Conversazione con U. Rattazzi
Lasciando dunque a parte la sua politica, notiamo ad onore del vero che l’avvocato Rattazzi da Deputato e da Ministro guardò sempre di buon occhio il nostro Oratorio ed Ospizio. Soleva dire che il Governo era obbligato a proteggere cotale istituzione, perché cooperava efficacemente a scemare gli inquilini delle prigioni, e a formare dei savii cittadini, nel mentre che ne faceva dei buoni cristiani; ed egli stesso ne dava l’esempio. Quindi incoraggiava D. Bosco nell’opera sua, inviava sussidii, raccomandava giovanetti, e giunse persino ad affidargli un giovane suo cugino, di nome Cesare Rattazzi, affinché glielo riducesse a buoni sentimenti e a sani consigli. Ogni qual volta poi che saliva al Ministero degnavasi di far sapere a D. Bosco che nulla avrebbe a temere. Queste benevole disposizioni egli prese a nutrire sin dal momento che fece personale conoscenza con D. Bosco, e in modo incognito venne al nostro Oratorio. Il fatto è degno di essere qui segnalato.
Era una Domenica mattina del mese di aprile dell’anno 1854, verso le ore dieci e mezza. I giovani dell’Ospizio con molti altri degli esterni si trovavano per la seconda volta in Chiesa; avevano cantato Mattutino e Lodi dell’Ufficio della Beata Vergine, ascoltata la Messa, e D. Bosco salito in pulpito stava raccontando un tratto di Storia Ecclesiastica, già incominciata da qualche tempo addietro. In quel mentre entra per la porta esterna della nostra Chiesa un signore, che nessuno e neppur D. Bosco conobbe. Udendo che si stava predicando, ei si sedette sopra uno dei banchi preparati in fondo pei fedeli, e fermossi ad ascoltare sino alla fine. Don Bosco aveva principiato la Domenica innanzi a narrare la vita di S. Clemente Papa, e in quel mattino raccontava come il santo Pontefice in odio alla Religione Cristiana era stato dall’Imperatore Trajano mandato in esiglio nel Chersoneso, chiamato oggidì Crimea, dove in quell’anno incominciava la guerra sopra accennata. Terminato il racconto egli soleva interrogare qualcuno dei giovani, se avesse qualche domanda a fare in proposito, o qualche moralità si potesse trarre dal fatto di storia. In questa guisa egli ci obbligava a stare attenti, e nel tempo stesso dava alla narrazione un più vivo interesse. Così pur facendo in quella mattina, egli interrogò uno dei giovani esterni. Costui contrariamente ad ogni aspettazione venne fuori con una domanda appropriata bensì, ma inopportuna pel luogo, e per quei tempi molto pericolosa. Disse adunque: — "Se l’Imperatore Traiano commise una ingiustizia, cacciando da Roma e mandando in esilio Papa S. Clemente, ha forse fatto anche male il nostro Governo ad esigliare il nostro Arcivescovo Mons. Fransoni? — A questa | domanda inaspettata D. Bosco rispose senza punto scomporsi: — "Qui non è il luogo da dire, se il nostro Governo abbia fatto bene o male a mandare in esiglio il nostro veneratissimo Arcivescovo; è questo un fatto di cui si parlerà a suo tempo; ma il certo si è che in tutti i secoli e fin dal principio della Chiesa i nemici della Religione Cristiana hanno sempre preso di mira i Capi della medesima, i Papi, i Vescovi, i Sacerdoti, preché credono che tolte di mezzo le colonne cada l’edifizio, e che percosso il pastore ssi sbandino le pecorelle, e divengano facile preda dei lupi rapaci. Noi pertanto quando udiamo o leggiamo che questo o quel Papa, questo o quel Vescovo, questo o quel Sacerdote è stato condannato ad una pena, come per es. all’esilio, alla prigione e fosse anche alla morte, non dobbiamo tosto credere che egli sia veramente colpevole come lo dicono; imperciocché potrebbe darsi in quella vece che egli sia una vittima del suo dovere, sia un confessore della fede, sia un eroe della Chiesa, come furono gli Apostoli, come furono i Martiri, come furono tanti Papi, Vescovi, Sacerdoti e semplici fedeli. E poi teniamo sempre a mente che il mondo, il popolo ebreo, Pilato condannò alla morte di croce lo stesso divin Salvatore, quale un empio bestemmiatore, ed un sovvertitore del popolo, mentre era vero Figliuolo di Dio, aveva raccomandato obbedienza e sottomissione alle potestà costituite, mentre aveva ordinato di dare a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio".
