INTRODUZIONE


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Le Memorie dell'Oratorio (= MO), uno degli scritti più personali e vivi di don Bosco, hanno avuto una grande importanza nella storia salesiana. Non solo perché alcuni fatti in esse contenuti, come il sogno dei nove anni e la descrizione dell'incontro con Bartolomeo Garelli, sono divenuti eventi simbolo della vita del santo e della missione salesiana, oggetto di riflessioni spirituali e pedagogiche. Questo documento ci ha educato ad una lettura insieme epica e provvidenzialistica delle vicende personali di don Bosco e della sua istituzione prediletta, l'Oratorio. Ha sostanziato il nostro immaginario sul ruolo determinante di mamma Margherita e di don Calosso, sulla figura del teologo Borel, della marchesa Barolo e del vicario di Città Michele Cavour. Ha introdotto un tocco d'avventura nel vissuto di don Bosco col racconto della gara col saltimbanco, l'evocazione di oscuri attentati e la messa in scena del misterioso cane "Grigio".

Soprattutto le MO hanno contribuito in modo determinante a costruire ed affermare l'immagine di don Bosco che continua a circolare. Le stilizzazioni diffuse nell'ultimo ventennio dell'Ottocento e nella prima parte del Novecento (fondatore di istituti benefici e di società cattoliche, padre degli orfani, grande educatore del secolo XIX, taumaturgo e visionario, geniale organizzatore di iniziative pastorali e educative secondo i bisogni dei tempi...1) oggi hanno perso in parte o del tutto il loro fascino. Anche la ricostruzione più avvertita e aderente alla realtà storica sulla quale, da cinquant'anni, lavorano studiosi seri e documentati, stenta a trovare accoglienza nell'opinione comune. Permane invece la rappresentazione simpatica del saltimbanco, del vivace animatore di contadinelli e studenti, del sognatore, dell'amico vicino agli aneliti giovanili, del padre affettuoso che dischiude ai giovani orizzonti significativi e apre cammini di formazione valorizzando le istanze a loro più congeniali.

Questi, appunto, sono i tratti dominanti della sua identità, che emergono nel racconto suggestivo delle MO, e che più tenacemente si sono radicati nell'immaginario collettivo, dentro e fuori gli ambiti della famiglia salesiana. Una rappresentazione elaborata e promossa da don Bosco stesso, prima nell’ambito ristretto della comunità di Valdocco, attraverso narrazioni e rievocazioni pittoresche, poi nella cerchia più vasta degli amici e dei cooperatori.

1 1. Storia e fortuna del testo

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Il testo delle Memorie è stato composto da don Bosco tra 1873 e 1875. Ricopiato in bella forma dal segretario Gioachino Berto, venne rivisto, corretto e integrato dall'Autore a più riprese, fino al 18792. Inizialmente riservato ai suoi «carissimi figli salesiani con proibizione di dare pubblicità a queste cose sia prima sia dopo la mia morte»3, il documento fu parzialmente divulgato, per decisione del Santo stesso, in una Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, compilata da Giovanni Bonetti, pubblicata a puntate sul «Bollettino Salesiano» tra 1879 e 18864. Giovanni Battista Lemoyne lo riprende integralmente nei primi volumi delle sue Memorie biografiche, come traccia di base della storia di don Bosco, e lo arricchisce con una farcitura di notizie tratte da documenti, testimonianze e rievocazioni colte dalla bocca del protagonista o di testimoni diretti e indiretti. L’operazione, condotta con preoccupazioni di precisione cronistica e cura stilistica, nell'intento di esaltare l'aspetto prodigioso e soprannaturale dell'esperienza del Santo, senza un'adeguata strumentazione storico critica, avrà un duplice risultato. Da una parte il ricordo di fatti del passato - che nelle MO erano selezionati secondo un'evidente interpretazione a tesi -, assunto come se fosse un resoconto coevo e puntuale degli eventi, integrato con altri aneddoti e materiali, produce un effetto di amplificazione narrativa e costruisce un personaggio la cui identità si colloca ai confini tra storia e letteratura edificante. Dall'altra, seppure involontariamente, si attua una sorta di snaturamento dell’originalità dello scritto di don Bosco, facendone perdere l’efficacia e la significatività previste dalla strategia compositiva dell’Autore. La lettura degli eventi operata dal Lemoyne, attraverso tale rimaneggiamento delle MO, venne offerta al gran pubblico soprattutto attraverso la sua Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco, pubblicata tra 1911 e 19135, più volte ristampata e tradotta6.

L’interpretazione e, si potrebbe dire, la manipolazione delle MO fatta dal Lemoyne, influenzerà tutti i profili biografici ed agiografici successivi, fino alla comparsa, nella seconda metà del Novecento, dei primi studi storico-critici e pedagogici7. Tuttavia, nonostante questi ultimi, la suggestione dell’immagine consolidata dalla leggenda agiografica continuerà ad affascinare, come si può costatare nelle ricostruzioni biografiche di indole giornalistica, nei testi musicali e nelle rappresentazioni cinematografiche e teatrali8.

La prima edizione integrale delle Memorie dell’Oratorio apparve nel 19469. La decisione di rendere di pubblico dominio il documento nella sua interezza, nonostante l’esplicito divieto dell’autore, era stata presa in considerazione della dimensione universale assunta dalla figura del santo, come scrisse Eugenio Ceria nella presentazione del volume10. Tale pubblicazione tuttavia va collocata nel particolare contesto storico in cui vide la luce. I vertici della Congregazione, sotto la spinta delle urgenze educative e delle sfide rappresentate dai nuovi scenari europei e mondiali, da tempo si sentivano stimolati a propugnare un ritorno alle intuizioni e alle esperienze originali di don Bosco.

Pietro Ricaldone, rettor maggiore tra 1932 e 1951, già negli anni immediatamente precedenti allo scoppio del conflitto mondiale, aveva colto l’importanza di tale recupero come strumento per rigenerare l’identità salesiana e l’incisività delle opere di fronte alle nuove istanze sociali e pastorali. Esauritasi la generazione formata da don Bosco, in un contesto culturale profondamente mutato, si percepiva l’urgenza di focalizzare il nocciolo della missione religiosa e educativa dell’Oratorio festivo, la sua caratteristica identità e la tipicità dei suoi elementi metodologici. Ne era scaturita una serie di iniziative finalizzate a coinvolgere l’intera compagine salesiana e mirate soprattutto ad avviare uno sforzo di riflessione e di organizzazione nell’ambito della catechesi, della pastorale e della pedagogia. Nel 1936 don Ricaldone divulgava una lettera programmatica intitolata Fedeltà a don Bosco santo; nel 1938 lanciava una “crociata catechistica”; l’anno successivo scriveva una corposa circolare su Oratorio festivo, catechismo, formazione religiosa11, per promuovere le celebrazioni del centenario dell’Oratorio salesiano (1841-1941); negli ultimi mesi di vita pubblicherà un volume su Don Bosco educatore12.

Nel frattempo promuoveva istituzioni, incoraggiava studi e pubblicazioni. Non soltanto aveva sostenuto Alberto Caviglia nel suo lavoro di edizione degli scritti di don Bosco, ma si era impegnato a partire dal 1939 a fondare l’Ufficio Catechistico Centrale Salesiano, a riorganizzare i centri di studio della Congregazione e a costituire, con l’aiuto di don Carlos Leôncio da Silva, una cattedra di Pedagogia come base di una nuova Facoltà13. Pensava anche di dar vita ad una «Rivista di Pedagogia», ma ne fu impedito dalla guerra. L’edizione del testo integrale delle MO, affidata a Ceria, era un atto concreto di tale sforzo di ritorno alle origini carismatiche e di rivitalizzazione dell’opera salesiana.

Lo scritto in un primo momento non pare aver attirato sufficientemente l'attenzione dei salesiani. Dopo quattro anni si ritenne necessario segnalarne l'importanza e raccomandarne la lettura riproducendo sulla rivista dell'Ateneo Salesiano l'introduzione dell'editore, con leggere varianti14. Ci si andava persuadendo della «preziosa documentazione biografica e psicologica» offerta nel documento «intorno ad una personalità di prim'ordine» come quella di don Bosco e ci si rendeva conto che il libro, nella sua freschezza, «contiene un [...] insegnamento da potersi considerare come il sugo di tutta la storia» del santo15. Così nel 1951 apparve una prima traduzione francese di Augustin Auffray16, seguita nel 1955 da quella in spagnolo di Rodolfo Fierro Torres17. Tuttavia, nella pubblicistica salesiana, si continuava a far riferimento alla ricostruzione del Lemoyne. Anche i due volumi del Don Bosco educatore di don Ricaldone citano i testi dalle Memorie biografiche e ne riprendono le chiavi interpretative, facendo soltanto tre rimandi al testo originale di don Bosco.

Le cose andarono diversamente in ambito accademico. In un primo momento ci si interessò delle Memorie dell'Oratorio per alcune incongruenze nella datazione e si procedette ad un lavoro di ricerca ai fini di rettificarne la cronologia18. Più tardi il documento destò interesse soprattutto per l'originalità e significatività dei suoi contenuti e la sua stessa natura. All'inizio degli anni Sessanta del Novecento Francis Desramaut, pur accostando le MO marginalmente, in quanto fonte utilizzata da G.B. Lemoyne, sottolineava come dominante la portata pedagogica del racconto, definendolo «un piccolo trattato di pedagogia in atto»19. Proprio in questa accezione, di "esemplarità", lo scritto sarà oggetto di sempre maggiore attenzione.

