Lectio salesiana Salesiana 2011-2012, La nostra consacrazione

Aprile 2012


Art. 3 La nostra Consacrazione Apostolica


La nostra vita di discepoli del Signore è una grazia del Padre che ci consacra1 col dono del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani.

Con la professione religiosa offriamo a Dio noi stessi per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno. La missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazione, vissuti in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli.

La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo fra le famiglie religiose.



È l’ “articolo sole”, come un maestro di noviziato, anni fa, amava presentarlo ai suoi novizi, è l’articolo in cui viene fatta mirabile sintesi di tutta la vita di un Salesiano di don Bosco. Ciò che più attrae e colpisce è il fatto che ad ogni lettura questo articolo riveli sfumature sempre nuove, nuovi tratti su cui meditare, da approfondire, ampi quanto è ampia la fisionomia carismatica e spirituale di un figlio di San Giovanni Bosco.

Nell’articolo 3, dopo il primo sull’azione di Dio e il secondo sul piano dell’agire e dell’essere della Congregazione, i padri capitolari sintetizzano l’identità ecclesiale della Società Salesiana focalizzandola alla luce della “consacrazione religiosa”.


Tutta la nostra esistenza non è che dono gratuitamente concessoci dal Padre, che ci riempie della sua Grazia, della Sua Misericordia inarrivabile; il Padre guarda alla nostra vita come capolavoro delle Sue mani, come progetto eterno ed unico da costruire progressivamente per le strade del mondo nel nostro oggi.

Eppure l’onnipotenza del Padre non può nulla senza una nostra risposta generosa ed autentica, libera e liberante. Dio, che ci ha creati senza il nostro aiuto, non può salvarci senza il nostro aiuto, parafrasando sant’Agostino: se è Lui a fare il primo passo, inondandoci del Suo strabordante Amore, nulla può se ciascuno di noi non corrisponde a tale Grazia. E l’unica risposta è quella di un abbandono fiducioso, di una donazione pura e totale, senza riserve, senza mezzi termini e compromessi! È la dinamica dell’Angelus, al primo passo di Dio deve seguire il fiat di ciascuno di noi!


È Dio il protagonista della nostra vita, è Lui l’attore primo! Qualunque scrollata di spalle su una tale certezza sarebbe soltanto orgoglio. Abbiamo, piuttosto, occhi e cuore per discernere la sua grazia?

Noi siamo stati da Lui consacrati. Abbiamo piena consapevolezza di un tale mistero?

In chiusura del Capitolo Generale 22, don Egidio Viganò così si rivolgeva ai capitolari e a tutta la nostra Congregazione, proprio in merito al numero 44 della Lumen gentium, citato nel nostro articolo:


Il significato conciliare del concetto di “consacrazione religiosa” ci ricorda che essa non è identificata in forma piuttosto riduttiva con l’emissione dei voti, né con l’atto di offerta, anche se generoso, della nostra libertà personale. Essa è, in primo luogo, un’azione caratteristica di Dio: è Lui che riveste la nostra filiazione battesimale con una fisionomia specifica. […] Nel Vaticano II si è fatta accurata distinzione tra il verbo “consacrare” e il verbo “devovere” (“sese devovere, se donare, se obligare, totaliter mancipari”, cfr. LG 44; PC 5. 11; AG 18).[…] In seguito alle osservazioni fatte, fu approntata una redazione nuova in cui si includeva la famosa frase dell’attuale n. 44 [della Lumen gentium] “et divino obsequio intimius consecratur” che alcuni (come è poi successo in parecchie traduzioni) avevano interpretato erroneamente nel senso di un atto dello stesso religioso “che si consacra”. […] Ci troviamo qui di fronte a un cambio notevole di centro di interesse, che ha portato l’attenzione non tanto sullo “stato di perfezione” quanto sulla “vita consacrata” dei religiosi nella Chiesa, come portatori di un aspetto specifico della sua globale sacra mentalità.2

Meditare sull’articolo 3 non può che essere un invito a rivedere con profondità e attenzione quanto siamo effettivamente consapevoli dell’essere consacrati da Dio, “cosa sua”, campo privilegiato della sua Grazia. La vita consacrata non è mera ascesi, dunque, “stato di perfezione” chiuso nel legalismo dei voti fini a se stessi, ma l’immenso dono che il Padre fa ai suoi figli, chiamandoli ad una vita in perenne ascolto dello Spirito, in un perenne atteggiamento di discernimento profetico. La nostra vita, senza un cordone ombelicale che ci lega strettamente a Dio e alla Sua volontà è tristemente ridicola, inevitabilmente vuota.