Aggiunte alcune altre parole sul dovere di tenersi forti nella fede e nella devozione e rispetto ai Ministri della santa Chiesa, D. Bosco discese dal pulpito, e noi, recitato il solito Pater ed Ave in onore di S. Luigi Gonzaga, e cantato il Lodato sempre sia il nome di Gesù e di Maria, ce ne uscimmo di Cappella per la porta laterale. Dietro di noi usciva pure lo sconosciuto signore, che venuto nel cortile domandò di parlare con D. Bosco. Questi era allora salito in camera, e gli fu accompagnato da un giovane. Fatti i primi convenevoli, tra D. Bosco e Rattazzi uscì un breve dialogo udito dal giovine medesimo il quale, secondo il solito di quei tempi poco beati, dopo aver introdotto il signore, erasi fermato colà sino a che D. Bosco non gli accennò di andarsene pure, perché nulla occorreva. Il dialogo è questo.
D. Bosco — Potrei sapere con chi ho l’onore di parlare?
Rattazzi — Con Rattazzi.
D. B. — Con Rattazzi! Quel grande Rattazzi (coul gran Ratass), Deputato, già Presidente della Camera ed ora Ministro del Re?
Rat. — Per lo appunto.
D. B. — Dunque (sorridendo) posso preparare i polsi alle manette, e dispormi per andare all’ombra della prigione.
Rat. — E perché mai?
D. B. — Per quello che V. Eccellenza udì poc’anzi nella nostra Chiesa, a riguardo di Mons. Arcivescovo.
Rat. — Niente affatto. Lasciando a parte, se | fosse più o meno opportuna la domanda di quel ragazzo, Lei dal canto suo rispose e se la cavò egregiamente, e niun Ministro del mondo potrebbe fargliene il minimo rimprovero, quantunque io sia di parere che non convenga trattare di politica in Chiesa, tanto meno con giovanetti, che non sono ancor capaci di farne il dovuto apprezzamento, non si hanno tuttavia da rinnegare le proprie convinzioni in facci a nessuno. Si aggiunga anche che in un Governo Costituzionale i Ministri sono responsabili delle loro azioni, le quali possono essere sindacate da qualsiasi cittadino, e perciò anche da D. Bosco. Io stesso, sebbene non tutte le idee e gli atti di Mons. Fransoni mi arridano, sono lieto che la severa misura contro di lui non sia stata presa sotto il mio Ministero.
D. B. — Se è così, conchiuse facetamente Don Bosco, posso dunque stare tranquillo che V.E. per questa volta non mi farà mettere in gattabuja, e mi lascierà respirare l’aria libera di Valdocco. Allora passiamo ad altro.
