ottobre 2011
IL CUORE DEL PASTORE
INVOCAZIONE ALLO SPIRITO
Amore del Padre e del Figlio,
santa sorgente di ogni bene,
Spirito Paraclito,
dai tesori della Trinità,
vieni, o fiume dell’amore, ad abbracciare i nostri cuori.
Mostrati in essi, dolce fiamma,
lambisci i nostri cuori ormai induriti,
allontana quel gelo che ci opprime.
Scendi, dolce vento del sud,
spira su di noi, fino a bruciarci con il tuo amore che ci divinizza.
Per te a te noi siamo uniti,
grazie a te siamo congiunti gli uni gli altri
con il legame dell’amore.
Analecta Hymnica Medii Aevi
PAROLA
Osea 11, 1-5
Quando Israele era bambino, lo amai e dall’Egitto chiamai mio figlio. Quanto più lo chiamavo, più mi si allontanavano: offrivano sacrifici a Baal, bruciavano offerte agli idoli. Io insegnavo a Efraim a camminare, lo portavo in braccio, e quelli non si resero conto che ero io ad aver cura di loro. Con vincoli di amore li attraevo, con corde di affetto. Fui per loro come chi porta un bimbo alle guance; mi chinavo e gli davo da mangiare. Tornerà dunque in Egitto …
LETTURA
Il capitolo 11 chiude la seconda parte del libro di Osea (capitoli 4-11). Questa descrizione dell'amore paterno/materno di Dio fa da magnifico parallelo al capo 2°, dove si parla dello stesso amore ma usando la metafora coniugale. Le due immagini si completano e si richiamano, ricomparendo poi in testi importanti come Geremia 31,15-22: Non è un figlio carissimo per me Efraim, il mio bambino prediletto? v. 20; o come Isaia 49: Si dimentica forse una donna de suo bambino? v.15; mentre al capo 54, sempre di Isaia, è la donna resa sterile dalla idolatria che torna ad essere feconda di numerosi figli: Esulta o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia … v.1. Il quadro d’insieme è lo stesso del capo 2°: quando tutto è ormai perduto, per la resistenza della sposa/del figlio, quando a Dio si preferiscono gli idoli, l'amore invincibile del Signore opera salvezza. Solo la grazia, solo l'amore donato e ricambiato possono liberare il cuore dell’uomo e il mondo stesso dalla presa mortifera dell’idolatria. Ma un cuore liberato diventa, allora, un cuore capace di amare come Dio ama.
v 1. Quando Israele era bambino, lo amai e dall’Egitto chiamai mio figlio. L’infanzia di Israele corrisponde alla liberazione dalla terra di schiavitù; è in quell’esperienza che il popolo ha “conosciuto” di quale amore Dio lo amasse e quanto efficace fosse quell’amore per la vita di quei figli, incamminati verso la terra d’una più ampia libertà, ossia di un amore che, attingendo da Dio, trovava la capacità di vivere una autentica fraternità: perché quell’avventura è la nascita del popolo. Ma, da subito, si è manifestata l'infedeltà, per il fascino dell’idolatria: avere tra le mani un dio che dà sicurezza perché in tutto simile a noi, proiezione dei nostri desideri, obbediente ai nostri comandi, un dio a nostro uso e consumo, un dio, perciò, per noi e, quindi, contro gli altri. Da notare che il primo verbo della serie, prima ancora della chiamata, è amare: qui sta il segreto di tutto, la prevenienza di Dio, l’assoluta gratuità del suo amore.
v. 2 Quanto più lo chiamavo, più mi si allontanavano: offrivano sacrifici a Baal, bruciavano offerte agli idoli. Il poeta salta varie tappe, per comporre una sintesi vigorosa: il Signore chiama dal Sinai ed offre alleanza; ma lì giunto, il popolo venera un vitello idolatrico. Stabilitosi in terra di Canaan, ripete lo stesso comportamento svendendo la propria libertà ai baalim, divinità della natura, culti della fecondità, riti orgiastici non privi di violenza fino al sacrificio cruento dei figli. E’ davvero un popolo dalla dura cervice!
