico Testamento la santità è l’attributo esclusivo di Dio. Solo Dio è santo. «Tu solo il Santo», proclamiamo nel Gloria della Messa, e ripetiamo ancora per tre volte nel Sanctus e nelle varie preghiere eucaristiche. Le parole della liturgia eucaristica provengono dal libro del profeta Isaia, dove è descritta la rivelazione, nella quale il profeta è ammesso a contemplare, per annunziarla al popolo, la maestà della gloria di Dio:
«...Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato... attorno a lui stavano dei serafini... proclamavano l'uno all'altro: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,1-3).
Mentre nell’Antico Testamento la santità era una qualità esclusiva di Dio, che lo separava dal popolo, grazie a Gesù la santità di Dio si diffonde su tutti quelli che credono in Lui. Non fa più riferimento all’idea di separazione ma a quella di comunione. Tutta la Chiesa, allora, è chiamata alla comunione con Dio e all’amore, tutta la Chiesa è chiamata alla santità.
7.2.2 Cristo chiama la Chiesa alla santità attraverso la via dell’amore |
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Durante tutta la sua predicazione Gesù ha insegnato la via dell’amore. Interrogato poi su quale fosse il più importante dei comandamenti, rispose senza esitazione:
«Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; 30 amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,29-31).
Per spiegare più concretamente ai discepoli come fare ad amare Dio e i fratelli nella vita di ogni giorno, Gesù insegnò loro e alla folla presente, le Beatitudini del Regno (Mt 5,1-11).
È dunque mediante la pratica dell’amore che possiamo raggiungere la meta della nostra vita, la santità, Dio stesso! Più ameremo, più imiteremo Dio che è tutto amore:
«7Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore viene da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4,7-8).
Acquisendo questo stile di vita evangelico, avremo la gioia di mettere in pratica l’esortazione di Gesù: «Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
Gesù ha lasciato a tutta la Chiesa il compito di essere santa. Per questo ha dato la sua vita, per santificarla, cioè perché tutti quelli che credono in Lui vengano raggiunti e riempiti dall’amore di Dio. In questo modo i fedeli sono accolti nella casa della Trinità dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si amano dall’eterno e dove ora, insieme a Loro, abitiamo anche noi.
La Chiesa dunque è santa! San Paolo, come abbiamo detto, riflettendo su questo mistero, paragona la comunione dei fedeli ad un corpo: il corpo mistico. Significa che Cristo, scegliendo di morire in croce, ha unito la Chiesa al suo corpo formando un nuovo essere vivente che ha riempito di Spirito Santo, cioè di amore.
7.2.3 Tutti i battezzati sono invitati ad essere santi |
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Nelle antiche comunità cristiane, per i motivi appena elencati, l’attributo di “santo” non era riservato a pochi eletti, ma era il modo comune con cui venivano chiamati tutti i battezzati. Ecco come san Paolo saluta la comunità di Corinto nella sua prima lettera:
«Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sostene, 2 alla Chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati in Cristo Gesù, chiamati santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore loro e nostro: 3 grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo» (1 Cr 1,1-3).
Paolo chiama santi tutti i fedeli riempiti dall’amore di Dio grazie al sacrificio di Gesù, ma allo stesso tempo li invita a continuare a camminare nell’amore:
«Vi preghiamo e vi esortiamo nel Signore Gesù a progredire sempre di più. 2 Infatti sapete quali istruzioni vi abbiamo date nel nome del Signore Gesù. 3 Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate» (1 Ts 4,2-3).
Come si può realizzare il progetto d’amore che Dio ha su di noi? Come fare per camminare nella via dei santi? Si potrebbero dare molte risposte, ma fondamentalmente si tratta di mettere in pratica ancora una volta le parole di Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).
7.2.4 I santi canonizzati dalla Chiesa, “testimoni della fede” |
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La madre Chiesa, nella sua sapienza, fin dai suoi inizi ha pensato che per aiutare i fedeli a camminare nella via dell’amore non fosse necessario scrivere dei trattati teologici, magari complessi e poco accessibili ai semplici. Ha invece capito che la scientia amoris – la scienza dell’amore – non si impara sui libri, ma seguendo l’esempio di quei fedeli che più di tutti hanno saputo avere gli stessi sentimenti di Gesù. Sono questi i testimoni della fede di cui abbiamo parlato.