Benedetto XVI nel suo ultimo lavoro riscopre il significato più bello della parola consacrato: “santo”!


Si tratta di una triplice “consacrazione”: il Padre ha consacrato il Figlio e lo ha mandato nel mondo; il Figlio consacra se stesso e chiede che, a partire dalla sua consacrazione, i discepoli siano consacrati nella verità.

Che cosa significa “consacrare”? “Consacrato”, cioè “santo” (qadoš nella Bibbia ebraica) nel senso pieno secondo la concezione biblica è solo Dio stesso. Santità è l’espressione tipica usata per esprimere il suo particolare modo d’essere, l’essere divino come tale. Così la parola “santificare, consacrare” significa il trasferimento di una realtà – di una persona o di una cosa – nella proprietà di Dio, specialmente la sua destinazione al culto. […] La cosa consacrata viene elevata in una nuova sfera non più a disposizione dell’uomo. Ma questa segregazione include allo stesso tempo essenzialmente il “per”. Proprio perché donata totalmente a Dio, questa realtà esiste ora per il mondo, per gli uomini, li rappresenta e li deve guarire. Possiamo dire anche: segregazione e missione formano un’unica realtà completa.3


Il pontefice ha qui sintetizzato esattamente ciò che il nostro terzo articolo della Regola di vita esprime: la nostra consacrazione è intimamente legata alla nostra missione, ed è questa la via eletta da Dio per la nostra santificazione. Siamo stati “presi dal mondo” per essere “ricollocati da Dio nel mondo al servizio del mondo”. Consacrati DA Dio, consacrati PER i fratelli. Ecco l’unico movimento di carità…


È molto interessante il singolare dinamismo interiore ed apostolico consegnatoci dal secondo capoverso dell’articolo costituzionale: se prima ci indica di dover stare al seguito di Cristo, di dover seguire docilmente i suoi passi di amabile Maestro, subito dopo ci invita a lavorare con Lui, al Suo fianco, gomito a gomito con la Sua ineffabile Misericordia. È la danza che ognuno è chiamato a vivere giorno dopo giorno: se prima dobbiamo essere come bambini che si divertono a mettere i propri piedi esattamente sulle orme lasciate dal padre pochi istanti prima, subito dopo, forti di una sequela sincera e silenziosa, dobbiamo essere in grado di lavorare, da adulti, nella vigna di Dio, responsabili e liberi, lanciati nel campo del Mondo per annunciare inequivocabilmente l’amore del Risorto.

Prima discepoli, poi apostoli. Né è immaginabile essere apostoli senza esser prima stati discepoli. Solo dopo aver messo il capo sul petto di Gesù, aver sentito esattamente la frequenza e l’armonia del battito del Suo Cuore, possiamo essere non solo sterili ripetitori di quel battito vitale, ma veraci testimoni di quell’Amore, per portarlo a coloro che più sono assetati di amore, i giovani!

Su questo tema il Rettor Maggiore ha scritto:


Nell’apostolato la convivenza precede l’invio; la compagnia viene prima della predicazione; la fedeltà personale è premessa alla missione. Saranno inviati da Gesù, infatti, quelli che hanno vissuto insieme a Lui, condividendo il cammino e il riposo, il pane e i sogni, i successi e le delusioni, la vita e i progetti. Prima che il Vangelo occupi la loro mente e sia causa delle loro fatiche, dovrà essere stato accolto nel loro cuore ed essere causa della loro gioia.4


La missione, la comunità e i voti sono incomprensibili l’uno senza l’altro. L’articolo li definisce tre elementi “inseparabili”: il termine “inseparabili” è forte, va ben compreso e non sottovalutato.

La nostra missione è protagonismo attivista se non è maturata e sposata dalla comunità e non è illuminata dai nostri consigli evangelici.

La nostra comunità è unita ed organica grazie alla missione comune, che si declina solo successivamente in oratorio, parrocchia, scuola, ecc. e l’amore che lega i fratelli trova la propria modalità di attuazione nella pratica dei voti, che ci ricordano e ci fanno vivere la logica evangelica che deve vigere fra noi.

I nostri voti sono inutile esercizio di repressa costrizione se non li viviamo come via di liberazione per sposare con tutto noi stessi la missione del Regno di Dio e se non li viviamo come via che ci rende capaci di accogliere il fratello con cui condividiamo la mensa, l’alloggio e soprattutto il Padre, la Chiamata.