v. 3 Io insegnavo a Efraim a camminare, lo portavo in braccio, e quelli non si resero conto che ero io ad aver cura di loro. La scena domestica si concentra su tre atteggiamenti carichi di tenerezza e di premura. Il primo usa un verbo raro, che significa insegnare ad andare; il secondo è un prendere in braccio il bambino quando si stanca, o sostenerlo con le braccia perché muova i passi con sicurezza; il terzo può supporre che il bambino sia caduto e si sia fatto del male, senza capire che suo padre lo sta curando (forse perché il rimedio adottato provoca dolore). Ma quel non si resero conto dice anche l’insipienza del cuore che non sa scoprire dentro gli eventi l’amore gratuito e fedele di Dio: è il dramma della sclerocardia, il progressivo inspessimento del cuore fino alla totale insensibilità, quella che la Bibbia chiama stoltezza.
v. 4 Con vincoli di amore li attraevo, con corde di affetto. Fui per loro come chi porta un bimbo alle guance; mi chinavo e gli davo da mangiare. Il testo ebraico parla di legami umani per contrapporli a quelli non-umani, ossia alle corde usate per trascinare animali e carri, secondo il detto di Isaia 5, 18: Guai a coloro che trascinano a sé la colpa con corde di buoi e il peccato con funi di carri. Verrebbe da pensare che l’amore sia un legame che vincola la libertà. Ma il v. 9, contrapponendo Dio all'uomo (perché io sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te), insinua che l’amore di Dio non è come quello umano, è di qualità diversa, non lega ma libera. Ecco la prova: si tratta d’un amore fatto di tenerezza e di premura come quello d’un padre che solleva il bimbo per baciarlo o si china su di lui per sfamarlo. Interessante il richiamo a Mosé quando si lamenta con Dio: L’ho forse concepito io tutto questo popolo? L’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: “Portalo in grembo” come la nutrice porta il lattante? E’ un’annotazione importante per il pastore; deve sempre ricordarsi che Dio fa proprio così; ed è ciò che il popolo non capisce.
Suggestivo anche l’uso del verbo sollevare perché Isaia lo utilizzerà per indicare la liberazione futura: In quel giorno sarà sollevato il fardello dalla tua spalla e il suo giogo cesserà di pesare sul tuo collo (10,27). Un Dio che si china fa pensare alla kenosis del Verbo come verrà sviluppata nel Nuovo Testamento e che troverà la sua icona più commovente nel Cristo che si abbassa a lavare i piedi ai discepoli nella cena d’addio. E il verbo sollevare fa pensare a colui che porterà il peso del nostro peccato per attuare una definitiva liberazione e trova la sua icona nel Cristo sottoposto alla croce: tutto e solo in ragione dell’Amore.
v. 5 Tornerà dunque in Egitto … Davanti alla contumacia di chi rifiuta di ritornare (ossia di convertirsi), si rende necessario il ritorno agli inizi, come a dire ricominciare tutto daccapo, per lasciarsi ancora una volta liberare da Dio e riprendere il cammino verso la terra promessa d’un autentico amore, anche passando per la prova del deserto. Dio è sempre disposto a ricominciare, intervenendo per colpire gli idoli ed aprire una nuova strada per l’esodo dall’Egitto. Ma il popolo sarà disposto a ricominciare tutto con Dio?
(breve pausa di silenzio per rileggere personalmente il testo)
COSTITUZIONI
Art. 61c I consigli evangelici, favorendo la purificazione del cuore e la libertà spirituale, rendono sollecita e feconda la nostra carità pastorale: il salesiano obbediente, povero e casto è pronto ad amare e servire quelli a cui il Signore lo manda, soprattutto i giovani poveri.
Questa parte dell’articolo ricorda l’effetto liberante della vita evangelica secondo i consigli riprendendo quanto affermato dalla Lumen gentium dove si afferma che “i consigli, volontariamente abbracciati secondo la vocazione personale di ciascuno, contribuiscono considerevolmente alla purificazione del cuore e alla libertà spirituale; per questo essi stimolano in permanenza il fervore della carità” (46). La liberazione, che i consigli favoriscono, ci rende maggiormente disponibili per servire, a tempo pieno e con tutte le nostre forze, i giovani che Dio ci affida. La liberazione dalla presa degli idoli crea quella radicale disponibilità ad accogliere l’amore che Dio ci dona, sì che il nostro modo di voler bene assume le caratteristiche stesse di Dio: è un amore gratuito, misericordioso, preveniente, fedele, proprio ciò che Don Bosco chiama “amorevolezza”.