Le prime osservazioni critiche sulla natura delle MO e la loro vera importanza, furono espresse da Pietro Braido nel 1965: «La data di composizione [...] e le finalità dell'Autore obbligano a considerarle e a leggerle non come puro documento storico. Esse vogliono essere anzitutto a soprattutto una storia edificante lasciata da un fondatore ai membri della Società di apostoli e di educatori, che dovevano perpetuarne l'opera e lo stile, seguendone le direttive, gli orientamenti e le lezioni [...] Gli avvenimenti descritti e le cose narrate sono realtà vissute; ma, con tutta probabilità, non con quella pienezza di significati e quella visione organica, che conferisce loro l'attuale consapevolezza dell'Autore, giunto alla maturità dei progetti e delle realizzazioni»20.

Pietro Stella, nel suo studio, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, utilizza i dati biografici offerti dalle MO, ma le considera soprattutto come un documento di storia delle mentalità21.

Intanto, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, un po' ovunque nel mondo salesiano, emergeva una crescente considerazione nei confronti del testo, documentata da una serie di traduzioni22. In Spagna veniva data alle stampe una nuova versione delle Memorie dell’Oratorio a cura di Basilio Bustillo, che ebbe un ottimo successo23. Si prendeva sempre più coscienza della necessità di studiare l’esperienza del Fondatore, recuperandone le fonti, in vista di una riflessione più avvertita sulla propria identità di educatori e pastori. In quegli anni si moltiplicavano corsi, più o meno sviluppati, di storia, pedagogia e spiritualità salesiana e si stampavano antologie degli scritti di don Bosco.

Tra 1976 e 1977 si erano pubblicate, in edizione anastatica, le Opere edite di don Bosco24. Fu un'iniziativa di grande rilievo, come quella, avvenuta nello stesso periodo, della microfilmatura dei fondi più antichi dell'Archivio Centrale Salesiano. Si metteva così a disposizione degli studiosi, ma anche dei salesiani in formazione, un materiale vasto e importantissimo, che favorì una fioritura di ricerche, di studi e di tesi. La fondazione, nel 1981, dell’Istituto Storico Salesiano, con la rivista «Ricerche Storiche Salesiane», dava un ulteriore importante contributo a questo interesse, sostanziandolo con un lavoro paziente di edizioni critiche e di saggi. Così, in un breve torno di anni si andava affinando la sensibilità storica nella compagine salesiana e l'attenzione alla figura storica di don Bosco diveniva più avvertita.

Quando nel 1991, da tempo desiderata, fu disponibile l'edizione critica delle MO, curata da Antonio da Silva Ferreira25, lo scritto di don Bosco ottenne un'accoglienza generalizzata.

2 2. «Un manuale di pedagogia e di spiritualità raccontata»

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Nei suoi saggi sulla portata pedagogica dell'esperienza di don Bosco, Pietro Braido identificò da subito la rilevanza delle MO per il loro essere ispirate «dalla primaria preoccupazione di definire il senso di un'esperienza educativa globale [...] e la formulazione di un "programma di azione" [...]. Prima di essere libro di storia del passato (arricchito di tutta l'esperienza accumulata in quasi trentacinque anni di impegno educativo sacerdotale) le Memorie sono il risultato di una coerente riflessione, che approda a una spiritualità e a una pedagogia: il "sistema preventivo" vi è espresso nella forma più diffusa e completa»26. Cosicché esse risultano «una storia dell'oratorio più "teologica" e pedagogica che reale, forse il documento "teorico" di animazione più lungamente meditato e voluto da don Bosco»27; un «eccezionale documento di pedagogia esperienziale»28.

Anche Pietro Stella faceva notare, da un punto di vista di critica storiografica, la peculiare lettura degli eventi rappresentata nelle MO: «Comunque siano avvenuti i fatti, don Bosco nella sua esposizione tende a porre in luce quelle ch'egli considera le finalità intese da Dio»29. Alcuni silenzi riscontrabili nel testo, le varianti di scrittura nelle diverse fasi redazionali, l'uso elastico del linguaggio e anche una serie di errori e di anomalie, contribuiscono a mettere in luce una caratteristica intenzione dello scritto: «la narrazione "amena", cioè piacevole, attraente e coinvolgente nella sua semplicità, idonea a inoculare messaggi più o meno espliciti di natura religiosa e pedagogica». Se «la Vita di Domenico Savio, quella di Magone e di Besucco possono considerarsi come la costruzione di modelli di santità giovanile sulla base di dati biografici», le MO dovrebbero essere ritenute «come una sorta di poema religioso e pedagogico costruito sull'intelaiatura e l'idealizzazione di aneddoti autobiografici»30. Don Bosco, insomma, attraverso questo scritto, pare aver voluto trasfondere nei lettori la convinzione che tutta la sua vita sia stata «un tessuto di eventi predisposti, prefigurati, fatti diventare realtà dalla sapienza divina». Egli dunque metteva in atto una rilettura e una riconfigurazione del passato più in chiave teologica e pedagogica che in prospettiva «storico-erudita»31.

Recensendo l'edizione critica delle MO Pietro Braido colse l'occasione per riprendere e sviluppare osservazioni già precedentemente formulate32. In molti risvolti il documento appare come un bonario ed «ameno trattenimento» di un padre con i figli, che, nel taglio dato alla rievocazione, rivela l'interpretazione provvidenzialistica del proprio vissuto nel senso generale e nei singoli eventi. Per altri versi vi troviamo «la preoccupazione di descrivere, sia pure "poeticamente", l’origine, il divenire e il costituirsi di un’esperienza spirituale e pedagogica tipica, che sotto la formula "oratoriana" è presentata come l'approccio più funzionale e produttivo ai giovani dei tempi nuovi».

Le pagine di don Bosco sono prevalentemente "Memorie" del futuro: espressione paradossale, coniata da P. Braido per esprimere la sostanza della sua tesi. Di fatto, questo appare «il punto di vista adottato in forma assolutamente preminente da don Bosco, intenzionato a trasmettere tale esperienza vissuta come programma di vita e di azione ai continuatori. Con questa operazione egli anticiperebbe in modo più flessibile e variopinto, vivacemente "narrativo", le scarne formulazioni delle pagine del Sistema preventivo nella educazione della gioventù del 1877»33. Dunque, nelle MO, «la parabola e il messaggio» vengono prima e «al di sopra della storia», per illustrare l'azione di Dio nella vicende umane, e così, rallegrando e ricreando, «confortare e confermare» i discepoli. Nello stesso tempo si presentano come un efficace «preludio narrativo al sistema preventivo», «forse il libro più ricco di contenuti e di orientamenti "preventivi"» che don Bosco abbia scritto: «un manuale di pedagogia e di spiritualità "raccontata", in chiara prospettiva "oratoriana"»34.

3 3. Rievocazione narrativa di un'identità oratoriana

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Per comprendere l'indole e la portata originale delle MO, per inoltrarsi in un'interpretazione rispettosa delle intenzioni dell'Autore, conviene tenere presente quanto è stato detto, più in generale, sulle preoccupazioni che muovevano don Bosco a farsi scrittore35

3.1 .3.1. Le preoccupazioni di don Bosco scrittore e la peculiarità delle MO

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Si sa che egli non si prefiggeva obiettivi scientifici o storiografici, ma prevalentemente educativi e formativi, funzionali alle esigenze immediate dei suoi destinatari e della sua opera. Nelle sue compilazioni di indole "storico-divulgativa", come la Storia ecclesiastica ad uso delle scuole (1845), la Storia sacra (1847) e la Storia d'Italia raccontata alla gioventù (1855), si scorge la chiara tendenza a narrare per istruire e moralizzare, rimarcando il senso religioso di una storia vista come lo scenario nel quale si dispiega l'azione provvidenziale e salvifica di Dio. In prospettiva analoga si inquadrano i profili biografici di Luigi Comollo, Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco, che possono essere definiti stilizzazioni edificanti di modelli di comportamento virtuoso accessibili a adolescenti e giovani di ambiente popolare ottocentesco: «sono in realtà primariamente messaggi selettivi con precise ed evidenti finalità educative»36.

In queste Vite possiamo leggere espressioni care a don Bosco, più volte ripetute: che bisogna darsi a Dio per tempo; che la santità consiste nello stare allegri, evitando il peccato che toglie la pace del cuore e compiendo esattamente i doveri del proprio stato; che la confidenza col confessore o con un fedele amico dell'anima è uno dei segreti della riuscita morale e spirituale dei giovani; che si debbono fuggire come la peste i cattivi compagni; che i sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia sono i pilastri della vita spirituale; che lo spirito di preghiera rassoda e trasfigura la vita interiore di un giovane. Oltre ad una serie ricorrente di convinzioni di carattere educativo e pastorale, espresse in incisi didascalici o incarnate in personaggi e in atteggiamenti narrati: amare i giovani, usare loro amorevolezza e dolcezza, avvicinarli, assisterli per prevenire il male o correggerli, aiutarli a consolidarsi sul retto sentiero...

