1590 / Ricaldone Pietro / 1936-1-16 /
a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani
16 gennaio 1936
Rev.mo ed amat.mo Sig. Don Ricaldone,
Grazie della sua ultima del 29/11/35. Le scrissi da Tokyo le ultime notizie.
Per me nulla di nuovo; salvo l’impossibilità di attendere a tutto. Don Cavoli ammalato di itterizia ne avrà per un pezzo, Don Lucioni in Italia – in missione vado qua e là; non posso in coscienza lasciare le case (Miyakonojo, Takanabe e Tano) senza nessuno,1 e dalle due prime dipendono numerose sottoresidenze a cui mi sforzo di passare almeno una volta al mese per dare il conforto della S. Messa ai cristiani. La scomparsa di Don Piacenza, il trasbordo per le opere nostre di Tokyo dei confratelli migliori, ha lasciato la missione in bolletta. Confido che i Superiori mi vengano in aiuto non nella prossima spedizione, ma subito.
Ad ogni modo ognuno farà il suo dovere usque in finem, anche a costo della vita… E se questo avvenisse per me: Te Deum…
Tutti ci siamo dati attorno a che le sue raccomandazioni sulla povertà siano perfezionate – perché mi pare che data la natura dei confratelli che ho (in massima parte nervosi, stanchi, ammalati) meno di così non si possa fare. Mi pare di poter dire in coscienza che siamo in regola per quanto Lei prescrive o consiglia o richiama. Perfezioneremo al grado massimo quello che già si fa.
Arri va migliorando. Penso, e ne sarò orgoglioso, che diverrà il nostro Don Beltrami, e supplica di non essere inviato in Italia.
Per il Superiore religioso mi rimetto ai Superiori. Non ho nomi da proporre, salvo una preghiera, e sarà la migliore soluzione. Inviino uno da Torino per questo mandato. Scegliere “in posto” significa sottrarre altre forze. Come non esiste il Prefetto Apostolico, così non ci sarà l’Ispettore che avrà tutt’altro da fare che l’Ispettore.
Per Nobeoka al momento non ho né personale, né mezzi. Anime che si perdono inesorabilmente nel vortice delle fabbriche (città che aumenta di mille anime al mese), mi fanno lamentare col Signore e coi Superiori. Preferisco non dir nulla, perché comprendo che andrei fuori dei gangheri. Offro la mia povera vita e quella dei missionari al Signore che se ci prova così, bisogna dire che ne facciamo ben delle grosse o che ci vuole estremamente bene… Fiat voluntas Dei. Mi si assicura che i Superiori hanno chiara visione delle cose, se ci lasciano così è segno che sarà per il meglio, pur non capendo Don Cimatti e con me tutti i confratelli. Quando i Superiori mi concederanno personale, metterò tre sacerdoti per residenza; che, ascolti amatissimo Sig. Don Ricaldone, faranno poco o niente tutto il giorno, forse salvo la domenica.
Ah, è terribile l’evangelizzazione di questo popolo. E allora ci siamo dati alle opere che però esigendo la presenza del missionario, ammazzano l’evangelizzazione. Dilemma spaventoso…
Ecco perché ci siamo buttati alle vocazioni… Ma i frutti, a quando, o Signore? Ne vuol sentire una? (disposizioni eleganti della divina Provvidenza). Due facinorosi che mettono in subbuglio il Seminario e trascinano con sé una quindicina di compagni… E partono. Così il Signore dà modo di eliminare una mezza dozzina che avrebbero dato da fare in seguito. Ah, terribile carattere!… Mi sembrava di essere ai tempi di Don Bosco quando fiorivano le coccarde, libertà, ecc. in Seminario – identiche scene!
Ah, Sig. Don Ricaldone, ci aiuti, ci aiuti, ci aiuti in tutti i sensi, specialmente questo povero che Lei si ostina a titolare di Monsignore!
Badi che ho dovuto spendere Lire cinquanta mila per la costruzione dello studentato (che vengono ad aggravare la mia posizione economica in missione) ed ho assoluto bisogno di essere aiutato al più presto perché ho impegni imprescindibili con i missionari e con le banche.
Non mi parlino del lascito pro-Ospizio, che se è per questo, non è per altro.
Le ho aperto come sempre il cuore. Questa è la vera situazione. Comprendo a fondo le gravissime situazioni dei Superiori in questo momento e tutti vogliamo tentare di alleggerirgliele, ma si metta anche un poco nei nostri panni. Preghiamo preghiamo preghiamo. Tutti vogliono essere ricordati. Mi benedica.
Suo aff.mo
Don V. Cimatti
1 Notare l’estrema carenza di personale. Don Cimatti oltre al lavoro di direzione dovette attendere a tre parocchie distanti tra loro decine di kilometri.