Da Don Bosco Educatore|Ms ABC
 

1. Ms A

 

Lunedì notte

Visto Buzzetti.    In mezzo domandai    Ma ti sembravano

più buoni i giovani adesso o quelli di una volta

Mi rispose —    la differenza fra questi e quelli si è

che questi non hanno troppa confidenza nel confessionale

i consigli    tuoi ma in particolare nelle cose

di coscienza

Il numero dei giovani buoni è grande

Ma tra gli antichi e i moderni vi è una differenza

notabile    anticamente il loro cuore era tutto aperto

ai Superiori che essi amavano ed obbedivano

presentemente i Superiori sono considerati come

superiori    temuti etc. perciò se si vuol far

un cuor solo ed un’anima sola per amor di

Gesù bisogna che si rompa la fatale

barriera della diffidenza e vi entri la

confidenza cordiale    Quindi l’obbedienza

che guidi l’allievo come la madre guida

un fanciullino etc. etc.    Non parliamo

delle frequenti confessione e comunione    ma man-

ca radicalmente la stabilità dei proponimenti etc. |

mi sentiva stanco

 

Hai null’altro da dirmi?    Quale avviso speciale

— che si ricordino tutti che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice

che essa li ha qui radunati.    Quindi pure la pace del cuore

quindi l’amore per    vicendevole. Che i cuori si aprano, che si

faccia un cuor solo e anima sola come nei primi tempi

E ci riusciremo?

Sì purché grandi e piccoli vogliano far un fioretto alla Madre

Celeste e siano pronti a soffrir qualche cosa per lei

qualche giovane    ma in questi pochi io vidi cose che

hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metter-

le sulla carta ma voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono.

Qui vi dico soltanto che è tempo di pregare e prendere

risoluzioni ferme, proporre non colle parole ma coi fatti

e far vedere che i Comollo i Savio Domenico i Besucco

i Saccardi, vivono ancora tra noi.

Basta che un giovane entri in una casa salesiana    e preso subito

sotto speciale Protezione di Maria SS Ausiliatrice

giovani

(Che si facciano uno strettissimo dovere di coscienza il riferire

ai Superiori tutte quelle cose che i Chierici in qualunque

modo conoscano esser offesa del Signore

(Della gelosia che ciascheduno vorrebbe amato dai

Giovani esclusi tutti gli altri superiori

Feroci gelosie

 2. Ms B

 

Sigle: B = redazione originsria di Don Lemoyne

B2 e B3 = successivi interventi del medesimo Don Lemoyne

 

    — Perché tanta noia e tanta e tanta svogliatezza.

    — Vidi tanta svogliatezza è di qui che proviene la freddezza nei Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà specialmente in Chiesa, lo star mal volentieri in un luogo ove la provvidenza li ricolma d’ogni benefizio, di qui l’ingratitudine, i segretumi, le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.

    — Vedo Capisco, intendo, ma come si ponno rianimare i giovani acciocché possano riprendere l’antica vivacità, allegrezza, espansione?

    — Coll ’amore!

    — Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io lo amo i miei giovani. Tu sai quanto ho sofferto, ho tollerato. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni ho dovuto incontrare e patire per essi.

    — Non parlo di te!

    — Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Non vedi come sono martiri del lavoro, giorno e notte studiano, sorvegliano, si consummano.

    — Vedo tutto conosco, ma qui non è tutto. |

    — Che cosa manca?

    — Che i giovani non solo siano amati ma essi stessi conoscano di essere amati.

    — Ma non hanno gli occhi in capo? Non scorgono casa, pane, profitto, carriera etc. scuole.

    — No ciò non basta.

    — Che cosa ci vuole dunque?

    — Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, imparino a veder l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, e queste imparino a far con amore.

    — Spiegati.

    — Il Divin Salvatore si è fatto piccolo coi piccoli e ha portato le nostre infermità.

    — Non capisco.

    — Osserva i giovani!

    Osservai: — E cosa c’è di speciale da vedere?

    — Come? tanto che vai educando giovani e non capisci. Dove sono i tuoi Salesiani?

    — Guardai e vidi etc. (come l’altro foglio)

    E l’altro ripigliò: quando tu nel passato ti ponevi in mezzo ai giovani era così?

    — Oh allora era una gioia un tri|pudio, un voler parlar, un essere an- fol. 3 siosi di udir le mie parole etc. Ma ora non posso più. Non vede come le visite, la mia sanità etc.

    — Capisco che tu non puoi ma perché i tuoi Salesiani non si fanno tuoi imitatori? Perché tu non comandi, non insisti, che trattino i giovani allo stesso modo che tu li trattavi?