Tutto questo lo si rintraccia anche nelle MO, anzi in una prospettiva più ampia. In tale opera don Bosco mostra maggiore confidenza e scioltezza che in altre, ma anche più profondità e complessità. Infatti, mentre attua una rilettura dell'itinerario formativo personale in funzione della realizzazione della vocazione-missione oratoriana, fa emergere la varietà delle sfaccettature che connotano i suoi quadri mentali, i tratti spirituali più consoni al suo mondo interiore, gli atteggiamenti educativi e pastorali che meglio qualificano il suo modello di educatore religioso, lo stile e le attività più originali e qualificanti del suo Oratorio. Possiamo dire di trovarci di fronte ad uno dei suoi scritti più personali, vivaci e intensi.

3.2 3.2. I tempi e le sollecitazioni che occasionano la composizione delle MO

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Perché don Bosco si è tuffato in questa impresa in un periodo così intenso di lavoro e tanto travagliato della propria esistenza, tra 1873 e 1875?

La motivazione espressa nell'introduzione delle MO, quella del «comando di persona di somma autorità, cui non è permesso di porre indugio di sorta»37, va certamente presa in considerazione, ma affiancata da almeno altri due principali moventi. Il primo è la convinzione, consolidata col passare degli anni, che l'Oratorio fosse un'istituzione voluta da Dio come strumento per la salvezza della gioventù nei tempi nuovi, e che fosse venuto il momento di metterne in luce la genesi, le finalità e il metodo. Una persuasione che don Bosco condivideva con i collaboratori, ma anche con cerchie sempre più vaste di ammiratori e sostenitori e di quanti si riconoscevano nelle istanze del cattolicesimo d'azione. Il secondo stimolo derivava dal contesto in cui veniva a trovarsi in quegli anni la sua istituzione: una contingenza "critica" per ragioni esterne e interne. Infatti, mentre si profilava la conclusione dell'iter di riconoscimento giuridico della Società salesiana con l'approvazione delle Costituzioni, don Bosco faticava ad ottenere piena libertà di azione nei confronti dei vescovi per la mancata concessione di quelle facoltà e privilegi, usualmente concessi ad altre famiglie religiose. Ad aggravare la situazione si aggiungevano incomprensioni reciproche con mons. Lorenzo Gastaldi arcivescovo di Torino.

Tutto questo poneva certamente a don Bosco problemi di discernimento, di fondazione "storica" col ritorno alle origini del suo impegno tra i ragazzi, di giustificazione e di informazione sulle sue scelte, che già nel 1854 lo avevano spinto a stilare, a corredo di un progettato Piano di Regolamento, un Cenno storico, e nel 1862 dei Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesco di Sales38, due documenti di grande rilevanza «storica e concettuale»39.

Era un atteggiamento abituale in lui, narratore per vocazione, il richiamo alla genesi e ai successivi sviluppi dell'Oratorio, ogni volta che si prefiggeva di stimolare l'appoggio delle autorità, la simpatia dell'opinione pubblica e la cooperazione economica40. Tuttavia era un metodo usato preferibilmente e quasi istintivamente in ambito formativo, con i ragazzi, nelle conversazioni serali o nelle prediche, e nell'intimità degli incontri con i suoi Salesiani.

È significativo rilevare come questa tendenza al racconto "storico", don Bosco la instillasse anche ai suoi collaboratori. Nel 1870, ad esempio, veniva pubblicata la Biografia del giovane Mazzarello Giuseppe, primo libro di G.B. Lemoyne, nel quel quale si legge un capitolo rievocativo delle vicende oratoriane dal 1841 al 1868, che pare attinto dalla viva voce di don Bosco più che da documenti scritti41. Le Cronache stilate negli anni Sessanta da Giovanni Bonetti e Domenico Ruffino, e la Cronichetta del primo maestro dei novizi Giulio Barberis, degli anni 1875-1879, documentano questo utilizzo della narrazione evocativa in funzione della formazione dell'identità dei discepoli, e insieme il desiderio di questi di conoscere le «antichità dell'Oratorio» che li spingeva a stimolare i ricordi di don Bosco42.

A partire dal 1863, ai fini dell'approvazione della Società Salesiana e delle sue Costituzioni, e più tardi per ottenere i privilegi necessari alla piena indipendenza giuridica, don Bosco si impegnava a produrre documenti informativi sulla storia e l'identità della sua istituzione. Il più denso e significativo è un Cenno istorico43, redatto nell'agosto 1873 e stampato nel febbraio 1874, nel quale si vede chiara l'intenzione di mettere in risalto il vincolo indissolubile esistente tra l'opera degli oratori e la Società Salesiana. È evidente «il carattere non cronachistico, ma ideale e apologetico» di tali documenti "storici"44.

Gli anni della composizione e della messa a punto delle MO, sono dunque quelli che vedono il maggior impegno "storico-informativo" di don Bosco, sia per le ragioni esterne indicate - che lo spingeranno ancora nel 1879 a produrre un'Esposizione alla S. Sede, documento sintomatico del suo modo di rielaborare la "storia"45 -, sia, e soprattutto, per motivi interni alla sue istituzioni. Molteplici ragioni lo spingevano a rivisitare la sua esperienza in considerazione della formazione dei discepoli e della focalizzazione dell'identità specifica della sua opera. In quel preciso lasso di tempo (tra 1873 e 1875) egli si vedeva costretto a ripensare l'idea dei "Salesiani esterni", rifiutata dalla Santa Sede, e a trasformarla nel nuovo progetto di Associazione o Unione di Cooperatori Salesiani. D'altra parte l'espansione della sua Congregazione fuori dai confini del Piemonte, sull'onda della fortuna dei collegi-convitti, gli richiedeva una messa a fuoco degli aspetti di identità e di metodo che dovevano caratterizzarla nei confronti di istituzioni analoghe, ripercorrendo la genesi e gli eventi che avevano dato vita all'Oratorio, sentito e proclamato come la matrice di ogni altra realizzazione. Così si inaugura quella stagione feconda di riflessioni e puntualizzazioni che, oltre alle MO, produrrà documenti di grande importanza per l'identità salesiana, come Il sistema preventivo nella educazione della gioventù46.

4 4. "Storia" dell'Oratorio e indole "autobiografica" delle MO

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Il titolo del documento ci ricorda, inequivocabilmente, l'intenzione di don Bosco di narrare le Memorie della sua prima istituzione assistenziale-educativa in favore della gioventù..

4.1 4.1. L'Oratorio come punto focale

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Egli non è mosso dall'idea di consegnare ai posteri la storia delle propria vita47, bensì principalmente dalla preoccupazione di delineare la vicenda e l'identità dell'Oratorio nella sua ispirazione, nei suoi destinatari, nelle condizioni che favorirono o ritardarono la sua progressiva realizzazione e negli elementi che ne distinguono la missione, il metodo e le connotazioni caratteristiche: «mi fo qui ad esporre le cose minute confidenziali che possono servire di lume o tornare di utilità a quella istituzione che la divina provvidenza si degnò di affidare alla Società di S. Francesco di Sales»48.

I biografi del passato hanno sottovalutato questo obiettivo centrale e si sono concentrati prevalentemente sulla suggestiva narrazione del percorso formativo e dei primi anni di ministero del Santo, operando una lettura delle vicende svincolata dal disegno globale che aveva spinto l'Autore a selezionarle e ordinarle nella sua trama narrativa.

L'impegno di don Bosco di raccontare in funzione dell'Oratorio, come si è accennato, ha una lunga storia. Tuttavia le sintesi rievocative precedenti si differenziano in modo determinante dalle MO. Non solo la lettera al Vicario di Città del 1846 ed altre comunicazioni analoghe, ma anche il Cenno e i Cenni storici del 1854 e del 1862 si concentrano sulle motivazioni e le vicende immediatamente collegate al "Catechismo" iniziato presso la chiesa di S. Francesco d'Assisi, trasferito poi al Rifugio della marchesa di Barolo e all'ospedaletto di Santa Filomena, migrato nella cappella di S. Martino presso mulini della città, in quella del cenotafio di S. Pietro in Vincoli, nel prato dei fratelli Filippi, e finalmente, dopo l'approdo a casa Pinardi, diventato "Oratorio" a pieno titolo, con locali e cortile proprio, che può svilupparsi e prosperare. In quei documenti, fondamentalmente, don Bosco sintetizzava degli eventi in un sommario narrativo, e ragguagliava sulle finalità, l'articolazione, le attività, gli operatori e i risultati di un'opera educativa e religiosa.

I destinatari, infatti, sono autorità e pubblico da informare e sensibilizzare, sostenitori e benefattori da mobilitare. Il "narratore" si esprime in quanto iniziatore e principale responsabile di un'attività educativa e pastorale a vantaggio di giovanetti poveri e abbandonati, che fa riferimento a moventi religiosi e civili, ma evita qualsiasi collegamento con la propria storia interiore.

4.2 4.2. Destinatari e finalità

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Nelle MO invece, a livello narrativo, la storia dell'Oratorio si allaccia alla storia interiore del narratore e a quella dei discepoli-continuatori e si protende dal passato verso il futuro, in funzione normativa. Questi aspetti differenziano sostanzialmente questo dagli altri scritti di don Bosco, sia quelli semplicemente informativi sia quelli più propriamente "storico-concettuali".

