2744 / Ricaldone Pietro BS / 1941-4-… /
a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani
Primavera! Sakura!1
Miyazaki, Aprile 1941
Rev.mo ed amat.mo Sig. Don Ricaldone,
Oggi la invito formalmente a fare una gita coi Superiori nostri amatissimi e fratelli tutti per godere la primavera giapponese nella fioritura dei famosi ciliegi. Peccato che (sia pure per alto sentimento estetico) si tratta solo di fiori… Penso che noi italiani apprezziamo di più i frutti. Ma che vuole? Paese che vai…
Ma dopo tutto non si può negare che sia pur bello questo lembo del globo così fiorito. Non posso far sentire qui in carta la bella antichissima canzone “Sakura”. Mah!... Canto!
Sakura: una parola tanto cara per i giapponesi. Dite a qualunque giapponese questa parola magica: “Sakura” e immediatamente voi vedrete come un dolce brivido di nostalgia passare in lui, come se fosse stato galvanizzato.
La parola “Sakura” significa ciliegio, albero e fiore, e si sa che i fiori di ciliegio sono il simbolo della Nazione nipponica. Ciò è vero. Ma i fiori di ciliegio sono qualche cosa di più. La parola “sakura” costituisce un elemento millenario, inseparabile, intimo nella sensibilità e nella spiritualità e nel carattere del popolo giapponese.
Tutt’altro di quel che i fiori simbolici di altri popoli, come la rosa, il giglio, il garofano ecc., il “sakura” è una parte dell’anima del popolo giapponese.
Quando i giapponesi sentono questa parola, essi provano l’identica sensazione, come se fossero stati chiamati.
A voi studiosi di scienze può essere utile anche la nozione botanica del ciliegio.
I ciliegi appartengono botanicamente alla famiglia delle Rosacee. Il Sakura giapponese presenta poi numerosissime varietà, la cui fioritura varia secondo le diversità di queste. Comincia con la varietà detta dei “ciliegi dell’equinozio”, che sbocciano già nell’ultima decade di marzo (Prunus campanulata). Vi è anche la varietà “shidarezakura” (Prunus pendula) che porta i fiori prima delle altre varietà.
I “ciliegi di monte” sbocciano presto e differiscono da altri ciliegi perché portano i fiori insieme con foglioline più rosse dei fiori, che sono di color quasi bianco.
L’assoluta maggioranza delle varietà dei “Sakura” sbocciano al principio del mese d’aprile, mentre una decina a fiori doppi, come piccole rose ritardano quasi di dieci giorni nella loro fioritura, verso la metà del mese di Aprile.
I ciliegi giapponesi non portano frutto. Sono pregiati esclusivamente per la bellezza dei fiori. Le varietà da frutto (prunus cerasus) sono importate e non sono queste il simbolo della nazionalità giapponese.
I giapponesi amano i fiori dei ciliegi, come espressione fedele del proprio cuore, appunto perché lo pensano bello come fiore… solo come fiore, senza pensare al frutto.
La fioritura dei ciliegi è di una brevissima durata. Dopo tre o quattro giorni appena sbocciati, i fiori incominciano già a cadere. E nel momento della caduta dei petali, i ciliegi sono veramente magnifici. È addirittura una nevicata fragrante. Il turbinio dei petali che volano per il cielo come in una tormenta costituisce un incantevole spettacolo della primavera nipponica.
Sono noti i proverbi giapponesi.
- Il mondo è come i fiori dei ciliegi, che si son guardati per soli tre giorni – cioè, tutto si cambia con ritmo incredibilmente rapido.
- Lo sperare nel domani, che verrà, è vano come i fiori dei ciliegi. Non si scatenerà forse una burrasca durante la notte?
Precisamente questa brevissima durata della fioritura e la magnificenza dello spettacolo della caduta dei petali, è sentita dai giapponesi come cosa propria e intima. I giapponesi sono educati a non aver attaccamento esagerato alla propria vita. La vita può essere breve… brevissima, come il fiore e sfiorire dei ciliegi.
Il poeta dell’epoca di Edo, Motoori Norinaga, ha lasciato una poesia, conosciutissima fra il popolo giapponese. Essa dice:
Se qualcuno mi domanderà
“Qual è l’anima del Giappone,
dalle isole estese?”
(gli risponderò): “i fiori dei ciliegi sui monti,
che si illuminano al sole mattutino”.
Oh, il sole eterno di giustizia Gesù illumini questo popolo, e lo conduca a sé.
Ed ora lasciando a parte i ciliegi, amato Padre, qualche notizia mensile di cronaca.
Col bravo tenore Shimada, che fece i suoi studi in Italia, feci una tournée di concerti al nord del Kyushu, a scopo educativo e di propaganda nelle scuole medie e nelle fabbriche. La musica, e specie quella italiana, è sempre apprezzata e gustata assai nelle scuole.
Nelle grandi fabbriche vi sono annessi immensi ricoveri per le operaie, che vi riseggono in permanenza in numero rilevante (anche oltre il migliaio).
Colla musica e relativa spiegazione si fa un’ottima propaganda anche religiosa. È caratteristico che in questo ambiente le lavoranti desiderino assai sentire canti sacri.
È il tempo di chiamata alle armi. È costumanza in Giappone che al partente si fa un’adunata di addio a parenti e amici. Nelle nostre case c’è pure questa abitudine, che si mantiene anche quando un confratello cambia di casa. La famiglia riunita presenta i suoi saluti e auguri, cui risponde il partente. Poi si fa qualche dono al partente, e a tutti si dà qualche cosa, dopo di che liberamente e in forme svariate (canti, declamazioni, dialoghi ecc.), ognuno manifesta i suoi sentimenti. Se fosse l’ora della partenza, la lieta brigata, intonando canzoni patriottiche s’avvia alla stazione. Sullo spiazzo della medesima gli ultimi canti, gli ultimi saluti e discorsi, e si chiude con fragoroso triplice “Evviva!”. Si accompagna poi il partente al suo posto in treno, ripetendo canti ed evviva.
In occasione della festa di S. Giuseppe a Takanabe si tenne per i cristiani una muta abbinata di esercizi chiusi per uomini e donne, riuscitissima sotto tutti gli aspetti. È caratteristica l’adunanza che i giapponesi fanno in analoghe circostanze per trattare e chiarire tra loro argomenti uditi: è una familiare discussione, fruttuosa assai, perché spontanea e libera. E S. Giuseppe ci regala la consolazione di avere tre altre professioni di confratelli giapponesi, e di riaprire il noviziato con cinque novizi. A Tokyo partecipo coi confratelli all’inaugurazione della casa di Cultura italiana, avvenuta alla presenza di due principi di casa imperiale, dopo di che, scortato dalle guardie, che si danno il cambio, alle varie stazioni, ritorno a Miyazaki. È – mi dicono – per difendere la illustre persona dello straniero… Mi dispiace, poveretti, che tanto si disturbino per noi…
Oh, buon Padre, non ci dimentichi, specie il
Suo aff.mo
Don V. Cimatti, sales.
1 R. M. 1093: manose., inedito.