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1.1 557 /Rinaldi Filippo / 1933-3-18 / |
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a Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei salesiani
Miyazaki, 18 marzo 1930
Mio buon Papà,
È l’anniversario della mia ordinazione (25.mo) e desidero passare alcuni istanti con Lei, non per dirle novità, ma come sfogo a chi dopo Dio considero come parte integrale di me stesso. Ho tentato di commemorare nella tranquillità dell’anima questo avvenimento con una novena di preghiere e riflessioni che chiudo oggi.
Desidero che Lei pure si unisca al povero figlio per ringraziare il Signore della bontà verso la mia famiglia (di tre rimasti in vita ci ha chiamati tutti alla vita religiosa) e specialmente verso Don Vincenzo, l’ultimo.
Perdetti il padre (non l’ho conosciuto) e Gesù mi ha subito dato a Don Bosco, che ricordo di aver visto da piccino (tre anni, ed è uno dei pochissimi e fuggevoli ricordi d’infanzia) sul pulpito della Chiesa dei Servi di Maria a Faenza, mentre la mamma mi alzava sulle braccia sulla fitta moltitudine dicendo: “Guarda Don Bosco!”. E Don Bosco ha fatto suo anche mio fratello Luigi e per un tratto d’ineffabile bontà della Provvidenza il Signore ha voluto Don Vincenzo suo sacerdote.
Amatissimo Papà, non bassi pensieri, ma scottante realtà. Venticinque anni di cui non so se il Signore sia contento. Certo esaminandomi conchiudo sempre: dovrò stare in Purgatorio fino al giudizio universale. Non so quando mi vorrà con sé il Signore. Gli ho fatto tante volte il dono della vita. Mai ho sentito come in questi giorni la pochezza in valore di questo atto, ché sentivo di fronte alla realtà (sono così convinto di andarmene presto…) quasi un senso sia pure sfuggevole di ripugnanza, che faceva i pugni con l’offerta… fatta forse solo di parole.
Comunque avvenga… continuo a mettermi più efficacemente che sia possibile nelle mani di Dio. Preghi possa fare una buona morte e salvarmi l’anima. È quello che desidero, come pure quello di riuscire a fare il mio dovere.
Lei sa che la posizione mia attuale è per me la più dolorosa, date le mie condizioni di spirito. Non è il mio posto (non intendo né della mia inutilità ed inservibilità nelle mani stesse di Dio e che concludono per indebolirmi sempre più, nella già debole esecuzione del mio dovere in relazione agli altri, specie quello scuotere gioghi, né ribellarmi, né altro), l’ubbidienza è tanto più meritoria, quanto più costa… (e costa davvero! ): la superiorità che impone cosa a cui uno non è inclinato, e che non sa assolutamente fare perché privo di testa, delle cognizioni necessarie, è davvero l’incoerenza di pensiero più dura – e Don Cimatti si trova proprio in queste condizioni. È per questo, o amatissimo Don Rinaldi, e non per altro che Don Cimatti insiste.
Che vuole? Quasi 30 anni di lavoro passati in mezzo all’unico ambiente di Valsalice – fra lo studio e la scuola – fra una chiara e determinata categoria di persone – in mezzo all’attività anche del lavoro materiale, con scarsa preparazione alla vita sacerdotale dal punto di vista pratico – molto affetto e sentimento – enorme superbia – atto più alla materialità del lavoro che all’iniziativa e genialità del medesimo, ed altre miserie materiali e spirituali dovuti alla mia costituzione ed educazione precedenti, che vuole? Mi hanno sagomato, piallato così come sono e non come dovrei essere per fare il mio dovere.
È quindi come voler dipingere a nuovo un legno vecchio, o voler far fare la parte del pavone o dell’usignolo alla cornacchia, la vera condizione in cui mi trovo… e lo vedo così chiaro ed evidente, che finisco col persuadermi sempre più che c’è da dire: “È bene far così!”.
Ho voluto ripetere lo stato mio affinché i Superiori, sempre meglio mi conoscano e mi aiutino a salvarmi l’anima. Non voglio certo che facciano quello che desidera Don Cimatti, perché non è lui che deve comandare (per carità! ), ma è a scanso di responsabilità.
Conosco la sua risposta: “Fa’ quello che ti dicono di fare. Va’ avanti con semplicità…”. Tento. Ma di fronte alla realtà e alle anime non riesco ad acquietare questa stridente condizione di cose, essendo obbligato a fare, a decidere, a dirimere quanto purtroppo ho la convinzione precisa di non sapere fare, né decidere, né dirimere.
Sì, purtroppo, che queste mie lamentele non sono per l’animo suo le più belle cose – può essere anche (ed è certo) che questo dipenderà, come sempre, dalla mia superbia e dall’amore di pace – dal vedere che le cose andavano bene quando Don Cimatti non era tra i piedi – ma ho voluto ancora una volta chiaramente aprirle l’animo mio, come sfogo filiale – come faccio ogni giorno con Gesù, come farei, se fosse presente, con Don Bosco. Non ritornerò più sull’argomento. Mi benedica e preghi per l’anima mia.
Mi aiuti a ringraziare il Signore – mi aiuti a riparare le mie miserie e se muoio presto (quando vuole il Signore) a farmi molti suffragi – sono sempre nelle mani dei Superiori per quello che posso servire – a dignitatibus et fronzolis et a vestimentis coloratis libera me, Domine!
L’abbraccia nel Signore il suo
Aff.mo
Don V. Cimatti, sales.
A Lei e a tutti i Superiori ottima S. Pasqua a nome di tutti.