In primo luogo gli interlocutori del discorso, esplicitamente indicati, sono i suoi «carissimi figli Salesiani con proibizione di dare pubblicità a queste cose sia prima sia dopo la mia morte»49. Questa scelta rivela, innanzitutto, che l'obiettivo preponderante è quello pratico (e "ideologico") della trasmissione di un patrimonio familiare e intimo condiviso da Autore e Lettori, accomunati spiritualmente nell'adesione totale della vita ad un ideale vocazionale. Dunque l'impresa del narrare è mirata alla formazione e all'animazione, in funzione di una missione, di un'identità e di un metodo. L'esclusione di lettori estranei libera l'autore da ogni preoccupazione formale e stilistica, da cautele e riserve opportune a chi si rivolgesse ad un pubblico eterogeneo. La richiesta di riservatezza, tradizionale nei libri di famiglia, mira a difendere da sguardi critici i valori percepiti come fondanti, i sentimenti più intimi e familiari: è un padre che «gode parlare delle cose sue a' suoi amati figli, i quali godono pure nel sapere le piccole avventure di chi li ha cotanto amati, e che nelle cose piccole e grandi si è sempre adoperato a loro vantaggio spirituale e temporale»50.

Don Bosco, dunque, trascina il destinatario, gli «amati figli», nell'avventura di queste Memorie e li fa diventare parte attiva, in quanto discepoli interessati e complici, che condividono la prospettiva di valori e di realtà in cui si colloca l'operazione narrativa di conquista di un'identità, e insieme interlocutori ai quali chiede di accettare la propria visione dei fatti, che è insieme storica e personale, di entrare in un mondo nello stesso tempo reale e poetico. Egli si dimostra consapevole della difficoltà che può sorgere in chi legge e cerca di prevederne le reazioni allo scopo di poterlo orientare. Qua e là si vede molto chiaramente come la presenza dei lettori condizioni la strategia narrativa di don Bosco. Emerge talvolta in modo diretto come una sorta di dialogo: «Voi mi avete più volte dimandato a quale età abbia cominciato ad occuparmi dei fanciulli [...]. Ascoltate»51; «Da quello che si faceva un giorno festivo comprenderete quanto io faceva negli altri»52; «In quel momento voi avreste veduto, come vi dissi, l'oratore divenire un ciarlatano di professione»53.

Il dialogo si riscontra anche nella forma indiretta, quando il racconto rimanda ad un possibile approfondimento da parte del pubblico: «La vita di questo prezioso compagno fu scritta a parte ed ognuno può leggerla a piacimento»54; «Per prima cosa ho compilato un Regolamento [...]. Questo essendo stampato a parte ognuno può leggerlo a piacimento [...]. Compiute le Regole [della Compagnia di S. Luigi] nel limite che mi sembravano più adatte per la gioventù, le presentai all'Arcivescovo [...]. Queste Regole si possono leggere a parte»55; «Molti giornali parlarono di quella solennità: v[edansi] L'Armonia e la Patria di que' giorni»56.

A più riprese, l'Autore sembra voler prevedere le obiezioni e gli interrogativi dei Lettori, preparando il terreno ad una giusta interpretazione e operando in forma metanarrativa: «Qui voi mi farete una dimanda: Per andare alle fiere, ai mercati, ad assistere i ciarlatani, provvedere quanto occorreva per quei divertimenti, erano necessarii danari, e questi dove si prendevano? [...]. Voi qui mi dimanderete: E la madre mia era contenta che tenessi una vita cotanto dissipata e spendessi il tempo a fare il ciarlatano? Vi dirò che mia madre mi voleva molto bene».57; «Ma come studiare le lezioni? Come fare le traduzioni? Ascoltate. [...]»58; «Qui è bene che vi ricordi come di que' tempi la religione faceva parte fondamentale dell'educazione»59; «Nel vedermi passare il tempo in tante dissipazioni, voi direte che doveva per necessità trascurare lo studio. Non vi nascondo che avrei potuto studiare di più; ma ritenete che l'attenzione nella scuola mi bastava ad imparare quanto mi era necessario»60; «Voi forse direte: Occupandomi in tante letture, non poteva attendere ai trattati. Non fu così»61.

In secondo luogo, dopo avere selezionato gli interlocutori, don Bosco, specifica e dettaglia le finalità del lavoro di scrittura: «A che dunque potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre e le leggeranno assai più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra di loro»62.

Prima di focalizzare la portata e l'influsso di questi obiettivi sulla scrittura di don Bosco, conviene far notare che la definizione delle motivazioni è una funzione primaria tipica di ogni scritto appartenente al genere autobiografico, inteso come scrittura di sé, e non semplicemente come documentazione storica o cronaca di fatti. Gli studiosi del genere rilevano che «la motivazione alla scrittura è tanto più necessaria e, per così dire, interna al testo, alla sua dinamica e struttura, quanto meno il testo è o si vuole, "letterario"». Nel passato e nel presente ogni autore che si accinge a parlare di sé, tende a rivolgersi ad un pubblico selezionato e a chiarire i suoi intenti con «premesse, prefazioni, avvertenze, ricreando, per un vezzo o per una segreta attrazione quello spazio del "fuori testo" su cui si è sempre fondato il genere»63.

In questa prospettiva vengono identificate nelle scritture autobiografiche cinque categorie motivazionali: 1) la richiesta di un'autorità o di un amico, di figli o discepoli (è il caso di Teresa d'Avila e di Ignazio di Loyola); 2) la reazione difensiva o apologetica (J.J. Rousseau con le Confessions reagisce all'attacco di Voltaire; J.H. Newman nell'Apologia pro vita sua risponde a Kingsley; F. Nietzsche previene le future distorsioni del suo pensiero da parte dei posteri con l'Ecce homo); 3) l'affermazione della propria identità in contrapposizione ad altri o per superare una crisi o come processo di maturazione che induce ad uno sguardo retrospettivo (è ancora il caso delle Confessions di Rousseau, ma anche delle Mémoires d'outre-tombe di F.-R. de Chateaubriand o della Autobiography of Malcom X); 4) la trasmissione di una testimonianza, di un insegnamento, di un bagaglio di valori e di esperienze, che promana dalla percezione dell'esemplarità della propria esperienza (J.S. Mill trasmette nell'Autobiography l'atipico sistema educativo di cui si considera frutto; i mercanti scrittori fiorentini tra Medioevo e Rinascimento scrivono per tramandare un esempio ai discendenti; tutta la letteratura autobiografica religiosa è permeata di spirito didattico, ma anche gran parte dell'autobiografia italiana risorgimentale); 5) il tempo perduto e ritrovato, l'approssimarsi della vecchiaia e della morte, che induce ad un recupero sintetico della propria esperienza, delle azioni e delle persone passate tramandandole ai posteri (è il caso delle Memorie di famiglia di F. Guicciardini, delle Memorie del card. Guido Bentivoglio, della Autobiography di B. Franklin e de I miei ricordi di M. d'Azeglio)64.

Le pagine introduttive delle MO - e lo sviluppo del testo - ci mostrano come in esse siano presenti, con diversa rilevanza e accentuazione, queste cinque motivazioni o spinte alla scrittura autobiografica, in particolare la testimonianza-insegnamento e la ricerca-costruzione dell'identità oratoriana (quest'ultima non esplicitamente dichiarata, anche se perseguita lungo tutto il corso dello scritto). Le finalità indicate da don Bosco lo spingono ad orientare la scrittura delle MO secondo una costruzione rievocativa molto complessa e articolata, che va ben oltre la descrizione dell'Oratorio in quanto opera con sue proprie finalità e metodo. Queste premesse vogliono avvertire che egli si accinge, con uno sguardo prospettico di tipo teologico-ideologico, a fare una ricognizione del passato - un passato ben definito nella delimitazione cronologica espressa nel titolo - che intende ricollegare la genesi dell'istituzione oratoriana e la sua specificità a una traiettoria interiore e "spirituale" dalle tonalità vocazionali e missionarie.

4.3 4.3. L'inizio e la mancata conclusione nell'architettura narrativa

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Per questo motivo le Memorie non esordiscono, come il Cenno storico, con il resoconto di quelle situazioni puntuali che hanno determinato don Bosco ad avviare il Catechismo-Oratorio a partire dal 1841, ma principiano con l'inizio stesso dell'esistenza dell'Autore. L'incipit della narrazione, che anticipa di un giorno della data di nascita per farla coincidere con una festa mariana65 - indicatore a prima vista secondario, tuttavia illuminante della prospettiva scelta, rafforzato da un'infinità di altri molto più espliciti, a cominciare da quello enunciato nell'esordio («far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo»)66 -, coadiuva a proiettare da subito le Memorie in un orizzonte di storia provvidenziale e a caricare la vicenda personale di un significato e di una portata che ne trascende la singolarità, come patrimonio da condividere e tramandare.

L'inizio vero e proprio, verrebbe da dire, è "fuori-testo", a sottolineare che al di là dello scritto c'è un Soggetto divino, il «Dio misericordioso» padrone degli eventi e dei cuori, che continua a governare la storia singolare e sociale in prospettiva salvifica e redentiva, suscitando vocazioni e ispirando cammini; ma c'è anche un Soggetto umano, narrante, che è all'origine del testo stesso, presentato come versione autentica di una vicenda che è insieme personale ed "oratoriana".