A questo lepido esordio tenne dietro un serio discorso di quasi un’ora; e il Rattazzi con una infilzata di domande a D. Bosco si fece dire per filo e per segno l’origine, lo scopo, il progresso, il frutto della instituzione dell’Oratorio e dell’unito Ospizio; e uomo qual si era di buon cuore ne andò così bene impressionato, che da quel giorno, come abbiamo di sopra accennato, e come vedremo ancora in appresso, divenne nostro avvocato e protettore. Fu questo per noi un tratto di speciale provvidenza, imperciocché facendosi anno per anno più difficili le condizioni dei tempi, ed avendo il Rattazzi avuto molto sovente le mani al Governo, ed essendo rimasto ognora uomo influente, il nostro Oratorio ebbe in lui tale un appoggio, senza di cui avrebbe forse risentite delle fortissime scosse, ed anche sofferti dei gravissimi danni. Ed invece fu il contrario. Pare che il Signore abbia voluto servirsi di lui per farci del bene, e per non lasciarci recare del male, come allo stesso fine sotto il re Nabucodonosor erasi servito dell’opera di un Ministro potente in pro del giovane Daniele e dei suoi compagni. Dio giammai non muta. Egli è sempre qual provvido Padre. Felice chi lo ama e in lui confida. |
Tra le varie interrogazioni, che il signor Rattazzi mosse a D. Bosco nella sopra riferita conversazione, una si fu intorno al mezzo da lui | adoperato per conservare l’ordine tra tanti giovani, che affluivano all’Oratorio.
— Non ha la S.V. ai suoi cenni, domandò il Ministro, almeno due o tre guardie civiche in divisa o travestite?
— Non me ne occorrono punto, Eccellenza.
— Possibile? Ma questi suoi giovani non sono mica dissimili dai giovani di tutto il mondo; saranno ancor essi per lo meno sbrigliati, accattabrighe, rissosi. Quali reprensioni, quali castighi usa adunque per infrenarli e per impedire scompigli?
— La maggior parte di questi giovani sono davvero svegliati della quarta, come si dice; ciò non di meno per impedire disordini qui non si adoperano né violenze, né punizioni di sorta.
— Questo mi pare un mistero; favorisca di spiegarmi l’arcano.
— Vostra Eccellenza non ignora che vi sono due sistemi di educazione; uno è chiamato sistema repressivo, l’altro è detto sistema preventivo. Il primo si prefigge di educare l’uomo colla forza, col reprimerlo e punirlo, quando ha violato la legge, quando ha commesso il delitto; il secondo cerca di educarlo colla dolcezza, e perciò lo aiuta soavemente ad osservare la legge medesima, e gliene somministra i mezzi più acconci ed efficaci all’uopo; ed è questo appunto il sistema in vigore tra di noi. Anzitutto qui si procura d’infondere nel cuore dei giovanetti il santo timor di Dio; loro s’inspira amore alla virtù ed orrore al vizio, coll’insegnamento del catecchismo e con appropriate istruzioni morali; s’indirizzano e si sostengono nella via del bene con opportuni e benevoli avvisi, e specialmente colle pratiche di pietà e di religione. Oltre a ciò si circondano, per quanto è possibile di un’amorevole assistenza in ricreazione, nella scuola, sul lavoro; s’incoraggiano con parole di benevolenza, e non appena mostrano di dimenticare i proprii doveri, loro si ricordano in bel modo e si richiamano a sani consigli. In una parola si usano tutte le industrie, che suggerisce la carità cristiana, affinché facciano il bene e fuggano il male per principio di una coscienza illuminata e sorretta dalla Religione.
— Certo è questo il metodo più adatto ad educare creature ragionevoli; ma riesce egli efficace per tutti?
— Per novanta su cento questo sistema riesce di un effetto consolante; sugli altri dieci esercita tuttavia un influsso così benefico, da renderli meno caparbii e meno pericolosi; onde di rado mi occorre di cacciare via un giovane siccome indomabile ed incorreggibile. Tanto in questo Oratorio, quanto in quelli di Porta Nuova e di Vanchiglia, si presentano o sono talora condotti giovani, che o per mala indole, o per indocilità, od anche per malizia furono già la disperazione dei parenti e dei padroni, e in capo a poche settimane non sembrano più dessi; da lupi, per così dire, si mutano in agnelli.