Art. 15 Mandato ai giovani da Dio che è “tutto carità”, il salesiano è aperto e cordiale, pronto a fare il primo passo e ad accogliere sempre con bontà, rispetto e pazienza. Il suo affetto è quello di un padre, fratello e amico, capace di creare corrispondenza di amicizia: è l’amorevolezza tanto raccomandata da Don Bosco. La sua castità e il suo equilibrio gli aprono il cuore alla paternità spirituale e lasciano trasparire in lui l’amore preveniente di Dio.
Consapevole di essere mandato ai giovani da un Dio che è “tutta carità”, il salesiano chiede allo Spirito santo il dono della simpatia, modellata sulla mitezza del cuore di Cristo (cf CGS 100). La ragione profonda è che, se il giovane non incontra e sperimenta l’amore, se non vive in un ambiente in cui si ama e si viene amati, vedrà compromessa la sua maturazione. La forza trasformante dell’amore passa attraverso l’amorevolezza degli educatori, ossia un amore limpido, profondo, equilibrato e forte. Essere segni e portatori dell’amore di Dio richiede questa trasparenza (ascesi) e la presenza di Dio in noi (mistica). Declinare poi l’amorevolezza negli atteggiamenti indicati dall’articolo, ossia bontà, rispetto, pazienza, paternità, fraternità ed amicizia, vuol dire realizzare ciò che Don Bosco chiamava “familiarità”, quel rapporto positivo e promovente che apre l’interiorità del giovane ai valori proposti dall’educatore e crea la disponibilità a farsi accompagnare nel cammino di crescita.
La pedagogia di Don Bosco si identifica con tutta la sua azione; e tutta l'azione con la sua personalità; e tutto Don Bosco è raccolto nel suo cuore. E' un cuore e un'affettività da intendersi nel senso più vasto e profondo: intelligenza, fede, azione; ma è anche affettività intensa, fortemente interiorizzata, sempre controllata; e tuttavia, secondo i canoni della sua stessa pedagogia, sensibile, visibile, espressa, comunicata.
Veramente Don Bosco amava, amava i giovani con il cuore, con un cuore di carne, sentiva di amarli e loro sentivano d'essere amati, anche qui le sue parole dirette sono più chiare di qualunque altra considerazione. Dopo che era stato assente dall'Oratorio per malattia: “Giovedì prossimo a Dio piacendo sarò a Torino. Mi sento un bisogno grave di andarvi. Io vivo qui col corpo, ma il mio cuore, i miei pensieri e fin le mie parole sono sempre all'Oratorio, in mezzo a voi. E' questa una debolezza, ma non la posso vincere”. "Sebbene qui a Roma io non mi occupi unicamente della casa e de' nostri giovani, tuttavia il mio pensiero vola sempre dove ho il mio tesoro in Gesù Cristo, i miei cari figli dell'Oratorio. Più (volte) al giorno vo loro a far visita."
E Don Albera testimonia: "Ci avvolgeva tutti e interamente quasi in un'atmosfera di contentezza e di felicità, da cui erano bandite pene, tristezze, malinconie: ci penetrava corpo e anima in modo tale, che noi non si pensava più né all'uno né all'altra: si era sicuri che ci pensava il buon Padre, e questo pensiero ci rendeva perfettamente felici."
STIMOLI PER LA MEDITAZIONE
Interpreto e pratico i voti come lotta contro gli idoli?
Il mio stile di vita dice libertà interiore e denuncia profetica dell’idolatria?
Coltivo la “vigilanza del cuore” purificandolo da ogni attaccamento?
Nei momenti di difficoltà ricorro all’efficacia liberante del sacramento della Riconciliazione e alla sapienza illuminante della direzione spirituale?
Il mio modo di stare coi giovani si nutre di bontà, rispetto, disponibilità, pazienza, amicizia?
Il mio è un amore “leggibile” ossia reso manifesto dallo stile di relazione semplice e cordiale?
(pausa di prolungato silenzio per la meditazione personale)
CONDIVISIONE FRATERNA
PREGHIERA
O Padre, sorgente di ogni carità
Tu che nel Tuo Spirito fai nascere in noi
la forza viva dell’amicizia vera,
rendici aperti e cordiali nell’accogliere i fratelli,
specialmente i giovani,
generosi ed imparziali nell’amare tutti e ciascuno,
con affetto sincero e casto,
che sia per quelli che ci fai incontrare
specchio e pregustazione
della Tua paterna preveniente carità.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.