Il documento però, dopo poche pagine, ci riserva una sorpresa che mette ulteriormente in luce la complessità e la problematicità dell'intreccio istituito tra storia personale e storia dell'Oratorio. Si tratta del racconto dettagliato e drammatizzato, di un sogno fatto «al nono anno di età», esposto quale evento significativo che proietta la sua luce su tutto il resto delle MO: «le cose che esporrò io appresso daranno a ciò qualche significato»67. Questo evento viene a inserirsi nella strategia del testo come il vero inizio della "memoria" oratoriana, determinandone la suddivisione in tre decadi. I Dieci anni d'infanzia (1815-1824) infatti sono rappresentati come un preludio - significativo, ma non propriamente "oratoriano". Mentre il decennio 1825-1835, la Prima decade, principia appunto con la descrizione del narratore che si raffigura all'età di dieci anni, intento ad occuparsi dei fanciulli facendo «quello che era compatibile alla mia età e che era una specie di Oratorio festivo»68.

In tal modo il sogno-inizio, rievocato con artifici letterari mutuati dalla forma romanzesca, assume un valore speciale: diventa prefigurazione di un testo storico-letterario, di cui anticipa consapevolmente i significati, le strategie, le strutture; diventa insomma una traccia identificabile di una orchestrazione retorica finalizzata agli intenti dell'autore. È significativo il fatto che proprio in senso profetico-prefigurativo esso sia stato interpretato nella tradizione salesiana, insieme con l'altro evento-simbolo, l'incontro con Bartolomeo Garelli, situato al centro cronologico e simbolico della Seconda decade (dunque di tutte le Memorie). A questi due eventi, collocati rispettivamente all'inizio e a metà del cammino di realizzazione della vocazione-missione oratoriana, potremmo ricollegarne un terzo, narrato nel capitolo 7° della Terza decade: il dialogo con l'orfanello della Valle Sesia, «il primo giovane del nostro Ospizio»69, che completa idealmente l'architettura del racconto-memoriale oratoriano.

Pare quasi che qui, in qualche modo, don Bosco senta concluso il grande arco narrativo prefigurato nei simboli del sogno dei nove anni, come suggerisce il titolo generale premesso al capitolo ottavo: Memorie storiche sull’Oratorio di S. Francesco di Sales, dal 1846 al 1855. Esso sembrerebbe una semplice ripetizione di quelli messi all'inizio dei tre quaderni del manoscritto, ma l’inserimento dell’aggettivo “storiche”, assente nei precedenti, richiama quei Cenni storici del 1854 e del 1862, nei quali era evidente lo sganciamento tra la storia dell’istituzione e la vita interiore dell’autore.

Le pagine che seguono, di fatto - e anche l'analisi materiale e formale del manoscritto lo potrebbe confermare70 -, denotano una frattura narrativa, una variazione della scrittura, una coloritura diversa rispetto all'unità compositiva fino a quel momento intessuta. Sono di indole prevalentemente informativa, una giustapposizione cronachistica. Così, venendo a cadere la trama e l’intrigo - la confluenza tra vocazione personale, missione, modello educativo/pastorale ed opera/istituzione -, visibilmente, si passa dal racconto alla cronaca. I capitoli numerati proseguono, riportando una serie di eventi, cronologicamente ordinati e faticosamente amalgamati, che sfuggono al solido intreccio narrativo che aveva retto, più o meno coerentemente, le parti precedenti. Dopo il diciottesimo capitolo, la numerazione si arresta, per cedere il passo a semplici diciture. Il disegno narrativo pare essersi del tutto disciolto. Don Bosco si limita a raccontare dei fatti in modo molto simile a quanto era solito fare negli altri memoriali informativi. Non si coglie più quel coinvolgimento personale e intimo che ha caratterizzato la trama e l'intrigo del testo precedente. Si descrivono ingredienti ed attività che caratterizzano la prassi oratoriana, se ne documentano i progressi, si rimanda a eventi politici e a divergenze tra i preti degli oratori, all'acquisto di terreni e stabili, alle costruzioni e alle iniziative editoriali. Anche i pochi quadretti narrativi poco hanno ormai di simbolico e di interiore ai fini della vocazione oratoriana. Si scivola infine nella descrizione di attentati e di aggressioni, frutto di un'improbabile «trama personale segreta [...] ordita dai protestanti o dalla massoneria»71, e si termina con la nota di colore del cane Grigio: un finale scialbo e tutto sommato bizzarro per uno scritto tanto significativo e importante (anche se documento utile ad inquadrare il mondo mentale e culturale di don Bosco, il suo gusto per il meraviglioso e il soprannaturale, così arcaico e vicino ai gusti popolari del tempo).

In questa variazione della scrittura nella fase terminale, in questo arenarsi di giustapposizione aneddotica e in questa mancata conclusione, troviamo una ulteriore caratteristica che apparenta le MO a tutta la letteratura di impronta autobiografica72, dove il non-finito è piuttosto comune e dove la scrittura viene ripresa, integrata o modificata, l'elaborazione spesso è sofferta e tende ad integrare materiali eterogenei (rimandando o copiando documenti, appunti, testi redatti in altre occasioni o già pubblicati); la redazione è quasi sempre «incerta, precaria, imperfetta, stratificata, doppia; è legata al periodo in cui matura, e non è mai isolabile dalla serie di appunti, schizzi, note e postille che la precedono, accompagnano e seguono: fa parte insomma di un contesto dal quale non si può prescindere»73.

4.4 4.4. Procedimenti messi in atto dall'autore

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I problemi derivanti dalla particolare ottica in cui si colloca il don Bosco delle MO nel suo sguardo verso il passato, vanno proiettati nell’orizzonte più vasto dei problemi interpretativi posti dalle storie di vita e dalle scritture di indole autobiografica74. Le questioni dal punto di vista epistemologico sono vaste e complesse. Ci limitiamo ad accennare ad alcuni aspetti utili per introdurre ad una lettura avvertita del documento.

La mole di scritti autobiografici che attraverso i secoli è giunta fino a noi è sterminata. Questi autori hanno cercato la radice della propria identità o delle proprie realizzazioni nella loro stessa esistenza. I loro libri testimoniano percorsi spirituali e psicologici, quadri mentali e motivazionali, un loro modo di accostare gli eventi e interpretarli, ma prima ancora lo sforzo di dare unità e senso, storicità, al proprio vissuto.

Anche il procedimento ricostruttivo messo in atto nelle MO appartiene a questo tipo di operazioni. Don Bosco, a partire dalle prospettive che lo guidano nel presente, attua una ricostruzione dei fatti del passato attribuendo loro un senso. Inoltre, ripercorrendo la propria formazione, rivela a se stesso e a noi quanto sia stato aiutato o ostacolato nella costruzione della propria vocazione oratoriana da famiglia, persone incontrate, istituzioni, società e vicende storiche, e quanto queste relazioni ed esperienze siano entrate a far parte della sua coscienza e del suo "metodo". Infine, attuando questa riflessione "memorialistica" trasforma l'esperienza rivisitata (di sé, degli altri e delle cose) in una risorsa che gli permette di costruire un "sapere" spirituale e pedagogico per i propri interlocutori.

Nelle MO don Bosco mette in atto complesse dinamiche di memoria, di selezione e interpretazione dei fatti e di organizzazione di essi in una trama, secondo un significato superiore unitario. È evidente che egli procede ad un'operazione di filtratura delle vicende, mentre ricostruisce l'insieme di un tratto di vita attorno al nucleo unificante della prospettiva-vocazione oratoriana. Alla coscienza che egli poteva avere nel momento in cui viveva gli eventi raccontati, subentra una coscienza "di secondo livello" costituita dal ritorno sui propri passi per riconoscere i legami di significato e di sbocco armonico dei vari elementi. È movimento retrospettivo e prospettico insieme. È lavoro di autoformazione, in cui, percependo in modo diverso gli eventi del passato e agendo su di essi, ricollegandoli cioè alla "storia" dell'Oratorio, intorno alla quale costruisce il suo discorso, organizzandoli su questo significato unitario, egli di fatto dà un contenuto nuovo ad avvenimenti vissuti senza tale percezione globale75. Di quest'operazione don Bosco dimostra in parte d'essere cosciente, come rivelano due espressioni conclusive della narrazione del sogno dei nove anni: «A suo tempo tutto comprenderai» e «le cose che esporrò io appresso daranno a ciò qualche significato»76.

Il processo di selezione operato nelle MO, si attua sia sui fatti sia sul loro significato. Poi egli organizza gli avvenimenti in base al peso dato a ciascuno nella ricostruzione del disegno unitario che tutti li supera. Da questa progettazione nasce la trama e l'intreccio che reggono la strategia narrativa del suo racconto.

È un tipo di racconto che privilegia il punto di arrivo della storia; che dà senso a tutti gli episodi organizzandoli in una totalità intelligibile77.