La nostra professione è ben più della semplice missione, più del vivere in comunità, più dei consigli evangelici, ma senza uno di questi elementi non è più tale.


La grazia di unità è il dono che quotidianamente siamo chiamati ad invocare e a chiedere con tutte le forze. È un armonia sapiente che la Chiesa ci chiede per essere uomini di Dio completi e completamente uomini di Dio.

È estremamente interessante leggere i documenti del CGS, vedere i fermenti postconciliari che prendono volto salesiano, vedere come veniva componendosi una grande e profonda riforma della nostra Congregazione pur in una sostanziale continuità dello spirito. Al punto 127, nel capo quarto, si legge:


Il progetto di vita che ci ha lasciato don Bosco ci spinge a meditare su due affermazioni complementari:

-”Più il salesiano è apostolo, più è autenticamente religioso”, perché la sua concreta vocazione apostolica gli fa comprendere l’indispensabilità della sua consacrazione religiosa per sé e per gli altri.

-”Più il salesiano è religioso, più è autentico apostolo”, perché il suo concreto spirito religioso lo spinge a esprimere la sua donazione totale a Dio in una generosa azione apostolica.

Il “buon apostolo” salesiano vuol vivere, come don Bosco, in unione con Dio; e il “buon religioso” salesiano è colui che “perde la vita per i giovani”.

Lo Spirito Santo chiama il salesiano ad una opzione di esistenza cristiana che è simultaneamente apostolica e religiosa. Gli dona perciò la grazia di unità per vivere il dinamismo dell’azione apostolica e la pienezza della vita religiosa in un unico movimento di carità verso Dio e verso il prossimo.


Per la riflessione personale

  • Ciascuno di noi può dire di aver chiaro il suo progetto di vita? lo rivede, lo verifica con una guida spirituale, lo aggiorna? E al centro del nostro progetto di vita pulsa ancora la “santa ansia” di farci santi, di scoprire e vivere la via, unica e sola, che Dio ha pensato personalmente per ciascuno di noi?

  • Nello svolgersi delle mie giornate rendo visibile la mia consacrazione religiosa nei miei modi di fare, nelle scelte che mi si pongono innanzi in ogni momento, nei miei atteggiamenti con le altre persone, oppure mi accontento di metterla in luce solo nei momenti di preghiera comuni?

  • Riconosco di essere autenticamente chiamato alla santità oppure anch’io cedo alla tentazione di considerarla una meta irraggiungibile?

  • Vivo l’incontro con i giovani come luogo privilegiato del manifestarsi di Dio per me, o lo reputo un servizio che Dio stesso mi chiede?

  • La vita comunitaria è per me laboratorio di santità oppure diventa un semplice modo di vivere “sotto lo stesso tetto”?


Per la riflessione comunitaria

  • La nostra vita comunitaria porta in se i tratti evidenti della consacrazione salesiana o si mostra come vita di un gruppo di persone che condividono la giornata?

  • Le nostre scelte di vita comunitaria hanno sempre a cuore il bene dei giovani oppure scivolano nella mediocrità di un “si è sempre fatto così!” che limita la possibilità di un rinvigorimento e di una rigenerazione sempre attuale grazie all’azione dello Spirito?

  • Viviamo la consacrazione religiosa come elemento di forte dipendenza gli uni dagli altri oppure ci sentiamo indipendenti nella nostra risposta al Signore, considerando i fratelli come collaboratori e non come veri testimoni dell’Amore di Dio per ciascuno di noi?

  • Possiamo dire che al centro delle nostre programmazioni comunitarie ci sono i giovani o le nostre ambizioni di successo?


Preghiera


Ti rendiamo grazie, o Padre,

per averci chiamati e consacrati

con il dono del tuo Spirito,

inviandoci a portare ai giovani

il Vangelo di Gesù.


Noi oggi rinnoviamo,

nel ricordo della nostra professione,

l’offerta totale di noi stessi a te,

per camminare al seguito di Cristo

e lavorare con Lui all’avvento

del tuo Regno


Fa che la nostra vita di ogni giorno

sia un unico movimento di amore

nella ricerca della Tua gloria e

della salvezza dei nostri fratelli.

Amen

1 Cf. LG, 44.

2 CG 22, 63.

3 Joseph ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, LEV, Roma 2011, 101-102.

4 P. Chàvez villanueva, Strenna 2010, par. 4.

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