Inizialmente venivano scritte le testimonianze del martirio dei fedeli chiamate gli Atti o le Passioni dei martiri. Dopo il terzo secolo, vennero scritte anche le vite di santi monaci, di santi vescovi e di altri santi fedeli che erano proposti come modelli riusciti di santità. La Chiesa cominciò a pronunciarsi ufficialmente e a segnalare personalmente degli esempi di vita cristiana, che venivano chiamati santi. Molte volte erano i fedeli stessi che colpiti dalla testimonianza di questi grandi cristiani, insistevano perché fossero subito riconosciuti santi dalla Chiesa.
I santi venivano imitati da tutti. Si era convinti, e lo si è tuttora, che dopo la morte fossero già entrati nella casa della Trinità, che fossero ammessi subito al cospetto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
7.2.5 Intercessori presso il padre |
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Proprio perché convinti della loro vicinanza al Padre i santi furono considerati dei potenti intercessori. Si prega Dio per l’intercessione dei santi perché a loro, che hanno amato Gesù con impegno per tutta la vita, il Padre per mezzo del Figlio (nello Spirito Santo) non vorrà certo rifiutare il favore di cui il fedele ha bisogno. Loro che sono così vicini potranno più facilmente raccontare le ansie e i problemi che affliggono i fedeli sulla terra. In questo modo si rafforza l’unione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste che già contempla il volto di Dio.
I santi non erano quindi dei defunti ‘qualunque’. La preghiera per i defunti, di cui abbiamo parlato prima, aveva un significato diverso. In molte iscrizioni nelle catacombe si trovava scritto: «Poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati», proprio perché pregando per loro si voleva in un certo senso accelerare il loro incontro col Padre. Invece la preghiera rivolta ai santi è una preghiera di intercessione, diversa – è sempre bene precisarlo – dalla preghiera di adorazione che può e deve essere rivolta solo alla Santissima Trinità.
Per questo motivo i santi cominciarono ad essere venerati come i martiri.
Anche i resti mortali e le loro reliquie furono venerati con la stessa devozione.
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium”, che tratta proprio della Chiesa, sintetizza con queste parole quello che abbiamo cercato di spiegare finora.
«La Chiesa ha sempre creduto che gli apostoli e i martiri di Cristo, che con l'effusione del loro sangue diedero la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli e ha devotamente implorato il soccorso della loro intercessione. A questi in breve se ne aggiunsero anche altri, che avevano più da vicino imitata la verginità e la povertà di Cristo e infine altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane e le grazie insigni di Dio raccomandavano alla devozione e all’imitazione dei fedeli.
Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr. Eb 13,14 e 11,10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le cose mutevoli del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. 2 Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr. Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati.
Non veneriamo però la memoria degli abitanti del cielo solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità (cfr. Ef 4,1-6). Poiché, come la cristiana comunione tra i cristiani della terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunità con i santi ci congiunge a lui, dal quale, come dalla loro fonte e dal loro capo, promana ogni grazia e la vita dello stesso popolo di Dio. È quindi giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che sono anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, rivolgiamo loro supplici invocazioni e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per supplicare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore. Infatti ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è “la corona di tutti i santi”, e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato» (LG 50).
7.2.6 L’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di san Domenico Savio |
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La Congregazione salesiana, in Italia e in alcune altre ispettorie, ha già vissuto l’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di San Domenico Savio. Nel 2004, il Rettor Maggiore ha colto l’occasione del 50° anniversario della morte di Domenico Savio per rilanciare la santità giovanile, proprio a partire dall’esempio della vita del giovane santo. La strenna del 2004 recitava così:
«riproponiamo a tutti i giovani con convinzione la gioia
e l`impegno della santità come misura alta di vita cristiana ordinaria».