Alla conclusione del percorso narrativo, il testo delle MO ci appare una continua ricerca ed evidenziazione di prefigurazioni dei tratti caratteristici dell'Oratorio nel tessuto di una esistenza che l'Autore sente segnata da una vocazione divina. Lo vediamo nelle narrazioni di situazioni che, nell'ottica dell'Autore, preludono e anticipano l'Oratorio, come i Primi trattenimenti con i fanciulli all'età di dieci anni («era una specie di Oratorio festivo»78), la cura dei giovanetti nelle vacanze precedenti la vestizione («Era quella una specie di Oratorio, cui intervenivano circa cinquanta fanciulli, che mi amavano e mi ubbedivano, come se fossi stato loro padre»79) e le norme che regolavano le riunioni della Società dell'Allegria nel periodo della frequenza al Collegio di Chieri80. Ma anche nella descrizione dei catechismi nell'inverno 1841-1842, precocemente definiti "Oratorio":

Nel corso pertanto di quell'inverno mi sono adoperato di consolidare il piccolo Oratorio [...]. Qui l'Oratorio si faceva così: Ogni giorno festivo si dava comodità; di accostarsi ai santi sacramenti della confessione e comunione; ma un sabato ed una domenica al mese era stabilita per compiere questo religioso dovere. La sera ad un'ora determinata si cantava una lode, si faceva il catechismo, poi un esempio colla distribuzione di qualche cosa ora a tutti ora tirata a sorte.81

Lo scopriamo soprattutto quando vengono messi in scena personaggi rappresentativi, in negativo o in positivo, di stile e metodo oratoriano, come - per citarne solo un paio - il prevosto di Castelnuovo col suo viceparroco nel loro atteggiamento distaccato verso il protagonista ragazzo («Se io fossi prete vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli»82) e il professore di umanità don Banaudi («era un vero modello degli insegnanti. Senza mai infliggere alcun castigo era riuscito a farsi amare da tutti i suoi allievi. Egli li amava tutti quai figli, ed essi l'amavano qual tenero padre»83).

La lettura attenta del documento mostra, pressoché ad ogni capitolo, che il punto finale - l'articolata e vivace realtà dell'Oratorio di S. Francesco di Sales nei primi anni Cinquanta, con i suoi fini, il suo metodo educativo, le sue proposte formative, i suoi ritmi di vita e il suo tipico modello di pastore-educatore -, è stato di fatto il filtro con il quale don Bosco ha operato la sua rivisitazione autobiografica a vantaggio dei discepoli.

5 5. Le Memorie dell'Oratorio come testo narrativo

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Il don Bosco scrittore delle MO è sobrio, essenziale, chiaro. Ma anche efficace nel ricreare l'ambiente, caratterizzare i personaggi e le relazioni, variare gli scenari, restituire i momenti di gioia, di preoccupazione o di tensione e in alcuni casi anche i sentimenti.

5.1 5.1. La scrittura di don Bosco

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In trent'anni di esercizio come pubblicista preoccupato di farsi comprendere dai ceti giovanili e popolari, il suo stile narrativo si è perfezionato; egli dimostra un buon mestiere di narratore. Gli interventi correttivi sulla prima stesura delle MO non paiono mirati all'affinamento dello stile, ma prevalentemente alla semplificazione del testo, a renderlo scorrevole e chiaro.

La scrittura di don Bosco è più immediata e nitida quando egli si impegna in racconti e decrizioni di fatti più volte narrati a voce o nell'esposizione di alcuni "sogni" ricostruiti con abbondanza di particolari. Il sogno dei nove anni è presentato come un copione cinematografico, con indicazioni essenziali sull'aspetto dei personaggi, i dialoghi serrati e sintetici, i sentimenti del protagonista appena accennati, mentre ragazzi rissosi, animali feroci e miti agnelli variano il fondale della scena.

È scorrevole soprattutto la stesura dei dialoghi, fluidissima anche a livello di grafia. Sulle pagine del manoscritto originale si vede che don Bosco non ha incertezze, scrive velocemente e non torna indietro a correggere: si direbbe che il dialogo è nella sua mente, nitido nelle battute. Si direbbe che la modalità dialogica riveli una forma espressiva a lui congegnale, espressione di una struttura mentale. Le MO contengono una documentazione abbondante.

A volte il dialogo mira a restituire gli atteggiamenti educativi e pastorali a lui più cari, come nell'incontro tra Giovanni ragazzo e il vecchio don Calosso, nella scena altamente simbolica del colloquio con Bartolomeo Garelli o nel dialogo esemplificativo del suo modo di indurre i ragazzi più reticenti alla confessione84. Altre volte i valori messi in campo sono quelli apologetici e la conversazione prende il tono della dimostrazione o della disputa, come nel caso della crisi di Giona, del confronto con la madre di lui e nella discussione con gli anonimi personaggi che tentano di dissuaderlo dall'impresa delle Letture Cattoliche85: è un genere caro a don Bosco, più volte utilizzato nei libretti composti a partire dal 185386.

Quando invece si tratta di ricordare momenti critici, in cui le obiezioni nei confronti della sua azione rischiano di compromettere la realizzazione o l'identità dell'Oratorio, il dialogo si fa appassionato e concreto, tematizzando i valori che lo ispirano. Così il narratore, rispondendo alle difficoltà sollevate da due parroci, illustra la propria ottica pastorale; resistendo alle ingiunzioni del Vicario di Città dimostra le sue convinzioni sull'efficacia sociale dell'educazione oratoriana; nel confronto con la marchesa di Barolo mette in risalto la certezza di una missione divina che lo spinge all'abbandono in Dio nonostante le preoccupazioni di salute o l'incertezza delle risorse umane87.

Che si tratti di momenti di grande valore spirituale, come il dialogo con don Cafasso per la scelta di un'occupazione dopo il periodo del Convitto, o di scene di vita quotidiana, in cui traspare la cultura e lo stile tipico del mondo popolare torinese, come l'intesa per l'acquisto della casa Pinardi, emerge sempre un'evidente abilità compositiva lungamente affinata88.

Non mancano quadretti di caratterizzazione tipologica con venature caricaturali, dove la scrittura risulta efficacissima. In pochi tratti don Bosco abbozza la figura fisica della madre di Giona e della serva del cappellano di S. Pietro in Vincoli89, illustra vivacemente scene buffe come quelle che lo vedono coinvolto col severo professor Cima o nella difesa del timido Comollo, coll'ingenuo sarto Cumino e il prudente canonico Burzio, con i contadini brilli in un festino di campagna o col fallito tentativo del suo internamento in manicomio, con l'equivoco tra "oratorio" e "laboratorio" del balbuziente Pancrazio Soave, coll'arcivescovo che urta la mitra nel soffitto della cappella Pinardi o colle agguerrite lavandaie di Porta Nuova90.

Egli sa anche costruire piccoli ma compiuti racconti d'avventura, come la gara col saltimbanco, la caduta da cavallo sulla strada tra Cinzano e Bersano, il tentativo di avvelenamento nella taverna del Cuor d'Oro e la pioggia di bastonate ricevute nella stanza di una falsa ammalata91.

Ma questa capacità di carterizzazione, affiancata alla varietà di toni e sfumature della scrittura di don Bosco, nella strategia delle MO viene messa al servizio di un programma narrativo di grande intensità simbolica e operativa, che fanno di esse un documento significativo di un tipico modo di scrittura ottocentesca, minore rispetto alla grande narrativa, ma non per questo scadente o secondaria.

5.2 5.2. Struttura del testo

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Per quel che riguarda l'ordine della narrazione, le MO presentano gli stessi problemi che si pongono negli scritti di indole narrativa, con qualche complicazione in più92. Infatti qui gli avvenimenti non sono immaginati, come nelle opere di finzione, e quindi collegati dalla trama narrativa della fantasia, ma sono stati realmente vissuti dall'autore, il quale scrivendo deve lavorare su una varietà di ricordi, vicende, emozioni e sensazioni sperimentate in periodi diversi. Scegliendo l'Oratorio di san Francesco di Sales come argomento centrale del racconto autobiografico, don Bosco traccia mentalmente le connessioni tra eventi di una vicenda che si è sviluppata nel tempo.

Ma chi analizza attentamente il testo, si accorge che al di sotto della suddivisione in Decadi e in capitoli (che chiamiamo "struttura di superficie"), si delinea anche una "struttura profonda", costituita dai sistemi di valore di don Bosco, dalle sue convinzioni e dai suoi quadri mentali, che sottostà come in filigrana a tutto il testo ed emerge libera al di là della ripartizione formale.

Nell'introduzione don Bosco dichiara i criteri scelti per l'organizzazione del lavoro: «Io espongo queste memorie ripartite in decadi ossia in periodi di dieci anni, perchè in ogni tale spazio succedette un notabile sviluppo della nostra istituzione»93. Questa è la macro struttura che scandisce il testo. All'interno di ogni decade i singoli capitoli evidenziano ora l'itinerario formativo del personaggio, ora la progressiva comparsa e configurazione degli elementi che caratterizzeranno l'Oratorio.