    — Parlo e mi spolmono, ma capisci bene che anche i maestri e gli assistenti son stanchi dal far scuola, non si sentono più di far le fatiche di una volta, etc.

    — E quindi tralasciando il meno, perdono il più; e questo più sono le loro fatiche!

    — Dunque quale è il meno.

    — La famigliarità!

    Se non c’è questo, se stanno lontani dai Chierici. Che cosa ci vuol una regola, e eguale al ferro che quando [...] esteriore. E questo senza cuore farà dei nemici.

    Ne viene la gelosia tra superiore e Superiore. Ne viene che per non essere singolare chi farebbe non fa. Rispetto umano.

    Amore delle proprie comodità. Amicizie particolari.

    — Eppure io vedo che andando avanti li regolerà predominerà al sistema paterno .

    — La famigliarità quanto Gesù Cristo si fece piccolo pei piccoli e sopportò le nostre infermità. |

    Il maestro in cattedra è maestro, ma in ricreazione diventa fratello. Se si predica è ufficio di dovere, una parola in ricreazione è la parola di uno che da segno. Quante conversioni non accadere da una tua parola in

    Chi è amato ottiene tutto perché specialmente nei giovani

    Ciò mette una corrente elettrica tra giovani e Superiori.

    Si conoscono i loro bisogni, si vedono i loro difetti.

    Conoscendosi amati svelano il loro cuore.

 

 

3. Ms C

 

Sigle: C = redazione originaria di Don Lemoyne

C2 = interventi successivi del medesimo Don Lemoyne

    Una di queste sere io mi preparava per andare a riposo e avea incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. Mentre così pregava ecco assalirmi una distrazione o sonno che fosse e mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell’Oratorio. Uno di questi due mi si avvicino e mi salutò affettuosamente. Io lo guardava e quegli dissemi: — Mi conosce D. Bosco?

   — Si che ti conosco.

   — Si ricorda ancora di me?

   — Di te e degli altri: Tu sei Valfrè, ed eri nell’Oratorio prima del 1860.

   — Dica! vuol vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai miei tempi?

   — Sì fammeli vedere: Ciò mi cagionerà molto piacere.

   E Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura ed età di quel | tempo. Mi pareva di essere nell’Oratorio in tempo di ricreazione. Era una scena tutta di vita, moto, allegria. Chi correva, chi saltava, chi facea saltare. Qui si giuocava alla rana, la alla palla. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un Chierico il quale narrava un fattarello. In un’altro luogo un prete in mezzo ad altri giovanetti e li facea giuocare all’asino vola. Si cantava e si rideva da tutte parti e dovunque i Chierici e i preti erano l’anima del divertimento e i giovani intorno ad essi schiamazzavano allegramente.

   Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse: — Veda: la famigliarità porta amore e l’amore produce confidenza.

   In quell’istante si avvicinò a me l’altro antico allievo dell’Oratorio e mi disse: — D. Bosco vuole adesso vedere conoscere i giovani che attualmente sono nell’Oratorio?

   — Sì! fammeli vedere: risposi io —.

   Ed esso me li mostrò. Vidi l’oratorio e tutti i giovani che facevano ricreazione. Non più cantici | non più grida di gioia, non più quel moto, quella vita come nella prima scena. Si udiva qualche grido isolato, ma in generale si spandeva per l’aria come un mormorio confuso e nel viso e negli atti dei giovani si leggeva spossatezza, noia, musorni, diffidenza. Non mancavano giovani i quali corressero, si agitassero, con beata spensieratezza, ma moltissimi ne vedeva star soli appoggiati ai pilastri, molti seduti in fondo alle scale e su pei corridoi per sfuggire la ricreazione; altri passeggiare lentamente parlando sottovoce fra di loro e dando occhiatte sospettose o maligne attorno; molti giuocare bensì ma con una svogliatezza di chi non trova gusto ne divertimenti.

   — Hai visti i tuoi giovani? — Mi disse quell’antico allievo.

   — Li vedo risposi.

   — Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta.

   — Pur troppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.

   — E di qui proviene la freddezza in tanti nell’accostarsi ai Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà specialmente in | Chiesa; lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene per il corpo, per l’anima, per l’intelletto: di qui il non corrispondere che fanno molti alla loro vocazione; di qui le ingratitudine verso i Superiori; di qui i segretumi le mormorazioni con tutte le altre deplorevoli conseguenze.

   — Capisco; intendo risposi io: Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani acciocché riprendano l’antica vivacità, allegrezza espansione?

   — Coll’Amore!

   — Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se amo i miei giovanetti. Tu sai quanto ho sofferto e tollerato per ben 40 anni e tollero e soffro ancora adesso per loro. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, per dare pane, casa, maestri, ad essi e specialmente per la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per chi forma l’affetto di tutta la mia vita.

   — Non parlo di te!

   — Di chi dunque? Di coloro che | fanno le mie veci? Da Direttori, Prefetti, Maestri, Assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consummino i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza?

   — Vedo; conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.

   — Che cosa manca adunque?

   — Che i giovani non solo siano amati ma che essi stessi conoscano d’essere amati.

   — Ma non hanno gli occhi in capo? Non hanno il lume dell’intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?

   — No ciò non basta.

   — Che cosa ci vuole adunque?

   — Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col participare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono la disciplina, lo studio, e la mortificazione di se stessi e queste cose | imparino a far con amore.

   — Spiegati meglio!

   — Il Divin Salvatore si è fatto piccolo coi piccoli ed ha portate le nostre infermità.

   — Non capisco bene.

   — Osserva i giovani!

   Osservai e quindi replicai: — E che cosa c’è di speciale da vedere?

   — Come? Sono tanti anni che vai educando i giovani e non capisci? Guarda! Dove sono i tuoi Salesiani?

   Osservai e vidi che fra i giovani vi erano ben pochi preti e chierici i quali prendessero parte ai loro divertimenti. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro o non dandosi pensiero dei giovani o sorvegliandoli così alla lontana.

   Allora quell’amico ripigliò: Negli antichi tempi dell’oratorio tu non stavi sempre in mezzo ai giovani e specialmente alle loro ricreazioni?

   — Certamente e allora tutto era gioia per me e in essi un slancio nel volermi parlare ed una viva ansia di udire le mie parole e metterle in pratica. Ora però vedi come le udienze, gli affari multiplicati, la mia sanità per lo impediscono.

   — Va bene ma se tu non puoi perché i tuoi Salesiani non si fanno tuoi immitatori? Perché | tu non insisti e non comandi che si tratti i giovani allo stesso modo che tu li trattavi?

   — Parlo mi spolmono; ma capisci bene che anch’io veggo come i maestri siano stanchi dal far scuola e purtroppo non si sentono più di far le fatiche di una volta.

   — E quindi trascurando il meno perdono il più e questo sono le loro fatiche. Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori, e a questo modo sarà più facile e più leggera la loro fatica.

   — Che cosa adunque debbo raccomandare ai miei Salesiani?

   — Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore, e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il modello della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro, ma se va in ricreazione coi giovani diventa fratello rispettato. Se uno è visto solo predicare dal pulpi|to si dirà che fa ne più ne meno del suo dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni non accaddero per una tua parola giunta improvvisa all’orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani e i Superiori. I cuori si aprono: fan conoscere i loro bisogni, palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare eziandio le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze e le negligenze dei giovanetti, sicché ogni cosa abbia per fine non la vanagloria, non il vendicare l’amore proprio offeso, non la gelosia di una temuta preponderanza d’autorità altrui ma null’altro che la gloria di Dio, la salute delle anime coll’esempio di Gesù Cristo. Sai perché l’oratorio di adesso è diverso da quello di una volta? Perché si vuole sostituire all’amore la freddezza di un regolamento; perché i tuoi si allontanano dall’osservanza di quelle regole di educazione che tu hai loro | dettate, perché al sistema di prevenire amorosamente i disordini si va a poco a poco sostituendo il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda; bandir leggi e punir trasgressori. E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che l’oratorio ritorni all’antica felicità si rimetta in vigore l’antico sistema di essere tutto a tutti, padri dei giovani, tolleranti finché lo permette la carità i difetti della loro età giovanile, togliendo le distanze, amando con essi tutto ciò che essi amano. Allora i cuori non saranno più chiusi e non vi saranno più segretumi che uccidono.

   — E qual è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?

   — L’osservanza esatta delle regole che tu hai dato.

   — E null’altro?

   — Un piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.

   — E quale altro avviso mi dai pel buono andamento della casa?

   — Null’altro che questo: La famigliarità porta amore e l’amore porta confidenza e i giovani allora tutto palesano senza timore, ai maestri agli assistenti ai Supe|riori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e sono docili a tutto ciò che loro comanda Colui dal quale sono certi di essere amati.

   Mentre l’altro finiva di parlare io continuavo ad osservare con vivo rammarico quella ricreazione e a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza. Questa oppressione giunse al punto che mi scossi non potendo più resistere. Rinvenni. Era in piedi vicino al letto. Le gambe gonfie mi facevano male e non potea più star ritto. L’ora era tardissima. Quindi me ne andai in letto risoluto di scrivere a voi o miei cari queste righe.