In quegli anni il Papa Giovanni Paolo II stava proponendo a tutta la Chiesa, e in modo speciale ai giovani, la prospettiva della santità, come fondamento e punto centrale del programma pastorale per il nuovo millennio:
«Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio! Siate contemplativi ed amanti della preghiera; coerenti con la vostra fede e generosi nel servizio ai fratelli, membra attive della Chiesa ed artefici di pace» (Messaggio per la XV Giornata Mondiale della Gioventù 2000).
Il pellegrinaggio dell’urna fu una straordinaria occasione per riscoprire la testimonianza e l’esempio di Domenico. Pregando presso l’urna, piccoli e grandi hanno messo nelle sue mani tante preghiere e intenzioni perché lui, che aveva tanto amato il Signore, potesse intercedere per loro. Tante mamme in attesa pregavano per i loro bambini sicure che Domenico, loro protettore, si sarebbe interessato con Gesù di esaudire le richieste che fossero in sintonia con la volontà del Padre. Tanti giovani hanno ripreso in mano la vita di Domenico Savio, scritta da don Bosco stesso, che già tanto bene aveva fatto a generazioni di giovani cristiani, vescovi e papi compresi.
Fede, preghiera, desiderio di santità e grazie speciali sono i frutti più belli che il Padre, attraverso l’intercessione di Domenico, ha voluto donare ai fedeli accorsi a visitare l’urna pellegrina.
7.2.7 Il significato del pellegrinaggio dell’urna di don Bosco |
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Al termine del nostro piccolo itinerario, traiamo le conclusioni che al lettore sono ormai, in gran parte, già chiare.
Anche in questo caso l’occasione è straordinaria. La strenna del 2008 ci ha invitato a «educare i giovani secondo il cuore di don Bosco»; il Capitolo Generale 26, nella stessa linea, ci ha chiesto di tornare alle fonti del nostro carisma a partire dal motto del Fondatore: «Da mihi animas, cetera tolle». Il Rettor Maggiore desidera che tutta la Famiglia salesiana continui ad evangelizzare i giovani che il Signore le affida, con questi stessi sentimenti. Per fare questo è necessario che essa rifletta sulla propria identità. È, pertanto, fondamentale continuare ad amare e ad approfondire don Bosco. La strenna del 2009 è così formulata:
«Impegniamoci a fare della Famiglia Salesiana
un vasto movimento di persone per la salvezza dei giovani».
Due grandi avvenimenti giustificano e arricchiscono la scelta del tema della Strenna per il 2009:
il 150º anniversario di fondazione della Congregazione Salesiana;
la preparazione del bicentenario della nascita di don Bosco (1815-2015).
Con il ricordo del 150° della Congregazione Salesiana si dà inizio alla preparazione al bicentenario della nascita di don Bosco. Tale celebrazione significherà fedeltà rinnovata a don Bosco, alla sua spiritualità, alla sua missione; sarà un Anno santo "salesiano".
Il pellegrinaggio dell’urna sarà un’occasione per riprendere in mano la vita di don Bosco come desidera il Rettor Maggiore. La testimonianza della sua vita ci aiuterà ad imitarne la fede, l’amore per il Signore e lo zelo per i fratelli, soprattutto i giovani più poveri. Tutta la Famiglia salesiana del mondo si incontrerà per pregare presso l’urna, costituendo una comunità di fedeli chiamata da Cristo alla santità che desidera santificarsi seguendo l’esempio di don Bosco. Pregando presso l’urna, piccoli e grandi metteranno nelle sue mani tante preghiere e intenzioni perché lui, che ha tanto amato il Signore, possa intercedere per loro.
1 In particolare suggerisco a giovani e animatori il breve testo di A.Giraudo, Scrivo a voi giovani, appunti di spiritualità salesiana, Pastorale Giovanile ICP, Torino. Si può utilizzare come validissimo approfondimento insieme a questo sussidio in questa sezione. Per averlo si può fare richiesta al salesiano don Gianni Ghiglione: «gianni.uni@libero.it».
2 Traiamo queste riflessioni sulla preghiera, rielaborandole, dal famoso libro di P. Brocardo, Don Bosco, profondamente uomo profondamente santo, LAS, Roma 20014. È un testo utilissimo per approfondire la spiritualità di don Bosco e il carisma salesiano. Il livello è adatto a formatori ed educatori, ma anche ad animatori ben preparati.