Ma la narrazione fa emergere anche una struttura spaziale. Infatti don Bosco attribuisce un valore particolare alle località e agli ambienti in cui si è sviluppata la sua vocazione oratoriana. Essi si presentano quasi punti di una mappa simbolica. Il rurale borgo nativo, la casa con l'aia e il prato, la cappella di Morialdo, il paese di Castelnuovo, la città di Chieri con le case, le scuole, il caffé Pianta, il viale di Porta Torinese e il Duomo, il seminario con i suoi ambienti, la città di Torino, le sue strade, le piazze, le Chiese, le carceri, le istituzioni caritative, i sobborghi e i prati di periferia, i santuari dei dintorni, e infine l'Oratorio di Valdocco con la sua tettoia-cappella, le stanzette per le scuole e il cortile per la ricreazione: tutta questa varietà e successione di luoghi diventa a sua volta importante principio organizzativo del racconto, accanto a quello cronologico e tematico.

Agli spazi si collegano valori, esperienze educative e spirituali. Il cambiamento di luogo assume il significato di un pellegrinaggio verso la terra promessa dell'Oratorio, la sua missione e identità. L'Oratorio viene "ispirato" nell'intimità misteriosa del sogno, vede una lunga fase di preparazione negli anni della fanciullezza, dell'adolescenza e della giovinezza del narratore, principia il suo cammino nell'ambiente fecondo del Convitto ecclesiastico, peregrina di tappa in tappa nella geografia della Torino giovanile e popolare, crescendo e acquistando tutti i sui tratti qualificanti, fino alla «dimora stabile» a Valdocco, nel «sito dove aveva sognato scritto: Haec est domus mea, inde gloria mea»94.

Così, la "struttura di superficie" del racconto si presenta disegnata nell'intersezione delle tre coordinate di tempo, di spazio e di nucleo tematico portante.

La ripartizione del testo delle MO è sostanziata di eventi, di personaggi, di osservazioni, commenti e annotazioni che sono frutto di una struttura più profonda, quella derivante dalla mentalità di don Bosco, dalla sua cultura e visione del mondo, dalle convinzioni civili e religiose, educative e morali, dalla sua spiritualità e dal suo "progetto formativo". Gli studiosi di semiotica dei testi narrativi parlerebbero di una intentio operis (intenzione dell'opera) che si rivela più ampia della intentio auctoris (intenzione dell'autore) esplicitamente dichiarata nel programma iniziale95.

In sintesi. Alla base dell'opera c'è l'uomo don Bosco, con tutto il suo universo che ad ogni pagina tende continuamente ad emergere. Ci è possibile così tentare una lettura delle MO che permetta di penetrare un messaggio articolato, costituito non solo da quanto l’Autore intendeva dire, ma anche da quanto il testo di fatto dice in riferimento alla propria coerenza contestuale e alla situazione dei sistemi di significazione a cui si rifà.

Questo elemento profondo, vivacissimo nelle MO, dà al documento la sua alta valenza polisemica e la sua preziosità, sia per lo storico attento all'antropologia culturale che per il discepolo preoccupato di cogliere la portata pedagogico-spirituale del messaggio e di comprendere le dinamiche interiori del modello oratoriano, al di là delle semplici connotazioni operative.

Struttura di superficie e struttura profonda arricchiscono lo scenario di scorci e piani prospettici plurimi, con sfumature e tonalità tali da interessare un grande ventaglio di lettori dai diversi interessi. Le fortune antiche e recenti delle Memorie ci hanno dimostrato quanto questa "storia" abbia saputo affascinare salesiani e giovani, lettori sprovveduti e studiosi avver

Aldo Giraudo, Torino, 10 ottobre 2002

Questo testo è stato preparato per la nuova traduzione in spagnolo delle Memorie: San Juan Bosco, Memorias del Oratorio de san Francisco de Sales da 1815 a 1855. Introduccíon de Aldo Giraudo. Notas históricas y bibliográficas de José Manuel Prellezo, Madrid, Editorial CCS 2003, vii-xl.

1 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. III: La canonizzazione (1888-1934), Roma, LAS 1988, 13-59.

2 Sulla data di composizione del manoscritto originale, della copia di G. Berto e degli interventi correttivi di don Bosco, cfr. l'introduzione di E. Ceria alla prima edizione a stampa del documento: G. (san) Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Torino, SEI 1946, 6; F. Desramaut, Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un ouvrage fondamental sur la jeunesse de saint Jean Bosco, Lyon, Maison d'Études saint-Jean-Bosco 1962, 116-119; l'introduzione dell'edizione critica: G. Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione, note e testo critico a cura di Antonio da Silva Ferreira, Roma, LAS 1991 (d'ora in poi: MO), 18-19.

3 MO 30.

4 La Storia dell'Oratorio di Giovanni Bonetti, rivista e completata, venne successivamente pubblicata in un volume destinato al pubblico dal titolo Cinque lustri di storia dell’Oratorio Salesiano fondato dal Sac. D. Giovanni Bosco. Torino, Tipografia Salesiana 1892.

5 G.B. LEMOYNE, Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco fondatore della Pia Società Salesiana, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori Salesiani, Torino, Libreria Editrice Internazionale "Buona Stampa", 2 voll., 1911-1913.

6 A partire da una edizione ritoccata ed ampliata da Angelo Amadei (Torino SEI 1920), che ebbe in Italia numerose ristampe (1935, 1941, 1953, 1975, 1977...), cfr. Bibliografia generale di don Bosco. I: Bibliografia italiana (1844-1992) A cura di S. Gianotti, Roma, LAS 1995, n. 653.

7 P. Stella, Bilancio delle forme di conoscenza e degli studi su don Bosco, in M. Midali (Ed.), Don Bosco nella storia. Atti del 1° Congresso Internazionale di Studi su Don Bosco (Università Pontificia Salesiana - Roma, 16-20 gennaio 1989), Roma, LAS 1990, 21-36.

8 Cfr. quanto dice P Stella, Bilancio delle forme di conoscenza, 32.

9 Fu curata da Eugenio Ceria: G. (san) Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Torino SEI 1946.

10 «Oggi Don Bosco è passato alla storia, alla grande storia, ed è pure entrato nel novero dei Santi», ivi, 4.

11 P. RICALDONE, Oratorio festivo, Catechismo, Formazione Religiosa. Strenna del Rettor Maggiore 1940. Torino, SEI 1940 (19472).

12 P. RICALDONE, Don Bosco educatore, 2 vol., Colle Don Bosco (Asti), LDC 1951-1952.

13 J.M. Prellezo, Don Pietro Ricaldone e la formazione dei Salesiani: alle origini dell'Università Pontificia Salesiana, in S. Frigato (cur.), Don Pietro Ricaldone quarto successore di Don Bosco 1932-1951 A cinquant'anni dalla morte 25 novembre 1951. Torino, SGS 2001, 31-73.

14 E. Ceria, Una pubblicazione postuma di S. Giovanni Bosco, in «Salesianum» 12 (1950) 432-440.

15 Ivi, 439-440.

16 J. (Saint) Bosco, Quarante années d'épreuves (1815-1855), Lyon, Vitte 1951.

17 Inclusa in un'opera di carattere antologico: Biografía y escritos de San Juan Bosco, Madrid, BAC 1955.

18 J. KLEIN - E. VALENTINI, Una rettificazione cronologica delle "Memorie di San Giovanni Bosco", in «Salesianum» 17 (1955) 581-610. Le conclusioni di questo saggio verranno riprese, discusse e completate nell'ambito di un lavoro di dottorato sulla composizione del primo volume delle Memorie biografiche: F. Desramaut, Les Memorie I, 124-134.

19 F. Desramaut, Les Memorie I, 121.

20 G. (San) Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù. Introduzione. Presentazione e indici alfabetico e sistematico a cura di P. Braido. Brescia, La Scuola 1965, 3-4.

21 P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. I: Vita e opere, Züric, PAS Verlag 1968.

22 J. (Saint) Bosco, Souvenirs autobiographiques, Paris, Apostolat des Éditions 1978; J. (São) Bosco, Memórias del Oratório de São Francisco de Sales, S. Paulo, Editora Salesiana Dom Bosco 1982; Memoirs of the Oratory of Saint Francis de Sales from 1815 to 1855. The autobiography of Saint John Bosco. Translated by Daniel Lyons, with notes and commentary by Eugenio Ceria, Lawrence Castelvecchi, and Michael Mendl, New Rochelle, Don Bosco Publications 1989. In Italia si stampò anche una trascrizione in "lingua corrente", operazione criticata, ma indicativa del diffuso interesse per il documento: G. (S.) Bosco, Memorie. Trascrizione in lingua corrente, Leumann (Torino), Elledici 1985.

23 J (san) Bosco, Memorias del Oratorio de San Francisco de Sales. Traducción en español de Basilio Bustilo, Madrid, Editorial CCS 1987.

24 G. Bosco, Opere edite. Prima serie: Libri e opuscoli, 37 vol., Roma, LAS 1976-1977.

25 G. Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione, note e testo critico a cura di A. da Silva Ferreira, Roma, LAS 1991. Del testo si è fatta anche un'edizione più maneggevole, priva dell'apparato critico: G. Bosco. Memorie... Introduzione e note a cura di Antonio da Silva Ferreira, Roma. LAS 1992.

26 P. Braido, recensione a G. (S.) Bosco, Memorie. Trascrizione in lingua corrente, Leumann (Torino), Elledici 1985, in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 169.