— Peccato che il Governo non sia in grado di adottare siffatto metodo nei suoi Stabilimenti di pena, dove per bandire disordini occorrono centinaia di guardie, ei detenuti diventano ogni giorno peggiori. |
— E che cosa impedisce il Governo di seguire questo sistema nei suoi Istituti penali? Vi s’introduca la Religione; vi si stabilisca il tempo opportuno per l’insegnamento religioso e per le pratiche di pietà; si dia loro l’importanza che si meritano da chi presiede; vi si lasci entrare di spesso il Ministro di Dio, e gli si permetta di trattenersi liberamente con quei miseri, e di far loro udire una parola di amore e di pace, ed allora il metodo preventivo sarà bell’e adottato. Dopo alcun tempo le guardie non avranno più nulla o ben poco da fare; ma il Governo avrà il vanto di ridonare alle famiglie e alla società tanti membri morali ed utili. Altrimenti egli spenderà il danaro, a fine di correggere o punire per un tempo più o meno lungo un gran numero di discoli e colpevoli, e quando li avrà rimessi in libertà dovrà proseguire a tenerli d’occhio, per premunirsi contro di loro, perché pronti a fare di peggio.
Di questo tenore D. Bosco tirò innanzi per un buon pezzo; e siccome fin dal 1840 egli conosceva lo stato dei prigionieri giovani e adulti, perché sull’esempio del signor D. Cafasso e del T. Borel faceva a quei miseri frequenti visite, così potè far rilevare al Ministro dell’Interno l’efficacia della Religione sulla morale loro riabilitazione. Al vedere il Sacerdote di Dio, ei soggiunse, all’udire la parola di conforto il detenuto rammenta gli anni beati, in cui assisteva al catechismo, ricorda gli avvisi del Parroco o del Maestro, riconosce che se è caduro in quel luogo di pena si è, o perché cessò di frequentare la Chiesa, o perché non mise in pratica gli insegnamenti, che vi ha ricevuti; onde richiamandolo a mente queste care rimembranze sente il più delle volte commuoversi il cuore, una lagrima gli spunta in sugli occhi, si pente, soffre con rassegnazione, risolve di migliorare la sua condotta, e, scontata la sua pena, rientra in società disposto a ristorarla degli scandali dati. Se invece gli si toglie l’amabile aspetto della Religione e la dolcezza delle sue massime e delle sue pratiche; se lo si priva di conversazioni e dei consigli di un amico dell’anima, che sarà del misero in quell’odiato recinto? Non mai invitato da una voce amorevole a sollevare lo spirito oltre la terra; non mai animato a riflettere che peccando ha offeso non solo le leggi dello Stato, ma Iddio, Legislatore Supremo; non mai eccitato a domandargli perdono, né confortato a soffrire la sua pena temporale in luogo della eterna, che gli vuol condonare, egli nella sua misera condizione altro non vedrà che il mal garbo di una fortuna avversa; qiondi invece di bagnare le sue catene con lagrime di pentimento, egli le morderà di mal celata rabbia; invece di proporre emendamento di vita, si ostinerà nel suo male; da’ suoi compagni di punizione imparerà nuove malizie, e con essi combi,nerà il modo di delinquere un giorno più oculatamente, per non ricadere nelle mani della giustizia, ma non già di migliorare e farsi buon cittadino.
D. Bosco, colta la favorevole occasione, segnalò al Ministro l’utilità del sistema preventivo soprattutto nelle pubbliche scuole e nelle case di educazione, dove si hanno a coltivare animi ancor0vergini di delitti; animi, che si piegano docilmente alla voce della persuasione e dell’amore. So bene, conchiuse D. Bosco, che il promuovere questo sistema non è compito devoluto al dicastero di Vostra Eccellenza; ma un suo riflesso, ma una sua parola avrà sempre un gran peso nelle deliberazioni del Ministro della pubblica istruzione.
Il signor Rattazzi ascoltò con vivo interesse queste ed altre osservazioni di D. Bosco; si convinse appieno della bontà del sistema in uso negli Oratorii, e promise dal che canto suo lo avrebbe fatto preferire ad ogni altro negli Istituti governativi. Se poi non mantenne sempre la sua parola, la cagione si è che anco a Rattazzi mancava talora il coraggio di manifestare e difendere le proprie convinzioni religiose.