Cimatti|Lucchelli Alessandro| 1920-11-28

31 / Lucchelli Alessandro / 1920-11-28 /


a Don Alessandro Lucchelli, Ispettore salesiano



28 novembre 1920

M. R. Sig. Ispettore,


Sono tornato venerdì a notte da Faenza dove mi ero recato d’urgenza lunedì a sera chiamatovi per l’infermità gravissima della mamma operata d’ernia strozzata nella sua fresca età di 86 anni.

Pare vada migliorando e sono tornato al lavoro. Quello che Lei nella sua bontà volle evitarmi (per timore di strapazzo) la Provvidenza ha disposto avvenisse proprio: meno male.

La prego però per altre occasioni o per occasioni di lavoro che nella sua bontà volesse favorirmi, di non tirarmi più fuori quella parola “strapazzi”. Prego caldamente i miei superiori di non usarmi riguardi, se no io sono perduto, come sono sulla strada della perdizione anche ora e Lei conosce il perché.

Lo scopo di questa mia è per farle presente le necessità della mia vecchietta.


  1. La mamma non ha di suo se non un po’ di biancheria e quella miseria di mobilio che ha nella camera, che affitta in compagnia di un’altra; null’altro.

  2. Il Collegio dà ogni giorno un po’ di minestra e un po’ di companatico, di tanto in tanto un po’ di vino: essa va o manda a prenderlo.

  3. Rimangono a suo carico il fitto, il riscaldamento, l’illuminazione, pane e cibi sussidiari a Lei necessari (caffé, latte, zucchero, un po’ di verdura, frutta e sostituzione di quelli del collegio quando non fossero adatti al suo stomaco, che pure è assai forte).

  4. I parenti, venendo in città le portano qualche dono (uova, formaggio) su cui può contare o no.

  5. Ha una gallina con cui si occupa nella giornata e da cui riceve uova, quando le fa.

  6. Riceve dai Superiori in ragione di 1 al giorno, sempre in ritardo (ad es. non ha ricevuto ancora il sussidio del mese di Novembre).


Eccole le condizioni: se qualche entrata può sperare è dovuta alla carità privata, a qualche lavoro che a 86 anni compie come può (filatura).

Insomma francamente… ogni giorno pensando alla miseria di mamma, quando mi seggo a tavola e mi trovo circondato davvero più del necessario per me, cresciuto nell’indigenza, creda che il pianto mi sale alla strozza, come in questo momento, e vorrei esserle vicino: ogni giorno più ammiro la santità di quella donna, che poi per carattere non osa dire nulla e forse soffre.

Io non so se faccia bene a scrivere queste cose, perché sinceramente non ho mai capito quali sono i doveri di un religioso al riguardo; secondo me è un gran pasticcio. Deferisco la cosa.

Il fratello è in America, la sorella è suora della carità a Frosinone ed è più povera di noi che siamo poveri; io non posso disporre di nulla.

La mamma in conclusione ha bisogno che il sussidio sia aumentato, se no, fa dei debiti (e qualcuno ho dovuto pagarglielo nella mia andata, interpretando il permesso dei superiori, ne parlerò al mio Direttore) e quello che è più deve soffrire disagi per il necessario: s’informi della miseria della mamma e vedrà che non esagero. Io che non vorrei trattare di queste cose (forse per la mia superbia) sono obbligato a farlo: avevo l’intima persuasione che il sussidio fosse un po’ più di una lira e me ne stavo tranquillo. Ora che ho verificato il bisogno domando a Lei aiuto: faccia in Domino quanto crede bene e le sarò riconoscente per quanto vorrà fare per gli ultimi anni di vita di mamma.

Se sorgessero difficoltà non ho alcun timore di rivolgermi ai Superiori maggiori; me lo dica con tutta libertà. Che vuole? In questo genere di cose ci capisco poco.

Voglia pregare per la mia povera mamma, che a mezzo mio ringrazia di cuore quanto i Superiori vorranno fare per aiutarla. Preghi poi per me, come io cerco di fare per Lei, affinché il buon Dio disponga anche in relazione a mamma; ogni evento pel bene dell’anima sua e dell’anima mia. Sono rassegnato a tutto.

Lei conosce poi i bisogni del mio spirito in relazione al Direttorato della scuola e si assicuri pure che ogni giorno più va accrescendosi in me il senso della mia assoluta inettitudine (anche se altri dica[no] il contrario… Caro Lei, l’interesse fa dire tante cose…) e più della continua contraddizione di spirito per la vita di bugie, di falsità, di sotterfugi cui sono posto.

A ciò si ribella l’animo mio internamente e, non glielo nascondo, ho l’intima fiducia in Dio che presto disporrà le cose per il mio esonero.

Non ne fo colpa a nessuno, ma anche Lei fu in questa faccenda un manutengolo e ricordi che è responsabile Lei pure di tutto questo.

Se l’aggiusti con Dio, perché ogni atto disforme dall’intima mia persuasione, io lo caccio sulla coscienza dei Superiori.

In questa questione mi pare che la vita religiosa non c’entri, non essendo questa mia carica salesiana, e quindi posso parlare così.32

Preghi per me dunque che, come vede sotto troppi rispetti ne ho bisogno.

Con affetto:

Don Vincenzo Cimatti


32 La carica di cui qui si parla è quella di Preside delle scuole normali di Valsalice. Dopo la morte di Don Nassò avvenuta il 4/1/1920, don Cimatti dovette assumersi la carica di Preside della sezione Normale.