27 P. Braido, L'esperienza pedagogica di don Bosco nel suo «divenire», in «Orientamenti Pedagogici» 36 (1989) 27.

28 P. Braido, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma, LAS 1999, 135.

29 P. Stella, Apologia della storia. Piccola guida critica alle "Memorie biografiche" di don Bosco (dispense in fotocopia), UPS, Roma, a.a. 1989-1990; revisione aggiornata, a.a. 1997-1998, 18.

30 Ivi, 22.

31 Sono pareri espressi nel contesto di una riflessione su Don Bosco e l'organizzazione della propria immagine: P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. III: La canonizzazione, 16.

32 P. Braido, "Memorie" del futuro, in «Ricerche Storiche Salesiane» 11 (1992) 97-127.

33 Ivi, 97.

34 Cfr. ivi, 113-114.

35 Sulle movenze di don Bosco scrittore e editore e i suoi meccanismi mentali, cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, I: Vita e opere, Roma, LAS 19792, 229-248; Id., Don Bosco nella storia economica e sociale, Roma, LAS 1980, 327-368: Id., Don Bosco, Bologna, Il Mulino 2001, 23-37, 71-90.

36 P. Stella, Don Bosco, 113.

37 MO 29.

38 I due documenti, mai stampati da don Bosco, sono stati pubblicati in edizione critica da Pietro Braido, in Id. (cur.), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell'umanità. Studi e testimonianze, Roma, LAS 1987, 34-59; 60-81.

39 P. Braido, Don Bosco per la gioventù povera e abbandonata in due inediti del 1854 e del 1862, ivi, 26-31.

40 Ricordiamo ad esempio la lettera al Vicario di Città (13 marzo 1846), quella agli amministratori della "Opera della mendicità istruita" (20 febbraio 1850), la circolare per una lotteria a favore della erigenda chiesa di S. Francesco di Sales (20 dicembre 1851), in G. Bosco, Epistolario. Introduzione, testi critici e note a cura di Francesco Motto. I: (1835-1863), Roma, LAS 1991, 66-67, 96-97, 139-141.

41 G. B. Lemoyne, Biografia del giovane Mazzarello Giuseppe..., Torino 1870, pp. 78-91 (pubblicato nella collana «Letture Cattoliche» XVIII (1870) fasc. n. 7). Il capitolo fu rettificato e ricomposto da don Bosco stesso per la seconda edizione del 1872. Interessanti sono le osservazioni metodologiche inviate da don Bosco al Lemoyne nella fase di composizione di questo libretto, il 3 novembre 1869, cfr. G. Bosco, Epistolario..., III: (1869-1872), Roma, LAS 1999, 150-151.

42 I quaderni della Cronichetta di G. Barberis sono conservati nell'Archivio Salesiano Centrale (ASC) A002 (qui si cita il quaderno 3, p. 46, 1 gennaio 1876); le Cronache di G. Bonetti e di D. Ruffino sono conservate in ASC A004 e A008.

43 Cenno istorico sulla congregazione di S. Francesco di Sales e relativi schiarimenti, Roma, Tipografia Poliglotta 1874 - OE XXV 231-250.

44 Cfr. P. Braido, L'idea della Società Salesiana nel "Cenno istorico" di don Bosco del 1873/74. Introduzione e testo critico, in «Ricerche Storiche Salesiane» 6 (1987) 245-331. P. Braido ci offre anche l'elenco completo dei documenti informativi prodotti da don Bosco tra 1863 e 1874 (ivi, 255-256).

45 Esposizione alla S. Sede dello stato morale e materiale della pia società di S. Francesco di Sales nel marzo 1879, Sampierdarena, Tipografia Salesiana, 1879 - OE....... P. Stella scrive a proposito di questo singolare documento: «Le due pagine preambolari poste sotto il titolo di Brevi notizie sulla Congregazione di S. Francesco di Sales dall'anno 1841 al 1879 (p. 5s) si è tentati di dire che sono un meraviglioso aggregato di traslati, di notizie approssimative, dati inesatti: in parte forse per errore involontario, in parte per scelta consapevole di parole e di concetti», P. Stella, Apologia della storia, 9.

46 Edizione critica in G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Introduzione e testi critici a cura di P. Braido, Roma LAS 1985.

47 Insiste molto su questa distinzione P. Braido, per reagire contro la tendenza prevalsa in passato ad assumere le MO come documento "storico", o cronaca d'eventi della vita di don Bosco in quanto tale; cfr. P. Braido, "Memorie" del futuro, 102.

48 MO 29.

49 MO 30.

50 MO 30.

51 MO 38.

52 MO 40.

53 MO 41.

54 MO 67

55 MO 177.

56 MO 212.

57 MO 41-42.

58 MO 48.

59 MO 63.

60 MO 82-83.

61 MO 107.

62 MO 30.

63 F. D'Intino, L'autobiografia moderna. Storia forme problemi, Roma, Bulzoni Editore 1998, 70-71.

64 Cfr. F. D'Intino, L'autobiografia moderna, 71-85.

65 «Il giorno consacrato a Maria Assunta in Cielo fu quello della mia nascita», MO 30.

66 MO 30.

67 MO 37.

68 MO 38.

69 MO 182.

70 Il terzo quaderno del manoscritto di don Bosco è costituito di tre parti legate insieme: un quaderno di 40 pagine; un foglio piegato a formare due pagine; un secondo quaderno di 40 pagine. Quest'ultimo, che inizia appunto con il titolo Memorie storiche sull'Oratorio di S. F. d. S. dal 1846 al 1855 e contiene la restante parte della terza decade, dal cap. 8° in poi, appare tormentatissimo nella grafia e nella revisione, zeppo di cancellature e d'integrazioni; farebbe pensare ad una redazione avvenuta a distanza di tempo rispetto alle parti precedenti (cfr. ASC, A222, cartella Oratorio 3, pp. 141-180; microfilm FDB 59B11-60A2).

71 MO 223.

72 «Quanto più l'autobiografia è esteticamente strutturata, tanto più esordio e finale divengono elementi portanti del disegno narrativo e tendono, riallacciandosi a distanza, a formare un quadro le cui coordinate orientano tutto il testo. [...] Quanto meno, invece, l'autobiografia è esteticamente strutturata, tanto più rischia di interrompersi - casualmente - in un punto non stabilito precedentemente e con un finale poco 'significativo' dal punto di vista del disegno generale», F. D'Intino, L'autobiografia moderna, 229.

73 Ivi, 87.

74 Cfr. G. Pineau - J.-L. Le Grand, Les histoires de vie, Paris, Presses Universitaires de France 1993. La saggistica sull'autobiografia è vastissima; a titolo d'esempio indichiamo alcuni contributi di carattere generale: L'autobiografia: il vissuto e il narrato, «Quaderni di retorica e poetica» II (1986); Ph. Lejeune (cur.), Les récits de vie et l'institutions, «Cahiers de sémiotique textuelle» 8-9 (1986); R. Porter (cur.), Rewriting the self. Histories from the Renaissance to the present, London, Routledge 1997; M.F. Baslez - Ph. Hoffmann - L. Pernot (cur.), L'invention de l'autobiographie d'Hésiode à Saint Augustin. Actes du deuxième colloque de l'Équipe de recherche sur l'Hellénisme postclassique, Paris, Presses de l'École normale supérieure, 1993; N. Spadaccini - J. Talens (cur.), Autobiography in early modern Spain, Minneapolis, Prisma Institute 1988; La autobiografia en lengua española en el siglo veinte, Lausanne, Hispanica Helvetica 1991. Si veda l'ampia bibliografia e la rassegna d'orizzonti teorici e storici fatta da F. D'Intino, L'autobiografia moderna, 15-66; 291.358.

75 Su questi procedimenti tipici di ogni ricognizione autobiografica cfr. la prefazione di Laura Formenti all'edizione italiana di M.S. Knowles, La formazione degli adulti come autobiografia, Milano, Raffaello Cortina Editore 1996, x-xvi.

76 MO 37.

77 Su questa "configurazione" dell'esperienza vissuta che si opera attraverso la narrazione, si vedano le interessanti riflessioni di P. Ricoeur, Tempo e racconto, I, Milano, Jaca Book 1996, 108-117.

78 MO 38.

79 MO 86.

80 MO 61-62.

81 MO 123-124.

82 MO 53.

83 MO 71.

84 MO 45-47; 121-122; 160-161.

85 MO, 73-74; 75-76; 221.223.

86 Don Bosco si dimostra particolarmente adatto nella scrittura di dialoghi con finalità catechistica e apologetica, come ad esempio, Il cattolico istruito nella sua Religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli (1853); Una disputa tra un avvocato e un ministro protestante (1853); Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della confessione (1855); Due conferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattolico sopra il purgatorio e intorno ai suffragi dei defunti (1857).

87 MO 142-143; 147-148; 150-152.

88 MO 127-128; 204-205.

89 MO 75; 139.

90 MO 58; 69; 78-79; 98; 152-152; 154; 179; 183.

91 MO 80-82; 113-115; 223-224; 226-227.

92 Sulle strutture, gli intrecci e i modelli comunemente utlizzati nei testi narrativi di indole autobiografica, cfr. F. D'Intino, L'autobiografia moderna, 159-206.

93 MO 30.

94 MO 157

95 Cfr. U. Eco, I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, p. 11.

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